PARROTS

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PAPPAGALLI l’intelligenza che canta

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RENATO MASSA

PAPPAGALLI l’intelligenza che canta

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Š 2018 Editoriale Jaca Book Srl, Milano tutti i diritti riservati

Prima edizione italiana settembre 2018

Copertina e impaginazione Paola Forini/Jaca Book

Fotolito Target Color, Milano

Stampa e legatura Stamperia s.c.r.l., Parma agosto 2018

ISBN 978-88-16-60564-0

Editoriale Jaca Book via Frua 11, 20146 Milano; tel. 02 48561520 libreria@jacabook.it; www.jacabook.it Seguici su

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SOMMARIO

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Introduzione

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Uccelli speciali

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Radiazione adattativa

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Pappagalli sopra le righe

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Gli ambienti

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Il passato e il futuro

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Il gruppo

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La coppia e il duetto

69

Duetto e linguaggio

79

Riproduzione

87

Ritmi di vita

93

Imprinting e apprendimento

101

Traffico

107

Avicoltura

115

Conservazione ex situ

121

Naturalisti

129

Concezioni popolari

139

Artisti

147

Appendice I nomi dei pappagalli Tutti i pappagalli del mondo

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Carte e tavole

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Bibliografia

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INTRODUZIONE

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n nuovo libro sui pappagalli potrebbe essere considerato superfluo e ridondante se la sua impostazione e il suo messaggio essenziale non fossero sufficientemente innovativi. La prima domanda da porsi è dunque se ancora sia possibile dire qualcosa di veramente nuovo su questi uccelli, tra i più famosi e i più chiacchierati della loro classe. I pappagalli sono stati trattati per circa due secoli da un lato unicamente come oggetto di allevamento e di addestramento, dall’altro come piccola parte del vasto tema della esplorazione ornitologica relativa alle terre esotiche, peraltro riservato a pochi studiosi specialisti della vita nei tropici. Esiste però un altro tema, quello dello studio della natura intima dei pappagalli, abbastanza importante da rappresentare, in se stesso, un particolare argomento di filosofia biologica e di ricerca di risposte a numerose domande ancora in sospeso. In quali aspetti non immediatamente visibili un pappagallo differisce da un qualsiasi altro uccello? Quali particolari caratteri non solo morfologici, ma anche comportamentali e psichici vanno a costituire la natura, per così dire, platonica, cioè iperuranica, del concetto stesso di pappagallo, l’essenza che accomuna tutte le specie esistenti ed esistite in passato, quella che potremmo definire, con un neologismo platonizzante, come “pappagallità”? Il concetto stesso di pappagallità potrebbe sembrare irrilevante e persino pretestuoso a un essere umano. In fondo, oggi non c’è più nessuno disposto a seguire pedissequamente i voli pindarici di Platone e, se anche vi fosse, come evitare che il concetto di pappagallità apra la strada a miriadi di altre realtà concettuali irrilevanti, per esempio la tacchinità, la struzzità, la canarinità e via dicendo? Ebbene, a stretto rigore, nulla lo impedisce, naturalmente ma, in pratica, per noi esseri umani i concetti di uccellità specialistica in generale sono effettivamente irrilevanti mentre quello di pappagallità ha uno speciale interesse per le caratteristiche, per così dire, umanoidi di questo gruppo di uccelli. Così come noi esseri umani vantiamo una collocazione al vertice psichico della classe dei mammiferi, i pappagalli potrebbero vantare qualcosa di analogo nell’ambito della classe degli uccelli. Certo, la loro tecnologia non è neppure vagamente paragonabile alla nostra ma la loro capacità di comprendere concetti anche astratti, di cooperare e di amare hanno ben pochi confronti possibili nel regno animale. Perciò, i pappagalli meritano un discorso attento non solo sulla loro bellezza e diversificazione, che è poi quello finora svolto dalle altre pubblicazioni, ma sulla loro stessa natura che è quello che abbiamo cercato di svolgere in questo libro. La nostra viva speranza è che il lettore riesca a cogliere l’essenza di questo nuovo messaggio di amore per gli aspetti più “umani” della natura.

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UCCELLI SPECIALI

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U

ccelli speciali, ecco le prime parole che vengono subito in mente parlando dei pappagalli, speciali non soltanto perché molti di essi possono pronunciare parole umane, speciali anche per tanti altri motivi che verranno elencati e analizzati uno per uno. Arboricoli, arrampicatori, manipolatori, i pappagalli (ordine Psittaciformi, classe degli Uccelli) rispondono bene a una serie di attributi che si addicono anche a un gruppo molto particolare di mammiferi, quello delle scimmie (Primati), che in generale vivono sugli alberi, vi cercano il cibo e lo raccolgono usando quelle estremità profondamente specializzate degli arti anteriori che noi esseri umani conosciamo benissimo perché corrispondono in tutto e per tutto alle mani. Le stesse mani con cui io ora sto usando la tastiera del computer per scrivere il primo capitolo di questo libro. La nostra specie ha perduto la prensilità dei piedi ma tutti gli altri Primati usufruiscono anche di questa, tanto da potere essere definiti “quadrumani”. I pappagalli, invece, hanno soltanto due arti prensili, le cosiddette zampe che, anatomicamente, corrispondono ai nostri arti posteriori, cioè le gambe, mentre quelli anteriori si sono trasformati in ali e come tali vengono usati. Una terza “mano” può essere tuttavia anche da essi ottenuta usando in modo opportuno il forte becco uncinato. Osservando la locomozione di un pappagallo nella voliera di uno zoo si può notare che l’uccello si arrampica sulla rete usando al tempo stesso il becco e le zampe con cui si ancora saldamente muovendosi in tutte le direzioni con modalità del tutto insolite per un uccello. Si noti che l’altro importante gruppo di uccelli arrampicatori, quello dei picchi, per aggrapparsi non utilizza affatto il becco, che è diritto e robusto, adatto soltanto a picchiare con forza sulle cortecce per scavarvi e per snidare insetti, ma ha un interessante sostegno ausiliario consistente nella coda rigida usata per puntellarsi posteriormente. Si può perciò notare che, mentre i picchi procedono in salita a scatti, reggendosi con la coda ad ogni sosta, i pappagalli hanno movimenti lenti e studiati e, grazie all’aiuto del becco, possono arrampicarsi in ogni direzione e talvolta anche procedere in discesa retrocedendo velocemente, con testa in alto e coda in basso. Il tipo di locomozione dei pappagalli, in effetti, non è unico ma si ritrova alquanto simile negli uccelli topo (Coliidae) e quasi identico nei crocieri (Loxia). In entrambi i casi è chiaro, tuttavia, che si tratta soltanto di convergenze evolutive più lasse negli uccelli topo che costituiscono un ordine a sé, le cui parentele con i

Disegno raffigurante un macaco tratto da A Hand-Book of the Primates, vol. II, di Henry Forbes del 1896. Molti naturalisti hanno proposto un parallelo tra scimmie e pappagalli e in effetti è notevole che la capacità di manipolare e di muoversi su tre dimensioni possa produrre in entrambe le specie capacità intellettive superiori a quelle degli altri animali.

pappagalli non sono affatto strette, più forti nel caso dei crocieri che tuttavia sono ancora più lontani dai pappagalli, essendo semplicemente un genere specializzato della famiglia dei Fringillidi, ordine dei Passeriformi, sicuramente molto lontano dagli Psittaciformi. Gli uccelli topo sono un gruppetto di sei specie endemiche del continente africano. Sono di piccola taglia, dotate di un ciuffo e di una lunga coda, la quale, insieme con la loro notevole capacità di arrampicarsi, probabilmente

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Coppia di picchi del Giappone in una stampa da Fauna Japonica, vol. 4, Aves, del 1850. Questi uccelli sono capaci di arrampicarsi su tronchi e su rami con modalità sostanzialmente diverse da quelle dei pappagalli. È interessante, tuttavia, che in entrambi i gruppi i disegni del piumaggio (verde con la testa rossa dell’esempio) sono ricorrenti e potrebbero essere legati alla nidificazione in cavità di alberi.

Coppia di crocieri, uccelli canori boreali in una illustrazione da The Birds of Europe di John Gould, vol. 3, 1837, che hanno evoluto un tipo di locomozione e di manipolazione analogo a quello dei pappagalli. In questo caso anche i colori che vanno dal rosso carminio dei maschi adulti fino al verde delle femmine assomigliano a quelli di alcune specie di pappagalli.

costituisce la ragione prima del loro strano nome. Alcune specie sono comuni nelle zone aperte dell’Africa subsahariana ed è facile vederle scalare tronchi e rami in cerca della frutta, che costituisce il loro principale nutrimento. Quando si arrampicano non si servono mai del becco per aiutarsi, anche se questo è corto e piuttosto arcuato e può vagamente ricordare quello di un piccolo pappagallo. La possibilità di un’autentica parentela tra i due gruppi è stata peraltro esclusa da David Allen Sibley nella sua opera di

revisione della classificazione degli uccelli basata sull’ibridazione del DNA. Per inciso, è il caso di notare che neppure le estese ricerche di Sibley hanno potuto chiarire l’origine dei pappagalli e le loro più strette parentele, che rimangono tuttora avvolte nel più fitto mistero. Quanto ai crocieri, ciò che è veramente interessante è la forte convergenza evolutiva di due gruppi che sono sicuramente molto lontani tra loro. I crocieri sono dotati di un becco molto particolare, con un insolito incrocio tra

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mascella e mandibola, che ovviamente sono arcuate come nei pappagalli. Questi Fringillidi specializzati a nutrirsi di semi di conifere si arrampicano esattamente come i pappagalli, usando il becco come un gancio e le zampe come pinze, anche se non si tratta affatto di zampe specializzate come quelle dei pappagalli e nemmeno di zampe zigodattile (cioè non dotate di dita divise in gruppi di 2+2 ma invece di 3+1 come tutti gli altri Passeriformi). Inoltre, i crocieri presentano colori particolari, condivisi da poche altre specie della famiglia: i maschi sono rossicci e le femmine verdi. Sono anche uccelli strettamente forestali e fortemente sociali che nidificano quando c’è abbondanza di semi di conifere e non sono sincronizzati con il fotoperiodo crescente primaverile come accade alla maggioranza delle specie degli uccelli delle zone temperate. Anche questa caratteristica li allontana dagli altri Passeriformi eurasiatici e americani avvicinandoli ad alcuni uccelli dei tropici. Infine, proprio come i pappagalli, i crocieri in cattività distruggono quasi tutti i materiali che trovano a loro tiro. Sembra quasi che esista una “pappagallità” che può essere evocata da circostanze evolutive particolari. Se ne potrebbe, forse, trovare qualche traccia anche nei frosoni e

nei beccogrossi ma i crocieri costituiscono davvero un caso di convergenza evolutiva sorpendente! La locomozione, tuttavia, non è tutto. I pappagalli ricordano da vicino i Primati anche per il modo di manipolare il cibo. Se per raccogliere un frutto usano il becco e non le mani come fanno invece i Primati, prendono poi subito il genere alimentare raccolto con una delle due zampe, lo avvicinano alla bocca e incominciano a consumarlo lentamente, esprimendo il proprio piacere, in mancanza di idonei muscoli facciali, con una serie di rapide dilatazioni e contrazioni della pupilla. Comunque, va anche ricordato che la capacità di manipolare il cibo con le zampe non è affatto esclusiva dei pappagalli. La si ritrova, infatti, nei rapaci diurni e notturni, dei quali il pappagallo costituisce l’adattamento essenziale, e inoltre nelle averle (ancora una volta Passeriformi convergenti con i rapaci) e in alcuni altri uccelli insospettabili tra cui, per esempio, i polli sultani (Porphyrio) che sono Rallidi affini alle gallinelle d’acqua. I pappagalli, però, vanno ben oltre le capacità manipolatorie di tutte queste specie e possono addirittura prendersi cura delle proprie unghie con il becco e talvolta – nel caso

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Nella pagina precedente: A sinistra, un uccello topo. Le cinque specie che compongono questa famiglia endemica dell’Africa tropicale si arrampicano agilmente su tronchi e rami ma non sembra che siano imparentate in modo diretto con i pappagalli. A destra, un picchio muratore, singolare uccello canoro che si arrampicasui tronchi come un topo e nidifica nelle cavità degli alberi. Non si tratta, in realtà, di un vero picchio ma di uno dei numerosi uccelli arboricoli che si arrampicano sugli alberi e vi nidificano al riparo di una comoda cavità.

Sopra, cacatua delle palme fotografato nella penisola di Capo York, in Australia. Questo pappagallo è uno dei più spettacolari che attualmente esistano e anche uno dei più noti a chi si occupa di comportamento intelligente per la sua capacità di usare un bastone come mazza per tamburellare su un tronco facendosi così notare dai suoi con suoni specifici e in particolare dalla femmina che ha deciso di corteggiare.

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Le ghiandaie marine, così chiamate perché hanno la taglia di una ghiandaia e il colore azzurro del mare, si annoverano tra i molti uccelli che nidificano nelle cavità degli alberi. Anche i rapaci notturni (nell’immagine, a destra, una coppia di gufi delle nevi) hanno questa abitudine e in più sono in grado di manipolare il cibo con le zampe, particolare che in passato li aveva fatti accostare ai pappagalli ma che in realtà non mostra nulla di più che una convergenza evolutiva che non si è neppure spinta troppo lontano.

particolare del cacatua delle palme – possono afferrare con una zampa un piccolo attrezzo di legno e usarlo per tambureggiare su un tronco al fine di corteggiare un potenziale partner. Infine, possono usare la loro potente appendice cornea per scavare, per difendersi o anche, con grande dolcezza, per accarezzare il proprio partner o gio-

cherellare con un essere umano nel quale abbiano riposto la loro fiducia. Queste raffinate modalità di gestione e di comunicazione sottintendono alcune altre importanti caratteristiche dei pappagalli: sono uccelli altamente sociali e, in generale, strettamente monogami e capaci di incredibili prestazioni affettive. La prima caratteristica è comune a molti altri uccelli di quasi tutti gli ordini, la seconda è più complessa e sarà necessario parlarne diffusamente. Per il momento limitiamoci a notare che la socialità dei pappagalli, per quanto notevole, non sembra, in fin dei conti, superiore a quella di molti altri uccelli mentre la scelta evolutiva in favore della monogamia, almeno in alcune specie, sembra essere qualcosa di più forte e più esclusivo. Le coppie di pappagalli formano spesso unità discrete che si riescono sempre a individuare anche quando si muovono in gruppi

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familiari, con i giovani dell’ultima covata, o in grandi stormi per movimenti pendolari generalmente a frequenza giornaliera. Curiosamente, i meno adattati alla monogamia stretta sembrano essere proprio i pappagallini cosiddetti “inseparabili” che tali, in realtà, non sono affatto e che addirittura approfittano della nidificazione coloniale per tentare continuamente di molestare le compagne dei vicini. Torniamo alla vocazione arboricola dei pappagalli in quanto gruppo. In effetti, la qualifica di arboricoli si addice, in linea di massima, a moltissimi uccelli. Se intendiamo per arboricoli semplicemente quegli uccelli che si posano e nidificano sugli alberi, la lista sarebbe lunghissima ed escluderebbe soltanto gli uccelli marini, i limicoli e gli uccelli decisamente terricoli come per esempio i fagiani, le pernici, la maggioranza delle allodole e delle pispole.

Due stampe dal volume The Speacking Parrots di Karl Russ del 1884. A sinistra, coppia di ecletti, a destra, amazzone dalla fronte blu. Molti pappagalli sono vivacemente colorati e non sempre è facile interpretare le vere ragioni dei disegni e colori del loro piumaggio e delle differenze che talora si riscontrano tra femmine e maschi. Il caso dell’ecletto è uno dei più singolari perché è molto raro che la femmina sia più vivacemente colorata rispetto al maschio. In queste circostanze si può essere certi che ad esse corrispondono anche adattamenti particolari di comportamento socio-sessuale. Gli ecletti mostrano infatti un insolito comportamento poliandrico (una femmina si può accoppiare con più maschi che cooperano all’alimentazione della famiglia) mentre le amazzoni sono decisamente monogame.

Tuttavia, la parola “arboricolo” viene generalmente usata in un senso più ristretto. Tipici uccelli arboricoli sono allora da considerare quelli che si arrampicano sui tronchi come i rampichini, le sitte e i picchi propriamente detti, o almeno quelli che trascorrono gran parte del loro tempo

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sulla chioma degli alberi scendendo a terra molto raramente come il verdone, il cuculo, la ghiandaia, il regolo, il fiorrancino eccetera e magari nidificano anche nella cavità di un albero come le cince, i gufi e le ghiandaie marine. Ebbene, in questo senso i tipici pappagalli come le amazzoni, il cenerino africano, i loricoli e moltissimi altri sono decisamente arboricoli perché non soltanto si arrampicano sui tronchi e sui rami ma anche si nascondono nella chioma fingendosi foglie (come fanno ad esempio, in modo molto efficace, i parrocchetti dal collare indiani), perché all’interno degli alberi nidificano e dagli alberi ricavano la maggior parte del cibo di cui necessitano. Tuttavia, non bisogna credere che tutti i pappagalli oggi viventi siano arboricoli. Tali furono gli inizi dell’intero gruppo, questo è certo, ma oggi le 348 specie esistenti coprono un’ampia varietà di nicchie ecologiche e sono reperibili in un’ampia gamma di habitat naturali sparsi praticamente in tutte le grandi regioni biogeografiche del pianeta, con la sola eccezione del Paleartico e del Neartico, in parole povere di Europa, Asia settentrionale e Nordamerica, perlomeno a

nord della Carolina e della Florida dove, fino a un secolo fa, era ancora presente una specie oggi estinta, il parrocchetto o, meglio, il conuro della Carolina. Oltre alla vocazione arboricola, ai pappagalli in generale si può senza alcun dubbio attribuire una vocazione granivora e frugivora per quanto riguarda la loro dieta. Come granivori sono altamente specializzati dato che sono in grado di sbucciare perfettamente i semi di cui si nutrono e anche di spaccare semi durissimi utilizzando come cibo il morbido endosperma che vi si trova. Alcune specie, come i pappagalli di Meyer, sono state osservate e fotografate nell’atto di scavare nei durissimi e giganteschi frutti dell’albero africano delle salsicce (Kigelia africana) per raggiungere e mangiare i grossi semi annegati nella matrice legnosa, e si può ritenere che molte altre specie presentino comportamenti pressappoco equivalenti. Moltissime sono anche le specie che si nutrono in qualche misura di nettare dei fiori, il che indica chiaramente che l’evoluzione dei lori poteva essere iniziata da molte specie diverse in luoghi dove le fioriture erano abbondanti in ogni periodo dell’an-

Due immagini di lori testa nera orientale della Nuova Guinea. La prima dal volume A Monograph of the Lories, di George Mivart (1896). Si tratta di uno dei pappagalli più vivacemente colorati dell’Oceania, specie forestale mangiatrice di nettare, estremamente curioso e aggressivo che, con il suo comportamento vivace e sfrontato, contribuisce a tenere alta la reputazione dei pappagalli come uccelli di intelligenza superiore.

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no e forse i semi non erano particolarmente appetibili. Tra i pappagalli africani sono state osservate diverse specie intente a nutrirsi di nettare dei fiori, in modo particolare il cenerino, il pappagallo testa bruna e il pappagallo dal ventre arancio, tanto per citarne tre delle quali ho avuto esperienza diretta. Dal nettare alla frutta il passo è evidentemente breve e infatti tutte le specie di pappagalli che integrano la loro dieta col nettare e anche gli stessi pappagalli prettamente nettarivori (i lori, lorichetti e loricoli) si nutrono anche di frutta ben matura oltre che di semi di varia origine e pezzatura. Si può dire, anzi, che la grande maggioranza dei pappagalli si nutre di semi, frutta e nettare anche se poi le relative proporzioni di queste tre componenti della dieta variano in misura notevole tra le diverse specie fino al punto di determinare talvolta specializzazioni alimentari che solo recentemente sono state comprese e che quindi per molto tempo hanno reso problematico l’allevamento in cattività di determinate specie. Per esempio, tra le diverse specie del genere Ara esistono sostanziali differenze nelle

esigenze alimentari (percentuale di grassi e di proteine nella dieta) e, se questi aspetti degli adattamenti delle diverse specie vengono ignorati o trascurati, l’allevamento in cattività è destinato a fallire miseramente. A volte la coesistenza di specie molto simili nello stesso ambiente e nella stessa area geografica si spiega proprio con i loro diversi adattamenti alimentari che minimizzano la sovrapposizione di nicchia e la competizione interspecifica. Oltre alla varietà degli adattamenti alimentari, nell’ambito dell’ordine degli Psittaciformi si riscontra anche un’ampia varietà di adattamenti morfologici che rispecchiano altrettanti adattamenti ambientali. Alcune specie sono tanto piccole da pesare appena una decina di grammi e raggiungere appena 10-12 cm di lunghezza, mentre altre superano il peso di 3 kg (kakapo) o la lunghezza di un metro (ara giacinto). Vi sono specie a coda molto lunga e graduata come quella di una gazza che hanno un volo alto e forte e altre specie a coda corta o cortissima che volano in un modo apparentemente un po’ affannato che ricorda vagamente lo stile dei pipistrelli. In Australia

Ara scarlatta in una stampa da Illustrations of the Family of Psittacidae, or Parrots, con disegni di Edward Lear (1832). Accanto, l’esemplare dal vivo. Il grande pappagallo dell’America centrale e meridionale è ben noto anche al di fuori della sua area di origine come ospite di zoo e di collezioni private. Le are furono i primi pappagalli del Nuovo Mondo che vennero esportati in Europa dagli esploratori del XV e XVI secolo.

