THE THREE WISE MEN

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I RE MAGI

«Niente potrebbe essere più istruttivo che seguire la rappresentazione di un certo personaggio o di una certa scena, dall’arte delle catacombe fino a quella delle cattedrali». Émile Mâle, L’art religieux du xiiie siècle en France «I fatti sono perituri; resta solo la leggenda, come l’anima dopo il corpo...». Amin Maalouf, Le rocher de Tanios



Madeline Félix

I RE MAGI


Titolo originale Le Livre des Rois Mages Traduzione dal francese di Daniela Boni © 2000 Editoriale Jaca Book SpA, Milano Desclée de Brouwer, Paris © 2000 Editoriale Jaca Book SpA, Milano per l’edizione italiana Prima edizione italiana settembre 2000 Nuova edizione italiana novembre 2017

Copertina e grafica Jaca Book Fotocomposizione Linotipia Jo.Type, Pero (Milano) Selezione tavole a colori Graphic, Milano Selezione illustrazioni in bianco e nero Franco Strada. La Fotolito, Milano Fotolito Target Color, Milano

Stampa e legatura Stamperia s.c.r.l., Parma novembre 2017

ISBN 978-88-16-60552-7

Per informazioni: Editoriale Jaca Book – Servizio Lettori via Frua 11, 20146 Milano; tel. 02.48561520; fax 02.48193361 libreria@jacabook.it; www.jacabook.it Seguici su


Indice

PREMESSA pag. 7

Capitolo secondo LE RELIQUIE DEI RE MAGI pag. 57 La leggenda delle reliquie L’«invenzione» delle reliquie a Milano La traslazione da Costantinopoli a Milano La traslazione da Milano a Colonia Interesse politico delle reliquie Fama del pellegrinaggio di Colonia Altre chiese in possesso di reliquie dei re magi o dedicate al loro culto Notre-Dame-des-Trois-Rois a Embrun Il prete Gianni discendente spirituale dei re magi e modello per i re dell’Occidente Araldica Le città delle reliquie: Milano e Colonia Milano: la basilica di Sant’Eustorgio Colonia La cattedrale di San Pietro I re magi, patroni della città di Colonia

INTRODUZIONE pag. 9 Capitolo primo ALLE FONTI DEL RACCONTO pag. 11 Il racconto del Vangelo di Matteo: suo aspetto simbolico La Buona Novella annunciata a tutti gli uomini Collocazione del racconto nei primi due capitoli del Vangelo di Matteo La nascita di Gesù a Betlemme La stirpe di Davide L’epoca della nascita Il segno della stella Nascite miracolose Il personaggio di Erode I magi Gli aspetti simbolici del racconto Leggende orientali La profezia di Zoroastro Altre leggende orientali Vangeli apocrifi: fonte di dettagli pittoreschi Il Protovangelo di Giacomo Lo Pseudo-Matteo I Vangeli dell’infanzia arabo e armeno Altri testi Commentari dei Padri della Chiesa e argomenti teologici I magi re Il significato dei doni Il significato dei magi Il numero dei magi Paese d’origine dei magi e durata del viaggio Il viaggio di ritorno Il re nero La festa liturgica dell’Epifania Il calendario liturgico in Occidente: Natale ed Epifania

Capitolo terzo L’ICONOGRAFIA DEI MAGI pag. 83 Dal ii al xv secolo Magi persiani Il numero dei magi L’angelo La stella Individualizzazione dei magi: l’età Il costume si modifica Magi diventati re I nomi Il primo magio inginocchiato I doni dei magi Grotta e costruzione a triangoli Attualizzazione della scena e dei costumi Simbolismo del colore degli abiti Mondo in rovina

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Origini diverse Ciclo dei magi L’annuncio della nascita del Salvatore fatto ai magi da un angelo L’incontro dei tre magi guidati dalla stella e la cavalcata verso Betlemme I magi si presentano davanti a Erode e agli scribi L’arrivo davanti alla mangiatoia L’avvertimento dell’angelo ovvero il sogno dei magi Il ritorno da Tarso La consacrazione a vescovi Adorazione dei magi e adorazione dei pastori Altre scene delle Sacre Scritture accostate per simbolismo L’epoca moderna

Il pranzo del re I re magi protettori della casa Patroni dei fabbricanti di carte da gioco e di domino Riti aspersori legati all’Epifania-Battesimo di Cristo Riti del fuoco Altre pratiche magiche Tradizioni tipiche di altri paesi Italia Baviera Spagna Messico Cuba Detti Stelle dei tre re Ornitogalo o «Stella di Betlemme» Posto occupato dai re magi nel presepe Figure di Éspinal I canti di questua

Capitolo quarto I MAGI ATTRAVERSO LA LETTERATURA pag. 133 Inni Sermoni Drammi liturgici «Chansons de geste» e cronache Agiografie Leggenda aurea Historia trium regum Primitiae gentium seu historia sanctissimorum trium regum magorum evangelicorum Sacre rappresentazioni Canzoni popolari: «Cantici natalizi» e «Canti di questua» Teatro: recite dei re magi, pastorali, marionette Poesia dotta Racconti e novelle Il quarto magio Musica

CONCLUSIONE pag. 225 Postfazione PRIMIZIA DELLE GENTI, ANNUNCIO DI SALVEZZA di F. e G. Lanzi pag. 227 L’annuncio dei viventi Non c’è più né giudeo né greco Il dono Il cammino Il ritorno Il nome della festa Il linguaggio simbolico

Capitolo quinto TRADIZIONI POPOLARI pag. 181

Glossario pag. 233

Premessa I riti degli inizi Il ciclo dei dodici giorni I re magi protettori e guaritori Patroni dei viaggiatori Le questue La tradizione della focaccia dolce La fava

Citazioni bibliche pag. 237 Bibliografia pag. 239 Fonti dell’iconografia pag. 240

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PREMESSA

Questo libro non ha alcuna pretesa di ricerca teologica, filosofica o scientifica. Poiché mi ero interessata all’idea del quarto re magio evocata da certi autori, ho fatto come l’eroe del racconto di Apollinaire, La rosa di Hildesheim, di cui egli dice: «Frugò nelle biblioteche, leggendo tutto quello in cui si parlava dei re magi: il beato Beda, le leggende antiche e tutti gli autori moderni che hanno discusso l’autenticità dei Vangeli». Oltre a ciò, sono andata a Milano, a Colonia e a Embrun, città nelle quali basilica e cattedrali sono dedicate ai re magi. La ricca messe che ho accumulato mi è sembrata interessante per un largo pubblico a cui auguro di provare tanto piacere nella lettura di questo libro quanto ne ho provato io nel prepararlo. Una delle difficoltà è stata quella di fare una scelta entro la massa dei documenti raccolti. Ho cercato di stabilire un certo equilibrio tra ciò che è molto (o troppo) noto e ciò che è un po’ più raro e permette di fornire un nuovo punto di vista. Quelli che saranno delusi di non trovare la riproduzione o il testo di un’opera che amano, mi perdonino. Ho peraltro cercato di presentare interpretazioni diverse di uno stesso fatto senza prendere espressamente partito, per lasciare a ognuno il piacere di trarre conclusioni. Sono debitrice in modo particolare a Marie-Anne Elissagaray per lo studio dei testi relativi all’inizio del cristianesimo e al Medioevo, a Louis Réau per ciò che riguarda lo studio dell’iconografia, a Françoise Lautman e a Fernando e Gioia Lanzi per le tradizioni religiose. Il mio lavoro è stato quello di riunire e completare questi diversi aspetti in certi ambiti per non abbandonare i re magi nel xv secolo, mostrando invece la continuità del mito fino ai giorni nostri. Ringrazio la mia famiglia e tutti gli amici che mi hanno incoraggiato in questa ricerca e, dai quattro angoli della terra, mi hanno portato documenti iconografici che hanno completato la mia collezione e mi hanno aiutato, in un modo o nell’altro, a portare il mio lavoro fino alla sua veste definitiva, principalmente Ghislaine de Poix, Nicole Puechal, Simone Mallaret, Évelyne e Patrick Grosjean, Anna Cabantous-Bergomi, Michel Maupoix, Gérard Coulon, Gérard Lautissier e inoltre Andrée Thomas e Yves Raffner delle Éditions Desclée de Brouwer, Sante Bagnoli, Maura Scandolo e i loro collaboratori dell’Editoriale Jaca Book. Ringrazio in modo particolare la mia figlia maggiore, senza la quale questo libro non esisterebbe, e mio marito che mi ha seguito in un certo numero di pellegrinaggi e assistito con i suoi consigli.

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Avvertenza I testi biblici sono indicati nella traduzione della versione sinodale della Société biblique de France utilizzando, per ciò che riguarda il testo principale del Vangelo secondo Matteo, i termini «magi» e «stella» che appartengono all’immaginario occidentale. = «magi» e «astro». Bibbia di Gerusalemme = «magi» e «astro». Vangeli di oggi = «astrologo» e «astro». Traduzione Segond = «magi» e «stella». Bibbia in francese moderno = «scienziati, specialisti delle stelle» e «stella». Traduzione di Chouraqui = «magi» e «stella». tob

Da notare che solo l’italiano ha mantenuto la parola primitiva «magi». L’inglese ha conservato un’idea analoga, «three wise men» (i tre saggi), mentre il francese e lo spagnolo usano le espressioni «rois mages» e «reyes magos» e il tedesco sottolinea la loro santità «die Heiligen drei Könige» (i tre santi re) ma ha perduto la parola «magi».

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INTRODUZIONE

Uno dei più popolari fra i nostri miti occidentali è quello riguardante i «re magi». Risale alle origini del cristianesimo ma, nel corso dei secoli, si è molto trasformato. Il racconto originario occupa soltanto dodici versetti del Vangelo di Matteo e tuttavia ha creato un mito che ha assunto grandi dimensioni nel pensiero, nell’arte, nella letteratura, nelle tradizioni popolari di tutto l’Occidente cristiano. Questa trasformazione, sotto l’influenza dell’istituzione della Chiesa, poi sostituita sia dalla devozione dei fedeli sia dalle interpretazioni di artisti e scrittori, è esemplificativa della risonanza data in modi diversi a un semplicissimo racconto del Vangelo. Infatti i pochi versetti dell’inizio son ben poca cosa. Teniamo a mente che la fede dei primi cristiani era incentrata non sulla nascita, ma sulla morte e resurrezione di Cristo e il loro culto faceva della festa di Pasqua la principale celebrazione della nuova religione. D’altronde solo la data di morte di un uomo illustre poteva essere presa in considerazione, dato che quella di nascita era sempre più o meno incerta¹. Quindi le prime comunità cristiane e la Chiesa ufficiale hanno cercato di dare una risposta alle domande che ci si faceva sulla nascita di Cristo, ma ciò è avvenuto solo piuttosto tardi; da qui hanno avuto origine diversi sviluppi attorno all’avvenimento, inizialmente poco noto, che completa il racconto dell’adorazione dei magi nel Vangelo di Matteo dando vita nel tempo a tutta una leggenda. Il racconto dava un forte contributo all’insegnamento della Chiesa; permetteva di sottolineare la novità del messaggio di Cristo e, in particolare, la sua universalità attraverso la presenza di magi stranieri ai piedi del Bambino Gesù. Proprio l’importanza e l’originalità di questa novità per l’umanità sono all’origine del mito2. Universalità del messaggio di Cristo: tema teologico all’inizio, che diventa in seguito molto popolare e si accompagna all’«invenzione», e poi al culto, della religione dei magi; dei magi si sono impadroniti progressivamente l’arte, la letteratura e la musica, generando l’evoluzione della leggenda e ampliandola, a seconda dei casi; tema teologico e leggenda si sono anche reciprocamente influenzati facendo leva sulla forza delle diverse forme di religiosità popolare nate attorno alle feste liturgiche. La storia di questa evoluzione è interessantissima da raccontare. Seguiamo la strada tracciata dai magi...

NOTE

L’onomastico di un santo è fissato il giorno della morte, essendo il «dies natalis» (si è preferita questa traduzione a quella di «giorno natalizio» per non creare equivoci con la festività del Natale, ndt) il giorno della «nascita al cielo» e non della nascita sulla terra. 2 Il mito è così definito da Jean-Pierre Hammel (L’uomo e i miti): «Un racconto che, in modo simbolico e sotto una forma poetica, racconta i fatti delle origini o il sorgere di una novità importante per l’umanità». (I dati bibliografici completi delle opere citate si trovano nella Bibliografia, p. 240). 1

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Capitolo primo ALLE FONTI DEL RACCONTO

1. Disegno, Il cammino dei magi, tratto da La Bible des contrastes (1992). Henri Lindegaard (Francia). Rappresentazione recente che si ricollega alla tradizione primitiva (cfr. i primi sarcofagi, tavv. 2 e 3).

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Alla parola «magi» associamo immediatamente il nome «re», il numero «tre», i loro nomi «Gaspare, Melchiorre e Baldassarre» mentre, nell’unico testo del Nuovo Testamento che faccia menzione dei magi, quello del Vangelo di Matteo, non si trova nessuna di queste precisazioni. Da dove vengono allora tali precisazioni? Ci daranno la risposta una quantità di testi di diversa origine, elaborati nel corso dei secoli. Con assoluta evidenza, esiste una fonte orientale come punto di partenza. Il testo di Matteo è stato in seguito arricchito da alcuni testi apocrifi, più o meno leggendari, riguardanti l’infanzia di Gesù. L’insieme di questi racconti scaglionati in un arco di tempo tra il ii e il vi secolo ha goduto del favore della pietà popolare e, molto presto, ha prodotto numerosi commentari dei Padri della Chiesa che ne hanno piuttosto evidenziato l’aspetto simbolico. Da tutta questa riflessione è nata la liturgia cristiana relativa alla festa dell’Epifania, mentre si andava formando il calendario liturgico. Ma questa stessa liturgia, come vedremo si è un po’ trasformata, nel corso dei secoli. Il racconto del Vangelo di Matteo: suo aspetto simbolico Il solo testo canonico in nostro possesso riguardante i magi è perciò quello del Vangelo di Matteo. «Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni magi giunsero da Oriente a Gerusalemme e domandarono: “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo”. All’udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: “A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: ‘E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele’”. Allora Erode, chiamati segretamente i magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: “Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo”. Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese» (Mt 2,1-12). La Buona Novella annunciata a tutti gli uomini Come dicevamo nell’introduzione, i racconti che riferiscono della nascita di Gesù sono piuttosto tardi. Possiamo datare i primi, quelli che compaiono nel Vangelo di Matteo all’ultima parte del primo secolo, mentre i primi testi relativi alla passione, risalivano agli anni 35-36: Atti di Pilato, oggi perduti, attestati da Giustino; corrispondenza tra Pilato e Tiberio, attestata da Tertulliano1. Il Vangelo di Matteo si è costituito intorno a un nucleo di frasi di Gesù in aramaico, quello che alcuni chiamano il «Matteo aramaico», piuttosto antico e generalmente datato intorno agli anni 50. Ma i primi due capitoli che contengono la genealogia di Gesù da Giuseppe, l’annuncio a Giuseppe della nascita di Gesù, la visita dei magi, la fuga in Egit-

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2. Affresco, Annunciazione con una Adorazione dei magi tra una Natività e un Battesimo di Cristo (anonimo del xv secolo). Chiesa di Santa Maria Novella, Firenze.

3. Icona (particolare), Natività (xix secolo, Russia). Galleria Carlo Maria Biagiarelli, Roma. Secondo la tradizione orientale, la Vergine è al riparo in una caverna. I tre magi recano i loro doni. Qui, il bambino è posto su un sarcofago che preannuncia il suo sacrificio.


to, la strage degli Innocenti e il ritorno a Nazaret sembrerebbero nettamente posteriori, probabilmente attribuibili a colui che ha adattato in greco questo Matteo aramaico. Arrivano a precisare chi sia Gesù, come sia nato, e poi dove e quando la nascita sia avvenuta e dove abbia trascorso i suoi primi anni. E una vera e propria «teologia dell’origine e della nascita di Gesù» come dice André Paul, specialista del giudaismo intertestamentario e degli inizi del cristianesimo. Questi due capitoli conservano tuttavia la stessa finalità della parte principale. Matteo scrive per gli ebrei credenti ai quali si deve far comprendere che la Buona Novella è rivolta a tutti gli uomini, ebrei e non ebrei. Essi devono prendere coscienza dell’universalità del messaggio di Cristo. Peraltro Matteo conclude il suo Vangelo inviando in missione i discepoli: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (28,19-20). 4. Pala d’altare, la Maestà (particolare), Fuga in Egitto (xiv secolo). Duccio di Buoninsegna. Museo dell’Opera della cattedrale, Siena. 5. Vetrata, Alberto di Jesse. Chiesa di Pleyben, Finistère (Francia). Rappresentato a partire dal xii secolo, l’albero di Jesse (padre di Davide) mette in evidenza gli antenati di Cristo in base alla profezia di Isaia.

Collocazione del racconto nei primi due capitoli del Vangelo di Matteo L’elaborazione del racconto dei magi sembra essersi prodotta in una Chiesa a maggioranza giudaico-cristiana, probabilmente a Damasco, in opposizione al giudaismo farisaico che non ammette assolutamente l’universalità del messaggio di Cristo e vorrebbe che i discepoli di Gesù rimanessero entro un giudaismo stretto come è effettivamente avvenuto in un certo periodo2. André Paul fa uno studio molto accurato dei primi due capitoli di questo Vangelo. Al di fuori della genealogia del Cristo, lo studioso scopre in essi una costruzione molto strutturata attorno a tre elementi simmetrici, l’annuncio a Giuseppe, la fuga in Egitto e il ritorno a Nazaret sviluppati sullo stesso modello: la situazione, le parole dell’angelo a Giuseppe, una citazione dell’Antico Testamento relativa al nome di Gesù, l’esecuzione riguardo alla predizione. Oltre a questi racconti ne sono stati inseriti altri due, la visita dei magi e la strage degli Innocenti per giustificare il viaggio in Egitto, il quale comporta un voluto parallelismo con il destino di Mosè o più semplicemente con il destino di Israele: l’Egitto è terra di schiavitù da cui Dio fa ritornare il suo popolo verso la terra promessa3. La nascita di Gesù a Betlemme Poiché si rivolge a una comunità ebraica che conosce molto bene i testi della tradizione, l’evangelista tende a dimostrare che Cristo è veramente il Salvatore annunciato dalle profezie, e il suo Vangelo è infarcito di citazioni dalla Bibbia ebraica che i Cristiani chiamano Antico Testamento. Ognuno degli episodi precedentemente citati è collegato a uno di questi testi. È interessante riprendere quello posto al centro dell’episodio dei magi, nel testo primitivo e nella forma in seguito usata dall’evangelista. La profezia principale sulla quale poggia l’autore per far nascere il Cristo a Betlemme è il testo di Michea 5,1: «Da te, Betlemme di Efrata [...] farò uscire Colui che deve essere il capo supremo d’Israele, colui la cui origine risale ai tempi antichi, ai giorni eterni». L’evangelista ha accostato questo testo a 2 Samuele 5,2: «Tu pascerai Israele mio popolo, tu sarai capo in Israele», scrivendo una nuova formulazione: «E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele» (Mt 2,6). Sembra che Luca, il quale, al pari di Matteo, fa di Betlemme il luogo di nascita di Gesù, abbia voluto far coincidere la propria comprensione della profezia di Michea inserendo il racconto del censimento di Augusto, censimento che ebbe luogo, come

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Vangelo di Luca 2,1-20 «In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo. C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l’angelo disse loro: “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella Città di Davide un Salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”. E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini che egli ama”. Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano tra loro: “Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. Andarono dunque senz’indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. I pastori poi se ne tornarono glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro».

sembra, solo parecchi anni dopo la nascita di Gesù: credeva così di dare una spiegazione plausibile alla nascita di Gesù a Betlemme. Betlemme o Nazaret come luogo di nascita di Cristo? Si contrappongono due tesi. Di fatto, la profezia annuncia che il Messia doveva uscire da Betlemme e non necessariamente nascervi. La stirpe di Davide A Betlemme è legata la famiglia di Davide che appare in numerose profezie riguardanti il Salvatore di Israele. Fra questi testi prendiamo in considerazione quelli che collegano il nome di Betlemme a quello di Davide. Il Salmo 132 al versetto 6 cita il nome di Efrata (altro nome di Betlemme) e, al versetto 11, predice: «Il frutto delle tue viscere io metterò sul tuo trono (trono di Davide)». Si può anche citare il testo di Giovanni 7,42: «Non dice forse la Scrittura che Cristo verrà dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide?». Sembra un dato acquisito molto presto nella chiesa primitiva il fatto che Gesù appartenesse alla stirpe di Davide; ciò era necessario per convincere gli ebrei praticanti dell’autenticità del titolo di re conferito a Gesù dai primi cristiani. La genealogia al capitolo i del Vangelo di Matteo mette fortemente l’accento sul regale antenato (versetti 1-6). L’epoca della nascita Pur con un’oscillazione di 10 anni (dal 6 a.C. al 4 d.C.), la data di nascita di Cristo non è più facile da fissare di quanto non lo siano il luogo e ancor meno il giorno reale. L’imprecisione della datazione è così spiegata da France Quéré4: la studiosa vede in essa il risultato

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6. Manoscritto (hm 1163 f 77v), Ore di Malet de Graville, Natività. Huntington Library, San Marino, California (usa).

7. Pannello complesso, Adorazione dei magi nella parte centrale, Presentazione al Tempio nella parte superiore sinistra, Fuga in Egitto nella finestra centrale (xvi secolo). Bartholomäus Bruyn. Museo Wallraf-Richartz, Colonia (Germania).


del disprezzo che l’evangelista provava, forse, nei confronti del calendario dell’occupante; a lui interessa soltanto il tempo ebraico, il tempo ricordato nel capitolo i attraverso le diverse generazioni. La data del 25 dicembre è stata, alla fine, fissata da papa Libero nel 354: da notare che il 25 dicembre mal si accorda con l’annuncio ai pastori che, sui monti della Palestina, in quel periodo dell’anno, non facevano pascolare all’aperto le loro pecore durante la notte. La nascita di Gesù era stata festeggiata, di volta in volta, il 6 gennaio, il 25 marzo, il 10 aprile o il 29 maggio5. La data del 25 dicembre permetteva tuttavia di far coincidere la festa con tutte quelle che venivano celebrate al solstizio d’inverno, Saturnali romani o culto solare di Mitra (Sol Invictus) o addirittura culti celtici o germanici sostituiti con la festa di Cristo, sole della nuova legge (cfr. anche p. 182). Il segno della stella

8. Nicchia, Madonna del Soccorso (particolare) (1610). Chiesa di SaintThégonnec, Finistère (Francia). Vergine con Bambino circondata dall’albero di Jesse (albero genealogico di Gesù) e da scene del ciclo dell’Infanzia, tra cui l’Adorazione dei magi.

La stella dei magi ha suscitato a sua volta molteplici commenti a partire da Origene (fine ii-inizio iii secolo) fino ai giorni nostri. Gli scienziati hanno cercato di identificare la «stella» che aveva probabilmente guidato i magi. Sembra che, nel 7 o nel 6 a.C., si sia verificata una congiunzione tra i pianeti Giove e Saturno, oppure più congiunzioni successive; la cometa di Halley è passata nell’11 a.C., a meno che in realtà non fosse una supernova...: sono state fatte tutte le ipotesi ma, secondo gli specialisti, nessuna è del tutto convincente6. In effetti occorre piuttosto fare ricerche nella direzione dei testi e del contesto del tempo. Si riteneva che tutti i grandi avvenimenti venissero annunciati da un segno del cielo: così fu, secondo la tradizione, per le nascite di Romolo, Platone, Pitagora, Alessandro, Cesare, ecc.

9. Mosaico, Natività (tra il 1143 e il 1151). Chiesa della Martorana, Palermo. Intorno alla Vergine e al Bambino le scene dell’Annuncio ai pastori e del Bagno del Bambino sono tradizionalmente riprodotte nelle rappresentazioni di stile ortodosso. 10. Vetrata, Viaggio dei magi (xii secolo). Cattedrale, Clermont-Ferrand (Francia). La stella è qui sostituita dall’angelo a cui viene attribuito lo stesso valore simbolico di guida.

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Anche i testi biblici potevano dar luogo a tale interpretazione; così il testo del libro dei Numeri 24,17, quando trascrive la profezia di Balaam sul futuro di Israele: «Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele, spezza le tempie di Moab e il cranio dei figli di Set...» (Occorre notare che ciò è profetizzato in un contesto di guerra che non richiama alla mente la missione di Cristo). In quel testo, peraltro, è Cristo stesso a essere «l’astro di Giacobbe». E così l’hanno inteso le prime comunità cristiane. Qui l’apporto dell’iconografia è molto interessante. Le prime rappresentazioni dei magi non presentano la stella (cfr. cap. iii): al suo posto mettono il crismon, le prime due lettere dell’alfabeto greco, tra loro incrociate, per indicare il nome di Cristo; oppure un angelo o addirittura l’immagine del Buon Pastore: il Cristo è la luce e la guida da seguire. Malgrado tutto, la tradizione della stella, caldea ed ebraica insieme, era così forte che il capo dell’ultima rivolta armata ebraica contro Roma, responsabile della distruzione di Gerusalemme e della diaspora degli ebrei nel 135 d.C., si è fatto chiamare Bar Kochba, «figlio della stella» e ha battuto moneta con la stella per emblema. A tale proposito Jean Claude Picard propone un’interessante giustificazione per spiegare l’introduzione di questo racconto nel Vangelo nel ii secolo: vede in esso una «prova tramite i magi» del compimento della profezia di Balaam. Questa prova sarebbe la risposta «alle persecuzioni subite tra il 132 e il 135 da numerose comunità cristiane che furono costrette a rinunciare a Gesù Cristo, “il Galileo” e a riconoscere la regalità messianica di Bar Kochba». André Paul fa notare che la stella, in questo episodio, ha lo stesso ruolo del sogno nelle altre parti del racconto: è uno dei nodi attraverso cui parla e si manifesta la divinità. Non è più la stella a guidare il ritorno dei magi ma piuttosto il sogno: «avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese», come scrive l’evangelista (Mt 2,12).

11. Bassorilievo, Adorazione dei magi (xiii secolo). Chiesa di Santa Maria della Pieve, Arezzo. Un angelo fa oscillare un turibolo accanto a una stella a otto punte. I nomi dei magi sono inscritti al di sopra delle loro teste.

Nascite miracolose Non si possono non fare paralleli con altri racconti di nascite sia nella tradizione orientale (nascita di Buddha o del bambino Krspa), sia nei racconti biblici (nascita di Mosè), sia nelle teogonie pagane (stella che annuncia una nascita, padre che si astiene da rapporti fino alla nascita del bambino, strage di bambini, ecc.), ma, per ciò che riguarda i magi, il racconto più interessante è forse quello del culto arabo del dio Dusarès, nato lui pure da una vergine e il cui culto è attestato – secondo André Malet, altro specialista dell’esegesi del Nuovo Testamento – a Petra, a Hebron e forse persino a Betlemme: nel genetliaco della sua nascita gli venivano presentate offerte di argento, aromi e incenso. Non insisteremo più sull’argomento delle nascite miracolose, abbondantemente trattato da numerosi autori, i più recenti dei quali sono il reverendo Laurentin o Eugen Drewermann. Il personaggio di Erode Erode è il personaggio di questo testo sul quale abbiamo dati storici numerosi e abbastanza precisi. Il valore simbolico del personaggio e le rappresentazioni fattene meriterebbero, da sole, uno studio esaustivo. Egli è messo in contrasto, contemporaneamente, con i magi – stranieri ma sinceri – e con il Re dei re appena nato. Erode è colui che i magi vogliono evitare: essi non ritornano a Gerusalemme per non dovergli rendere conto di ciò che hanno visto. Simboleggia l’odio in contrasto con l’amore, il rifiuto di un riconoscimento, la paura di dover cedere il proprio posto, di cambiare il modo di vivere. Tuttavia, in questo libro, il nostro intento è principalmente quello di presentare i magi.

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12. Affresco, Natività di Buddha (19351945). Soliyas Mendi. Tempio di Kelaniya (Sri Lanka). In uno stupa del 1300, gli affreschi sono stati eseguiti nella prima metà di quel secolo a partire dagli episodi evocati dal manoscritto antico del Mahavaqsa in cui è riportata, tra le altre, la storia di Buddha.


Tav. 1. Pittura murale, Mitra che viene ucciso dal toro (fine ii sec.). Mitreo, Marino (Roma). Il dio Mitra, di origine persiana, nella cultura figurativa greco-romana viene cosÏ rappresentato: corta tunica, mantello svolazzante qui costellato di stelle, berretto frigio e spessi anassiridi. I due personaggi che lo accompagnano, Caute e Cautopate, sono vestiti allo stesso modo. Con lo stesso abbigliamento l’arte greco-romana rappresenta gli dei o i personaggi di origine orientale: Bacco, Orfeo, i tre ebrei nella fornace, Daniele, talvolta anche Davide.


Tav. 2. Sarcofago gallo-romano, detto della Natività (iv sec.). Musée de l’Arles antique, Arles. Al centro del sarcofago, due scene sovrapposte: la Natività, con il Bambino sdraiato in una culla e sotto di essa I magi in cammino che, vestiti con il costume «persiano», indicano la scena soprastante e la stella posta in alto a sinistra. Ai due lati, scene dell’Antico e del Nuovo Testamento accostate simbolicamente: a sinistra, Mosè che tiene in mano le tavole della Legge (antica) e Angelo che porta il rotolo della nuova Legge instaurata da Cristo; a destra, Sacrificio di Isacco con la presenza dell’ariete, che prenderà il suo posto e che annuncia il sacrificio della croce. A fronte: Tav. 3. Sarcofago gallo-romano detto degli Sposi, Doni dei magi, primo registro dal basso (iv sec.). Musée de l’Arles antique (Francia). I magi, vestiti sempre con costume «persiano», in cammino verso il gruppo della Madonna col Bambino e Giuseppe: curiosamente, il primo magio che porge un regalo al Bambino si volge verso il secondo magio per mostrargli la stella; la scena è stata

in seguito modificata. Dietro la testa dei tre magi, si scorgono le teste dei tre cammelli. Nella doppia pagina seguente: Tav. 4. Mosaico (v sec.). Arco trionfale della basilica di Santa Maria Maggiore, Roma. Superbo mosaico che presenta su un lato I magi davanti a Erode, le sue guardie e gli scribi e sull’altro lato I magi davanti al Bambino Gesù, in trono tra gli angeli sotto la stella e con Maria seduta su un seggio alla sua sinistra. Tav. 5. Mosaico, Doni dei magi (vi sec.). Chiesa di Sant’Apollinare Nuovo, Ravenna. Bellissimo mosaico che mostra chiaramente i differenti capi d’abbigliamento, in particolare gli anassiridi. Due dei magi si presentano con i loro doni e hanno le mani velate. Dietro di loro le palme della vittoria e la stella a otto punte, davanti a loro i gigli della purezza. I nomi sono stati aggiunti successivamente come anche la barba, elemento di origine orientale che permette di distinguere le tre età della vita. Notare la ricchezza dei colori.


Nella doppia pagina successiva: Tav. 6. Mosaico, L’Imperatrice Teodora e la sua corte (vi sec.). Chiesa di San Vitale, Ravenna. Ricco broccato del mantello dell’imperatrice Teodora sul quale sono rappresentati i tre magi in cammino. Molto prima degli imperatori tedeschi o della famiglia Medici, l’imperatrice si pone sotto la loro protezione. Tav. 7. Altare detto di Rachi, Doni dei magi (vii sec.). Sala capitolare della chiesa di San Martino,

Cividale del Friuli, Udine. Bassorilievo eseguito su richiesta di Rachi, duca di Cividale e futuro re dei Longobardi, per l’altare della chiesa di San Martino. Notare un piccolo Giuseppe dietro il Bambino e la Madonna che ha la fronte segnata da una croce; l’interpretazione del costume «persiano» dei magi; le piante e i grandi fiori evocanti il paradiso sotto i piedi dei personaggi. La palma della vittoria, l’angelo planante e i tre fiori-stella sottolineano la presenza di Dio che protegge la scena. Completa l’insieme un’ornatissima cornice.






Tav. 8. Capitello, Doni dei magi (xii sec.). Chiesa abbaziale di Saint-Genou, dipartimento dell’Indre (Francia). I magi vengono ancora rappresentati con il costume persiano, ma il primo magio guarda verso il Bambino mentre il secondo si volge verso il terzo per mostrargli la stella. I personaggi sono sempre in piedi e in cammino. L’angelo che suona il flauto rafforza il simbolo della stella come segno della presenza divina.


I magi

13. Pergamena, Strage degli Innocenti (fine xiv-inizio xv secolo). Etiopia.

14. Mosaico, Orfeo-Mitra. Museo archeologico, Saint-Romain-en-Gal, Rhône (Francia). Il poeta con la lira è vestito con un costume frigio-persiano (cfr. tavv. 1 e seguenti).

Abbiamo già sottolineato il legame che, nel racconto di Matteo, i personaggi stabiliscono tra l’Antico e il Nuovo Testamento. André Paul istituisce un parallelismo tra l’inizio del Vangelo di Matteo e il testo di Numeri relativo alla profezia di Balaam (cfr. p. 16). Anche Balaam è sceso dalle montagne d’Oriente (Nm 23,7). La parola «magio», d’origine persiana e di controversa etimologia, designa una tribù meda originaria dell’Iran occidentale nel cui ambito venivano scelti i sacerdoti che, successivamente, aderiranno a certi aspetti della riforma di Zoroastro (cfr. p. 27). Al tempo di Gesù essi costituivano il clero ufficiale del regno parto, posto alle frontiere dell’impero romano, che comprendeva, in particolare, la Mesopotamia e la Persia. Questi magi sono sacerdoti che esercitano una grande influenza sul potere del re e al tempo stesso degli scienziati. Ci si può fare un’idea della loro potenza se si legge il libro di Amin Maalouf, Les jardins de lumière, dove si rievoca la vita di Mani, nella Persia del iii secolo. I magi sono anche scienziati. Conoscono tutto lo scibile del tempo, matematica, medicina, astronomia; sono anche, da tempo immemorabile, interpreti dei sogni e degli astri perché lo riferiscono Erodoto, Senofonte, Diodoro Siculo, il profeta Daniele; ma la loro attività è disprezzata dagli ebrei7. La mente biblica diffida degli astrologi che danno troppo peso a un destino fatto completamente dagli astri, perché ciò sopprime, al tempo stesso, la libertà di Dio e quella dell’uomo. Alcuni Padri della Chiesa saranno molto influenzati da tale condanna e non vedranno i magi di buon occhio. Nel pensiero dell’evangelista, sembra certo che essi siano innanzitutto sacerdoti della religione persiana che ha in quel periodo amplificato il culto di Mitra e soprattutto il mitraismo, che ha avuto uno sviluppo originale nel mondo greco-romano; d’altronde, all’inizio dell’era cristiana (cfr. cap. iii) i magi sono raffigurati in costume «persiano». Una delle spiegazioni dell’importanza attribuita dai Padri della Chiesa al racconto dei magi sarebbe quella di aver voluto cristianizzare il mitraismo, grande rivale del cristianesimo fino a Costantino (iv secolo). I magi che vengono a rendere omaggio al bambino Gesù simboleggerebbero la vittoria di Cristo sul dio persiano Mitra. Da notare anche che, secondo i musulmani, alla nascita di Maometto si spense il fuoco sacro8 dei magi, prova questa della superiorità dell’Islam sulla religione dei persiani. Gli aspetti simbolici del racconto È piuttosto curioso constatare che, là dove le prime comunità cristiane si riferivano essenzialmente al significato, cioè al simbolismo del testo, e il Medioevo ha sviluppato soprattutto una spiegazione allegorica (cfr. cap. iv), in epoca moderna invece in troppi hanno tentato una spiegazione letterale che ha forzatamente privilegiato un racconto che non regge più alle critiche storico-scientifiche che gli si possono opporre. Ora, il suo valore sta tutto nel simbolo veicolato, che è, in primo luogo, il simbolo del messaggio di Cristo rivolto a tutti, compresi gli stranieri, pagani dal mestiere ambiguo come i magi, simbolo dell’universalità di questo messaggio di cui peraltro si trovano echi nella tradizione ebraica (nel Vangelo secondo Luca, il cantico di Simeone traduce la medesima idea). È anche il simbolo della divinità di Gesù riconosciuta dai saggi della terra, guidati verso il Bambino da un’ispirazione divina. Alcuni vi hanno visto anche il segno della vittoria del cristianesimo sul mitraismo e, in senso più ampio, la vittoria delle forze del bene su quelle del male (vedi il portale di Neuillyen-Donjon nel dipartimento dell’Allier).

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15. Timpano (xii secolo). Portale occidentale, Chiesa di Neuilly-en-Donjon, Allier (Francia). Composizione molto particolare ed altamente simbolica: vittoria delle forze del bene sulle forze del male Duomo perduto a causa del male

L’uomo salvato da Dio

sul capitello di sinistra L’uomo caduto nel peccato sull’architrave di sinistra Il serpente corruttore sul timpano di sinistra Il toro (Spirito del Male)

sul capitello di destra Daniele nella fossa dei leoni sull’architrave di destra Il pranzo da Simone (la peccatrice pentita) sul timpano di destra Il leone (Spirito del Bene)

(simbologia della religione mazdaica, precisamente quella dei magi; il leone è anche simbolo di resurrezione, figura di Cristo) in alto Il trionfo delle forze del bene sulle forze del male Questa scultura anonima costituisce una vera e propria predicazione ed è al contempo un capolavoro dell’arte romanica.

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È ancora l’immagine dell’uguaglianza degli uomini davanti a Dio (magi e pastori sono uguali davanti al Bambino-Dio) e quella dell’incontro tra Dio e l’umanità. Nel corso del tempo a ciò si aggiunge il simbolo della risposta individuale data da Cristo a tutti coloro che vengono a deporre il loro fardello ai suoi piedi (cfr. p. 152). È anche la prefigurazione del destino di Cristo che, mentre è riconosciuto dagli stranieri, è respinto dai suoi e in particolare da Erode Antipa, figlio di colui che compare nel racconto dei magi, e che ha un ruolo importante nella condanna a morte di Gesù. Leggende orientali Come molti altri elementi della religione cristiana, il racconto dei magi nasce in Oriente. Una vecchia tradizione persiana trasmessa nell’Avesta – libro sacro della tradizione mazdea, in parte attribuito a Zoroastro – fa riferimento alla venuta di un Salvatore (Yast xix). La profezia di Zoroastro

16. Rappresentazione generalmente considerata come quella del Dio supremo della religione mazdaica, Ahura Mazda con la ruota alata che simboleggia il cielo, cioè il dominio della luce in cui risiede Dio. Religione riformata da Zoroastro all’inizio del primo millennio a.C., che ha influenzato la religione ebraica.

La profezia annuncia che il seme di Zoroastro è stato deposto in un lago nel quale tre fanciulle, immergendovisi, concepiranno, a intervalli di mille anni, tre eroi; l’ultimo di loro, Saoshyant, sarà il Salvatore del mondo. È però difficile datare questa profezia. I manoscritti Avesta a noi noti sono molto posteriori alla nascita di Cristo. Il Vangelo arabo dell’infanzia, redatto probabilmente nel vi secolo (cfr. pp. 28 e 32), menziona questa predizione di Zoroastro: «Ora, dopo che a Betlemme nacque il Signore Gesù, al tempo del re Erode, arrivarono a Gerusalemme dei magi d’Oriente secondo quello che aveva predetto Zoroastro». La predizione ci è stata tuttavia trasmetta in modo piuttosto diverso da uno scrittore siriano del ix secolo d.C., Teodoro bar-Konay nel Libro degli Scoli: «Ascoltate il mistero prodigioso che

17. Cartina dell’Asia occidentale.

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riguarda il grande re che deve venire in questo mondo. Infatti, alla fine dei tempi, al momento della dissoluzione che pone termine ad essi, un bambino sarà concepito e formato in tutte le sue membra nel seno di una vergine, senza che uomo l’abbia avvicinata... Gli abitanti di questa terra si opporranno alla sua nascita e cercheranno di sradicarlo dal suolo, ma non ci riusciranno. Allora lo prenderanno e lo uccideranno sul patibolo; la terra e il cielo porteranno il lutto della sua morte violenta... Quando si manifesterà l’inizio del suo avvento, nel cielo appariranno grandi prodigi, la sua luce vincerà su quella del sole... Quando si leverà l’astro di cui ho parlato, siano da voi inviati messaggeri carichi di doni per adorarlo e fargli offerte! Non trascuratelo affinché egli non vi faccia perire di spada, perché è il re dei re e da lui tutti ricevono la corona». Estratto del Vangelo arabo dell’infanzia In I Vangeli apocrifi (t. ii di P. Peeters) Questo testo valorizza l’apparizione della manifestazione divina angelo/stella e la partenza dei «tre re, figli dei re di Persia». Attraverso l’angelo mette in relazione questo avvenimento e certi episodi legati all’Antico Testamento, riguardanti Daniele e Abacuc e ripresi in alcune rappresentazioni artistiche (vedi p. 131). «Quella notte fu inviato in Persia un angelo; esso apparve alla gente del luogo sotto forma di stella splendente che illuminò tutta la terra dei Persi. Ora, poiché il 25 del primo Kanun – festa della natività di Cristo – presso i Persiani adoratori del fuoco e delle stelle c’era festa grande, tutti i magi, in gran pompa, celebravano splendidamente le loro solennità, allorché una viva luce brillò sulla loro testa... videro che sulla Persia era sorta una stella di fuoco. Per il suo splendore assomigliava a un grande sole e i loro re dissero ai sacerdoti nella loro lingua: “Che segno è quello che vediamo?”. Come per divinazione, senza volerlo, essi dissero: “È nato il re dei re, il Dio degli dei, luce emanata dalla luce...”. Allora tre re, figli dei re di Persia, come per misteriosa disposizione, presero uno tre libbre di mirra, l’altro tre libbre d’oro, l’ultimo infine, tre libbre d’incenso; erano adorni dei loro ornamenti preziosi, con la tiara sul capo e i tesori fra le mani. Dopo il canto del gallo, lasciarono il loro paese prima delle nove e si misero in cammino preceduti dalla stella che era loro apparsa. E l’angelo che aveva rapito da Gerusalemme il profeta Abacuc e aveva portato il cibo al profeta Daniele nella fossa dei leoni, quello stesso angelo, per volere dello Spirito Santo, condusse a Gerusalemme i re di Persia». Infine è interessante notare che il racconto di viaggio di Marco Polo, su questo episodio testimonia di credenze mazdee raccolte in Persia nel xiii secolo9 (cfr. p. 29): Esistono ancora discepoli di Zoroastro, i Guebri e i Parsi, come esiste ancora il monte Ushida (Kûh-i Khwaga o monte del Signore) non lontano dal lago Hamoun-Hilmend, tra l’Iran e l’Afghanistan (cartina p. 27) sul quale sorge il tempio dei magi che osservano il cielo. Là, ogni anno, tra il 21 marzo e il 4 aprile, in occasione della festa di Narutz, che è il Capodanno persiano, si perpetuano i pellegrinaggi dei parsi, sempre in attesa di quella stella che annuncerà la venuta del Salvatore. Infatti per loro, come per gli ebrei, il Salvatore non è ancora venuto. Guy Deleury è salito sul monte Ushida, che «merita il nome di monte solo perché sorge nel deserto». Nel suo libro Les Fêtes de Dieu ci racconta il suo pellegrinaggio e l’incontro con i magi che continuano a «salmodiare gli inni di Zarthoust (Zarathustra)... e a guardare il cielo».

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18. Trittico detto dell’Epifania (fine xv-inizio xvi secolo). Pannello centrale, Adorazione dei magi. Hieronymus Bosch. Casa di Erasmo, Bruxelles (Belgio). La stella «somigliava a un grande sole», secondo il Vangelo dell’infanzia. Il re nero vestito di bianco è messo in rilievo (cfr. tav. 75).


La descrizione del mondo Marco Polo xxx. Descrizione del gran paese di Persia «La Persia è un grande paese che fu un tempo illustre e potente, ma ora i tartari l’hanno devastato e distrutto. In Persia si trova la città di Saveh da cui partirono i re magi quando vennero ad adorare Gesù Cristo; ora sono sepolti in questa città in tre grandissime e bellissime tombe. Su ogni tomba c’è una casa quadrata tutta pulita ed essi stanno uno di fianco all’altro. I corpi sono ancora assolutamente intatti, con barba e capelli. Uno si chiamava Gaspare, il secondo Baldassarre, il terzo Melchiorre. Il suddetto messaggero Marco Polo interrogò molto le persone di quella città sui tre magi, ma non trovò nessuno che sapesse dirgli qualcosa, se non che si trattava di tre re che un tempo furono lì sepolti. Ma in capo a tre giorni egli apprese quello che vi dirò. Trovò un villaggio chiamato Kalaï Atachparastan, che vuol dire villaggio degli adoratori del fuoco, nome perfettamente giustificato perché la gente del villaggio adora il fuoco. Una volta i tre re di questa contrada andarono ad adorare un profeta che era appena nato e portarono tre offerte: oro, incenso e mirra per sapere se il profeta era dio, re o medico; perché dissero che se prendeva l’oro sarebbe stato re, se prendeva l’incenso sarebbe stato dio e se prendeva la mirra sarebbe stato medico. Avvenne allora che quando arrivarono là dove era nato il bambino, il più giovane dei tre entrò per primo e trovò un ragazzo della sua stessa età, uscì ed espresse il proprio stupore; poi entrò il secondo, un uomo di mezz’età e anche a lui sembrò che quegli avesse i suoi stessi anni e uscì manifestando il suo stupore; infine entrò l’ultimo, il più vecchio, e gli capitò esattamente come agli altri due; allora uscì tutto pensieroso. Quando furono tutti e tre riuniti e ognuno disse quello che aveva visto e trovato, espressero il loro stupore e furono d’accordo di entrare tutti e tre contemporaneamente. Entrarono e trovarono un bambino dell’età che doveva avere e cioè tredici giorni; l’adorarono e gli offrirono l’oro, l’incenso e la mirra. Il bambino ricevette queste tre offerte, poi diede loro una scatola chiusa...».

Altre leggende orientali Un testo – oggi scomparso – nato dalla stessa tradizione, è forse all’origine dello sviluppo della leggenda dei magi, al di là del Vangelo di Matteo: si tratta di un testo redatto in siriaco verso il iii secolo d.C. di cui possediamo una traduzione latina, Scriptura nomine Seth (Il libro di Seth) che ha ispirato numerosi testi posteriori, in particolare il Libro della caverna dei tesori, l’Opus imperfectum in Matthaeum e il Vangelo dell’infanzia arabo e armeno. L’Opus imperfectum in Matthaeum sarebbe l’opera, scritta in greco verso il 395, di uno scrittore ario; di essa conosciamo la traduzione latina pubblicata a Costantinopoli verso il 400, traduzione che ha ispirato un racconto rimaneggiato della Storia dei magi in tedesco (manoscritto di Monaco pubblicato da H. Kehrer). «Qui sunt magi?». Chi sono i magi? È questa la domanda che si pone quel vecchio testo. «Orientali venuti dalla Persia», dodici “saggi” che attendono l’apparizione di una stella, pregano in silenzio, si succedono di padre in figlio sul Monte Vittoriale (o Monte della Vittoria o Monte degli Splendori), identificabile nel Monte Ushida dell’Avesta. Il testo rimanda chiaramente alla tradizione avestica. Il testo sorvola sui fatti riferiti nel Vangelo, ma prosegue con il ritorno dei magi nella loro terra per predicare la Buona Novella. In seguito vengono battezzati dall’apostolo Tommaso. I capi spirituali delle chiese cristia-

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Opus imperfectum in Matthaeum (fine iv o v secolo) La visione della stella, come l’apparizione di un angelo, indica l’ispirazione suscitata dalla presenza divina in coloro che sono toccati dalla grazia della conoscenza. Alcune rappresentazioni, come il Trittico del Maestro di Avila, mostrano la stella, il bambino e la croce. «Chi sono i magi? Sono orientali venuti dalla Persia. Infatti in quel paese non sono considerati esseri malefici ma saggi... L’ho sentito dire per bocca di molti, sulla fede di un certo libro che, benché non sia riconosciuto come sicuro, non sconvolge le verità di fede ma piuttosto le orna; alla porta stessa dell’Oriente, in riva all’Oceano, c’era un popolo che conservava un libro, attribuito a Seth, sulla stella che sarebbe apparsa e sul tipo di doni che dovevano essere offerti; questo testo si diceva fosse stato trasmesso, attraverso le generazioni, di padre in figlio, presso gli uomini di scienza. Così questo popolo aveva scelto nel suo seno dodici uomini tra i più sapienti e i più esperti dei misteri celesti e questi erano stati incaricati di attendere la stella. E se uno di loro moriva, suo figlio o un altro che per anima era giudicato più vicino al defunto, prendeva il suo posto...». «Quindi ogni anno dopo la battitura delle messi, costoro salivano su una delle vette che là si levavano e che nella loro lingua chiamavano “monte della Vittoria”, i cui fianchi si aprivano in una caverna molto ampia circondata di sorgenti e di begli alberi. Una volta giunti là si lavavano, poi pregavano e lodavano Dio in silenzio per tre giorni, e così a ogni generazione: vivevano sempre nell’attesa, nel timore che la stella della beatitudine non sorgesse durante la loro vita, fino al giorno in cui essa apparve loro e si fermò sopra il monte Vittoriale sotto forma di un bambinello sul quale appariva una croce; la stella si rivolse loro, fece delle rivelazioni e ingiunse loro di partire per la Giudea. In viaggio la stella li precedette per due anni e, nelle loro bisacce non mancarono mai né cibo né bevande...».

ne orientali sono stati considerati i successori di Tommaso così come quelli dell’Occidente vengono detti successori di Pietro. La leggenda siriaca dell’evangelizzazione della Persia e delle Indie ad opera di Tommaso ci è stata anch’essa trasmessa dagli Atti di Tommaso redatti in greco all’incirca nello stesso periodo. In essi si parla del monte Gazus, identificabile con il monte della Vittoria. Con il Libro della caverna dei tesori, testo siriaco del vi secolo, la leggenda orientale si arricchisce: essa sottolinea l’abitudine dei magi di stabilirsi in grotte di montagna (è in una grotta che, vegliato dai pastori, è nato il dio Mitra) e spiega l’origine dei doni portati dai magi i quali, all’apparire della stella, sarebbero andati a prenderli nella Caverna dei Tesori della Vita del Silenzio. L’oro, l’incenso e la mirra sarebbero stati deposti lì da Adamo, cacciato dal Paradiso Terrestre, e da suo figlio Set. La caverna era situata all’interno del monte Vittoriale sopra il quale sarebbe apparsa la stella che annunciava la nascita del Signore atteso da dodici magi. Da lì essi sarebbero subito partiti verso la Giudea con i loro doni. Così, dalle chiese d’Oriente, il racconto dei magi è stato trasmesso alla Chiesa di Palestina e a quella ellenica che rinvennero in esso la prova dell’universalità della nuova religione. Ma, a poco a poco, la predizione di Zoroastro fu dimenticata in favore di quella di Balaam, tratta dalla Bibbia (Nm 24,17) (cfr. pp. 15-16).

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19. Vetrata, Storia di san Tommaso (xiii secolo). Acquarello di Cahier e Martin. Cattedrale di Bourges (Francia). La vetrata rappresenta diversi miracoli del santo. Nel medaglione in basso a sinistra, Tommaso parte per le Indie; in quello di destra al centro il suo arrivo alle Indie.