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In alto, coppia di cacatua dal ciuffo giallo. Sopra, imbeccamento di una femmina di pappagallo testa bruna da parte del maschio in un disegno a matita di A.J. Beaumont.

vi sono specie nettamente terricole e quasi invisibili, come il famoso parrocchetto notturno che per molto tempo fu addirittura ritenuto estinto ed esistono anche specie altamente versatili come il famoso galah e anche i cacatua a ciuffo giallo che si sono avvantaggiati dei nuovi punti d’acqua prodotti dalla presenza umana per aumentare di numero fino a diventare fastidiosi per i poco pazienti vicini umani. La descrizione della vita dei pappagalli ci porterà fatalmente a toccare numerosi aspetti della biologia generale e della etologia e sarà quindi per noi l’occasione di un fantastico viaggio che, come spesso accade con i viaggi in paesi lontani e anche vicini, andrà molto oltre lo scopo primo che si proponeva e ci fornirà un panorama più vasto col quale potremo anche tentare di fare un poco di filosofia naturale.

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RADIAZIONE ADATTATIVA

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er radiazione adattativa i biologi intendono l’evoluzione divergente di una linea filetica che venga a trovarsi nelle condizioni adatte per differenziarsi in numerose specie e andare ad occupare varie nicchie ecologiche. Nel caso dei pappagalli possiamo immaginare che i più antichi tra questi uccelli siano comparsi nelle foreste tropicali del continente Pangea qualcosa come cento milioni di anni fa e che, nelle ere e nei periodi seguenti, man mano che il super-continente si frantumava e dava luogo a un assetto geografico sempre più simile a quello attuale, le diverse popolazioni che rimanevano isolate si andassero differenziando a livello continentale e, quando trovavano le condizioni idonee, moltiplicassero le specie esistenti a livello locale. Certo, di un tale processo non esistono affatto prove dirette dato che il più antico fossile di pappagallo finora ritrovato, il Palaeopsittacus georgei dell’Eocene brasiliano, risale appena a una quarantina di

milioni di anni fa; però non c’è nulla di insolito in questa situazione dato che i fossili di uccelli sono comunque rari in quanto le leggere ossa pneumatiche di questi animali tendono ben presto a ridursi in briciole e a scomparire nel nulla senza lasciare traccia. I pochi fossili finora ritrovati si sono conservati in condizioni del tutto particolari e rappresentano la classica eccezione che conferma una regola generale. La datazione che noi proponiamo deriva unicamente da considerazioni biogeografiche: se i pappagalli avessero un’età di soli quaranta milioni di anni essi sarebbero comparsi in un mondo già diviso in continenti simili a quelli attuali e divisi tra loro da vasti oceani. Di conseguenza, essi non avrebbero mai potuto attraversare queste vaste distese d’acqua e sarebbero rimasti confinati a una sola regione biogeografica, come è accaduto a molti altri gruppi di uccelli, per esempio i tucani e i colibrì, confinati nel Nuovo Mondo, i buceri, le nettarinie e i

A sinistra, esemplare di trogonide, presente con generi e specie diverse sia nel nuovo sia nel vecchio mondo. A destra, nettarinia appartenente a una famiglia di minuscoli uccelli canori nettarivori diffusa in Africa e Asia, dove occupa una nicchia ecologica simile a quella dei

colibrì in America. La diversa distribuzione geografica dei trogonidi e delle nettarinie consente di formulare ragionevoli ipotesi sui tempi delle loro origini, prima o dopo l’inizio della separazione dell’America del sud dall’Africa.

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gruccioni confinati nel Vecchio, i turachi e gli uccelli topo confinati nella sola Africa. Il destino dei pappagalli ricorda invece quello dei picchi, dei martin pescatori, dei trogoni, dei Galliformi e dei rapaci diurni e notturni che, con specie diverse, si trovano in tutti i continenti del mondo o quasi. I pappagalli sono presenti in Australia, Oceania, Australasia, Asia tropicale, Madagascar, Africa, America centrale e meridionale. Una diffusione tanto ampia, non solo con specie diverse ma anche con generi ben distinti per ogni regione biogeografica, implica chiaramente una progressiva differenziazione geografica e ambientale che è continuata per milioni di anni e che soltanto negli ultimi cinquecento anni ha incontrato un ostacolo nell’espansione degli europei e nella progressiva distruzione degli ambienti naturali da essi attuata e provocata. Come anche in altri casi, le specie più nettamente differenziate da tutte le altre si ritrovano in Australia e Nuova Guinea dove sono presenti da un lato i cacatua che da alcuni ornitologi vengono addirittura separati in una famiglia distinta, dall’altro una congerie di parrocchetti che sembrano avere in comune relativamente poco, a parte le loro tendenze terragnole, la perdita dell’uso della zampa per alimentarsi e la tendenza da parte di un importante gruppo di specie a diventare consumatrici specializzate di nettare. Quale sia il gruppo di collegamento con i pappagalli asiatici sarebbe difficile dire se in Asia non esistesse una dozzina di specie di Psittacula, genere di parrocchetti molto diffuso e abbastanza generico da lasciar supporre di avere giocato, nel lontano passato, un ruolo strategico nell’evoluzione dei pappagalli. Se ciò sia vero o no è difficile asserire in modo perentorio ma resta il fatto che questi uccelli hanno taglia media o medio-grande, coda abbastanza lunga, alimentazione prevalentemente granivora e sono talmente adattabili da essere non solo i pappagalli più comuni del sub-continente indiano ma anche da comprendere nel loro gruppo il parrocchetto dal collare, l’unica specie di pappagallo diffusa su due continenti (Asia e Africa) e inoltre una delle specie introdotte con maggiore successo in diverse parti del mondo, anche in Europa dove oggi ne esistono piccole popolazioni in Inghilterra, in Austria, in Italia e probabilmente anche altrove. Il collegamento tra Asia e Africa sarebbe invece individuabile, secondo alcuni esperti, nei piccoli pappagalli nettarivori del genere Loriculus che sono diffusi in Asia dall’India fino alle Filippine e che potrebbero essere imparentati con gli inseparabili africani (Agapornis). È difficile dire se questa parentela sia reale o meno mentre

Illustrazione tratta da Popular History of the Birds di Adam White (1855). Sono rappresentati rispettivamente il parrocchetto dal collare, unica specie diffusa in due continenti, l’Africa centro-settentrionale e l’Asia tra India e Thailandia; il cacatua di Leadbeater, presente in Australia e il kakapo, che vive in Nuova Zelanda.

più facile da verificare appare la relazione tra gli inseparabili e gli altri pappagalli africani che ad essi si avvicinano sotto molti aspetti, per esempio forma del corpo e voce, esclusa soltanto la taglia decisamente maggiore dei secondi. Questi uccelli, comprendenti specie ben note quali il cenerino e il pappagallo del Senegal, sono a loro volta simili nelle proporzioni del corpo, nella taglia e nei modi di vita alle amazzoni americane ma questa somiglianza potrebbe essere superficiale e non rispecchiare affatto una stretta parentela. In centro e sud America, infatti, così come in Australia, la famiglia degli Psittacidi si è differenziata molto vivacemente producendo, oltre alle amazzoni, un gran numero di generi diversi sia nell’apparenza sia nella collocazione ecologica, dai minuscoli pappagallini dei generi Forpus e Nannopsittaca fino ai giganteschi e spettacolari Anodorhynchus che raggiungono un metro di lunghezza e che sono dotati di un formidabile becco

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In alto, inseparabile dal collare nero, qui raffigurato in una stampa di Edward Lear da Illustrations of the Family of Psittacidae, or Parrots. È la meno conosciuta tra le nove specie del genere Agapornis, otto delle quali popolano il continente africano e una sola il Madagascar. Abita la fascia delle foreste tropicali dalla Liberia fino all’Uganda ed è tanto legato al suo particolare ambiente da non essere mai stato allevato con successo in condizioni domestiche. Sopra, disegno di parrocchetto del Malabar, ancora di Edward Lear. Tra le diverse specie di Psittacula, è una di quelle a distribuzione limitata che raramente si possono osservare al di fuori della loro zona di origine. Il genere comprende in tutto 14 specie distribuite in una zona compresa tra l’Africa occidentale e l’Asia orientale.

in grado di aprire le noci più resistenti della foresta brasiliana. Tutti questi pappagalli a prima vista tanto diversi appaiono però imparentati tra loro sia quando se ne studia il DNA sia quando se ne osservano alcuni aspetti del comportamento come le modalità di accoppiamento. Su queste ultime vale la pena spendere qualche parola: l’accoppiamento dei pappagalli può avvenire con le modalità solite della maggioranza degli uccelli, monta del maschio sulla femmina, oppure con modalità particolari, lateralmente mentre ciascuno dei componenti della coppia si sostiene su un ramo e si solleva su una sola zampa, rispettivamente la sinistra e la destra per i due componenti della coppia, talvolta tenendosi “per mano” con l’altra. Ebbene, questa seconda modalità è tipica dei pappagalli americani mentre quella più usuale è utilizzata da tutte le altre specie. Sembra evidente, quindi, che i pappagalli americani abbiano avuto tutti un’origine comune e si siano divisi da quelli del vecchio mondo in un tempo molto lontano, e cioè quando il grande continente di Pangea incominciò a frantumarsi e i frammenti ad allontanarsi tra loro. I pappagalli vivono non solo nelle foreste tropicali ma anche in foreste temperate (come nel Cile meridionale), in savane con pochi alberi e arbusti (come in Africa e anche nella zona del Brasile nota come cerrado), in praterie quasi prive di alberi (in Australia) e persino in praterie fredde e battute dal vento, come nelle isole degli Antipodi. Gli adattamenti delle diverse specie sono molteplici, in alcuni casi semplici variazioni sul tema della vita arboricola, in altri casi cambiamenti radicali che allontanano coloro che li hanno subiti dalle scelte evolutive degli antenati instradandoli in un percorso che può essere anche molto diverso. Per esempio, esistono pappagalli di piccola taglia che vivono in grandi stormi nutrendosi di semi di erbe come se fossero piccoli Passeriformi. Il più piccolo tra i pappagallini inseparabili, il testagrigia del Madagascar è un pappagallino insolito non solo per la sua taglia minima ma anche per il suo comportamento particolarmente aereo. Basta una gabbia di un metro di lunghezza perché questo

A fronte, testa di ara giacinto, spettacolare pappagallo sudamericano le cui popolazioni sono oggi ridotte a causa della deforestazione e del traffico prima legale e poi illegale, incoraggiato – a dispetto delle leggi – dalla quotazione vertiginosa di questi splendidi animali per i quali, ormai, i più facoltosi estimatori sono disposti a sborsare una somma pari a quella necessaria per acquistare un’auto sportiva di una marca prestigiosa.

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Le due immagini raffigurano un pappagallo femmina di rufiventre (sopra) e un pappagallino dalle ali gialle (sotto) sorpreso a nutrirsi di un mango nel cosiddetto “cerrado” del Brasile, ambiente corrispondente alla foresta decidua tropicale. Tra i due diversi pappagalli corre probabilmente una separazione spaziale di diverse decine di milioni di anni, un tempo che è stato sufficiente per l’evoluzione di tutti i moderni mammiferi ma che, nella famiglia dei pappagalli, ha potuto modificare soltanto i dettagli di un piano troppo particolare e troppo brillante per venire rivoluzionato.

uccellino si esibisca in una elegante serie di voli circolari molto ondulati, con uno stile che ricorda un cardellino più che uno Psittaciforme. Ebbene, quel modo di svolazzare, la piccola taglia e la testa piccola anche rispetto alla taglia suggeriscono che il piccolo inseparabile testagrigia possa rappresentare un’interessante convergenza dei pappagalli addirittura verso la nicchia degli Estrildidi, uccelli Passeriformi di taglia minima molti dei quali sono tanto piccoli e delicati da riuscire a posarsi sugli steli delle erbe per nutrirsi dei semi di queste piante. In effetti, quando questi pappagallini in cattività sono stati nutriti e trattati come se si trattasse di estrildidi, diamanti o cappuccini, alimentandoli con panico, semi di lattuga e simili semi molto piccoli, è accaduto che essi iniziassero rapidamente a nidificare suggerendo l’interpretazione suddetta sul loro ruolo ecologico. Un’altra notevole “deviazione” dal ruolo fondamentale di mangiatori di semi e di frutti della maggioranza dei pappagalli è quella dei lori che sono passati a nutrirsi di nettare raggiungendo, in questa attività, una specializzazione notevole e anche una diversificazione importante: una cinquantina di specie tra le quali non poche di taglia notevole, alcune centinaia di grammi di peso, non poco per uccelli dedicati a un tipo di alimentazione tanto specializzato. Oltre che dai lori, la dieta a base di nettare è stata adottata in via parziale da molti altri pappagalli e in via assolutamente prevalente dai loricoli, un altro gruppo di una quindicina di specie orientali e oceaniche di piccola taglia. Un ulteriore gruppo di taglia minima, quello dei pappagalli pigmei, pare che si nutra addirittura di funghi e alghe che raccoglierebbe sulle cortecce degli alberi delle foreste tropicali della Nuova Guinea in cui questi minuscoli uccelli lunghi 10-12 centimetri hanno il loro quartier generale. Nonostante questa grande varietà di diete e di adattamenti, la grande maggioranza dei pappagalli può essere considerata abbastanza strettamente vegetariana e anche le poche specie che integrano la loro dieta a base di proteine animali solitamente lo fanno ingerendo i piccoli insetti che incontrano raccogliendo il nettare dei fiori. L’unica notevole eccezione a questa situazione generale è rappresentata dal kea della Nuova Zelanda che, in effetti, è un pappagallo onnivoro che, in alcuni casi, secondo alcune voci, si comporterebbe come un autentico predatore. I primi coloni che impiantarono nelle isole Nord e Sud l’allevamento delle pecore rimasero sconcertati nel constatare che questi strani pappagalli si nutrivano volentieri di carcasse di pecore morte. Si disse anche che questi

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pappagalli talvolta aggredissero gli ovini agendo in gruppo. Questa notizia, vera o falsa che fosse, fu accolta con grande disappunto e rabbia degli allevatori che iniziarono una guerra senza quartiere contro i malfamati uccelli. Il caso dei kea e delle pecore venne poi molto discusso nei circoli ornitologici e i naturalisti giunsero a negare del tutto le colpe dei kea asserendo che tutta la storia era una semplice leggenda dovuta alla fantasia troppo fervida dei pastori. Ad ogni modo, il caso sembra ormai chiuso, ai kea è stato riconosciuto il beneficio del dubbio sull’entità delle loro malefatte, gli allevatori hanno imparato a sorvegliare meglio i loro animali e oggi, in Nuova Zelanda, le pecore sono fin troppo numerose, ne viene esportata non soltanto la lana lavorata in forma di pullover ma anche la carne a prezzi competitivi. E nessuno, per fortuna, insidia più i bellissimi kea che dal 1986 godono di una piena protezione ufficiale. Resta da dire qualche parola sull’attuale distribuzione geografica dei pappagalli: su un totale di 348 specie il numero più alto è reperibile nell’America meridionale e centrale: 70 soltanto in Brasile, quasi 50 in Colombia e Venezuela, 25 in Argentina, 18 in Messico. Anche l’Australia e la Nuova Guinea sono molto ricche di pappagalli, rispettivamente con 52 e 46 specie. Per confronto, in tutta l’Africa continentale sono reperibili solo 21 specie e nell’Asia tropicale al di qua della linea di Wallace circa 30 specie. Da questi numeri è difficile trarre conclusioni

Veduta della foresta di montagna in Etiopia, a sud di Addis Abeba. In questo ambiente esteso su un basamento di circa 2000 metri l’ambiente tropicale si confonde con quello temperato in una unità di una singolare e particolare bellezza che ha fatto da teatro all’evoluzione di diversi endemismi.

circa il luogo di origine dei pappagalli perché, più che altro, essi rispecchiano la ricchezza di nicchie ecologiche offerta da ciascuna regione anche nel corso degli anni trascorsi. Il basso numero delle specie reperibili in Africa indica quindi soltanto la tormentata storia della vegetazione del continente nero dove diversi episodi di siccità causarono la regressione delle foreste tropicali che spesso si ridussero a piccole aree di rifugio che successivamente si espansero di nuovo e di nuovo si contrassero per diverse volte. In conseguenza di questa particolare situazione, in Africa pochissime specie di pappagalli sono francamente di foresta mentre la grande maggioranza sono adattate alla vita nelle savane. Più difficile è capire come mai le savane e le praterie africane non riescano a ospitare più di una ventina di specie mentre quelle australiane ne ospitino più del doppio. I pappagalli, come quasi tutte le altre specie di uccelli dei tropici, presentano molto più spesso una distribuzione geografica ristretta piuttosto che vasta. L’unica specie con un areale esteso in due diversi continenti, Asia e Africa,

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Primo piano di un kea, pappagallo neozelandese molto particolare non soltanto per l’insolito aspetto ma anche per la spiccata intelligenza che oggi lo porta ad avvicinarsi con fiducia agli esseri umani.

La distribuzione, già abbastanza ristretta in origine, di molte specie tropicali di foresta può divenire ristrettissima e porre le specie interessate in pericolo di estinzione quando gli ambienti naturali vengono devastati, come nel caso della deforestazione tropicale. In Brasile, la distruzione quasi totale della foresta atlantica ha ridotto sull’orlo dell’estinzione alcune specie bellissime come il conuro guaruba, di cui è qui raffigurata una coppia.

Le abitudini onnivore del kea sono state recentemente confermate da impressionanti riprese che documentano attività di predazione su nidi di uccelli marini e anche attacchi notturni a pecore. Questo pappagallo tanto particolare ha indubbiamente evoluto il suo insolito comportamento per riuscire a sopravvivere al duro inverno delle montagne neozelandesi che offre scarsissime risorse. Nella foto si può ammirare il primo piano di un kea nel suo ambiente alle prese con un frutto.

è il parrocchetto dal collare. Tutte le altre sono limitate a un unico continente e più spesso addirittura a un’area geografica estesa su poche migliaia di chilometri quadrati. Le aree di distribuzione sono generalmente continue ma si riscontrano anche numerosi casi di discontinuità. In Africa tale è la situazione per il pappagallo di Jardine e il pappagallo robusto mentre in Sudamerica la catena delle Ande e gli immensi fiumi dell’Amazzonia fanno sì che la distribuzione discontinua, cioè in grandi frammenti, sia molto più frequente. Si riscontra, per esempio, una tale situazione nell’ara militare, l’ara rossa, l’ara nobile, il conuro testablu, il conuro fronte rossa, il conuro orecchie bianche, il parrocchetto barrato e vari altri piccoli pappagalli dei generi Forpus e Touit. Tale situazione e ancora di più la ristrettezza delle aree di distribuzione di molte altre specie rendono i pappagalli particolarmente vulnerabili alla distruzione degli ambienti naturali. Si riscontra, infatti, che mentre per gli uccelli in generale la percentuale di specie in pericolo di estinzione si aggira intorno al dieci per cento del totale, per i pappagalli essa supera il trenta per cento. Ben giustificata appare dunque l’attenzione nei confronti di questi uccelli speciali che, come tutti gli oggetti viventi più belli del mondo, sono anche oggetti fragili.

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PAPPAGALLI SOPRA LE RIGHE

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na volta messo a punto un modello, così come un artista che ha messo a punto un determinato stile di disegno e colore, l’evoluzione si sbizzarrisce a plasmare variazioni sul tema. Queste possono essere relativamente piccole, come quelle che si hanno nell’ambito di un determinato genere, per esempio tra i diversi inseparabili africani (Agapornis) oppure tra le diverse amazzoni (Amazona), ma a volte capita che la variante si allontani tanto dal modello di base da assumere una sua più forte personalità e talvolta da proporre quasi una nuova strada, radicalmente diversa e, al limite, persino in aperta contraddizione rispetto al cammino intrapreso dagli antenati. Tra i pappagalli questo fenomeno si è verificato più volte, talvolta con modalità più leggere e con notevole successo adattativo, altre volte in modo decisamente più radicale e con successo limitato a una sola specie, nettamente diversa da tutte le altre dalle quali è presumibilmente derivata. Ho voluto indicare quest’ultimo fenomeno parlando di “pappagalli sopra le

righe”, pappagalli che si allontanano dalle tendenze centrali del loro gruppo molto di più di quanto non accada nella media degli altri. In questo capitolo presenterò alcuni esempi di queste specie “aberranti” rispetto allo schema centrale, che tuttavia, sia ben chiaro, sono sempre pappagalli a pieno titolo sotto tutti i punti di vista. Tra le specie “aberranti”, forse la più strana di tutte è il pappagallo notturno della Nuova Zelanda, noto localmente anche con il nome di kakapo. È un uccello di grossa taglia che arriva a un peso di tre chili e mezzo e che è del tutto inetto al volo. Insolitamente per un pappagallo, il kakapo ha abitudini notturne tanto che i naturalisti gli hanno dato il nome latino di Strigops che significa faccia da gufo, e ciò in ragione dei suoi ben sviluppati dischi facciali che ricordano quelli di un rapace notturno. Le sue abitudini alimentari sono però molto lontane da quelle di un rapace e non differiscono molto da quelle dagli altri pappagalli: la dieta comprende infatti foglie, frutti, strobili di conifere, semi, radici, felci, funghi,

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muschi. L’aspetto più notevole della biologia di questo uccello consiste tuttavia nel suo sistema socio-sessuale che differisce da quello invariabilmente monogamo di tutti gli altri pappagalli ed è invece analogo a quello di pochi altri uccelli Galliformi e Passeriformi: è un sistema poliginico a dominanza del maschio noto comunemente come sistema dei lek da una parola in lingua svedese che significa “gioco”. Il sistema prevede un’esibizione dei maschi che può essere individuale o collettiva e può consistere in una parata oppure in una gara canora o in entrambe le cose insieme. Le femmine visitano i piccoli territori in cui i maschi si esibiscono e scelgono il maschio che appare dominante per la potenza della voce oppure per l’eleganza della parata. Nel caso del kakapo l’esibizione è individuale e consiste in una potente vocalizzazione che dagli autori di lingua inglese viene definita booming e che si può udire fino a cinque chilometri di distanza. Per emettere un tale potente suono i maschi gonfiano

un grosso sacco vocale inchinandosi in modo caratteristico e quindi aggiungendo al booming anche una vistosa parata. I kakapo erano ampiamente diffusi nelle foreste indigene neozelandesi finché nelle isole non vennero introdotti numerosi mammiferi europei tra i quali il cervo e l’ermellino. La Nuova Zelanda fu letteralmente sconvolta da questi nuovi arrivati anche perché non aveva mai annoverato mammiferi nella sua fauna. I cervi sconvolsero le foreste indigene brucando in modo eccessivo e calpestando terreni ricchi di muschi e di felci fino a devastare questo delicato sottobosco, gli ermellini attaccarono direttamente i goffi pappagalli notturni impossibilitati a volare, e con essi purtroppo anche molti altri animali. In breve tempo, le decine di migliaia di kakapo che popolavano le foreste della Nuova Zelanda, che erano addirittura oggetto di caccia da parte degli indigeni Maori per la loro carne, si ridussero a un minuscolo manipolo di superstiti, al minimo

Qui e nella pagina precedente, immagini di kakapo, detto anche pappagallo notturno o, dal nome latino, strigope. È uno stranissimo pappagallo della Nuova Zelanda, terra singolare priva di mammiferi e popolata da uccelli e rettili molto particolari e di stirpe antichissima, e quindi dotata di pressioni selettive diverse da quelle di ogni altro luogo del pianeta. Nella particolare situazione ecologica delle isole neozelandesi, tutte le specie di pappagalli locali sono uscite

abbondantemente da quella che si può considerare la norma per la famiglia dei Psittacidi e hanno espresso qualcosa di fondamentalmente nuovo, almeno dal punto di vista ecologico se non da quello genetico. La conservazione dei pappagalli della Nuova Zelanda, quasi tutti minacciati a causa dell’attività umana, è pertanto prioritaria proprio in virtù della loro assoluta originalità che illustra in modo forte e sintetico le possibilità della evoluzione biologica.

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una cinquantina in tutto, dei quali solo una decina di femmine. Nell’ultimo quarto di secolo, il New Zealand Wildlife Service (NZWS), il servizio statale di conservazione della natura della Nuova Zelanda, si è impegnato con tutte le forze per salvare dall’estinzione questo straordinario pappagallo ma l’esito di questa azione di attiva protezione, anche per mezzo di traslocazione di alcuni individui in isolette prive di cervi e di mustelidi (tra le altre Invercargill) rimane tuttora quanto mai incerto. L’attuale situazione della specie presenta tuttavia un notevole progresso rispetto al passato. La popolazione, già cresciuta a un totale di 90 individui, ha registrato, nella primavera del 2009, un totale di 34 nascite nei nidi di Invercargill. Poiché le fruttificazioni erano troppo scarse per permettere alle madri di allevare con successo

tutti questi pulcini, ben 21 tra loro sono stati prelevati e trasportati a una stazione del NZWS attrezzata per l’allevamento a mano dei pappagalli. In questo modo la mortalità dei pulcini è stata ridotta a zero e la popolazione dei kakapo è aumentata fino a raggiungere la quota virtuale di 125 individui (virtuale fino a quando i 21 nuovi nati attualmente ospitati nella stazione saranno rilasciati), un progresso notevole che fa ben sperare che l’operazione del NZWS possa concludersi con pieno successo entro alcuni anni. Il kakapo non è l’unico pappagallo strano della Nuova Zelanda. Abbiamo già parlato del kea, nel passato accusato di essere un feroce killer di pecore, dal 1986 protetto dalla legge ma oggi limitato alle montagne della sola isola Sud dove frequenta soprattutto le foreste e i cespuglieti tra i 1000 e i 1400 metri di quota. Questo pappagallo di color verde oliva e dal lungo e inquietante becco simile a quello di un rapace si può facilmente osservare in alcuni Parchi Nazionali neozelandesi dato che in questi luoghi si concentra per ottenere cibo dai turisti, che pertanto possono avere l’errata impressione che si tratti di un uccello abbastanza comune. In realtà, la stima della sua popolazione è abbastanza preoccupante: non più di 5000 individui in tutto e, secondo alcuni pessimisti, appena un migliaio; una popolazione che sta appena iniziando a riprendersi dopo i massacri effettuati in passato per la presunta difesa delle pecore. In realtà, come tutti gli altri pappagalli, i kea si nutrono in primo luogo di materiale di origine vegetale ma, a somiglianza dei corvi, si radunano immediatamente sugli animali morti per nutrirsene e cercano attivamente il cibo tra i rifiuti. Il loro comportamento alimentare è complessivamente simile a quello dei gracchi delle montagne eurasiatiche, vegetariani, spazzini e occasionalmente anche predatori se non è proprio possibile comportarsi diversamente per rimediare un pranzo decente. In Nuova Zelanda, praticamente tutti i pappagalli indigeni sono piuttosto strani. Una tale definizione si addi-

Qui a lato, il neozelandese Don Merton del New Zealand Wildlife Service con un magnifico esemplare di kakapo tra le braccia. Don Merton è stato per molti anni il leader dell’operazione di moltiplicazione della specie che annovera circa 125 individui e ha migliori prospettive future di quanto non ne avesse anche soltanto una quindicina di anni fa. Illustrazione di kakapo di J. G. Keulemans, dal volume A History of the Birds of New Zealand, di W.L. Buller, 1888 (seconda edizione).

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ce non soltanto al kakapo e al kea ma anche ai piccoli pappagalli verdi che un tempo abbondavano nelle isole ma oggi sono ridotti a una popolazione complessiva non superiore ai 15.000 individui, i kakariki a fronte rossa, rappresentanti più noti del genere Cyanorhamphus che conta anche altre quattro specie a diffusione più limitata. Questi uccelli, di un bel colore verde splendente con una grossa macchia rossa sulla fronte, hanno la taglia di un parrocchetto dal collare. A prima vista, essi non sembrano dotati di caratteristiche particolari, finché non si nota che si arrampicano con le sole zampe, non usando affatto il becco per agganciarsi, come fanno in genere gli altri pappagalli, e muovendosi invece a scatti come i picchi. Inoltre essi non usano affatto le zampe per manipolare il cibo, e in questo non sono unici ma analoghi alla maggioranza dei parrocchetti australiani, ma sono invece unici nell’abitudine di usare le zampe per razzolare come galline. Un’ulteriore anomalia di questi parrocchetti è la breve durata della loro vita cui fa peraltro riscontro una notevole prolificità. A fronte di una vita media che, nei parrocchetti e pappagalli di taglia simile, può facilmente superare i 20-30 anni, i kakariki muoiono spesso improvvisamente pochi anni dopo la nascita ma normalmente lasciano una numerosa discendenza che assicura la continuazione della loro stirpe. Soltanto la distruzione degli habitat naturali delle loro isole li ha messi in crisi ma l’allevamento in cattività li ha moltiplicati in condizioni domestiche oltre ogni possibile previsione creando una situazione paradossale per una specie che era stata (e rimane tuttora) inclusa nell’appendice 1 del CITES (convenzione per il commercio internazionale delle specie in pericolo di estinzione). La Nuova Zelanda è agli antipodi dell’Europa e le due isole viste insieme assomigliano in modo impressionante a un’Italia rovesciata. Tuttavia, non solo la Nuova

Due disegni di Edward Lear, da Illustrations of the Family of Psittacidae, or Parrots. Questo uccello è un poco più grosso delle altre specie del genere Cyanorhamphus. Tutti i pappagalli di questo gruppo, limitati alla Nuova Zelanda e a poche isole circostanti, hanno un comportamento molto particolare dato che razzolano con le zampe come galline e si arrampicano sui tronchi senza aiutarsi con il becco, con una tecnica e un ritmo che ricorda i picchi più che gli altri pappagalli. Nella pagina seguente, il kakariki dalla fronte rossa è il rappresentante più comune e diffuso del genere Cyanorhamphus. Portato sull’orlo dell’estinzione sia a causa della deforestazione sia delle persecuzioni dirette, oggi si è ripreso grazie a una rigorosa protezione e conta anche una numerosa popolazione domestica in diverse varianti di colore.

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Zelanda ma anche la Nuova Guinea rappresenta un mondo diverso, anche se i due mondi sono molto diversi tra loro. Infatti, la Nuova Guinea è un’isola decisamente tropicale, montana e lontana quasi da tutto, eccettuata soltanto l’Australia che è già abbastanza strana di per se stessa. Tra i numerosi pappagalli della Nuova Guinea, si annovera una delle specie più strane dell’ordine, il pappagallo di Pesquet che si trova soltanto sulle montagne e che, a prima vista, potrebbe quasi sembrare uno strano avvoltoio con un lungo becco arcuato sull’estremità e un piumaggio insolitamente colorato di rosso e nero. Pare che sia una sorta di gigantesco parente dei lori che si nutre di nettare e di frutta ben matura e che il suo insolito aspetto sia in relazione con l’esigenza di non inzaccherarsi troppo il piumaggio durante le sedute di alimentazione sugli alberi in fiore o in frutto, proprio come una sorta

di avvoltoio frugivoro. Poco comune e diffuso, è strettamente protetto ma ciò non toglie che gli indigeni lo caccino ancora occasionalmente come animale da carne. Altri pappagalli strani della Nuova Guinea sono indubbiamente i pappagalli pigmei che, oltre a essere i membri più piccoli della famiglia (con una lunghezza totale inferiore ai 10 cm), si arrampicano con le sole zampe, si muovono sui tronchi anche a testa in giù come i picchi muratori e si nutrono di cibi molto insoliti per i pappagalli come licheni, funghi e piccoli insetti. All’interno delle 48 specie di pappagalli presenti in Nuova Guinea sono poche quelle non vivacemente colorate e del resto questa affermazione è vera anche per tutti gli altri pappagalli del mondo. Si può affermare che le specie di pappagalli che non presentano nel piumaggio nessuna traccia di verde, rosso, azzurro o giallo sono

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pochissime. In Africa, la femmina del pappagallo dal ventre arancio è interamente grigia con un poco di verde nel petto e verde-azzurro sul groppone, il maschio del pappagallo di Rüppell è interamente grigio scuro con due macchie gialle sulle ali e una leggera chiazza celeste sul sottocoda, il pappagallo cenerino è grigio argentato col groppone bianco e la coda rossa. Nessun pappagallo, però, ha un piumaggio modesto come le due specie di vasa del Madagascar: entrambe interamente di colore grigio scuro con la pagina inferiore delle remiganti primarie e delle timoniere di colore grigio chiaro. Quali misteriose

Il pappagallo di Pesquet è una sorta di gigantesco lori aberrante della Nuova Guinea, a prima vista più simile a un piccolo avvoltoio vivacemente colorato piuttosto che a un vero pappagallo.

pressioni selettive abbiano determinato l’assunzione di toni quasi corvini da parte di questi interessanti pappagalli di un’isola favolosa non è dato sapere, e del resto, non è dato neppure sapere per quale motivo molte specie di corvi e di cornacchie siano nere. In Australia esistono otto specie di cacatua prevalentemente nere o grigie, ciascuna delle quali, però, è dotata almeno di qualche macchia rossa, gialla o bianca nel piumaggio. È molto difficile interpretare la funzione adattativa dei colori quando non si tratti di verdi o di bruni mimetici ma si può comunque notare che i grigi scuri senza qualche riporto più vivace sono rarissimi tra i pappagalli. Il colore modesto ha fatto sì che i vasa non siano richiesti praticamente da nessuno come uccelli da compagnia e quindi che abbiano potuto continuare a vivere in pace nella loro isola, se si eccettua la persecuzione di cui sono oggetto da anni da parte degli

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agricoltori locali a causa dei loro presunti danni alle coltivazioni di frutta o di semi. Altri pappagalli particolari sono reperibili anche in Sudamerica che, d’altra parte, è la patria dei pappagalli parlatori più tipici che esistano, le amazzoni che hanno taglia media paragonabile a quella di un grosso piccione e piumaggio di base verde con piume azzurre, gialle e rosse distribuite diversamente in ciascuna delle 31 specie conosciute. Alcune amazzoni tendono a erigere le piume della testa e del collo quando sono eccitate ed è probabilmente da questo tipo di comportamento che si è selezionata una delle specie di Psittacidi più spettacolari del nuovo mondo, il pappagallo accipitrino che può sollevare una sorta di collare di colore porpora e blu come le penne del petto, nettamente contrastante con il verde acceso delle ali e del dorso. Il magnifico accipitrino si

avvicina alle amazzoni vere e proprie sotto molti punti di vista, specialmente alle specie più spettacolari come l’amazzone di Santa Lucia e l’amazzone imperiale. La grande varietà di forme, colori, taglie e adattamenti dell’ordine degli Psittaciformi, la vastità della loro distribuzione geografica, testimoniano l’antichità del gruppo e Il cacatua nero di Baudin, a sinistra, in una disegno da Illustration of the Family of Psittacidae, or Parrots di Edward Lear si distingue dalle altre specie di cacatua neri (Calyptorhynchus) per il fatto di essere dotato di riporti unicamente bianchi sulle guance a sulla coda. Colori così modesti non sono molto frequenti nella famiglia degli Psittacidi ma si riscontrano in molti Corvidi come il corvo imperiale raffigurato nell’immagine a destra in un magnifico disegno di Audubon. Entrambi i gruppi di uccelli sono dotati di viva intelligenza e di sorprendenti capacità mimiche ma qualsiasi ipotesi sulle pressioni selettive che hanno guidato la loro storia evolutiva appaiono azzardate.

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Particolare della testa di un accipitrino, pappagallo ampiamente diffuso nella parte settentrionale del Sud America, che è noto anche col nome di pappagallo del ventaglio, per la sua peculiarità di gonfiare il piumaggio intorno al collo.

Esemplare di cacatua di Leadbeater. Questa magnifica specie è tuttora abbastanza comune e diffusa in un’ampia zona interna dell’Australia dove la sua esistenza è favorita dalle raccolte d’acqua realizzate a scopo irriguo nelle fattorie. Ciononostante, l’intera popolazione continentale (e quindi mondiale) raggiunge a stento i 20.000 individui e la specie è condizionata anche in senso negativo dall’attività antropica.

anche la loro grande potenzialità ecologica. I pappagalli sono esattamente il contrario di ciò che la gente comune pensa di loro, non sono affatto utili idioti che nella foresta tropicale gracchiano e mangiano banane frullando di ramo in ramo mentre nelle case dei paesi ricchi se ne stanno docili sopra un trespolo ripetendo parole di cui non comprendono il senso e consumando semi di girasole e noccioline americane. In realtà i pappagalli, così come i Primati tra i mammiferi, sono un gruppo altamente plastico e adattabile a una vasta varietà di ambienti e di situazioni dal quale non è potuto emergere qualcosa di equivalente all’uomo più che altro perché, a causa del volo, la qualità della manipolazione in qualsiasi specie di uccello è destinata a rimanere fatalmente inferiore a quella realizzabile nei mammiferi dotati di mani. I pappagalli sono uccelli con quattro arti di cui due ali e due zampe e con un becco arcuato che compensa parzialmente ma non completamente il gap operativo che il volo necessariamente determina.

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GLI AMBIENTI

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pappagalli sono chiaramente uccelli arboricoli e, per la maggioranza, sono anche uccelli tropicali. Dall’allarmante ritmo con cui essi entrano nel novero delle specie minacciate si può anche desumere ciò che peraltro si sa anche per altra via, che per moltissime specie l’ambiente di elezione è quello della foresta tropicale. Molte delle specie di foresta stanno seguendo il destino del loro ambiente naturale, soltanto poche riescono ad adattarsi agli ambienti agricoli e pastorali che sostituiscono la foresta, beninteso diminuendo in misura sostanziale le loro densità di popolazione. In Africa, dove le foreste hanno avuto complicate vicissitudini e hanno conosciuto tempi molto difficili, in cui si sono ridotte a poche chiazze di minima entità, pare che sia vero il contrario: su 21 specie continentali soltanto cinque sono chiaramente di foresta e di queste soltanto una è risultata decisamente non adattabile ad ambienti modificati dall’uomo. Le altre 16 specie, appartenenti ai generi Agapornis e Poicephalus, sono tutte di savane più o meno alberate e più o meno aride. Tuttavia, tutti i pappagalli africani, siano essi di foresta o di savana, hanno conservato le caratteristiche di uccelli eminentemente arboricoli, arrampicatori, manipolatori, cioè le caratteristiche originarie dell’ordine degli Psittaciformi. Le specie africane sono capaci di adattarsi molto bene ad ambienti radicalmente modificati: i pappagalli di Jardine scendono nei frutteti a nutrirsi e i cenerini fanno la stessa cosa non solo nei centri rurali delle isole Ssese, come ci si può facilmente immaginare, ma anche in grandi città come Bangui o Kampala dove è stata osservata anche la nidificazione di una coppia in una soffitta; in Etiopia, i pappagalli dalla faccia gialla frequentano le foreste di montagna a podocarpo e ontano ma compaiono regolarmente nei parchi e nei giardini urbani, anche ad Addis Abeba, e frequentano senza problemi i vasti eucalipteti che ricoprono le pendici delle montagne a sud della capitale. In definitiva, l’unica specie che si è rivelata tanto strettamente legata alla foresta da non potere in alcun modo adattarsi al di fuori di essa è l’inseparabile dal collare nero (Agapornis swinderniana) che, tra l’altro, è adattata a una dieta specializzata, probabilmente molto ricca di vitamine A e B che finora nessun avicoltore è stato in grado di rimpiazzare. Purtroppo, la situazione relativamente favorevole di flessibilità che si riscontra in Africa non si estende al continente sudamericano dove la distruzione della foresta tropicale sta provocando letteralmente un disastro tra le specie di questo tipo di ambiente. Basta guardare la

Sopra, pappagallo cinerino nel suo ambiente naturale, in una foresta dell’Uganda. Sotto, foresta di Kakum, in Ghana, ambiente dove nidifica sia il pappagallo cenerino, sia una varietà di pappagallo di Jardine di piccola taglia nota come fantiensi.

lista dei pappagalli del genere Amazona, 31 specie delle quali la maggioranza di ambiente forestale pluviale, per rendersi conto che, in questo caso, due terzi delle specie sono minacciate in varia misura. È possibile che questa situazione sia legata almeno in parte alle catture di questi uccelli a scopo di esportazione ma la mia personale sensazione è che il legame di questi uccelli con la foresta sia più forte di quello degli africani e che d’altra parte la deforestazione sia stata più rapida e più devastante in questi luoghi di quanto non sia accaduto in Africa.