Vangeli apocrifi: fonte di dettagli pittoreschi Se nel suo racconto sui magi Matteo si è ispirato a vecchie tradizioni orientali relative all’attesa di un Salvatore, i testi che ci sono rimasti e che le riferiscono, sono piuttosto tardi e di origine dotta. Per contro, alcuni dei testi detti apocrifi sono più antichi e, anche se nettamente posteriori agli avvenimenti da essi riferiti, di origine popolare. Il loro scopo è di soddisfare le piccole comunità cristiane del tempo. Essi influenzeranno largamente l’iconografia e i testi letterari riguardanti i re magi (cfr. capp. iii e iv). Il Protovangelo di Giacomo Il Protovangelo di Giacomo, detto anche Vangelo di Giacomo Minore, che risale al ii secolo e s’ispira ai racconti canonici dell’infanzia, fa comparire per la prima volta il tema della grotta, come pure quello della presenza di una levatrice, testimone della verginità di Maria. Il racconto è brevissimo; vi si può notare ancora la «stella gigantesca» e soprattutto il fatto che i magi provocano scompiglio a Betlemme. France Queré fa notare che l’autore del Protovangelo non conosce la Giudea, non sa dove si trovino Betlemme e neppure Gerusalemme e che il racconto è talvolta incoerente. 20. Affresco, Nascita del Signore (circa 1335). Chiesa dell’Odigitria, Patriarcato di Pe0, Cossovo. Rappresentazione ortodossa tradizionale: la Vergine in una grotta con il bue e l’asino, le pie donne che fanno il bagno al Bambino, i magi a sinistra della Vergine.

Lo Pseudo-Matteo Nel testo dello Pseudo-Matteo scritto in latino dopo il vi secolo e chiamato anche Historia de nativitate et infantia Salvatoris (Storia della natività e infanzia del Salvatore), vediamo comparire il bue e l’asino che avranno la fortuna che sappiamo. Questi due animali sono stati tratti da un testo di Isaia 1,3: «Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone». Questa comparsa viene da un’errata traduzione del testo di Abacuc 3,2: «Nel corso degli anni manifesta [la tua opera, Signore]» è stato tradotto: «Manifestati tra due... animali». Alcuni commentatori hanno poi attribuito significati simbolici a questi animali; significati che si sono peraltro modificati a seconda dei secoli e degli autori: secondo Gregorio di Nissa, il bue rappresentava gli ebrei incatenati dalla Legge e l’asino era la bestia da soma che portava il fardello dell’idolatria, cioè i pagani. Questa lettura teologica è contestabile al punto che, in occasione del Concilio di Trento, è stata condannata assieme al tema della levatrice e del bagno del bambino, ma ciò non ha impedito al bue e all’asino di attraversare i secoli. Nella simpatica presentazione di questi animali non si dovrebbe vedere piuttosto un riflesso dell’attenzione dedicata, nell’Avesta, ai fedeli compagni dell’uomo? Parecchi yasta contengono frasi come questa «Hai un protettore per il bue?». Nel testo si trova anche la leggenda delle monete d’oro riassunta da Marie-Anne Elissagaray in un suo studio che precede l’edizione di un vecchio manoscritto del xv secolo sui re magi: le monete d’oro sarebbero state coniate dal padre di Abramo, sarebbero poi appartenute a Giuseppe, figlio di Giacobbe, alla regina di Saba, a Salomone e da ultimo ai magi; sarebbero state offerte al Bambino, smarrite da Maria nel deserto, raccolte da un beduino guarito da Gesù; offerte poi da questo beduino ai sacerdoti del Tempio, sarebbero servite a comprare il tradimento di Giuda e a pagare il salario dei guardiani del sepolcro (da qui, in parte, verrebbe la tradizione di collegare Salomone e la regina di Saba alla rappresentazione dei re magi).

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I Vangeli dell’infanzia arabo e armeno Forse redatti partendo da un testo siriaco del v secolo che s’ispira al libro apocrifo di Set, i due Vangeli dell’Infanzia, una versione araba e una armena, aggiungono alcuni particolari. Le due versioni alludono a un libro chiuso e sigillato dal dito di Dio e contenente rivelazioni fatte ad Adamo e a suo figlio Set, libro che i magi offrono al Bambino assieme a doni simbolici (cfr. p. 105). La versione araba, come abbiamo visto, collega questo episodio alla tradizione mazdea (cfr. p. 28). Ecco il seguito del testo: «Ed essi portavano con sé dei doni: oro, incenso e mirra. Adorarono il bambino e gli offrirono i loro doni. Allora santa Maria prese una fascia da neonato e la diede loro come eulogia. Essi l’accettarono dalle mani di lei con perfetta cortesia. E nello stesso momento apparve loro un angelo sotto la forma della stella che prima era stata la loro guida. Partirono guidati dalla sua luce fino a quando arrivarono nel loro paese. I loro re e i capi si raccolsero intorno a loro e dissero: “Che cosa dunque avete visto e fatto? Come sono andati il vostro viaggio e il ritorno? E che cosa avete seguito?”. I magi mostrarono la fascia che santa Maria aveva dato loro. Allora celebrarono una festa; accesero un fuoco secondo la loro usanza e lo adorarono. Gettarono in esso la fascia; il fuoco vi attecchì e vi penetrò. Quando il fuoco fu spento, trassero fuori la fascia: era nelle condizioni in cui era in precedenza, come se il fuoco non l’avesse toccata. Ed essi si misero a baciarla, se la posero sugli occhi e dissero: “Il fatto non comporta nessun dubbio; ecco

21. Pittura, Adorazione dei magi (particolare) (1435). Stefano da Verona. Pinacoteca di Brera, Milano. Estrema finezza e tenerezza.

22. Affresco, Incontro della regina di Saba con re Salomone (circa 1455). Piero della Francesca. Chiesa di San Francesco, Arezzo. Un’altra leggenda univa la regina di Saba a re Salomone, e precisamente quella della storia della croce di Cristo, rappresentata nella cappella del coro della chiesa. A fronte: Tav. 9. Mosaico, Daniele in preghiera (v sec.). Museo di Hama, Siria. Anche il profeta Daniele è spesso rappresentato con il costume «persiano». Il manifestarsi dell’intervento di Dio nella sua vita ne faceva un precursore di Cristo. Nella doppia pagina seguente: Tav. 10. Pittura murale (fine ii o inizio iii sec.). Catacombe di Santa Priscilla, Roma. Balaam mostra la stella annunciata dalla sua profezia davanti a Maria col Bambino. Tav. 11. Pittura murale, Balaam fermato dall’angelo (iii sec.). Catacombe della Via Latina, Roma. Anche in questo caso si manifesta l’intervento di Dio nella vita di Balaam. Tav. 12. Sarcofago di Marcia Romana Celsa (particolare), Doni dei magi (iv sec.). Musée de l’Arles antique, Arles. I tre ebrei nella fornace fanno da «pendant» ai tre magi che avanzano verso il Bambino.

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Nelle pagine precedenti: Tav. 13. Affreschi (xii sec.). Cappella di Brinay, dipartimento del Cher (Francia). Sui muri della cappella, sono dipinti i tre avvenimenti della vita di Gesù un tempo celebrati nel giorno dell’Epifania: Battesimo di Gesù, Nozze di Cana ed episodi relativi al racconto dei magi, qui il Ritorno dei Magi che si differenzia dal Viaggio di andata dei Magi per via del loro atteggiamento pensieroso.

Tavv. 14, 15. Miniature armene, Adorazione dei magi e Nozze di Cana. Tserun. Biblioteca Matenadaran, Erevan (Armenia). Belle composizioni a colori vivaci. Da notare che il più giovane dei magi guida il corteo.

Tav. 16. Statue-Colonna, La regina di Saba, Salomone, Erode e i tre magi (xiii sec.). Portale destro della cattedrale di Amiens. Il motivo di Salomone con la regina di Saba ricorre spesso a fianco della rappresentazione dei magi (cfr. cap. iii). Sotto i piedi di Erode si svolge una scena curiosa, preannuncio della sua sconfitta: il vecchio Erode fa un bagno nell’olio per ritardare la propria morte.


23. Pergamena (Cod. Vat. gr. 1613, p. 272), Menologio (Calendario dei santi) di Basilio ii, Adorazione dei magi (fine x-inizio xi secolo). Biblioteca Vaticana. L’angelo conduce i magi – che indossano la tunica, gli anassiridi e il grande mantello dei magi «persiani» ma con in testa il calato – verso la Vergine e il Bambino, al riparo di una grotta.

un grande prodigio! Il fuoco non è riuscito a consumarla né a danneggiarla”. La presero e con profonda venerazione la conservarono presso di loro come cosa preziosa». Nel testo si avverte il peso delle tradizioni della religione mazdea centrata sul culto del fuoco. Si avverte anche tutto quanto si può trarre dal racconto riguardo ai magi che cercano di bruciare la fascia, per sottolineare che la religione del Cristo è superiore a quella del fuoco. Questa versione dà pure numerosi dettagli sul viaggio e in particolare sulla partenza dalla Persia. La versione armena fa menzione dei re che sarebbero stati anche fratelli e riferisce i loro nomi: «Questi tre re erano fratelli: Melkon, il primo regnava sui Persiani; Baldassarre, il secondo, regnava sugli Indiani; Gaspare, il terzo, possedeva il paese degli Arabi». Ma si tratta presumibilmente di un’aggiunta successiva (cfr. pp. 88-89). La versione elenca pure numerosi doni portati dai magi: Melkon offre mirra, aloe, mussola, porpora e bende di lino; Gaspare offre nardo prezioso, mirra, cannella, cinnamomo, incenso e altre essenze; Baldassarre offre oro, argento, pietre preziose, zaffiri di gran pregio, perle fini. I magi sono stati guidati da una stella per nove mesi e arrivano al momento della nascita del Bambino. È evidente il simbolismo del numero 9, cioè 3 volte 3 (Trinità divina) e i nove mesi della gravidanza. Altri testi Altri testi siriaci aggiungono ancora altri dettagli: i magi sono «capi, magistrati e generali»; si alzano e partono su consiglio dei sacerdoti e portano oro, incenso e mirra;

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oppure tre figli dei re di Persia che portano: uno, tre libbre di mirra; un altro, tre libbre d’oro e il terzo, tre libbre d’incenso; poi, adorni dei loro ornamenti più belli, partono con nove uomini, guidati dalla stella; passano per Gerusalemme; ma quando arrivano davanti alla caverna la stella si trasforma in una colonna di luce che sale dalla terra al cielo (da accostare, per fare un esempio, alla colonna di fuoco che guidava gli ebrei nel deserto [Es 13,21]; le epifanie dell’Antico Testamento annunciano quelle del Nuovo Testamento). In uno di questi testi il viaggio dei magi è durato tre ore! Tutti questi racconti sono spesso molto belli e poetici; ma si capisce perfettamente perché non siano mai entrati, in un qualunque momento, nel canone del Nuovo Testamento. Commentari dei Padri della Chiesa e argomenti teologici I Padri della Chiesa, peraltro, si sono interessati molto presto al racconto dei magi e non tanto per aggiungervi un non so che di meraviglioso, quanto per estrarne il significato. Ne hanno altresì completato il testo e hanno anche dato il loro contributo alla formazione della leggenda. I magi re Alla fine del ii secolo dopo Cristo, Tertulliano, primo apologista cristiano di lingua latina, dà ai magi l’appellativo di «re» e accosta al racconto di Matteo il testo del Salmo 72, versetto 10: «I re di Tarsis e delle isole porteranno offerte; i re degli Arabi e di Saba offriranno tributi», e Tertulliano commenta così: «I re d’Arabia e di Saba gli portarono doni perché in Oriente spesso i re erano anche magi». Curioso errore... L’appellativo, nel corso dei secoli successivi, è poi ripreso da san Cipriano, sant’Ambrogio e san Giovanni Crisostomo. A ciò va aggiunta la lettura del Salmo 68, versetto 30: «Per il tuo tempio, in Gerusalemme, a te i re porteranno doni» oppure quella d’Isaia 60, versetto 3: «Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sogere». Ma

24. Manoscritto (ms. Mc Clean 22), Adorazione dei magi (circa 1170-1180). Museo Fitzwilliam, Cambridge (Inghilterra). Tradizione orientaleggiante: magi «persiani», Vergine vista di fronte, chicchi di incenso nelle coppe offerte in dono.

25. Scultura su pietra, Adorazione dei magi (xii secolo). Archivolto. Chiesa di Saint-Pierre, Nouaillé-surBoutonne, Charente-Maritime (Francia). I tre re, con le mani velate per presentare i loro doni, avanzano verso la Madre e il Bambino: il primo si inginocchia. Un fiore con quattro petali sostituisce la stella. Un enorme angelo sottolinea la presenza divina.

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solo nell’xi secolo i magi appariranno come tali nell’iconografia, perché, a quel tempo, i testi citati sono passati nella liturgia dell’Epifania sotto forma di letture ma anche di canti (antifone, responsori, inni). Il significato dei doni Alla fine del ii secolo, sant’Ireneo interpreta il significato dei doni: la mirra che serve alla sepoltura, sarebbe offerta all’uomo e ciò allude già alla Passione; l’oro al re, l’incenso a Dio; le interpretazioni sono riprese da Origene, san Basilio, san Leone, Prudenzio. Più tardi, nel xii secolo, san Bernardo pensava che l’oro fosse destinato ad alleviare la povertà della Vergine, l’incenso a disinfettare la stalla, la mirra come vermifugo; Lutero invece attribuisce loro dei valori più spirituali come fede, speranza, carità. Recentemente J.-P. Albert si è soffermato sul valore delle offerte profumate ricercando in esse un significato metafisico: legate alle pietre preziose, le essenze partecipano della descrizione del paradiso terrestre, luogo di transizione, al limite tra cielo e terra, come le sostanze citate. Profumi e pietre: quelle preziose sono quanto c’è di meglio in natura e l’uso migliore che se ne può fare è di offrirle a Dio10. Guy Deleury, dopo accostamenti diversi, conclude che i tre doni si rivolgono al Dio trinitario: l’oro al Dio creatore, la mirra al Dio Redentore, l’incenso al Dio-Spirito11. Peraltro la parola tradotta con «oro» forse è solo un significato errato: potrebbe essere un altro aroma, come l’incenso e la mirra12. Stando così le cose, quelle sostanze preziose erano tradizionalmente offerte alle divinità e ai re nelle diverse nazioni dell’Antichità. Il significato dei magi 26. Manoscritto (Barb. lat. 381, f 98v), Libro delle Ore franco-fiammingo, Adorazione dei magi (circa 1450). Biblioteca Vaticana. Sono nettamente evidenziate le differenze di età dei magi.

Abbiamo visto chi erano i magi di cui ci parla il Vangelo di Matteo e qual era la reputazione di cui godevano presso il popolo ebraico (cfr. p. 25). I Padri della Chiesa hanno avuto inizialmente lo stesso atteggiamento; alcuni, come Origene, vedevano in loro solo dei ciarlatani che avrebbero trovato un Cristo più forte di loro e sarebbero partiti per adorare il nuovo spirito. Anche sant’Agostino evoca l’empietà sacrilega dei magi. Col tempo tuttavia l’esegesi cristiana, nel suo complesso, diventa favorevole nei loro confronti. San Leone, papa del v secolo, dedica all’Epifania otto sermoni e dimostra che l’adorazione dei magi rappresenta la vocazione dei gentili e che la stella è il segno, la luce rivelata ai pagani, mentre è rifiutata ai ciechi ebrei. Sant’Epifanio (v secolo) si serve dell’adorazione dei magi come argomento contro gli ebioniti che vedevano in Gesù solo un uomo figlio di Giuseppe e Maria. Egli dimostra che la presenza dei magi davanti alla mangiatoia, è la prova che il bambino è Dio. San Fulgenzio (v-vi secolo) vede nei magi i pagani e nei pastori gli ebrei, le due pietre simboliche nella costruzione di quel nuovo mondo che è la Chiesa cristiana. Il numero dei magi Mentre erano dodici nell’antica tradizione persiana, due o quattro, per ragioni di simmetria, nelle rappresentazioni cristiane più antiche, san Leone, nel v secolo, fissa in tre il numero dei magi, numero già anticipato da Origene nel iii secolo e confermato da sant’Ambrogio alla fine del iv secolo. Il numero «tre» è stato scelto in funzione dei doni offerti al Bambino Gesù: oro, incenso e mirra. Inoltre è il numero divino per eccellenza (la Trinità divina).

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Paese d’origine dei magi e durata del viaggio Anche l’origine dei magi, Arabia o Persia, è oggetto di discussione; la seconda tradizione è quella che è poi prevalsa. Avviene lo stesso per la durata del viaggio di andata e per quello di ritorno, e ciò comporta rappresentazioni diverse. Si giunge alla conclusione che il viaggio di andata è durato tredici giorni (da Natale all’Epifania) e quello di ritorno, due anni. Tredici giorni sembrano troppo pochi per un normale viaggio: alcuni commentatori cercano di dare come spiegazione sia la potenza del Bambino, sia la velocità dei dromedari (secondo la tradizione orientale). Il viaggio di ritorno «Per un’altra strada fecero ritorno al loro paese»: poiché hanno condiviso la nuova vita attraverso l’incontro con il Signore, al ritorno, simbolicamente, non possono che incamminarsi per una nuova strada, lasciando dietro di sé Erode, chiuso nell’abitudinarietà del suo egoismo. Il tema è stato utilizzato nel Medioevo, epoca in cui il ritorno avviene per mare (cfr. capp. iii e iv). Il re nero L’idea del re nero impiega molto tempo a imporsi. Si trova già in Tertulliano, è ripresa nell’viii secolo da Beda (che usa il termine «fuscus») ma diventa popolare solo nella seconda metà del xv secolo attraverso la scappatoia delle opere d’arte (cfr. cap. iii). È stato dimenticato chi erano i magi, cioè sacerdoti della religione mazdea, e si è voluto dare a questi personaggi l’attributo di re perché meglio identificato dai popoli dell’Occidente. Ognuno di loro finì per rappresentare uno dei tre continenti conosciuti fino a quel momento: Europa, Asia e Africa. La festa liturgica dell’Epifania Il termine «Epifania» come la maggior parte dei termini filosofici religiosi, è preso dal vocabolario mitologico greco e significa «apparizione o rivelazione di una divinità». Nell’Antico Testamento rivela la presenza di Dio fra gli uomini, ma è soprattutto attraverso Gesù Cristo che questa presenza è resa manifesta a tutti.

27. Sarcofago d’Isacio (v secolo). Chiesa di San Vitale, Ravenna. I tre magi, vestiti con un costume frigio-persiano, arrivano dopo una lunga corsa: il movimento dei mantelli e le braccia tese a offrire i doni rendono ancora più viva la scena.

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28. Trittico, pannello centrale, Adorazione dei magi (fine xv secolo). Maestro della Vergine tra le vergini. Museo Carlo Augusto, Salisburgo (Austria). Alla fine del xv secolo, il più giovane dei re è un africano. Il corteo sfila in un paesaggio di montagna.

Per influenza dei commentari, tra loro diversi, dei Padri della Chiesa e poi dei numerosi concili, la festa liturgica dell’Epifania subirà, nel corso del tempo, qualche cambiamento. Nei primi secoli viene celebrata soltanto la Pasqua, festa della Resurrezione, fondamento della religione cristiana. Più tardi, il battesimo di Cristo, in quanto manifestazione di Dio tra gli uomini, è anch’esso considerato come elemento fondamentale della vita cristiana. Infatti, nel momento in cui Gesù viene battezzato da Giovanni Battista, si fa sentire una voce che viene dai cieli e che dice: «Questi è il figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto» (Mt 3,17). Per la Chiesa è importante insistere sulla «doppia natura» di Cristo, Dio e uomo al tempo stesso. Sembra che siano stati l’Egitto e la Tracia i primi paesi a celebrare la festa. Da allora si aggiunge molto rapidamente la celebrazione dell’adorazione dei magi e di quella dei pastori che rivela la presenza divina fra gli uomini, riconosciuta dai poveri e dagli stranieri mentre il re del paese, Erode, la rifiuta. Con essa si festeggia anche la nascita di Cristo, «nascita al cielo» – attraverso il battesimo – e nascita sulla terra. Successivamente, la celebrazione della trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di Cana, primo miracolo di Gesù citato dal Vangelo di Giovanni, rafforza anch’essa la rivelazione di Dio fra gli uomini e, in certe liturgie come quella mozaraba, vi si aggiunge anche il miracolo della moltiplicazione dei pani; ciò riunisce i due elementi della cena, il pane e il vino. Cioè tutti i simboli riportati sulla festa dell’Epifania. Questi tre avvenimenti della vita di Gesù, battesimo, adorazione dei magi e miracolo delle nozze di Cana, verranno celebrati contemporaneamente nella liturgia della Chiesa

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La leggenda aurea (xiii secolo) Ecco come Jacopo da Varagine presenta la festa liturgica dell’Epifania: «L’Epifania del Signore è celebre per via di quattro miracoli e questo ha fatto sì che le si attribuissero quattro nomi diversi. In quel giorno infatti, i magi adorano Gesù Cristo, Giovanni battezza il Salvatore, Gesù Cristo muta l’acqua in vino e con cinque pani sfama cinquemila uomini. Gesù aveva tredici giorni, quando, guidati dalla stella, i magi vennero a trovarlo, e da ciò deriva il nome Epifania, epi, sopra, pbanos, apparizione – o perché la stella apparve dall’alto o perché lo stesso Gesù Cristo è stato mostrato ai magi, come vero Dio, da una stella vista nel cielo. Lo stesso giorno, ventinove anni dopo [...], Gesù, dice san Luca, [...] fu battezzato nel Giordano e il termine Teofania viene da lì – da theos, Dio e phanos, apparizione – perché in quel momento si manifestò la Trinità: il Padre nella voce che si fece sentire, il Figlio nella carne, e lo Spirito Santo sotto forma di colomba. Lo stesso giorno, un anno dopo [...] mutò l’acqua in vino: da qui deriva il nome Betania, da beth, casa, perché, attraverso un miracolo operato in una casa, egli apparve come vero Dio. Ancora in quello stesso giorno un anno dopo [...] secondo Beda, egli sfamò cinquemila uomini con cinque pani. Da cui il nome di Pagifania, da phage, mangiare, boccone [...]. La quadrupla apparizione si verificò quindi in quello stesso giorno: la prima per mezzo della stella sulla mangiatoia; la seconda attraverso la voce del Padre sul fiume Giordano; la terza attraverso la trasformazione dell’acqua in vino durante il pranzo e la quarta attraverso la moltiplicazione dei pani nel deserto. Ma è soprattutto la prima apparizione quella che si celebra oggi; così ne racconteremo la storia».

cattolica, perché, ciascuno a suo modo, rivelano che Dio si è fatto uomo (cfr. tav. 13). Nel Breviario romano, all’Ufficio del Mattutino, il battesimo è sempre menzionato per primo, alla lettura d’Isaia 55: «O voi tutti assetati venite all’acqua», il primo responsorio riguarda il battesimo. La lettura di Isaia 60 viene solo al secondo posto: «Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce [...] Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere», seguita dalla lettura del secondo sermone di san Leone sull’Epifania, che pone l’accento su Cristo luce del mondo e sulla volontà di Erode di spegnere tale luce. L’acqua mutata in vino è evocata nei vespri attraverso l’antifona del Magnificat. Nella liturgia del Concilio di Trento, durante la messa venivano letti i due testi di Isaia 60,1-6 e di Matteo 2,1-12. Il testo di Isaia 55 è scomparso. A partire dal Concilio Vaticano ii a questi due testi si aggiunge la lettura Epistola agli Efesini 3,2-6 che evidenzia il mistero della vocazione dei pagani: «[...] [Il mistero è che] i Gentili cioè sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo». L’Ordinario della messa del 1969 pone il 6 gennaio sotto il segno della manifestazione della luce per tutti gli uomini e dell’accesso all’immortalità attraverso il mistero dell’incarnazione, ma non cita nessuno dei tre avvenimenti ricordati in precedenza. La volontà di spiritualizzazione è pienamente evidente nella preghiera all’offertorio relativa a questo giorno: «Guarda con bontà, o Signore, i doni della tua Chiesa la quale non ti offre più né l’oro, né l’incenso, né la mirra, ma colui che i doni rivelavano [...] Gesù, il Cristo, nostro Signore». Il calendario liturgico in Occidente: Natale ed Epifania Il calendario liturgico si assesterà seguendo la riflessione teologica dei primi secoli. La festa del Battesimo di Cristo viene fissata al 6 gennaio, data che sarebbe stata scelta

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29. Icona, Battesimo di Cristo (xviii secolo). Venerabile Arciconfraternita della Purificazione, Livorno. Confrontare con l’Adorazione dei magi, particolare della tav. 21.


30. Manoscritto, Vangelo di san Giovanni, Le nozze di Cana (1249). Biblioteca di Sers, Istituto Cattolico di Parigi (Francia).

perché era il sesto giorno della nuova era, in parallelo con la nascita di Adamo il sesto giorno della creazione, ma soprattutto perché quel giorno, in Egitto, veniva celebrata la nascita di Osiride, sole che rinasce (era il Capodanno egiziano, giorno dell’intronizzazione del faraone), e in Grecia, la festa di Dioniso. Solo più tardi perciò, nello stesso giorno, si festeggia il riconoscimento della divina missione del Bambino da parte dei pastori e dei magi, e successivamente la nascita di Gesù. Si celebra il Natale il 25 dicembre soltanto dal 354 con papa Libero e soltanto in Occidente. In quel periodo, quando la liturgia cambia, alla festa del 6 gennaio viene dato il nome di Epifania. Ma Natività ed Epifania sono festeggiate sempre insieme in certe Chiese, per esempio quella armena. Ad ogni modo l’Oriente conserva il primato all’Epifania13. Dopo il Concilio Vaticano ii, l’Epifania è celebrata il 6 gennaio oppure la domenica più vicina al 6 gennaio, mentre la festa del Battesimo di Cristo è stata portata alla domenica successiva al 6 gennaio. Cristo, luce che illumina un mondo in perdizione, Dio sceso tra gli uomini: non c’è da stupirsi che questi temi abbiano tanto ispirato artisti e scrittori. La liturgia della Chiesa influenzerà, al tempo stesso, rappresentazioni artistiche, testi letterari e cultura popolare. Tradizione persiana dell’attesa della salvezza, Vangeli apocrifi volti al meraviglioso, Commentari teologici dei Padri della Chiesa come anche la liturgia relativa al 6 gennaio, forniscono al racconto dell’evangelista, in direzioni molto diverse, un peso innegabile. Il fatto che Dio si rivolga a tutti gli uomini e non più a un solo popolo, è un messaggio semplice e compreso da tutti. Se per i primi cristiani i magi sono, senza ambiguità, sacerdoti della religione persiana venuti a prostrarsi davanti al Bambino-Re, essi si trasformano nel corso dei secoli ma continuano ugualmente ad avere il loro carico simbolico. E la loro missione è proprio questa: dire al mondo che Cristo è nato per

31. Manoscritto, Natività (1332). Regione di Van (Armenia). Biblioteca Matenadaran, Erevan (Armenia). La Chiesa armena non fa distinzione tra Natività ed Epifania. Miniatura di stile molto naïf che fa pensare al disegno di un fumetto moderno.

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tutti gli uomini. L’apporto popolare si fa sentire fin dall’inizio: come non immaginare il momento della partenza, il viaggio, l’incontro, l’arrivo in Giudea, la ricerca seguendo la stella, la visita a Betlemme e, naturalmente, anche il ritorno verso l’Oriente. Quello che aumenterà ulteriormente la loro popolarità è naturalmente, come per tutti i santi, il culto delle reliquie, culto che è alla base di una nuova leggenda. Note C.B. Amphoux, La Parole qui deviti Évangile. A. Paul, L’Évangile selon Saint-Matthieu. 3 Si può leggere questo testo seguendo uno «schema esseniano». Vi si trovano idee o temi veicolati dai manoscritti di Qumran: profezia di Balaam, racconti di nascite miracolose, angeli rivelatori dei segreti di Dio, osservazione del ciclo rispetto alla tradizione ebraica (vedi, in particolare, M. Jas nella rivista «Evangile et liberté», dicembre 1994). 4 F. Quéré, Jésus enfant. 5 F. Lebrun, Le Livre de Noël. 6 «Le Monde de la Bible», n. 85, pp. 16-17. 7 Is 47,13; Dn 2,27; Lv 19,31, versetti citati da F. Quéré, Jésus enfant. 8 A proposito del «fuoco sacro», si veda nell’indice Zoroastro. 9 Marco Polo, La Description du monde, pp. 97-101. 10 «Le Monde de la Bible», n. 85, p. 22. 11 Guy Deleury, Les Fêtes de Dieu. 12 M. Ryckmans, citato da M.-A. Elissagaray, La Légende des rois mages. 13 La messa di mezzanotte ha fatto la sua comparsa a Roma solo nel v secolo. 1 2

A fronte: Tav. 17. Pittura murale, Doni dei magi (x-xi sec.). Valle di Peristrema, Cappadocia (Turchia). I berretti frigi si sono allungati; i doni non sono altro che focacce dolci a forma di sole. Sono leggibili i nomi dei tre re: da sinistra a destra «Gaspare, Baldassarre, Melchion». Nelle pagine seguenti: Tav. 18 Mosaico, Nascita di Cristo (1167-1169). Cappella Palatina, Palermo. Nettissima influenza orientale: numerosissime rappresentazioni seguono questo modello. La Vergine è collocata all’interno di una grotta, il Bambino è sdraiato al suo fianco. Dietro la grotta appaiono i magi, in alcune rappresentazioni a piedi, in altre a cavallo. Le scene del bagno del Bambino e di Giuseppe che sogna sono riprodotte secondo la tradizione nella parte inferiore del mosaico. Questa rappresentazione propone, in aggiunta, il tema dei doni dei magi al Bambino. Tav 19. Affreschi (xvi sec.). Monastero di Moldovitsa (Romania). Tre rappresentazioni dei magi (secondo registro dall’alto). Partenza dei magi; come da tradizione, il secondo magio si volge verso il terzo per mostrargli la stella. Adorazione dei magi: notare la pettinatura dei re e l’aureola crucifera intorno alla testa del Bambino. Ritorno dei magi: scena molto buffa in cui i due magi più anziani sono ancora rivolti verso Gerusalemme, mentre il più giovane, più veloce, ha già obbedito all’ordine dell’angelo e segue la direzione da lui indicata. Nelle pagine successive: Tav. 20. Icona, Natività (prima metà xv sec.). Scuola di Novgorod. Galleria Tretjiakov, Mosca. Tre santi contemplano una scena dello stesso tipo di quella rappresentata sul mosaico di Palermo (tav. 18), tradizionale per tutte le icone del mondo ortodosso. Tav. 21. Icona, Nascita di Nostro Signore (xviii sec.). Venerabile Arciconfraternita della Purificazione, Livorno. La composizione di questa scena si ritrova fino al xviii secolo e oltre. Tav. 22. Icona, Adorazione dei magi (xix sec.), proveniente dall’Etiopia. Collezione privata, Parigi. Un’Adorazione dei magi sontuosa ma molto più «moderna». Tav. 23. Miniatura, Nascita di Cristo. Salterio di Egberto (980). Museo archeologico nazionale, Cividale del Friuli, Udine.

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Capitolo secondo LE RELIQUIE DEI RE MAGI


L’«invenzione» delle reliquie dei magi, legata alle lotte che nel xii secolo oppongono l’imperatore germanico Federico Barbarossa al Papato, è una nuova occasione per riflettere su questi misteriosi personaggi. Le loro reliquie arrivano a proposito per sostenere la politica della Chiesa che, in quel periodo, davanti al gran numero di santi locali, orienta la devozione dei fedeli verso i personaggi citati dai Vangeli o dagli Atti degli Apostoli. A Federico Barbarossa le reliquie serviranno anche come posta politica e contribuiranno alla ricchezza della città di Colonia. La data del 1164 che è quella del loro trasferimento da Milano a Colonia, segna una svolta importante nel culto di cui sono oggetto, in particolare nelle due città. Le rappresentazioni artistiche e i testi letterari sono l’eco di tale evoluzione. La leggenda delle reliquie Federico Barbarossa, a quel tempo imperatore di Germania, cerca di ristabilire l’integrità dell’impero romano e ciò lo porta ad attaccare le città lombarde alleate al Papato. Milano capitola nel 1158. Ci riferiscono tali avvenimenti i monaci che redigono la cronaca di questo periodo, in particolare Guglielmo di Newburg – nato nel 1136 nel nord dell’Inghilterra, monaco secondo la regola di sant’Agostino – e Robert de Thorigny benedettino presso l’abbazia di Le Bec poi abate del Mont Saint-Michel.

Nella sua Storia dell’Inghilterra (De rebus anglicis sui temporis), Guglielmo di Newburg (Newbridge) racconta come i Milanesi, per resistere al nemico, rasero al suolo essi stessi un sobborgo della città e trovarono nel sotterraneo di «un antico e nobile monastero» alcune reliquie di santi che furono trasferite all’interno della città e, in particolare, tre corpi ottimamente conservati: «posto un tempo nella parte più segreta della chiesa, il tesoro era sconosciuto agli stessi monaci e ai preti che vi officiavano [...] ma non si sa da chi furono deposte le reliquie là dove si trovavano». I corpi erano stati conservati con un balsamo «del quale si pensa fossero stati impregnati dopo la morte (secondo la consuetudine delle nazioni pagane). Quando vennero ritrovati, i corpi, a quanto si dice, erano circondati da un cerchio d’oro che li legava insieme». L’idea che si trattasse dei corpi dei magi è venuta da qui. Dopo la resa di Milano nel 1162, «l’Imperatore vittorioso distrusse la città e non massacrò i cittadini dato che si erano arresi, ma li disperse e trasferì nell’Impero Germanico le famose reliquie dei magi, tenute nascoste fino a quel momento (i lombardi ebbero delle difficoltà ad accettare ciò) e designò la città di Colonia come custode del tesoro».

L’«invenzione» delle reliquie a Milano Che cosa prendere in considerazione in queste cronache confrontandole con ricerche di diverso genere, in particolare con quelle archeologiche? Sotto la basilica di Sant’Eustorgio, che si trovava appena fuori delle mura urbane, è stato scoperto un cimitero paleocristiano, probabilmente il più antico di Milano. Anticipando l’assedio della città, i Milanesi distrussero un antico monumento per scavare un fossato sotto le mura ed estrassero numerosi sarcofagi riesumando numerosi corpi, fra cui questi tre, verosimilmente quelli di tre martiri cristiani morti insieme. I corpi furono attribuiti ai magi (per via del numero tre) e trasportati da Sant’Eustorgio a San Giorgio all’interno della città.

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32. Blasone della famiglia Baux di Provenza, che si diceva discendesse da re Baldassarre (stella a sedici raggi d’argento su un fondo rosso) e il cui motto era A l’azard Beautezar.


La traslazione da Costantinopoli a Milano A questo punto cerchiamo la spiegazione del loro arrivo a Milano. Sarebbe proprio grazie al vescovo Eustorgio, a cui era dedicata la basilica sotto la quale sono state ritrovate le ossa, che i resti sarebbero giunti a Milano da Costantinopoli. Nel libro su La Basilica di Sant’Eustorgio, P. Spreafico narra che l’imperatore Costantino che regnò dal 306 al 337 e che per certo s’interessò di Milano (qui infatti promulgò l’editto, detto di Milano, che proclamava la tolleranza sia verso i cristiani che verso i pagani), avesse mandato qui Eustorgio, principe di origine orientale, come governatore della città; egli vi riuscì così bene che fu eletto vescovo dalla popolazione milanese; Eustorgio fece allora ritorno a Costantinopoli per ottenere dall’imperatore l’autorizzazione a dimettersi dalla carica di governatore, incompatibile con la sua nuova funzione. Sarebbe stato Costantino ii (figlio di Costantino i) che regnava in quel periodo ad aver dato come ulteriore dono a Eustorgio i tre corpi, allo scopo di ringraziare la popolazione milanese dei suoi buoni sentimenti. Sentiamo Robert de Thorigny: «Ora, il beato Eustorgio, per dono dell’imperatore li trasferì da Costantinopoli a Milano insieme ad un altare sul quale erano stati deposti, in un carro tirato da due vacche, secondo la volontà divina». La leggenda precisa poi che, avendo un lupo mangiato una delle vacche, sant’Eustorgio lo addomesticò e lo aggiogò accanto all’altra vacca (entrambe le scene sono rappresentate). La traslazione da Milano a Colonia Due anni dopo la resa di Milano, ha luogo la traslazione delle reliquie verso Colonia. La troviamo menzionata da Robert de Thorigny, in riferimento all’anno 1164: «Rinaldo, vescovo di Colonia, cancelliere di Federico imperatore dei tedeschi, trasferì i corpi dei tre magi da Milano a Colonia». Rinaldo di Dassel, ex-prevosto di Hildesheim, vescovo di Colonia, «uomo audace e senza scrupoli», «devotissimo a Federico Barbarossa» secondo

33. Basilica di Sant’Eustorgio, Milano. «In quello stesso anno (1158), in una cappella nelle vicinanze di Milano, furono trovati i corpi di tre re magi, che adoravano nostro Signore, bambino, a Betlemme», narra la Cronaca di Robert de Thorigny.

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il ritratto tracciato da M.-A. Elissagaray, si appropria dei corpi per dare nuovo lustro alla sua città, con l’intento di farne un luogo di pellegrinaggio. Dà così a Federico Barbarossa l’occasione di presentarsi come erede dei re magi. Si parla anche di uno scambio tra il vescovo di Colonia e quello di Milano: le reliquie dei magi in cambio della vita per i milanesi. Il percorso fatto dal corteo che portava le reliquie da Milano a Colonia è piuttosto noto per via delle abbazie che ne assumono il nome e dei blasoni su cui compaiono le teste dei tre re. In particolare uno dei nobili della Franca Contea, il marchese di Grammont, cambia il suo stemma e prende come emblema i re magi «d’azzurro con tre teste coronate d’oro» e per motto «Dio aiuti il guardiano dei Re». L’abbazia di Grammont riceve un pollice. L’abbazia di Lieu-Croissant, nel dipartimento del Doubs, in cui è ugualmente deposto il pollice di un re, diventa centro di un pellegrinaggio di malati, col nome di abbazia des Trois Rois. Attorno a Besançon, ai re magi vengono dedicate numerose cappelle.

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34. Capitello del coro, I magi davanti a Erode (xii secolo). Cattedrale di Besançon, Doubs (Francia). Le città o i villaggi attraverso i quali è passato il corteo delle reliquie, conservano molteplici tracce di questo passaggio nell’architettura o nelle leggende, come quella del piccolo borgo d’Étrabonne, anch’esso nel Doubs. 35. Cartina del tragitto delle reliquie: il percorso seguito dal corteo attraverso le Alpi non è conosciuto con certezza.


La Cronaca di Robert de Thorigny presenta gli avvenimenti anno per anno. In corrispondenza dell’anno 1158 viene ricordato questo fatto: «Federico imperatore dei tedeschi, valicate le Alpi dopo Pasqua, assediò la nobilissima città di Milano ed essendosi poi la città arresa, dopo un lungo assedio, egli discese più a sud in direzione della Sicilia. Lo stesso anno, in una cappella vicina a Milano furono rinvenuti i corpi dei tre magi che adorarono il nostro Salvatore, bambino, a Betlemme; furono tolti di lì per timore di Federico, imperatore tedesco, che veniva ad assediare la città e posti dentro le mura della cittadella». All’anno 1159, sono riferiti una rivolta dei milanesi e un nuovo assedio della città da parte degli eserciti imperiali. All’anno 1162, si può leggere: «Federico, imperatore dei tedeschi, prese e distrusse la città di Milano da lui assediata per tre anni e costretta alla resa dalla carestia». All’anno 1164, anno del trasferimento delle reliquie da Milano a Colonia, si trova una precisa descrizione dello stato dei corpi: «poiché erano stati conservati con balsamo e altre piante, i loro corpi, all’esterno, parevano intatti anche per quanto riguardava la pelle e i capelli. Secondo quanto mi ha riferito qualcuno che affermava di averli visti, il primo di loro, per quanto si poteva dedurre dal suo aspetto complessivo e dai capelli, sembrava avere una quindicina d’anni, il secondo una trentina e il terzo una sessantina».

Si pone allora la questione della presenza di queste reliquie a Costantinopoli. In poche parole, si crede che sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, abbia trovato e riunito i corpi, fino a quel momento separati dei tre re e li abbia fatti portare a Costantinopoli. Partito da Milano il 10 giugno 1164, il corteo attraversa Torino; è a Vienne, sulle rive del Rodano, il 23 giugno e non sappiamo bene quale passo abbia fatto per attraversare le Alpi (cfr. p. 64): passa per Salins, Besançon, Breisach (Brisach Vecchia), poi s’imbarca sul Reno; è ricevuto a Colonia il 23 luglio 1164 fra la più grande gioia. Ci si può fare un’idea dell’importanza dell’entrata in una città di reliquie di un tal genere leggendo il racconto, fatto da J. Le Goff, sulla processione che circonda la corona di spine ricevuta da san Luigi.

36. Cripta (xi secolo). Cattedrale di Strasburgo (Francia). Strasburgo fu uno dei luoghi di passaggio del corteo. Numerose leggende sui re magi sono diffuse in Alsazia (cfr. cap. v).

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I racconti destinati ad autenticare le reliquie, a Colonia, sono rapidamente consegnati e deposti accanto ai corpi. Nonostante l’inverosimiglianza, queste leggende sono accettate molto in fretta dall’Occidente. Già dalla fine del xii secolo passano per fatti veritieri e la tradizione popolare, che non si fa sempre carico di preoccupazioni teologiche (l’abbiamo visto per il bue e l’asino) né di verosimiglianza, attribuirà ai re magi tutta una serie di miracoli, il primo dei quali, come dice con ironia J. Devisse, è probabilmente il fatto che Rinaldo di Dassel sia finalmente intronizzato vescovo di Colonia il 2 ottobre 1165, come da molti anni desiderava¹. Interesse politico delle reliquie La traslazione delle reliquie a Colonia è molto importante per Federico Barbarossa. Deve dimostrare al Papa che i re magi sono garanti del fatto che la sua regalità viene direttamente da Dio. La visione tramandata dalla giovane Elisabetta di Schönau che, cosa strana, appartiene anche lei alla famiglia di Rinaldo di Dassel, verrà opportunamente a confortare quest’opinione: ella ha visto i re magi deporre la corona ai piedi di Gesù che la restituisce loro immediatamente. Il messaggio è chiaro: Federico Barbarossa non ha bisogno del Papa per ricevere l’investitura, la riceve da Gesù in persona. Nonostante che il complesso delle visioni di Elisabetta di Schönau sia anteriore alla traslazione delle reliquie, sembra che il passaggio sia un’interpolazione tarda nel tentativo di fornire un punto di appoggio alle rivendicazioni dell’imperatore (in tedesco i magi diventeranno «i tre santi re»). Fama del pellegrinaggio di Colonia La fama del pellegrinaggio di Colonia crebbe molto rapidamente. Prendiamo come testimonianza il pellegrinaggio fattovi da Guglielmo il Maresciallo nel 1183, cioè meno di vent’anni dopo. Guglielmo il Maresciallo è un nobile inglese tutore di Enrico il Giovane, figlio di Enrico ii re d’Inghilterra2. È accusato da Enrico il Giovane di godere dei favori della di lui moglie, Margherita di Francia, sorella di Filippo Augusto. Per discolparsi, Guglielmo il Maresciallo propone un torneo che viene però rifiutato; allora va in pellegrinaggio a Colonia; si sente vittima dell’ingiustificata diffidenza del principe, «come i re magi erano stati vittime della diffidenza di Erode»: vuole uscire mondo dal sospetto di adulterio. Al suo ritorno, il suo desiderio è esaudito; è lo stesso Enrico il Giovane che fa ancora appello a lui: infatti ha bisogno dell’aiuto di Guglielmo nella lotta contro suo padre Enrico il di cui vuole prendere il posto. Per parte sua J. Devisse riferisce di una visita solenne fatta a Colonia nel 1440 da Filippo, duca di Borgogna in un periodo in cui la Casa di Borgogna è molto importante3. Il duca vuole venerare le reliquie dei magi. A questa visita vengono date varie interpretazioni politiche. Comunque Filippo fa dono di una lampada d’oro destinata a bruciare in perpetuo davanti al reliquiario dei re magi. Un po’ più tardi, in Germania, una lunga poesia di 27 strofe scritta nel 1512, testimonia di un altro pellegrinaggio, quello di un sovrano che venne dai Paesi Bassi per adorare i magi a Colonia ed ebbe una visione: un angelo gli rivelò che la tunica di Cristo era racchiusa, da quattordici secoli, nell’altare della Liebfrauenkirche di Treviri; ve la trovò insieme a un vestito della Madonna. Un’altra tradizione riferisce che il re dei Danesi venuto in pellegrinaggio a Colonia, vede in sogno i tre re che gli fanno promesse che si realizzano al suo risveglio4. Sappiamo

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37,38. Vetrate: a sinistra, Adorazione dei pastori e dei re magi; a destra, Deposizione della croce (1848). Cattedrale di Colonia (Germania). Questa doppia adorazione, abbastanza rara, fa parte delle cinque vetrate offerte da Luigi ii di Baviera, disegnate da H. von Hess, tagliate nei laboratori Ainmiller di Monaco e poste nella navata laterale sud della cattedrale. L’insieme delle vetrate comprende il Sermone di san Giovanni Battista, l’Adorazione dei pastori e dei re magi, la Deposizione della croce, il Miracolo della Pentecoste, la Lapidazione di santo Stefano.


anche che Luigi xi re di Francia, concesse una rendita alla cattedrale di Colonia per i re magi e fece lo stesso a Embrun. Questo ci dice quale fosse l’interesse di tutti questi sovrani per quel luogo santo. Altre chiese in possesso di reliquie dei re magi o dedicate al loro culto La spartizione delle reliquie era una pratica molto comune all’epoca; ha suscitato molto presto le critiche di alcuni che la giudicavano scandalosa: così fa anche san Luigi il cui corpo viene comunque disperso tra varie località5. Troviamo qui lo stesso fenomeno. Oltre alle abbazie davanti alle quali è passato il corteo (cfr. p. 61), diverse chiese tedesche ricevono frammenti dei santi corpi, in particolare Hildesheim, città vicina a Hannover, dove Rinaldo di Dassel era stato prevosto. Da notare peraltro che le porte di bronzo, dette di san Bernardo, della chiesa di San Michele a Hildesheim raffiguravano l’Adorazione dei Magi fin dall’inizio dell’xi secolo (i re vi erano rappresentati in vesti di cavalieri medievali): questo spiegherebbe forse l’interesse di Rinaldo di Dassel per quei personaggi e la «cattura» che ne fece a Milano, battendo in velocità gli altri vescovi tedeschi e l’imperatore stesso. È un altro responsabile della stessa chiesa, Giovanni di Hildesheim, a scrivere nel xiv secolo la Storia dei tre re (cfr. cap. iv). Notre-Dame-des-Trois-Rois a Embrun In Francia, la cattedrale di Embrun fu per vari secoli sede di importantissimi pellegrinaggi in onore dei re magi. Ancora nel xix secolo, il giorno dell’Epifania, qui si svolgeva una processione in pompa magna. Un affresco che risaliva probabilmente al xiv secolo, rappresentava i re magi in atto di adorare il Bambino Gesù; era dipinto sull’esterno del timpano del portale nord della cattedrale, chiamata proprio per questo Notre-Dame-des-Trois-Rois, o Réal, ed era con-

39. Mosaico, Adorazione dei magi (1896). Cattedrale Notre-Dame-desTrois-Rois, Embrun, Hautes-Alpes (Francia). Riproduce l’antico affresco dipinto sul timpano del portale nord.

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siderato miracoloso. L’affresco tuttavia fu distrutto nel 1585 dagli Ugonotti che si erano impadroniti della città e oggi resta solo la scritta – in caratteri gotici – che un tempo circondava l’affresco dei re magi: tres reges marchior (sic) balthasar regina coeli joseph angelus ... ait ad joseph. Sull’affresco era scritto anche il nome gaspare. Ai giorni nostri sul timpano compare la scultura che ha preceduto l’affresco e che rappresenta Cristo circondato dai quattro simboli degli evangelisti. L’affresco distrutto è stato riprodotto nel 1896 su un mosaico che, circondato da ex voto, possiamo vedere nella navata destra della cattedrale. Sembra che nessuno abbia fatto l’accostamento tra la data di ricostruzione della cattedrale iniziata verso il 1170 e l’eventuale passaggio delle reliquie nel 1164. Infatti tra Milano e Colonia, vengono citate le città di Torino e di Vienne sul Rodano. L’attraversamento dal passo del Monginevro sembra il più plausibile. A quel punto, al corteo si presentavano due strade: quella verso nord, attraverso Grenoble, oppure quella verso sud, più facile, attraverso Briançon ed Embrun. Ciò spiegherebbe il cambiamento di dedica della cattedrale di Embrun che, inizialmente intitolata alla Madonna e alla Natività divenne poi Notre-Damedes-Trois-Rois. R. Meyer-Moine nel suo recente libro Notre-Dame d’Embrun, scrive, a proposito dell’antico tesoro della cattedrale ora scomparso: «La tradizione popolare parla della “collana d’oro” nella quale era incastonata una reliquia...». Non era, per caso, una reliquia dei re magi, come quella lasciata nell’abbazia di Lieu-Croissant o in quella di Grammont? Se si dà credito a questa ipotesi, la collocazione di reliquie a Embrun avrebbe prodotto la ricostruzione della cattedrale e permesso, molto rapidamente, lo svilupparsi di un pellegrinaggio. Per il momento non si sa molto bene quando e da che cosa sia nato a Embrun un tale culto. Da notare che affreschi raffiguranti i re magi in atto di adorare il Bambino, si trovano anche sul timpano della chiesa di Vallouise e di quella di Névache, vicine a Embrun, nonché sulla volta della cappella di Santa Lucia di Puy Saint-André. In ogni caso i pellegrinaggi a Notre-Daine-du-Réal a Embrun hanno acquisito una sicura notorietà fin dal xiv secolo. Si susseguiranno vari miracoli: resurrezioni, guarigioni, scampate impiccagioni, vengono elencate nel xvii secolo dal reverendo Marcellin Fornier. Gli stessi re di Francia compiono a Embrun frequenti pellegrinaggi. Carlo vii chiede che nella cattedrale di Embrun vengano fatti dire due servizi per la sua anima. Suo figlio Luigi xi adempie tale desiderio: fa versare al capitolo una forte somma e nel 1477 e nel 1478 vengono dette le messe. Nello stesso tempo il re offre denaro per la costruzione dell’organo della cattedrale e iscrive una rendita perpetua (come a Colonia) fatta confermare da papa Sisto iv:

40. Affresco, Adorazione dei magi (intorno al 1500). Timpano della chiesa di Névache, Hautes-Alpes (Francia). Chiesa fatta costruire da Carlo viii in segno di devozione verso i re magi.