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Un aspetto della savana alberata nei pressi del lago Nakuru, Kenya, ambiente di elezione del pappagallo di Meyer. In Africa, i pappagalli non sono molto numerosi né nelle foreste né nelle savane. In ambiente forestale la specie più nota è appunto il pappagallo cenerino che spazia dall’Africa occidentale fino al bacino del Congo raggiungendo al limite l’Uganda e, marginalmente,

anche il Kenya e la Tanzania, in ambiente di savana la specie più nota è il pappagallo di Meyer che è diffuso dal Sudan fino al Sudafrica. I ripetuti episodi di siccità che hanno caratterizzato la storia geologica recente del continente hanno provocato la speciazione del genere Poicephalus che oggi annovera sette specie tanto simili da potersi riunire in una superspecie.

Questa impressione è ulteriormente rafforzata dalla constatazione che nessuna delle amazzoni più comuni, che sono state in massimo grado oggetto di commercio internazionale (fronte blu, fronte gialla, amazzonica, farinosa), si trova oggi nella lista delle specie in pericolo di estinzione in cui invece sono comprese quasi tutte le specie viventi su isole piccole e grandi e inoltre quelle la cui distribuzione coincideva con quella della sfortunata foresta atlantica: amazzone vinacea, amazzone del Brasile e amazzone a corona rossa.

Un altro ambiente di fondamentale importanza per i pappagalli è la foresta fluviale o foresta-galleria che, in tutti i continenti, penetra con i corsi d’acqua negli ambienti di savana e di foresta tropicale decidua come una strada verde in una distesa di alberi senza foglie e arbusti secchi. Nelle savane africane così come nel cerrado del Brasile tale ambiente è costellato di grandi alberi che sono i più importanti per rendere possibile la vita dei pappagalli. Nel continente nero il pappagallo più tipico di questi ambienti è il Meyer che si associa con l’albero

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delle salsicce (Kigelia africana), nel bacino amazzonico era l’ambiente dell’ara di Spix e lo è ancora dell’amazzone dalla faccia gialla, dell’amazzone di Finsch, dell’ara giacinto e di molte altre specie. Nel sud degli Stati Uniti la foresta fluviale fu anche l’ambiente di elezione del conuro della Carolina che evidentemente entrò in conflitto con gli esseri umani, da un lato perché anche questi ultimi volevano essere gli esclusivi titolari del possesso dei fiumi e delle preziose riserve idriche, dall’altro perché un ambiente quasi-lineare come quello della foresta fluviale è molto facile da controllare e purtroppo anche da devastare. In generale, le foreste-galleria attraversano le savane e vi sono altre specie di pappagalli ancora completamente arboricoli che si sono adattate a vivere nelle savane anche piuttosto aride utilizzando i fiumi o anche i pochi punti d’acqua esistenti per bere e servendosi di alberi che si ricoprono di foglie per pochi mesi all’anno per nascondersi e per nidificare. In Tanzania, il pappagallo dal ventre arancio nidifica nei baobab e utilizza in larga misura l’albero dei datteri (Balanites aegyptiacus) per ottenere cibo ricco di zuccheri nel periodo della nidificazione; in Namibia, il pappagallo di Rüppell presenta costumi simili, prediligendo la savana arida a baobab ma, in assenza della competizione dei Meyer, si mantiene perlopiù vicino ai corsi d’acqua e utilizza una più ampia varietà di risorse alimentari. In Sudamerica, un buon esempio di pappagallo adattato alla savana arida è rappresentato dall’amazzone dalle spalle gialle (Amazona barbadensis) che frequenta la vegetazione xerofitica con abbondanza di grandi cactus e di arbusti spinosi ritirandosi a riposare in grandi gruppi sugli alberi più alti o nelle fessure delle rocce. Alle quote e alle latitudini più elevate, le foreste pluviali tropicali sono sostituite da altri tipi di formazioni arboree, foreste di conifere o miste a podocarpi e ontani oppure, in Sudamerica, anche ad Araucaria e a Nothofagus. In questi ambienti, in Africa, sono reperibili il pappagallo di Jardine e il pappagallo dalla faccia gialla, entrambi dai 1800 m fino a oltre 3000 m, in Asia il parrocchetto dell’Himalaia fino a 2500 m, in Sudamerica il pappagallo dai ciuffetti dorati, il pappagallino della sierra e il pappagallino dalla fronte dorata fino a 4000 m e oltre, il pappagallino barrato fino a 2400 m, l’amazzone dalla nuca squamosa fino a 3600 m, l’amazzone di Tucuman fino a 3000 m. Sebbene tutte queste specie possano discendere a quote minori durante l’inverno, è evidente che esse sono ben adattate a sopportare temperature molto basse e, in alcuni casi, sono talmente ben adattate da non riuscire ad

In alto, la kigelia africana, noto anche come “albero delle salsicce”, costituisce una delle fonti di alimentazione del pappagallo di Meyer. Sopra, un tramonto nella savana a baobab nel parco nazionale del Tarangire in Tanzania. In questo ambiente nidificano gli inseparabili dal collo giallo e i pappagalli dal ventre arancio. Nella pagina a fronte, due particolari della foresta di Kao-Yai, nell’omonimo parco nazionale tailandese. Tra i pappagalli presenti in questo ambiente si annoverano il loricolo a corona blu, il pappagallo dal groppone blu e il parrocchetto dai mustacchi.

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adattarsi alla vita in cattività in ambienti di pianura che, in estate, diventino molto caldi. Meglio adattato di ogni altro pappagallo agli ambienti freddi sembra essere, peraltro, il conuro di Magellano che frequenta le foreste di faggio antartico nel Cile meridionale, fino al Capo Horn. Dato che questo ambiente freddo non è molto disturbato, il conuro di Magellano è uno dei pappagalli che non ha problemi di conservazione e anzi risulta in moderato aumento. Particolare è la situazione dell’Australia dove le foreste tropicali sono limitate alla penisola di capo York, nell’estremo nord, le foreste più diffuse sono quelle di eucalipti, molto aperte e luminose, e gli ambienti di gran lunga più diffusi sono quelli aridi o semiaridi con pochisConuro di Magellano, pappagallo che popola le regioni artiche del Sudamerica, fino alla Patagonia. Tra le specie è quella che ha saputo adattarsi meglio alle rigide condizioni climatiche.

simi alberi. In tale situazione, i pappagalli si sono evoluti in due direzioni completamente diverse: il gruppo forse più antico, quello dei cacatua, ha conservato le caratteristiche originarie degli Psittaciformi con uso disinvolto della zampa per alimentarsi, movimenti lenti e studiati e notevoli capacità di arrampicatori e di acrobati; ha tuttavia anche acquisito (o forse mantenuto) altri caratteri peculiari, il ciuffo anzitutto, e poi il colore nero oppure bianco dei quali il primo potrebbe essere un carattere originario, il secondo una mutazione che, negli ambienti aperti, si è dimostrata insperatamente favorevole, tanto da consentire una vivace speciazione che ha prodotto, alla fine, un totale di dodici specie in prevalenza bianche, con poche spruzzate di giallo, di rosa o di salmone che ravvivano il piumaggio e probabilmente favoriscono il riconoscimento omospecifico. L’altro gruppo, quello dei parrocchetti in senso lato, ha subito modifiche più radicali per adattarsi al nuovo tipo

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Sopra, una raccolta d’acqua con, al bordo, un boschetto di eucalipti in Australia. Da questo tipo di bacini naturali o artificiali dipende molto la presenza e la frequenza di tutti i pappagalli del continente e in modo particolare dei cacatua. Tra questi una delle specie piĂš comuni è il cacatua dal ciuffo giallo che appare nelle foto della pagina a fronte rispettivamente posato sul terreno (a sinistra) e in volo (a destra).

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Esemplare di inseparabile di Fischer, specie a rischio di estinzione, originaria dell’Area del lago Vittoria tra Kenya e Tanzania.

di ambiente. I loro rappresentanti si sono modificati per muoversi più agevolmente e anche più rapidamente sul terreno anche a costo di perdere in parte gli adattamenti arboricoli, si sono fatti più piccoli e più agili, hanno lasciato da parte le capacità prensili delle zampe, hanno optato in favore di una dieta a base di semi piccoli diminuendo le dimensioni del becco e della testa. Il risultato di questo processo evolutivo è stato un fitto gruppo di piccoli pappagalli che dei pappagalli essenzialmente arboricoli ha talmente perduto le caratteristiche da essere percepito come qualcosa di diverso da parte di quelli che allevano i pappagalli percependoli come un gruppo fortemente distinto da tutti gli altri uccelli. Questi parrocchetti terricoli sono più gentili, meno caracollanti, più rapidi, più aerei e più leggeri degli altri pappagalli e per tutti questi motivi sono facilmente riconoscibili da chiunque come uccelli di aree aperte, pappagallini delle erbe, uccelli di rovo come in fondo sono molti uccelli australiani. Resta da dire qualche parola sull’adattabilità dei pappagalli agli ambienti modificati dagli esseri umani, coltivi, piantagioni, giardini e parchi urbani, città. Come accade nel caso di tutti gli altri uccelli, questa è variabile a secon-

da delle specie considerate e determina il futuro destino di ogni specie nonché la composizione delle future comunità di uccelli esistenti nei vari luoghi del pianeta. Per esempio, specie come l’ara giacinto o il cacatua delle palme appaiono molto fragili dal punto di vista ecologico, richiedendo ambienti di qualità molto elevata, altre specie come il parrocchetto dal collare indiano si adattano praticamente ad ogni situazione e prosperano anche in ambienti molto modificati dagli esseri umani e persino nelle città. Molti pappagalli, tuttavia, sono discretamente esigenti nel senso che, pur richiedendo, in linea di massima, ambienti ben determinati come quelli di foresta o di savana, poi si adattano anche ad ambienti rurali e anche urbani nei quali venga conservato un piccolo numero di alberi abbastanza grandi che possano essere utilizzati per le esigenze della loro vita. Tra questi pappagalli molto adattabili spicca tuttavia il caso di due particolari specie di inseparabili africani che, nelle aree di origine, hanno esigenze ecologiche molto particolari e distribuzione geografica molto limitata, attualmente sono protagoniste di un singolare fenomeno di cui vale la pena di parlare brevemente. L’inseparabile di Fischer occupa una limitata area in Tanzania a sud del lago Vittoria, quello dal collo giallo è diffuso in un’altra zona della Tanzania orientale e meridionale. In natura, le due specie non si ibridano neppure

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nella piccola zona di sovrapposizione dei due areali, forse anche perché questi areali si sono ristretti a causa della distruzione dell’habitat naturale e i due inseparabili sono confinati in misura via via maggiore nei parchi nazionali. Entrambe le specie, peraltro, sono molto diffuse in avicoltura non soltanto in Africa ma in tutto il mondo. Tra l’altro, esse sono state esportate in Kenya e, come spesso accade, sono sfuggite alla cattività formando colonie in nuove aree dove, in precedenza, questi pappagalli erano sconosciuti: Naivasha, Nairobi, Mombasa. In questi luoghi è accaduto qualcosa di impensabile: in primo luogo, le nuove popolazioni delle due specie si sono adattate a condizioni seminaturali e addirittura urbane che sarebbero state inaccettabili per i loro progenitori selvatici, in secondo luogo, esse hanno incominciato a ibridarsi formando in misura sempre maggiore un’unica popolazione di caratteristiche intermedie e collocata in una nicchia ecologica molto più ampia rispetto alle due specie originarie. Basti dire che interi stormi di questi uccelli ibridi si possono addirittura osservare nel centro di Nairobi, dalle finestre delle camere di un grande albergo collocato in un grande edificio in una zona praticamente priva di parchi e di giardini. Questa situazione invita ad alcune riflessioni sul tema dell’introduzione delle specie in nuove aree geografiche e anche sulla definizione stessa di specie. Innanzi tutto

Un aspetto della foresta secondaria, ricresciuta dopo lo spopolamento umano delle isole Ssese (lago Vittoria), avvenuto all’inizio del Ventesimo secolo a causa della diffusione della mosca tse-tse. Purtroppo, la tendenza ecologica positiva di rigenerazione spontanea della foresta instauratasi in seguito allo spopolamento è stata bruscamente interrotta e invertita dal progetto di piantagione su larga scala della palma da olio, deciso a livello governativo. La deforestazione in atto minaccia l’intero ecosistema forestale e con esso il futuro della maggiore popolazione ugandese di pappagalli, in particolar modo dei cenerini.

si può osservare che la nicchia ecologica che ciascuna specie occupa – il ruolo che la specie svolge nella sua comunità – non è fissa ma varia da un luogo all’altro e da una situazione all’altra. Per questo motivo, quando le specie vengono introdotte in nuove aree geografiche il ruolo che esse eserciteranno nella nuova comunità in cui si vanno a collocare risulta del tutto imprevedibile. Se non rimangono vittime di predatori o di competitori locali, accade spesso che si adattino a condizioni rurali e addirittura urbane che, nella loro area di origine, avrebbero rifiutato. Può anche accadere che assumano un ruolo di competitori o di predatori e che, in alcuni casi, possano svolgerlo in maniera talmente radicale da eliminare del tutto alcune specie indigene che si trovano a svolgere involontariamente il ruolo di vittime. Vi sono, in questo campo, alcuni esempi clamorosi come quello dello scoiattolo grigio americano che, per via di competi-

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Due riprese a distanza dell’inseparabile dal collo giallo, piccolo pappagallo diffuso in questi ambienti.

zione e di diffusione di malattie, in Inghilterra, ha causato l’estinzione dello scoiattolo indigeno europeo; quello del serpente bruno (Boiga irregularis) che, a seguito del suo arrivo nell’isola di Guam, ha causato l’estinzione di dieci specie locali di uccelli; e per citarne ancora uno peggiore, quello del pesce persico africano (Lates niloticus) che, a seguito della sua incauta introduzione nel lago Vittoria, ha provocato l’estinzione o l’estrema rarefazione di ben 200 specie di pesci Ciclidi. Per fortuna, nessuno dei pappagalli introdotti in nessuna diversa zona del mondo ha mai provocato problemi di questo genere e si può cautamente ritenere che, essendo la massima parte degli Psittaciformi adattata ad ambienti tropicali, non sia affatto probabile che le specie che si adattano ai climi temperati possano diventare invadenti. Speriamo che questa situazione non cambi e che i pappagalli che vivono allo stato libero in Europa e in Nordamerica possano continuare a essere considerati come graditi e interessanti ospiti da ammirare, non come invasori da combattere.

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IL PASSATO E IL FUTURO

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pappagalli sono comparsi molto tempo fa, probabilmente erano già più che “abbozzati” cento milioni di anni fa anche se le testimonianze fossili più antiche, come abbiamo detto, sono di 40 milioni di anni fa. Vissero quasi certamente nell’era dei dinosauri e abitarono forse tutta la Terra, possiamo bene immaginarlo sia perché a quei tempi vi era un unico immenso continente, sia perché il clima era nettamente più caldo e le foreste tropicali molto più estese. Cominciarono a poco a poco a differenziarsi mentre, di

L’estinto Lophopsittacus dell’isola di Mauritius nel disegno del viaggiatore olandese Wolfart Harmanzoon che ebbe la fortuna di poterlo vedere ancora vivo. Non ne è rimasta neppure una singola pelle che potesse eventualmente avvalorare l’esattezza del disegno che resta dunque l’unica testimonianza della sua passata esistenza.

tanto in tanto, qualche specie si estingueva. Negli ultimi cinquecento anni ne sono scomparse una ventina mentre molte altre sono arrivate pericolosamente vicino al limite dell’estinzione. Tra le specie scomparse di recente la più famosa è probabilmente il conuro della Carolina che era una delle poche specie di pappagalli delle zone temperate e praticamente l’unica dell’emisfero nord. Altre tre specie molto caratteristiche, anch’esse appartenenti a generi distinti, erano Mascarinus mascarinus dell’isola di Reunion, Necropsittacus rodericanus dell’isola di Rodriguez e Lophopsittacus mauritanicus di Mauritius. Del primo di questi, estinto nel 1840, esiste ancora una pelle a Vienna mentre degli altri due sono rimaste unicamente poche ossa. Del Lophopsittacus, estinto intorno al 1650, nulla sapremmo di preciso se recentemente non fosse stato scoperto il diario di un

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Illustrazione di J.G. Kuelemans da Extinct Birds di Lionel Walter Rothschild (1907) di Psittacula exsul. Originario dell’isola di Rodriguez nell’Oceano Indiano, il suo nome deriva dall’esule François Leguat, che fornì la prima testimonianza del volatile.

La famosissima stampa di Audubon sul parrocchetto della Carolina che, tra l’altro, è uno dei pochi documenti che testimoniano la livrea interamente verde dei giovani destinata poi a mutare nel bel colore giallo aranciato della testa.

viaggiatore olandese, Wolphart Harmanzoon, che ne fece anche un disegno abbastanza dettagliato in occasione della sua visita a Mauritius nel 1601-1602. Era un uccello molto grande, 70 cm di lunghezza totale, nerastro, crestato e dotato di un becco enorme, probabilmente adatto per una dieta a base di frutta. Non era in grado di volare e questa fu certamente la causa prima della sua rapida scomparsa dopo l’arrivo degli olandesi nell’isola. Tra le molte altre specie scomparse se ne annoverano ben tre di parrocchetti Psittacula di isole dell’oceano Indiano (P. exsul di Rodriguez, P. wardi delle Seychelles e P. eques di Reunion). Queste, insieme con il parrocchetto di Mauritius (P. echo) tuttora esistente ma in pericolo critico di estinzione, rappresentavano un interessante documento di radiazione adattativa insulare dell’unico genere

di pappagallo che oggi occupi naturalmente due diversi continenti, il parrocchetto dal collare (P. krameri): evidentemente, nel corso della loro espansione dall’Asia tropicale verso l’Africa, i parrocchetti Psittacula fecero sosta in diverse isole e alcuni di essi vi rimasero dando luogo a poco a poco a nuove specie che tuttavia, a causa della loro esigua distribuzione geografica e limitata popolazione, si rivelarono molto vulnerabili. Un gruppo di specie appartenenti a un genere tuttora vivo e vitale è quello delle are che purtroppo però annovera anche almeno quattro bellissime specie scomparse, tra le quali la più famosa è probabilmente l’ara di Cuba (Ara tricolor) che si estinse nel 1864, seguendo l’ara dalla testa gialla della Giamaica, scomparsa intorno al 1765, l’ara di Dominica, sopravvissuta fino al 1800 e infine l’ara verde

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e gialla della Giamaica estinta nel 1842. È possibile che tutte queste are fossero effettivamente specie diverse ma è anche possibile che si trattasse di semplici razze geografiche dell’ara di Cuba, nessuno può dirlo con certezza dato che di questi pappagalli non rimangono pelli ma soltanto poche illustrazioni o anche soltanto descrizioni contenute nei diari di viaggio di alcuni personaggi che si sforzavano di documentare tutto ciò che osservavano. Anche tra le amazzoni delle isole caraibiche vi furono almeno due illustri vittime: la specie della Guadalupa (Amazona violacea) si estinse intorno al 1700 mentre quella della Martinica (Amazona martinica) riuscì a persistere per altri cinquant’anni, fino al 1750. Del destino di queste due specie non c’è molto da stupirsi quando si apprende che non soltanto gli indigeni ma anche i colonizzatori francesi cacciavano questi splendidi uccelli per cibarsene. Oltre a ciò, la deforestazione delle isole tolse ai pappagalli l’am-

biente essenziale per la nidificazione e per la ricerca del cibo costringendoli a rivolgersi alle coltivazioni per nutrirsi e quindi suscitando ancor di più l’aggressività dei coloni nei loro confronti. Tra gli altri pappagalli estinti si annoverano almeno un’altra specie di conuro (Aratinga labati), una specie di kaka endemica dell’isola di Norfolk (Nestor productus) e almeno un paio di specie di kakariki di cui una a fronte nera (Cyanorhamphus zealandicus) e una delle isole Società (C. ulietanus). A questi si deve ancora aggiungere il lorichetto della Nuova Caledonia (Charmosyna diadema). Per fortuna, nessuna specie di pappagallo si è estinta dopo il 1914, la data fatale del conuro della Carolina. Tuttavia, le specie a rischio di estinzione sono davvero molte: ben 121 su un totale di 348 esistenti, pari a circa il 35%, una percentuale impressionante se si confronta con quella media degli uccelli che supera di poco il 10%.

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Certo, non tutte queste 121 specie sono minacciate nella stessa misura: tra esse, 10 sono considerate in una situazione critica (CE, critically endangered, rischio di scomparire entro 5 anni), altre 24 sono minacciate (E, endangered) ma le loro popolazioni possono ancora essere di alcune migliaia, seppure in progressiva diminuzione, 35 sono considerate quasi minacciate (NT, near threatened) dato che il loro habitat sta scomparendo progressivamente e la popolazione appare in diminuzione, infine le altre 52 sono considerate vulnerabili (V) perché il loro habitat non è efficacemente protetto e potrebbe essere eroso o distrutto nel prossimo futuro. La popolazione mondiale delle varie specie di pappagalli è raramente molto elevata, in primo luogo perché la distribuzione geografica delle specie di pappagalli non è quasi mai molto vasta, in secondo luogo perché la densità di popolazione è spesso bassa. Tra le poche eccezioni a questa situazione spicca il caso del parrocchetto dal collare che è

Ancora una serie di 4 illustrazioni dal volume Extinct birds di Lionel Walter Rothschild. Nella pagina precedente, testimonianza dell’aspetto di due specie endemiche di amazzoni estinte in tempi storici, a sinistra l’amazzone della Martinica e a destra l’amazzone della Guadalupa, entrambe scomparse nel Diciottesimo secolo a causa della brutale invasione del loro piccolo ambiente isolano e della persecuzione diretta. Sopra, ancora due specie sfortunate di pappagalli, estinte probabilmente nel corso del Diciannovesimo secolo. A sinistra l’ara tricolor, mentre a destra è raffigurato il kaka dell’isola di Norfolk. L’impatto dei colonizzatori europei sulle isolette oceaniche fu particolarmente rovinoso a causa della piccola estensione di queste che comportava necessariamente una popolazione molto piccola di pappagalli endemici.

diffuso su un’area afro-asiatica che copre molti milioni di chilometri quadrati con una popolazione di diversi milioni di individui. A un simile ordine di grandezza giungono

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anche le popolazioni di alcune specie australiane, parrocchetto ondulato, calopsitta e galah. Tutte le altre, anche quando non sono minacciate, non superano l’ordine di grandezza delle centinaia o decine di migliaia e in troppi casi sono ridotte in piccoli fazzoletti di terra con numeri complessivi dell’ordine delle migliaia o delle centinaia. Tra le specie minacciate in modo critico la più famosa di tutte è probabilmente il kakapo della Nuova Zelanda che, dopo essere giunto a un passo dal disastro, oggi è in fase di netto recupero grazie alla cura dei tecnici del New Zealand Wildlife Service. Resta tuttavia il fatto che la popolazione totale di questo interessantissimo e insolito pappagallo è tuttora minima, avendo superato di poco le 300 unità. Tra le altre specie in pericolo, il caso più estremo e anche più grave è quello dell’ara di Spix, un pappagallo brasiliano di colore blu chiaro già estinto in natura

nell’anno 2000, quando scomparve l’ultimo individuo noto, che aveva formato una coppia con una femmina di Ara maracana. Di questa specie esistono ormai solo alcune decine di individui mantenuti in cattività in pochi centri di riproduzione privati. Attualmente si ritiene che in cattività ne esistano circa 75. Il numero esatto non si conosce, dal momento che di alcuni soggetti si sospetta soltanto l’esistenza perché i proprietari negano di esserne in possesso temendo che gli uccelli possano essere oggetto di confisca da parte delle autorità. Di tali 75 individui, quindi, meno di 20 fanno parte al momento del piano di recupero internazionale che è stato avviato. Fortunatamente molte di questi 20 soggetti sono “fondatori”, cioè sicuramente non imparentati tra loro e quindi con i dovuti calcoli quasi l’80 % del patrimonio genetico originale è al momento disponibile per il progetto di recupero che prevede la moltiplicazione in cattività della specie e successivamente il rilascio di alcune coppie nella zona in cui viveva l’ultimo individuo sopravvissuto fino all’anno 2000. La maggiore difficoltà da affrontare sarà la rieducazione alla vita in natura di pappagalli che di essa non hanno mai avuto alcuna esperienza. Gli ultimi individui esistenti, confinati in un residuo di habitat non più esteso di 30 chilometri quadrati (foresta-galleria dominata da Tabebuia, situata lungo i corsi d’acqua negli arbusteti semiaridi a caatinga) si accompagnavano spesso con are di Illiger (Ara maracana). Per il rilascio, si pensa, probabilmente, di usare come tutori uccelli adulti di altre specie affini, così come si è fatto nel caso del condor della California. Se il rilascio avrà successo, con esso cresceranno anche le speranze di recupero per la specie che è l’unica rappresentante del genere monotipico Cyanopsitta. Ancora in tema di are, un’altra specie appena un poco più numerosa di quella di Spix è l’ara di Lear (Anodorhynchus leari) la cui popolazione è stimata poco al di sopra dei 100 individui concentrati in una piccola area della valle

Ancora da Extinct Birds, il pappagallo delle Mascarene, un tempo diffuso nelle isole di Mauritius e Reunion, si estinse nel 1834, quando l’ultimo individuo di cui si abbia notizia morì in una collezione del re di Baviera. Aveva la taglia del pappagallo cenerino e colori insoliti che tuttavia non sono facili da ricostruire nel dettaglio nei due unici individui rimasti in pelle, ormai molto stinti e rovinati dal tempo e dalla cattiva conservazione. A fronte, uno studio di Elizabeth Butterworth di ara aliverdi, specie tuttora esistente anche se decisamente rarefatta. Sono ben quattro le specie del genere Ara che si sono estinte dai tempi della scoperta delle Americhe.

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Ara giacinto immortalata mentre plana a terra. Questo pappagallo brasiliano è ormai molto raro, forse ridotto a meno di duemila individui in totale. Nella pagina successiva, tavola di E. Butterworth, confronto tra ara ararauna e ara a gola blu.

del rio São Francisco, nello stato di Bahia, Brasile. Uccello imponente di colore azzurro uniforme, assomiglia molto all’ara giacinto rispetto alla quale è tuttavia leggermente più piccola, un poco più chiara e con una cera gialla di forma diversa dietro il becco. Nidifica nelle cavità delle falesie calcaree e si nutre dei frutti della palma Syagrus coronata di cui un solo individuo può prelevare anche 350 noci in un solo giorno. Per cercare di favorirne la riproduzione, i biologi della Stazione ecologica di Raso da Catarina, situata nell’area di riproduzione della specie, sono impegnati, tra l’altro, nella riproduzione artificiale della palma Syagrus. Un piccolo numero di individui (forse 13 nel 1992) esiste

anche in cattività ma purtroppo la riproduzione è sporadica e ancora non esiste un progetto ufficiale ben coordinato. Tra le altre specie in condizione critica un esempio paradigmatico è costituito dal pappagallo dalle orecchie gialle (Ognorhynchus icterotis) delle Ande settentrionali (Ecuador e Colombia). Questa specie, un tempo abbastanza comune e in talune località persino abbondante nelle foreste umide tra i 2500 e i 3000 m, ha sofferto in modo estremo della deforestazione con forte rarefazione delle palme del genere Ceroxylon che l’ha privata sia dei siti adatti alla nidificazione sia delle sue principali fonti di cibo. Gli avvistamenti sono diventati sporadici e si teme che, in assenza di laboriosi interventi di ripristino sull’ambiente, la specie sia destinata a scomparire del tutto in tempi piuttosto brevi. La deforestazione è indubbiamente il motivo principale della scomparsa o comunque della rarefazione dei pappagalli ma è indubbio che esistono anche altre cause, in primo luogo l’introduzione di specie esotiche in ambienti prima indisturbati, in secondo luogo la cattura

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e il commercio internazionale che spesso premono proprio su diverse specie spettacolari aventi distribuzione e consistenza di popolazione limitate per cause naturali o anche umana. Per esempio, le specie che vivevano nella foresta atlantica brasiliana devono fare i conti con la quasi totale devastazione di questo ambiente che risulta ormai distrutto al 90-95%. Ciò significa che tutte le specie che non riescono ad adattarsi a vivere in ambienti antropizzati, per esempio pascoli con pochi alberi, non hanno altra possibilità se non di ridurre la propria popolazione nella stessa misura. È ciò che è capitato a due bellissime e particolarissime specie di pappagalli che della foresta atlantica erano rappresentanti di primo piano, l’ara giacinto e il conuro guaruba, entrambe ridotte a popolazioni minime e seriamente minacciate di estinzione.

L’amazzone dalla corona lilla è una specie caratteristica della foresta decidua del versante pacifico del Messico. Qui, anche se ufficialmente protetta, viene spesso catturata e mantenuta in cattività, dato che è un buon imitatore della voce umana. A fronte, cacatua delle Molucche, uccello dal caratteristico piumaggio color rosa salmone, fra le specie più richieste sul mercato.

L’introduzione di specie esotiche si è rivelata devastante specialmente nel caso di pappagalli che vivevano in ambienti indisturbati, piccole isole o anche la Nuova Zelanda dove non esistevano affatto mammiferi e il kakapo si era evoluto in un ambiente talmente indisturbato da potersi permettere di rinunciare al volo. Nelle piccole isole caraibiche, l’effetto combinato della deforestazione, l’in-

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Parrocchetto dal collare indiano in riposo. Si tratta di uno dei pappagalli più numerosi del pianeta: oltre che in Asia e Africa, è stato introdotto dall’uomo anche in Europa. Il suo grande successo è indubbiamente favorito dalla facilità con la quale si adatta agli ambienti più vari, compresi quelli urbani, purché vi esistano piccole estensioni di parchi e giardini dove possa trovare alberi cavi utili per la nidificazione.

troduzione di cani e gatti e la cattura per il mercato degli uccelli vivi ha portato varie specie sull’orlo dell’estinzione. Pappagalli come l’amazzone imperiale e l’amazzone di S. Lucia sono limitati a piccole isole e pertanto non hanno mai avuto popolazioni superiori a qualche migliaio di individui. Sotto la pressione dei diversi fattori che ne riducono il numero, in alcuni casi si sono ridotte a poche centinaia o addirittura a poche decine. È logico che, in tali condizioni, debbano essere protette con il massimo rigore possibile e che alla repressione del bracconaggio si debba affiancare

una vivace opera di educazione della popolazione locale. La cattura per il mercato degli uccelli vivi è oggi drasticamente diminuita dopo l’accordo sul bando del commercio internazionale. Non c’è dubbio che essa abbia un effetto molto variabile sulle diverse popolazioni, talvolta minimo, in altri casi importante. Specie come l’ara giacinto, il cacatua delle Molucche, il cacatua delle palme, l’ara di Spix sono talmente richieste e spuntano prezzi talmente elevati da alimentare in modo pressoché automatico un vivace e devastante mercato clandestino. Altre specie, in passato oggetto di intenso commercio, sono oggi riprodotte in cattività in numeri sufficienti per soddisfare la domanda. È questo il caso del pappagallo cenerino, di alcune amazzoni, dei pappagalli africani, di tutti quelli australiani. Tra questi ultimi si ha una situazione particolare: la creazione nell’interno arido del continente di bacini per l’irrigazione delle colture ha rimosso uno dei fattori limitanti delle popolazioni di alcune specie i cui numeri sono molto aumentati. In modo particolare ciò è accaduto per il galah e per il cacatua dal ciuffo giallo che, in qualche caso, sono stati oggetto di pesanti campagne di controllo con uccisione di migliaia di individui “indesiderati”. Questi episodi hanno evidentemente alimentato forti polemiche da parte degli allevatori europei e americani che lamentavano il divieto di cattura e di esportazione di questi uccelli che le autorità australiane, ancora oggi, preferiscono eliminare fisicamente piuttosto che destinare al mercato degli uccelli vivi. La situazione favorevole dei pappagalli australiani è evidentemente legata al fatto che la maggior parte di essi non frequenta foreste ma è adattata agli spazi aperti. Altrove, una vitalità paragonabile viene esibita da altre specie di spazi aperti come il pappagallo monaco del Sudamerica e il parrocchetto dal collare indiano. Queste due specie sono state introdotte, accidentalmente o intenzionalmente, in diverse parti del mondo e hanno dimostrato una notevole capacità di adattarsi anche a climi temperati. Oggi, perciò, è possibile ammirare gruppetti di pappagalli monaci a Barcellona oppure parrocchetti dal collare a Palermo, Innsbruck o Londra. Un disordine ecologico, secondo qualcuno, ma, a mio modo di vedere, un ornamento probabilmente del tutto innocuo dei parchi di alcune città altrimenti troppo severe e noiose.

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IL GRUPPO

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I

pappagalli sono, per la grande maggioranza, uccelli sociali e quindi, per poterne comprendere lo stile di vita, è necessario anche per noi scrittori e lettori affrontare nelle linee essenziali il complesso argomento della socialità. Noi esseri umani, così come la grande maggioranza degli altri Primati, siamo animali sociali e tendiamo a credere che la socialità sia un indispensabile requisito di un’intelligenza superiore. Prova di questo presunto paradigma sarebbe il comportamento decisamente sociale di alcune specie di animali tenute in alta considerazione sotto il profilo intellettivo, come lupi, sciacalli, delfini, balene, elefanti, taccole, cani, leoni eccetera. In effetti, la vita di gruppo fornisce molti stimoli che in genere sono negati a chi deve risolvere a livello individuale tutti i suoi problemi; tuttavia, non tutte le forme di socialità sono raffinate come quelle più avanzate e non tutti gli animali solitari sono poco dotati dal punto di vista intellettivo. Esistono alcune forme di socialità che sono considerate molto semplici e che sono praticate da animali tanto primitivi da essere spesso considerati intellettualmente del tutto irrilevanti, per esempio i pesci che circolano in grandi banchi offrendo un formidabile spettacolo para-

militare a chi li osserva dal mare o da un’imbarcazione. Tuttavia, il motivo essenziale per cui essi stanno insieme sembra essere semplicemente il cosiddetto effetto diluizione: se un predatore, capace di catturare un solo pesce per volta, dovesse essere appostato lungo il percorso che un pesce X deve coprire in un determinato momento, nel caso in cui X fosse da solo, verrebbe attaccato e ucciso senz’altro, se viaggiasse con altri nove pesci, la probabilità dell’attacco sarebbe di 1/10, se viaggiasse con altri 999 pesci sarebbe di 1/1000. Ammesso che il predatore attacchi e uccida effettivamente qualcuno del gruppo, se X viaggia insieme con una compagnia numerosa, la sua probabilità di essere ucciso diminuirà in ragione inversa alla consistenza numerica del suo banco o del suo stormo. Non è detto, tuttavia, che l’effetto diluizione sia l’unico motivo per il quale i pesci si associano in banchi e gli uccelli in stormi. Anche nel loro caso gioca un ruolo la ricerca comune delle fonti di cibo e dei ripari ed è molto probabile che i pesci imparino anche molte nozioni utilissime per la loro sopravvivenza rimanendo al sicuro nel banco, così come fanno gli uccelli nello stormo. Inoltre, al momento del pericolo, i componenti di un grande gruppo si serrano

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tutti insieme oppure “esplodono” schizzando via in tutte le direzioni e disorientando il predatore che potrebbe non essere in grado di catturare nessun membro del gruppo. Una tale strategia funziona talmente bene che, in un recente concorso fotografico internazionale, l’immagine vincente raffigurava uno stormo di storni che si compattava nello spazio reagendo all’attacco di un falco pellegrino. Per un pappagallo, le ragioni del comportamento sociale sono molteplici. In primo luogo, per un grande stormo che si muove per decine di chilometri per andare a cercare cibo l’effetto diluizione funziona certamente e non è affatto da disprezzare. In secondo luogo, anche i pappagalli potranno reagire con strategie collettive all’eventuale attacco di un predatore aereo, non solo compattandosi o allargandosi come uno stormo di storni ma anche coalizzandosi per attaccare in molti e mettere in fuga il singolo predatore. Inoltre, uno stormo di pappagalli è qualcosa di più di una mera associazione di singoli individui: esso è composto da famiglie e sta insieme per i legami familiari che legano i genitori tra loro e ai loro figli e per altri legami più lassi che legano comunque tra loro tutti gli appartenenti a un determinato gruppo. Esistono foto di stormi di pappagalli nelle quali si riconoscono agevolmente le coppie oppure le famiglie che restano visibilmente più vicine tra loro dimostrando di essere coinvolte in due livelli di socialità: un primo livello familiare più forte e un secondo livello di gruppo generico, di minore intensità. Un tale approccio ha i suoi buoni motivi dato che, insieme con i suoi indubbi vantaggi, la socialità di secondo livello comporta anche qualche svantaggio: i vicini possono comportarsi in modo irriguardoso oppure anche stupido mettendo a rischio la vita di individui prudenti, possono talvolta insidiare la virtù delle compagne o dei compagni di vita e possono contrarre pericolose malattie e divenirne ignari portatori. Nel complesso, la scelta in favore della socialità generalizzata non determina Nella pagina precedente: La socialità è un argomento complesso in biologia. Il comportamento sociale si è evoluto in parallelo in gruppi di animali completamente diversi ed è presente in forme molto complesse anche in alcuni ordini di insetti. Nei pappagalli è ben sviluppato e diffuso nella maggioranza delle specie, come del resto in molti altri ordini di uccelli. L’immagine ritrae un enorme stormo di parrocchetti ondulati in una zona desertica nel cuore dell’Australia. Alcuni esempi di socialità nelle classi dei mammiferi e degli uccelli. Dall’alto: zebre che si abbeverano; un nucleo famigliari di ippopotami; gruppo di fenicotteri sul lago Nakuru; sule bassane nidificanti sulla Bass Rock, Firth of Forth, Scozia.

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soltanto vantaggi ma anche costi di una certa importanza ed è comprensibile che, in talune specie, la bilancia penda in favore della vita in famiglia o anche da singoli, eccezion fatta per il periodo degli accoppiamenti che, in molti casi, comporteranno una breve interruzione del consueto stile di vita in favore di qualcosa di un po’ diverso. La socialità di famiglia può essere talvolta limitata a un brevissimo rapporto tra maschio e femmina e poi a un rapporto più duraturo ma sempre limitato tra femmina e piccoli nati. Un sistema socio-sessuale di questo tipo è piuttosto raro tra gli uccelli ed è riscontrabile in una sola specie di pappagallo, il kakapo della Nuova Zelanda. Subito dopo l’accoppiamento la femmina si allontana dal territorio del maschio dominante, trova una cavità idonea per deporre le uova, cova diligentemente e quindi alleva i pulcini senza il minimo aiuto da parte del maschio. Quando i piccoli nati

Due conuri del sole e un conuro dal ventre cremisi.

giungono all’indipendenza, la piccola famiglia si scioglie e i suoi membri tornano a una vita solitaria. Per tutti gli altri pappagalli la socialità di gruppo e di famiglia è un fenomeno non soltanto importante ma decisamente caratterizzante. A livello di famiglia essa si manifesta tra i coniugi con un rapporto monogamico che, in linea di massima, è esclusivo e dura per tutta la vita e, nei confronti dei figli, con un rapporto di associazione familiare che può durare anche per un paio di anni e che può comportare da un lato una collaborazione dei giovani all’allevamento di nuove nidiate, dall’altro una loro permanenza nella famiglia di origine ben oltre la loro maturazione sessuale, probabilmente in rapporto con la cronica scarsità di siti idonei alla nidificazione. La questione degli aiutanti di cova è tuttora aperta e su questo tema, nel caso dei pappagalli, per ora si possono formulare soltanto ipotesi. In generale, gli aiutanti di cova sono parenti di uno dei due membri della coppia che, non potendo nidificare in proprio, si accontentano di aumenta-

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re il successo riproduttivo di un genitore o di un fratello, realizzando in tal modo una buona propagazione dei propri geni, sostitutiva dell’effetto di una riproduzione. La questione è stata studiata a fondo in alcune specie di uccelli altamente sociali come i garruli afro-asiatici, le upupe arboricole africane, alcune specie di gruccioni e di martin pescatori esotici e, in Europa, il codibugnolo e probabilmente la gazza dalle ali azzurre della penisola iberica. Tra i pappagalli non è attualmente disponibile nessuno studio che abbia potuto confermare l’esistenza di un tale comportamento ma è probabile che gli aiutanti di cova esistano per diverse ragioni, anzitutto per l’abitudine dei giovani da

poco involati di ritornare al nido per un tempo abbastanza prolungato e di trascorrervi la notte insieme con i genitori. Se questi effettuano una seconda covata, come accade normalmente nel caso di diverse specie di piccola taglia come

Le immagini illustrano quattro specie di uccelli non comprese nell’ordine Psittaciformes dei quali è nota la collaborazione dei giovani o di altri individui imparentati o no con la coppia nidificante per l’allevamento dei pulcini. In alto: a sinistra il martin pescatore bianco e nero, specie afro-asiatica, a destra il gruccione dalla fronte bianca, anch’esso afro-asiatico. In basso: a sinistra il codibugnolo, eurasiatico e, a destra, il tessitore codirosso, africano.