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quest’ultimo lo fa nominare protocanonico, come avverrà poi per tutti i suoi successori. Poiché la bolla non è stata annullata, i presidenti della Repubblica in Francia sono protocanonici della cattedrale di Embrun. Il figlio Carlo viii, nonostante avesse la stessa devozione del padre per Notre-Dame-duRéal, fa revocare la rendita perpetua, ma fa costruire la chiesa di Névache. Viene a Embrun due volte: la prima nel 1482 in pellegrinaggio a seguito di un voto (un «Libro d’Ore» del xv secolo ci mostra Carlo viii come re magio) e la seconda, nel 1494, in circostanze molto diverse, diretto verso il Regno di Napoli, da sovrano e non più da penitente. Anche Luigi xii nel 1502 e Francesco i nel 1515, passano da Embrun, diretti in Italia. Nel 1556 Enrico ii è accolto a Embrun con grande fasto e con tutti i riguardi dovuti al protocanonico della cattedrale, come peraltro Luigi xiii nel 1629. Il fatto che, in occasione delle campagne d’Italia, i re di Francia siano passati con regolarità da Embrun e dal passo del Monginevro, è un argomento in più a favore della nostra ipotesi relativa al percorso fatto in senso inverso dalle reliquie dei magi nel xii secolo. Il prete Gianni, discendente spirituale dei re magi e modello per i re dell’Occidente Fin dal xii secolo appare anche un altro misterioso personaggio, legato ai magi e chiamato prete Gianni. La prima menzione viene fatta proprio nella cronaca che il vescovo Ottone di Frisinga dedica al nipote Federico Barbarossa, presentato come modello dell’ideale fusione del potere spirituale e di quello temporale. Giovanni di Hildesheim, da parte sua, presenta i fatti in modo un po’ diverso: potere temporale al prete Gianni e ai suoi discendenti, potere spirituale a san Tommaso e ai suoi successori. La leggenda narrava anche che, dall’Oriente, il prete Gianni doveva venire a unirsi agli eserciti dell’Occidente per liberare Gerusalemme. Altri ancora pensavano che i sudditi del regno tartaro sarebbero venuti a Colonia a prendere i corpi dei re magi e ciò avrebbe spiegato l’invasione mongola del xiii secolo. Tutto il Medioevo, e fino al xvi secolo, sarà ossessionato dalla ricerca di questo immaginario reame collocato dapprima in Asia, poi a partire dal xiv secolo, in Africa. Un compagno 41. Blasone di Baldassarre, insegna di un ristorante di Cristoforo Colombo allude ancora a questa ricerca nel suo diario di viaggio6. a Les Baux-de-Provence (Francia). È una nuova tappa nel mito dei re magi! Araldica I re magi rappresentano una specie di modello per i re dell’Occidente; diversi sovrani e grandi personaggi o grandi famiglie si mettono direttamente sotto la loro protezione. Così Giovanni il Buono, re di Francia dal 1350 al 1363, in onore del Presepe istituisce l’Ordine di Notre-Damede-la-Noble-Maison o Ordine della Stella; ha per motto: «monstrant regibus astra viam»: «ai re gli astri mostrano il cammino», con una stella sormontata da una corona. Questi stemmi, in particolare, sono dipinti nella splendida galleria dei ritratti nel castello di Beauregard, vicino a Blois. La prima promozione dei Cavalieri della Stella ebbe luogo nella «Typhaine» del 1352 (cfr. p. 188), ma poiché uno dei regolamenti militari dell’Ordine era quello di non fuggire mai in battaglia, questo potrebbe essere stato la causa della rapidissima scomparsa dell’Ordine, forse già dal 14 agosto 1352, dopo la battaglia di Mauron (nel dipartimento del Morbihan) o nel 1356 dopo la battaglia di Poitiers. Alcuni pensano che la Stella d’oro sia stata conferita, ancora nel 1455, dal re Carlo vii al Capitano della Guardia di Parigi, chiamato da allora Cavaliere della Guardia, che ha così vegliato su Parigi7. Luigi xi sostituì l’Ordine regio della Stella con l’Ordine di San Michele.

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Frédéric Mistral, nel poema Calendal, in cui rappresenta gli amori di Calendal e dell’ultima Principessa di Les Baux, si fa portavoce della tradizione secondo la quale la famiglia dei Les Baux avrebbe avuto origine da Baldassarre per accostamento con la montagna di Vaux (cfr. pp. 67 e 148). La loro armatura reca la stella a 16 raggi d’argento su fondo rosso e il motto è «Alla ventura Baldassarre». In occasione del matrimonio di una principessa della famiglia Les Baux con un principe del Lussemburgo, nel 1405, si dà inizio alla traduzione in francese del testo latino di Giovanni di Hildesheim che raccoglieva tutte le tradizioni allora note sui re magi: è il manoscritto pubblicato da M.-A. Elissagaray (cfr. cap. iv). Del resto, secondo André Bouyala d’Arnaud8, un tempo, alla messa di mezzanotte a Les Baux, «durante il Credo, alla frase “et homo factus est”, tutti i pastori (considerati discendenti dei guerrieri della scorta), invece di inginocchiarsi come si faceva di solito, si mettevano in piedi, tutti impettiti e stendevano la mano per affermare: “Lo attestiamo! L’abbiamo visto! Perché abbiamo accompagnato là il nostro signore Baldassarre”». Fra i personaggi che si sono messi sotto la protezione dei re magi citiamo ancora Cosimo de’ Medici, fondatore dell’illustre famiglia fiorentina. Egli istituì una Confraternita dei Magi sul modello di quella che esisteva a Milano, e non solo fece dipingere la sua cappella privata con il famoso affresco che svolge su tre intere pareti il fastoso corteo dei magi (vedi cap. iii); anche la cella che si fece riservare nel convento di San Marco fu affrescata dal Beato Angelico e da Benozzo Gozzoli con una Adorazione dei magi che includeva anch’essa un corteo di personaggi orientali (cfr. tavv. 66 e 70). A partire dal xiv secolo viene persino presentata un’araldica immaginaria dei re magi, fissata da Gelre tra il 1370 e il 1395. Per Gaspare, scudo «azzurro con crescente tornito d’oro addestrato con una stella anch’essa d’oro»; il cimiero è «una testa di vecchio barbuto nascente da una corona». Per Melchiorre, scudo «d’azzurro a sei stelle d’oro»; il cimiero è «una stella d’oro e rosso coronata d’oro». Per Baldassare, scudo «d’oro con Moro vestito di rosso che tiene un pennone»; il cimiero rappresenta «una testa di negro e una corona d’oro»9 (cfr. tav. 29). Quanto alla città di Colonia, essa non poteva fare altro che mettere nel suo emblema tre corone a ricordo dei re magi.

La Storia dei tre re di Giovanni di Hildesheim si conclude con un inno a Colonia: «Rallegrati, felice Colonia, che sei ornata di sì nobile tesoro che devi gioire dei tre re più che di tutte le altre ricchezze. Perché per amore loro tu sei amata, per causa loro sei esaltata, per amore loro ti vengono a vedere da ogni angolo del mondo e i più nobili e coraggiosi ti vengono a visitare, e il tuo nome va per tutta la terra. E per queste ragioni sei tanto più tenuta ad amare, onorare, servire e lodare Dio e questo re dominerà per infiniti secoli. Amen. Deo gratias. Qui finisce la storia dei tre re magi, tradotta dal latino in francese nel 1474».

Ciò non toglie che per i cristiani orientali i magi siano rimasti in Oriente. I nestoriani collocano i corpi di Melchiorre e Baldassarre a Urmia in Iran e quello di Gaspare a Mole, a sud del lago di Van, poco a ovest di Urmia (ex Armenia, ora Turchia: cartina a p. 27).

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42. Stemma della città di Colonia. Sono simboleggiati i santi patroni della città di Colonia: le tre corone rappresentano i re magi; le undici fiamme dei martiri rappresentano sant’Ursula e le sue undicimila compagne.


Un’altra tradizione citata da Marco Polo li colloca: il primo a Zeuva, odierna Savah, a sudovest di Teheran, ai piedi della montagna di Vaux, il secondo ad Avah, a sud-est di Savah, e l’ultimo a Kalah-i-Atachparastan. Le città delle reliquie: Milano e Colonia Che cosa ne è stato del culto dei magi in due città così diverse come Milano e Colonia, collegate tra loro da poche ossa? Nell’una e nell’altra città, in modo simile e pure diverso, si perpetua il ricordo di quei personaggi venuti dal favoloso Oriente per rendere omaggio al Bambino-Re. Milano: la basilica di Sant’Eustorgio A partire dalla fine del xii secolo, qualche anno dopo la distruzione della città, ottenuto con la pace di Legnano l’allontanamento delle truppe imperiali, i milanesi ricostruiscono la loro città. La basilica di Sant’Eustorgio viene ricostruita sull’area della precedente, sopra un cimitero paleocristiano nel quale erano state rinvenute le «reliquie dei magi»10. Nonostante l’assenza delle reliquie, portate a Colonia, la basilica di Sant’Eustorgio è dedicata ai re magi. Il culto resta vivo grazie alla Confraternita dei Magi di cui fa parte, nei secoli xiv e xv, uno dei membri dell’influente famiglia Visconti. Il campanile è sormontato da una stella a otto punte. Un’iscrizione posta sulla facciata neo-romanica a sinistra del portale principale che è sormontato da una scena dell’Adorazione dei magi e da una stella, reca questa dedica:

basilica eustorgiana titulo regibus magis nobilis reliquis ss et tumulis

«Basilica di Sant’Eustorgio dedicata ai re magi, nobilitata dalle loro sante reliquie e dalle loro tombe».

Nella grande abside del xii secolo si trova la più antica testimonianza di un culto rivolto a quei santi personaggi nella basilica. Su di un capitello figura La leggenda del trasporto del sarcofago dei magi: vi è rappresentato un carro tirato da due vacche e guidato da Sant’Eustorgio sopra cui vola un angelo; il carro trasporta da Costantinopoli a Milano il sarcofago che vediamo nella cappella dei magi. Infatti una cappella, che risale al xv secolo, è oggi dedicata ai re magi. Essa contiene, per prima cosa, un impressionante sarcofago romano del tardo impero, grande come una casa e capace di contenere venticinque persone in piedi, probabilmente un’antica tomba del cimitero romano destinata a un importante personaggio. Sul tetto vi è la scritta sepulcrum trium magorum, «tomba dei tre magi». Nella parte anteriore è stata aperta una finestrella attraverso cui i fedeli venivano a deporre i ceri anche in assenza delle reliquie. È lo stesso sarcofago che si vede nelle rappresentazioni del trasporto delle reliquie da Costantinopoli a Milano. Che carro sarebbe mai necessario per trasportare l’enorme sarcofago!

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Al centro della cappella, ci troviamo poi di fronte a un magnifico trittico in marmo di Ancona, scolpito nel 1347, attribuito a Giovanni di Balduccio o a Pisanello e offerto dalla famiglia Visconti. Vi è narrata, in numerosi riquadri che vanno letti da destra a sinistra, la storia dei magi. Alla sommità del trittico, in un medaglione posto al centro, si trovano Cristo sulla croce insieme alla Madonna e a san Giovanni; ai lati, angeli biancovestiti. Sulla destra, scendendo dall’alto a destra verso il basso a sinistra, l’arrivo dei magi dal lontano Oriente sui loro cavalli (si direbbe una veduta aerea!); poi, all’estrema destra, i tre re coronati si ritrovano davanti a Erode, anche lui con la corona e circondato dai suoi saggi. Nel riquadro centrale un’Adorazione del Bambino, che sta sulle ginocchia della madre, alta su un trono, con Giuseppe, posto più in basso e più indietro, che tiene in mano un cofanetto, probabilmente dono del primo magio inginocchiato ai piedi del Bambino; gli altri due magi, in piedi, si confondono con altri quattro personaggi che portano, a loro volta, doni. Nella parte trilobata, sopra il bue e l’asino con la testa nella mangiatoia, cantano nove angeli che si accompagnano con i loro strumenti musicali. Nella parte di sinistra, i magi seduti e addormentati sono destati da un angelo che si tuffa in picchiata sopra di loro. Della scena fa parte una misteriosa giovane donna. Poi il corteo, simmetrico al precedente, si riforma in basso a sinistra e risale in alto a destra dietro alcune rocce. Secondo Émile Mâle11, i cortei sarebbero la riproduzione della grande cavalcata organizzata per la prima volta a Milano nel 1336 e con un tale successo che la festa è ripetuta ogni anno e ispira altre città italiane come Padova, Firenze, ecc. Ancora oggi, un variopinto corteo la cui tradizione è stata ripresa il 6 gennaio 1972 e che comprende cavalli, elefanti e numerosi orientali superbamente vestiti, parte da piazza Duomo per raggiungere la basilica di Sant’Eustorgio. In occasione dell’Epifania del 1904, l’arcivescovo di Colonia è venuto a riportare a Milano alcune reliquie dei re magi. È stata subito commissionata un’urna per contenerle: urna in stile gotico che mette in risalto il blasone della città donatrice e quelle dei tredici comuni

43. Timpano, Adorazione dei magi (xix secolo). Portale centrale, basilica di Sant’Eustorgio, Milano. La facciata della basilica è stata rifatta nel xix secolo. A fianco di questa Adorazione dei magi si può leggere una dedica ai re magi.

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facenti parte della Lega Lombarda vittoriosa a Legnano; porte cesellate in stile decisamente moderno per la nicchia contenente l’urna, che mostrano su un lato l’arcivescovo di Colonia in atto di trasportare le reliquie da Colonia a Milano, sull’altro il collocamento delle medesime nella muova sede; una vetrata che raffigura simbolicamente i tre doni; sono tutte aggiunte moderne che sottolineano la continuità della tradizione attraverso i secoli. Nel 1964 nuove cerimonie in occasione dell’ottavo centenario della traslazione delle reliquie hanno ulteriormente stretto i legami tra le due città. Un affresco del xv secolo, attribuito a Bernardino Luini e che rappresenta l’Adorazione dei magi, tombe di famiglie nobili che presentano un’analoga scena (in particolare nel mausoleo di Gaspare Visconti che aveva il nome di uno dei re magi, si vede la figura del nobile milanese inginocchiato e a mani giunte accanto ad essi), lastre tombali su cui è incisa una stella a otto punte, ricordo delle tombe appartenenti alla Confraternita dei Magi, sottolineano l’importanza del culto rivolto ai magi in questa basilica. La chiesa di Santa Maria dei Miracoli, il Duomo e il suo Tesoro, i diversi musei della città, racchiudono numerose rappresentazioni dei re magi e ciò indica l’interesse dei milanesi nei confronti di questi personaggi, nel corso dei secoli. La celebrazione del 6 gennaio nella basilica di Sant’Eustorgio assume sempre un carattere molto solenne. Se il corteo con animali esotici, ripristinato nel 1972, si svolge solo se il tempo lo permette, è invece numerosa la folla che segue l’Ufficio del giorno dell’Epifania, ufficio che si conclude con l’ingresso di un corteo comprendente sia i magi e il loro seguito vestito di ricchi costumi orientali, sia donne in costume medievale... Le autorità civili di Milano prendono parte alla cerimonia; nel 1994 esse ricordavano il lavoro svolto nelle bidonville sudamericane grazie alla partecipazione della città. La tradizione dell’idea del messaggio universale è quindi completamente rispettata. Lasciamo ora Milano per andare a Colonia. Colonia Che differenza di atmosfera arrivando davanti all’immensa cattedrale! Quanto la basilica di Sant’Eustorgio è un luogo intimo, spoglio che, dopo i lavori degli anni Sessanta, ha riacquistato tutta l’originaria purezza, tanto la cattedrale di Colonia, con l’impressionante navata centrale, il suo gotico fiorito molto elaborato, appare quasi al di là delle misure umane, sottolineando forse la distanza tra Dio e l’uomo. Non viene in aiuto nemmeno l’afflusso dei turisti per sentirsi in intimità con Dio. Torniamo indietro al xii secolo, al momento in cui il corteo che trasporta le reliquie dei magi arriva a Colonia. L’odierna cattedrale non esiste ancora12. La cattedrale di San Pietro All’inizio del iv secolo, sull’area di un antico tempio romano dedicato a Mercurio Augusto e costruito verso il 50 d.C., ad opera del vescovo Maternus viene costruita una prima cattedrale; rimaneggiata e ingrandita nel corso dei secoli successivi, è dedicata a san Pietro. Un nuovo edificio cominciato all’inizio del ix secolo viene portato a termine alla fine dell’xi; nel x secolo sono portati qui il pastorale e le catene di san Pietro nonché le reliquie di san Gregorio da Spoleto. Le reliquie dei re magi arrivano nel 1164. Vengono deposte in un reliquiario che possiamo ancora vedere rappresentato negli affreschi delle pareti di recinzione del coro della cattedrale. Poco tempo dopo, gli abitanti di Colonia decidono di onorare i re magi con un reliquiario più bello. Dal 1181 al 1230 circa, Nicolas de Verdun, e in seguito la sua bottega

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e i suoi successori, ceselleranno il notevole reliquiario che fa pensare a una vera e propria chiesa. I pellegrinaggi assumono presto grandissima importanza (cfr. la testimonianza relativa a Guglielmo il Maresciallo a p. 62). Così verso il 1240, prende corpo il desiderio di una nuova costruzione degna delle reliquie e della loro teca e in grado di contenere una grande folla. La costruzione principale si prolungherà per secoli fino al 1560; la cattedrale però è veramente ultimata solo nel xix secolo. Dopo aver subito gravi danni durante la seconda guerra mondiale, è soggetta attualmente al grave pericolo dell’inquinamento atmosferico. È una delle maggiori cattedrali cristiane e, anche per la Germania, occupa un posto particolare: «è come la madre e la protettrice di tutte le chiese tedesche», come già diceva il monaco inglese Matteo Paris nel xiii secolo. Dopo la loro consacrazione ad Aquisgrana, è qui che i sovrani venivano, in qualche modo, a cercare conferma alla loro consacrazione seguendo l’esempio di Ottone iv di Brunswick (Braunschweig)-Poitou, nipote di Eleonora d’Aquitania e di Enrico ii Plantageneto. Prima di entrare nella cattedrale, osserviamo, alla sommità della guglia che s’innalza sopra l’incrocio dei transetti, la stella dei magi. Nella facciata principale il portale di sinistra si chiama Portale dei re magi. Presenta i re magi in mezzo ai re dell’Antico Testamento e ai re e imperatori, custodi terreni del santuario. Sul timpano sono ancora scolpiti I magi davanti a Erode e l’Adorazione dei magi. All’interno vengono proposte una dozzina di raffigurazioni dei magi per mezzo di reliquiario, altare, vetrate, pitture, sculture, oggetti preziosi, arazzi... La più antica testimonianza del culto dei re magi è la teca che ne contiene le reliquie assieme a quelle dei santi Felice, Nabore e Gregorio da Spoleto. Ha la forma di due chiese sovrapposte. La posizione delle teste dei re magi è indicata da tre grosse pietre preziose

44. Reliquiario in oro contenente le reliquie dei magi (xii-xiii secolo). Nicolas de Verdun e il suo atelier. Cattedrale di San Pietro, Colonia (Germania) (cfr. anche tav. 30).

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45, 46. Vetrate (circa 1280). Cappella di Santo Stefano, cattedrale di Colonia (Germania). Parallelismo tra alcune scene dell’Antico e del Nuovo Testamento: in basso, Gedeone e il vello (vetrata rifatta nel 1892) e Annunciazione; al centro Mosè e il roveto ardente e Nascita di Cristo; in alto La regina di Saba davanti a re Salomone e Adorazione dei magi (questi due temi sono spesso legati tra loro: cfr. p. 131).

poste nella facciata. Il tutto è così concepito: l’inizio del mondo con episodi dell’Antico Testamento, la redenzione del mondo con la venuta di Cristo (Adorazione dei magi e Battesimo di Cristo), la fine del mondo a conclusione dei tempi. È «una specie di arca dell’alleanza del Nuovo Testamento». È proprio questo il significato del racconto dei magi nel Vangelo di Matteo, alleanza di Dio con gli uomini tramite Gesù Cristo. L’Adorazione dei magi, qui cesellata, ci presenta dei magi che, se hanno ancora le mani velate tipiche dei sacerdoti della religione mazdea (cfr. cap. iii), ne hanno perduto l’abbigliamento acquisendo invece la corona. Un quarto re senza corona ma con le mani velate recanti l’offerta, è rappresentato più indietro rispetto ai re magi della tradizione: si tratta dell’imperatore Ottone iv che ha offerto l’oro e le pietre preziose per ornare il reliquiario. Sempre in secondo piano si vede anche il torso dell’arcivescovo di Colonia, Rinaldo di Dassel che ha trasferito qui le reliquie. Il reliquiario è posto sull’altare maggiore del xiii secolo, altare in marmo bianco e nero che reca su un fianco un’Adorazione dei magi. È in funzione di questo grandioso coro che è stata costruita la cattedrale. Sempre nel coro, sopra gli stalli, gli affreschi delle pareti che risalgono alla prima metà del xiv secolo sono fra i più belli di quel periodo. È rappresentato tutto un ciclo relativo ai magi: l’apparizione della stella ai magi, l’adorazione dei magi, la consacrazione dei magi-vescovi ad opera di san Tommaso, la sepoltura, il trasferimento dei loro corpi a Costantinopoli, poi a Milano e infine a Colonia. Le superbe vetrate eseguite nei secoli xiii, xiv, xvi e xix, e i numerosi altari e tombe che li raffigurano, testimoniano la persistenza del culto dei magi a Colonia. Una delle opere più celebri è il famoso trittico dei patroni della città, l’Adorazione dei magi, dipinta da Stephan Lochner. È senza dubbio uno dei più bei dipinti nordici del xv secolo. Presenta, su fondo oro, una Madonna in trono, con l’ampio e tradizionale mantello azzurro chiuso da un fermaglio con un liocorno, simbolo dell’Incarnazione del Verbo di Dio nel seno della Vergine. La corona, circondata da un’aureola, è sormontata dalla colomba dello Spirito Santo. Più in alto, una stella a dodici punte si dilegua dentro una serie di arcatelle gotiche trilobate fra le quali volano degli angeli. I piedi della Madonna posano su un prato cosparso di fiori, simbolo del Paradiso. Sul braccio destro Ella regge il Bambino Gesù, nudo e con l’aureola ed accoglie nella mano sinistra uno dei suoi piedi. Il Bambino con un gesto di benedizione si volge verso il re magio più anziano che, posta a terra la propria cassetta, sta inginocchiato e a mani giunte. Sull’altro lato, gli altri due magi – uno barbuto e inginocchiato, l’altro imberbe e in piedi, forse con la pelle leggermente brunita – presentano le loro offerte. Tutt’intorno, uomini con spade e vessilli; fra di loro, uno ha la pelle scura, un altro lineamenti negroidi e grandi anelli alle orecchie: i vessilli recano le armi immaginarie dei tre re (cfr. p. 66). Sulle due ante che affiancano il pannello centrale, Stephan Lochner ha collocato gli altri santi protettori della città: sant’Orsola e san Gereone. Un’altra superba pala d’altare risalente al xiv secolo, posta sull’Altare delle Dame Povere, su una delle ante che vengono aperte solo di domenica, presenta un’Adorazione dei magi. Le varie scene sono dipinte su fondo oro e inserite in una struttura gotica triangolare e trilobata. Altre numerosissime pitture, sia nella cattedrale sia nel museo Wallraf-Richartz che si trova di fronte ad essa, provano che il culto dei magi, come a Milano, fu molto importante anche in questa città.

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47. Facciata ovest della cattedrale di Colonia tratta da Vues, tracés et détails (1821-1833) di Sulpice Boisserée. Cominciata nel xiv secolo, questa cattedrale fu portata a termine nel xix secolo. A sinistra del portale centrale, il Portale dei re magi. La guglia della torre che domina l’incrocio del transetto è sormontata da una stella.

A fronte: Tav. 24. Basilica di Sant’Eustorgio, Milano. Un primo santuario, che risale al iv secolo e fu costruito da sant’Eustorgio, fu sostituito da una chiesa romana, distrutta nel 1158 e ricostruita a partire dalla fine del xii secolo. Nel 1158, nel cimitero paleocristiano annesso alla chiesa, furono ritrovati, in una tomba, tre corpi che vennero attribuiti ai tre re magi. Tav. 25. Sarcofago romano del Basso Impero chiamato Tomba dei tre magi. Basilica di Sant’Eustorgio, Milano. Un’iscrizione latina è incisa sul sarcofago: Sepulcrum trium magorum. È lo stesso sarcofago rappresentato su uno dei capitelli della basilica e posto sul carro portato da Costantinopoli da sant’Eustorgio.

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Tav. 26. Trittico in marmo di Ancona, Viaggio dei magi, I magi davanti a Erode, Adorazione dei magi, Il sogno dei magi, Ritorno dei magi (1347). Basilica di Sant’Eustorgio, Milano. Trittico celeberrimo che è stato probabilmente ispirato all’artista dalle grandi cavalcate inaugurate a Milano nel 1336: le scene vanno lette da destra a sinistra (cfr. p. 68).

Nella doppia pagina seguente: Tav. 27. Affresco, Adorazione dei magi (xv secolo). Basilica di Sant’Eustorgio, Milano. Posta sull’arco superiore, sopra l’ingresso della cappella dei magi, la scena dell’adorazione si svolge con evidente fasto in un ampio paesaggio collinare dominato dalle torri dei castelli.






Tav. 28. Cattedrale di San Pietro, Colonia. Ricostruita a partire dal 1240 per accogliere i pellegrinaggi che si svolgevano attorno al sarcofago dei re magi, essa fu per il lungo tempo la più grande cattedrale della cristianità.

Tav. 29. Trittico, Altare dei patroni della città (particolare), Adorazione dei magi (1440 circa). Stephan Lochner. Cattedrale di San Pietro, Colonia. Bellissimo complesso che presenta tutti i santi protettori di Colonia: i tre re magi, sant’Orsola e le sue compagne e san Gereone con la legione Tebana (cfr. p. 71).



A fronte: Tav. 30. Reliquiario dei re magi (fine xii sec.). Nicolas de Verdun e bottega.Cattedrale di San Pietro, Colonia. Il reliquiario, meravigliosamente cesellato, presenta su un fondo d’oro tre grandi pietre preziose che, sulla parte frontale, indicano la posizione delle tre teste dei re.

48. Vetrata, Adorazione dei magi (xiv secolo). Cappella del coro della cattedrale di Colonia (Germania). Importante vetrata che ricorda come questa cappella conservò fino al xix secolo il reliquiario dei re magi posto ora nel Grande Coro.

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E tale resta. Come a Milano, anche a Colonia il 6 gennaio è un giorno festivo. La celebrazione dell’Epifania è una grande festa per la quale viene gente da tutta la Germania. La cerimonia è incentrata sui bambini, messaggeri della Buona Novella nei confronti dei bambini che assistono. L’immensa cattedrale in quel giorno è troppo piccola per contenere la folla che sfila poi davanti alla teca dei magi. I re magi, patroni della città di Colonia Nonostante la chiesa non abbia loro riconosciuto il rango di santi (ma ne ha accettato i nomi come nomi di battesimo cristiani), i re magi sono a tal punto legati alla storia della città che Colonia li ha assunti come santi patroni e ha inserito le loro corone nel suo blasone. La storia delle città di Milano, di Colonia e, in misura minore, anche di Embrun, è contrassegnata in modo particolare dal segno dei re magi. Che cosa sarebbe Colonia senza la cattedrale costruita attorno al reliquiario dei santi re? Il loro ricordo è ugualmente assai presente nella basilica di Sant’Eustorgio a Milano e anche nella cattedrale di Embrun. Come tuttavia abbiamo visto, le tre città non sono le sole interessate dalla devozione a quei santi personaggi. In Europa, numerose chiese si fanno un vanto di alcune loro reliquie. Ma più ancora che le reliquie a cui il Medioevo ha attribuito tanta importanza, è la molteplicità delle rappresentazioni artistiche e dei testi letterari sui magi ad aver diffuso, e continuato a perpetuare in tutta Europa e anche oltre, la loro storia. Note 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 1 2

J. Devisse, L’Image du Noir dans l’art occidental. G. Duby, Guillaume le Maréchal. J. Devisse, op. cit. Per i numerosi miracoli attribuiti ai re magi, vedi H. Crombach, Primitiae gentium… J. Le Goff, Saint Louis. C. Pellistrandi, «Le Monde de la Bible», n. 85. M. Vloberg, Lev Noëls de France. A. Bouyala d’Arnaud, Santons et traditions de Noël en Provence. J. Devisse, op. cit. P. Spreafico, La basilica di Sant’Eustorgio. É. Mâle, Les Rois mages et le drame liturgique. W. Schulten, La Cathédrale de Cotogne.

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Capitolo terzo L’ICONOGRAFIA DEI MAGI

49. Timpano, Adorazione dei magi e Sogno dei magi (xiii secolo). Battente sinistro del portale nord della cattedrale di Chartres (Francia). La stella centrale è fortemente sottolineata da una sorta di rosone, incorniciato da due angeli. I re si presentano davanti alla Vergine col Bambino nella posizione tradizionale dell’epoca, il primo re inginocchiato, il secondo voltato verso il terzo mentre gli indica la stella. A destra, i tre re che dormono nello stesso letto stanno per essere svegliati dall’angelo.


Attraverso l’evolversi del modo di rappresentare le scene legate al racconto dei magi, prendiamo meglio coscienza dei cambiamenti intervenuti nel corso dei secoli. Le prime rappresentazioni ispirate all’arte orientale e soprattutto all’arte greco-romana, traducevano in modo forse più appropriato ciò che l’autore aveva in mente quando aggiunse l’episodio all’inizio del Vangelo di Matteo. Tali rappresentazioni sono di una semplicità estrema e tale da sottolineare così il carattere simbolico del viaggio dei magi verso il Bambino. Gli artisti sono influenzati dai testi di cui dispongono, il Vangelo suddetto e soprattutto i vangeli apocrifi come pure i commentari dei Padri della Chiesa che abbiamo presentato nel primo capitolo, ma ricamano su questi temi alimentando con ciò stesso la riflessione1. Nel Medioevo l’arte segue molto da vicino la liturgia; e si basa su una simbologia di numeri, di animali e di oggetti. Se vogliono rappresentare una scena, gli artisti devono conoscere il significato riposto del più piccolo particolare al fine di non deformare ciò che vogliono rappresentare. Così l’Adorazione dei Magi generalmente fa parte di tutto un complesso di scene che le forniscono un profondo significato, scene dell’infanzia di Cristo, scene della vita della Vergine o scene che palesano la presenza di Dio fra gli uomini; è un vero e proprio insegnamento liturgico. A poco a poco, i pittori rinascimentali e quelli dei secoli successivi, hanno concentrato il loro interesse primario sul trattamento decorativo delle vesti, dei doni, del corteo, come sul significato simbolico del racconto. Sono influenzati dagli avvenimenti di attualità o dalle tradizioni locali. Occorre attendere la seconda metà del xx secolo per ritrovare la semplicità delle prime raffigurazioni e lasciare da parte tutto ciò che costituiva il lusso ostentato del corteo dei magi. Questi magi, spesso in cammino, alla ricerca di un ideale, sono più conformi all’insegnamento evangelico.

50. Pittura su legno e cuoio battuto, Scene della vita della Vergine (particolare), Adorazione dei magi (circa 1325), Inghilterra. Musée des Thermes et de l’Hôtel de Cluny, Parigi.

Dal ii al xv secolo Le più antiche raffigurazioni in nostro possesso sono quelle delle catacombe cristiane di Roma; la più antica di tutte proviene dalla cappella greca delle catacombe di Santa Priscilla risalente alla fine del ii o del iii secolo e ci possiamo chiedere se non è proprio attraverso la Grecia che questo tema orientale si è introdotto nell’arte occidentale, precedendo quello della Natività. 51. Scultura gallo-romana, Testa di Mitra. Musée de l’Arles antiques (Francia). Bella testa con berretto frigio.

Magi persiani La scena, ancora molto semplice, comprende soltanto la Madonna col Bambino e i magi. La Madonna e il Bambino sono posti sia al centro che a destra: la Vergine è vista più spesso di faccia nelle rappresentazioni orientali, di profilo nelle rappresentazioni ellenistiche. Le due formule arrivano in Francia, una attraverso i manoscritti orientali, l’altra attraverso l’arte carolingia. Le pitture più antiche mostrano Gesù come un bambino di due anni, in piedi, vestito di una corta tunica, in atto di benedire o stendere le mani verso gli astanti. Soltanto più tardi Gesù è sdraiato in una mangiatoia, avvolto in fasce o sulle ginocchia della madre. Nelle prime rappresentazioni il numero dei magi non è ancora fisso. Spesso sono in numero di due o di quattro, per scrupolo di simmetria, oppure di tre; sono dodici nella tradizione siriana, in ciò seguendo la tradizione mazdea. Diretti verso il gruppo della Madonna e del Bambino, vestiti di una tunica corta, di un mantello ondeggiante, di «anassiridi»2 con il berretto frigio, essi sono conformi alla rappresentazione classica degli orientali, in parti-

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colare a quella del dio Mitra nell’arte greco-romana; e questo fa supporre che il racconto dei magi che vengono a rendere omaggio al Bambino Gesù sia stato utilizzato per esprimere la vittoria di Cristo su Mitra (cfr. cap. i). Nei primi secoli cristiani i magi sono imberbi; rappresentazione che è stata più tardi modificata. Hanno tutti e tre lo stesso atteggiamento che indica un’andatura veloce. Recano le loro offerte su di un semplice piatto, le mani sono spesso coperte da un lembo del mantello, un rito questo di origine persiana che segna l’estremo desiderio di purezza tipico della religione mazdea. È un rito già in uso alla corte degli Achemenidi e menzionato da Senofonte, un rito che viene osservato poi dalla corte imperiale nel tardo Impero romano, poiché utilizza la liturgia cristiana ricalcata sul cerimoniale imperiale. Il numero dei magi I sarcofagi del periodo costantiniano servono successivamente da supporto privilegiato alle rappresentazioni dei magi. Nella maggior parte dei casi si vedono in essi tre personaggi – il numero sarà definitivamente fissato solo nel v secolo – con berretti frigi, imberbi, e identici in atto di portare oggetti differenti; possono esservi una cornice e pochi attori secondari; più tardi il Bambino è sdraiato in una mangiatoia sotto un tetto, tra il bue e l’asino; a destra la Madonna e talvolta Giuseppe; a sinistra i tre magi, talvolta accompagnati da un cammello. Ne abbiamo esempi superbi fra i sarcofagi del Musée de l’Arles antique. L’angelo Una delle opere più antiche con la rappresentazione dei magi è un ambone proveniente da Salonicco e risalente al iv o v secolo, che comprende due serie di magi; la loro raffigura-

52. Legatura dell’Evangeliario in avorio di Etschmiadzin (vi secolo). Biblioteca Matenadaran, Erevan (Armenia). Vergine in trono attorniata da scene dei Vangeli, in particolare un’Adorazione con i magi in costume «persiano», le mani velate, che offrono dei dolci propiziatori.

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zione è stata accostata a un bassorilievo dell’Arco di Trionfo di Galerio3: si ritrovano in esso gli stessi elementi, le offerte dei magi a Cristo fanno da pendant a quelle fatte all’imperatore da parte dei barbari vinti, l’angelo sostituisce la Vittoria. Possiamo accostare questa rappresentazione anche ai bassorilievi persiani che rappresentano i portatori di offerte al Re dei re. A meno che non siano state piuttosto le scene religiose di devozione alla Grande Dea-Madre ad aver soprattutto ispirato i primi artisti cristiani. Nel celebre mosaico di Sant’Apollinare di Ravenna che risale alla metà del vi secolo, la Madonna seduta è circondata da quattro grandi angeli con bianchi mantelli; il motivo dell’angelo diviene necessario in ogni composizione religiosa. I magi sono sempre vestiti con il costume persiano, le mani velate e in cammino verso il Bambino. I nomi scritti sopra i personaggi sono stati probabilmente aggiunti in seguito così come altre modifiche, in particolare le barbe. La stella Il motivo della stella appare fin dal iii secolo e si alterna con il crismon che inizialmente veniva spesso rappresentato sopra la Madonna col Bambino. La stella può avere la forma di un fiore o di un grande rosone o di un semplice cerchio luminoso. «Assomigliava a un grande sole», dice il Vangelo arabo dell’infanzia. Può anche essere sostituita da un angelo, o dalla testa di un cherubino al centro della stella, oppure da un angelo in volo accanto alla stella. Talvolta è lo stesso Bambino Gesù a guidare i magi o una mano divina. Il bambino rappresentato al centro della stella con una croce è conforme alla descrizione che ne dà l’Opus imperfectum in Matthaeum (cfr. p. 30) ripresa dalla Leggenda aurea di Jacopo da Varagine. Più spesso è rappresentata una stella a otto punte come quella che, accompagnata dalla luce e dal sole, figura in Mesopotamia su numerose steli. Lo stesso sole è spesso rappresentato come una grande stella. Il numero otto simboleggia la nuova vita, resurrezione o battesimo (il battistero è spesso ottagonale). La stella, in questo racconto, è un simbolo maggiore: sia presso i caldei che presso gli ebrei essa è un antichissimo segno di speranza. Il fatto che il crismon ne sia l’equivalente, sottolinea il valore che le viene attribuito: è il segno della luce portata da Cristo nel mondo. Sull’ambone di Salonicco al suo posto figura l’immagine del Buon Pastore con le sue pecore: è la guida che si deve seguire, simbolo immaginoso facilmente comprensibile. Nel notissimo affresco della cappella degli Scrovegni di Padova, Giotto ha rappresentato la cometa di Halley che era passata nel 1301; raffresco risale al 13044.

53. Lapide di Rasm al Qanafez, Adorazione dei magi (vi secolo). Museo di Damasco (Siria). I magi in costume «persiano», rappresentati secondo le tre età della vita, si dirigono verso la Vergine col Bambino Individualizzazione dei magi: l’età posta di fronte a loro. Questo modo di sottolineare l’universalità del messaggio L’arte bizantina che ha l’abitudine di attribuire tre età diverse ai personaggi raggrup- di Cristo, che ha le sue origini in Oriente, pati a tre a tre, introduce questo particolare nella rappresentazione dei magi a partire si diffonderà ovunque.

dal vi secolo. In Occidente le testimonianze artistiche sono estremamente rare tra il vii e il x secolo, perciò è solo nel x che nell’arte occidentale si nota questa differenziazione. Il primo magio è un uomo anziano, con la barba grigia; il secondo, un uomo maturo con la barba più corta e scura e il terzo un adolescente imberbe. Dipinti nelle catacombe, sarcofagi, mosaici, avori sono i primi supporti alla rappresentazione dei magi. Più tardi, sono manoscritti, arazzi, affreschi, vetrate, sculture in bronzo o in pietra, poi le prime tavole ad accoglierne la rappresentazione.

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Il costume si modifica È ancora l’arte bizantina ad operare il cambiamento del costume; i tre magi abbandonano gli abiti «persiani» e vengono rappresentati come grandi aristocratici della corte di Bisanzio. In Occidente, a partire dal x secolo, i magi sono vestiti di una tunica, avvolti in un grande mantello, come i cavalieri del tempo quando si mettevano in viaggio. Il loro costume evolve col passare del tempo.

54. Affresco, Adorazione dei magi, particolare (x secolo). Saint-Pierre-les-Églises, Vienne (Francia). Uno dei rari esempi di affresco carolingio: le acconciature ricordano ancora i berretti frigi, a volte intesi come caschi; i piatti con le offerte assumono qui notevoli dimensioni.

55. Copertina di un Evangeliario in argento (xix secolo). Lattaquié (Siria). Le rappresentazioni orientali uniscono adorazione dei pastori e adorazione dei magi. Una magnifica stella-sole illumina la scena.

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Magi diventati re L’introduzione della corona al posto del berretto frigio si verifica nell’arte tedesca un po’ prima dell’anno 1000: i magi diventano re per influenza della lettura di certi testi biblici già menzionati dai Padri della Chiesa ma divulgati in quel periodo. Infatti ci sono spesso due date da osservare per una qualsivoglia innovazione: quella della prima comparsa nei testi e poi quella della sua adozione quasi unanime in ambito artistico che, generalmente, è molto più tardiva. Una seconda ragione per tale cambiamento è che, a quell’epoca, il ricordo dei magi persiani si è completamente sbiadito. I personaggi importanti del tempo sono i sovrani che per altro sono piuttosto reticenti a riconoscere il primato che la Chiesa vorrebbe vedersi accordare. I re ai piedi del Bambino sono portatori di un chiarissimo messaggio di subordinazione dei principi alla Chiesa. Abbiamo visto che Federico Barbarossa ne aveva invertito il significato: secondo lui il Bambino Gesù intronizza i re senza bisogno di intermediari. I nomi Verso il secolo xi nella raffigurazione dei re magi incominciano ad apparire i nomi ad essi attribuiti. Il problema dei nomi è relativamente complesso e l’origine piuttosto misteriosa. Compaiono per la prima volta nel Vangelo armeno dell’infanzia; nel vii o viii secolo li troviamo negli Excerpta latina barbari, testo di una cronaca greca tradotta in latino, e nel ix secolo anche nel Liber pontificalis, poi scompaiono. G. Vezin pensa che sia stato grazie all’influenza irlandese – avendo l’Irlanda perfettamente conservato tale tradizione – che i nomi dei magi si sono di nuovo diffusi sul continente5. Sono stati veramente conosciuti solo nel xii secolo dopo il trasferimento delle reliquie a Colonia, con la Storia Scolastica di Pietro Comestore. Siamo in possesso di liste differenti che contengono i nomi persiani, ebrei, greci, latini, irlandesi. Alla fine, sono entrati a far parte della tradizione i nomi latini. È stato anche cercato il significato di questi nomi. Melchiorre sarebbe di origine ebraica e

56. Timpano, Adorazione dei magi e Sogno dei magi (circa 1230). Chiesa di San Mercuriale, Forlì. Al centro, i re depongono i loro attributi reali in segno di umiltà. A sinistra, la scena del sogno, sempre molto pittoresca: sparirà alla fine del Medioevo.

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Nelle pagine seguenti: Tav. 32. Manoscritto (Msc. Lit. 3, fol. 24), Adorazione dei magi. Liegi (xi sec.). Biblioteca di Bamberg. Con l’arte romanica, fanno la loro comparsa le corone. I re magi, di età nettamente differenziate, piegano lievemente le ginocchia davanti al Bambino e alla Vergine.

Tav. 31. Porta in bronzo detta di San Bernardo, Adorazione dei magi (terzo registro dal basso) (1015). Chiesa di San Michele, Hildesheim. I busti dei personaggi, particolarmente quello della Vergine, spiccano molto nettamente sul fondo della porta. Il costume dei magi è cambiato così come la loro acconciatura che si ispira a quella dei cavalieri del tempo.

Tav. 33. Manoscritto (Msc. 293, fol. 9v), Adorazione dei magi. Bodleian Library, Oxford. Sono dei re ma hanno conservato le mani velate dei sacerdoti persiani.

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Tav. 34. Bassorilievo, Viaggio dei magi (fine xii-inizio xiii sec.). Attributo a Bendetto Antelami. Cattedrale di Fidenza. A grandi falcate i tre re-cavalieri avanzano verso Betlemme.

Tav. 35. Porta in bronzo detta di San Ranieri, Viaggio dei magi (fine xii sec.). Bonanno Pisano. Cattedrale di Pisa. I tre re-cavalieri assomigliano molto a quelli di Hildesheim o ai precedenti. L’arco formato dalle loro rispettive posizioni, la posizione delle zampe dei cavalli e il drappeggio della grande cappa del primo magio danno una fortissima impressione di movimento: cavalieri e cavalcature avanzano in modo deciso verso la loro meta.



Tav. 36. Capitello, Adorazione dei magi (xii sec.). Cattedrale di Autun. I re magi hanno corone piuttosto simili a quelle di re longobardi. Il primo magio, quello più anziano, è inginocchiato davanti al Bambino in segno di vassallaggio e questa è diventata in seguito la posizione tradizionale, adottata da tutti gli artisti. Il terzo magio tiene in mano il libro delle rivelazioni fatte ad Adamo e Set. Con un gesto graziosissimo, il Bambino cerca di aprire il tesoro che gli viene offerto. San Giuseppe è a destra, nascosto dietro l’angolo del capitello.


Tav. 37. Capitello, Il sogno dei Magi (xii sec.). Cattedrale di Autun. Scena molto buffa commentata a p.112.


Tav. 38. Capitello, Adorazione dei magi (xii sec.). Con la firma Gofridus. Chiesa di Saint-Pierre a Chauvigny, dipartimento della Vienne (Francia). Ognuno dei magi ha in mano una specie di calice che offre al Bambino, tenuto in braccio della madre. La Vergine e il Bambino sono scolpiti in posizione frontale, alla maniera orientale. I tre re sono inginocchiati in segno di sottomissione al Signore. La mano divina accentua il simbolo della stella a otto punte. L’iscrizione dice Goffredo mi ha scolpito.


Tav. 39. Timpano, Adorazione dei magi (xi-xii sec.). Chiesa di Rozier-Côtes d’Aurec, dipartimento della Loire (Francia). Un grande fiore-sole a otto petali unisce la Vergine, seduta su un seggio con in braccio il Bambino già grande il cui viso è circondato da un’aureola crucifera, ai re magi: due di loro piegano le ginocchia, movimento sottolineato dal trattamento scultorio degli abiti. Lo spazio è completamente sfruttato in altezza: la Vergine, più grande, esce dalla cornice. Si nota un’influenza spagnola, in particolare nel trattamento dei visi.


Tav. 40. Mosaico, Adorazione dei magi (xiii sec.). Battistero di Firenze. A partire da questo periodo il primo re è inginocchiato, gli alti due sono in piedi e si mostrano la stella l’uno con l’altro.

A fronte: Tav. 41. Mosaico, Ritorno dei magi (xii sec.). Battistero di Firenze. Sempre a partire dal xiii secolo circola una nuova versione del ritorno dei magi in patria, in nave e partendo dal porto di Tarso; tale rappresentazione elimina due scene fin troppo simili: l’andata e il ritorno a cavallo.


Nelle pagine seguenti: Tav. 42. Parte anteriore di un altare, Viaggio dei magi, particolare (1200 circa). Mosoll (Spagna). I tre re-cavalieri sono rappresentati magnificamente in sella ai loro destrieri. È uno dei primi esempi che mostrano i nomi attribuiti loro dalla tradizione e iscritti sopra il loro capo. Il re più giovane, qui rappresentato, ha ai lati i due re più anziani e mostra col dito la stella a otto punte al terzo re, che viene dopo lui.

Tav. 43. Parte anteriore di un altare, detto d’Avia (tra 1170 e 1190), proveniente dalla chiesa di Santa Maria d’Avia. mnac, Barcellona. Vergine in trono con, a sinistra, scene dell’infanzia di Gesù: Annunciazione, Visitazione, Adorazione dei magi. I re sono rappresentati senza i loro cavalli.





Tav. 44. Vetrata, Viaggio dei magi (iii sec.). Cattedrale di Lione. I magi a cavallo con i doni in mano si dirigono verso la stella guidati da un angelo.

Tav. 45. Vetrata, I magi davanti a Erode (xiii sec.). Cattedrale di Lione. I magi manifestano la loro perplessità davanti alle domande del re; quello di sinistra è già pronto a partire.



significherebbe «Re della luce», Baldassarre di origine caldea e, preso dal libro di Daniele, significherebbe «Principe di Bel». Quanto a Gaspare, il suo nome sarebbe la contrazione di Gataspar, re dell’India di cui si parla nella Leggenda aurea a proposito di san Tommaso. In certe regioni, si attribuiscono loro i nomi di «mungitore», «pastore» e «allevatore di mucche». I magi superano così i pastori, riaccostando il primitivo simbolismo dei due racconti sulla nascita che sottolineano, sia l’uno che l’altro, che la Buona Novella è per tutti gli uomini, anche gli stranieri, anche i più disprezzati (così era per i pastori in Israele in quel periodo)6. Benché le tradizioni non siano concordanti, si può concludere che Melchiorre è il vecchio calvo con la lunga barba canuta, Baldassarre l’uomo barbuto e maturo e Gaspare l’adolescente imberbe. Nei primi drammi liturgici i magi sono semplicemente indicati con dei numeri: Primus, Secondus e Tertius. Un dramma liturgico dell’xi secolo attribuisce loro i nomi di Aureolus, Thureolus, Myrrheolus (Colui che porta l’oro, Colui che porta l’incenso, Colui che porta la mirra). Il primo magio inginocchiato

57. Affresco, Adorazione dei magi (particolare) (xii secolo). Chiesa di Saint-Martin, Fenollar, Pirenei orientali (Francia). Questo re magio, con le ginocchia leggermente piegate e le mani velate, presenta la coppa dell’offerta al Bambino.

Fin dal iv secolo, su un avorio conservato nel tesoro della cattedrale di Milano, il primo magio è rappresentato inginocchiato, ed è così anche su un’ampolla di Monza che risale al vi secolo; ma è solo verso la fine del xiii secolo che si diffonde la rappresentazione, verosimilmente divenuta classica, del primo magio inginocchiato e del secondo in atto di indicare al terzo la stella. A partire da quel momento si può parlare di Adorazione dei magi; la posizione del primo è quella del vassallo davanti al sovrano, posizione che in Occidente è stata preferita a quella orientale nella quale il magio si prosterna bocconi, atteggiamento quest’ultimo giudicato troppo servile. Émile Mâle vi ha visto l’apporto scenografico del dramma liturgico, apporto che egli ritrova anche in alcune rappresentazioni nelle quali i magi sono muniti di un bastone da viaggio: è così anche in una vetrata della cattedrale di Chartres o sul portale della cattedrale di Valence (Francia)7. Quantunque si possano citare esempi più antichi, come abbiamo già detto, hanno sicuramente agito influenze reciproche. Nel xii secolo si diffonde la rappresentazione del primo magio, a capo scoperto, in atto di deporre simbolicamente la corona ai piedi del Bambino. I pittori italiani introducono una nuova variante: il primo re bacia rispettosamente il piede del Bambino e ciò fin dal xiii secolo come possiamo vedere, ad esempio, nel pulpito di Siena scolpito da Nicola Pisano nel xv secolo. I doni dei magi

A fronte: Tav. 46. Vetrata, Viaggio dei magi (xiii sec.). Basilica di Saint-Denis. I magi a cavallo si dirigono verso la stella: quattro angeli inseriti in medaglioni circondano i magi.

La scena del dono, come abbiamo visto, è una scena classica dell’arte greco-romana. Non dobbiamo quindi stupirci se i doni rilevati sulle più antiche rappresentazioni sono simili a quelli che si facevano agli dei pagani o agli imperatori vittoriosi: focacce di pane o piatti guarniti, coppe contenenti sfere di incenso, cornucopie; ma le cose mutano abbastanza rapidamente; e si aggiungono il Libro della caverna dei tesori (cfr. p. 30), cesti di frutta, cofanetti e vasi dalle più svariate forme per mettere in evidenza la ricchezza del vasellame di quel periodo. Il contenitore è allora più importante del contenuto e completa il lusso degli abiti o dei finimenti dei cavalli. L’oro è spesso rappresentato dalla corona del primo magio, deposta ai piedi del Bambino.

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È altrettanto evidente che il senso simbolico dei doni fa parte del mito dei re magi e che la trattazione di questa parte dell’opera non è lasciata al caso. Grotta e costruzione a triangoli Nel xiii secolo si precisa lo scenario dietro i personaggi. All’inizio è una roccia o una grotta, simbolo del legame tra il cielo e la terra; ma in Occidente, molto presto, al posto della roccia o sopra di essa, una semplicissima costruzione a triangolo sorregge il tetto che protegge la Madonna col Bambino. Secondo le concezioni geometriche platoniche, riprese dagli autori romani, il triangolo equilatero rappresenta la figura perfetta, cioè Dio, mentre il triangolo rettangolo, la perdita dell’equilibrio, cioè l’uomo8. La combinazione dei due tipi di triangolo ha quindi lo stesso significato della roccia o della grotta, passaggio dal mondo divino a quello umano. A poco a poco, la costruzione si fa più complessa; talvolta un pavone, simbolo d’immortalità è appollaiato sul tetto. Attualizzazione della scena e dei costumi

58. Pittura, Adorazione dei magi (xv secolo). Museo Okregrowe secolo gli artisti attualizzano la rappresentazione dell’Adorazione dei magi in- W Toruniu, Torun (Polonia). Ricchi costumi e ricchi doni.