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Gruppo di are appollaiate sul ramo di un albero. Si distinguono are aliverdi e are ararauna.

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gli inseparabili, la collaborazione dei giovani alla cova diviene quasi automatica dato che essi contribuiscono con il loro calore corporeo a mantenere elevata la temperatura della cavità in favore dei piccoli fratelli implumi. Anche qualora la covata successiva venga effettuata nell’anno seguente, è possibile che i giovani si trovino ancora alla scuola dei genitori, e dunque che possano fungere da aiutanti senza neppure rendersene conto. È anche possibile che, almeno in alcune specie, i fratelli maggiori non si limitino a fornire calore ma rigurgitino cibo ai piccoli nati, anche se è difficile provare con certezza un tale fenomeno che probabilmente si svolge nel segreto del nido in una cavità di un albero. Del resto, il fenomeno degli aiutanti al nido non può certamente essere qualcosa che sorge improvvisamente dal nulla ma piuttosto deve costituire la naturale evoluzione di una serie di comportamenti piuttosto diffusi tra gli uccelli. Per esempio, l’imbecco dei giovani appena involati da

parte di altri giovani un poco più anziani si può facilmente osservare nei gruppi di giovani passeri domestici che, nella tarda estate, si riuniscono a decine standosene ben separati dagli adulti. È possibile che, tra i pappagalli, il fenomeno sia poco diverso da questo, comunque giovi in una certa misura alla sopravvivenza dei giovani delle covate successive alla prima. La durata della permanenza dei giovani nella famiglia di origine è un argomento su cui non si conosce molto. Una volta, un ranger del parco nazionale di Kakum, in Ghana, mi disse di ritenere che i giovani pappagalli di Jardine si fermassero due anni con i loro genitori. Una tale valutazione, indubbiamente basata su osservazioni personali, non mi parve affatto esagerata, considerato l’interesse e l’affetto che i genitori di questa specie mostrano nei confronti dei loro figli nati in condizioni domestiche, anche quando siano già apparentemente indipendenti. Una forzata separazione dei giovani nati in voliera, da poco involati e a prima vista autonomi, può causare una forte reazione emotiva degli adulti che spesso non toccano cibo per un paio di giorni. In natura, l’improvvisa separazione di un figlio a questa età si concluderebbe, molto probabilmente, con la sua morte. Infatti, per raggiungere una completa autonomia, un pappagallo ha bisogno di imparare un gran numero di nozioni, per esempio in quale periodo dell’anno si verificano tutte le fioriture e le successive fruttificazioni, in modo di potere tempestivamente modificare il proprio itinerario di ricerca del cibo che è spesso un faticoso viaggio giornaliero di alcune decine di chilometri. Tali movimenti pendolari di lungo corso sono stati descritti in Africa per il pappagallo cenerino, il Jardine, il pappagallo Swahili e il pappagallo del Capo ed è molto probabile che si verifichino anche per i pappagalli africani di taglia minore, anche se nulla di preciso è stato descritto nel merito. Ciò che comunque è chiaro è che il periodo di apprendimento di un pappagallo è più lungo del normale periodo di maturazione sessuale e che per questo motivo la permanenza dei giovani con i genitori e con i fratelli è molto lunga rispetto alla media dei casi della classe degli uccelli.

Un lorichetto arcobaleno intento a nutrirsi del nettare dei fiori di una Erythrina in un parco australiano. Le attività di alimentazione sono spesso di tipo sociale e, in casi come questi, le singole foto scattate non riescono a testimoniare la presenza di decine di pappagalli su un singolo albero carico di fiori o di frutti. A fronte, un gruppo di lorichetti arcobaleno intenti a pascolare a terra in cerca di cibo presumibilmente di origine vegetale all’ombra di un piccolo albero.

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La ricerca del cibo è anche un momento sociale di particolare importanza in numerose specie. I movimenti pendolari giornalieri ai quali si accennava qui sopra si svolgono in gruppi anche molto consistenti. Alle isole Ssese, in Uganda, contammo un centinaio di pappagalli cenerini che rientravano dal viaggio giornaliero in cerca di cibo muovendosi in gruppetti di 2-6 individui tutti nella stessa direzione. Nel villaggio principale dell’isola, una ventina di pappagalli comparve improvvisamente su un albero in frutto e vi si trattenne per un paio d’ore spostandosi spesso da un ramo all’altro in cerca di frutti. Fermate più brevi possono essere effettuate di prima mattina su alberi in pieno fiore di Erythrina che, a quanto pare, attirano i pappagalli per il nettare che possono fornire come interessante e gradito “fuori pasto” o meglio come “succo di benvenuto” prima di iniziare la colazione del mattino. In Uganda nel febbraio 2004, ebbi l’occasione di assistere a uno spettacolo insolito e magnifico: un gruppo

di una quindicina di pappagalli cenerini della foresta di Mabira, appena usciti alle prime luci dell’alba, incontrarono sul loro itinerario aereo una grande Erythrina in fiore e subito iniziarono la discesa con una serie di planate a spirale. Sull’albero grande e maestoso sostarono non più di una ventina di minuti, assaporando quasi con scarsa convinzione il nettare dei suoi splendidi fiori rossi. Poi ripartirono alla spicciolata, probabilmente per andare in cerca di fonti di cibo più sostanziose. Questa sosta mattutina su una fonte di cibo secondaria e alternativa è probabilmente un momento sociale di notevole importanza, perché condiviso tra individui desiderosi di specialità alimentari che si possono gustare solo raramente. Qualcosa di simile deve essere anche la sosta sui banchi di argilla di varie specie di pappagalli nel Parco Nazionale di Manu, in Perù. Qui, poco dopo l’alba, confluiscono numerose ara, amazzoni farinose, pappagalli

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Gruppi di pappagalli, tra cui si riconoscono are rosse e amazzoni farinose, intente a inghiottire argilla in un parco peruviano. È probabile che questo strano comportamento sia legato alla necessità di questi uccelli di procurarsi sostanze minerali altrimenti scarse nel normale cibo di cui si nutrono, e di assorbire una sostanza come l’argilla in grado di neutralizzare sostanze tossiche contenute in certe bacche e semi di cui si nutrono.

dalla testa blu e altre specie che si dedicano insieme a ingoiare argilla. Si tratta di un’attività sociale sorprendente la cui funzione pare essere quella di dotarsi di un potente adsorbente in grado di sequestrare e di rendere innocue le sostanze tossiche che i pappagalli ingeriscono nutrendosi di alcuni semi. Ogni diversa specie e ogni gruppetto di pappagalli raccoglierà il cibo separatamente nel corso della giornata ma il rituale di purificazione preliminare è invece messo

in atto come attività comune di prima mattina. Questo rito fornisce l’occasione da parte degli uccelli di una straordinaria esibizione di colori e di forme che oggi incentiva il cosiddetto “eco-turismo” nel Parco Nazionale di Manu. Al di là delle spiegazioni biochimiche e fisiologiche dell’interessante fenomeno dell’uso dell’argilla come antidoto chimico ai veleni naturali presenti in alcuni semi normalmente consumati dai pappagalli, mi sembra che le sue implicazioni sociali potrebbero rivestire un’importanza ancora maggiore, essendo dotate di una dimensione interspecifica e di una coralità cromatica che appare magnifica ma anche misteriosa nelle sue pieghe più nascoste. La speranza è che i significati dello spettacolo che si svolge sotto gli occhi di tutti, in un modo apparentemente ovvio, possano essere opportunamente interpretati o almeno intuiti da menti acute sotto tutte le loro numerose e non sempre ovvie implicazioni.

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LA COPPIA E IL DUETTO

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a nostra idea del mondo vivente è basata sulla coppia. Non che la coppia sia un sistema sociale che possa essere considerato sempre e comunque ben funzionante tra gli esseri viventi e in effetti neppure tra gli esseri umani, tuttavia essa è l’unico avente una solida realtà storica, giuridica ed etica nella società occidentale ed è difficile immaginare una società moderna fondata su basi diverse. Sappiamo comunque che la coppia non va sempre bene, che i tradimenti sono frequenti non solo tra gli esseri umani ma anche tra gli uccelli che la coppia hanno eletto a grande maggioranza (90% delle specie) a base fondamentale del loro sistema socio-sessuale. È dunque lecito chiedersi come funzioni la coppia tra i pappagalli, in primo luogo se essa sia considerata un puro e semplice

sistema sociale passibile di trasgressioni, come accade alla maggioranza degli uccelli canori, oppure un modus vivendi che non ammette deroghe possibili, come accade a poche specie di uccelli “romantici” tra i quali i più noti sono gli albatri, i pinguini e le averle di macchia africane della famiglia Malaconotidae. Ci chiediamo, cioè, se la coppia dei pappagalli sia rilassata come quella di molti altri uccelli oppure stretta e rigorosa come quella di pochi meravigliosi uccelli romantici. Anzitutto dovremo spiegare che cosa succede nel primo e, rispettivamente, nel secondo caso, e dovremo quindi citare gli ormai classici studi sulla balia nera (un piccolo pigliamosche migratore di colore bianco e nero) condotti in Europa centrale e settentrionale nella seconda metà del Ventesimo secolo.

La maggior parte delle specie dei pappagalli si colloca nell’ambito della monogamia stretta ed è dotata di mezzi vocali per mantenere solidale la coppia. Questa solidarietà è spesso vista dai naturalisti che si occupano di questo argomento come la causa ultima della straordinaria capacità di comunicazione vocale dei pappagalli. Qui è rappresentata una coppia di Jandaia,

uno dei conuri più graditi agli allevatori per il loro piumaggio largamente dorato. Questi uccelli sono dotati di una voce potente e spesso fastidiosa per gli esseri umani, che viene usata probabilmente come richiamo di contatto a distanza, ma emettono anche suoni più bassi e complessi, adatti a un tipo più raffinato di comunicazione.

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Le balie sono uccelli territoriali. I maschi prendono possesso di una buona cassetta-nido piazzata ad hoc dai ricercatori in un pezzo di bosco abbastanza ricco di insetti e iniziano a corteggiare le femmine finché una non si lascia convincere ad affrontare l’avventura della perpetuazione della specie. Dopo l’accoppiamento, la femmina depone le uova e inizia a covarle mentre il maschio si dà da fare a cercare gli insetti per nutrire dapprima la sola compagna impegnata a covare e, dopo un paio di settimane, anche gli immancabili pulcini che sgusciano dall’uovo. Tutto appare idilliaco, ma alcuni maschi, in percentuale variabile a seconda delle circostanze da un modesto 3% fino a un inquietante 60%, andando in giro in cerca di insetti incontrano un certo numero di altre femmine rimaste ancora singole e si fanno venire strane idee: occupano un’altra cassetta nido abbastanza lontana dalla prima, convincono una seconda femmina a mettere su famiglia con loro e vengono a trovarsi impelagati in un caso di bigamia. L’aspetto peggiore di tutta la questione è quello economico: nessun maschio di balia nera sarà mai in grado di procurare insetti a sufficienza per due famiglie e comunque i bigami sanno benissimo questo particolare e non ci tentano nemmeno. Normalmente, la seconda femmina dovrà cavarsela da sola, come qualsiasi amante segreta di questo mondo, in tutta la lunga e faticosa trafila della cova e dell’allevamento dei pulcini. Le difficoltà di una tale situazione sono talmente grandi da lasciare poche speranze di riuscire a svezzare con successo anche un solo pulcino, a meno che non intervenga un provvidenziale aiuto esterno. Questo può essere soltanto rappresentato da un altro maschio che, nelle lunghe ore di solitudine della madre sedotta e abbandonata, inizi a corteggiarla a sua volta ottenendo i suoi favori, magari anche prima che la deposizione delle uova sia stata completata. La stessa cosa potrebbe capitare anche alla prima femmina nel caso in cui le assenze del maschio bigamo divenissero troppo lunghe e comportassero la conseguenza di una certa scarsità di fornitura di insetti. Il risultato pratico di tutto questo affaccendamento è un certo numero di paternità inattese: non tutti i pulcini del secondo nido sono necessariamente figli del maschio bigamo e talvolta neppure tutti quelli del primo. Il totale dei figli di un maschio bigamo ben difficilmente sarà doppio rispetto a quelli di un maschio monogamo ma potrà essere alquanto maggiore di quelli che si avrebbero in una singola covata oppure non esserlo affatto, ancora una volta a seconda delle circostanze. Come spesso accade nella vita, un imbroglio per guadagnare di più si risolve

quindi in una enorme complicazione della vicenda e in un probabile magro risultato. Il caso della balia nera non è eccezionale e molti altri studi effettuati nello stesso periodo hanno chiarito che la bigamia o almeno l’occasionale “copulazione extra-coppia” senza ulteriori implicazioni sociali sono molto frequenti tra gli uccelli. Esistono però anche casi di coppie fedeli a tutta prova. Abbiamo citato i pinguini e gli albatri che, per stabilire un codice inviolabile di coppia, mettono a punto a poco a poco una danza nuziale perfetta in ogni particolare dell’esecuzione, danza che è l’unica chiave possibile per potere raggiungere la motivazione necessaria per un accoppiamento. Tra le averle di macchia africane, invece, il codice è un’esibizione canora eseguita a due voci, un duetto.

Una balia nera, uccello canoro europeo divenuto ben noto per il suo sistema socio-sessuale altamente flessibile e simile a quello umano in una società priva di forti valori morali.

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Per eseguire un duetto esistono due possibilità: la prima è quella di cantare all’unisono con l’effetto di un mini-coro, la seconda è quella di alternarsi nelle diverse parti della canzone ricoprendo man mano ruoli canori diversi. L’effetto finale di un duetto di questo secondo tipo eseguito nel modo migliore è quello di un’unica voce particolarmente ricca e complessa. L’esecuzione di questi duetti non è affatto cosa da poco e le prove necessarie per eseguirlo come si deve possono protrarsi per mesi o addirittura per anni, proprio come l’esecuzione della danza nuziale degli albatri o dei pinguini. I duetti delle averle di macchia africane sono particolarmente affascinanti perché danno l’idea di suoni misteriosi della giungla tropicale. Sono stati studiati nel dettaglio da un gruppo di etologi tedeschi e sono stati da loro interpretati come il mezzo fondamentale che questi uccelli usano

per mantenere una stretta solidarietà che, tra gli altri effetti, comporta un’assoluta fedeltà reciproca. La difesa del territorio è effettuata non dal singolo maschio ma dalla coppia per mezzo dell’esecuzione di un duetto che, in questo caso, ha una valenza di minaccia o almeno di dissuasione nei confronti dei terzi: la coppia delle averle di macchia informa gli intrusi non soltanto che il territorio è occupato ma anche che lo è da una coppia affiatata che dovrà essere eventualmente fronteggiata come una singola unità di combattimento, se al combattimento si dovesse arrivare. Alcuni recenti studi sui pappagalli hanno chiarito che anche questi uccelli, in diversi casi, effettuano duetti piuttosto complessi, che vengono messi a punto in tempi abbastanza lunghi. Questo non era stato notato in precedenza per numerosi motivi: in primo luogo, perché i suoni emessi dai pappagalli, in genere non sono dolci e

Averle di macchia africana, uccelli studiati per il loro peculiare modo di utilizzo del duetto.

Nella pagina a fronte, cacatua di Leadbeater, una delle più rare specie del gruppo di cacatua bianchi e, per molti, anche una delle più belle. Qui se ne ammira una coppia da una famosa stampa di Gould.

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modulati come quelli delle averle di macchia ma piuttosto aspri e non molto gradevoli all’orecchio. Pertanto, per un ascoltatore umano, è piuttosto difficile capire se chi li emette sia un solo individuo, una coppia o un gruppo. In secondo luogo questa situazione è esasperata dal fatto che i pappagalli vivono spesso in gruppo ed è molto difficile isolare suoni singoli dal frastuono generale che il gruppo tende a creare intorno a sé; in terzo luogo bisogna anche ammettere che nessuno aveva ipotizzato che, dietro quel baccano informe, si potesse nascondere qualcosa di tanto delicato e tanto specializzato quanto un duetto amoroso. Fatto sta che abbastanza recentemente, tra i pappagalli del nuovo mondo sono stati registrati duetti in primo luogo nel pappagallino tovi e poi anche in altre specie, mentre tra quelli africani si sono osservati e anche registrati e descritti duetti almeno nei casi del pappagallo di Jardine e del pappagallo cenerino. Le osservazioni su quest’ultima specie sono riassunte dall’articolo di Jean Pierre Gautier, Alick Cruickshank e Claude Chappuis pubblicato sulla rivista della British ornithologist’s Union all’inizio del 1993. I suoi autori, avevano avuto la fortuna di trovarsi nel posto giusto al momento giusto, cioè a Botsima, nel Parco Nazionale di Salonga (Zaire) nel pomeriggio del 21 agosto 1991, mentre una coppia di pappagalli cenerini si faceva sentire in un duetto da un albero isolato sulla riva del fiume. I tre avevano quindi registrato i suoni emessi per un totale di 4 minuti e quindi li avevano sottoposti a un’analisi spettrografica: oltre a 43 richiami tipici della specie, vi avevano trovato ben 46 imitazioni di altre specie! Queste consistevano talvolta nella semplice riproduzione di una singola nota o, in altri casi, di un intero motivo che poteva venire eseguito come una perfetta replica del modello oppure venire alterato. Gli animali imitati erano perlopiù uccelli come il tordo codirosso, l’averla di macchia di Luehder, il rigogolo testanera, il barbuto dal naso setoloso, ma era stato identificato anche un suono di un grosso pipistrello della frutta. In tutto, l’analisi dimostrava chiaramente l’imitazione di dieci specie di animali. Come mai – si chiedevano ancora Gautier e gli altri – un fenomeno tanto evidente e importante era stato ignorato e persino negato per anni dagli “esperti”? In primo luogo, si doveva riconoscerlo, a causa di preconcetti; in secondo luogo, anche per la forma e per il contesto delle imitazioni, spesso emesse insieme a rumorosi suoni di molti altri pappagalli in gruppi di decine o di centinaia di individui e non certo facili da identificare senza disporre di idonee registrazioni di confronto. Infine, per un terzo motivo: forse, l’imitazione veniva praticata soprattutto da

coppie nel contesto di particolari duetti di corteggiamento e pertanto era riscontrabile soltanto in circostanze rare o almeno non facili da verificare. Per anni, gli esperti avevano sostenuto la tesi per la verità un po’ bizzarra che i pappagalli cenerini effettuassero le loro strepitose imitazioni di suoni solo in cattività. Ora, con questa breve ma clamorosa registrazione, due ornitologi inglesi e un francese dimostravano senza ombra di dubbio che il fenomeno si verificava anche in natura. Quei quattro fatidici minuti di registrazione ponevano i pappagalli in una nuova e ben più interessante prospettiva: i duetti, che venivano probabilmente eseguiti per mantenere unite le coppie, in effetti venivano anche

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eseguiti da ciascuna coppia personalizzando l’esecuzione per mezzo dell’introduzione di nuovi suoni copiati da altre specie. Questo risultato intrigante meritava di essere approfondito e anche di essere opportunamente meditato e interpretato nei termini dell’informazione esistente. Finora, in effetti, un tale approfondimento non è stato ancora effettuato nella misura in cui esso era necessario, scientificamente parlando, ragione per cui è tuttora giocoforza interpretare i pochi fatti noti con una serie di diverse ipotesi ragionevoli, ma non ancora interamente provate, riguardanti da un lato il sistema socio-sessuale dei pappagalli, dall’altro la natura delle loro singolari vocalizzazioni personalizzate. Vediamo dunque le due cose separatamente, una dopo l’altra. Del sistema socio-sessuale di molti pappagalli possiamo dire con buona sicurezza che è una monogamia stretta, garantita dall’esecuzione di duetti. Di molti, ma non di tutti perché, certamente, i pappagalli sono un intero ordine di uccelli con molta diversità di forme e di adattamenti ed è virtualmente impossibile che in tali condizioni non si instauri anche una certa diversità di comportamenti socio-sessuali. Lasciando da parte i casi estremi come quello del kea che è poligamo e del kakapo della Nuova Zelanda che ha adottato addirittura la poliginia da dominanza del maschio, resta il caso di molti pappagalli a vita e a nidificazione coloniale e non particolarmente dotati dal punto di vista vocale, per esempio dei piccoli pappagalli cosiddetti inseparabili africani, un gruppo che comprende nove specie molte delle quali nidificano in colonia su un singolo albero ricco di cavità idonee allo scopo. Questi pappagallini, come si è detto, sono monogami ma non con modalità tanto rigorose e neppure tanto inseparabili quanto vorrebbe implicare il loro nome volgare. In effetti, i ricercatori che hanno studiato l’inseparabile di Fischer in natura hanno notato, immagino con stupore, che i maschi non sono poi tanto fedeli e che, mentre le loro compagne sono intente alla cova, approfittano ben volentieri della vicinanza del nido di altre famiglie per insidiarne le femmine, anche quando

sono già impegnate con altri, non appena queste escono per andare a cercare cibo o materiale da costruzione. Recenti ricerche sull’ecletto della Nuova Guinea e della penisola di York, in Australia, hanno messo in luce uno strano fenomeno di competizione di numerosi maschi che offrono cibo (e certamente propongono sesso) a una femmina in cova o pronta a covare. Le relazioni sociali all’interno di questa specie non sono ancora ben chiarite ma pare certo che non si tratti di una monogamia stretta e neppure di una monogamia tradizionale, come peraltro si poteva ben sospettare dal dimorfismo estremo e anche di segno opposto di questa specie (le femmine di ecletto sono prevalentemente rosse, i maschi prevalentemente verde brillante mentre in genere, nelle specie fortemente

Nella pagina precedente, coppia di pappagallini tovi, una delle prime specie su cui è stato accertata l’esecuzione di semplici duetti che contribuiscono a tenere unite le coppie. Inseparabili di Fischer vicini al loro nido in un tronco di un albero. A dispetto del loro nome, gli studiosi hanno riscontrato la tendenza degli individui maschi di Agapornis a insidiare le altre femmine mentre le compagne sono intente alla cova.