Nel xv troducendovi monumenti e costumi del tempo. Nelle Très Riches Heures du duc de Berry, le dame poste dietro la Madonna nell’Adorazione dei Magi sono vestite secondo la moda del xv secolo. I costumi maschili sono meno tipici dell’epoca, ma nell’Incontro dei magi, all’orizzonte sono dipinte proprio Notre-Dame e la Cité e nell’Adorazione dei magi vi è la città di Bourges con la sua cattedrale. In un’epoca in cui gli artisti iniziano ad apporre sui quadri il loro nome, i re di Francia o

59. Pittura su legno con fondo dorato, Adorazione dei magi (fine xii-inizio xiv secolo). Giotto. The Metropolitan Museum of Art, New York. Rappresentazione per certi aspetti arcaica: fondo dorato, Vergine coricata, Bambino in una culla-sarcofago; ma più «moderna» per altri particolari: il primo re ha deposto la corona ai piedi del Bambino, una costruzione a triangolo sostituisce la grotta.

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i personaggi importanti, spesso donatori del dipinto, si fanno rappresentare come re magi in atto di adorare Cristo. Così è per Carlo v, per Carlo vii, per Luigi xi, per Carlo viii, per Luigi xii, per Luigi xiii bambino, ecc. Nel xvii secolo, sono invertiti i ruoli: Nicolas de Pouilly incide una Presentazione del Delfino sotto forma di Adorazione dei magi (1662). Rappresenta Luigi xiv, Maria Teresa e il Delfino come Sacra Famiglia. Il Delfino ai loro piedi presenta le chiavi della Provenza. Sotto questo aspetto è famosa la cappella dipinta da Benozzo Gozzoli tra il 1459 e il 1462 nel palazzo Medici-Riccardi di Firenze. L’affresco che si sviluppa su tre muri della cappella presenta un fastoso corteo, riflesso del lusso delle corti del tempo e, più in particolare, di quella dei Medici. Esso evoca le feste svoltesi nella città nel 1493 in occasione della venuta del patriarca di Costantinopoli e del Papa Eugenio iv, poi della venuta di Papa Pio ii seguita da quella del duca di Pavia. Benché l’interpretazione più corrente degli affreschi indichi in Melchiorre il patriarca di Costantinopoli, in Baldassarre il re Giovanni viii di Costantinopoli, in Gaspare Lorenzo de’ Medici, sembra che la ricerca attuale riconosca piuttosto Lorenzo il Magnifico nel

60. Affresco, Cappella dei magi (particolare) (tra il 1459 e il 1462). Benozzo Gozzoli. Palazzo Medici Riccardi, Firenze (cfr. anche tav. 70). Superba testa di re adulto (Baldassarre), dipinto sul muro a sud, vestito di verde, magnifico sul suo cavallo bianco.

61. Pittura, Adorazione dei magi (tra il 1500 e il 1510). Bramantino. National Gallery, Londra. Su uno sfondo molto architettonico, la scena è trattata con una certa enfasi. Il re nero compare prima nella pittura del nord Italia.

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re Baldassarre9. I diversi membri della famiglia Medici sono rappresentati nel corteo del re Gaspare al quale si è unito lo stesso pittore. Tuttavia notiamo dei precedenti nel mosaico di San Vitale a Ravenna dove l’imperatrice Teodora offre dei doni accanto ai magi, e sul reliquiario dei re magi di Colonia dove l’imperatore Ottone iv si è fatto a sua volta rappresentare. Simbolismo dei colori degli abiti Allo stesso periodo si dovrebbe far risalire la tendenza a fissare il colore degli abiti dei re magi, avendo ogni colore un valore simbolico: per Melchiorre, abito azzurro-cielo; per Baldassarre, abito rosso, simbolo della terra e dell’uomo; per Gaspare, abito arancione, colore che segna l’equilibrio tra l’oro del cielo e il fuoco della terra. Ma siamo lontani da una norma nettamente stabilita anche per Gaspare i cui abiti bianchi hanno accentuato l’idea di purezza, quando il giovane re ha rappresentato il continente africano. Mondo in rovina Le rovine o le ali di muro sbrecciate compaiono inizialmente nei quadri di scuola fiorentina della fine del xv secolo. Successivamente vengono adottate da tutti gli artisti occidentali. Riguardo a ciò sono state proposte varie interpretazioni. Prendiamo la più semplice che deriva da commentari dei Padri della Chiesa e dal papa san Leone: le rovine sono il simbolo del vecchio mondo che crolla all’avvento di quello nuovo segnato dalla nascita di Cristo. Ciò fornirà il pretesto a nuovi scenari con antichi monumenti in rovina.

62. Pittura, Adorazione dei magi (particolare) (xv secolo). Attribuita a Benedetto Bonfigli. National Gallery, Londra. I personaggi sono ancora aureolati. I costumi sono ricchi ed eleganti. Il primo re, deposta la corona, tiene in mano i piedi del Bambino.

63. Tondo, Adorazione dei magi (1487). Ghirlandaio. Galleria degli Uffizi, Firenze. Scena estremamente complessa su uno sfondo di paesaggio marittimo. Espressioni intense dei personaggi, in particolare della Vergine. Molti gli animali rappresentati, come scolpiti. Data 1487, inscritta su un reliquiario in primo piano.

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Origini diverse Una delle più importanti innovazioni è quella della comparsa del re nero. Una vecchia tradizione risalente ai Padri della Chiesa vedeva nei tre re i discendenti dei tre figli di Noè: Sem, Cam e Jafet. Nel xiv secolo, probabilmente sotto l’influenza di Giovanni di Hildesheim, i tre re rappresenteranno i tre continenti allora conosciuti. Melchiorre, il più vecchio, che discenderebbe da Jafet rappresenta l’Europa; Baldassarre, l’uomo maturo, discendente di Sem, rappresenta l’Asia (si distingue poco nelle rappresentazioni) e Gaspare, il giovane, discendente di Cam, rappresenta l’Africa. Già suggerita da Tertulliano alla fine del ii secolo, l’introduzione del re nero si consolida lentamente. Nell’importantissima opera L’Image du Noir dans l’art occidental, J. Devisse e L. Bugner prendono in esame tale evoluzione. Nell’arte occidentale il nero è, per lunghi secoli, il colore del diavolo, inteso come carnefice o servitore. Per di più la maledizione dei figli di Cam che avrebbero riso della nudità del padre (Gn 9) e generato mostri è stata sviluppata dai Padri della Chiesa. L’immagine negativa del nero si attenua solo progressivamente. Nel 1181 la regina di Saba, che è a poco a poco diventata un’antenata dei re magi e che godeva di un’aura positiva nella teologia cristiana del Medioevo, a Klosterneuburg (Austria) su un ambone commissionato a Nicolas de Verdun, autore del reliquiario di Colonia, è per la prima volta raffigurata come una donna nera (cfr. cap. ii). A metà del xiii secolo in Germania appare per la prima volta un san Maurizio nero, forse per influenza di Wolfram von Eschenbach che, nel suo Parsifal, fa del figlio di una regina nera il tipo ideale del cavaliere pagano. Nello stesso periodo i servitori neri cominciano a fare la loro comparsa nel corteo dei re magi; come vediamo nel pulpito di Siena scolpito da Nicola Pisano e da suo figlio Giovanni. Il re nero fa la sua comparsa nella pittura renana intorno al 1440 ma entra a far parte della tradizione solo nella seconda metà del xv secolo ed è Hans Memling a divulgare questa rappresentazione del re più giovane. Sia nell’Adorazione dei magi del Museo del Prado, il più antico (intorno al 1470), oppure nel trittico di Jan Floreins (Brugge 1479), Hans Memling s’ispira alla Pala di Santa Colomba di Rogier van der Weyden nella cui bottega ha forse lavorato. Ma in entrambi i casi, a differenza del maestro, egli rappresenta il re più giovane con le sembianze di un nero. Lo riproduce ancora nella Pala dei Conciatori detta anche Panorama dell’Avvento e del Trionfo di Cristo (a Monaco).

64. Predella del trittico Oddi, Adorazione dei magi (1502-1503). Raffaello. Pinacoteca Vaticana. Come gli artisti fiorentini, anche Raffaello, all’inizio del xvi secolo, continua a dipingere i tre re bianchi.

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Nello stesso periodo (1464) nel Nord Italia, Mantegna dipinge un re nero in atteggiamento di intenso raccoglimento (quadro della Galleria degli Uffizi). Da notare che il 1464 è l’anno del tricentenario della traslazione delle reliquie da Milano a Colonia e ciò ha necessariamente provocato una nuova riflessione sul tema dei re magi (cfr. tavv. 71-78). Tuttavia la scuola fiorentina ancora non ritiene che i magi siano re rappresentanti di tre diversi continenti, ma dei saggi orientali (come dice il testo biblico) e non sente la necessità di riprodurre un re nero nei suoi dipinti (notare che soltanto l’italiano ha conservato l’originaria parola di «magi»). Lo introduce solo nell’ultima parte del xv secolo. A partire da quel momento, il re nero entra in tutte le composizioni pittoriche. Nell’arte francese l’idea della presenza di un africano, simbolo di tutta una parte dell’umanità, si sviluppa per influenza del duca Jean de Berry. La prima rappresentazione, in un corteo, di un servitore nero, si trova nelle Très Riches Heures du duc de Berry dove il servitore tiene in mano il vessillo del re magio più giovane. Il primo re con lineamenti negroidi lo vediamo in Francia su una vetrata della cattedrale di Bourges (1467). Possiamo attribuire tale evoluzione all’influenza dell’apertura verificatasi grazie alla scoperta di altri mondi. Tuttavia quando i Portoghesi cercano di introdurre un quarto re magio indiano, falliscono. Ciclo dei magi A poco a poco attorno ai magi è nato un ciclo. Il più antico sarebbe quello realizzato su un soffitto del xii secolo nella chiesa di San Martino di Zillis in Svizzera, formato da quindici scene rappresentate su quindici diversi cassettoni. L. Reau nell’Iconografia dell’arte cristiana, distingue in linea di massima sette gruppi di scene. L’annuncio della nascita del Salvatore fatto ai magi da un angelo Ai magi appare un angelo o una stella. Poiché la stella era stata predetta da Balaam, talvolta si trovano anche rappresentazioni dei magi che stanno esaminando la profezia di Balaam, come vediamo in un sarcofago del Museo di Arles o in una vetrata del xiii secolo della Collegiata di Saint-Quentin. Una scena divertente, ma più rara, è quella in cui i magi si congedano dalle mogli, come nella cattedrale di Ulm. In un originalissimo quadro del «Maestro di San Bartolomeo» (xv secolo), recentemente acquisito dal Museo Paul Getty di Los Angeles, il maestro tedesco collega due scene consecutive. I tre magi osservano le stelle dalla cima di tre montagne diverse, poi, nella parte inferiore del quadro, si incontrano per proseguire insieme fino a Betlemme. Sono circondati dalle figure di Davide e Isaia su cui ritorneremo (pp. 130-131). L’incontro dei tre magi guidati dalla stella e la cavalcala verso Betlemme Il tema è stato probabilmente ispirato dal testo di Giovanni di Hildesheim (cfr. cap. iv). Se ne trova un esempio nelle Très Riches Heures du duc de Berry. La cavalcata è molto frequente. A seconda delle epoche le carovane si alternano alle cavalcate; talvolta inoltre, cammelli e cavalli stanno fianco a fianco; il corteo assume una grandezza sempre maggiore. Anche le grandi cavalcate che il 6 gennaio si svolgono nel xiv secolo a Milano e nel xv a Firenze,

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65. Scultura, I cavalli dei magi (xiii secolo). Frammento dell’antico jubé della cattedrale di Chartres. Il tema dei cavalli è utilizzato in aggiunta alle varie scene intorno ai magi.


influenzano l’arte rinascimentale e al seguito dei re magi si vedono cortei sontuosi: essi ispirano le rappresentazioni del trittico della basilica di Sant’Eustorgio a Milano (1347) o dell’affresco di Benozzo Gozzoli nel palazzo Medici-Riccardi a Firenze (1460). A completare le scene si ritrova spesso anche il tema del cavallo: i tre cavalli sono legati insieme, a volte tenuti da un servitore (come a Gargilesse, nel dipartimento dell’Indre) e attendono i loro cavalieri. La rappresentazione che diventerà tradizionale mostra il primo magio che avanza guidato dalla stella mentre il secondo si gira per mostrare al terzo quella stessa stella. I magi si presentano davanti a Erode e agli scribi 66. Pittura, Il viaggio dei magi (circa 1435). Sasseta. The Metropolitan Museum, New York. Questo piccolo pannello era originariamente posto sopra l’Adorazione dei magi di Siena. Tutti i personaggi avanzano simbolicamente a gruppi di tre. La stella, anch’essa simbolica, si trova raffigurata al suolo. In fondo, si profilano le mura di Siena.

La scena di consultazione tra scribi e indovini in merito alle profezie, è talvolta trattata a parte. La si trova di frequente nei capitelli romanici spagnoli. Scribi e indovini si mettono poi intorno a Erode e di fronte ai magi: è la scena riprodotta più di frequente. Erode è spesso sormontato da un demonio alato che rappresenta i suoi malvagi pensieri; lo vediamo così raffigurato nei due capitelli del portale di San Michele della cattedrale di Poitiers. L’arrivo davanti alla mangiatoia La semplice offerta ha preceduto l’adorazione del Bambino. Il tema dell’offerta ossequiente è ricalcato su alcune scene dell’arte trionfale romana (cfr. cap. i). È innanzitutto un simbolo, quello della divinità di Cristo riconosciuta dai grandi della terra. Come abbiamo visto in precedenza, la composizione muta nel corso dei secoli: atteggiamento della Vergine ma soprattutto scenario e atteggiamento dei magi, all’inizio in piedi, poi in movimento e infine in vera e propria adorazione. Per influenza di certi testi, compaiono rappresentazioni del re più vecchio in atto di baciare la mano o il piede del Bambino.

67. Affresco, Adorazione dei magi (particolare) (xii secolo). Cripta della chiesa di Gargilesse, Indre (Francia). Un galoppino (scudiero che porta i messaggi a cavallo) tiene i tre cavalli dei magi.

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La scena diventa a poco a poco il nucleo di una grandiosa composizione che dà luogo a ostentazione di ricchezza e di lusso nell’abbigliamento, ostentazione ben lontana dal testo evangelico ma capace di valorizzare i donatori, principi o ricchi mecenati. Per parecchi secoli è stato uno dei temi più utilizzati dagli artisti e molti di loro l’hanno trattato anche numerose volte. L’avvertimento dell’angelo ovvero il sogno dei magi Su un capitello della cattedrale di Autun si vede una scena deliziosa in cui i tre re sono sdraiati sotto la stessa coperta, nudi, ma con la corona in capo. Il più vecchio e il più giovane dormono tranquillamente mentre il re adulto è destato da una mano dell’angelo che con l’altra gli mostra la stella in cielo. In una rappresentazione dell’antico jubé della cattedrale di Chartres, «i due magi più anziani col sonno più leggero, si destano subito al richiamo dell’angelo, mentre il più giovane continua a dormire coi pugni stretti, beatamente»10. Il tema scompare alla fine del Medioevo. Il ritorno da Tarso Fino al xii secolo il ritorno dei magi si svolge come l’andata e questo produce due scene abbastanza simili come si può vedere dagli affreschi della cappella di Brinay (dipartimento del Cher): sulla parte alta del muro si vedono i magi a cavallo dirigersi verso Betlemme, il secondo che si gira verso il terzo per mostrargli la stella e, sopra questa scena, i magi, sempre a cavallo, che tornano a casa, tutti e tre con lo stesso atteggiamento e l’aspetto preoccupato. Nella leggenda dei magi fa la sua comparsa un nuovo episodio: è l’imbarco nel porto di Tarso e il ritorno per mare che sopprime per gli artisti la doppia scena della cavalcata. Da

A fronte: Tav. 47. Riquadro di pulpito (1302-1311). Giovanni Pisano. Duomo di Pisa. Il pulpito, malauguratamente danneggiato da un incendio nel 1599, è stato ricostruito nel 1926. Uno dei nove riquadri scolpiti nella parte alta del pulpito presenta tre scene che si riferiscono al racconto dei magi: Viaggio dei magi, Adorazione dei magi, con un servitore che tiene per le briglie i tre cavalli e Il sogno dei magi. Si noti l’esuberanza dell’artista. Nelle pagine seguenti: Tav. 48. Trittico detto del «Maestro di Colonia» (particolare), Adorazione dei magi (circa 1300-1330). Wallraf-Richartz Museum, Colonia. In alto la Vergine, con l’aureola, tiene in piedi sulle ginocchia il Bambino circondato da un’aureola cruciforme. Il fondo è ancora dorato, ma presenta una decorazione a foglie circondata di pietre preziose. Tav. 49. Reliquiario eucaristico, Adorazione dei magi (metà xiv sec.). Pierpont Morgan Library, New York. In argento dorato e smalto, vi è rappresentata un’Adorazione dei magi molto vicina al modello gotico; il primo re, inginocchiato, ha in una mano la sua corona e con l’altra offre una coppa piena di grani di incenso; il secondo indica la stella al terzo. Un angelo è davanti alla stella.

68. Bassorilievo (xiii secolo). Portale destro della cattedrale d’Amiens (Francia). Serie di medaglioni che narra la storia dei magi senza una sequenza logica. Si distinguono I magi che guardano le stelle, Erode e i dottori della Legge, I magi davanti a Erode, Il sogno dei magi, Il ritorno dei magi per nave, La flotta di Tarso incendiata per ordine d’Erode, La strage degli Innocenti.

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Tav 50. Affresco, Adorazione dei magi (xiv secolo). Volta della navatella, Tempietto di Cividale del Friuli, Udine. Al centro della volta, Cristo in gloria; alla sua destra San Giovanni Battista e altri santi; alla sua sinistra Adorazione dei magi sotto un cielo stellato. È un vero e proprio programma teologico. A fronte: Tav. 51. Affresco (1304). Giotto. Cappella degli Scrovegni, Padova. Sopra la «stalla» Giotto ha rappresentato la cometa di Halley passata nel 1301. Rappresentazione del paesaggio dietro ai personaggi: grotta accentuata dalla costruzione a triangoli, corone e aureole per i magi, delizioso cammello alle loro spalle.

Nella doppia pagina seguente: Tav. 52. Trittico (particolare), Adorazione dei magi e Fuga in Egitto (1390 circa). Colonia. Bayerisches Nationalmuseum, Monaco. Composizione molto tradizionale del periodo gotico. Tav. 53. Tavola d’altare, Adorazione dei magi (1350 circa). «Maestro di Vyssi Brod». Narodni Galerie, Praga. Un angelo al posto della stella, costruzione quadrata dietro la Madonna col Bambino. Il primo magio offre delle monete d’oro, il secondo una cornucopia.


Nella pagina successiva: Tav. 54. Tabernacolo francese in avorio, Scene della Vita della Vergine (1350 circa). Museo civico medievale, Bologna. Notare la finezza di questi avori tipici dell’arte francese del xiv secolo. In essi la Vergine è al centro delle diverse scene; la presenza dei tre re magi, in basso a sinistra, evoca l’adorazione dei magi.





Tav. 55. Dipinto, Annunciazione e Epifania, particolare (metĂ xiv sec.), proveniente dalla chiesa di San Vincenzo di Cardona. mnac, Barcellona. I tre re inginocchiati offrono i loro doni. Alle loro spalle, un servitore sorveglia le loro cavalcature.




Nelle pagine precedenti: Tav. 56. Manoscritto (Msc. Lat. 17526), Adorazione dei magi. Bibliothèque Nationale, Parigi. Ritroviamo la composizione abituale in questo periodo: il primo magio col ginocchio piegato fino a terra, il secondo in atto di indicare al terzo la stella. La scena è contenuta nella lettera C con cui inizia il secondo capitolo di Matteo in latino (Cum ergo natus esset Jesus...). Tav. 57. Manoscritto delle Très Riches Heures du duc de Berry, Incontro dei magi (inizio xv secolo). Fratelli Limbourg. Musée Condé, Chantilly. Giunti da tre strade diverse, i tre re si incontrano a un crocevia segnalato da un’edicola. Dietro il magio più giovane si scorge un servitore nero. Sullo sfondo si staglia Notre-Dame de Paris.

Tav. 58. Affresco, Adorazione dei magi (xv secolo). Antigny, dipartimento della Vienne (Francia). Esempio di arte naïf di un pittore locale di cui si possono vedere anche affreschi con Adorazione dei magi in altre-due cappelle dei dintorni (Bois-Morand e Jouhet).


Tav. 59. Affresco, Adorazione dei magi, particolare (1420). Saint-Bonnet-le-Château, dipartimento della Loire (Francia). Tutti e tre i re magi, riccamente vestiti, in origine erano bianchi: uno di loro è stato scurito con il restauro del 1920. Nell’affresco sono riprodotti anche: la Vergine sdraiata, la levatrice, la culla e san Giuseppe che prepara il pasto.





Nelle pagine precedenti: Tav. 60. Pala d’altare, Adorazione dei magi (1440 circa). «Maestro di Salisburgo». Kereszteny Muzeum, Esztergom. La Vergine, con lunghi capelli, corona e aureola presenta il Bambino nudo e con l’aureola cruciforme, tenendolo sulle ginocchia; i due re magi in piedi, riccamente vestiti e acconciati, tengono in mano una specie di ciborio. Tav. 61. Pala d’altare, Adorazione dei magi (particolare, 1480). «Maestro di Szmrecsany». Kereszteny Muzeum, Esztergom. Composizione abbastanza simile alla precedente con un neonato fasciato strettamente e un giovane principe dai lunghi capelli.

aggiungere che le navi del porto di Tarso vengono incendiate per ordine di Erode furibondo perché i magi non sono ripassati da Gerusalemme. La leggenda del ritorno per mare è nata dall’interpretazione di un versetto dell’Antico Testamento, «Simile al vento orientale che squarcia le navi di Tarsis» (Salmo 48,8). Si possono vedere questi episodi nel Battistero di Firenze, su due vetrate della cattedrale di Tours e di quella di Soissons o, ancora, sulla facciata della cattedrale di Amiens. Il «ritorno dei magi» divenne una festa in sé. In Italia, fino al xviii secolo, il 1° marzo è la data in cui veniva festeggiato il ritorno dei magi. La consacrazione a vescovi Secondo la leggenda, introdotta da Giovanni di Hildesheim, del battesimo e della consacrazione dei magi ad opera di san Tommaso, un certo numero di rappresentazioni, in

A fronte: Tav. 62. Pala d’altare, Adorazione dei magi (1380). Bartolo di Fredi. Pinacoteca di Siena. È qui rappresentata tutta una parte del racconto dei magi. Sul fondo, in lontananza, i tre re magi arrivano in corteo, entrano in Gerusalemme per consultare Erode e i suoi scribi, poi ripartono per Betlemme dove, mentre un servitore africano tiene per le briglie i loro cavalli, i magi adorano il Bambino, tutti e tre in ginocchio.

69. Copie delle miniature del manoscritto Giardino delle Delizie (Hortus Deliciarum) (xii secolo), bruciato nell’incendio di Strasburgo del 1871. Magnifica striscia disegnata da Herrade di Landsberg, badessa di Mont-Sainte-Odile: i magi provenienti dall’Oriente arrivvarono da Erode. Avendo visto la stella, furono ricolmi di una grande gioia. Essi portarono al Bambino oro, incenso e mirra. Poi, avvertiti in sogno, fecero ritorno per un altro cammino.

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particolare a Colonia, mostrano i magi con la mitra che venne loro data da san Tommaso o dagli angeli. Nel Medioevo, in numerose fonti, si sviluppa così una profusione di scene relative all’avventura dei magi, scene che hanno talvolta prodotto commoventi rappresentazioni. I secoli successivi hanno conservato essenzialmente la scena dell’adorazione del Bambino perché più simbolica. Adorazione dei magi e adorazione dei pastori Nei primi secoli i magi sono rappresentati più di frequente rispetto ai pastori; questi ultimi, spesso limitati a un solo personaggio, sono muniti del caratteristico bastone, mentre il loro abbigliamento non è codificato. I magi compaiono sempre nelle rappresentazioni di arte bizantina. In Occidente le scene si sono differenziate quasi sempre, come le feste liturgiche. Nel xiii e nel xix secolo l’Annuncio ai pastori è spesso presente nella Natività mentre L’adorazione dei pastori è posteriore. Tuttavia si trovano esempi di mescolanza delle due scene: vedi tra l’altro una pala d’altare bretone di Loguivy-lès-Lannion (xvii secolo) o la vetrata della cattedrale di Colonia che reca la data del 1848. Altre scene delle Sacre Scritture accostate per simbolismo Abbiamo visto che nel giorno dell’Epifania, è stato dapprincipio festeggiato il battesimo di Cristo, poi l’adorazione dei magi e infine il miracolo delle nozze di Cana. E quindi logico trovare affiancate queste differenti scene come avviene in alcuni sarcofagi di Arles o nella cappella di Brinay, veri e propri programmi liturgici (cfr. cap. i). Gli articoli del Medioevo hanno anche subito la fortissima influenza dei testi teologici del tempo o delle raccolte d’immagini in cui l’Antico testamento veniva associato al Nuovo: così, ad esempio La Bibbia dei Poveri, lo Speculum Majus di Vincenzo di Beauvais, lo Speculum humanae Salvationis, la Leggenda aurea di Jacopo da Varagine, sono altrettante e numerose fonti di ispirazione11. Nelle rappresentazioni artistiche ritroviamo analoghi accostamenti. A fianco dell’Adorazione dei magi scene e personaggi dell’Antico Testamento che valorizzano le profezie cosiddette messianiche oppure la fede di certi uomini: così Balaam che tiene in mano la sua profezia o indica la stella o benedice il popolo ebraico (Nm 22-24), Mosè che percuote la roccia o è davanti al cespuglio ardente (Es 3 e 17), Davide alla cui discendenza è collegato Gesù (Mt 1), Isaia per via delle famose profezie, i tre ebrei gettati nella fornace per ordine di Nabucodonosor per aver rifiutato di adorare un falso dio e che da essa uscirono

70. Pittura murale, I tre ebrei nella fornace (i o ii secolo). Catacomba di santa Prisicilla, Roma. I tre ebrei indossano anch’essi il costume frigio-persiano. Nella stessa catacomba si trova la più antica rappresentazione dei magi. 71. Pittura murale, I tre ebrei nella fornace (iii secolo). Catacomba della via Latina, Roma.

72. Sarcofago in legno di quercia scolpito, Adorazione dei magi (xvii secolo). Castello Dauphin, Pontgibaud, Puy-de-Dôme (Francia). Pannello centrale di un magnifico sarcofago che poggia su uno zoccolo elevato.

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indenni (Dn 3)12 e così pure Daniele nella fossa dei leoni (Dn 6) o Abacuc che porta il cibo a Daniele13, accostamento effettuato dal Vangelo armeno dell’infanzia (cfr. p. 28 e tav. 9). Spessissimo troviamo anche la regina di Saba che, pur essendo una regina straniera, si è venuta a inchinare davanti alla saggezza di re Salomone, così come i magi sono venuti a inchinarsi davanti a Gesù (1 Re 10). Nel Medioevo erano ambedue considerati antenati dei re magi. Si possono vedere numerosissimi esempi di tale scena, La regina di Saba davanti al re Salomone, in particolare su diverse vetrate della cattedrale di Colonia. L’epoca moderna

73. Pittura, Adorazione dei magi (circa 1520), Maestro d’Anversa. Alte Pinakothek, Monaco (Germania).

74. Pala d’altare barocca, Adorazione dei magi. Chiesa di Saint-Pierre de Melle, Charente-Maritime (Francia).

A partire dal xvii secolo non vi sono più grandi innovazioni nel trattamento della scena di adorazione dei magi, benché gli artisti molto spesso dipingano ancora tale tema sia nel xvi che nel xvii secolo. Nonostante gli storici della Chiesa, nel xvii secolo, considerino alla stregua di favole tutto ciò che è stato aggiunto al racconto evangelico, nel complesso gli artisti restano assai fedeli alle antiche regole tranne, a volte, per ciò che si riferisce alle diverse età dei magi: vedi Velàzquez o Rubens in certe rappresentazioni (Museo di Anversa)14. Le interpretazioni del tema dei re magi subiscono l’influenza dei fatti di attualità. A Cravant (dipartimento dell’Indre-et-Loire) sulle vetrate della chiesa risalente al 1604, curiosamente, sono rappresentati come re magi il ministro Sully in ginocchio e il re di Francia Enrico iv in piedi dietro di lui. È il momento della riconciliazione tra cattolici e protestanti e la vetrata ne rappresenta una forte testimonianza. Pieter Brueghel il Giovane dipinge un’originalissima Adorazione dei magi: ai piedi del Bambino si congiungono due cortei; uno, a sinistra, con tre re bianchi, l’altro, a destra, con tre re neri, in totale e perfetta simmetria. Sotto l’influenza degli avvenimenti in Oriente, i magi assumono l’aspetto di turchi con il turbante. Lo vediamo, ad esempio, in Rubens, negli spagnoli Mayno e Zurbaràn o nell’artista fiammingo che ha dipinto il Viaggio dei magi, tema raro all’epoca: i magi procedono a piedi in un paesaggio di rocce, tengono in mano i doni e indicano la stella (Musée de Chièvres a Poitiers). Claude Vignon, pittore di Luigi xiii e Richelieu, ha dipinto più di una ventina di Adorazioni dei magi di cui sette sono state esposte alla mostra delle sue opere che si è tenuta a Tours nell’inverno 1993-1994. Una di esse aveva la particolarità di presentare un angelo per ognuno dei tradizionali personaggi e lo stesso Gesù Bambino era sorretto da due angeli e non dalla madre. È possibile accostare la rappresentazione dell’Annunciazione alle Très Riches Heures du duc de Berry che raffigura il Bambino sorretto da quattro angeli-uccelli azzurri? Gli artisti danno talvolta alla scena un colore locale molto accentuato come possiamo vedere in una pala d’altare bretone del xvi secolo, dipinta su tavola, che rappresenta un personaggio in atto di suonare il biniou15 nella cappella di Loguivy-lès-Lannion o nella scultura di un portale laterale della cattedrale di Siviglia in cui uno degli adoratori porta un cappello a tesa larga tipicamente andaluso. Questa è anche l’origine dei Cantici natalizi popolari (cfr. cap. iv) e dei presepi (cfr. cap. v). Nel xix e nel xx secolo, le vetrate sono il sostegno principale nella rappresentazione della scena dei magi: così nella cattedrale di Colonia, nella chiesa di Saint-Gatien a Tours, a Quimper, nella chiesa di Saint-Avé (Morbihan), di Bressuire (Deux-Sèvres) o a Maastricht (Olanda). Jan Dibbets progetta una grande composizione simbolica per le vetrate della cattedrale di Blois16: i nomi dei tre re magi saranno anche accompagnati da una corona. Se quadri e sculture destinati alle chiese sono meno numerosi di un tempo, altri supporti,

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come cartoline di auguri, quadri più modesti, piatti decorativi, forniscono ogni anno nuove interpretazioni del ben noto racconto con un deciso ritorno alla semplicità o al simbolismo. Anche se ci troviamo spesso ben lontani dallo spirito del Vangelo con la pompa e il lusso che certe rappresentazioni dell’adorazione dei magi o del corteo dei re presuppongono, siamo stupiti dalla ricchezza della fantasia degli artisti. Partendo da una semplicissima scena originaria che mostra tre personaggi identici e nella stessa postura che si dirigono verso il Bambino e la Madre, abbiamo visto la composizione della rappresentazione evolvere in direzione di un insieme complesso. La scena su più piani occupa un posto importante e ha un significato simbolico. I magi rappresentano le tre età della vita, diventano poi dei re, sono l’immagine dei tre continenti conosciuti nel Medioevo allo scopo di far comprendere meglio l’idea di universalità. Vestiti di ricchissime stoffe, come si addice a dei sovrani, portano le loro offerte in vasi preziosi, poiché i quadri sono il riflesso degli abiti di corte, del vasellame e delle abitudini del periodo in cui sono stati dipinti. Le posture mutano e indicano il vassallaggio davanti a Cristo Signore. Segue un folto e pittoresco corteo che mette insieme uomini e animali diversi e permette agli artisti di mostrare la loro capacità di osservazione e la loro fantasia. In seguito gli artisti hanno immaginato soprattutto delle varianti legate agli avvenimenti storici e alla realtà geografica dei luoghi in cui vivevano, senza cambiare sostanzialmente il programma iconografico dei predecessori. Ai giorni nostri, i magi continuano a essere fonte di ispirazione e riescono a ritrovare più spesso l’originaria semplicità. Possiamo chiederci se le recenti opere letterarie che evocano l’idea di un quarto re magio riusciranno a produrre una nuova rappresentazione. Vero è che è più facile immaginare il personaggio in un racconto che in un’opera d’arte. Note Abbiamo lasciato da parte lo studio della rappresentazione di Giuseppe, che pure è molto interessante, o di Erode con il suo seguito. 2 Pantaloni aderenti alle gambe, portati da medi, persiani e popoli barbari dell’Asia antica (ndt). 3 Duchesne e Bayet, Mémoire sur une mission au mont Athos. 4 Viene da questa rappresentazione il recente nome della sonda Giotto, inviata per esplorare la cometa di Halley. 5 G. Vezin, L’Adoration et le cycle des mages dans l’art chrétien primtif. 6 Ch. Schoebel, Storia dei re magi. 7 É. Mâle, Les Rois Mages et le drame liturgique. 8 J. Chevalier e A. Geerbrant, Dizionario dei simboli. 9 C. Accidini Luchinat, Benozzo Gozzoli: la cappella dei Magi. 10 L. Réau, Iconographie de l’art chrétien. 11 É. Mâle, L’Art religieux du xiiie siècle en France; L’Art religieux de la fin du Moyen Âge en France. 12 Sono rappresentati con lo stesso costume dei magi sui sarcofagi del iv secolo. 13 Daniele è peraltro chiamato anche Baldassarre (o Beltassar) (Dn 1,7; 2,8 ...) da non confondere con il nome del re Beltasar (o Baltazar) a cui, nel corso di un banchetto, Daniele chiede la spiegazione dei nomi scritti da una mano sul muro (Dn 5), da cui l’espressione «un banchetto da Baltazar» (Balthasar). 14 É. Mâle, L’Art religieux de la fin du xvie, du xviie et du xviiie siècle. 15 Biniou: sorta di cornamusa bretone. 16 Incontro con il patrimonio religioso, 1996. 1

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75. Vetrata, Natività (particolare) (xix secolo). Chiesa di Notre-Dame, Bressuire, Deux-Sèvres (Francia). Sotto la scena principale i tre re sono rappresentati in cammino, guidati dalla stella.


Capitolo quarto I MAGI ATTRAVERSO LA LETTERATURA


Il racconto che, come abbiamo visto, è di origine orientale, ha avuto un grande successo anche in Occidente, in particolare dopo il 1164, anno del trasferimento delle reliquie dei re magi da Milano a Colonia. Partendo dai testi letterari che hanno come tema i magi, seguiremo al tempo stesso tutta l’evoluzione dei diversi generi letterari nati nel corso dei secoli. Dapprincipio, agli albori della Chiesa cristiana, sviluppano questo soggetto testi latini, greci o siriaci dei Vangeli apocrifi, commentari e sermoni dei Padri della Chiesa, inni; poi, nel Medioevo, gli danno il cambio i drammi liturgici destinati a rendere più vivi i sacri racconti, all’inizio in latino poi, nel momento in cui il popolo prende parte alla celebrazione, in volgare, per finire con le sacre rappresentazioni del xiv e del xv secolo; seguono poi le canzoni popolari; alcune «chansons de geste» nominano i tre re; alcune cronache raccontano la loro storia e quella delle loro reliquie; vengono pubblicate anche alcune agiografie che raccolgono tutte le tradizioni attuali in quel tempo; le forme teatrali, le canzoni, i sermoni si susseguono nel xvi e xvii secolo; poi il tema subisce il trattamento ironico e spesso osceno degli atei del xviii secolo e rinasce attraverso i poemi romantici del xix secolo per arrivare infine alle novelle e ai racconti, se non ai romanzi del xx secolo.

Nella pagina precedente: 76. Manoscritto (Pal. Lat. 537 f. 86r), Libro delle Ore inglese. Biblioteca Vaticana. Sotto una Adorazione dei magi abbastanza tradizionale, un Sogno dei magi molto originale posto all’interno della lettera «D»: i tre re stanno dormendo sotto la stessa coperta, ma l’angelo sveglia il più anziano; il secondo ha gli occhi semiaperti; il più giovane dorme profondamente. Colori vivaci in questa miniatura in cui predominano il blu e il rosso su un fondo dorato.

Inni Non riprenderemo lo studio dei testi più specificamente religiosi (cfr. cap. i) ma ci dilungheremo piuttosto su testi a carattere più letterario come gli inni di Prudenzio in latino o quelli di sant’Efrem in siriaco in ciò seguendo lo studio che ne hanno fatto Bayet e Duchesne1. Il confronto tra i due testi è interessante. Scritti all’incirca nello stesso periodo, cioè nel iv secolo, il testo occidentale di Prudenzio è zeppo di citazioni, allusioni e simboli; mentre il testo orientale di sant’Efrem è maggiormente orientato verso la mistica, le descrizioni immaginarie, le ripetizioni che accentuano l’effetto enfatico e prodigioso.

77. Capitello, Adorazione dei magi (particolare) (fine xii secolo). Chiesa primaziale di Saint-Trophime d’Arles (Francia). La Vergine su un seggio tiene in braccio un Bambin Gesù trattato come un adulto. Al posto della stella, un fiore geometrico a quattro petali. I vari personaggi della scena sono separati da colonne.

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Prudenzio: «De Epiphania» (Cathemerinon, inno xii) «Sulle rive del golfo Persico, là dove il sole nasce, i magi, interpreti sapienti, scorgono il sacro stendardo. Da quando brilla, gli altri astri si appannano e il brillante Lucifero stesso non osa combattere contro di lui. Chi è, dicono, quel sovrano così potente da comandare gli astri? … E il re delle nazioni, il re del popolo ebraico promesso ad Abramo e alla sua razza… Ecco che già si leva il fiore di David, frutto dell’albero di Jesse; pieno di vigore, tiene lo scettro e occupa il potere. I magi così eccitati, gli occhi rivolti al cielo, seguono il solco della stella e la sua traccia luminosa. Ma essa si ferma sopra il Bambino e con la sua luce rivela la sacra testa. Appena i magi la vedono, aprono i tesori portati dall’Oriente e si prosternano, offrono l’incenso, la mirra e l’oro dei re. Riconosci i segni luminosi della tua potenza e della tua regalità, Bambino, a cui il Padre ha già destinato una triplice natura. L’oro e il profumo dell’incenso sabeo annunciano il re e il Dio; ma la polvere della mirra anticipa il sepolcro». Sant’Efrem, Cantico

78. Manoscritto, Evangeliario di Spira (1197). Badische Landesbibliothek, Karlsruhe (Germania). Numerosi manoscritti illustrano il racconto dei magi. Qui vi è una scena doppia: Viaggio dei magi con magnifici cavalli e Adorazione dei magi: il loro tocco (berretto) da viaggio è sostituito da una corona.

«Quando arrivando ebbero trovato il Bambino, che ancora non parlava, sdraiato nella casa di una donna povera, si prosternarono, pieni di gioia e lo adorarono e di persona gli offrirono i loro tesori. Maria disse loro: «Per chi sono, e perché? Quale ragione vi ha fatto uscire dal vostro paese e venire con i vostri tesori dal Bambino?». Le risposero: «Tuo figlio è re, e sulla sua testa riunisce tutti i diademi perché è il re di tutti e il suo regno è più in alto del mondo e alla sua volontà tutto obbedisce». «Ma quando mai è successo che una povera donna desse alla luce un re? Io sono povera e priva di tutto, come può essere che io abbia dato alla luce un re?». «Solo a te è capitato di generare un grande re e per mezzo tuo, la povertà sarà glorificata, e le corone si umilieranno davanti a tuo Figlio… L’alto dei cieli, parlando per mezzo di una sola stella, ha smosso la Persia e ad esso è stato assicurato che tuo Figlio è il Figlio di Dio e che tutte le nazioni saranno a lui sottomesse. Riportate la pace nel nostro paese e che la pace si diffonda nelle vostre campagne. Messaggeri veritieri della verità, siate considerati tali in tutto il vostro viaggio…». Estratti dai testi citati in Memorie su una missione sul monte Athos, di Bayet e Duchesne.

I due esempi provano che il racconto dei magi è molto popolare già dal iv secolo. Per contro, in generale, il periodo compreso tra il vi e il x secolo è molto povero di testimonianze artistiche e letterarie. Sermoni Non torneremo sopra i sermoni in latino dei Padri della Chiesa (cfr. cap. i). Bisogna attendere la rinascenza della Chiesa che ha un ruolo fondamentale nella società del x e dell’xi secolo, per veder riapparire delle opere letterarie o artistiche. Tutto avviene dentro la Chiesa o attorno ad essa; il popolo tutto partecipa, tanto alla costruzione di chiese sempre più importanti quanto alla celebrazione degli uffici. Sermoni e uffici liturgici sono al centro della celebrazione.

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Citiamo un sermone di san Bernardo (xii secolo) che mette in evidenza l’apparente follia dei magi che adorano un neonato in una stalla, ispirato alla prima Epistola ai Corinzi (1,18-27): ciò che appare folle agli occhi degli uomini è saggezza e potenza di Dio, poiché la saggezza degli uomini è solo follia per Dio. Uno dei più noti predicatori è Maurice de Sully, vescovo di Parigi (1120-1196) che ha fatto costruire Notre-Dame e che è peraltro molto celebre anche per la sua eloquenza che ispirava numerosi altri predicatori. Uno dei suoi sermoni è un vero e proprio racconto agiografico dei magi, come scrive M.-A. Elissagaray2. «La storia dei magi è qui raccontata in modo particolareggiato nella prima parte; il significato delle offerte, l’esempio che la fede dei tre re deve rappresentare per tutti i cristiani occupano la seconda parte del sermone». Drammi liturgici Inizialmente molto brevi, sotto forma di piccoli dialoghi tratti dai Vangeli, questi uffici liturgici in latino acquistano una sempre maggior ampiezza. È il tema della Resurrezione, che per primo è stato messo in scena nel x secolo e che costituisce, insieme al tema della Passione, il nucleo dei grandi drammi liturgici del xv secolo. Ma presto le scene riguardanti la maturità e in particolare il racconto dei magi vengono messi sotto forma di dialogo negli uffici liturgici detti per questo «uffici della stella» o «uffici dei magi», una tradizione che sembra partire dall’abbazia di San Marziale di Limoges per allargarsi in seguito all’intera Europa. Il manoscritto più antico finora repertoriato e pubblicato da H. Kehrer si trova a Monaco di Baviera ed è probabilmente ispirato dall’Opus imperfectum in Matthaeu (cfr. cap. i); risale all’xi secolo e sembra essere stato il prototipo di manoscritti provenienti da Saint-Benoît-sur-Loire e da Strasburgo. Attraverso lo studio di questi testi, si avverte perfettamente l’evoluzione e al tempo stesso lo sviluppo del dramma liturgico e della leggenda dei magi. Assai semplici all’inizio

A fronte: Tav. 63. Formella della porta nord, Adorazione dei magi (1403). Lorenzo Ghiberti. Battistero di Firenze. Transizione tra l’arte gotica e quella rinascimentale: entro una cornice di dimensioni ridotte la concisione è d’obbligo; il materiale e la finezza esecutiva, costituiscono la ricchezza della formella. Nelle pagine seguenti: Tav. 64. Predella del Polittico di Pisa (particolare), Adorazione dei magi (1426). Masaccio. Gemäldegalerie, Berlino. Composizione originale: gli animali occupano un posto importante su entrambi i lati della scena. La sottomissione al Bambino-Re è accentuata dal fatto che non solo il re magio più anziano ha deposto la corona ai piedi di Gesù, ma che anche gli altri due re si fanno togliere le loro dai rispettivi servitori. Tav. 65. Pala d’altare, Adorazione dei magi (1423). Gentile da Fabriano. Galleria degli Uffizi, Firenze. Commissionata da Palla Strozzi, la fastosa pala riflette il lusso della Firenze del tempo. La composizione è molto minuziosa. Il corteo ha una grande ampiezza e collega la scena in primo piano con lo scenario sullo sfondo.

79. Affresco (particolare), Viaggio dei magi e Adorazione dei magi (xii secolo). Chiesa di Nohant-Vicq, Indre (Francia). Pittura piuttosto naïf: la velocità dei cavalli è suggerita da tre zampe che debordano dal quadro della scena. L’artista alla fine non aveva più spazio per dipingere il terzo re nell’Adorazione dei magi.

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Tav. 66. Affresco, Adorazione dei magi (1440 ca.). Beato Angelico o Benozzo Gozzoli su disegno del Beato Angelico. Convento di San Marco, cella 39, Firenze. Cella maggiormente decorata rispetto alle altre, destinata ai ritiri di Cosma de’ Medici che venerava in modo particolare i re magi e li aveva fatti rappresentare anche sui muri della cappella del suo palazzo (cfr. tav. 70); cella occupata da papa Eugenio iv al momento della consacrazione del convento, il giorno dell’Epifania 1443.

A fronte: Tav. 67. Predella del Tabernacolo dei Linaiuoli (1433 circa). Beato Angelico. Convento di San Marco, Firenze. Scena ancora più semplice che esprime un grandissimo rispetto per il Bambino e per la madre e una certa familiarità nei riguardi di Giuseppe. Gli abiti sono perlopiù quelli degli artigiani che hanno commissionato il tabernacolo: drappieri, linaioli e sarti.


Nelle pagine seguenti: Tav. 68. Tondo, Adorazione dei magi (1435 circa). Domenico Veneziano. Gemäldegalerie, Berlino. Pittura che risente al tempo stesso dell’arte gotica per la preziosità e di quella del Rinascimento per le ricerche sulla prospettiva. Domina la scena il servitore africano che campeggia su un cammello dal portamento altero. Sul tetto della «stalla» è appollaiato un pavone, simbolo dell’immortalità.

Tav. 69. Tondo, Adorazione dei magi (1473 circa). Sandro Botticelli. National Gallery, Londra. Appaiono, al posto dei paesaggi verdeggianti, rovine o ali di muro cadenti, simboleggianti il mondo antico che crolla all’avvento del mondo nuovo, motivo a quel tempo ripreso da tutti gli artisti dell’Occidente. È presente anche il pavone.


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Tav. 70. Affresco, Adorazione dei magi (particolare) (tra il 1459 e il 1462). Benozzo Gozzoli, Cappella Medici, Palazzo Medici Riccardi, Firenze. Scenario e corteo sontuosi che richiamano il lusso della corte dei Medici e di quella di Bisanzio e che si svolge sui tre muri della cappella; a est, vestito di bianco il giovane re Gaspare è seguito da diversi membri della famiglia Medici e dallo stesso pittore che, sul proprio berretto, ha firmato l’opera.


(tre personaggi in corteo in atto di portare i loro tesori, accompagnati talvolta da un angelo o da un personaggio recitante) per influenza dei Vangeli apocrifi si fanno più ampi per numero di personaggi e di azioni: levatrici, servitori, re che arrivano da direzioni diverse, stella che si accende, personaggio di Erode che assume un ruolo sempre più grande nel corso degli anni ed è circondato da scribi, da dottori della legge, da inviati diversi; per finire con i drammi sacri che includono pastori e magi contemporaneamente. Ufficio dei magi di Limoges L’Ufficio dei magi di Limoges è il più antico e il più breve. Rappresenta in maniera molto sobria i versetti del Vangelo di Matteo.

80. Smalto di Limoges, Lapide di Grandmont, Adorazione dei magi (dopo il 1189). Musée des Thermes et de l’Hôtel de Cluny, Parigi. Nel 1181, i frati di Grandmont portarono da Colonia nel Limousin le reliquie delle compagne di sant’Ursula, santa protettrice di Colonia insieme ai re magi. Se ne ritrova l’influsso nei drammi liturgici e nelle rappresentazioni artistiche.

«Cantato l’offertorio, prima di andare all’offerta, tre religiosi che rappresentano i re magi, con abiti di seta, una corona d’oro in testa, entrano dalla porta principale del coro; recano in mano una coppa d’oro o qualche altro oggetto prezioso. Camminano con gravità e cantano: “Oh quanto è degno di lodi il giorno In cui è stata resa manifesta al mondo, la nascita di Cristo, Giorno in cui la pace è annunciata agli uomini – Gloria nei cieli! Il segno di questa nascita recente brilla in Oriente: I re d’Oriente accorrono, seguendo la stella che li guida; I re accorrono e adorano Dio nella mangiatoia. I tre re adorano, triplice è l’offerta”. Il primo re, levando la coppa: “L’oro per primo”. Il secondo re: “L’incenso per secondo”. Il terzo re: “La mirra per terza”. Il primo: “L’oro al re”. Il secondo: “L’incenso al Dio”. Il terzo: “L’unzione della mirra all’uomo”». «Girano intorno al coro, uno di loro leva la mano, mostra la stella che li precede ed è appesa a un filo e canta: “Ecco il segno che il Re ci mostra”. Tutti e tre insieme si dirigono verso l’altare maggiore e cantano: “Andiamo verso di lui per offrirgli i nostri doni, oro, mirra e incenso”». «Fanno la loro offerta; allora un bambino che rappresenta un angelo, salito sull’altare, canta: “Vi annuncio una novella, Cristo è nato, il padrone del mondo, A Betlemme, in Giudea, come il profeta Aveva predetto”». «Abbagliati da questa visione, i Magi escono dalla porta della sagrestia cantando: “Il re dei Cieli è nato a Betlemme”». Testo fornito da M.-A. Elissagaray, in La leggenda dei re magi Più che per l’aspetto letterario, molto spesso goffo e ingenuo, l’importanza di questi drammi risiede nel loro influsso sull’arte contemporanea come viene detto nell’articolo di Émile Mâle nella «Gazette des Beaux-Arts» del 19103. I portali delle chiese e le vetrate si animano come le scene recitate davanti al pubblico (cfr. p. 105). È pur vero che alcuni sporadici modi di rappresentazione sono anteriori ai drammi liturgici, ad esempio la posizione del re inginocchiato. Ma è assai probabile che scultori e

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mastri vetrai abbiano subito l’influenza dei drammi liturgici che si svolgevano sotto i loro occhi nelle chiese e che, viceversa, anche certi particolari di messinscena si siano ispirati a scene scolpite o dipinte su vetro. Gli uni e gli altri facevano opera di educazione popolare nell’offrire agli sguardi della folla scene tratte dall’Antico o dal Nuovo Testamento. «Chansons de geste» e cronache M.-A. Elissagaray cita la «chanson de geste» Aïol e Mirabel che risale al xii secolo e racconta la storia dei tre re magi per dimostrare la realtà della nascita di Cristo. Nel Roman d’Aquin all’incirca nello stesso periodo, Carlo Magno in una preghiera invoca il nome dei re magi. Roman d’Aquin Preghiera di Carlo Magno «Signore Iddio, questo dice Carlo il barone, Che scendesti dal cielo per salvare il mondo… Nascesti a Betlemme senza aver nulla E i tre Re vennero a visitarti e quello che ti offrirono non volesti rifiutare, Essi ti offrirono mirra, incenso e oro lucente». Testo citato da M.-A. Elissagaray

Ma, naturalmente, è dopo il 1164 che tutta una letteratura fiorirà su di loro. Dapprincipio, fanno la loro comparsa cronache che riferiscono l’invenzione e la traslazione delle reliquie scritte da Guglielmo di Newburg, Robert de Thorigny (cfr. cap. ii), Philippe Mousket vescovo di Tournay (Chronique rimée) e molti altri; ma anche numerosissimi riferimenti in testi letterari diversi a partire dalla fine del xii-inizi del xiii secolo: Vie de saint Gilles, Roman de Dolopathos, Roman de la Violette, Renaud de Montauban, Parise la Duchesse; gli ultimi due testi riferiscono di miracoli attribuiti ai re magi, quali la resurrezione di Renaud de Montauban e il ritrovarsi dopo molto tempo di una madre con suo figlio. Agiografie Per altro considerati a vario titolo come santi (in tedesco sono chiamati «die Heiligen drei Könige») i magi hanno prodotto come gli altri santi opere che narrano la loro vita e la loro testimonianza di cristiani. Leggenda aurea Una prima sintesi di vite di santi nel xiii secolo è operata da Jacopo da Varagine, domenicano e vescovo di Genova. Nella Leggenda aurea che risale al 1264, egli riferisce tutto quello che si diceva riguardo ai santi. Naturalmente quindi parliamo di un testo ecclesiastico in latino. Non inganniamoci sul titolo: la parola «leggenda» ha ancora il significato latino di «ciò che deve essere letto» e l’aggettivo «aureo» sottolinea il valore di questi insegnamenti. In Jacopo da Varagine c’è già stato un tentativo di distinzione tra ciò

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81. Manoscritto, Graduale P (1450). Zanobi Strozzi. Museo San Marco, Firenze Inscritta nella lettera «C», la scena dell’Adorazione dei magi, estremamente raffinata, è dominata dalla stella.


che è potuto realmente accadere e ciò che è verosimile, con il primato attribuito all’insegnamento dogmatico. Siamo tuttavia colpiti dal numero di racconti similari nella vita dei diversi santi; vite che non hanno un valore veramente storico ma rispondono alla volontà di far comprendere il conflitto tra Dio e lo spirito del Male di cui l’uomo è «il terreno, la posta in palio e l’attore», come ci dice il reverendo padre H. Savon nell’introduzione da lui curata della Leggenda aurea, pubblicata presso Garnier-Flammarion. Jacopo da Varagine ci trasmette spesso tutte le possibili interpretazioni, per esempio sul significato della parola «magio», sul significato dei doni offerti al bambino, sulle ragioni della rapidità con cui i magi arrivano a Betlemme, ecc.; è il tipo di ricerca scolastica medioevale pur ugualmente partecipe dell’epopea popolare (cfr. p. 46). In quei racconti possono insinuarsi errori grossolani come la citazione relativa all’Imperatore Enrico come colui che avrebbe trasferito le reliquie da Milano a Colonia. Historia trium regum Fin dal secolo successivo, le credenze relative ai re magi si sono amplificate; in Germania sono raccolte da Giovanni di Hildesheim. L’arcivescovo di Colonia, Rinaldo di Dassel, responsabile del trasferimento delle reliquie da Milano a Colonia (vedi cap. ii) era stato in precedenza prevosto di Hildesheim come Giovanni e aveva donato alla cattedrale le reliquie di tre dita dei re magi. La Historia trium regum, scritta ovviamente in latino tra il 1364 e il 1375, ha avuto un grande successo: nel xv secolo sono stati repertoriati sessanta manoscritti di cui otto in Francia. Goethe fu il primo a scoprirne uno nella biblioteca di Heidelberg e lo fece tradurre in tedesco. Vi sono anche tre manoscritti francesi che alludono a un originale latino (forse quello di Giovanni di Hildesheim): sono traduzioni che risalgono verosimilmente alla fine del

82. Estratto del tesoro della Confraternita dei Tre Re di Colonia (particolare), Adorazione dei magi (meta xiii secolo). Museo Kestner, Hannover (Germania). Le confraternite dei magi hanno prodotto numerose opere artistiche o musicali sui magi, a Colonia così come a Milano, a Firenze e altrove.

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secolo. Uno di questi testi è quello pubblicato da M.-A. Elissagaray. Ecco in sintesi gli elementi principali contenuti nei quarantasei capitoli della Storia dei tre re. Dapprima la storia cerca di mostrare come l’Oriente sia arricchito dalla fede dei tre re magi e l’Occidente dalle loro reliquie, come essi risalgano alla tradizione di Balaam e come attesero l’apparizione della stella sulla montagna di Vaux mettendosi in viaggio solo dopo la sua apparizione. Il testo descrive i tre regni: quello di Melchiorre, l’Arabia, ricca di oro di cui divenne erede il prete Gianni; i regni di Gaspare e Baldassarre, ricchi di incenso e mirra (Gaspare è presentato come un etiope nero). Ricorda come i tre re partirono ognuno dal suo regno e si incontrarono vicino a Gerusalemme, trasportati in pochissimo tempo per potere di Dio; narra poi la nascita a Betlemme secondo il Vangelo di Luca, le ragioni della venuta dei re a Gerusalemme, l’incontro con Erode, l’arrivo a Betlemme con la descrizione del luogo, i loro doni a cui è aggiunta una mela d’oro sbriciolata dalle mani di Gesù Cristo. In seguito si narra del ritorno durato due anni, l’inseguimento di Erode che a Tarso fa distruggere la loro nave, la costruzione di cappelle sia sulla montagna di Vaux che a Betlemme: seguono la storia dei trenta denari d’oro offerti da Melchiorre a Gesù Cristo; il ritorno della Sacra Famiglia dall’Egitto in Giudea; il viaggio di san Tommaso nelle Indie dove incontra i re magi da lui consacrati arcivescovi, i quali a loro volta ordinano patriarca Giacomo di Antiochia; l’ordinazione di prete Gianni. Si ricorda poi la verginità dei tre re, la morte a centosei, centonove e centododici anni; la sepoltura nella città di Zeuva e i miracoli da loro compiuti. Sono passate in rassegna tutte le azioni di santa Elena, in particolare l’acquisizione delle reliquie dei re, dapprima di due di loro, poi del terzo in cambio del corpo di san Tommaso, la loro sistemazione nella chiesa di Santa Sofia di Costantinopoli, infine la traslazione prima a Milano e poi a Colonia. Il testo si conclude con i diversi modi di onorare i re in Oriente secondo le varie sette, con alcuni testi di lode a Dio e ai tre re, e finisce con un inno in onore di Colonia (cfr. p. 66). In cento anni le avventure dei re magi sono passate dalle poche pagine della Leggenda aurea a un’importantissima raccolta di tutto ciò che, da vicino o da lontano, poteva riferirsi a quei personaggi favolosi. La Historia trium regum colma di digressioni e brulicante di racconti leggendari diffusi in quei tempi, e per ciò stesso per noi interessantissima, vuole soprattutto mettere in evidenza la santità dei tre re magi, assunti come patroni di Colonia, che è resa ancora più famosa grazie ai pellegrinaggi suscitati dalla venerazione delle loro reliquie (cfr. cap. ii). Il testo rappresenta una vera miniera per le rappresentazioni sia artistiche che drammatiche. xv

83. Manoscritto, Adorazione dei magi (xv secolo, Francia). Biblioteca Nazionale, Madrid (Spagna). Sotto la scena principale, i cammelli e i cavalli evocano il corteo dei magi.

84. Timpano, Adorazione dei magi (xiv secolo). Collegiata di Saint-Martin, Colmar, Haut-Rhin (Francia). Come conseguenza della discesa del corteo delle reliquie dei magi lungo il Reno, da Brisach a Colonia, l’Alsazia è particolarmente ricca di rappresentazioni dell’Adorazione dei magi. Qui, due angeli tedofori e un angelo che porta la stella sottolineano l’idea che Cristo è la luce del mondo.

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Primitiae gentium seu historia sanctissimorum trium regum magorum evangelicorum

85. Vetrata, Adorazione dei magi (xiv secolo). Tempio di Saint-Étienne, Mulhouse, Haut-Rhin (Francia). L’insieme delle scene si ispira allo Speculum humanae salvationis (Specchio della salvezza del genere umano) del domenicano Ludolfo di Sassonia: sulla vetrata precedente, in cui è rappresentato il Viaggio dei magi, la stella è sostituita dal busto di Cristo che appare tra le nuvole.

Nel 1654 viene pubblicata a Colonia, intorno alla storia dei re magi, più che un’agiografia una summa teologica, opera del gesuita tedesco Hermann Crombach, con la prefazione di Elenchus, domenicano di Colonia. Crombach dedica alla sua ricerca 880 pagine suddivise in tre temi e 400 capitoli pieni zeppi di riferimenti ai testi biblici, ai commentari dei Padri della Chiesa e a tutti i commentatori dei Vangeli ivi compresi Lutero e Calvino, oltre a numerosi testi letterari. Il tomo i, dedicato a Enrico Massimiliano, arcivescovo e principe elettore di Colonia, presenta i re magi come testimoni della Buona Novella, primi evangelisti e teologi a provenire da nazioni pagane, diventati poi vescovi e martiri; santi tra i santi, da cui risulta che l’Epifania è la prima festa solenne dell’anno. Sono così passate in rassegna, assieme alle profezie delle Sibille, tutte le profezie e le figure dell’Antico Testamento che è possibile accostare alla storia dei tre re e all’Epifania. Poi si studia l’origine, la patria dei santi re legati all’attesa di un nuovo astro che annuncia il Messia. Il tomo ii, con dedica a Francesco duca di Lorena, vescovo-conte di Verdun, consiste in una dettagliatissima esegesi del secondo capitolo del Vangelo di Matteo per rispondere alla domanda: «Il racconto dei re magi è evangelico?». Calvino, in particolare, nega che i re siano venuti in Giudea per adorare il Signore. La conclusione della dimostrazione del loro ruolo nel disegno divino è che essi hanno una prerogativa sui pastori della Giudea. Il tomo iii, con dedica ai magistrati delle città vicine, racconta l’impresa del ritorno dei magi in Oriente, il martirio, la traslazione dei corpi dall’Oriente a Costantinopoli, da Costantinopoli a Milano, poi a Colonia e il nuovo culto ad essi tributato a Colonia. Segue, a mo’ di conclusione, un impressionante elenco di miracoli dovuti al loro intervento; così per esempio per l’Epifania del 1492, Granada fu liberata dai Mori… Il monumentale lavoro di ricerca, anche se necessariamente segnato dal periodo nel quale è stato scritto, è ancora in attesa di un traduttore… Sacre rappresentazioni Nel corso del Medioevo nasceranno anche le sacre rappresentazioni in volgare che succedono ai drammi liturgici in latino. È nota l’ampiezza che le sacre rappresentazioni a poco a poco assumono, nello spazio e nel tempo: respinti dall’interno della chiesa verso il sagrato sul quale nel xiv e nel xv secolo vengono rappresentati, gli spettacoli richiedono numerosissimi personaggi (settanta quelli individuati nei dati di archivio riguardanti una sacra rappresentazione presentata a Tolone nel 1333) e possono durare vari giorni (Arnoul Gréban per il suo Mystère de la Passion prevede quattro giornate). Un manoscritto della biblioteca di Sainte-Geneviève del xv secolo mette in scena i re magi per molto tempo nemici tra loro a causa della stretta vicinanza, e che, guidati dalla stella, si riuniscono pacificamente in occasione del viaggio a Gerusalemme. Le sacre rappresentazioni della Natività e dei tre re sono il più delle volte incluse nelle grandi sacre rappresentazioni della Passione, così come avviene nella sacra rappresentazione della Passione di Arnoul Gréban, che racconta gli avvenimenti narrati dai Vangeli con l’aggiunta di particolari attinti nei Vangeli apocrifi o nella tradizionale visione del tempo: «l’alloggio (che accoglie Giuseppe e Maria) è in rovina e il tetto è mezzo sfondato»; Gaspare mostra «la stella che indica l’Oriente» e ciò è chiaramente un errore perché per gli occidentali è Betlemme a essere in Oriente.

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In questo testo, contrariamente alla tradizione più diffusa, Gaspare è il più vecchio dei re magi; peraltro, ogni re presenta i tre doni, oro, incenso e mirra, che conservano tuttavia il tradizionale significato simbolico. È interessante notare che nella discussione con i dottori della legge nel Tempio di Gerusalemme, rappresentata alla fine della prima giornata di spettacolo, Gesù fanciullo cita l’arrivo dei re magi guidati dalla stella per far riflettere i dottori sul compimento della profezia relativa alla venuta del Messia; argomento fatto proprio successivamente e autonomamente da uno dei dottori come segno della nascita del Salvatore. Le sacre rappresentazioni erano spesso recitate in occasione di importanti avvenimenti: i rigattieri diedero infatti una Recita dei tre re per l’entrata a Parigi di Anna di Bretagna nel 1486. Ma un po’ più tardi, vittime del loro successo, le sacre rappresentazioni vengono vietate dalla Chiesa per via di eccessi difficilmente controllabili. Il Parlamento di Parigi le vieta a sua volta nel 1548; occorre un nuovo editto di Luigi xiv nel 1677 per sopprimerle completamente. Canzoni popolari: «cantici natalizi» e «canti di questua» Nascono in parallelo le canzoni popolari chiamate «Cantici natalizi» che sono veri e propri riassunti dei drammi sacri. Alcune di queste canzoni contengono riferimenti ai re magi o sono anche interamente dedicate a quei personaggi favolosi. Infatti quando il teatro non è più ammesso dalla Chiesa, i «Cantici natalizi» acquistano una sempre maggiore importanza. Alla prima raccolta di tali canzoni viene dato, nel 1554, il titolo di Bibbia dei Cantici natalizi. Una quarantina di anni fa, Henri Poulaille ha raccolto in tre tomi centinaia di questi canti: La bella Bibbia degli antichi cantici natalizi. Un «cantico natalizio» è un cantico popolare che evoca, con dettagli più o meno pittoreschi e una gentile ingenuità, la nascita di Gesù, l’adorazione e i doni che riceve, i visitatori che sfilano davanti alla mangiatoia; spesso ne accrescono il fascino alcuni deliziosi «anacronismi» secondo la definizione di don Aigrain. Inizialmente su arie di chiesa, i cantici natalizi si rifanno molto presto a motivi popolari noti. Non è infrequente che una canzone d’amore venga trasposta in canzone per Maria. Se i cantici natalizi non sono molto originali dal punto di vista musicale, sono interessanti soprattutto per ciò che si riferisce ai testi. Vere e proprie scenette di costume, i cantici, a partire dal xv secolo, vengono divulgati di regione in regione. Cantati lungo tutto l’arco dell’anno durante le veglie accanto al focolare, essi mescolano scene e personaggi della vita locale agli avvenimenti della vita di Gesù. I veri «cantici natalizi», probabilmente di origine orientale come il racconto stesso, si possono accostare alle Christmas Carrols inglesi, ai Weinachtslieder tedeschi, alle Laudi spirituali e ai Canti pastorelli italiani, ai Villancicos spagnoli, ai Colindes rumeni, ai Kolyadki polacchi o russi. In Francia fanno la loro comparsa solo nel xiv secolo, nelle regioni del Poitou e del Maine. I «Cantici natalizi» più pittoreschi sono quelli relativi ai pastori con la descrizione della loro vita nei campi, la spiegazione del perché arrivano alla mangiatoia – spiegazione legata spesso ai loro amori – le discussioni riguardo ai doni portati al Bambino, le loro osservazioni ai piedi della mangiatoia. Per contro, le strofe che riguardano i re magi sono relativamente stereotipate e rappresentano la venuta da lontano dei magi, la stella che li guida e i doni deposti davanti al Bambino a cui si aggiungono talvolta annotazioni sul ruolo di Erode.

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86. Manoscritto, Adorazione dei magi (fine xv secolo). Tesoro della cattedrale di Auxerre (Francia). Sotto la struttura della stalla, un baldacchino stellato protegge la Vergine e il Bambino.


Cantinella in nativitate Domini Ecco le ultime strofe di uno dei più antichi «Cantici natalizi» francesi (xiv secolo) che ha conservato il titolo in latino ed è stato tradotto dal francese antico in francese moderno (raccolto da Henri Poulaille) e che è insieme racconto del periodo natalizio, nel quale sono racchiusi alcuni sviluppi pittoreschi, e trattato di teologia sull’incarnazione, lo Spirito Santo, il timor di Dio… «I tre re se ne vennero dall’Oriente a Gerusalemme, seguendo la stella. Andavano alla ricerca del re che era nato, perché venivano per adorarlo. Quando si seppe ciò, il re rimase turbato e fece venire gli uomini di legge (per sapere) se avevano letto e potevano scoprire se un altro Re dovesse governare. Stabilirono che colui che è destinato a regnare deve venire dalla parte di Betlemme; “ciò è scritto”, essi lo trovano e non possono fare altro. Subito, immediatamente, il re li fa andare verso Betlemme e ordina loro, quando lo avranno trovato, di tornare assolutamente affinché lui stesso possa in seguito andare ad adorarlo. E subito dopo venne la stella e si diresse verso Betlemme; essi si disposero a seguirla, essa li guidò. Là dove si trovava il bambino, essa si fermò. Entrarono nella casa e vi trovarono la Vergine Maria e il suo caro bambino. Oro, incenso e mirra gli offrirono e da un’altra strada tornarono indietro».

87. Vetrata, Adorazione dei magi (particolare) (1467). Cattedrale di Bourges (Francia). È il primo re con tratti negroidi che compare in Francia.

Nel xvi secolo, con la Riforma e per influenza di Lutero e Calvino, nasce una nuova forma di canto popolare che si diffonde molto rapidamente: sebbene vengano bruciati i libri o anche le persone, contro i canti non si può fare niente. Vi sono tuttavia pochi «Cantici natalizi» protestanti perché i Riformati, secondo la tradizione originaria, pongono l’accento sulla festa di Pasqua. La stella appare più spesso dei magi. Nel xviii secolo i «Cantici natalizi» fanno da cornice a satire sui costumi della corte, in forma spesso oscena. Poiché diventano sempre più riprovevoli sono condannati a loro volta. Così avviene nel 1725 ad opera del Concilio di Avignone. In epoca rivoluzionaria sono aggiornati: Abbasso i Re, Dio diventa Sanculotto… Nonostante tutto, è il xix secolo che gli ha inferto il colpo più duro sostituendoli con canti freddi e piatti. Vengono ancora composti dei «Cantici natalizi» popolari, più spesso in dialetto tranne le strofe riguardanti i re magi, scritte talvolta in francese, considerata la lingua straniera delle classi ricche (cfr. anche la Pastorale Maurel). Oltretutto, i canti di questua accompagnavano tradizionalmente i giri fatti dai questuanti la sera dell’Epifania (cfr. cap. v). Alcuni sono anche molto pittoreschi e piuttosto diversi da una regione all’altra.

Canto di questua normanno (citato da Vloberg) «Addio, Natale! Natale se ne va! Ritornerà Quando vorrà

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Addio, Re magi Da qui a dodici mesi, passati dodici mesi Li rivedrete».


Canto di questua delle zone di Louhan (citato da P. Saintyves) «Buonasera agli abitanti Di questa casa Vi auguro un bell’anno nuovo E cose buone nelle varie stagioni

Preparate la forchetta E il coltello Per darci una briciola Della vostra torta».

A fronte: Tav. 71. Ambone, La regina di Saba e Salomone (1181). Nicolas de Verdun. Chiesa abbaziale di Klosterneuburg (Austria). Questa scena è molto spesso accostata simbolicamente all’Adorazione dei magi. Sull’ambone fa la sua comparsa, per la prima volta nell’iconografia occidentale, una regina di Saba nera.

Sono venuto da un paese straniero In questo luogo Per chiedere a chi mangia Una parte per Dio

Teatro: recite dei re magi, pastorali, marionette Alla fine del xv-inizio del xvi secolo scompaiono quindi a poco a poco i grandi drammi, ma ad essi seguono altre forme teatrali più semplici. Una delle più famose Recite dei re magi è La Comédie de l’adoration des trois Roys à Jésus-Christ, di Margherita di Navarra (1547) che faceva parte di un ciclo di Natale, insieme ad altre tre Commedie della Natività, degli Innocenti e del Deserto pubblicate nella Recueil des marguerites de la Marguerite des princesses. La novità e la modernità provengono dall’utilizzo delle allegorie della Filosofia, della Tribolazione e dell’Ispirazione accanto a ognuno dei re magi, allegorie che danno il primato alle idee e all’ideale evangelico della nuova religione. Filosofia si avvicina a Baldassarre che, dopo aver combattuto e cercato onori, pensa che solo la filosofia abbia un qualche valore. Tribolazione avverte Melchiorre, «re che viveva in salute e gioia», che è destinato a soffrire ma che deve trarre profitto dalla tribolazione. Ispirazione poi (Spirito Santo) persuade Gaspare a credere fermamente nell’annuncio del Messia che verrà. Tutti e tre vengono condotti vicino all’Intelligenza Divina che li guiderà. Hanno la visione della stella in cui ognuno dei re vede una promessa, il primo di sapienza, il secondo di gioia e il terzo di fede e se lo dichiarano l’un l’altro al momento dell’incontro. Attraverso la nascita del Bambino ognuno trova il significato della propria ricerca e depone il suo dono per il Dio pieno di potenza, per il Dio sofferente, per il Dio fattosi uomo che risusciterà. L’idea che ognuno può deporre il proprio fardello ai piedi di Cristo e trovare una risposta alla propria ricerca è ripresa da allora in modo quasi unanime nei secoli successivi fino ai racconti moderni. Le recite dell’Epifania sono molteplici; citiamo anche Le Joyeux mystère des trois Roys, di Jean d’Abondance del 1540 circa, o Le Discour(s) pour le jour des Roys, recitato nel 1640 circa a Gruyères, in Svizzera. Ciò non toglie che il solo testo noto del teatro bretone a essere stampato nel xviii secolo (tradotto e pubblicato da Joseph Loth nelle «Revue celtique» nel 18864) è proprio una Vita di tre re (Buhé enn tri Roue) nel dialetto di Vannes: «farsa devota composta secondo quello che è successo a Natale, in particolare quando arrivarono dall’Oriente i tre re a Gerusalemme, e da recitarsi secondo i ruoli, in una cappella o in un teatro o nelle case», pubblicata a Vannes nel 1745. L’introduzione mette in guardia contro gli attori che nuocciono alla rappresentazione dei brani con il loro cattivo comportamento e fornisce indicazioni dettagliatissime per la

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88. Manoscritto (tra il 1470 e il 1476). Liberale da Verona. Biblioteca Piccolomini, Tesoro della Cattedrale di Siena. Miniatura riccamente decorata con motivi a fogliame, tipico delle opere del Quattrocento. Il re nero è ancora assente nella pittura fiorentina o senese.



Tav. 72. Dipinto, Adorazione dei magi (1500 circa). Andrea Mantegna. Paul Getty Museum, Brentwood, California. Mantegna è uno dei primi pittori italiani a rappresentare un re nero (i pittori del nord Italia fanno propria tale idea più facilmente rispetto a quelli di Firenze). In questo quadro il pittore ha concentrato la scena negli sguardi.

A fronte: Tav. 73. Dipinto, Adorazione dei magi (1500 circa). Vincenzo Foppa. National Gallery, Londra. Pittore lombardo, ci presenta una scena doppia: in lontananza si vedono arrivare i magi sui loro cavalli, seguiti da altri cavalieri che appaiono alla sommità della collina e, in primo piano, i magi adorano il Bambino. L’ultimo, con la pelle scura, porta già turbante e corona.


Nelle pagine seguenti: Tav. 74. Dipinto, Adorazione dei magi (1504). Albrecht Dürer. Galleria degli Uffizi, Firenze. È una delle nove raffigurazioni dell’Adorazione dei magi dipinta da Dürer. La posizione del re nero, uno dei punti focali del quadro, è sottolineata dallo sguardo fraterno del secondo re nella sua direzione e non verso il Bambino.

Tav. 75. Tavola centrale del Trittico dell’Epifania (attorno al 1500). Hieronymus Bosch. Museo del Prado, Madrid. Il fantastico sottolinea le idee-guida del quadro. Nel mondo in rovina in cui tutto va a rotoli, il Male vorrebbe annientare il Salvatore; il re nero, splendido nel suo abito bianco, rappresenta l’elemento di contrasto; alcuni enigmatici personaggi, sembrano non sapere da quale parte stare.





Tav. 76. Pala d’altare, Adorazione dei magi (fine del xv secolo). «Maestro di Francoforte». Musée Rolin, Autun. Al re nero, in questo caso, non viene data una posizione di rilievo rispetto agli altri due. Tav. 77. Tavola centrale del Trittico di Jan Floreins, Adorazione dei magi (1479).

Hans Memling. Sint Janhospital, Brugge. Ispirandosi a una pala del suo maestro Rogier Van Der Weyden, in questo trittico come nell’Adorazione dei magi del Museo del Prado di poco anteriore, Hans Memling raffigura un re nero. Qualche anno più tardi il re nero è adottato da tutti gli artisti. Il donatore, frate nella comunità religiosa del Sint Janhospital (i re magi sono dei santi guaritori), tiene in mano una Bibbia aperta al Vangelo di Matteo.



messinscena (oggetti, costumi, ecc.; scettro giallo per Erode, bianco per i re magi). È un testo breve nel quale Erode occupa un posto importante.

89. Statuina del presepe, illustrazione del programma della Pastorale Maurel rappresentata a Marsiglia.

Le Pastorali prendono il posto delle recite: sembra siano nate nel xvi secolo quando c’era la moda dei componimenti e dei romanzi pastorali. Come indica il nome sono incentrate sui pastori ma la maggior parte di esse non omette i re magi. Le Pastorali hanno anche elementi derivati dai «Cantici natalizi» popolari e in esse ritroviamo gli stessi personaggi. Si sono diffuse dopo la totale scomparsa delle sacre rappresentazioni. Questa forma scenica, ispirata ai «Cantici natalizi» di Saboly, ha avuto successo soprattutto in Provenza a partire dalla fine del xviii secolo. La più famosa è la Pastorale Maurel del 1844, composta in provenzale a Marsiglia da don Julien in un circolo di operai cattolici (a quel tempo i ruoli sono tutti maschili). In Provenza è sempre regolarmente recitata e ogni volta si aspetta con curiosità la messinscena. E in cinque atti. I primi due sono dedicati a tutta una serie di personaggi: mugnaio con famiglia e animali, zingari, arrotino, balbuziente, cieco, coppia anziana. Il terzo atto presenta la sosta in una locanda con incidenti comici o tragici. Da lontano si sentono i re che arrivano. Il quarto atto, composto l’anno seguente e dovuto alla penna di Gaston de Flotte, scritto in alessandrini francesi e che non sempre viene rappresentato, mostra il palazzo di Erode con i re magi. Al quinto atto, il corteo dei personaggi umili dapprima arriva alla mangiatoia, poi offre i suoi doni, è gratificato da guarigioni e riconciliazioni prima dell’arrivo, a sua volta, del ricco corteo dei magi. Risate e buon umore fanno parte dello spettacolo, in origine più religioso. Nel xix secolo sono state prodotte numerose opere dello stesso genere. Citiamo Ri-

90. Alabastro, Adorazione dei magi (Fiandre, circa 1450). Firmato A.H. Museo Fitzwilliam,, Cambridge (Inghilterra).

A fronte: Tav. 78. Portale di San Lorenzo, Adorazione dei magi (fine xv secolo). Jean d’Aix-la-Chapelle. Cattedrale di Strasburgo (Francia). Il re nero calpesta un diavolo. Gli originali si trovano al museo dell’Opera della cattedrale.

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boun, pastorale dei fratelli Perret scritta nel 1888 in cinque atti e in versi provenzali, che nel iv atto rappresenta il viaggio dei re magi: Baldassarre e Gaspare sono pieni di speranza, Melchiorre dubita e invoca un idolo mandato in frantumi dalla folgore del vero Dio. Gli increduli si sottomettono. Quanto alle «marionette» ecco cosa ci dice Vloberg nella sua raccolta Les Noëls de France: «Se c’è un tema adatto a questa forma di spettacolo, è quello del Presepe. La stessa parola “marionetta” appartiene al mistero di Natale, perché deriva dal nome di Maria e in origine indica delle statuine. Un tempo soprattutto i venditori ambulanti vendevano delle minuscole madonne di terracotta o di gesso chiamate “marioles” o “maroles” o “mariolettes” da cui sono venute le nostre marionette». Alla fine del xviii secolo vi sono teatrini che mettono in scena le Pastorali con pupazzi mobili. Anche le Pastorali derivano dai «Cantici natalizi» popolari, vi riconosciamo gli stessi personaggi: in un manoscritto del 1776, dal titolo Le Calendrier des loisirs ou les Amusements économiques de Paris et des environs (Il calendario degli svaghi o divertimenti economici di Parigi e dintorni) in data 6 gennaio si legge: «Da Natale fino a oggi, in via de la Bûcherie, di fronte al ponte de l’Hôtel-Dieu c’è uno spiritoso piccolo spettacolo chiamato “Presepe” in cui si rappresentano la nascita di Nostro Signore e l’Adorazione dei magi. I personaggi sono di cera e il tutto è artisticamente decorato, accompagnato da musica e cantici adatti alla dignità del soggetto. Ci si può andare con grande tranquillità dato che i posti costano poco». Poesia dotta In parallelo ai «Cantici natalizi» popolari, nascono opere poetiche di ispirazione dotta, non sempre di ascolto più gradevole dei canti. Anche in questo caso hanno fatto forse da modello le poesie a carattere profano: è così per una poesia di Philippe Desportes allora

91. Pittura, Adorazione dei magi (1464). Andrea Mantegna. Galleria degli Uffizi, Firenze. Composizione che contrasta con quella che realizzerà in seguito (cfr. tav. 72): scenario complesso, colori vivaci (predominano l’arancione e il blu), ma il re nero è già presente, seguito da un corteo esotico.

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molto nota: «Notte, gelosa notte che ti accanisci contro di me» che, riscritta nell’ottica del Natale diventa «Notte, felice notte…». Sul tema del Natale e dei magi c’è una poesia di P. Corneille dal titolo «Ô Bethléem» che non è una delle sue più felici. Forse ne ha scritte molte altre passate nell’anonimato. Non è sempre facile individuare la differenza tra poesia dotta e canzoni popolari nate ugualmente dalla penna di sacerdoti o preti relativamente colti. È di questo tipo il canto dell’Epifania scritto dal cappellano di corte Lattaignant nel xviii secolo e diffuso in seguito come canto popolare. In Germania, Goethe, che nella biblioteca di Heidelberg aveva ritrovato il manoscritto della Historia trium regum (cfr. cap. ii), non si fa scrupolo di scrivere anche una poesia sull’argomento: Epiphaniafest. Nel xix secolo naturalmente alcuni poeti riprendono a loro volta il tema; in Francia Marceline Desbordes Valmore, José-Maria de Hérédia, Edmond Rostand, più originale nella circostanza, o, in Germania, August Wilhelm von Schlegel e Heinrich Heine. Questa vena è continuata nel xx secolo. Citiamo fra le altre le poesie di Marie Noël, Marie Madeleine Franc-Nohain, René-Louis Piachaud e Raoul Ponchon. La raccolta poetica Les Rois mages (1943) di A. Frénaud, prigioniero in Germania, esplora il mistero del destino umano e usa i re magi come simbolo di speranza e di illusione al tempo stesso. Racconti e novelle Poiché il periodo romantico fa tornare di moda il Medioevo e i suoi usi e costumi, non c’è da stupirsi nel trovare, per la penna di Victor Hugo, tutta una rievocazione di vecchie tradizioni riguardanti il 6 gennaio. Tutto il primo libro e una parte del secondo di Notre-Dame de Paris si svolge il 6 gennaio 1482. Quel giorno a Parigi, contemporaneamente alla festa molto gradita al popolo,

92. Arazzo di Bruxelles, Adoratio Regum, Adorazione dei magi (xvii secolo). Cattedrale di Strasburgo (Francia). Commissionati dal cardinale Richelieu per il coro di Notre-Dame di Parigi, i quattordici arazzi che rappresentano La vita della Vergine furono acquistati nel 1739 dai canonici del capitolo di Strasburgo.

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si svolgono i festeggiamenti in onore dell’Ambasceria fiamminga incaricata di concludere il matrimonio tra il Delfino e Margherita di Fiandra. Essendo il 6 gennaio il giorno «della doppia solennità, riunita da tempo immemorabile, dell’Epifania e della Festa dei Folli» quale miglior patrocinio per questa narrazione del doppio patrocinio dei re magi e dei folli! (cfr. p. 187). Victor Hugo privilegia questo secondo aspetto. «Quel giorno era predisposto un falò sulla Grève, si doveva piantar maggio alla cappella di Braque e rappresentare un “mystère” al Palazzo di Giustizia», senza contare l’elezione del Papa dei Folli. Gli studenti partecipavano tutti alla festa: «era il loro giorno, la loro festa dei Folli, il loro saturnale, l’orgia annuale dei legulei e della scuola. Non v’era turpitudine che non fosse di diritto quel giorno e cosa sacra»5. I fiamminghi presenti a Parigi incitano la folla a eleggere il Papa dei Folli secondo la tradizione del loro Paese. Il vincitore sarà colui che farà la smorfia più brutta. E il povero Quasimodo che, a quel gioco, viene eletto Papa dei Folli e questo ci fornisce una completa descrizione del corteo che lo accompagna nel cuore della Cité6. Un’altra tradizione su cui si sofferma Victor Hugo è quella dell’albero di maggio, piantato il 6 gennaio, che faceva parte dei riti di rinascita della natura. Delle tre attrazioni prima menzionate e che vengono loro proposte, i curiosi, a causa della stagione, preferiscono la prima o la terza lasciando «il povero maggio fiorito fuori tempo» a rabbrividire in solitudine sotto il cielo di gennaio, nel cimitero della cappella di Braque7. Tuttavia poco più tardi quest’ultimo rito viene rispettato durante lo svolgimento della festa: «la mattina il mazzo di maggio viene deposto alla porta di un presidente del Parlamento in onore della solennità del giorno»8. Festa dell’Epifania, festa dei Folli: è anche così che va inteso il titolo di una commedia di Shakespeare, La dodicesima notte, che venne probabilmente rappresentata la sera del 6 gennaio 1600, secondo l’abitudine del tempo che festeggiava quel giorno con divertimenti di vario genere, come abbiamo visto in Notre-Dame de Paris. L’ultimo giorno del periodo che contrassegna il Natale, come durante gli antichi Satur-

93. Pittura, Adorazione dei magi (xvii secolo). Hendrick Ter Brugghen. Rijksmuseum, Amsterdam (Olanda). Composizione volutamente orientaleggiante: personaggi, acconciature, animali. Un giovinetto offre il turbante incoronato del re più anziano che a sua volta presenta una coppa al Bambino.

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nali, veniva eletto un «Re dei Folli», da qui l’eccezionale importanza del simpaticissimo matto nella commedia e del suo sottotitolo Quel che volete9. Dov’è la saggezza, dov’è la follia? Tutti i personaggi della commedia partecipano di entrambe: follia dell’amore, follia del narcisismo, follia dovuta ai qui pro quo creati dall’alternarsi della presenza di due gemelli ignorati dai loro compagni, follia dell’ubriachezza, saggia follia del folle… Il racconto dei Magi è servito anche da base per un gran numero di racconti che non siamo in grado di elencare qui. È forse possibile una festa parrocchiale di Natale senza narrazione? Sono tanti i grandi scrittori che si sono cimentati in questo genere! Eccone alcuni esempi: Il re beve, scritto da Anatole France, contiene i diversi elementi di ciò che possiamo chiamare la tradizione dell’Epifania. Lo scrittore ambienta il racconto nel 1428 a Troyes, al momento della scelta del re della festa: quell’anno un ricco canonico è stato scelto dai suoi confratelli. Segue il racconto della cerimonia del giorno dell’Epifania, poi il pranzo serale offerto dal re per un giorno, durante il quale si accende una discussione che va a finire in politica; il pranzo finisce male a causa di questa discussione e per ragioni legate alla festa: il «re» è ucciso dall’«angelo» dell’Epifania che rifiuta sia di essere imbrattato di fuliggine – come richiesto dalla tradizione – che di gridare con gli altri: «il re beve!», fedele al re di Francia e contrario al partito filoinglese e collaborazionista. In un altro racconto, Baldassarre, di tono molto diverso, France ci racconta la storia del giovane re nero etiope che si innamora perdutamente di Balkis, regina di Saba. La segue fuori dal palazzo e si batte per lei quasi fino a morire. La regina di Saba, che cambia continuamente amante, lo dimentica per il re di Commagene. Baldassarre riparte per l’Etiopia ma non riesce a dimenticare la regina finché il suo servitore gliela descrive come una donna coi piedi di capra; lui sente che ciò è falso ma la bella immagine che continuava a farsi di lei gli viene così sciupata. Poi un giorno il re osserva una stella molto particolare, dallo splendore molto delicato e decide di seguire lei invece della regina di Saba che, gelosa, era venuta a prenderlo. Ha saputo vincere la propria lussuria, come Melchiorre il proprio orgoglio e Gaspare la propria crudeltà.

94. Pittura, Adorazione dei magi (inizio xvii secolo). Stefano Cesi. Chiesa di Saint’Hilaire, Poitiers, Vienne (Francia). Inscritta in un ottagono, quest’opera è firmata visibilmente al di sopra della Vergine e del Bambino. Re con turbanti, un re e un servitore neri.

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André Theuriet, a sua volta, scrive un Racconto dei re magi che è una variante del racconto dei desideri. I tre magi, in cammino verso Betlemme, si smarriscono nei dintorni di Langres. Ospitati da un povero contadino e da sua moglie, lasciano loro come ricompensa un flauto che permette di ottenere tutto ciò che il possessore può desiderare, purché non rifiuti mai l’elemosina o l’ospitalità ai poveri. Il contadino ottiene un ricco castello e festeggia in compagnia degli amici ma caccia via i mendicanti. I re magi fanno ritorno da Betlemme e lo mettono alla prova. Il proprietario del castello li fa inseguire dai cani. Allora i tre re ritornano armati di tutto punto e puniscono il contadino. Sparisce tutto, anche il piccolo flauto magico. Per il xx secolo citiamo un racconto di Charles Dombre, legato a un tipico contesto locale. Nella raccolta Entre le bœuf et l’âne gris, il racconto intitolato La foire aux santons è ambientato in Provenza. Poco prima di Natale un ragazzino viene mandato dai genitori, che non sono ricchi, alla fiera di Aix allo scopo di ricomprare per il loro presepe il re Melchiorre che è danneggiato. Sfortunatamente il ragazzo perde la moneta d’argento che gli è stata affidata e non ha il coraggio di tornare a casa; un mercante ambulante a cui racconta il suo dispiacere, va a prendere la statuetta e la fa scivolare nella tasca del ragazzo addormentato e intirizzito dal freddo. Sorpresa e riconoscenza del ragazzo quando il suo salvatore lo riporta a casa! Concluderemo con un recentissimo racconto, L’Ardèche della stella e del magio, di Hélène Cheynel che ci consente di scoprire qualche usanza dell’Ardèche e finisce con il matrimonio di due personaggi che si chiamano Melchiorre e… Stella. Allo stesso tempo anche in Alsazia ritroviamo Les Vies secrètes de Hans Trapp: Pat Thiébaut fa di questo personaggio un compagno dei tre magi. Novelle prodotte tutte dallo stesso racconto e tuttavia così diverse per contenuto! I re magi hanno ispirato anche Frédéric Mistral ma in modo diverso. In Mémoires et Récits riferisce spesso ricordi d’infanzia e ci fa così conoscere le tradizioni provenzali relative al Natale: veglia di Natale in Provenza o camminata dei ragazzi incontro ai re magi la sera del 5 gennaio, con i colori del sole che tramonta dietro le colline e disegna un sontuoso corteo.

95. Affresco su tessuto foderato, Adorazione dei magi. Chiesa di Nargha Sellacié nei pressi del lago Tana, Etiopia. La Chiesa etiope è senza dubbio quella che, attualmente, assomiglia maggiormente alla Chiesa cristiana primitiva. La festa dell’Epifania ha in essa una grande importanza.

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Si potrebbero evidenziare ancora molti riferimenti letterari al mito dei re, in relazione a un fatto da datare, a un luogo che in qualche modo è consacrato loro; facendo allusione ai sogni che procurano ai viaggiatori, alla loro saggezza o ai loro doni. Il quarto re magio

96. Pittura, Adorazione dei magi (xviii secolo). Charles-André Van Loo. Los Angeles County Museum of art (usa). La rappresentazione dell’Adorazione dei magi è molto meno frequente lungo il xviii secolo. Van Loo, rappresentante del «grand style français», firma una composizione originale con picche da guerra e stendardi un po’ sorprendenti. Il museo di Digione possiede un’altra Adorazione dei magi di Charles-André Van Loo.

Presentando i diversi modi in cui il tema dei re magi è stato impiegato, tutti gli esempi prodotti mostrano l’importanza del simbolismo del racconto dei magi. Ma l’aspetto più interessante per la storia recente dell’evoluzione del mito è, probabilmente, quello di un quarto re che non sarebbe arrivato in tempo alla mangiatoia perché ha prestato attenzione alle miserie degli uomini incontrati sul suo cammino. Numerose varianti utilizzano tale idea. Il più antico racconto in cui questo tema sembra essere stato introdotto è quello del pastore americano che alla fine del secolo scorso fu anche professore d’inglese all’Università di Princeton, Henri L. van Dyke. La storia dell’altro magio (The story of the other Wise Man) è al tempo stesso un ritorno alle fonti del mito, dato che l’azione si svolge a Ecbatana (l’odierna Hamadan), capitale dell’antico impero medo, e l’eroe principale è Artabano, un magio che ha il nome di alcuni re parti. Ultima pagina de La storia dell’altro re magio (The Story of the other Wise Man) di Henry van Dyke Una nuova scossa di terremoto scosse il suolo. Una pesante tegola, staccatasi dal tetto, cadde e colpì il vecchio sulla tempia. Egli cadde, pallido e senza respiro, la testa grigia appoggiata sulla spalla della giovinetta, il sangue che gli colava dalla ferita. Non appena ella si chinò su di lui, temendo che fosse morto, una voce uscì dalla penombra, debolissima e calma, come musica che giunge da lontano, di cui sono chiare le note ma si perdono le parole. La giovinetta si voltò per vedere se qualcuno avesse parlato dalla finestra che si trovava sopra di loro ma non vide nessuno. In quel momento le labbra del vecchio si mossero, come se stesse rispondendo, ed ella udì che diceva nella lingua dei parti: «Non così, mio Signore! Poiché quando ti vidi affamato e ti diedi del cibo? O quando assetato e ti diedi da bere? Quando ti ho visto straniero e ti ho accolto? Oppure ti ho visto nudo e ti ho vestito? Quando ti ho visto in prigione e sono venuto a te? Per trentatré anni ti ho cercato; ma non ho mai visto il tuo viso né ti ho mai sognato, mio Re». Egli tacque e la voce dolce riprese. E ancora una volta, la giovinetta la udì, molto debole e lontana. Ma ora le sembrò di comprendere le parole: «In verità, ti dico, quello che hai fatto per il più piccolo tra i miei fratelli, l’hai fatto per me». Uno sfavillio calmo di meraviglia e di gioia illuminò il pallido viso di Artabano come il primo raggio dell’aurora sulla cima di una montagna innevata. Un lungo sospiro di sollievo gli sfuggì dalle labbra. Il suo viaggio era terminato. I suoi tesori erano stati accettati. L’altro re magio aveva trovato il suo Signore.

Non avendo potuto raggiungere in tempo i tre magi della tradizione per attraversare il deserto fino alla Giudea alla ricerca del Bambino-Salvatore, egli dovrà venire in aiuto prima di uno sfortunato ebreo morente incontrato ai bordi del sentiero (da accostare al racconto

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biblico del Buon Samaritano), poi di una madre di Betlemme il cui bambino è minacciato dai soldati di Erode; infine, dopo un periodo di ricerca in Egitto dove continua a occuparsi di infelici, fa ritorno a Gerusalemme nel momento della morte del Crocifisso, in cui riconosce colui che cercava da trentatré anni, e muore tra le braccia di una ragazza parta, salvata anch’essa dai mercenari macedoni, fiducioso nell’assicurazione della vita eterna. Racconto che traduce i conflitti intimi dell’uomo tra l’attesa della fede e l’impulso dell’amore per gli altri. E ancora una novella russa sviluppa idee molto simili. Wladimir Lindenberg, di origine russa ed emigrato in Germania nel 1918, rievocando i suoi ricordi d’infanzia sull’Epifania (travestimenti, canti di questua, processione verso il «Giordano» per un battesimobenedizione, albero di Natale, presepe italiano, stupore davanti a tutte le aggiunte della tradizione al testo biblico…) racconta in sintesi la leggenda che gli era stata narrata dallo zio Ivan. Il quarto re, partito dal Grande Nord seguendo la profezia della stella e portando l’ambra come dono, raggiunge gli altri re; ma quando incontra un mercante derubato dai briganti, resta con lui per curarlo mentre gli altri proseguono il cammino; poi viene in aiuto di una famiglia in difficoltà in seguito alla morte del padre e alla fine prende il posto di un giovane schiavo come forzato su una galera. Anni dopo giunge a Gerusalemme e incontra Cristo che sta portando la croce e gli sembra di riconoscere quel viso, simile a quello del mercante ferito, del padre di famiglia

A fronte: Tav. 79. Affresco, Adorazione dei pastori (particolare), Corteo dei magi (1500-1501). Bernardino di Betto, detto Pinturicchio. Santa Maria Maggiore, cappella Baglioni, Spello. Composizione molto complessa, incentrata sui pastori recatisi a rendere omaggio al Bambino. In secondo piano, i magi preparano i loro doni in un paesaggio dell’Umbria. Nelle pagine seguenti: Tav. 80. Dipinto, Adorazione dei magi (xvi sec.). Anonimo fiammingo. Gröningemuseum, Brugge. Ricchi borghesi sembrano aver qui preso il posto dei re; soltanto un servitore è nero. Tav. 81. Pannello centrale dell’Altare detto di Groote (particolare), Adorazione dei magi (xvi secolo). «Maestro dell’Altare detto di Groote». Bayerisches Nationalmuseum, Monaco. Bellissima composizione che mette in evidenza il re nero. Cappelli e turbanti hanno sostituito le corone; in questo periodo i turchi sono al centro dell’immaginario occidentale.

97. Manoscritto, Annuncio dei magi, Viaggio dei magi, Adorazione dei magi (1442). F- Zollner. Biblioteca di Neustift, abbazia di Novacella, Bressanone. Iniziale del graduale De Tempore: composizione molto interessante in tre scene di cui la prima è piuttosto rara; sulla loro montagna, i tre magi scorgono la stella-sole con il Bambino annunciato dalle profezie; partono per trovare questo Bambino e giungono a Betlemme per adorarlo.

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Tav. 82. Dipinto a tempera, Adorazione dei magi (circa 1556). Pieter Brueghel il Vecchio. Musée d’art ancien, Bruxelles. Due cortei arrivano ai piedi del Signore, cortei molto fitti ma molto diversi da quelli dei pittori italiani. Si può vedere l’asino che raglia, ma non c’è il bue.

Tav. 83. Dipinto, Adorazione dei magi (1624). Pieter Paul Rubens. Museum voor Schone Kunsten, Anversa. Composizione molto animata il cui elemento esotico è sottolineato dal turbante nero e dalle teste dei cammelli che compaiono nell’apertura della stalla.




Tav. 84. Dipinto, Adorazione dei magi (1639). Francisco Zurbarán. Musée des Beaux-Arts, Grenoble (Francia). Il quadro fa parte del cielo della certosa di Jerez. In uno stile più solenne, richiama il quadro di Rubens che si trova nella cappella del Royal College di Cambridge. Il personaggio con armatura ed elmo potrebbe essere re Filippo iv di Spagna.

Tav. 85. Dipinto, Adorazione dei magi (1619). Diego Velásquez. Museo del Prado, Madrid. Quadro dei giovanili anni sivigliani del pittore: i volumi sono potentemente accentuati dal gioco della luce e del colore.



A fronte: Tav. 86. Dipinto, Adorazione dei magi (1611-1613). Juan Bautista Mayno. Museo del Prado, Madrid. Pittore spagnolo d’origine italiana, Mayno si è ispirato a Caravaggio. La posizione del re nero, le ricche vesti, i magnifici turbanti sono caratteristici di quest’epoca e richiamano l’Oriente leggendario.

morente, del giovane schiavo che ha sostituito nelle galere. La leggenda ispira anche Edzard Schaper. La leggenda del quarto re (Die Legende vom vierten König) racconta di un piccolo re che, dopo aver visto anche in Russia la stella annunciata, un secolo dopo l’altro, dai suoi antenati (si confronti con la tradizione orientale) parte, solo, con il suo cavallo e i doni della sua terra: il lino tessuto dalle donne, le pelli degli animali cacciati dagli uomini, il grano, le pietre preziose estratte dalle miniere per mano dei minatori, il miele bottinato sui tigli della Russia. Attraversa la Russia e giunge in Paesi sconosciuti in cui il codice di comportamento è completamente diverso da quello a lui noto; incontra il corteo dei magi che ripartono senza aspettarlo. Seguono poi una serie ininterrotta di incontri che consumano ciò che aveva destinato al Salvatore: una giovane donna che ha appena partorito, lavoratori frustati in una piantagione, lebbrosi, un mercante derubato dai briganti… Non avendo più niente da donare, dà se stesso per sostituire nelle galere un giovane sequestrato per pagare il debito del padre morto da poco. Ultima pagina de La leggenda del quarto re (Die Legende vom vierten König) di Edzard Schaper «Non ho niente, non ho più niente di tutto quello che avevo voluto portarti, pensava il piccolo re confuso e tormentato. L’oro, le pietre preziose, il lino, le pelli e persino il miele di cui mia madre mi aveva riempito un piccolo vaso – tutto è andato e sparito. Perdono, Signore! ma la Russia… Tuttavia, là, mentre la notte già scendeva davanti ai suoi occhi, gli tornò in mente il cuore della mendicante, di cui ella gli aveva fatto dono come se fosse un reame ed egli pensò al suo proprio cuore, la sola cosa che non aveva ancora donato. E su un cuscino di timo selvaggio che si adagiava sotto le ossa scomposte e che diffondeva il suo profumo nella sera ormai prossima, le sue labbra mormorarono senza che ne avesse veramente coscienza»: “Ma il mio cuore, Signore, il mio cuore… e il suo cuore… I nostri cuori, li accetti?”.

98. Scultura, Adorazione dei magi (xx secolo). Failde. Esposizione del 1998 nel chiostro San Francisco, Orense, Galizia (Spagna). Scultura su pietra che mostra la Vergine di fronte e che risolve il problema della simmetria dando rilievo a Giuseppe sorvolato da un angelo.