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Particolare di pappagallo cenerino, il più famoso tra i pappagalli africani non solo per il suo piumaggio insolito ed elegante ma soprattutto per le sue eccezionali capacità di imitazione. Nella pagina precedente, ancora da John Gould, in primo piano un ecletto maschio e, sullo sfondo, una coppia di ecletti in volo nuziale. Si noti l’insolito colore rosso della femmina e verde mela del maschio che fanno sospettare un insolito sistema socio sessuale.

dimorfiche come questa, sono i soli maschi a presentare colori brillanti). Dunque, la monogamia stretta non riguarda tutti i pappagalli e probabilmente non è molto diffusa tra le specie che nidificano in colonia. Non si deve dimenticare, infatti, che non tutte le specie sociali sono anche a nidificazione coloniale. Per esempio, i pappagalli cenerini in

Africa e le amazzoni nell’America latina vivono in gruppo nel corso di tutto l’anno ma, anche nell’ambito dei gruppi, i componenti di ciascuna coppia si mantengono quasi sempre a stretto contatto l’uno con l’altro e sono quindi facili da identificare. Inoltre, al momento della nidificazione, ciascuna coppia si sceglie un sito idoneo e si separa in via temporanea dal gruppo di cui fa parte per condurre un tipo di vita essenzialmente nucleare e familiare. Alcuni ricercatori sospettano addirittura che, mentre la femmina è intenta alla cova o all’allevamento dei pulcini, il maschio si ricongiunga quotidianamente al gruppo di origine e con esso vada a cercare cibo per molte ore nel corso di una lunga giornata con viaggi lunghi anche molte decine di chilometri. Questo modo di procedere potrebbe essere utile sia per minimizzare i pericoli sia per raccogliere cibo

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Coppia di parrocchetti monaci, che ha nidificato nel parco Terramaini di Cagliari. A lato, i tre disegni raffigurano dei pappagallini inseparabili dal collare giallo intenti a un mutuo accarezzamento, noto agli scienziati come attività di “preening”.

con maggiore successo dato che il gruppo sembra avere un suo programma annuale di visite a luoghi diversi dove si trovano alberi diversi che fruttificano in determinati periodi dell’anno e una tale complessa cultura di raccolta alimentare quasi certamente è patrimonio di un intero gruppo più che di singoli individui, non diversamente da quanto accade nelle società umane. In tal modo, la funzione del duetto potrebbe essere quella di mantenere una rigorosa monogamia anche in situazioni difficili in cui i due componenti della coppia rimangono separati l’uno dall’altro per molte ore ogni giorno. In effetti, è stato osservato che, tra i pappagalli cenerini, i duetti vengono spesso eseguiti al momento del rientro serale del maschio, come se i due componenti della coppia dovessero compensare i possibili effetti di una lunga assenza con un rito idoneo allo scopo.

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DUETTO E LINGUAGGIO

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a fama dei pappagalli non risiede nel fatto che essi comunichino tra loro in modi raffinati ovvero nel fatto che formino coppie stabili e solidali ma soprattutto nel fatto che alcune specie sono in grado di imitare la voce umana con una sorprendente accuratezza. Si dice, allora, che questi pappagalli “parlano” anche se nessuno ritiene effettivamente di potere imbastire un dialogo con loro. Ripetere senza capire, in fin dei conti, non è parlare, è semplicemente imitare. Nella tradizione umanistica, la possibilità che gli animali possano comunicare tra loro per mezzo di un linguaggio viene esclusa con decisione e le persone che eventualmente sostengano una simile tesi sono considerate infantili, antiscientifiche e persino psichicamente poco equilibrate. “Il linguaggio è un fenomeno tipico ed esclusivo della nostra specie e il possederlo ci

Amazzone dalla fronte blu colta nell’atto di vocalizzare. Si noti il piumaggio alquanto sollevato e la coda distesa a ventaglio, evidenti segni di eccitazione.

differenzia da tutti gli altri animali” scriveva Lennenberg nel 1967. Tuttavia, soltanto dieci anni dopo, nel 1977, Rumbauh osava scrivere: “Il linguaggio non deve essere considerato come qualcosa di qualitativamente unico ma derivante dalla graduale evoluzione di sistemi di comunicazione meno sofisticati”. Certo, anche i più ostinati negazionisti devono concedere che alcuni animali siano molto intelligenti e forse anche capaci di comunicare tra loro per mezzo di semplici suoni, ma vi diranno che un linguaggio è un’altra cosa: esso dovrebbe essere dotato non solo di vocaboli ma anche di una grammatica e di una sintassi. Per altro verso, vari studiosi, tra cui per esempio Hockett e Altman (1968), hanno anche fatto notare che un vero linguaggio è dotato di alcune semplici caratteristiche logiche: arbitrarietà, semanticità, ricorsività. Vediamo che cosa significano tutti questi diversi termini. In uno dei più noti dizionari della lingua italiana, il linguaggio viene definito come la “facoltà espressiva dell’uomo, messa in atto per mezzo di suoni articolati, organizzati in parole atte a individuare immagini e a gestire rapporti secondo convenzioni implicite, variabili nel tempo e nello spazio”. In questo quadro, arbitrarietà significa che non esiste alcuna connessione naturale tra i simboli del linguaggio e le entità reali che essi rappresentano. Semanticità è l’associazione di suoni a elementi del mondo circostante con l’asserzione di relazioni biunivoche tra di essi. Infine, ricorsività è la proprietà più importante della struttura stessa del linguaggio che, a partire da elementi più semplici e brevi, produce via via elementi sempre più complessi: fonemi sillabe parole frasi frasi complesse. Per dimostrare l’eventuale possibilità di attribuire a un pappagallo (o a un altro qualsiasi animale) la capacità di gestire un linguaggio era necessario che qualcuno dimostrasse che l’animale era in grado di usare in pratica questi tre concetti, cioè che poteva imparare ad associare in modo arbitrario le parole agli oggetti e a creare elementi più complessi a partire da elementi più semplici. All’inizio degli anni Ottanta toccò a Irene Pepperberg, un’etologa americana che, a quel tempo, lavorava alla Purdue University, iniziare a pubblicare i risultati di una serie di interessanti ricerche che dimostravano finalmente che i pappagalli erano in grado di fare in pratica tutte le cose suddette. La Pepperberg era riuscita a istruire un pappagallo cenerino che aveva chiamato Alex dopo averlo acquistato in un negozio di Chicago all’età di un anno, quando ancora non conosceva nessuna parola umana. Per istruire Alex,

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la Pepperberg aveva usato un metodo già messo a punto dall’etologo tedesco Dietmar Todt: in presenza del pappagallo, si rivolgeva a un secondo interlocutore umano e gli chiedeva oppure gli offriva un oggetto pronunciandone chiaramente la corrispondente parola. Poiché i pappagalli non gradiscono per nulla essere tenuti in disparte, ben presto Alex incominciò a fare di tutto per farsi notare arrivando a ripetere i nomi dei diversi oggetti. A questo punto la ricercatrice incominciò a premiarlo non già con una nocciolina o qualsiasi altro genere di cibo bensì con l’oggetto stesso che il pappagallo aveva nominato. In questo modo, Alex imparò ben presto a chiamare con il loro nome numerosi oggetti, noci, mela, banana, sughero, chiavi e via dicendo. Dopo 26 mesi di lezioni, Alex padroneggiava senza problemi i nomi e i concetti di nove oggetti e di tre colori (rosso, verde e blu) e inoltre era in grado di usare correttamente la parola “no” e di indicare anche la forma degli oggetti. Inoltre, imparò anche l’uso della parola want (voglio) per chiedere qualcosa, imparò anche a contare fino a sei

Coppia di amazzone farinosa del Guatemala appollaiata su un ramo, intenta in mutui accarezzamenti (mutual preening).

nonché a esprimere i concetti di uguale e di diverso. Per esempio, quando gli veniva mostrato un quadrato di legno rosso e un altro verde e gli si chiedeva che differenza c’era, Alex rispondeva: “colore”. Inoltre, Alex riusciva anche a tradurre in parole i suoi sentimenti. Una volta, dopo aver chiesto alla sua istruttrice di accarezzargli la testa, essendo stato subito accontentato, si voltò a guardarla dicendo: “gentile”. Un’altra volta, essendosi stancato della lezione, incominciò a rispondere “no” a qualsiasi richiesta e infine sbottò con un “no, me ne vado” incamminandosi con la sua tipica andatura dondolante lungo il posatoio. Dunque, i lavori di Irene Pepperberg avevano già chiarito che un pappagallo cenerino poteva essere in grado di esprimersi associando a un certo oggetto una determinata parola in lingua inglese e che l’intero processo poteva essere realizzato

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Il famoso Alex, il primo dei pappagalli cenerini di Irene Pepperberg, intento a risolvere un problema di forme, colori e quantità. La difficile scommessa di Irene Pepperberg è stata indubbiamente vinta ma per gli esseri umani sembra particolarmente difficile il riconoscimento ufficiale a un uccello di capacità intellettive fino a poco tempo fa insospettabili.

utilizzando prima i fonemi e poi le sillabe che il pappagallo già conosceva o che andava apprendendo. La sensazione era che Alex potesse padroneggiare il linguaggio umano così come chiunque può padroneggiare una lingua straniera una volta che ne ha imparato le regole e un sufficiente numero di vocaboli. Ora è anche logico pensare che, se un pappagallo cenerino è in grado di imparare in qualche misura una lingua umana, nella sua vita di ogni giorno in natura dovrebbe, probabilmente, usare le proprie capacità linguistiche per definire gli oggetti con parole sue e per imbastire semplici conversazioni con i suoi conspecifici. In quel periodo – si era all’inizio degli anni Novanta – il mio principale interesse divenne dun-

que la decifrazione della “lingua” dei pappagalli. Di che cosa parlavano e che razza di parole usavano? Come si poteva fare a tradurre i loro discorsi? In quello stesso periodo, però, erano ancora molti coloro che negavano che i pappagalli praticassero le loro imitazioni anche in natura e non soltanto in cattività, quale singolare artefatto di non so che cosa. A me personalmente questi negazionisti apparivano completamente ottusi dato che pensavo che una capacità complessa come quella di imitare fedelmente i suoni non poteva assolutamente essere una bizzarra caratteristica priva di uno scopo di alcuni buffi uccelli ma doveva necessariamente riflettere una dotazione intellettuale a carattere adattativo. In altre parole, la capacità dei pappagalli cenerini di ripetere parole doveva per forza servire per una tipologia di comunicazione intraspecifica alquanto simile alla nostra. Oltre alla storia del pappagallo cenerino Alex c’è n’è ancora un’altra di notevole interesse da riferire, seppure in questo caso si tratti di semplice cronaca e non di espe-

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rimenti scientifici rigorosamente condotti e controllati. Il caso è quello del famoso pappagallino ondulato inglese Sparkie Williams, vissuto tra il 1954 e il 1962, che pronunciava correttamente 531 parole componendole in ben 383 frasi usate perfettamente a proposito. Nel 1958 vinse una gara mondiale di uccelli parlanti entrando nel Guinness Book of Records e procurando fama e danaro alla sua proprietaria, la signora Mattie Williams di Bournemouth che lo lanciò in una vera e propria carriera da star facendolo viaggiare per mezzo mondo per farlo esibire alla radio e alla televisione. A otto anni di età, il pappagallino (forse stremato da tutto questo super-lavoro) rivolse alla signora Mattie la sue ultime parole, “I love you, mama” e cadde morto dal suo posatoio. Pur non conoscendo tutti i particolari di questa clamorosa storia, mi sembra che essa contribuisca a provare la tesi che i pappagalli sanno bene ciò che dicono quando parlano. L’idea che mi venne in mente a questo punto fu che il linguaggio dei pappagalli (che io comunque consideravo

Gruppo di pappagalli ondulati, specie a cui apparteneva Sparkie Williams, il famoso pappagallino degli anni Cinquanta, entrato nel Guinnes dei primati per la sua capacità di conoscere e riprodurre parole umane.

come un dato di fatto scontato) si potesse essere sviluppato soprattutto nel contesto dei duetti di coppie affiatate che, innanzi tutto, mettono a punto una particolare canzone di coppia e la personalizzano con l’inclusione di suoni particolari che, all’inizio, non hanno alcun senso ma che poi potrebbero venire estratti dal contesto per simbolizzare qualcosa di particolare. In quel momento non disponevo di pappagalli cenerini e perciò decisi di studiare la questione in primo luogo su alcune coppie di pappagalli di Jardine in cattività e poi su alcune coppie di pappagalli dal ventre arancio che ebbi la fortuna di potere osservare e registrare nel parco nazionale del Tarangire, in Tanzania. Tutto il lavoro venne svolto poco dopo l’uscita dell’articolo di

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Cruickshank e collaboratori. Iniziai ad ascoltare e a registrare i duetti di una coppia profondamente legata di pappagalli di Jardine ospitati nella serra che era stata costruita per noi grazie al rettore dell’Università degli Studi di Milano, il professor Paolo Mantegazza. In generale, i duetti possono essere di due tipi: antifonali in cui il maschio e la femmina contribuiscono in modo

distinto, alternando un proprio motivo a quello del partner, alla creazione di una canzone determinata, simultanei in cui il maschio e la femmina cantano semplicemente all’unisono. Nel caso del pappagallo di Jardine il duetto era chiaramente antifonale. Bastava avvicinarsi alla voliera per suscitare nei due partner della coppia una reazione decisa: i pappagalli si ponevano uno di fronte all’altro ed eseguivano la loro vocalizzazione che durava poco più di cinque secondi ed era accompagnata da una parata con allargamento delle ali e una leggera danza. Il significato pareva essere una dimostrazione di solidarietà e di coordinamento che, a mio parere, poteva servire molto bene non solo per rinsaldare un legame di coppia ma anche per intimidire un eventuale intruso. Era come se i due partner dicessero: “Noi siamo in due e siamo molto bene organizzati, non ti conviene sfidarci.” Mi ritornava alla mente il duetto dei pappagalli cenerini in Congo e la scoperta dei numerosi suoni di altre specie in esso contenuti. Quello, però, era un duetto di una specie molto più evoluta dal punto di vista della capacità vocale. Forse si cominciava con una vocalizzazione e un’esibizione semplice, del tipo di quella dei Jardine, e poi si cercava di personalizzarla in modi diversi. Gli stessi pappagalli di Jardine dovevano praticare una simile personalizzazione, ma lo facevano in modi più semplici, introducendo, a un certo punto dell’esibizione, una certa sequenza di sillabe diversa da quella di tutte le altre coppie. Nei cenerini le cose procedevano oltre e la personalizzazione implicava l’introduzione di suoni complessi copiati pari pari da altre specie. Mi chiesi se poteva essere possibile individuare qualcosa di intermedio, un duetto breve costruito con parole e sillabe già usate in altri contesti per scopi determinati, più complicato di quello del Jardine ma più semplice di quello del cenerino. Esisteva o no un simile duetto? Non so se esisteva, ma forse era quello del pappagallo dal ventre arancio. Nel corso di un viaggio nel Tre pappagalli dal ventre arancio in una voliera nel Parco Faunistico delle Cornelle, in provincia di Bergamo. Questa specie è stata una delle prime della quale siano stati studiati in un qualche dettaglio i comportamenti sociali e le vocalizzazioni associate con l’attività riproduttiva. La piccola spedizione dell’università di Milano ebbe una particolare fortuna dato che trovò i pappagalli intenti alla nidificazione e fu anche in grado di notare le attività sociali comuni alle diverse coppie. A sinistra, uno schizzo del pappagallo dal ventre arancio, che costituisce la copertina di un libro che racconta le vicende delle ricerche scientifiche da me svolte in Africa sulla specie suddetta.

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Tarangire (Tanzania) nel 1993, ebbi la fortuna di potere registrare le vocalizzazioni del maschio e della femmina e, grazie all’aiuto determinante di uno dei miei studenti, Vincenzo Venuto, anche di riuscire a tradurre il senso delle frasi che venivano pronunciata dai due partner. Non era molto difficile perché gli elementi che andavano a costruire la frase erano pochi e i contesti in cui essi venivano emessi da soli erano molto chiari. Riuscimmo, quindi, a decodificare (a) un suono breve e secco di attenzione A che veniva emesso ogni volta che un pappagallo voleva mantenere il contatto con il partner, (b) un suono più lungo e vario B che definimmo “scrosciante” perché ricordava vagamente il rumore dell’acqua corrente; questo veniva emesso in presenza del partner ed era accompagnato da una parata con apertura delle ali, (c) un suono di “firma” Cn, diverso per ciascun individuo, che veniva emesso in risposta a un suono di attenzione e talvolta associato con un altro suono di questo genere. Pertanto, quando un pappagallo dal ventre arancio emetteva un suono A e il suo partner rispondeva con A, B, C, il dialogo si poteva tradurre così: Pappagallo 1: “Ci sei?” Pappagallo 2: “Ci sono, mia cara, sono proprio io.” Una sera, una femmina di ventre arancio era in attesa del rientro del maschio e appariva veramente stanca di aspettare. Di tanto in tanto compariva sulla cavità del nido e ripeteva la vocalizzazione di attenzione alzando via via sempre di più il volume della voce. A un certo punto, oltre al volume, incominciò a cambiare anche il tono strascicando il suono finale in una coda che si poteva soltanto definire rabbiosa o disperata. Era come se dicesse: “Ma insomma, arrivi o non arrivi? È questa l’ora?” Quando, infine, il maschio arrivò ed emise il suo suono di attenzione come se nulla fosse accaduto, la femmina non lo degnò di una risposta. Fu necessario che anche lui alzasse il volume e poi il tono perché il dialogo interrotto venisse ripreso. Al nostro rientro a Milano, registrammo i suoni di un’intera famiglia di pappagalli di Meyer in cattività. Erano nati quattro pulcini, cosicché, per aumentare le probabilità che fossero svezzati tutti con successo, ne prelevammo due per allevarli artificialmente. Poi incominciammo a osservare le interazioni familiari con i due pulcini rimanenti ai genitori. Fu un’esperienza davvero interessante: quando la femmina che stava nel nido con due pulcini sentiva il rumore del maschio che si apprestava ad entrare, emetteva un breve ringhio al quale il maschio rispondeva con un suono liquido. In tal modo rassicurata, la femmina rispondeva con un altro breve

suono simile a quello del maschio e questo poteva entrare senza problemi. I pulcini allevati dai genitori, al momento di abbandonare il nido, erano già in grado di emettere diversi suoni parzialmente organizzati mentre quelli allevati da noi, in un ambiente acustico privo di suoni della propria specie, eccettuati i propri di richiesta del cibo, erano notevolmente disorganizzati e arretrati sotto questo punto di vista rispetto ai suoni emessi dai fratelli. Dunque, lo sviluppo del linguaggio dei pappagalli sembra essere molto simile, da un lato, a quello umano, dall’altro a quello del canto negli uccelli canori. I risultati appaiono infatti piuttosto simili a quelli classici di Marler sul fringuello europeo che rappresentano oggi un classico che ha oltre mezzo secolo. Nel complesso, dunque, esistono numerosi indizi e anche qualche prova che i pappagalli padroneggiano una sorta di semplice linguaggio che si origina come arricchimento estetico su una canzone di amore esclusiva (il duetto) e poi assume una sua autonomia semantica perlomeno nei confronti del partner. È possibile che il linguaggio dei pappagalli abbia due livelli di interpretazione, uno più generale, fatto di suoni di significato “comune” (contatto, allarme, espressione erotica, firma etc.) per tutti i conspecifici e uno più particolare, fatto di suoni copiati nell’ambiente, inclusi nel duetto ed eventualmente investiti di un particolare significato che risulta comprensibile soltanto al partner. Questa è attualmente soltanto un’ipotesi ma è un’ipotesi che spiega interamen-

Coppia di fringuelli. Questa specie fu oggetto, a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, di accurati studi sul ruolo dei fattori genetici e di quelli ambientali nello sviluppo delle vocalizzazioni, studi che ancora oggi costituiscono una solida base sulla quale costruire le moderne teorie sulla comunicazione acustica degli uccelli.