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Trent’anni dopo, sbarca nello stesso porto, viene curato dal giovane divenuto adulto al quale la madre ha affidato la missione di prendersi cura di tutti i galeotti sfiniti, in ricordo di colui che aveva preso il suo posto in passato. Riprende il cammino e a Gerusalemme incontra una vecchia mendicante che lo informa che anche se si è molto poveri si può sempre offrire qualcosa: lei stessa ha offerto il suo cuore a un uomo che una volta l’ha aiutata; è la giovane partoriente che il piccolo re aveva aiutato e ora la riconosce. Ella lo mette al corrente dell’imminente crocifissione del «re» nato trent’anni prima nel quale il piccolo re riconosce colui che cercava. Ai piedi della croce essi non hanno più nulla da offrire se non i loro due cuori. Michel Tournier ha ripreso alcuni elementi di questo racconto nel libro Gaspare, Melchiorre e Baldassarre da cui ha tratto un testo per ragazzi dal titolo I re magi. Dapprima ci narra la storia dei tre magi della tradizione riprendendo l’idea di Margherita di Navarra secondo la quale ognuno dei re va dal Salvatore a cercare risposta alle proprie domande. Gaspare, re di Meroe in Etiopia, è il re nero adulto che porta l’incenso, simbolo di regalità. Si innamora di una schiava bionda e a quel punto si vede con gli occhi della donna. Ingannato nel suo amore, parte per seguire il biondo dorato della cometa che è appena apparsa nel cielo e si riconcilia con se stesso attraverso il mistero del Bambino che ha visto, nero come lui, nella mangiatoia. Baldassare di Nipur in Mesopotamia è il re magio vecchio, grande appassionato d’arte che porta la mirra, simbolo d’eternità. I sacerdoti del suo regno sono contrari alle rappresentazioni artistiche e distruggono la sua collezione di opere d’arte. In quel momento appare la cometa, a quel tempo simbolo di cambiamento. Parte lo stesso. Ai piedi della mangiatoia nasce un’arte nuova, l’arte cristiana: «tanta povertà mescolata a tanto splendore, la grandezza divina incarnata nella miseria umana… È la prima immagine sacra, quella che feconderà secoli e secoli di pittura». Ultima pagina di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre di Michel Tournier «Bisognava perciò salire ancora. Taor non faceva che salire da quando aveva lasciato la salma. Ma le gambe non lo reggevano più. Tuttavia salì, spinse una porta. La sala era vuota. Ancora una volta, era arrivato troppo tardi. Su quella tavola qualcuno aveva mangiato. C’erano ancora tredici coppe, un tipo di bicchiere poco profondo munito di un corto piede e di due anse. E in alcune, un fondo di vino rosso. E sulla tavola erano sparsi pezzetti di quel pane senza lievito che gli Ebrei mangiano durante quella sera a ricordo dell’uscita dei loro padri dall’Egitto. Taor fu preso da una vertigine: pane e vino! Tese la mano verso una coppa, la sollevò fino alle labbra. Poi raccolse un pezzetto di pane e lo mangiò. Allora si piegò in avanti, ma non cadde. I due angeli che vegliavano su di lui fin dalla sua liberazione, lo raccolsero nelle loro grandi ali e, dopo che il cielo notturno si era aperto mostrando immensi chiarori, portarono con sé colui che dopo essere stato l’ultimo, l’eterno ritardatario, aveva appena ricevuto, per primo, l’Eucarestia». Melchiorre poi, principe di Palmira, «città delle palme», tra Damasco e l’Eufrate, è un giovane principe diseredato che si interroga sulla corruzione che il desiderio di potere politico può comportare. Ha solo un po’ d’oro per il viaggio e fugge dalla sua terra senza però seguire la cometa che non ha visto. Incontrando gli altri due re a cui si unisce, scopre

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99. Manoscritto (Capp. 218, f. 87r), Libro delle Ore (Fiandre, circa 1500). Biblioteca Vaticana. Miniatura molto accurata con una cornice finemente decorata di fiori, di animali e di frutti.


100. Pittura, Adorazione dei re magi (1655-1660). Bartolomé Esteban Murillo. Composizione da confrontare con quella di Francisco Zurbarán (tav. 84); è però molto più intima e riflette una grande tenerezza.

la forza della debolezza, la giustizia dei non violenti, la legge del perdono e va a fondare la prima comunità cristiana. Ma Michel Tournier non si limita a questo. Continua il racconto con la storia di un quarto re magio, il principe Taor di Mangalore in India, principe dello zucchero, che non arriva in tempo davanti alla mangiatoia, è prigioniero nelle miniere di sale a Sodoma e paga così con la propria vita il debito di un altro. Non ha incontrato Cristo appena nato, non lo incontra nemmeno il giovedì santo a Gerusalemme, ma è il primo a prendere l’Eucarestia nella sala lasciata vuota da Cristo e dai discepoli. «In Tournier c’è una dimensione di epopea umana che simboleggia molto bene Taor, il quarto re magio, che avrà per davvero l’esperienza di Dio: gli altri tre pensano soltanto a Dio», scrive Francis Brière10. Infatti questo è probabilmente un buon modo di riassumere il significato di questa aggiunta: interessarsi all’uomo non è forse un modo di incontrare Dio? La nostra sensibilità di uomini del xx secolo privilegia l’umanità sofferente a scapito dei dogmi. Aiutare gli uomini che ne hanno bisogno non è anche questo ciò che Gesù ha insegnato lungo tutto il suo ministero? Il piccolo re è anche il simbolo di coloro che restano fuori dalla Chiesa visibile; da qui la difficoltà a rappresentarlo, ma la sua vita guidata dall’amore per gli uomini è anch’essa risposta a Dio. Ecco il testo di una canzone che, come il racconto di Edzard Schaper o quello di Michel Tournier, evoca un quarto re magio. Il personaggio che stenta a raggiungere il suo scopo ma che finirà per scoprire il senso della vita, corrisponde a una sensibilità più moderna e permette in tal modo a ognuno di identificarsi con lui. Il quarto regio magio Con un violino per bagaglio L’hanno visto nel paese Il quarto re magio Che non è mai arrivato a Betlemme (bis) Per andarvi a veder Gesù a Betlemme (bis) Per baciare i suoi piedi nudi. Ha un viso triste Il re dal triste destino E di villaggio in villaggio, Chiede il cammino Per Betlemme (bis) Da molti anni Per Betlemme (bis) Là è nata la speranza. Compiangiamo il povero re magio Che ha speso il suo oro Per vivere durante tutti quegli anni Ma che vuole ancora andare

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Verso Betlemme (bis) Per vedere il Bambinello Per Betlemme (bis) Per offrirgli il suo violino. Ma son certo che quel saggio Arriverà nel paese Senza cercare tra le nuvole Perché la sua stella è in lui Oh Betlemme (bis) Nel suo cuore brillerà Oh Betlemme (bis) E finalmente capirà. Quando manchiamo di coraggio Pensiamo al re sconosciuto E continuiamo il viaggio Arriveremo tutti alla meta È Betlemme (bis) Che è in fondo alla strada Sì Betlemme (bis) È nel cuore di ognuno.


Musica Potremmo completare le osservazioni letterarie e artistiche con riferimenti musicali, probabilmente esistenti anch’essi in gran numero. Sappiamo che, in occasione delle cerimonie dell’Epifania, sono state commissionate a musicisti della Corte medicea, per la Confraternita dei Magi di Firenze, delle composizioni musicali. Oltre ai «Cantici natalizi» di cui abbiamo parlato in precedenza, ricordiamo in modo particolare la Cantata per l’Epifania, Sie werden aus Saba alle Kommen di Bach (1724); La marcia dei re magi, molto popolare e ripresa dalla marcia dell’esercito di Turenna, è stata composta, come sembra, da Lully, orchestrata dal parroco Domergue, ripresa da Bizet nell’Arlesiana; L’amore dei tre re magi di Italo Montemezzi (1875-1952), opera rappresentata la prima volta nel 1913 alla Scala di Milano, poco dopo il ritorno di alcune reliquie dei magi a Milano (cfr. cap. ii) e diretta da Toscanini: è stata nuovamente rappresentata nel 1994 a Montpellier. Come vediamo, la ricchezza dei testi letterari riguardanti i re magi è uguale a quella delle opere artistiche. La fantasia degli uni ci sembra degna di ammirazione quanto quella degli altri. È certo che tali differenti espressioni hanno fatto riferimento le une alle altre e dal loro confronto sono scaturite nuove idee e nuove rappresentazioni. Inni in lode del progetto di Dio per mezzo dei magi, sermoni che esprimono la fede di questi personaggi stranieri, drammi liturgici, sacre rappresentazioni, recite dei re magi, pastorali che mostrano quello specifico episodio dell’infanzia di Cristo, agiografie che sommano le leggende nate intorno ai tre re santificati dalla loro vicinanza al Bambino, canzoni popolari e poesie che passano di bocca in bocca e cantano il loro viaggio e i doni, racconti e novelle che sottolineano i diversi simboli afferenti al mito, per non contare le numerose allusioni di ogni tipo in numerosissimi testi a dimostrazione della vitalità di questo mito. Si sa che l’espressione letteraria è essenziale al formarsi di nuove tappe e all’attualizzazione di un mito; hanno avuto un tale ruolo alcuni testi-chiave: gli inni dei Padri della Chiesa che cantano le lodi dei magi in opposizione a coloro che li denigravano, i drammi liturgici che li rendono più vivi e vicini, la Comédie des Rois di Margherita di Navarra, che fa passare il loro ruolo dal piano collettivo a quello individuale, la comparsa del quarto re magio che corrisponde a una sensibilità moderna (non c’è esclusione anche se così sembra) resa popolare dal racconto di Michel Tournier. Il rinnovamento religioso o semplicemente l’attualizzazione di tutte le vecchie tradizioni a scopo culturale forse consentirà a questo mito, ricco dell’apporto di venti secoli, ancora nuove trasformazioni. Note ¹ Bayet e Duchesne, Mémoire sur une mission au Mont Athos. 2 In questo capitolo sarà spesso citata, per ciò che si riferisce alla letteratura medievale, La Légende des rois mages, di M.-A. Elissagaray. 3 É. Mâle, Les rois mages et le drame liturgique. 4 «Revue celtique», t. 7, pp. 317-357. 5 Victor Hugo, Notre-Dame de Paris, Libro i, cap. 3. 6 Libro ii, cap. 3. 7 Libro i, cap. 1. 8 Libro ii, cap. 1. 9 Shakespeare, Œuvres complètes, t. ii, Gallimard nrf, Bibliothèque de la Pléiade. 10 Francis Brière, rivista «Réforme» (27-12-80).

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Capitolo quinto TRADIZIONI POPOLARI*


Premessa L’origine della festa liturgica dell’Epifania è collegata con quella del Natale, cioè della nascita terrena di Gesù. Non fu semplice stabilire la data, che peraltro veniva ritenuta correlata a quella della morte terrena: computo pasquale era detto il calcolo mirante a stabilire la data esatta della Incarnazione di Gesù, partendo da considerazioni scritturali, simboliche, astronomiche, nonché da alcuni principi quali, per esempio, quello che Gesù non potesse aver vissuto che un numero intero di anni (cioè sarebbe morto al compleanno). Si indicò come epoca sia della creazione che dell’Incarnazione (inizio della nuova creazione) l’equinozio primaverile (parliamo per comodità di equinozio e solstizio ma, per l’imprecisione e le variazioni delle relative date, sarebbe più esatto parlare di tempo dell’equinozio e del solstizio), facendo iniziare l’Incarnazione dal concepimento e fissando quindi la nascita terrena al solstizio invernale, e la morte e resurrezione all’equinozio. La più antica festa cristiana avente per oggetto la comparsa di Dio nel mondo e la sua manifestazione (epifania = manifestazione della divinità) è attestata da Clemente Alessandrino († 215), che riferisce di alcuni gruppi di gnostici basilidiani che celebravano, quali il 10 e quali il 6 gennaio, la festa del battesimo di Gesù nel Giordano, quando la sua natura divina fu manifestata (Mt 3,13-17; Mc 1,9-11; Lc 3,21-22; Gv 1,29-34), senza peraltro indicare se si intendesse il battesimo avvenuto nell’anniversario della nascita. La Chiesa orientale iniziò a celebrare l’Epifania ricordando la nascita di Gesù (a Gerusalemme, ad Antiochia, in Siria), il battesimo (in Egitto), l’adorazione dei magi e il primo miracolo alle nozze di Cana. Si noti che questi tre momenti sono comunque uniti dal fatto che in essi fu manifestata, in modi diversi, la divinità di Gesù di Nazareth: per rivelazione e annuncio a magi e pastori alla nascita, per mezzo del miracolo alle nozze di Cana, per la discesa dello Spirito Santo e la testimonianza di Giovanni Battista al battesimo. La data del 6 gennaio in Oriente fu scelta poi non solo in base a un computo pasquale, ma anche a motivi non dissimili da quelli che fecero fissare in occidente la data del 25 dicembre. Ad Alessandria infatti si festeggiava la nascita del dio Aion, in Egitto il solstizio d’inverno, mentre in alcune città orientali si ricordavano prodigi legati a fonti miracolose: si presentava quindi l’occasione di ribadire quanto affermano i testi biblici, valga per tutti Malachia (4,2): «Orietur vobis timentibus numeri ipsius / Sol iustitiae et sanitas est in pedibus eius» (Sorgerà per voi che temete il suo nome un Sole di giustizia, e i suoi piedi porteranno salvezza), affermando così che con Cristo era nato il vero sole, e che l’acqua del battesimo portava la vera luce. La Chiesa orientale chiamerà «festa delle luminarie» l’Epifania, dopo la diffusione della data del 25 dicembre per la nascita terrena. Era questo dunque il tempo anniversario della nuova creazione, del nuovo corso e dell’inizio della nuova alleanza, tempo che veniva a coincidere con le feste solstiziali e il capodanno consolare romano, cioè il capodanno del mondo classico. In questo tempo già il mondo precristiano aveva fatto coincidere l’inizio dell’anno con l’allungarsi dei giorni, il «nuovo crescere dei giorni» di cui parla sant’Agostino, pur con le sfasature tra la data del solstizio (21 dicembre) e il capodanno, e tra anno reale e anno legale, che portarono per esempio il solstizio al 13 dicembre, festa di santa Lucia. I romani erano giunti a ciò gradualmente, e l’inizio dell’anno oscillava tra l’equinozio e il solstizio. Il calendario, di dieci mesi, attribuito a Romolo fissava l’inizio dell’anno a marzo, mese dedicato a Marte, padre di Romolo e Remo, leggendari fondatori della città. Numa Pompilio avrebbe poi aggiunto gennaio e febbraio; gennaio, Ianuarius, posto sotto la protezione di Giano, garante di tutti gli inizi, e febbraio fingevano come da preparazione al capodanno, ancora fissato alle Idi di marzo. Ma già alla vigilia della riforma del

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Nella pagina precedente: 101. Disegno, I magi in cammino (1985). Katharina Kraus, Bibbia Masai, Jaca Book, Milano. Illustrazione di una suora tedesca, missionaria a Handeni, in Tanzania; esempio di inculturazione cristiana.

102. Cattedra di Massimiliano, in avorio (particolare). Le nozze di Cana (iv secolo). Museo dell’Arcivescovado, Ravenna. Il miracolo delle nozze di Cana, altra epifania, viene festeggiato anch’esso il 6 gennaio.


calendario, voluta da Giulio Cesare nel 46 a.C., il 1° gennaio, cioè le calende, aveva preso il sopravvento come capodanno sulle Idi di marzo. L’ingresso dei consoli, fissato nel 222 a.C. alle Idi di marzo, venne fissato nel 153 alle calende di gennaio, cioè al 1° gennaio, che si avviò così a sostituire le Idi come capodanno. Con la riforma giuliana, il capodanno fu definitivamente fissato al 1° gennaio, mentre alle Idi rimanevano delle generiche festività collegate al rinnovamento cosmico. Col cristianesimo, inizialmente il problema fu di fissare il tempo dell’inizio della nuova era, scegliendo tra il tempo del concepimento, quello dell’Incarnazione e quello della nascita. La data del capodanno era stabilita secondo diversi stili: lo stile della Natività fissava il capodanno al 25 dicembre; quello dell’Incarnazione o fiorentino (in uso a Firenze) al 25 marzo; quello della Pasqua o francese, in uso in Francia fino al 1564, alla domenica di Pasqua; lo stile veneto, in auge a Venezia fino al 1797, fissava come data il 1° marzo; quello bizantino, in auge nelle Puglie e in Calabria nel Medioevo, il 1° settembre. Lo stile attualmente in uso, che fissa il capodanno al 1° gennaio, è detto moderno o della Circoncisione, perché la circoncisione di Gesù è ricordata sette giorni dopo la nascita, cioè dopo il 25 dicembre. Peraltro il 1° gennaio, che nel Medioevo non fu festeggiato come capodanno perché non era legato a ricorrenze particolarmente significative o a eventi astronomici, non è

103. Affresco, San Pietro battezza i neofiti (1424). Masaccio. Chiesa del Carmine, Cappella Brancacci, Firenze.

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neppure oggi sentito come vero capodanno né dalla Chiesa (che inizia l’anno liturgico all’inizio dell’Avvento), né dalla gran parte della gente, che pure in massa partecipa alle ritualità ora organizzate anche dagli enti locali per una celebrazione enfatizzata del nuovo anno: il 1° gennaio rivela rapidamente la sua natura di data convenzionale e l’inizio del nuovo tempo, almeno alle nostre latitudini, è più sentito alla fine dell’estate, quando riprendono molte attività, in primis quella scolastica (con tutto l’indotto collegato), dopo la pausa della stagione calda che fa sospendere il lavoro per periodi di vacanza e di riposo. Nel Medioevo il vero capodanno era il 25 dicembre, collegato all’evento del solstizio e alla nascita di Gesù. Le tradizioni collegate con l’Epifania evidenziano, dunque, che si tratta anche di una «festa d’inizio»: aspetti legati più specificamente ai magi, alla loro natura e alle loro caratteristiche, sono strettamente intrecciati e difficilmente distinguibili da quelli che sono invece tipici di questo tipo di festa. *** Commentari dei teologi, fantasia degli artisti e degli scrittori, hanno formato, nel corso del tempo, le differenti percezioni che quei «sapienti» ebbero dei magi e dei re magi. Ma anche il «popolo comune» ha saputo prendere la parola e partecipare alla festa, fedele a tradizioni diverse e antichissime, creando così una specie di legame tra le feste pagane del solstizio d’inverno (Saturnali romani, riti solari egiziani o celtici, culto germanico dei morti) e le feste cristiane, nonostante tale continuità non sia stata stabilita formalmente. Infatti, seguendo il consiglio che Gregorio Magno, papa dal 590 al 604, diede ai missionari che dovevano evangelizzare la Bretagna, di non schiacciare in un sol colpo tutte le credenze perché «è un’impresa impossibile», la Chiesa cristiana si astenne allo stesso tempo da ogni ondeggiamento. Legata alla liturgia che si è stabilita a poco a poco da Natale all’Epifania, la festa del 6 gennaio comprendeva perciò tre episodi della vita di Gesù: il battesimo, l’adorazione dei magi poco dopo la nascita e il miracolo delle nozze di Cana (cfr. cap. i). Ma alcune di queste commemorazioni furono privilegiate rispetto ad altre, a seconda dei tempi e dei luoghi, perpetuando così tradizioni piuttosto diverse: riti di protezione o guarigione, riti di aspersione, riti del fuoco. Saranno menzionate anche tradizioni tipiche di certi Paesi, come l’Italia, la Baviera, la Spagna, il Messico e Cuba. Come potremo constatare, molti di tali riti sono riti agrari. Non c’è quindi da stupirsi se un certo numero di detti meteorologici si riferiscono anche «al tempo dei re magi». «Stelle dei re magi» e «Fiore di Betlemme» dimostrano che il mito è evocato in ambiti molto diversi, dall’astronomia alla botanica. Un’altra tradizione popolare, sempre più diffusa in Francia, è quella dei «presepi provenzali» nei quali i re magi hanno naturalmente un loro posto. Tale consuetudine, molto più recente e nata dalla tradizione dei presepi nelle chiese, tende a laicizzarsi. Scomparsa di vecchie tradizioni agrarie, comparsa di tradizioni più cittadine: l’evoluzione è la stessa in vari Paesi. I riti degli inizi Osservando le feste dell’anno da Ognissanti a Pasqua, si può constatare il ricorrere di ritualità collegate sia con il timore del «vecchio» (assimilato alle tenebre e alla morte, e anche al peccato), da esorcizzarsi in vario modo e da superarsi con una opportuna e

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104. Pittura, Adorazione dei magi (prima metà del xiv secolo). Vitale da Bologna. National Gallery, Edimburgo. L’influsso degli artisti è stato determinante per la perpetuazione e l’evoluzione del tema.


anche violenta purificazione, sia col desiderio di bene per il «nuovo» (assimilato alla luce, alla giovinezza, all’infanzia e anche, ancora per analogia, alla salvezza, alla nuova vita) e la relativa naturale esigenza di augurare bene e abbondanza e far pronostici. Dall’equinozio d’autunno, quando in settembre la luce inizia a essere sopravanzata dalle tenebre (la cui negatività è peraltro controbilanciata dalla maturità dei frutti della terra), via via fino a quando non si verifica l’inverso all’equinozio primaverile, si assiste a una lunga lotta tra la luce e le tenebre, tra il vecchio e il nuovo: lotta in cui la vittoria della luce sulle tenebre si annuncia al solstizio invernale, quando i giorni tornano ad allungarsi, e trionfa definitivamente quando il giorno sopravanza la notte all’equinozio, cioè nel tempo che vede susseguirsi rapidamente le feste dell’Incarnazione, 25 marzo, e della Resurrezione a Pasqua che, non dimentichiamolo, cade la prima domenica dopo il primo plenilunio successivo all’equinozio di primavera. Tutte le feste del tempo che precede e segue l’Epifania vedono dunque riti e tradizioni religiose e folkloriche collegate con l’inizio del nuovo anno, riti e tradizioni che per altro troviamo collegati, in modo diverso, alle diverse feste religiose e non di questo tempo: tanto le maschere di Halloween quanto le maschere di carnevale non sono altro che tentativi di esorcizzare il male e il vecchio, che vengono cancellati nel bruciare il «vecchione» o la «vecchia» il 31 dicembre, o nel «segare la vecchia» delle campagne italiane in marzo. I riti degli inizi sono sostanzialmente di tre tipi: di purificazione, di pronostico e di augurio. Inoltre, come accade nei passaggi epocali, si assiste sovente ad un sovvertimento dei ruoli, per cui è proprio la figura marginale, di chi sta ai margini della società o comunque non ha potere (il folle, il bambino), ad assumere il ruolo principale. È da rilevare che il 6 gennaio coincide in molti luoghi con l’inizio del Carnevale, che poi esploderà nei giorni immediatamente precedenti la Quaresima: citiamo solo il motto siciliano (Palermo) «Per i tre re, tutti olé», cioè tutti in festa. Ed è agevole notare che questo sovvertimento ben si attaglia a una festa che vede uo-

105. Biglietto d’auguri, I magi in cammino (xx secolo). Cathy Baxter. Collezione privata, The Bridgeman Art Library, Londra. Disegno molto naïf che, con la sua stessa ieraticità, costituisce una forte affermazione.

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mini anziani e saggi, e presumibilmente ricchi, inchinarsi davanti a un bambino povero e apparentemente uguale a tutti gli altri. I riti di purificazione sono per analogia collegati con il fuoco e con l’acqua: il fuoco brucia, e l’acqua lava e porta via ogni male. I riti di augurio sono per analogia collegati con il sole – fonte di vita – e quindi con ogni tipo di luce: quella del fuoco, quella dei fuochi d’artificio, quella delle decorazioni esterne e interne; la stella che appare ai magi è luce essa stessa. E luce è pure il fuoco. I riti di augurio possono intrecciarsi con questi: per esempio, il falò che si trova in molti luoghi è anche l’occasione per trarre auspici per il nuovo anno guardando il tipo, la quantità e i movimenti delle faville che si sprigionano dalla catasta. Più sono numerose, grosse, vorticose e volano alto, più buono sarà l’anno. In Italia questi riti compaiono numerosi. Per esempio in Romagna (dove peraltro una leggenda dice che nella notte dell’Epifania i muri diventano di ricotta, in segno evidente di abbondanza) c’era l’uso di porsi ai quadrivi per ascoltare le prime parole dei passanti e unirle in un discorso, dal quale si traevano indicazioni per l’anno a venire, e si diceva: «Pasqua, Pasquina, Pasquetta – ch’avnì tra volte l’an – csa m’suzidràl nench st’an?» (Pasqua, Pasquina, Pasquetta – che venite tre volte all’anno – che mi succederà quest’anno?). In Calabria le ragazze, prima di addormentarsi il giorno della vigilia, recitano una canzoncina di buon augurio: se sogneranno poi una chiesa addobbata a festa o un giardino fiorito, l’anno sarà fortunato. In Toscana, i contadini infilano il capo sotto la cappa del camino: se scorgono tre stelle (si pensi alle tre stelle della cintura di Orione) sturano il vino buono perché è segno di buona annata. Tra i riti di augurio, tipico e ricorrente in tutta Europa è, come vedremo meglio, il canto di questua. Del sovvertimento dei ruoli si hanno diverse tracce: una particolarmente pittoresca è quella che porta dentro le stalle. I proverbi recitano: «La notte di Befana / nella stalla / parla l’asino, il bove e la cavalla», oppure: «La notte di Pasquetta / parla il chiù con la civetta». In Italia quasi tutte le regioni presentano la tradizione del dialogo tra gli animali. Riportiamo qui la versione toscana, in cui i protagonisti sono due buoi, chiamati Biancone e Nerone: «Biancone!». «Nerone!». «Te l’ha data ricca la cena il tuo padrone?». «No, non me l’ha data». «Tiragli una cornata!». La tradizione era volta a far dare cibo in abbondanza agli animali perché non sparlassero del padrone. L’usanza di dar cibo abbondante agli animali perché non si lamentino del padrone, e questi non vada incontro a sventura, si arricchisce nella versione della Romagna in un dialoghetto che ammonisce contro l’incredulità punita: «Un contadino incredulo si nascose nella greppia per spiare le bestie e vedere se veramente parlassero; e i buoi parlarono: “Cum stêt, Ro?” (Come stai, Ro? – Ro e Bi sono chiamati i buoi aggiogati rispettivamente a destra e a sinistra dell’aratro). “Sa dit, Bi?” (Come dici, Bi?). “Csa fêmm dmên?” (Cosa facciamo domani?).

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106. Copertina del libro di Edzard Schaper, Die Legende vom vierten König, illustrata da Celestino Piatti (xx secolo). La stella guida anche il quarto re magio che parte dalla Russia (cfr. p. 177).


“Se an avênn niint da fê, a splirën e padròn” (Se non abbiamo niente da fare, seppelliremo il padrone). E il bovaro, udito il dialogo, morì di spavento». Una tradizione analoga, ma riferita alla vigilia di Natale, e più delicata, si ha nei Balcani: la notte della vigilia i contadini non possono dormire nella stalla, perché non devono sentire i dialoghi degli animali, che si confidano i misteri legati alla nascita di Gesù. Il ciclo dei dodici giorni Le feste cristiane hanno quindi sostituito a poco a poco le antiche feste pagane generalmente legate al ciclo delle stagioni e ai riti agrari. È così anche per il periodo dei dodici giorni che vanno da Natale all’Epifania. Tale ciclo è stato osservato fin dalla remota antichità in diverse religioni. Dal 25 dicembre al 6 gennaio compresi si contano tredici giorni; se si esclude uno di questi due giorni, il risultato sarà dodici. Questo spiega perché, a seconda dei casi, il lasso di tempo tra Natale e l’Epifania si considera di dodici o tredici giorni (Shakespeare parla della «dodicesima notte» e un canto popolare siciliano dice: «I re hanno viaggiato per tredici giorni»). A proposito di questi numeri si possono fare varie osservazioni: innanzitutto dodici è il numero degli apostoli. Gli apostoli furono dodici prima del tradimento di Giuda e undici quando fu detto: «Forse anche voi volete andarvene?» (Gv 6,67); furono dodici dopo l’elezione di Mattia, scelto tra quelli rimasti con Gesù dopo il battesimo di Giovanni Battista e fino all’Ascensione (At 1,15-25). Durante il periodo della Passione e dell’Ascensione, contando anche Gesù, possono essere considerati dodici. In caso contrario, se si conta Gesù fin dall’inizio, il loro numero è di tredici prima della Passione e dodici nel periodo seguente. Sant’Agostino per primo fissò in tredici giorni la durata del viaggio dei magi (Serm. 203 in Epiph., 1,3 Patrologia latina xxxviii, coll. 1035-1036). In qualche modo il 6 gennaio chiudeva il ciclo dei dodici giorni. Nel Medioevo conservava gli usi degli antichi Saturnali romani, banchetto e traboccante baldoria; l’iniziativa era compito di un «re dei folli» eletto per un giorno. Giorno in cui mondo pagano e cristiano si riconciliavano nella festa dandosi alla pazza gioia, in cui follia e saggezza erano confuse e non opposte; un’idea molto biblica peraltro. È il significato delle narrazioni di Victor Hugo in Notre-Dame de Paris o del titolo della commedia di Shakespeare La dodicesima notte1. In certe regioni, nel giorno dell’adorazione dei magi veniva celebrata la festa dell’Asino: uno dei canonici entrava in chiesa a

107. Terracotta, Il bue e l’asino, dipinti a colori vivaci. Artigianato tradizionale provenzale.

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cavallo di un asino simboleggiante il profeta Balaam che aveva annunciato la nascita di Cristo (cfr. cap. i). Veniva anche rappresentato «Il dramma sacro dei tre re» (cfr. cap. iv). Ma gli eccessivi scherni contro il clero fecero proibire sia la festa che il dramma sacro. Il 6 gennaio, del resto, ha segnato per molto tempo l’inizio dell’anno. Era il giorno in cui si firmavano i contratti (l’anno civile ha avuto inizio il 1° gennaio solo nel 1691). Ecco alcuni esempi di questioni importanti trattate quel giorno: l’Epifania dell’anno 1169 ebbe luogo un colloquio tra i due sovrani Enrico ii d’Inghilterra e Luigi vii di Francia che furono entrambi sposati con Eleonora d’Aquitania. I tre figli di Enrico ii ed Eleonora vennero a rendere omaggio al re di Francia, loro sovrano; Enrico il giovane per la Normandia, il Maine e l’Angiò; Riccardo per il Poitou e l’Aquitania, Goffredo per la Bretagna. Nel 1194, sempre quello stesso giorno, Eleonora consegnò il riscatto raccolto per la liberazione del figlio Riccardo2. Il giorno dell’Epifania del 1227, Ferrante di Portogallo, prigioniero nella torre del Louvre dopo la battaglia di Bouvines, fu rimesso in libertà e ciò costituì il primo atto politico del regno del giovane Luigi ix, futuro san Luigi, consacrato re il 29 novembre 12263. Nell’Île-de-France, il 6 gennaio è talvolta chiamato «giorno di Typhaine», parola la cui origine è Theophania («manifestazione di Dio») che è diventato anche nome di battesimo

108. Icona, Il Salvatore con i dodici apostoli (seconda metà del xiv secolo). Galleria Tretiakov, Mosca. Il numero dodici è un numero sacro (cfr. p. 187).

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femminile. È il nome dato in maniera umoristica da Rabelais alla madre dei tre re magi secondo la tradizione che li vuole fratelli (Terzo libro, cap. 33). Questo nome lo si ritrova ancora in alcuni «Cantici natalizi» popolari. Come giorno di festa, il giorno dell’Epifania è contrassegnato da divertimenti popolari diversi che vanno dalla spartizione della focaccia alle camminate fatte sotto il segno dei re magi. In Alsazia, nel Sundgau, il 6 gennaio si fa un gioco a carte molto particolare, il Ramsaspiel, una specie di «belote» con cinque giocatori; e il premio è rappresentato da «bretzels» giganti4. Sempre quel giorno si tengono ancora alcune grandi feste agricole come quelle a La Châtre nel Berry… o a Tizimín in Messico. I re magi protettori e guaritori

109. Insegna di ristorante, I re magi. Poitiers (Francia). In quanto patroni dei viaggiatori, i re magi, spesso citati solo come re, vengono posti sull’insegna di numerosi hotel, alberghi o ristoranti (cfr. tav. 100).

Se i re magi diventano il centro della celebrazione liturgica del 6 gennaio, essi sono anche, come i santi, protettori e guaritori. Si ricorda in particolare la tradizione della «croce dei tre re» che vede i magi nelle vesti di protettori della vita delle campagne, e unisce singolarmente il tempo del Natale a quello della Pasqua: è attestata in numerose valli austriache, e in particolare nella Stiria. La croce viene preparata il 6 gennaio, formandola col «legno di palma», cioè con i rami dell’ulivo della processione delle palme della relativa domenica; viene aspersa con l’acqua benedetta il 6 gennaio, e infine viene posta in stalle, pollai, cortili, ecc., per proteggere da tempeste, fulmini, grandine. Viene posta anche sugli animali, per protezione. Françoise Lautman, come altri studiosi prima di lei, ha rilevato che i re magi venivano invocati contro la grandine, la tempesta e i pericoli dei viaggi, contro la stregoneria e i malefici. Proteggevano anche dalla febbre, dal mal di testa, dall’epilessia e dalla morte improvvisa. Partecipavano alla benedizione del sale, dell’acqua e del gesso che serviva a segnare le case. Analoghe tradizioni si hanno in Alsazia e Germania. Patroni dei viaggiatori In quanto tali, i re magi accompagnavano i pellegrini che portavano addosso un biglietto con le loro iniziali a mo’ di protezione o un amuleto con il nome dei tre re sul quale era scritto:

Sancti tres reges Gaspar, Melchior et Balthasar Orate pro nobis nunc et in hora Mortis nostrae.

Tre santi re, Gaspare, Melchiorre e Baldassarre pregate per noi ora e nell’ora della nostra morte.

Numerosi alberghi e locande portano ancora il loro nome in ricordo di tale patronato. In quanto patroni dei viaggiatori erano invocati anche nel momento del «Grande Viaggio»: si sperava così di ricevere in tempo i sacramenti. Nella raccolta La Prière aux saints en français à la fin du Moyen Âge, Pierre Rézeau raccoglie numerose preghiere rivolte ai tre santi re: eccone due esempi che evidenziano i santi protettori dei viaggiatori.

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Preghiera tratta dal calendario del Santorale parigino per il mese di gennaio (fine del xv secolo) O potenti re, pieni di ogni nobiltà Santi Baldassarre, Gaspare e Melchiorre, impetrate per me che nessuno mi ferisca né morte improvvisa né altra città mi opprima

poiché non chiedo di aver altro tesoro non lasciate la mia anima abbandonata a se stessa ma fatela entrare nella nobile dimora del Signore Dio che è immortale.

Orazione dei tre re Ah, tre re beati tanto dovete essere onorati voi che avete con la vostra condotta conquistato gioia e onore infiniti, Pregate la Trinità dei cieli che è un solo Signore e un solo Dio, che per sua pietà mi dia la grazia che io bene parli, voglia e agisca. Per voi che foste pellegrini

mi conceda che prima della mia morte io meriti con un pellegrinaggio o col fare del bene o con un viaggio o con elemosine o con buone azioni, o per la grazia di amarlo, di essere condotto sulla retta via per giungere alla sua santa gloria Amen

Le questue I questuanti, travestiti da re magi, la sera dell’Epifania percorrevano le strade con una lanterna sormontata da una stella e si facevano offrire un po’ di denaro o una porzione di focaccia dolce, «la porzione di Dio», che era loro destinata. I giovani cantori erano chiamati «cantori con la stella»; spesso scelti dal parroco prendevano molto sul serio il loro ruolo5. A poco a poco tutto ciò si trasformò in un divertimento; i questuanti, imbrattati di fuliggine, andavano di porta in porta cantando canzoni tradizionali e chiedendo la loro parte di dolce come cosa dovuta. Nel Galles, la notte dell’Epifania, si svolge una processione attorno a un regolo catturato secondo determinati riti e tenuto in una gabbia ornata di nastri. Il corteo si ferma davanti a ogni casa, canta una strofa e fa la questua come nei casi precedenti. L’origine di questa tradizione è poco chiara, ma sembra tuttavia legata alle feste del solstizio d’inverno. In certi Paesi come la Bulgaria, la vigilia di Natale si svolge una questua analoga di piccoli pani rotondi, anch’essa accompagnata da canti. In altri Paesi sono presenti tradizioni analoghe la vigilia di Ognissanti (festa di Halloween) e ciò dimostra che le tradizioni popolari spesso hanno fonti in comune. I cortei però sono spesso degenerati in disordini; da qui diverse interdizioni. Gerard Leser cita alcuni interessantissimi testi tratti dagli archivi di Sélestat o di Guebwiller che danno notizie di queste esuberanze. Il ricavato della questua era spesso consumato in pranzi comuni molto abbondanti. Il Berry era rinomato per i suoi pranzi pantagruelici: il 6 gennaio qui era chiamato anche «festa della mangiata». Oltre ai canti particolari abbiamo conservato qualche traccia di tali questue nelle strenne che vengono donate a certi mestieri. In alcune regioni, come l’Alsazia, qualche anno fa è stata rimessa in auge l’abitudine della questua fatta dai bambini6.

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110. Articolo del «Kehler Zeitung» (Giornale di Kehl, Germania) (5-6-7 gennaio 1996). «Grazie a questo, dei bambini potranno vivere». «I cantori della stella sono di nuovo in cammino»: annuncio della Gioventù cattolica tedesca sormontato dalle tre lettere C+M+B (cfr. pp. 210 e 220).


La tradizione della focaccia dolce È una tradizione molto antica. Alcuni vedono in essa la prosecuzione del dolce sacro dell’antichità (pium far) di cui ci parla Virgilio nell’Eneide7: «Pergameumque Larem et canae penetralia Vestae / farre pio et plena supplex veneratur acerra» (Poi si prosterna davanti al dio Lare di Pergamo e al santuario di Vesta dai candidi capelli e li onora con un dolce sacro e il contenitore d’incenso ricolmo). Un dolce sacro legato a un’offerta d’incenso è il sacrificio fatto da Enea dopo la fuga da Cartagine, allorché in Sicilia gli appare in sogno il padre che gli annuncia il loro incontro nei campi Elisi. In ogni caso, già durante i Saturnali romani si tirava a sorte il diritto a essere re mediante una torta rotonda come il sole. Guy Deleury ritiene che i cristiani egiziani, che sono stati gli iniziatori della festa dell’Epifania, abbiano con tutta probabilità trasposto in essa il disco solare così noto in Egitto: la focaccia dei re magi avrebbe quindi dei precedenti ancora più antichi8. Tuttavia essa è attestata in Francia solo verso il xiii o il xiv secolo, quando viene suddivisa tra le corporazioni per designare il re dell’anno. La focaccia dei re magi è una specifica tradizione francese. Nella maggior parte dei casi è una focaccia di pasta sfoglia che si tende sempre più spesso a farcire di crema alle

111. Scultura su Pietro, Adorazione dei magi, particolare: Vergine detta dell’Epifania (xvi secolo). Circonferenza esterna del coro della cattedrale di Notre-Dame, Chartres (Francia). Questa vergine dal viso molto fine tiene con la mano destra il Bambino Gesù e con la sinistra la focaccia dei re: rappresentazione originalissima.

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mandorle. Ma può essere una torta, specialità di ogni regione. Dentro è nascosta la fava. Nell’Angiò è una specie di schiacciata; nel Béarn un marzapane; nei dipartimenti della Drôme e dell’Ardèche una pogne, che è una specie di brioche al gusto di fiori d’arancio; nel Puy, una torta aromatizzata ai mirtilli e allo zafferano; nella Bresse o in Vandea, una brioche; una brioche decorata di frutta candita anche in Provenza. Il kouglof, la cui ortografia è fonte di discussioni, è oggetto di una leggenda; «sarebbe stato portato (in Alsazia) dai re magi durante l’attraversamento della regione»9. In certe regioni, in particolare in Normandia, si teneva da parte, oltre alla parte del povero, anche la porzione dell’assente e, a seconda del suo stato di conservazione, ciò era segno della buona o cattiva salute di colui che non poteva partecipare alla festa. «Nel dipartimento della Basse-Bretagne non si conoscono questue con la “Porzione di Dio” e tranne che in qualche città, non venivano tirati a sorte i re». Si «spezzava la torta», una focaccia nella quale era stato inserito un pisello o piantato uno spillo. Colui a cui toccava quella porzione pagava un’altra torta e non si parlava di re o regine10. Comunque sia, in quasi tutte le regioni della Francia, per tradizione, si fanno le parti di una torta contenente una fava che ha il compito di designare il «re» della festa. Anticamente il rito voleva che una volta fatte le parti, il bambino più piccolo, che rappresentata Apollo Febo, dio della luce, venisse messo sotto la tavola. Il padrone di casa lo interpellava dicendogli: «Febo!»; il bambino rispondeva: «Signore», cioè «Padrone». Il padrone diceva allora: «Per chi?» e il bambino, come l’oracolo di Apollo, indicava le parti destinate a ogni convitato. Il finale del rito ha resistito. Il re a sua volta sceglie la regina (o inversamente) e beve accompagnato dalle acclamazioni: «il re beve!», esclamazione pronunciata, secondo la leggenda, da uno dei re magi nel momento in cui, entrato nella stalla, vedeva Gesù bere il latte della madre. La focaccia dolce è accompagnata da corone di cartone dorato e argentato ornate a volte di finte pietre preziose: ciò permette di riconoscere i fortunati vincitori del giorno. Nemmeno la Convenzione che, nel giugno del 1795, aveva proposto di sostituire la focaccia dei re magi con una «torta dell’uguaglianza» nel «Giorno dei Sanculotti», è riuscita a intaccare una tradizione così radicata ma che non ha molto a che vedere con la festa religiosa. Il rito a poco a poco si è trasformato: la destrezza pagana della domanda rivolta al bambino è scomparsa; non viene più conservata la «parte di Dio» e il re non paga più da bere ai convenuti. Ma se la tradizione si è un po’ modificata, sembra per contro essersi estesa e rafforzata. È passata dall’ambiente familiare e degli amici ed è ritornata a quello del lavoro. La data della festa religiosa è stata modificata di recente, ma la focaccia dolce viene mangiata per tutto il mese di gennaio. Per contro, i dolci stessi sembrano aver conservato, nella maggior parte dei casi, le ricette tradizionali. La fava Nel libro En cheminant avec Hérodote (In cammino con Erodoto), Jacques Lacarrière ricorda che gli egiziani e i pitagorici consideravano la fava una verdura impura perché in essa vedevano la riproduzione mal riuscita della forma umana (effettivamente un tempo la fava era spesso sostituita da un neonato di porcellana). Nello stesso tempo era una pianta sacra, simbolo di rinnovamento. Veniva offerta nel rituale dei lavori dei campi, del matrimonio o del culto dei morti: conteneva le anime dei morti che portavano la prosperità nella casa.

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112. Il kouglof costituirebbe il segno del passaggio dei re magi in Alsazia.

113. L’uso della fava, inserita in un dolce per designare un vincitore, risale all’antichità.


Tav. 87. Statuette policrome in pioppo nero e acero, I re magi (particolare), Gaspare (prima del 1489). Proveniente dall’altare dell’abbazia cisterciense di Lichtenthal, Bade-Würtemberg. Cloisters Museum, New York. Magnifico re dalla raffinata eleganza. Nella doppia pagina seguente: Tav. 88. Statuette (xviii sec.). Musée de Chaumont, Haute-Marne. Re nero a cavallo secondo lo stile dei presepi napoletani. Tav. 89. Presepe napoletano (xviii sec.). Musée de Chaumont, Haute-Marne. Molteplici particolari pittoreschi caratterizzano questo tipo di presepe coloratissimo (cfr. p. 217). Tav. 90. Sopra e sotto: I tre re magi nel presepe della chiesa di San Silverio di Chiesa Nuova (1994), realizzati in precisa osservanza dell’iconografia tradizionale. Si noti il corno per contenere la mirra nelle mani del re moro Baldassarre. Gaspare con l’incenso è inginocchiato e Melchiorre, il più anziano, tiene il cofanetto con l’oro.




Tav. 91. Presepe della basilica di Sant’Eustorgio, Milano. Il presepe del periodo di Natale con i suoi re magi. A fronte: Tav. 92. Presepe della cattedrale di Colonia con il suo scenario antico e i suoi re.

Nelle pagine seguenti: Tav. 93. Figure di presepe, parrocchia di Santa Caterina di Strada Maggiore, Bologna. Dall’alto in basso, Gaspare porta la mirra, Baldassarre l’incenso, e Melchiorre, inginocchiato, mostra l’oro dello scrigno aperto: ogni magio ha il suo caudatario. Sono figure di media altezza (ca. 30 cm) opera di un plastificatore bolognese del xix secolo, forse Pietro Righi. Tav. 94. Figure d’Épinal, personaggi del presepe da ritagliare e montare. Immagini stereotipate: ogni re è accompagnato da un servitore; altri due servitori di cui uno armato di scacciamosche e uno che si occupa delle bevande; uno scudiero trattiene il cavallo.





Tav. 95. Figure d’Épinal in tutt’altro stile (1981). Si avvicinano all’arte tradizionale e popolare per la presenza di angeli e teste d’angioletti, aureole, atteggiamenti…


Tav. 96. Biglietto d’auguri cca, 1994. Oro, incenso e mirra: è ciò che recano i viaggiatori venuti da lontano.


Tav. 97. Disegno di Paul Kauffmann, La nenia dei tre re magi (1918). Apparso nell’albo Nos petits alsaciens chez eux (Éditions J.-P. Gyss, 1983). Illustra la questua fatta dai bambini, il giorno dell’Epifania. Travestiti da re, uno porta la croce, un altro la mezzaluna e il terzo una grande stella. Un quarto bambino tiene in mano un piattino per raccogliere le offerte.

Tav. 98. Santini del xix secolo: il tema dell’Adorazione dei magi è trattato con semplicità da queste immagini ad amplissima diffusione, che propongono esplicitamente, nella preghiera che si legge a tergo, i magi come modello per chi non esita a sostenere fatiche per seguire con prontezza intrepida la divina ispirazione. Tralasciati i significati simbolici della tradizione, l’oro viene inteso come espressione della carità, l’incenso dell’orazione, la mirra della penitenza.




Tav. 99. «Pasquelle» di Cervia. I momenti salienti – la partenza, il bussare alla porta, il canto e il ballo nelle case, la foto ricordo prima del commiato – della «questua» dei «pasqualotti» di Cervia. Qui, come in buona parte della Romagna, si conserva la tradizione di questo giro beneaugurante.

I pasqualotti sono sommariamente mascherati: un uomo è vestito da Befana; suo è il compito di far ballare, nelle case, la padrona e il padrone di casa, che non si sottraggono all’invito e sono ben lieti del buon auspicio che ne deriva. La visita prosegue con canti e brindisi e, prima del congedo, non manca la foto ricordo.

Tav. 100. Insegna di un ristorante, Issoudun, Indre. I tre re sono evidentemente i magi; ma un’iscrizione sulla facciata indica, inverosimilmente, che nel 1189, prima di partire per le crociate, in quel luogo si incontrarono Filippo Augusto, re di Francia, Riccardo Cuor di Leone, re d’Inghilterra, e Federico Barbarossa, imperatore di Germania.





Nelle pagine precedenti: Tav. 101. Il viaggio dei magi (xx sec.). Disegno di Franco Vignazia. Cammelli e cavallo trasportano i tre re, guidati dalla stella. Tav. 102. I magi davanti a Erode (xx sec.). Disegno di Stepan Zavrel. I tre viaggiatori arrivano davanti al palazzo d’Erode. Tav. 103. Il viaggio dei magi (xx sec.). Disegno di Carme Solé Vendrell. Dopo aver visto la stella, i magi si mettono in cammino. Tav. 104. Il viaggio dei magi (xx sec.). Disegno di Ivan Gantschev. Guidati dalla stella, i magi in cammino verso Betlemme attraversano le montagne. A fronte: Tav. 105. Biglietto d’auguri, I tre re (xx sec.). Disegno di Barbara Moget. Tav. 106. Biglietto d’auguri, I re magi (xx sec.). Disegno di Sara Anderson.

Da notare che se le fave erano vietate ai sacerdoti egiziani dell’antichità, ai giorni nostri esse rappresentano la base del piatto nazionale egiziano, il ful. Per parte loro, i magistrati di Atene venivano scelti tirando a sorte delle fave. Durante i Saturnali romani la scelta del re della festa dipendeva anche dall’estrazione della fava. In Francia la tradizione della fava sembra risalire al xiii o al xiv secolo, come quella della focaccia dolce. La comparsa della fava di porcellana si colloca «intorno al 1875 con il proposito – dice una leggenda – d’impedire agli avari di ingoiare la fava per non dover pagare da bere a tutti!»11. Sembra che la produzione di fave di porcellana sia iniziata in Sassonia e che i francesi in un primo momento le abbiano importate; dopo la prima guerra mondiale le fave vengono prodotte a Limoges, poi la porcellana è sostituita dalla plastica, dalla ceramica o dal metallo dorato. Ai giorni nostri esiste tutta un’industria che si divide un mercato di una cinquantina di milioni di fave (circa 15 milioni di euro) e per sopravvivere tende a trasferire in altri Paesi la produzione (le fave vengono attualmente fabbricate in Corea) o a vendere prodotti personalizzati. Già dall’inizio del secolo esistevano splendide collezioni di fave. Ogni anno si svolge una fiera di collezionisti in cui vengono trattati gli acquisti e gli scambi. Nelle città del Nord, per tirare a sorte i re non veniva utilizzata la fava, si usavano invece dei biglietti che raffiguravano il re e altri personaggi, accompagnati da una breve strofa. Ognuno doveva recitare la parte che gli veniva assegnata. Nel dipartimento delle Hautes-Alpes il biglietto dei re serviva a sorteggiare delle coppie di ragazzi e di ragazze; dipendeva da loro la possibilità di prolungare per la vita la scelta della sorte. Il dolce era colpito da fucilate o da lanci di sassi e poi veniva diviso. Il pranzo del re Un’altra tradizione riferita da Joseph Vandrisse riguarda il «pranzo del re»12. Durante l’Ancien Régime, alla tavola delle famiglie ricche, il giorno dell’Epifania c’era l’abitudine di tirare a sorte un re fra alcuni studenti poveri. Veniva fatto circolare un vassoio nel quale i convitati deponevano con generosità la loro elemosina. Il denaro veniva offerto al giovane per provvedere alle spese per i suoi studi.

114. Pittura, Il re beve (circa 1638-1640). Jacob Jordaens. Museo del Louvre, Parigi. L’estrazione della fava dell’Epifania è un soggetto che la pittura fiamminga ha ripreso più volte.

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I re magi protettori della casa In Alsazia, come in Germania o in Polonia, se i re magi sono i patroni dei viaggiatori essi sono anche, piuttosto paradossalmente, protettori della casa purché le loro iniziali (Caspar, Melchior, Balthasar) siano scritte sull’architrave (cfr. p. 220). Patroni dei fabbricanti di carte da gioco e di domino I re magi erano considerati anche protettori dei fabbricanti di domino e di carte da gioco per via dei re presenti nei mazzi. Riti aspersori legati all’Epifania-Battesimo di Cristo Può apparire curioso il fatto di ritrovare in questo giorno dei riti legati all’acqua: benedizione solenne delle acque nelle chiese orientali, bagno per rigenerarsi e conservarsi in buona salute in Germania; sempre in Germania, battesimo di una bacchetta (Berchentag = giorno della bacchetta) in grado di portare acqua, argento e oro. Nelle chiese ortodosse, quando il freddo non è troppo intenso, un volontario deve recuperare una croce immersa nel vicino fiume. In Grecia il 6 gennaio è la festa delle Luci, dedicata a Giovanni Battista e al battesimo in genere. Tutte queste tradizioni non sono più legate al racconto dei re magi, ma al battesimo di Cristo. Come abbiamo visto, il senso della festa primitiva era lo stesso e le tradizioni riprendevano quelle degli antichi culti delle sorgenti, cristianizzandoli. Con l’adorazione dei re magi e il battesimo di Cristo, si celebravano anche le nozze di Cana, cioè il miracolo che trasformò l’acqua in vino e che prefigura la Passione di Cristo.

115. Nella Foresta Nera, porta segnata con il marchio dei tre re, protettori delle case: C(aspar) M(elchior) B(althazar), con i numeri dell’anno in corso.

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In Alsazia veniva preparata «una particolare acqua di cui ogni famiglia portava a casa una boccetta in ricordo del battesimo di Gesù e del miracolo delle nozze di Cana»13. In Irlanda una credenza vuole che, la notte tra il 5 e il 6 gennaio, l’acqua si trasformi in vino14. Riti del fuoco

116. Fonte battesimale (particolare), Il Battesimo di Cristo (1107-1118). Renier de Huy. Chiesa di San Bartolomeo, Liegi (Belgio).

Tutto il periodo natalizio, inclusa la festa dell’Epifania, è ugualmente legato ai riti del fuoco e della luce: ceppo che arde secondo certi riti da Natale fino al giorno dell’Epifania, tizzoni portati in giro per i campi per cacciare talpe e topi campagnoli in Normandia o nel Berry; nel Poitou-Charentes, il secolo scorso, lanterna e stella brandite dai re magi nella questua per raccogliere le parti di focaccia che erano loro dovute. Ma se i riti del fuoco sono soprattutto riti di purificazione, ciò si esprime di solito col bruciare un fantoccio che rappresenta l’anno vecchio15; sovente si tratta di un momento di abbondanza beneaugurante, collegato alla purificazione. In Italia, per esempio, a Faenza, questo momento viene vissuto come una festa di saluto all’anno nuovo: è la nott de bisò, durante la quale si distribuiscono specialità gastronomiche locali e vin brulé; la festa chiude a mezzanotte, quando si brucia un fantoccio, il Niballo (cioè il cartaginese Annibale). Nel Veneto, in provincia di Verona, la sera del 6 gennaio si fa il brusemo la stria (bruciamo la strega), un rogo del fantoccio che simboleggia l’anno vecchio; ancora al Vecc e la Vegia vengono bruciati insieme, la sera del 6, in Piemonte, in provincia di Novara, in una manifestazione che appunto si chiama Carcavegia (Carica la vecchia). Anche altri fuochi sono legati ai riti degli inizi16. In Friuli, a Tarcento, grosse cataste (pignarul) di tronchi e arbusti vengono accesi alla vigilia; al tramonto si sale sul monte Coia con una stella fissata su una pertica: la stella precede un corteo in costume trecentesco e tutti portano una fiaccola. Si giunge al castello di Frangipane, e si accende il pignarul granit (la grande catasta), e questo è il segno per l’accensione di molti altri falò sulle montagne circostanti. La convivialità e la solidarietà sono ribadite in queste feste che riuniscono intorno al calore e alla luce di un fuoco intere comunità: esemplare è quanto accade in Veneto, dove un unico nome unisce i due elementi fondamentali della tavola, i cibi che non possono non far pensare all’Eucaristia. È il Panevin, il falò di contrada, usanza che riecheggia peraltro in mille raduni sulle piazze e sui sagrati: ci si raduna intorno al fuoco, per prendere il cibo più semplice e fare festa al nuovo tempo, e insieme rinsaldare i legami di famiglia e di vicinato. A Pertuis, nel dipartimento della Vaucluse, esisteva una Festa della Bella - Stella, probabilmente unica in Francia. Ne vengono date numerose descrizioni. Eccone una che risale agli inizi del xix secolo: «La Festa della Bella Stella viene celebrata ogni anno. Si svolge la sera della vigilia dell’Epifania e consiste in un carretto riempito di materiale combustibile che viene acceso con grande apparato e portato nei principali quartieri cittadini, al suono di tamburi e di strumenti musicali; il carretto è seguito da tre giovani che rappresentano i re magi, da tutte le autorità costituite e da tutto il popolo con un’allegria e con manifestazioni di gioia che è impossibile descrivere. Per la città è la festa più significativa ed è preceduta dai più grandi preparativi… Gli abitanti di Pertuis non mancano di andarvi dovunque si trovino»17. Numerosi Concili hanno cercato di proibire le pratiche pagane che consistevano nell’accendere fiaccole vicino alle sorgenti, agli alberi, alle rocce. Tali riti sono continuati, anche se si sono un po’ modificati, per esempio nei «cerchi d’incantesimo».

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Altre pratiche magiche A. van Gennep annota tutta una serie di riti più o meno magici che si possono osservare la notte dell’Epifania: far girare il bosso sopra il focolare per avere una risposta sulla qualità del raccolto o sulle condizioni di un ammalato; guardare in un secchio d’acqua la formazione dei cristalli di ghiaccio per conoscere chi si sposerà; il giorno dell’Epifania mangiare nove tipi di frutta per stare bene in salute tutto l’anno; non andare a caccia, quel giorno, per paura di una disgrazia…18. Paul Sébillot osserva che nel dipartimento della Haute-Bretagne, il giorno dell’Epifania o la domenica successiva, i giovani andavano a trovare le ragazze per sapere se potevano corteggiarle con intenzioni serie. Non potevano arrivare troppo presto perché solo colui che arrivava dodicesimo era sicuro di sposare la ragazza…19. Una tipica leggenda alsaziana vuole che le reliquie dei magi che giacciono a Colonia escano dal loro reliquiario la notte di Natale per fare un viaggio di dodici giorni. Il 6 gennaio passano da Strasburgo e dal Campo di Fuoco dove si danno a pratiche più o meno magiche per influenzare la natura. Caspar (è il nome alsaziano) ravviva le stelle lanciando una manciata d’oro verso il cielo, Melchiorre crea delle nubi che recheranno la pioggia bruciando un po’ d’incenso. Baldassarre invece getta una manciata di mirra sui terreni da pascolo perché restino verdi tutto l’anno. Tradizioni tipiche di altri Paesi Italia In Italia l’Epifania, il cui nome deformato ha dato origine alla parola «Befana» o «Befania», ha un’impronta diversissima. Ecco la leggenda riportata da J. Vandrisse: «Al tempo del re Erode, viveva in Giudea una vecchina di nome Befana. Era povera e brutta, così tutti i bambini si prendevano gioco di lei. Perciò il suo odio e il suo rancore erano così forti che la notizia della strage degli Innocenti compiuta da Erode l’aveva riempita di gioia. Al ritorno da Betlemme, i magi venuti ad adorare il Bambino-Dio si imbatterono in lei. Sconvolta, la Befana chiese come avrebbe mai potuto espiare il suo odio verso i bambini. “Avrai il privilegio, il giorno dell’Epifania, di vedere attraverso i muri delle case quali sono i bambini molto buoni e gli consegnerai dei doni. Gli altri, li punirai a frustate… risposero i magi”»20. Un’altra versione della leggenda che riguarda la Befana è riferita da F. Lebrun: «Si narra che la Befana vivesse a Betlemme, vedova, triste e senza figli. Un giorno raccoglieva legna nella foresta. Le si avvicinò un gruppo di cavalieri che montavano dei cammelli. Le chiesero la strada per Betlemme dove, guidati dalla stella, andavano ad adorare il Bambino-Re. Voleva unirsi a loro ma, prima di partire, tornò a cercare la sua legna per paura che gliela rubassero. Quando fece ritorno, i re magi se n’erano andati. Allora cominciò a cercarli a Betlemme, poi in tutto il mondo, chiedendo la strada agli animali ai quali il bue e l’asino avevano annunciato la notizia. Mise nel suo sacco giocattoli e doni. Durante la ricerca, arrivò nel Nord Europa e san Nicola, prendendola per una strega, la scacciò. Si trasferì in Italia e san Giuseppe, preso da pietà per lei, le spiegò che il Bambino-Re era in ogni bambino. Da quel giorno, depone i suoi doni accanto ai bambini»21. Tuttavia la vecchia tradizione italiana della Befana è più legata al passaggio dal mondo dei vivi a quello dei morti, dal tempo passato al tempo a venire e tutto questo è in rapporto con la festa del solstizio che copre il periodo dal 24 dicembre al 6 gennaio.

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117. Biglietto d’auguri (xx secolo). Jorge A. Nadal. Questa rappresentazione sottolinea la diffusione universale del tema dei magi.


La leggenda della Befana è continuata in parte nella tradizione romana. In piazza Navona c’è sempre una specie di mercato nel quale i genitori possono comprare regali o fruste22. Se la Befana tende ad essere, un po’ alla volta, sostituita da Babbo Natale il 25 dicembre, come un po’ ovunque nel mondo, alcuni tuttavia continuano a celebrarla con panettone, spumante e vecchie canzoni italiane. Dalla parola befana viene in Italia il nome di due tipi di manifestazioni che sono da collegarsi rispettivamente ai riti di pronostico e buon auspicio, e ai canti di questua. Si tratta delle befanate profane, rappresentazioni popolari diffuse in Toscana, e le befanate sacre che rappresentano il viaggio dei magi seguendo la stella. Il termine befani ricorreva ancora in diversi luoghi per designare due giovani che stabiliscono una specie di fidanzamento di prova: il che potrebbe essere collegato ai riti di pronostico e augurio. 118. Babbo Natale. Ovunque Babbo Natale sta prendendo il posto dei personaggi tradizionali locali (la Befana per l’Italia).

Baviera Berchta o Perchta è, come la Befana, una strega legata al regno dei morti (era lei a condurre in cielo i bambini nati morti) che diventa benefattrice il 6 gennaio, perché distribuisce doni. La si trova anche nel Giura col nome di Berthe la filatrice, con qualche caratteristica diversa23. In suo onore si facevano anche giri di questue e cortei24. Ma siccome anche questi cortei erano degenerati, nel xv secolo furono proibiti, peraltro senza molto successo. Spagna Nonostante il periodo festivo inizi già il 22 dicembre, i bambini spagnoli devono attendere il 6 gennaio per ricevere i loro doni. Infatti sono i re magi a portarglieli dopo aver percorso le strade cittadine a cavallo e aver deposto i doni tradizionali in chiesa davanti a un presepe vivente e aver anche fatto una prima distribuzione di giocattoli in municipio. Tornati a casa, i bambini preparano qualche ghiottoneria per i magi (in particolare torrone), acqua e paglia per le loro cavalcature e lasciano in evidenza poi le scarpe ben lucidate. Alla mattina prestissimo, vanno alla scoperta dei doni lasciati lì, poi «vanno nel presepe a sostituire i re magi sui loro cammelli con altre statuette in cui i magi vengono rappresentati in piedi o in ginocchio mentre presentano i loro doni al Bambino Gesù»25. Torrone, dolce delle feste di Natale, villancicos, cantici natalizi popolari (cfr. cap. iv), narrazioni diverse; le tradizioni sui re magi sono molteplici. Da notare la leggenda che attribuisce a un pasticciere spagnolo, in servizio alla corte di Luigi xv, la preparazione della prima focaccia dei re magi in onore dei vari sovrani invitati nella reggia di Versailles, la sera di un 5 gennaio; focaccia nella quale il pasticciere mise un doblone d’oro. Messico In Messico, a Tizimín nella provincia dello Yucatan, esiste un importante pellegrinaggio dedicato ai re magi. La cittadina è costruita su tre colline in cima a cui si trovano tre templi; il culto dei re magi sostituirebbe un antico culto a tre divinità maya. La leggenda narra che le attuali statue portate nel xvi secolo dagli spagnoli, troppo pesanti per essere trasportate verso l’interno dal porto di San Felipe, si sarebbero lasciate trasportare dopo essere state girate in direzione di Tizimín. Effettivamente le statue sono vestite secondo la moda del xvi secolo; hanno in mano un piatto d’offerta; il re nero è al centro, più in alto rispetto agli altri, su un piedistallo più la-

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vorato di quello degli altri due. Il re nero era probabilmente sentito come il rappresentante degli Indiani a cui le statue si rivolgevano. Vediamo del resto la stessa cosa sullo stendardo della chiesa: il re nero si trova al centro. Per tutto il periodo natalizio, a partire dal 20 dicembre, si svolgono grandi feste. Per i quattro giorni di pellegrinaggio, il 5, 6, 7 e 8 gennaio, la folla di tutti i dintorni sfila ininterrottamente davanti alle tre statue. Ci sono tanti ceri accesi che la cera finisce per coprire il suolo raggiungendo uno spessore considerevole. Contemporaneamente vengono deposti degli ex voto legati a fili di lana che rappresentano la parte del corpo da guarire. In quel periodo si svolge anche una festa agricola, commerciale e popolare, con corride e degustazione di un piatto locale, una specie di bollito con ossa e frattaglie di toro, un piatto che, comunque, non è gustato solo in quest’occasione. Uno dei ristoranti della città si chiama «Locanda dei re magi» come numerosi altri in Europa. Cuba Il giorno della festa dei re magi all’Avana venivano portati in giro dei fantocci chiamati «anaquilés». Erano idoli tipici dei riti africani che in certe danze cerimoniali o religiose i danzatori neri mettevano all’estremità di un bastone. A partire dal 1796, fra le numerose associazioni di mutuo soccorso, si trovava anche una Confraternita dei Congos del Re (Cabildo de Congos Reales) che era anche una società ricreativa autorizzata a organizzare danze per la Festa dell’Epifania26. Detti

120. Cattedrale dell’Avana (Cuba).

La religiosità popolare si è estesa anche ai detti meteorologici relativi al «tempo dei re» partendo da osservazioni fatte a seconda delle regioni. «Pour les Rois, goutte au toit, saison de poix».

«Per l’Epifania goccia al tetto stagione di pece».

«Les hivers les plus froids sont ceux qui prennent vers les Rois».

«Gli inverni più freddi sono quelli che iniziano verso l’Epifania».

«À Nadau d’un pas d’aju Aux Rois, ça voit». oppure «Aux Rois d’une aiguille de soie».

«A Natale a un passo di gallo All’Epifania questo si vede». oppure «All’Epifania da un ago di seta».

(Detto del Berry a commento del fatto che, a partire da Natale, le giornate si allungano). Nell’Isère si dice: «S’il pleut pour les Rois, du blé aussi haut quel es toits. S’il pleut le 6 janvier, la récolte de vin sera bonne».

119. Chiesa fortificata (xvi secolo) di Tizimím, Yucatan (Messico). In questa piccola città con tre colline, ha luogo un importante pellegrinaggio in onore dei re magi.

«Se piove all’Epifania grano alto quanto i tetti. Se piove il 6 gennaio la vendemmia sarà buona».

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Nel Vivarese, sull’altra riva del Rodano, la situazione è invertita: «Per los Reis, bela jornada: L’ordi ven a botiadas».

«Bella giornata per l’Epifania l’orzo arriva a sacchi pieni».

Poiché questo periodo di dodici giorni era considerato sacro, si riteneva che esso potesse dare indicazioni sul tempo dell’anno; tale credenza è ancora viva in Francia: 121. Biglietto d’auguri, I re magi.

«Les douze jours qui vont de Noël aux Rois donnent le temps des douze mois».

«I dodici giorni che vanno da Natale all’Epifania mostrano il tempo dei dodici mesi».

I dodici giorni in Provenza vengono chiamati «giorni che segnano il tempo», in Lorena «piccoli mesi», in Alsazia «piccolo anno» (’s kleine Johr) o «la quantità che ognuno dei giorni porta» (Lostag), nel Berry «le prove», le tempoures nel Vivarese. P. Saintyves fornisce a questo riguardo precisazioni esaurienti27. Il giorno di Natale rappresenta il mese di gennaio: se il sole è chiaro, bello e luminoso, l’anno che verrà arricchirà il contadino e, se la notte è ventosa, arricchirà il vignaiolo. Vengono passati in rassegna tutti i giorni fino alla vigilia dell’Epifania, che fa conoscere ciò che dicembre tiene in serbo per noi: se il sole è chiaro, ci saranno guerre e battaglie; se la notte è ventosa, corvi e lupi troveranno cibo a volontà. Stelle dei tre re

122. La stella di Betlemme (Ornithogalum umbellatum).

Se non possiamo, nel nostro cielo, vedere la «stella di Betlemme», ci sono tre stelle che portano proprio il nome di «Stelle dei tre re»28 o «dei tre magi». Sono le tre stelle che si trovano al centro del quadrilatero di Orione e sono note con vari nomi: Cintura o Budriere di Orione, Cintura o Bastone di Giacobbe o anche Rastrello «poiché i tre re magi sono uniti solo in apparenza (…) e dovranno un giorno separarsi e seguire ognuno il proprio destino…»29. Ornitogalo o «Stella di Betlemme» Nell’Erbario Leggendario che ci fa scoprire la poesia dei fiori, Marie Gevers riferisce il racconto della stella di Natale (o di Betlemme) o Signora delle undici ore (Ornithogalum umbellatum). La stella, dopo aver guidato i magi e scorto il fanciullo divino, non voleva né ritornare lassù nei cieli, né morire con l’aurora. L’arcangelo san Michele le propose allora di «diventare fiore tra i fiori nei più bei prati del mondo». E così la piccola stella, ripiantata in terra per restare vicino agli uomini, è diventata «la stella di Betlemme» e fiorisce in maggio. Così stelle o fiori recano la traccia poetica del racconto dei magi in cammino verso Betlemme. Posto occupato dai re magi nel presepe Un’altra forma di religiosità popolare è quella dei presepi. Nel 1986-87, al Museo di Arti e Tradizioni popolari di Parigi, si è svolta una interessantissima mostra di presepi e tradizioni di Natale. Ha dato vita a un catalogo curato da

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F. Lautman, Crèches et traditions de Noël (Presepi e tradizioni di Natale), dal quale prendiamo i principali elementi sull’argomento. Il presepe, sia come mangiatoia in cui secondo san Luca fu posto il Bambino sia come parola (in tedesco: Krippen), compare verso il xii secolo nelle chiese. A ricordo di quello venerato a Betlemme per tutto il periodo di Natale, esso è collocato davanti all’altare maggiore e serve alle scenografie dei drammi liturgici. Nel 1223 san Francesco d’Assisi usa, secondo la tradizione, una grotta per porvi un presepe vivente e vi introduce il bue e l’asino. I presepi, in quanto insieme di statue a grandezza naturale, sull’esempio delle sepolture più diffuse, fanno la loro comparsa in Italia a partire dal xv e xvi secolo. In Francia i presepi, come i canti popolari, si sviluppano a partire dalla scomparsa dei grandi «drammi sacri» (cfr. p. 150), poi si moltiplicano per effetto della Controriforma. Uno splendido presepe parrocchiale, quello della chiesa di Pont-Saint-Esprit, lo si può vedere, passato il periodo natalizio, nel Museo di Arte sacra del dipartimento del Gard nella città che ha lo stesso nome; le statue di legno alte un metro e venti sono state, per la maggior parte, scolpite nel xix secolo, altre risalgono all’inizio del xx. I presepi napoletani del xviii secolo uniscono «spirito religioso, folklore e creazione artistica»30. Sono particolarmente raffinati e hanno una struttura complessa: grotta rocciosa secondo la tradizione greco-orientale o antiche rovine, per influsso delle recenti scoperte di Ercolano e Pompei; dietro i personaggi della Natività, angeli dal viso paffuto che volano al di sopra di pastori realistici, ma talvolta più idilliaci, che stanno a guardia di animali curati in modo particolare, al punto che si può riconoscere la precisa razza; ma sono presenti anche scene diverse di vita locale davanti alla «Locanda» e talvolta davanti alla chiesa. In questi presepi i magi occupano un posto speciale e il loro esotismo è reso magnificamente; sono seguiti da tutta una folla di servitori orientali – ricalcati sul modello di quelli che si vedevano nel porto di Napoli –, di soldati dalle armi cesellate, di odalische magnificamente vestite e adornate, di musicisti che suonano strumenti diversi perfettamente riprodotti in miniatura, di paggi seguiti da animali esotici. La bellezza e il colore dei tessuti, la forma dei turbanti e dei diversi copricapi, la sontuosità dei doni offerti dai re, la ricchezza dei finimenti dei cavalli, i gioielli, le perle, l’oro; tutto questo rappresenta ciò che i Napoletani potevano realmente contemplare coi loro occhi. Notiamo anche che, accanto alla Madonna bianca, come a farle eco, si può talvolta vedere una giovane donna nera che allatta il suo bambino.

123. Disegno di Alessandro Baldanzi. L’istituzione del presepe da parte di san Francesco. Si attribuisce a san Francesco il fatto d’aver installato un presepe vivente, con animali, all’interno di una grotta.

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In Francia, possiamo ammirare alcuni di questi splendidi presepi nel museo di Chaumont (nel dipartimento della Haute-Marne) che ne possiede una bella collezione. Il presepe provenzale si sviluppa durante il periodo rivoluzionario, che vieta la messa di mezzanotte e i presepi nelle chiese. Viene fatto, in modo discreto, all’interno delle case e diventa, a poco a poco, uno degli elementi essenziali della festa di Natale in Provenza. Dopo la guerra del 1940, il presepe esce dai confini regionali.

124. Presepe napoletano (xviii secolo). Museo di Chaumont, Haute-Marne (Francia). Struttura complessa con vari personaggi molto raffinati.

125. Presepe in un paese indiano. Vasquez. I lama hanno sostituito le pecore.

Le statuine del presepe sembrano aver fatto la loro comparsa a Marsiglia. Inizialmente in argilla cruda dipinta a mano, sono ora fabbricate in argilla cotta e rappresentano i diversi personaggi delle Pastorali (cfr. p. 161). Il presepe provenzale è caratterizzato dal posto importante attribuito ai pastori e agli artigiani locali. Avviene la stessa cosa nei «Cantici natalizi» popolari; ciò non toglie che i re magi, per tradizione, abbiano il loro posto, inizialmente, proprio in fondo al presepe, per arrivare in primo piano il giorno dell’Epifania. Il mercato delle statuine è in piena espansione. Così, oltre a quello famosissimo di Marsiglia, è diventata una tradizione la fiera delle statuine di Sceaux, fiera legata alle attività del felibrismo. Nel periodo intorno alle festività natalizie, si svolgono ogni anno numerosissime mostre di presepi. Prendiamo l’esempio dei presepi di tutto il mondo che sono esposti con regolarità nel castello di Trévarez, nel cuore della Bretagna, come in numerosi altri luoghi. È interessante vedere le differenti trasposizioni locali o moderne che se ne possono fare. Un presepe bretone presenta le sirene al posto degli angeli, come pure del bue e dell’asino; i re magi arrivano da lontano in barca e al bambinello, avvolto in una rete da pesca, portano del pesce. In un altro presepe bretone, la regina Anna prende il posto del re bianco, mentre il secondo re è asiatico e il terzo africano. Il presepe costruito da un centro di anziani, oltre al re nero propone un pastore nero. In un presepe portoghese, i re sono tipicamente orientali. Un presepe di Betlemme, in legno d’olivo, presenta dei re magi che portano la tiara. In un presepe di bambù di Taiwan, si distingue a malapena il colore di uno dei re. In un presepe thailandese il più vecchio dei re è in piedi, mentre gli altri due, più giovani, sono inginocchiati. Niente re magi invece per un superbo presepe di Haiti, in legno scolpito e con personaggi piuttosto grandi; Giuseppe, il falegname, sta finendo di scolpire una culla. Ma i re magi sono presenti in un presepe, più piccolo, sempre di Haiti. In Francia, il presepe vivente nato contemporaneamente al dramma liturgico, si è conservato a lungo grazie ai «Cantici natalizi», ai drammi sacri e alle Pastorali (cfr. cap. iv). Negli anni, possiamo osservare un ritorno ai presepi viventi. Così è avvenuto, ad esempio a Brest, nel Natale del ’93 in piena via Siam, con cinquanta figuranti, quattro attori professionisti e i cantanti di una corale; oppure a Issoudun, dove cammelli, asini e pecore fanno parte della festa insieme alla Sacra Famiglia, ai catechisti, a una ghironda e a una cornamusa; o a Châteauroux, che allestisce un presepe con bue, asino, pecore, caprette e re magi… Vi erano pure presepi parlanti, con statuine di grandi dimensioni, fatte muovere da attori molto fantasiosi. Le loro invenzioni non erano esenti da anacronismi, ma questo dava loro un certo fascino. Qualche anno fa la tradizione dei presepi animati è stata ripresa da un’associazione i cui proventi vanno ai «Ristoranti del cuore». Ogni anno nasce a Parigi un nuovo prese-

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pe (provenzale, veneziano, ecc.) che poi circola nelle grandi città francesi (Strasburgo, Montpellier) e anche all’estero, in particolare a Ginevra. È un piccolo spettacolo a cui partecipano numerosi artisti: così il Grande Presepe del Sole è stato realizzato da Lise Berger, che fabbrica statuine, Jean-Paul Fabre, mago degli automi, Alain Ferret, scultore, Yvan Audouard, narratore e Guy Béart, musicista. Nella chiesa priorale di Cunault, presso Saumur, per il Natale 1994 gli abitanti del comune hanno costruito un presepe di marionette animate. E si potrebbero citare molti altri esempi. Presepi viventi e cortei dei magi sono diffusi in tutta Europa, resti e insieme testimonianze vive delle sacre rappresentazioni di un tempo: li troviamo tra Natale e l’Epifania, e quando si svolgono la sera del 5 gennaio hanno al loro centro il corteo dei magi. Queste manifestazioni possono essere anche semplicemente ridotte al passaggio di un lungo e colorito corteo dei magi, che termina nel luogo dove è allestita una scena della capanna con la Sacra Famiglia. In Italia, a Milano, per citare una grande città, troviamo il corteo dei magi legato alla basilica di Sant’Eustorgio, che rievoca l’arrivo delle reliquie dei tre re nella città e la scelta miracolosa del luogo; un altro corteo notevole si trova nel Veneto, a Noale, accompagnato da cori e fuochi artificiali; in Emilia Romagna, in provincia di Bologna, presepi viventi e cortei dei magi sono presenti in diversi comuni, perché proprio nella città di Bologna si tennero cortei che non furono poi ripetuti, ma fecero scuola nella provincia. Notevole poi è la cabalcada di bambini e ragazzi in Spagna, a Siviglia, dove i magi sono invece impersonati da adulti. Figure di Épinal Un’altra forma di espressione popolare sono le figure che rappresentano scene note a un vasto pubblico, che hanno anch’esse seguito la moda attuale. Alcune sono a forma di quadretti dai chiassosi colori e di pessimo gusto, altre, più recenti, propongono soggetti orientali dai colori molto più delicati che si ritagliano per formare un presepe di cartone. I canti di questua La più bella tradizione, attestata in tutta Europa, legata ai magi è quella dei canti di questua, i cui nomi variano a seconda dei luoghi (cfr. cap. iv). Qui l’idea del passaggio è attestata dal fatto che i cantori vanno di casa in casa ed esprimono metaforicamente un buon augurio che passa da una casa all’altra, un annuncio di bene, che tuttavia, appunto, passa: bisogna essere pronti a coglierlo e a rispondere. In cambio dell’augurio e del canto, gli abitanti della casa visitata offrono cibi e danaro: il danaro oggi, in molti casi, viene poi devoluto ad opere di carità, spesso rivolte al Terzo Mondo. Troviamo questi canti in Austria, in Baviera, in Croazia, in Slovenia, in Polonia, in Alsazia, in Germania e in Italia. Tutta Europa, tra il Natale e l’Epifania, è percorsa da gruppi di cantori: si tratta di una specie di rito di buon augurio per l’inizio del nuovo tempo, e li ritroviamo anche in primavera31. In occasione dell’Epifania si caricano di significati più forti, anche perché i cantori si mettono idealmente nei panni dei magi, e portano la buona novella. I canti interpellano la benevolenza delle famiglie visitate che, in cambio degli auguri, vengono esortate a offrire cibi, bevande, e anche danaro: a volte la forma è anche quella

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126, 127. Corteo dei re magi, 6 gennaio, Milano, che ricorda quello del Medioevo.


del ricatto scherzoso, e a chi non fa offerte non si fanno buoni presagi, e allegramente si augurano malanni fastidiosi ma non gravi. L’augurio dei cantori è graditissimo e desiderato. Nelle case si prepara per loro una tavola imbandita (a volte anche preparare questa tavola è un privilegio, per esempio della più anziana di casa), e ci si ferma a cantare, suonare e anche ballare. A Cervia, in Romagna, i cantori portano abiti di fantasia, e tra di loro uno è mascherato da Befana, e si fanno anche ballare gli ospiti: canto e ballo sono di buon auspicio e capita che, durante il tragitto, qualcuno fermi i pasqualotti e chieda loro un canto, per aver buona ventura. Nella Repubblica di San Marino i pasquellanti, che tornano a casa molto allegri per il vino bevuto nelle diverse case, si dice tornino «con la pasqua alta», cioè ubriachi. La tradizione è vivissima in tutta Italia, dove diversi gruppi di studiosi e cultori di musica popolare raccolgono e ripropongono questi canti: nelle Marche, dove si conservano e tramandano canti antichi tuttora eseguiti, nel Veneto, in Romagna, in Toscana. In questa tradizione si propone una sorta di imitazione dei magi, provata anche dal fatto che i canti non sono limitati a una sola notte, quella della vigilia del 6 gennaio, ma vengono cantati per tutto il periodo che va da Natale all’Epifania. I gruppi dei cantori infatti, spesso al seguito di una stella, più o meno ben mascherati, seguono un itinerario che li porta a fermarsi davanti a tutte le abitazioni. La visita del corteo è sempre ben accetta, ed equivale a una benedizione. In Austria, gli Sternesingen (i canti della stella) coinvolgono oggi 70.000 adolescenti e 30.000 adulti, corrispondenti al 98% delle parrocchie austriache. Nel xvi secolo cominciano a cantare scolari, studenti, maestri e artigiani per migliorare i loro scarsi introiti con le offerte in natura o, più raramente, in denaro che ricevevano in cambio di questi auguri. Lo Sternesingen venne severamente vietato durante l’Illuminismo, ma rimase sempre vivo nelle valli alpine: dopo il 1955 (cioè da quando l’Austria ha ripreso piena autonomia dopo la seconda guerra mondiale) il canto della stella viene coordinato dall’Organizzazione giovanile cattolica (Katholische Jungschar) che destina le offerte al Terzo Mondo, cioè agli attuali bisognosi. Il piccolo corteo dei quattro bambini (tre magi e quello che porta la stella) si sposta di casa in casa: il più piccolo è dipinto di nero. Dopo il canto, i tre bambini scrivono le iniziali del nome del magio che impersonano sulla porta, inframmezzandole con croci e inserendole tra le cifre dell’anno: 19 C + M + B 99 è l’augurio per l’anno 1999.

128. Figure di Épinal.

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Questo uso, comune in Germania, Polonia, Austria, vede i tre re anche come protettori della casa e intercessori. Infatti le tre lettere C + M + B sono anche le iniziali della frase Christus Mansionem Benedicat, Cristo benedica questa casa. La particolarità della parola usata per indicare la casa, mansio – che è termine comunemente usato invece per indicare i luoghi di sosta, le mansioni, lungo i pellegrinaggi – suggerisce che qui la casa non è intesa tanto come l’abitazione privata, quanto come il luogo che offre riparo ai santi re, primi pellegrini, che di conseguenza lasciano a chi li accoglie la loro intercessione per la benedizione di Cristo. Ricordiamo qui il viaggio percorso verso Colonia dalle reliquie dei magi prese a Milano, e ci sembra si possa vedere nel corteo dei piccoli re una imitazione anche di quello che dovette accompagnare le reliquie, che benedissero con la loro presenza i luoghi in cui si fermarono. Inoltre, ogni pellegrino, alter Jesus, accolto in una casa, vi lasciava comunque la benedizione che le derivava dall’aver accolto, nel viandante, Cristo stesso. La scritta sulla porta, frequente sulle case dell’Europa di lingua tedesca, si trova così al centro di una serie complessa di collegamenti e tradizioni. La ricchezza delle tradizioni relative al giorno dell’Epifania sottolinea l’importanza dei diversi aspetti liturgici della festa (Battesimo di Cristo, adorazione dei magi e miracolo delle nozze di Cana) e ci fa prendere coscienza del fatto che ridurre l’Epifania all’adorazione dei magi è una trasformazione relativamente recente e riguarda soltanto la Chiesa occidentale. Liturgia e tradizioni sono intimamente legate, e danno a ogni Paese, a ogni regione, talvolta perfino a ogni villaggio, tradizioni molto particolari. Il modo di vivere cambia e con esso le abitudini relative alle feste religiose; scompaiono alcuni elementi, in particolare certi riti magici, altri invece, vedi la focaccia dolce o il presepe, si sviluppano entrando nella vita di tutti, credenti e non, poiché ognuno è libero di interpretarli a seconda delle sue convinzioni. Ma è forse utile riflettere talvolta sull’origine di certe pratiche sia che le si voglia perpetuare o che invece le si voglia mettere in discussione.

129. Figure di Sternesinger (cantori della stella) alsaziani (xx secolo). Pat Thiébaut, Strasburgo (Francia). I piccoli cantori vanno di casa in casa durante le feste (cfr. anche pp. 151 e 190).

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Canto di questua del circondario di Pontarlier (citato da P. Saintyves)

130. Biglietto d’auguri, I re magi (xx secolo).

Oggi è il sei di gennaio Tutti i re vengono a cantare per noi Cantando, cantando, Viva il re, viva la regina che beve!

Signore, se lei è una brava persona È per darci del denaro Cantando…

La torta è sulla tavola Il coltello la guarda Cantando…

Se non vuole dare nulla Non si faccia tanto pregare Cantando…

Signore, se lei è il re Lei è fra i più bravi, Cantando…

Perché fa abbastanza freddo Dovrebbe pensare bene a ciò Cantando…

Sarà ricompensato, Per tutta l’eternità Cantando…

Dio benedirà la casa, Le travi e i travetti Cantando…

Signore, se lei è del gruppo, È per far meglio uno spuntino Cantando…

Il padre, la madre E i bambini Cantando…

Canto di questua per l’Epifania Questo canto è stato raccolto a Ronchio di Romagna, dal gruppo La Contrada di Milano. Siamo qua da voi signori Siamo qua da voi signori / siamo qua alla vostra presenza a domandarvi una licenza / di cantare e di suonare. Con una dolce armonia / bona Pasqua e Befania con una dolce armonia / bona Pasqua il Ciel vi dia. Nel principio del nostro canto / ringraziamo Gesù Bambino Del mistero sacro e santo / nel principio del nostro canto del mistero sacro e santo / nel principio del nostro canto (bis). Si sapeva per profezia / che il Messia doveva venire una stella doveva apparire / che giammai veduta sia. Che giammai venuta sia / bona Pasqua e Befania che giammai venuta sia / bona Pasqua il Ciel vi dia. Siam venuti dall’Oriente / siam venuti qui bon’ora perché Cristo qui si adora / come il vero e gran Messia. Come il vero e gran Messia / bona Pasqua e Befania come il vero e gran Messia / bona Pasqua il Ciel vi dia.

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Canto di questua bavarese I tre santi re I tra santi re, nobili di nascita arrivano cavalcando con stivali e speroni arrivano cavalcando alla casa principesca, Erode li vede dalla finestra. Entrate, entrate voi saggi volentieri vi darò avena e fieno volentieri vi ospiterò al mio tavolo se mi direte subito dov’è il Bambino Gesù. Dio Padre, Figlio e Divino Spirito Santo è la Santissima Trinità. Se ci vuoi dare qualcosa, daccela subito noi dobbiamo andare ancora avanti e fuori fa troppo freddo.

Canto di questua austriaco Tre re venivano dall’Oriente Tre re venivano dall’Oriente magnifici da vedere e molto saggi nel comprendere. La loro strada era lunga, fra i monti. In cielo la chiara stella indicava il sentiero. Il primo si chiamava Gaspare e cavalcava un cavallo. Portava un anello, che valeva mille talleri. Voleva regalare molto oro al santo Bambino, che ne aveva così bisogno. Il principe Melchiorre cavalcava un cammello, aveva ai suoi ordini cento servitori; faceva portare incenso del più dolce al santo Bambino, gioiello di Maria. Baldassarre cavalcava attraverso il deserto secondo il costume dei neri, su un elefante; portava unguento e vino dei più fini per riempirne le mani al santo Bambino.

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Canto di questua sloveno I nostri tre re viaggiano I nostri tre re viaggiano, e l’argento portano, e l’argento portano, per regalarlo a Gesù. La luna pallida, chiarissima stella, indica loro la strada perché possano trovare il luogo dove è nato il nostro Signore. I re si son tolti le corone, sono entrati per inginocchiarsi; hanno regalato a Gesù l’oro, la mirra e l’argento. E che cosa regaleremo noi al Bambino Gesù? Non abbiamo né argento né oro né un cuore puro.

Note Si ringraziano Fernando e Gioia Lanzi per la partecipazione alla redazione di questo capitolo. Vedi a questo proposito l’introduzione di M. Henri Fluchère all’edizione delle Œuvrs complètes de Shakespeare, Bibliothèque de la Pléiade, t. ii, p. xxx. 2 I due esempi sono tratti da J. Chaban-Delmas, La Dame d’Aquitaine. 3 J. Le Goff, Saint Louis, p. 101. 4 J. Leser, Noël-Wihnachte en Alsace. 5 G. Trendel, Noëls magiques d’Alsace. 6 G. Leser, op. cit. 7 Virgilio, L’Eneide, Libro v, vv. 745-746. 8 G. Deleury, Les Fêtes de Dieu. 9 La Reynière, «Le Monde». 10 «Ar Men», n. 1. 11 F. Lautman, Crèches et traditions de Noël. 12 «Notre vie», 10-11 gennaio 1987. 13 G. Trendel, op. cit. 14 F. Lebrun, Le Livre de Noël. 15 Usanze simili si riscontrano anche il 31 dicembre: in certi casi si brucia il Vecchione negli anni normali e la Vecchia negli anni bisestili. 16 Li ritroviamo anche nelle tradizioni legate a Ognissanti e al solstizio d’estate, cioè alla festa di san Giovanni decollato. 17 A. van Gennep, Manuel de folklore français contemporain. 18 Ibidem. 19 P. Sébillot, Les littératures populaires de toutes les nations, t. xxii. 20 «Notre vie», cit. 21 F. Lebrun, op. cit. 22 Tradizione non perfettamente reperibile (ndt). 23 F. Lebrun, op. cit. 24 G. Leser, op. cit. 25 M.-L. Bernasconi su «Réforme», 5-12-92. 26 A. Carpentier, La Musique à Cuba. 27 P. Saintyves, Les Liturgies populaires. 28 La chiama così Antonine Maillet nel libro Le Chemin de Saint-Jacques. 29 C. Flammarion, Les Étoiles. 30 A. Griffo, Les Crèches napolitaines. 31 È il favoloso Canto di maggio, diffuso per esempio sugli Appennini. Cfr. anche V. Hugo, p. 164, supra. *

Siate in buona salute e non abbiatevene a male con noi da voi rimane l’amato Gesù e con noi verrà Maria.

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CONCLUSIONE

Quanta strada abbiamo fatto seguendo i magi. Per concludere, possiamo constatare la ricchezza del mito dei «re magi», ricchezza che fa parte integrante della nostra civiltà. Quello che interessa è sapere come e perché si sia potuta verificare una simile evoluzione, come il racconto mitico sia stato inteso, recitato, cantato, raccontato, scolpito, dipinto, cesellato. L’evoluzione, l’abbiamo visto ed è cosa del tutto ovvia, è legata alla preoccupazione delle diverse epoche attraversate dal mito stesso. Dapprima il simbolo dell’attesa e della speranza che nasce sulle religioni orientali nei secoli più lontani si evolverà con il cristianesimo in occidente. Il secondo capitolo del Vangelo secondo Matteo riprende il racconto mettendo in scena i magi-sacerdoti della religione mazdea e sottolineando così che anche quei sacerdoti onnipotenti e stranieri riconoscevano la divinità del Bambino Gesù. Dopo qualche esitazione, i dottori della Chiesa accelerarono la popolarità del mito che, in fin dei conti, sembra sottolineare una delle novità fondamentali dell’insegnamento di Cristo, cioè l’universalità della Buona Novella. La fede popolare arricchisce il racconto cercando di dare corposità alla scena abbozzata nel Vangelo. L’arte paleocristiana s’impadronisce del tema e va nella stessa direzione. Il marchio dell’Oriente si fa ancora sentire nella rappresentazione dei magi, che fanno la loro comparsa con i tratti di un vecchio, di un uomo maturo e di un adolescente. Ciò sottolinea in un altro modo l’universalità: Cristo è venuto per tutti gli uomini di qualunque età essi siano. Nel Medioevo, i magi prima di diventare re assumono lo stile di cavalieri. Nel periodo delle gerarchie feudali, è grande per la Chiesa la tentazione di fare dei magi dei re posti come esempio ai potenti del tempo perché si sottomettano alla preminenza dell’autorità religiosa rappresentata dal divino Bambino. Vediamo fare la loro comparsa corone, sontuosi cortei e il primo re che, in segno di vassallaggio, s’inginocchia davanti a Gesù. Nessuna meraviglia neanche per il fatto che le reliquie dei re magi siano state «ritrovate» proprio nel xii secolo e che, data l’importanza che era possibile attribuire loro, esse siano state utili nel dissidio tra l’imperatore Federico e il Papa. Le reliquie conferivano all’imperatore, al di là dell’unzione papale, una sorta di sacra ordinazione, posta in gioco sia religiosa che politica alla quale si aggiunge, per la città di Colonia, quella economica. A poco a poco, nel momento in cui artisti e scrittori escono dall’anonimato, i re magi acquistano un’individualità, hanno un nome preciso e assumono sempre più i lineamenti di un principe o di un generoso donatore. Nel xvi secolo, con le nuove idee religiose, l’aspetto individuale si mostrerà in modo più chiaro nell’atto con cui ogni re depone ai piedi di Cristo la propria sofferenza personale e cerca perdono e consolazione. Anche agli albori del Rinascimento, nel momento in cui l’Occidente prende coscienza dell’importanza dei mondi e delle civiltà che sono fuori dei suoi confini, l’universalità si manifesta con la comparsa del re nero. I divieti del Parlamento riguardanti le rappresentazioni sceniche che spesso degeneravano in festa eccessivamente licenziosa e la devozione verso il Bambino Gesù orientano la fede popolare in direzione del moltiplicarsi dei presepi parrocchiali e dei «Cantici natalizi», nel xv e xvi secolo.

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L’opera di svalorizzazione del mito è cominciata nel xviii secolo e ha raggiunto il culmine nei «Cantici natalizi» caricaturali. Contemporaneamente, il divieto di praticare il culto cristiano nella sua antica forma favorisce il moltiplicarsi dei presepi nelle famiglie. Nel momento del risveglio religioso del xix secolo i laici svolgeranno un ruolo importante nella pietà riguardante l’intero ciclo della Natività e mescoleranno sacro e profano nei presepi e nelle Pastorali. Nel xx secolo il mito si è esteso e al tempo stesso ha perso valore. Infatti la festa dell’Epifania si è imposta a tutti, credenti e non. Chi non decora la propria casa con un presepe, con i re magi passati dall’ambito della fede a quello delle tradizioni popolari? Chi non mangia il panettone, non solo a Natale o per l’Epifania, ma per tutto il periodo e in numerosissime occasioni? Spesso però i magi hanno perduto il carattere sacro conferito loro dalla Chiesa e servono solo come riferimento pubblicitario di alcune ditte, come si è avuto modo di vedere sovente alla televisione in questi anni. Il mito ci appare quindi molto vivo e continua a essere ricordato in numerose circostanze, evolvendosi in direzioni che talvolta possono sembrare contraddittorie. Infatti da un lato appare inutile cercare a qualsiasi prezzo la veridicità storica del racconto di Matteo, racconto al quale, nel corso dei secoli, numerose tradizioni hanno apportato tante aggiunte. Saremmo perciò tentati di dire: è una leggenda priva di interesse; non lasciamoci ingannare dal tradizionalismo che vuole conservare tutto, anche ciò che è discutibile, come il racconto della nascita. D’altra parte, non è proprio la forza di un mito quella capace di integrare tanti elementi diversi che rappresentano le diverse tappe della riflessione occidentale sui temi dell’universalità, dell’uguaglianza tra gli uomini, dell’accoglienza dello straniero, della posizione dell’uomo di fronte a Dio, senza cambiarne profondamente l’idea di partenza? Non dobbiamo quindi rallegrarci di questa perennità? Non si tratta di sacralizzare gesti o atteggiamenti in un periodo e in un contesto ben determinati, ma di lasciare che il racconto si apra alla quotidianità e all’attualità sotto il soffio dello Spirito. In questo modo conserverà tutto il suo valore e l’impatto sui cuori e sulle menti. In fin dei conti i re magi sono personaggi secondari e aneddotici; il centro della scena è Gesù Cristo. Ma, come loro, anche gli uomini sono alla ricerca di una speranza e i re magi continueranno, forse, a guidarli ancora per molto tempo sui sentieri di quella ricerca…

«Signore, Se vuoi aspettarmi ancora, sarò il quarto magio, partito da nessun posto, partito senza stella in cielo, per un viaggio in fondo al tempo, per un viaggio in fondo a me stesso… Quando le tenebre tutt’intorno confondono tutte le strade, quando la mia bussola interna si arrende, quando la mia strada si avvolge su se stessa, tu mi indichi da qualche parte nella notte le stella sconosciuta che fai sorgere per me.

Mi dici che mi aspetti ancora, perché la festa non comincerà senza di me e io sarò il quarto magio, venuto da un viaggio in fondo al tempo dal mio viaggio in fondo a me stesso! Ti offrirò la mia infanzia accovacciata sotto le rovine del mio passato adorerò il bambino di Natale come ci si inginocchia pieni di stupore davanti al fragile miracolo di una Parola diventata finalmente vera. Ora ti vedo nel bambino di Natale inginocchiarti davanti a me perché io diventi finalmente il tuo bambino».

Mi dici che non ho buttato via tutta la mia vita, il tempo che avevo sognato così diverso!

Tracce vive, Lytta Basset

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Postfazione PRIMIZIA DELLE GENTI, ANNUNCIO DI SALVEZZA di F. e G. Lanzi

Il grande sviluppo che il racconto di Matteo relativo ai magi ha avuto negli apocrifi, nei Padri, nella tradizione tutta, è stata come un’esplosione in numerose narrazioni, indica che il racconto evangelico alludeva a una ricchezza di senso eccezionale e fondante. Il testo del Vangelo, come sempre, è sintetico, netto, aperto: il racconto apocrifo, frutto di una mentalità poetica e immaginosa, ma sostanzialmente chiusa, non tollera, in questo come in altri casi, troppo mistero, e gli sostituisce il meraviglioso. Chiuso, questo sì, in una trattazione di tipo mitico, prigioniera di un dettato: non simbolica e misteriosa, aperta a interpretazioni e vissuti, e contemporanea, come il simbolo, di ogni lettore. Noi ci poniamo a far da cerniera tra la ricchezza di eventi e di particolari, che la tradizione ha accumulato intorno ai magi, e lo scarno ma chiaro testo evangelico: e proponiamo un’interpretazione che parte da un presupposto. La ricchezza della tradizione, in particolare di quella iconografica, è un messaggio che deve essere decifrato: è portatore di senso, di una «lettera» affascinante e di un significato spirituale che condivide con la sacra scrittura la necessità di un’interpretazione che ne chiarisca il significato simbolico, etico, anagogico. Partiamo da questo: anche qui c’è un mistero che si rende presente. Bisogna ascoltare. Il termine Pasqua indicava una festa grande: c’era dunque non solo la Pasqua di Resurrezione, ma anche la Pasqua di Natale e la Pasqua di Epifania. Ma Pasqua vuol dire passaggio: ogni grande ricorrenza celebra un passaggio, un cammino. Ogni festa è un passaggio. Lo esprime l’espressione di augurio di buon Natale in lingua spagnola, che recita: Felice Pasqua, che non solo afferma che la Pasqua è la festa per antonomasia, quasi la «madre di tutte le feste», ma anche sottolinea l’idea di un passaggio, che è un cammino. Ogni festa è un passaggio. Nell’uomo, che si concepisce così strettamente intrecciato di spazio e di tempo, ogni passaggio anche epocale si presenta alla percezione come un cammino. Anche i momenti fondamentali del tempo, la nascita e la morte, sono così connotati: si viene alla luce, si varca la soglia della vita, si trapassa. I passaggi epocali appaiono dunque come cammini, un cammino appare come un passaggio epocale. Ci spieghiamo così perché questi viaggiatori per eccellenza1, i magi, siano presenti all’immaginario collettivo con una sontuosità e una capillarità notevolissime, e perché (come per altro molte persone della storia) oltre a essere se stessi, rappresentino simbolicamente quanto accade sia ad ognuno che all’umanità tutta. Misteriosi e sontuosi, di una lontananza e di una estraneità paradigmatiche, si sono peraltro prestati a moltissime interpretazioni. Nel nostro Occidente, li ritroviamo in quella specialissima rappresentazione della prima parusia di Cristo infante che è il presepio (e hanno purtroppo subito la stessa opera di riduzione culturale), e il loro corteo per gli artisti come per gli artigiani è stata l’occasione di sbizzarrirsi in creazioni anche fantastiche2 che li hanno trascritti nell’immaginario collettivo come i «lontani» per eccellenza. Come di fatto erano. Al grandissimo pubblico appaiono in quadri e presepi di vario tipo: è singolare come proprio la loro più pregnante collocazione tenda ad essere meno rilevata; e sono stati mostrati anche nei film, non solo in quelli di Zeffirelli e di Olmi,

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ma anche, implicitamente, in Il texano; compaiono anche in uno spot pubblicitario, buffo e vagamente razzista: in storie, comunque, che ruotano intorno a un bambino, a un cammino, a un dono. L’universalità, la lontananza, il cammino, il dono, la capacità di leggere i segni, sono i loro tratti fondamentali e più noti: cui aggiungeremmo, seguendo la storia e il poeta T.S. Eliot, il ritorno. L’annuncio dei viventi Per capirli, bisogna andare alle origini e fare un’operazione di scomposizione e ricomposizione del loro collegamento con le feste del Natale di Gesù di Nazaret; bisogna cogliere coincidenze di funzioni nella trasmissione per immagini del messaggio cristiano; bisogna infine ricollocare feste e immagini nel contesto originario, da cui il loro dialogo col popolo di Dio nella Chiesa ha avuto inizio. Le prime immagini di Cristo vengono dalle catacombe, quei luoghi suggestivi dove prima e più chiaramente si espresse la novità cristiana. Luoghi di sepoltura, e di sepoltura accudita e amata: con i morti ci si intratteneva, in familiarità lieta e pur dolente per il distacco. Il refrigerium era il pranzo con e per i morti, insieme amati e temuti, del mondo romano precristiano: i cristiani gli sostituiscono il sacrificio eucaristico e la certezza di una comunione, di una solidarietà, che la dottrina della «comunione dei santi» puntualmente esprime. Se poi il morto era un martire, cioè un testimone, perfetto imitatore di Cristo, primo martire, testimone fedele, era cosa desiderata e bellissima stargli accanto, frequentare la sua sepoltura, essere poi seppelliti accanto a lui3. Gli ipogei che abitualmente chiamiamo catacombe erano dunque in realtà luoghi di vita, e luoghi in cui si riceveva dai defunti il loro ultimo messaggio, trasmesso dai riti che vi si celebravano e dalle immagini di cui gli ipogei stessi sono ricchi. Mentre non ci è più dato cogliere il messaggi dei gesti e dei riti, possiamo leggere in trasparenza il messaggio delle immagini. Ma bisogna fare una piccola digressione, e spiegare perché annettiamo tanta importanza a questa arte funeraria. L’arte, quando non sia semplice (ma significativa) espressione di ricerca e rappresentazione di armonia (e andiamo proprio alle origini, ai ciottoli bifacciali che manifestano un senso estetico strettamente collegato alla funzionalità), si trova collegata al rapporto col mistero, quale l’uomo lo incontra nella morte e quale l’avverte presente al perpetuarsi della vita e in particolare nei momenti di passaggio4. Grandi affreschi accompagnavano i riti di iniziazione, altre opere accompagnavano nell’ultimo passaggio, e le ritroviamo nelle inumazioni che testimoniano come, di fronte al mistero della fine (che rimanda a quello dell’inizio), permaneva la certezza del continuare della vita. La prima arte è iniziatica e funeraria5, e in particolare l’arte funeraria rimane grande fino ai nostri tempi, quando perde l’oggettività e si scioglie in pianto o si smarrisce in indifferenza e privacy anonima. L’arte funeraria costituisce il più forte messaggio per i vivi: di fronte all’ultimo passaggio terreno, i vivi preparano per i vivi l’affermazione delle loro certezze, perché nel dolore del distacco non vacilli, ma si confermi, la fiducia nella vita eterna e la consapevolezza delle sue condizioni. Negli ipogei troviamo insieme ad immagini-segno sintetiche (colombe e pani, pesci, ancore, crismon, ecc.), immaginiracconto di episodi della storia del popolo eletto e di sacramenti, che collocano storicamente la vicenda della salvezza, e ne definiscono le condizioni. Non c’è più né giudeo né greco In questo contesto – immagini che sono messaggio forte e necessario per i vivi – compare per la prima volta la figura di Gesù di Nazaret, e lo vediamo, infante, sulle ginocchia della Madre («primo trono del Figlio», come recita la liturgia bizantina), offerto all’adorazione di tre personaggi che non stentiamo a riconoscere come i tre re magi. Siamo qui nelle Catacombe di Priscilla, in quella parte, la più antica, detta Cappella Greca, che risale, secondo alcuni, al ii secolo d.C.: in ogni caso non dopo la metà del iii secolo. Quindi siamo molto prossimi alla prima evangelizzazione del mondo romano, quel tempo – per certi versi quasi mitizzato – di una giovinezza della fede: tempo nel quale della fede stessa spesso si vogliono cercare i tratti e i comportamenti più autentici.

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Non è questo peraltro che qui interessa. Interessa invece che si sia prima del 354, cioè prima del iv secolo, perché è appunto al 354 che risale la prima attestazione della celebrazione di una festa della nascita, il Natale (dies natalis), di Gesù di Nazaret. Nel Cronografo romano del 354 la data del 25 dicembre è segnata infatti come celebrazione della nascita di Cristo6: quindi anche se in seguito si è affermata nella Chiesa l’usanza, pur diversamente realizzata in Oriente e in Occidente, di richiamare con immagini la festa liturgica che si celebrava, questa rappresentazione7 dell’Adorazione dei magi appare slegata dalla celebrazione della festa e la precede. Da tutto il contesto, dal suo apparire insistentemente su sarcofagi e reliquiari, l’Adorazione dei magi appare figurazione specialmente legata all’ultimo messaggio, al testamento, da lasciare ai vivi. Altri messaggi venivano, nella prima arte cristiana, che per quel che ce ne resta è funeraria, dalle scene dell’Antico e del Nuovo Testamento: si tratta di scene che narrano la storia della salvezza, alle quali bisogna aggiungere la figura emblematica del Buon Pastore8. Ma specialissima è la rappresentazione dell’Adorazione dei magi: o meglio dell’Epifania, della manifestazione. Al momento della morte dunque, in un contesto che parlerebbe di morte, la rappresentazione dell’Epifania afferma invece che non solo il Cristo (il centro del sacro, il mediatore per eccellenza: anzi il primo e l’ultimo, l’alfa e l’omega, Colui che era, che è e che viene: tutta la Scrittura afferma una contemporaneità di Gesù a ogni uomo, il suo permanere ugualmente salvifico «ieri, oggi e sempre») è venuto, ma si è rivelato, si è fatto conoscere, e si è reso incontrabile da tutti. È il messaggio dell’«universalità della salvezza» che è propriamente veicolato dall’Epifania e dall’Adorazione dei magi e dalle rappresentazioni che si sono poi succedute di questo fatto storico9. Il mondo classico non era razzista: non nel senso che intenderemmo noi. Per il mondo greco romano il razzismo stava a monte del colore della pelle: stava in una estraneità non espressa dall’abito e dal colore, ma dalla condizione di cittadino che godeva di pieni diritti o no. Non c’era colore di pelle che garantisse dal ritrovarsi come cosa fra le cose, per debiti, sconfitta, prigionia o altro accidente. Ma c’era, invece, fortissimo il senso di appartenenza a un popolo, a una razza, alla quale tutte le altre erano estranee: ogni popolo era in qualche modo xenofobo, e ognuno si teneva stretti i suoi privilegi. Anche quelli derivanti dalla religione. Così fu vivissima, tra i primi cristiani, che furono ebrei di razza, la sensazione che, come Jahvè aveva scelto il popolo ebraico, così tra il popolo ebraico dovessero essere scelti i redenti: e ovviavano alla contraddizione col dettato missionario dell’ascensione, invocando per quanti si convertivano al cristianesimo il passaggio, per così dire, attraverso l’appartenenza ebraica tramite la circoncisione. È noto che già Paolo risolse la questione, ma possiamo immaginare che il superamento del problema sia stato una conquista nel tempo. Era quindi di conforto per tutti i non ebrei sapere che la salvezza era stata a tal punto destinata anche a loro fin dal disegno di Dio che, prima ancora che ai pastori ebrei apparisse una stella, un segno luminoso era apparso ai non ebrei nel cielo chiamandoli intorno a Gesù per farlo loro riconoscere come re dei giudei: e perché mai questi magi avrebbero dovuto annettere tanta importanza all’incontro con il «re dei giudei», se questo non fosse stato da loro percepito come personaggio ben più significativo che il re di uno dei tanti staterelli che facevano varia corona all’Impero romano? Giustamente la tradizione poi parla di Epifania: la vera natura di sovrano universale del Bambino era stata manifestata e percepita. Allora, le figure dei magi affermano anche un altro principio: che cioè la ragione umana, che essi seguivano e utilizzavano nelle loro ricerche, aveva da sola potuto giungere alle soglie della rivelazione. Il loro cuore, per grazia, per dono, come dice il loro stesso nome («mag» è radice che significa dono, il dono appunto della chiaroveggenza, della lettura dei segni), giunge alle soglie dell’incontro con il Dio della rivelazione: seguendo i segni interpretati, docili ad essi, i magi giungono al Bambino, ed egli a loro si rivela per quello che è, il redentore. Non a caso la Chiesa delle origini, in Oriente, aveva iniziato a celebrare la festa dei magi facendo memoria di altre due epifanie: quella al Battesimo di Gesù e quella del primo miracolo alle nozze di Cana. Questi tre momenti, insieme celebrati il 6 gennaio in Oriente, fanno ben capire che per la prima comunità cristiana i magi avevano ricevuto una epifania, una manifestazione divina, analoga a quella degli altri due episodi. La rappresentazione dei magi dunque ricorda la salvezza, e in particolare il suo carattere universale: non c’è lontananza che escluda dall’incontro col Redentore. Per tutto questo, non meraviglia che le rappresentazioni dei magi siano collocate là dove avviene il passaggio dal mondo alla Chiesa, rappresentata in quella sua immagine in pietra che sono gli edifici di culto. Sulle facciate delle grandi cattedrali, sulle fronti degli arconi (Santa Maria Maggiore), nelle absidi, l’Epifania, inserita tra le scene dell’infanzia di Gesù, compare a segnalare, tra i momenti di questa, quello preciso in cui fu chiaro che la salvezza era per tutti.

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Comunque la si chiami, Adorazione dei magi o Epifania (sono come le due facce dello stesso evento: è manifestata la divinità di Gesù e i magi rispondono adorandolo) è sintetica e sostitutiva di tutto il ciclo cristologico, perché l’omaggio di questi non ebrei (cioè non appartenenti al popolo della rivelazione) ricorda la caduta e sottolinea che l’Incarnazione e la Redenzione, cioè la salvezza, non sono solo per gli ebrei, ma per tutti gli uomini. Il dono Il dono ha due aspetti, quello che mette in evidenza colui che lo riceve, e quello che mette in evidenza colui che lo offre, e tali aspetti sono diversi se il dono è da un superiore a un inferiore, o da un inferiore a un superiore. In ogni caso stabilisce una privilegiata relazione, ed è cosa dell’offerente scelta o per esprimere la sua natura o la natura di chi riceve l’offerta. Per un aspetto quindi il dono è per eccellenza il segno della conversione: è cosa mia che offro a un altro, che metto nelle sue mani, perché ne disponga. È quindi un affidarsi totale, un riconoscersi mendicanti e dipendenti in tutto. Per un altro aspetto, il dono accettato è segno di un nuovo ordine, sigilla una nuova familiarità. Il superiore che accetta il dono chiama gli offerenti a partecipare alla sua vita: lo stesso significato porta il dono del superiore all’inferiore. Gesù accetta il dono, e chiama così i magi a partecipare alla sua vita divina. Quanto al significato, i doni dei magi sono insieme simbolici e profetici, e si riferiscono alla persona cui sono offerti, della quale indicano la natura umana (mirra: destinato a morire ma insieme a essere preservato dalla corruzione del sepolcro, poiché la mirra era usata nell’imbalsamazione); la natura divina (l’incenso era riservato alle persone divine); la regalità senza fine (l’oro era omaggio per i sovrani). Il cammino I magi lessero i segni del cielo e si misero in cammino. Camminano ancora, nel cielo d’inverno, nelle tre stelle della cintura di Orione, che appunto sono dette dalla tradizione popolare i «tre re». Non c’è annuncio che non metta in movimento, e l’altro tratto caratteristico dei magi è che si misero in viaggio: dall’Oriente, apò anatolòn, come dice Matteo. Per certi aspetti assomigliano a Melchisedec, che non si sa bene chi sia: la loro provenienza li definisce, e le rappresentazioni la trascrivono e la ampliano, arricchendola di fasto sontuoso. Si sono dunque messi in cammino: hanno la stessa nitidezza di giudizio dell’uomo di cui dirà Gesù nella parabola, che trovata una perla preziosa vende tutto per comprarla. Loro lasciano tutto per andare a vedere. È qui anche quasi un anticipo del famoso «vieni e vedi», praticato prima che definito nella richiesta. Si misero in cammino, e tutta la loro vita, anche dopo la morte, è caratterizzata dal viaggio. Secondo la più diffusa delle tradizioni, la regina Elena pose le loro reliquie a Costantinopoli, poi furono portate a Milano da Eustorgio, in un viaggio segnato di prodigi, che ha dato poi origine al bel corteo dei magi che ancor oggi ricorda il trasporto delle reliquie11. Ma un altro viaggio li attendeva, quello che nel 1164 fece loro compiere Federico Barbarossa che, conquistata Milano, fece distruggere la chiesa dedicata a sant’Eustorgio e portare le reliquie a Colonia, dove divennero meta di pellegrinaggi. Questo ultimo viaggio li segnò definitivamente come pellegrini, e la loro immagine, sulle facciate delle chiese, divenuta emblema del pellegrinaggio, le segnala come tappe dei numerosi cammini che solcano l’Europa e ne definiscono la fisionomia culturale. E questo a buon diritto, anche perché il loro primo viaggio, quello verso Betlemme, ha tutte le caratteristiche del pellegrinaggio, metafora della vita umana e della conversione. Mossi per dono, cioè per grazia, si affidano ai segni, corrono pericoli, toccano il sacro: portano il dono della conversione, ben rappresentato dai doni simbolici – ed è singolare che il Vangelo, così sobrio, li elenchi distintamente – con cui la esplicitano. Con essi infatti riconoscono Gesù figlio di Dio, salvatore e signore: riconoscimento che è il nucleo essenziale di ogni conversione. Si compie così la prima parte del pellegrinaggio. Il ritorno Un pellegrinaggio non è mai compiuto senza il ritorno. Qui il Vangelo è assai sobrio: fecero ritorno. Non molto diversamente da Pietro, Giacomo e Giovanni dopo il Tabor e la trasfigurazione: uguali a prima, eppure ontologicamente diversi.

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È il dramma del ritorno, illuminato da T.S. Eliot, che fa loro dire: «Vi fu una nascita, certo, ne avemmo prova e non avemmo dubbio. Avevo visto nascita e morte, ma le avevo pensate differenti; per noi questa nascita fu come un’aspra e amara sofferenza, come la Morte, la nostra Morte. Tornammo ai nostri luoghi, ai nostri regni, ma ormai non più tranquilli nelle antiche leggi fra un popolo straniero che è rimasto aggrappalo ai propri idoli. Io sarei lieto di un’altra morte». Il ritorno dei magi non fu affare solo loro: dopo di loro molti hanno raccolto la loro eredità e, tra Natale e l’Epifania, quasi in ogni parte d’Europa – chiamati, variamente, pasquelle, colede, Sterngsesange, ecc. –, in canti di questua festosi e a volte anche salaci, invitano a donare e portano l’annuncio della nuova vita. Nello stesso giorno, nelle chiese, risuona il grande annuncio della Pasqua, da cui scaturiscono tutti i santi giorni: benedizione reale, nella vita, che i canti avevano annunciato passando di casa in casa. Il nome della festa Il nome della festa è indicato in diversi modi, che sottolineano diversi aspetti. In particolare, la parola «Epifania», col suo significato di manifestazione (della divinità), mette l’accento sull’iniziativa divina. Alla sapienza dei magi (già essa stessa dono) che conoscevano le profezie di diverse religioni, si aggiunsero segni (la stella), e soprattutto Gesù, al loro apparire, si manifesta loro, confermando quanto già più o meno chiaramente avevano intuito preparando i doni. La definizione «Adorazione dei magi» mette invece l’accento sulla loro azione, sulla loro risposta all’epifania stessa. Il linguaggio simbolico Il linguaggio simbolico è proprio dell’uomo: la sua comparsa segna l’inizio della concettualità e dell’attività creatrice che dal simbolo, sempre avente una radice concreta nell’esperienza umana, vengono per così dire strutturate, in una sorta di imprinting11. Ma quello che preme qui sottolineare (anche per introdurre alla stupefacente molteplicità di coincidenze, analogie, rimandi, corrispondenze che caratterizzano l’universo dei magi e della loro storia) è che il linguaggio simbolico, il mondo delle tradizioni della pietà popolare e del folklore, presuppongono una «solidarietà» tra le creature (sia che si tratti di uomini sia che si tratti di creature dei tre regni, animale, vegetale, minerale) nei cieli, sulla terra e sotto terra, per cui nessuna vicenda è estranea alle altre e ogni creatura, momento ed evento ha una radice eterna nel disegno divino e provvidenziale.

Note Ogni viaggio, ogni pellegrinaggio (il secondo si distingue dal primo per una diversa consapevolezza) è una «ricerca del Centro», una ricerca di un avvicinarsi e partecipare del sacro, che solo consente la vita. Gesù Cristo è il centro del sacro (cfr. J. Ries, Il sacro nelle religioni dell’umanità, Jaca Book, Milano 1982, pp. 219ss.), quindi i magi che si misero in viaggio per cercarlo, sulla scorta delle profezie e del segno nel cielo, sono appunto uomini pellegrini alla ricerca del centro del sacro. 2 I magi hanno subito la stessa operazione di riduzione culturale del presepio, e sono stati considerati cose da bambini. Cose da bambini e cose da artisti sono oggi spesso infatti accomunate nella mentalità comune da un tratto ben triste: sono non vere e non incidenti, quasi un gioco. E si dimostra così che la natura del gioco è ben incompresa e rimossa, ché diversamente, porrebbe troppi interrogativi. 3 Questo porta con sé un corollario: che cioè gli abitanti dell’aldilà non siano insensibili alle vicende degli abitanti dell’aldiqua, e 1

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ci siano un dialogo continuo e un’intercessione, pur diversamente avvertite, avvertibili e consapevoli, tra le persone divine, i santi, le anime purganti, e i vivi. 4 Cfr. J. Ries, L’«homo religiosus» sulle tracce di Dio, in AA.VV., I segni di Dio. Il sacro-santo: valore, ambiguità, contraddizioni, Atti del terzo convegno teologico di Cinisello, 19-20 giugno 1992, Edizioni San Paolo, 1993. 5 Ibidem. 6 Con Cronografo romano si designa convenzionalmente una raccolta di testi prevalentemente cronografici, compiuta nell’anno 354. Il Cronografo, opera di Filocalo, consta di un elenco di consoli fino al 354, un canone pasquale, un elenco dei prefetti di Roma tra il 254 e il 354, un elenco dei martiri (Depositio martyrum) e dei papi (Depositio episcoporum) venerati a Roma, il cosiddetto Catalogo Liberiano, una duplice redazione dei fasti consolari romani, una cronaca universale (la Chronica Horosii), una cronaca degli imperatori di Roma fino a Licinio, una descrizione di Roma per regioni. Il 25 dicembre è citato due volte: in capo alla Depositio martyrum («viii Kal. Jan., natus Christus in Betlem Judeae»), e nel Catalogo Liberiano, come solennità civile, la festa della nascita di Mitra (natalis solis invicti), corrispondente alla solennità cristiana (Corpus Inscriptionum Latinorum, i, 278). Cfr. G. Lanzi, Presepi a Bologna, Bologna 1981. 7 Se ne trovano diverse. Nelle catacombe di Priscilla è la più antica; citiamo anche quella di un arcosolio delle catacombe dei santi Marcellino e Pietro, fine iii-inizio iv secolo, dove i magi sono due, simmetricamente disposti; nelle stesse catacombe, in un altro arcosolio, sono tre. Il che prova che il loro numero non era affatto noto, e la tradizione non lo aveva ancora fissato. 8 Peraltro attinta, nelle sue caratteristiche formali, alla raffigurazione della Filantropia, dell’Humanitas, del mondo classico. Cfr. A. Grabar, Le vie della creazione nell’iconografia cristiana. Antichità e Medioevo, Jaca Book, Milano 1983/1999. 9 Ibidem. 10 Le reliquie dei magi sono custodite (in parte) nella basilica di Sant’Eustorgio a Milano: una tradizione del v secolo racconta che sant’Elena, madre di Costantino, le portò a Costantinopoli, e le pose nella basilica di Santa Sofia. Il funzionario greco Eustorgio andò a Milano come inviato dell’imperatore: eletto vescovo della città (Eustorgio fu il non vescovo di Milano. Morì nel 331) fece ritorno a Costantinopoli per ottenere il consenso dall’imperatore che glielo accordò e gli donò l’arca con i corpi dei magi. Un lupo si avventò su una delle mucche che trasportavano l’arca e la divorò: ma Eustorgio lo costrinse a sostituirla sotto il giogo. Giunto a Milano, a un certo punto il carro si fermò e non si riuscì più a smuoverlo. Fu quello il segno in cui Eustorgio lesse la volontà dei santi re di essere lì venerati: costruì dunque una basilica che in seguito prese il suo nome, e vi pose l’arca. 11 Cfr. M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, Boringhieri, Torino 1976, pp. 42ss.; e Id., Immagini e simboli, Jaca Book, Milano 19984, p. 6.

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GLOSSARIO

Sono stati repertoriati in linea di massima tutti i nomi tranne quelli che ricorrono troppo spesso (Gesù, Israele, Maria, ecc.) o quelli che sono indicati in altre e diverse tavole; sono stati elencati anche i nomi comuni che richiedono una spiegazione. Abacuc: profeta d’Israele di cui porta il nome un libro dell’Antico Testamento (vii secolo a.C.) 28, 31, 131 Abramo 31, 135 Achemenidi: dinastia di re dell’antica Persia (vii-v secolo a.C.) 85 Adamo 30, 32, 47; tav. 36 Africa/africano 44, 65, 109; tavv. 71-78; figg. 28, 101 Agostino (sant’) (354-430): battezzato a Milano da sant’Ambrogio nel 387; vescovo di Ippona (Numidia-Algeria) 43, 182, 187 Ahura-Mazda fig. 16 Alessandria 182 Alessandro Magno 15 aloe: pianta africana dalla quale si estrae un succo purgativo e colorante 41 Alsazia 166, 189-190, 192, 210-211, 215, 218; tavv. 78, 97; figg. 36, 69, 84-85, 92, 129 Ambrogio (sant’): nato a Treviri, arcivescovo di Milano dal 374 al 397 42-43 Amiens 129; tav. 16; fig. 68 ampolle di Monza: ampolle che contengono l’olio sacro raccolto nei luoghi santi; quelle che si trovano a Monza sono d’argento 105 anassiridi: termine citato da Erodoto, Storie, Libro 1,71 riguardo all’abbigliamento dei Persiani che Creso, re di Lidia, va a combattere 84; tavv. 1ss. Angiò 188, 192 Anna di Bretagna 150, 217 apocrifi (testi): testi apparsi sospetti alla Chiesa che li ha perciò scartati nel momento in cui ha fissato il Canone (testi di riferimento) 12, 28, 31, 47, 84, 134, 145, 149, 226 Apollo 192 Aquisgrana 70; tav. 78 Arabia/arabo 41-42, 44, 148 aramaico: lingua parlata da Gesù 12 Ardèche 166, 192 Arles 110, 130; fig. 77 Armenia/armeno 29, 32, 41, 47, 66; tavv. 14-15; figg. 31, 52 Artabano 167 Asia 44, 65, 109 Atene 209 Augusto 13 Autun 112; tavv. 36-37, 78 Avesta: nome del libro sacro della religione mazdea (v. termine) la cui storia è piuttosto complessa. Le parti più belle e antiche sono attribuite a Zoroastro (v. termine); nel corso dei secoli sono stati aggiunti numerosi elementi fino alla distruzione operata nel iv secolo da Alessandro Magno; si conserva solo la traduzione greca dei libri riguardanti la medicina e l’astrologia. Ma l’Avesta ha nondimeno avuto una grande influenza sulle idee filosofiche di tutto il bacino del Mediterraneo. Il principio di universalità decretato da Zoroastro, sia dal punto di vista politico che religioso, è ripreso dallo stesso Alessandro che cerca di creare il Grande Impero. Nel iii secolo dell’era cristiana, i Sassanidi reintegrano una forma di zoroastrismo e cercano di riconquistare l’impero e di raccogliere i frammenti rimasti dell’Avesta 27, 29, 31 Avignone (concilio) 151

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Bach (Johann Sebastian): compositore tedesco (1685-1750) 180 Balaam: profeta fatto giungere dall’Oriente dal re di Moab, spaventato dall’arrivo degli Israeliti usciti dal deserto dopo l’Esodo dall’Egitto 16, 25, 30, 110, 148, 188; tavv. 10-11 Bar-Kochba 16 Basilio (san): Padre della Chiesa greca, vescovo di Cesarea (iv secolo) 43 Baviera 184, 213, 218 Bearn 192 Beda il Venerabile (san): monaco e storico inglese (fine vii-inizio viii secolo) 44, 46 Befana 212-213 Berchta 213 Bernardo (san): abate di Clairvaux (1091-1153); qui citato benché non sia da considerare un Padre della Chiesa 43, 136 Berry (Giovanni di Francia, duca di) (1340-1416) 110 Berry (Très riches heures du duc de) 106, 110, 131; tav. 57 Berry/del Berry 189-190, 211, 214-215 Besançon 60-61 Betlemme 13-14, 16, 27, 31, 48, 110, 112, 147-148, 151, 166, 168, 212, 215-217 Bisanzio/bizantina 86-87, 130, 183, 228 Bizet (Georges): compositore francese (1838-1875) 180 Blois 65, 132 Bourges 106, 110 Bouvines 188 Bresse 192 Bretagna 184, 192, 212, 217 Breviario romano: l’insieme delle preghiere dell’Ufficio divino che il clero è tenuto a dire o a recitare, secondo le norme romane 46 Briançon 64 Brinay (Cher) 112, 130 Brisach 61 Buddha 16; fig. 12 bue (e asino) 31, 62, 68, 85, 212, 216-217; figg. 107-108 Caldea/caldeo: la Caldea è a est della Palestina; è l’antica Babilonia posta tra il Tigri e l’Eufrate, regione nota per gli astronomi e gli astrologi 86 calato (calathos): parola greca che indica una pettinatura somigliante a un cesto capovolto fig. 23 Calvino (Giovanni) 149, 151 Cam 109 Cana 130, 182, 184, 210-211, 220; tavv. 13, 15; figg. 30, 102 canonici (testi): testi che rientrano nelle regole della Chiesa e sono inseriti nella liturgia 12, 31 Carlo v di Francia 107 Carlo vii di Francia 64-65, 107 Carlo viii di Francia 65, 107; fig. 40 Carlo Magno 146 Cesare 15, 183 Chartres 105, 112; figg. 49, 65, 111 Chaumont 217 cinnamomo: pianta aromatica dell’Asia (anche albero della canfora, della cannella) 41


Cipriano (san): vescovo di Cartagine (martire nel 258) 42 Colombo, Cristoforo 65 Colonia 58-71, 82, 88, 110, 130-131, 134, 148-149, 212, 220, 224, 230; tavv. 28-30, 48; figg. 28, 37, 42, 44-48 Concilio di Trento (1545-1563): si svolse sotto l’indiretta influenza della Riforma, per ristabilire la disciplina della Chiesa cattolica e modernizzarla 31, 46 Concilio Vaticano ii (1962-1965): si svolse per stabilire un aggiornamento della Chiesa nel suo rapporto con il mondo moderno 46-47 Costantino i il Grande: imperatore del tardo impero romano dal 306 al 337, con l’editto di Milano del 313 instaura il cristianesimo come religione consentita nell’impero, trasferisce la sede della capitale a Bisanzio, che assume il nome di Costantinopoli 25, 59, 61 Costantino ii, figlio del precedente 59 Costantinopoli 29, 59, 61, 67, 71, 148-149, 230 Cravant (Indre e Loire) 131 crismon: antichissimo segno cristologico, utilizzato inizialmente solo come monogramma, presente dalla metà del iii secolo, formato da I + X (iniziali di Jesus Christus, poiché CH è trascrizione latina del segno greco X), oppure da X + P (forma maiuscola della rho, seconda lettera di Xristus in greco) 16, 86, 227 Cuba 184, 214; fig. 120 Damasco 13, 178; fig. 53 Daniele: uno dei profeti del popolo d’Israele, prigioniero a Babilonia nel vii secolo a.C., diede il suo nome a uno dei libri dell’Antico Testamento 25, 28, 131; tavv. 1-9; fig. 15 Davide: re d’Israele (fine xi-inizio x secolo) 14, 110, 130, 135; tav. 1 Diodoro Siculo: storico greco (tra il i secolo a.C. e il i secolo d.C.) 25 Dioniso 47; tav. 1 dramma liturgico (e uffici) 105, 134, 136, 145, 149, 180, 216-217 Drôme 192 Dusarès 16 Ebioniti: negavano la divinità di Cristo pur riconoscendo in lui il Messia 43 Ebrei/ebreo 13-14, 16, 25, 28, 31, 42-43, 86, 131, 228-229; tavv. 1-12; figg. 70, 71 Efrata: altro nome di Betlemme 13 Efrem (sant’): Padre della Chiesa e scrittore siriaco, nato in Mesopotamia (iv secolo) 134 Egitto/egiziano 13, 45, 148, 168, 178, 182, 191 Elena (sant’): madre di Costantino il Grande (iii-iv secolo d.C.), fece iniziare degli scavi alla ricerca di tracce della vita di Cristo 61, 148, 230 Eleonora d’Aquitania: 70, 188 Elisabetta di Schönau 62 Elisi (Campi): luogo riservato agli uomini virtuosi (paradiso) presso Greci e Romani 191 ellenistica (arte) 84 Embrun 63-65, 82; fig. 39 Enea: eroe troiano figlio di Venere e Anchise; le sue avventure sono narrate da Virgilio nell’Eneide 191 Enrico ii di Francia 65 Enrico ii d’Inghilterra (re dal 1154 al 1189) 62, 70, 188 Enrico il Giovane: uno dei figli del precedente 62, 188 Enrico iv di Francia 131 Epifania: per questo termine vedi la fine del capitolo i e 229, 231 Epifanio (sant’): vescovo di Pavia (v secolo) 43 Erode: re di Giudea dal 40 (o 37) al 4 a.C. 12, 16, 27, 44-46, 68, 111, 129, 145, 148, 150, 161, 168, 212; tav. 16; fig. 68 Erode Antipa: uno dei figli del precedente, tetrarca di Galilea e di Perea (4-39) 27 Erodoto: storico greco, originario dell’Asia Minore (v secolo a.C.) 25, 192 Eschenbach (Wolfram von): poeta tedesco (ca. 1170-ca. 1220) 109 esegesi: commento e critica di un testo 16, 43, 149 esseniano: riferibile a una setta ebraica dei tempi di Gesù, particolar-

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mente austera e tesa a un’estrema purezza; contestava la legittimità dei grandi sacerdoti del Tempio di Gerusalemme 48 Etiopia/etiope 148, 165, 178; figg. 13, 95 Eufrate 178 Eugenio iv (papa dal 1431 al 1447) 107 eulogia: benedizione 32 Europa 44, 82, 109, 136, 186, 214, 218, 220, 230 Eustorgio (sant’): vescovo di Milano (iv secolo) 58-59, 82, 109, 230 Federico i detto il Barbarossa (imperatore di Germania dal 1152 al 1190) 58-60, 62, 65, 88, 224, 230 Felice (san) 70 Ferrante di Portogallo, conte delle Fiandre (xiii secolo) 188 Fornier (Marcellin) 64 Francesco d’Assisi (san, 1182-1226) 216; fig. 123 Francesco i, re di Francia (1494-1547) 65 Francesco, duca di Lorena 149 frigio (berretto) 84-85, 88; tavv. 1ss. Fulgenzio (san): vescovo di Ruspe in Africa (468-532) 43 Galerio (imperatore romano dal 305 al 311) 86 Gargilesse (Indre) 111; fig. 67 gentile: viene dalla parola latina «gentiles», le nazioni straniere, parola che gli Ebrei e i primi cristiani usano per indicare i «pagani» 43, 46 Gereone (san): martire cristiano con i compagni dell’eroica legione tebana, decimata per ordine dell’imperatore Diocleziano perché rifiutava di andare contro i cristiani 71 Germania 189, 210, 218, 220 Gerusalemme 16, 28, 31, 42, 65, 112, 129, 148-152, 168, 178, 182 Giacobbe: patriarca del popolo d’Israele, nipote di Abramo, padre dei dodici figli che hanno dato il nome alle dodici tribù di Israele 16, 31 Giacomo (apostolo) 31, 229 Giacomo di Antiochia 148 Gianni (prete) 65, 148 Giovanni Battista (santo) 45, 182, 210 Giovanni Crisostomo (san): vescovo di Costantinopoli (iv secolo) 42 Giovanni di Hildesheim 63, 65-66, 109-110, 129, 147 Giovanni il Buono, re di Francia 65 Giovanni viii di Costantinopoli 107 Giove 86 Giuda: uno dei dodici figli di Giacobbe (v. termine) 12-13 giudaismo farisaico: giudaismo che segue molto rigidamente l’osservanza delle leggi 13 Giudea 12, 14, 30-31, 48, 145, 148-149, 167, 212 Giura 213 Giuseppe: figlio di Giacobbe che ha dato il nome alla tribù d’Israele raggruppata intorno a Gerusalemme 12, 31 Giustino: filosofo cristiano, martire a Roma nel 165 ca. 12 Goffredo ii: uno dei figli di Enrico ii d’Inghilterra e di Eleonora d’Aquitania (duca di Bretagna dal 1171 al 1186) 188 Grammont 60, 64 Granada (Andalusia) 149 Grecia 47, 84, 210 greco-romana (arte) 25, 84-85, 105; tav. 1 Gregorio da Spoleto (san) 69-70 Gregorio i Magno (san) (papa dal 590 al 604) 184 Gregorio di Nissa (san): uno dei Padri della Chiesa (iv secolo) 31 Grenoble 64 Guebri: seguaci di Zoroastro rimasti in Persia dopo la vittoria degli Arabi nel vii secolo (regioni del sud-est iraniano) 28 Guglielmo il Maresciallo 62, 70 Haiti 217 Halley (cometa di) 15, 86; tav. 51 Halloween: festa popolate anglo-sassone del 1° novembre la cui origine


risale alla festa dei morti nella cultura celtica 185, 190 Hamoun-Hilmend (lago di) 28; fig. 17 Hebron: città dove, secondo la tradizione, sono sepolti Abramo, Sara e i patriarchi 16 Heidelberg: città tedesca (Bade) 147, 163 Hildesheim: città del nord della Germania, vicino a Hannover 7, 59, 63, 147 incenso: sostanza resinosa che proviene dall’Arabia, con forte aroma nel momento in cui brucia; per tradizione veniva bruciato sugli altari degli dei in Oriente 12, 16, 29-30, 32, 41-43, 105, 145-146, 148, 150, 178, 191, 212 India/indiano 30, 41, 105, 179 intertestamentario: relativo agli scritti apocrifi (v. termine) in margine all’Antico e al Nuovo Testamento 13 invenzione: invenire (latino) = trovare 9, 58, 146 Iran 28 Ireneo (sant’): vescovo di Lione (fine ii-inizio iii secolo) 43 «Isaia»: nome di uno dei libri profetici dell’Antico Testamento (viii secolo a.C.) 110, 131 Isère 214 Jafet 109 Jesse: antenato della famiglia di Cristo 135; figg. 5, 8 jubé: separazione a forma di parete tra la navata centrale e il coro della chiesa 112; fig. 65 Klosterneuburg (Austria) 109 Krsna: dio indù, rappresentato come ottava incarnazione di Visnù 16 Langres 166 Legnano 67-68 Leone (san) (papa dal 440 al 461) 43, 46, 108 Libero … (papa dal 352 al 366) 15, 47 Lieu-Croissant (abbazia) 60, 64 Limoges 136, 145, 209 Lorena 215 Luigi vii di Francia 188 Luigi ix (san Luigi) 61, 63, 188 Luigi xi di Francia 63-65, 107 Luigi xii di Francia 65, 107 Luigi xiii di Francia 65, 107, 131 Luigi xiv di Francia 107, 150 Luigi xv di Francia 213 Lully (Jean-Baptiste) 180 Lussemburgo 66 Lutero (Martin) 43, 149, 151 Maastricht (Olanda) 132 Madian: località presso il golfo di Akaba (nord-ovest dell’Arabia) M ¯a havamsa: cronaca dell’isola di Ceylon, scritta verso la metà del iv secolo fig. 12 Maine 150, 188 Mani (Manès): tentò di operare una fusione tra il cristianesimo e il mazdeismo (iii secolo d.C.); il termine manicheismo deriva dal suo nome. 25 Maometto 25 Margherita di Fiandra 164 Margherita di Francia 62 Marsiglia 161, 217 marouflé: tipo di tessuto la cui tela viene incollata su un altro supporto fig. 95 Maternus: vescovo di Colonia 69 Maurice de Sully : vescovo di Parigi (1120-1196) 136 Maurizio (san): capo della legione tebana (v. Gereone) 109 Mauron (Morbihan) 65 mazdeismo/mazdeo: religione dell’antico Iran fondata essenzialmente sull’op-

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posizione tra il dio del Bene (Ormuzd) e il dio del Male (Ahriman) e su un’estrema ricerca di purezza 27-28, 32-33, 41, 44, 71, 85; fig. 15 Medici: una delle maggiori famiglie di Firenze 66, 107-108, 180; tavv. 6, 66, 70; fig. 60 Meroe (Etiopia) 178 Mesopotamia: regione dell’antica Asia, compresa fra il Tigri e l’Eufrate, che aveva fatto parte dell’antico impero persiano 25, 86, 178 Messico 184, 189, 213; fig. 119 Michea: uno dei profeti dell’antico Israele che ha dato il nome a un libro dell’Antico Testamento 13 Milano 58-61, 63-64, 67-69, 71, 82, 105, 110-111, 134, 148-149, 180, 218, 220, 231; figg. 126, 127 mirra: sostanza estratta da un arbusto resinoso; serviva a imbalsamare i corpi 12, 29-30, 32, 41-43, 135, 145-146, 148, 150, 212 Mitra: dio della luce nella religione mazdea dell’antica Persia, diventa il centro del culto della religione mitriaca 15, 25, 30, 85; tav. 1; figg. 14, 51 mitraismo: forma greco-romana della religione mazdea al momento della nascita di Cristo, sviluppatasi soprattutto a partire dal ii secolo e incentrata sul culto solare del dio Mitra 25 Moab: paese a est del Mar Morto 16 Mok (antica Armenia, attuale Turchia) 66; fig. 17 Monginevro 64-65 Montemezzi (Italo): musicista italiano (1875-1952) 180 Mosè: ha diretto l’esodo del popolo d’Israele fuori dall’Egitto (storia narrata nel libro biblico dell’Esodo) 13, 16, 130; fig. 45 mozaraba (liturgia): liturgia cristiana di origine orientale praticata dagli spagnoli al tempo dell’occupazione araba 45 Nabore (san) 70 Nabucodonosor, re babilonese (604-561 a.C.) 131 Napoli/napoletano 65, 216 nardo: profumo indiano 41 Nazaret 13-14 nestoriani: discepoli di Nestore, patriarca di Costantinopoli, deposto dal Concilio di Efeso nel 431 perché separava le due nature di Cristo (umana e divina); si rifugiarono dapprima a Edessa, poi in Persia; attualmente si dividono tra l’Iran, l’Iraq e gli Stati Uniti, dove vive il patriarca 66 Névache (Hautes-Alpes) 64-65; fig. 40 Nicola (san) 212 Noè: patriarca biblico (Gn 6-9) 109 Normandia 188, 192, 211 Noruz: capodanno iraniano 28 Notre-Dame de Paris 106, 163-164; tav. 57 Numeri: quarto libro dell’Antico Testamento che racconta la storia del popolo d’Israele dopo l’uscita dall’Egitto per i quarant’anni nel deserto del Sinai 16, 25, 31 Origene: dottore della Chiesa, nato ad Alessandria (fine ii-inizio iii secolo) 15, 43 Orsola (santa): figlia del re di Bretagna, massacrata a Colonia insieme alle compagne dal re degli Unni che aveva rifiutato di sposare 71 Osiride: dio dell’antico Egitto, protettore dei morti 47 Ottone iv di Brunswick-Poitou 70-71, 108 Ottone di Frisinga 65 Padova 68, 86; tav. 51 Padri della Chiesa 12, 25, 42-44, 47, 84, 88, 108-109, 134-135, 149, 180, 227 paleocristiano: relativo al cristianesimo più antico 58, 67 Palestina/palestinese 15, 30 Paolo (san) 46, 228 Parigi 65, 106, 150, 162-164, 217 Paris (Matteo) 70 Parsi: zoroastriani emigrati in India all’epoca delle persecuzioni inflitte loro in Persia dai musulmani 28


partizione: divisione delle reliquie 63 Pavia (duca di) 107 pennone: piccolo stendardo degli antichi cavalieri 66 Persia/persiano 25, 28-30, 41-42, 44, 47, 84-88, 135; tavv. 1ss. Petra 16 Pietro (san) 30, 69, 229 Pilato: governatore romano di Giudea al tempo della morte di Gesù 12 Pio ii (papa dal 1458 al 1464) 107 Pitagora: filosofo e matematico greco (vi secolo a.C.) 15 Platone/platonico: famoso filosofo greco (429-347 a.C.) 15, 106 Poitou 150, 211 Polo, Marco: viaggiatore italiano che attraversò tutta l’Asia (1254-1323) 28-29, 67 Polonia 210, 218, 220; fig. 58 Prudenzio: nato in Spagna, vescovo di Troyes (iv secolo) 43, 134 Puy-en-Valay 192 Qumr ¯a n: località della Palestina non lontana dal Mar Morto dove, nel 1947, in alcune grotte è stata ritrovata tutta una serie di manoscritti che hanno permesso di conoscere meglio il giudaismo esseniano 48 Ravenna 86, 108 Riccardi (palazzo): ricco palazzo fiorentino appartenuto alla famiglia Medici 107, 111; tav. 70; fig. 60 Riccardo (detto Cuor di Leone): uno dei figli di Enrico ii d’Inghilterra e di Eleonora d’Aquitania 188 Richelieu (cardinale) 131 Rinaldo di Dassel: vescovo di Colonia (xii secolo) 59, 62-63, 71, 147 Roma 16, 84, 213 Romolo: fondatore della città di Roma 15, 182 Russia 177 Saba 42 Saba (regina di): sovrana dell’Arabia, chiamata a volte Balkis 31, 109, 131, 165; tavv. 16, 71; figg. 22, 45 Salins 61 Salomone: re d’Israele (x secolo a.C.) 31, 131; tavv. 16, 71; figg. 22, 45 Salonicco: città della Macedonia (Grecia) 85 Samuele: titolo di due libri dell’Antico Testamento, i quali raccontano la storia del popolo d’Israele nel periodo degli ultimi giudici; Samuele era l’ultimo giudice incaricato di ungere il primo re d’Israele, Saul (xi secolo a.C.) 13 Saoshyant = salvatore nell’Avesta (v. termine) 27 Sassanidi: dinastia persiana che regnò dal 226 al 652 d.C., cacciata poi dagli Arabi, v. Avesta Sassonia 209 Saturnali: feste celebrate a Roma in dicembre, in onore dell’uguaglianza che regnava al tempo del dio Saturno (età dell’oro) 15, 165, 184, 187, 209 Saturno 15, 86 Saveh (Savah) 29, 67 Scrovegni: nome di una grande famiglia di Padova 86; tav. 51 Sem 109 Senofonte: storico, filosofo e generale ateniese, discepolo di Socrate (iv secolo a.C.) 25, 85 Set: terzo figlio di Adamo (Gn 4,25-26) 16, 30, 32; tav. 36 Sibille: sacerdotesse d’Apollo che predicevano il futuro 149 Siena 105, 109 simbolismo/aspetto simbolico: dietro le immagini o i racconti occorre scoprire le idee da valorizzare, il significato profondo, indipenden-

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temente dall’autenticità della narrazione 25, 41, 105, 108, 130, 132, 167, 227-232 Simeone: vecchio ebreo che attendeva la venuta del Salvatore (Lc 2,2535) 25 siriaco: lingua letteraria cristiana che fu viva dal iii al xviii secolo 29-32, 41, 134 siriano 84; tav. 9; figg. 33, 35 Sisto iv (papa) 64 Siviglia 131, 218 Sodoma 179 Soissons 129 st ¯u pa: monumento commemorativo del buddismo 16 Sully: ministro di Enrico iv 131 Taiwan 217 Tarsis (o Tharsis): porto citato spesso nell’Antico Testamento, ma di difficile collocazione, spesso confuso con Tarso 42, 129 Tarso: città dell’Asia Minore il cui porto, nell’antichità, era notevolmente sicuro 112, 129, 148 Teodora (imperatrice d’Oriente dal 527 al 548) 108; tav. 6 Tertulliano: Padre della Chiesa, originario di Cartagine (fine ii-inizio iii secolo) 12, 42, 44, 109 Thyphaine (o anche Typhaine o Thiphaine): viene dalla parola greca latinizzata teofania, «manifestazione di Dio» 65, 188 Tiberio: figlio adottivo di Augusto e imperatore romano dal 14 al 37 d.C. 12 Tolone 149 Tommaso (san) 29, 65, 71, 105, 129-130, 148; fig. 19 Torino 61, 64 Tours 129, 131 Tracia: regione del nord dell’antica Grecia 45 Trapp (Hans), personaggio leggendario del Natale alsaziano 166 Treviri 62 Troyes 145 Ulm: città tedesca (Wurtemberg) 110 Urmia (Iran) 66; fig. 17 Ushida (monte) 28-30; fig. 17 Vallouise (Hautes Alpes) 64 Vandea 192 Vaucluse 211 Vaux (a sud-ovest di Teheran) 66-67, 148 Virgilio 191 Visconti (famiglia) 67-68 Vivarese 215 Yast (o anche yasht o yasna): capitolo dell’Avesta (v. termine) 27, 31 Zeuva 67, 148 Zoroastro (o anche Zarathustra): personaggio più o meno mitico di cui non si hanno informazioni precise. Le notizie più antiche sulla sua vita sono state scritte dai primi storici greci dell’Asia, in particolare da Erodoto (v secolo a.C.). Profeta del mazdeismo, Zoroastro (Zarathustra) è probabilmente vissuto nel vii o nel vi secolo, se non prima, nella regione nord-orientale dell’Iran. Lo zoroastrismo è religione poco conosciuta il cui fondatore Zoroastro avrebbe lasciato il suo insegnamento nell’Avesta (v. termine); caratterizzata dal culto del fuoco, questa religione sembra sia stata quella di un dio unico, buono e saggio 25, 27-28, 30; fig. 16


CITAZIONI BIBLICHE

Antico Testamento Abacuc 3,2:31 Daniele 2,27:48 Daniele 3 e 6:131 Esodo 3,2; 17,6:130 Esodo 13,21:42 Genesi 4,25-26; 6-9:109 Isaia 1,3:31

Isaia 55,1:46 Isaia 60,1-6:42,46,47 Malachia 4,2:182 Michea 5,1:13 Numeri 22-24:130 Numeri 23,7:25 Numeri 24,17:16,31

1 Re 10:131 Salmo 48,8:129 Salmo 68,30:42 Salmo 72,10:42 Salmo 132,6 e 11:14 2 Samuele 5,2:13

Nuovo Testamento Giovanni 1,29-34:182 Giovanni 6,67:187 Giovanni 7,42:14 Luca 2,1-20:14 Luca 2,25-35:25

Luca 3,21-22:182 Marco 1,9-11:182 Matteo 1,6:131 Matteo 3,13-17:45,182 Matteo 28,19-20:13

Matteo 2,1-12 è di riferimento implicito a tutta l’opera Atti 1,15-25:187 1a Lettera ai Corinzi 1,18-27 Lettera agli Efesini 2,6:46

Riferimenti agli altri testi citati classificati in ordine cronologico Atti di Pilato: 12 Protovangelo di Giacomo: 31 Atti di Tommaso: 30 Prudenzio, De Epiphania (inno xii), Cathemerinon (estratto tradotto dal latino): 135 Sant’Efrem, Inno (estratto tradotto dal siriaco) (testi tratti dall’opera di Duchesne e Bayet): 135 Opus imperfectum in Matthaeum (estratto): 29, 30 Vangelo arabo dell’Infanzia (estratti), in P. Peters, Les évangiles apocryphes, t. ii: 28-29, 32 Vangelo armeno dell’Infanzia: 29, 32, 88 Libro della caverna dei tesori: 30 Pseudo-Matteo (estratto citato da M.-A. Elissagaray): 31 Théodore bar-Konai, Il libro degli Scoli (estratto citato da M.-A. Elissagaray): 27 Dramma liturgico: Office des Mages de Limoges (estratto tradotto dal latino, citato da M.-A. Elissagaray): 145 Guglielmo di Newburg, Storia dell’Inghilterra (De rebus anglicis sui temporis) edizione del 1610 (estratto tradotto dal latino): 58 Robert de Torigni (Thorigny), Cronaca (estratto tradotto dal latino): 59-61 Roman d’Aquin, «Preghiera di Carlomagno» (citata da M.-A. Elissagaray): 146 Jacopo da Varagine, La leggenda aurea (estratti dal capitolo sull’Epifania del Signore), Garnier-Flammarion, Paris 1967: 46, 146 Giovanni di Hildesheim, Historia trium regum, ultimo paragrafo (cap. xlvi) (estratto dal manoscritto edito da M.-A. Elissagaray): 66, 147 Arnoul Gréban, Il mistero della Passione, Gallimard Folio, Paris 1987: 149 «Preghiera ai re magi», in Les Prières aux saints en français à la fin du Moyen Âge, in P Rézeau, Droz, Genève 1982: 189 Cantinella in nativitate domini (canzone popolare, xiv secolo), in H. Poulaille, La Grande Bible de Noël: 151 P. Marco Polo, La descrizione del mondo, Lettere gotiche 1998 (trad. di P.Y. Badet): 29 Canzoni di questua: della Normandia (Vloberg), della zona di Louhan, del Doubs (Saintyves), del Pays de Pontarlier, anonimo (F. Lautmann): 151- 152, 221 Margherita di Navarra, Commedia dell’adorazione dei Magi a Gesù Cristo, Les Marguerites de la Marguerite des Princesses, edizione 1873: 152 William Shakespeare, La Nuit des rois (La dodicesima notte), Gallimard, nrf, Bibliothèque de la Pleiade, t. 11, Paris 1959: 164 Hermann Crombach, Primitiae gentium seu historia sanctissimorum trium regum magorum evangelicorum, Kinchius, Köln 1654: 149 Pierre Corneille, Oh Betlemme, in Œuvres complètes, Seuil, Paris 1973: 163 Johann Wolfgang von Goethe, Epiphaniafest: 163 Il dramma sacro dei re magi nel dialetto di Vannes (1745), tradotto e curato da Joseph Loth su «Revue celtique», 1886, t. 7, pp. 317-357: 152 Victor Hugo, Notre-Dame de Paris, 1831: 163-164 André Theuriet, «Il racconto dei re magi», in Contes de la vie intimes, Martinet, Paris senza data: 166

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FONTI DELL’ ICONOGRAFIA Il riferimento è in tondo per le tavole a colori e in corsivo per le figure in bianco e nero. Le illustrazioni in bianco e nero non citate provengono dagli archivi della Jaca Book. Archivio dell’Editore: 6, 10, 12, 23, 33, 36, 37, 42, 44, 45, 46, 49, 50, 56, 64, 65, 68, 69, 71, 73, 75, 78, 85; Archivio dell’Editore/foto di Gianni Costantino, Aosta: 7; Archivio dell’Editore/foto di Isber Melhem, Beirut: 9, 22; Archivio dell’Editore/foto della Photothèque André Held, Ecublens: 11; Archivio dell’Editore/foto di Radu Mendrea, München: 19; Archivio dell’Editore/foto di Gaetano Passatelli, Roma: 20, 21; Archivio dell’Editore/disegno di Franco Vignazia, Forlì: 101; Archivio Scala, Firenze: 4, 5, 62, 66, 67, 70, 74; Artothek, Peissenberg: 81; Bayerisches Nationalmuseum, München: 52; Disegno di Alessandro Baldanzi, Firenze: 123; Sante Castignani, Spello: 79; Fridmar Damm, Köln: 28; Irène Félix, Bourges: 87; Madeleine Félix, Le Blanc: 1, 14, 15, 16, 38, 59, 91, 92, 100, 41, 75, 79, 98, 109, 115, 119; G. de Germiny, Pontgibaud: 72; The J. Paul Getty Museum, Los Angeles: 72; Hirmer Verlag, München: 30, 31; Hôpital Saint-Jean, Bruges: 77; Christophe Jobard, Dancevoir: 88, 89; Keresztény Muzeum, Esztergom: 60, 61; Fernando Lanzi, Bologna: 34 , 90, 93 , 99, 107; Gerard Lautissier, Montreuil: 12; Lunwerg, Madrid: 43, 55, 86; Mauro Magliani, Padova: 25, 26, 27, 51; Simone Mallaret, Lignac: 8, 13, 17, 39, 58, 25, 40, 74, 95; Metropolitankapitel der Hohen Domkirche, Köln: 29; Musée de l’Arles Antique, Arles: 2, 3; Musée d’Art Ancien, Bruxelles: 82; Musée des Beaux-Arts, Anvers: 83; Musée des Beaux-Arts, Grenoble: 84; Musée Condé, Chantilly: 57; Musée Groeninge, Bruges: 80; Musée Rolin, Autun: 76; Musei Civici d’Arte Antica, Bologna/foto di cnb, Bologna: 54; Narodni Galerie v Praze, Praha: 53; Franco Cosimo Panini Editore, Modena: 35, 40, 41, 47, 63; © Patmos Verlag, Düsseldorf/disegno di Ivan Gantschev: 104; © Patmos Verlag, Düsseldorf/disegno di Stepan Zavrel: 102; Rheinisches Bildarchiv, Köln/Wallraf-Richartz-Museum: 48; Gianpietro Scandolo, Milano, 126, 127; Staatsbibliothek, Bamberg: 32; Angelo Stabin, Milano: 24, 33, 43; Paola Teti, Roma: 18; © Carme Solé Vendrell, Barcelona: 103; Pat Thiébault, Strasbourg: 129. Le cartine sono state realizzate da Franco Strada. La Fotolito, Milano, sulla base di indicazioni fornite da Evelyne Grosjean


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