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Coppia di pappagalli di Rueppell fotografati nel Parco di Etosha, Namibia. Questa specie appartiene al gruppo dei pappagalli africani le cui vocalizzazioni comprendono, con ogni probabilità, duetti eseguiti da ciascuna coppia inserendo suoni specifici appresi nell’ambiente.

te come possano i pappagalli apprendere parole umane e utilizzarle per indicare oggetti determinati. Il nostro Theo, un pappagallo cenerino nato a Milano e addestrato come Alex, è in grado di chiedere oggetti commestibili con parole come “pane”, “acqua”, “uva” etc. e inoltre è in grado di comporre musica dal mio punto di vista abbastanza pregevole grazie al fatto di avere appreso la

scala musicale do-re-mi-fa-sol-la-si che, in natura, non fa assolutamente parte del repertorio della specie (vengono soltanto emessi lunghi fischi monotonali). Questa origine del linguaggio è, molto probabilmente, del tutto diversa da quella umana che invece, a mio modesto parere, nasce come esigenza di spiegazione tecnologica. Poiché i pappagalli sono praticamente del tutto privi di tecnologia, si può immaginare che, nel loro caso, il linguaggio sorga come esigenza artistica in un rapporto di coppia: un’origine invidiabile che dovremmo ammirare e rispettare e non irridere ritenendo erroneamente il suo risultato come una pura e semplice capacità di ripetere suoni di cui l’autore non comprenderebbe il significato.

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on tutti i pappagalli hanno un sistema di corteggiamento avanzato e complesso come quelli che eseguono duetti espandibili e personalizzabili con suoni nuovi. È possibile che un certo numero di specie si limiti a eseguire duetti di tipo meno complesso, per esempio è probabile che in questo tipo di duetti semplici si inquadrino quelli noti da tempo dei pappagallini neotropicali Brotogeris. Inoltre, la maggioranza dei pappagalli non esegue affatto duetti ma esegue corteggiamenti analoghi a quelli di tutti gli altri uccelli, piuttosto spettacolari con parate che mettono in evidenza la prestanza fisica del maschio o le sue notevoli colorazioni nascoste sotto le ali o altrove. Le parate sono la premessa della formazione di coppie che, in genere, sono durature nel tempo e spesso assolutamente fedeli. Si sa, tuttavia, che alcuni pappagallini del genere Forpus cambiano partner anno dopo anno, come del resto fanno molti altri uccelli, e si sospetta che questo fenomeno sia più diffuso di quanto non si creda. In genere, però, i pappagalli sono strettamente monogami, eccettuato il kakapo che ha un sistema di lek e il kea che è poligamo, con la possibilità per un maschio di controllare anche cinque femmine. Rispetto agli altri uccelli, i pappagalli non sono molto territoriali e i motivi di questa situazione saranno analizzati nel prossimo capitolo. Tutti gli uccelli si riproducono deponendo uova e quasi tutti le covano, in un modo o nell’altro, col calore del corpo. L’eccezione è rappresentata dai tacchini di boscaglia dell’Australasia che costruiscono un grosso tumulo di foglie che funge da incubatrice e vi affidano le loro uova, pur effettuando un’accurata manutenzione per favorire la fermentazione delle foglie morte. Tra tutti gli altri uccelli, alcuni costruiscono nidi esterni di varie forme e consistenze, altri usano come nido cavità naturali di alberi, rocce, banchi di sabbia o terra. Tra questi ultimi si annoverano tutti i pappagalli, esclusa una sola specie, il pappagallo monaco, che invece costruisce un grande nido collettivo fatto di stecchi e di ramoscelli. Questa particolare situazione merita un chiarimento sulle circostanze che la determinano. Il pappagallo monaco è diffuso in una vasta zona dell’Argentina in cui l’habitat dominante è quello delle pampas, praterie sconfinate in cui gli alberi costituiscono una vera e propria rarità e le cavità sono quasi inesistenti. Il monaco raccoglie allora un’enorme quantità di materiale legnoso arbustivo e predispone all’interno dell’ammasso varie gallerie che terminano in diverse camere di incubazione.

La testa di una coppia di ara giacinto fa capolino dal foro di un grande albero cavo. Tutti i pappagalli si riproducono usando un nido chiuso, la grande maggioranza usa cavità di alberi, mentre poche specie usano anche crepacci nelle rocce o buchi nei muri.

Ne risulta un enorme nido coloniale collocato su uno dei rari alberi, in grado di ospitare decine di coppie. La prontezza della risposta evolutiva del pappagallo monaco all’estrema scarsità di alberi deriva peraltro, con tutta evidenza, da un pre-adattamento dei suoi antenati. Di questi non sappiamo nulla ma conosciamo bene i suoi più stretti parenti oggi viventi che sono i pappagallini del genere Bolborhynchus. Questi costruiscono ancora un nido in una cavità ma, a differenza di molti altri pappagalli che non fanno nulla per “arredare” il sito scelto, i pappagallini in questione affastellano all’in-

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terno una grande quantità di materiale e vi organizzano una galleria e una camera di incubazione. È facile pensare, quindi, che gli antenati del monaco facessero a loro volta qualcosa del genere e che, in mancanza degli alberi, abbiano continuato a farlo ingrandendo e irrobustendo la costruzione in modo da permettere che essa stessa potesse rimanere in piedi anche all’aperto. È curioso che l’enorme costruzione dei pappagalli monaci attragga anche altri uccelli che vi nidificano a loro volta sulla parte esterna. Tra queste si annoverano il gufo della Virginia, il gheppio americano e varie specie di anatre arboricole. L’unica specie che non viene facilmente tollerata è il gheppio americano il cui insediamento può causare un trasloco in massa dei pappagalli. Altri pappagalli hanno risolto in modo meno radicale il problema dell’assenza di cavità di alberi. Alcune

Il pappagallo monaco è tra i pappagalli l’unica specie che costruisce un notevole complesso di rami utilizzati come nido chiuso collettivo. Qui ne è raffigurata una coppia emergente dal particolarissimo sito di nidificazione.

specie di grossa taglia come l’ara giacinto e l’ara fronte rossa nidificano in cavità di rocce, col risultato di occupare anche un sito ben protetto perché ancora meno accessibile di una cavità di alberi. Una sola specie, il conuro della Patagonia, nidifica in banchi di sabbia compatta ma facile da scavare in una zona ancora più povera di alberi rispetto a quella delle Pampas. Varie specie di piccola taglia, per esempio l’inseparabile dalla faccia rossa, nidificano nei termitai ottenendo così il vantaggio addizionale di una temperatura elevata dovuta alle fermentazioni all’interno della compatta costruzione

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Nelle tre foto in colonna appare un raro documento della nidificazione del conuro della Patagonia che avviene in buchi scavati nella roccia e nella sabbia.

degli insetti e anche, ulteriore vantaggio non trascurabile, la protezione indiretta offerta dai bellicosi soldati dalla testa blindata che invece tollerano benissimo la presenza degli uccelli. La maggior parte delle altre specie, però, nidificano nella cavità di un grosso albero e quindi hanno bisogno di un ambiente forestale nel quale sussistano almeno alcuni alberi maturi. Per molte specie di pappagalli questo è il fattore limitante di gran lunga più importante che determina il loro inesorabile declino. Per esempio, i pappagalli messicani del genere Rhynchopsitta che fanno il nido nelle cavità dei pini più vecchi, vengono rapidamente eliminati da una gestione forestale che non tenga conto di queste loro esigenze. L’interno del nido può essere totalmente disadorno oppure può essere dotato di un pavimento soffice derivante dall’azione di sgretolamento degli adulti sulla parte interna dell’albero. Verrebbe fatto di pensare che una tale situazione sia funzionale alla comodità dei pulcini ma, in cattività, quando si dota il fondo di un nido con un substrato tipo segatura, si osserva che la femmina lo sposta dalla parte opposta a quella in cui depone le uova e cova sul legno nudo. Anche per il comune parrocchetto ondulato i venditori che forniscono cassette-nido raccomandano di non aggiungere nulla e di lasciare che gli uccelletti depongano le uova sul duro legno. Non così gli inseparabili e i pappagallini barrati che costruiscono complessi nidi anche all’interno delle cassette-nido. Alcuni interni di alberi sono probabilmente alquanto surriscaldati per via della fermentazione. In ogni caso, le femmine covano diligentemente fin dal momento di deposizione del primo uovo ed escono dal nido per nutrirsi e per evacuare gli escrementi solo una o due volte al giorno. Le uova vengono deposte a intervalli più lunghi rispetto agli altri uccelli, gli ondulati di due giorni, i pappagalli africani di tre o quattro giorni. Il numero di uova nelle specie di taglia media o grande, solitamente, non è superiore a tre e questo è anche il numero massimo di pulcini che possono essere agevolmente allevati, anche se esistono rare eccezioni a questa regola. Le uova di tutti i pappagalli, come in genere quelle di tutti gli uccelli che nidificano in una cavità, sono bianche e tendono a essere tondeggianti. La cova ha una durata variabile a seconda della taglia: 28-30 giorni nei “grandi” pappagalli (a partire dalla taglia di un Senegal), 21 giorni negli inseparabili, 18 negli ondulati che sono forse la specie che presenta una schiusa più

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rapida. L’allevamento più rapido è quello dell’ondulato che si invola 28-30 giorni dopo la schiusa; per i pappagalli africani di taglia medio-piccola, il tempo è di circa 70 giorni, per il cenerino aumenta a 80, per i grandi pappagalli del tipo delle are e dei cacatua si arriva fino a 100-110. In genere, la durata della cova e dell’allevamento dei pappagalli non soltanto è superiore a quella degli altri uccelli di pari taglia che nidificano all’aperto ma anche, seppure in misura inferiore, anche a quelli che nidificano in una cavità. Il primo dato di fatto è facile da interpretare, gli uccelli non difesi da una cavità hanno necessità di involarsi più presto per non rischiare troppo, ma il secondo, a prima vista, è più problematico. Una possibile ipotesi è che l’aumento di complessità del sistema nervoso dei pappagalli richieda un lungo periodo di sviluppo e di apprendimento per essere gestito nel modo migliore. In ogni caso, la nidificazione all’interno di una cavità ha i suoi pro e i suoi contro. A fronte di una minore predazione c’è un’aumentata competizione. Molte osservazioni sul campo suggeriscono che i pappagalli vivano un continuo conflitto per il possesso delle cavità, anzitutto tra loro e poi anche con uccelli di altre famiglie, per esempio buceri, upupe arboricole, ghiandaie marine etc. Nel gruppo dei cacatua, compresa la calopsitta, alla cova si alternano maschio e femmina, mentre in tutti gli altri pappagalli la femmina è l’unica a covare e il maschio si occupa di procurare il cibo per la compagna e anche per i pulcini più o meno nelle prime due settimane di vita. Questo è, generalmente, il periodo in cui la femmina copre e riscalda i piccoli senza mai muoversi dal nido. In seguito, anche la femmina si allontanerà dal nido a intervalli regolari per collaborare col maschio e fornire abbastanza cibo ai pulcini che crescono rapidamente e hanno esigenze sempre maggiori. L’improvvisa interruzione dell’attività di copertura e riscaldamento dei pulcini da parte della femmina, normale nelle calde zone tropicali, può costituire un problema in allevamento, specialmente per quelle specie che nidificano in pieno inverno e che, per motivi non ben chiari, non spostano affatto il periodo di nidificazione quando si trovano nelle zone temperate, nonostante la notevole diversità di clima e anche di fotoperiodo. Il fatto è che anche uccelli di grande intelligenza come i pappagalli non possono sfuggire alla mentalità di chi è adattato a una particolare situazione climatica e logistica perché la loro stessa fisiologia invia loro falsi segnali: dopo le due prime settimane, una brusca diminuzione

In alto, esemplare di pappagallo messicano del genere Rhynchospitta, specie che nidifica nei tronchi dei pini. In basso, una coppia di inseparabili che ha trovato il suo nido all’interno di un cocco.

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In alto, calospitta in cova. Come gli altri pappagalli del genere cacatua, la cova di questi uccelli coinvolge sia il maschio sia la femmina. Le altre due immagini riguardano due specie africane dell’ordine dei Piciformi. A sinistra, un gruppo di barbetti rosso e giallo, uccelli che utilizzano come nido un termitaio. Questa pratica è usuale anche tra i pappagalli anche per gli inseparabili dalla faccia rossa. A destra, un bucero dal becco giallo, che nidifica nelle cavità degli alberi.

della concentrazione ematica dell’ormone prolattina fa abbassare decisamente la tendenza della femmina a rimanere sulle uova. Un tale segnale, perfettamente adattativo in natura, diviene mal adattativo in cattività ma a questo inconveniente l’evoluzione non può far fronte a un evento repentino e imprevedibile come la cattura di un animale da parte di un altro animale con l’intenzione di mantenere in vita i prigionieri e persino di farli riprodurre nella loro nuova condizione.

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RITMI DI VITA

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ome si è già detto, quando i giovani pappagalli si involano, il loro rapporto con i genitori è ancora ben lungi dall’essere concluso. La quantità di nozioni che essi avranno da imparare da essi per la loro futura vita indipendente è tale che sarà necessaria una permanenza minima di un anno, spesso anche di due o tre anni nella famiglia di origine. Il problema nasce dal fatto che i pappagalli sono uccelli intelligenti e versatili ma non sono territoriali, cioè non difendono dai loro conspecifici un’area determinata intorno al nido per assicurarsi un’adeguata quantità di risorse alimentari. Fare una cosa del genere sarebbe del tutto inutile perché, nei luoghi in cui essi abitano, non esistono territori che si mantengano produttivi nel corso di un intero anno. A questo inconveniente la massima parte degli uccelli reagisce mantenendo un comportamento territoriale soltanto quando le risorse sul territorio sono sufficienti e migrando poi, nella cattiva stagione, verso luoghi migliori. Tra i pappagalli, però, le specie che perseguono una tale strategia non sono molte, la maggior parte preferisce approfittare delle rilevanti doti intel-

lettuali di cui dispone per mettere in atto una strategia opportunistica di largo respiro. Si tratta, in definitiva, di effettuare lunghi spostamenti giornalieri da una zona destinata al riposo a un’altra zona destinata al foraggiamento cercando, nei limiti del possibile, di mantenere quasi fissa la prima e di modificare spesso la seconda. Una tale strategia comporta movimenti pendolari giornalieri di molte decine di chilometri, talvolta anche un centinaio, che possono essere agevolmente coperti in 1-2 ore partendo per la quotidiana avventura di prima mattina e rientrando alle ultime luci del giorno. Si può anzi ipotizzare che l’aumento di taglia nell’ordine degli Psittaciformi sia spesso in relazione con l’esigenza di coprire rapidamente lunghe

Volo di cacatua in Australia. Molte specie di pappagalli, soprattutto di taglia media e grande, si spostano per molti chilometri ogni giorno tra il dormitorio e i luoghi di alimentazione. Qui sono fotografati pappagalli del genere cacatua nero a coda rossa, specie a distribuzione più limitata che tuttavia forma stormi discretamente numerosi.

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distanze per andare a cercare cibo in zone via via diverse nel corso dell’anno. Certamente una tale interpretazione appare verosimile per molti pappagalli neotropicali quali le ara e le amazzoni, per gli africani di taglia maggiore quali il pappagallo cenerino, il pappagallo del Capo e il pappagallo di Jardine mentre risulta via via meno sostenibile per le specie di taglia minore che sembrano ricercare il cibo entro un raggio di distanza più modesto dai posatoi notturni. Per minimizzare i pericoli e le incertezze legati a tali lunghi spostamenti, spesso i pappagalli li effettuano in gruppo e, a mio parere, non abbandonano una tale strategia neppure quando sono intenti alla nidificazione. Se ci si piazza in un luogo riparato, di fronte a un nido di pappagallo cenerino che contenga anche alcuni pulcini, si può osservare che la coppia dei genitori emerge dalla cavità alle primissime luci dell’alba e immediatamente si allontana in volo. Dopo un paio d’ore, entrambi rientrano e visitano il nido ma poco dopo, uno dei due (presumibilmente il maschio) riparte in volo e scompare per l’intera giornata mentre la femmina non si muove più dalla cavità finché il suo compagno non rientra e cioè per 9-10 ore circa. Per tutto questo tempo dall’imboccatura della cavità non giungono segni di vita e chi è in attesa con un binocolo potrebbe a un certo punto ritenere di avere perso qualche passaggio essenziale e di essere in

Esempio di comportamento sociale estremo: folto gruppo di rondini svernanti che si assembrano in un unico dormitorio cittadino, al tramonto, in una zona del centro di una popolosa città asiatica. Coppia di pappagalli cenerini in volo.

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attesa del nulla di fronte a una cavità vuota di un albero qualsiasi. Le cose, però, non stanno così perché, quando infine il maschio rientra, a pomeriggio inoltrato, la femmina mostra finalmente la sua testa all’imbocco della cavità, esce, defeca e infine si accosta al maschio per ricevere il cibo che questo le rigurgita nel gozzo con un estenuante becco a becco che si ripete per dieci-quindici episodi e infine lascia entrambi i protagonisti immobili, apparentemente esausti. Possiamo cercare di interpretare ciò che è accaduto supplendo con una fantasia verosimile ai dati mancanti. È probabile che, nel primo giro mattutino, i due adulti si azzardino a lasciare la prole incustodita per due buoni motivi: anzitutto perché questa è un’ora in cui i predatori notturni sono già sazi e quelli diurni non sono ancora in

Lorichetti arcobaleno a una mangiatoia in Australia. Nella pagina a fronte, ancora la stessa specie in un parco cittadino.

attività (in particolar modo i serpenti che sono tra i più pericolosi), in secondo luogo perché la femmina deve pur muoversi brevemente un paio di volte al giorno, per defecare e per sgranchirsi. Una volta usciti, si dirigono forse a un luogo di convegno del loro gruppo (gli stormi dei pappagalli vanno da una ventina fino a molte centinaia di individui) e ad esso si uniscono per le prime scorribande mattutine che probabilmente si svolgono in luoghi non molto distanti dai dormitori notturni. A questo punto dobbiamo anche supporre che le coppie nidificanti, per potere praticare questo genere di vita, debbano trovare casa in alberi non troppo lontani dal

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dormitorio del gruppo principale dei pappagalli non nidificanti. Questa condizione sembra essere verificata, dato che in molte specie di pappagalli si osserva una nidificazione quasi-coloniale, con coppie insediate in alberi diversi ma non molto distanti uno dall’altro. In questo primo giro mattutino, che in molte specie dura un paio di ore, entrambi i componenti della coppia raccolgono cibo, si nutrono e tornano al nido col gozzo pieno. A questo punto la femmina alimenta i piccoli e riceve cibo dal maschio che, subito dopo, riparte forse per unirsi al grande stormo, certamente per raccogliere cibo ed eventualmente dedicarsi ad altre attività per l’intera giornata. La femmina, invece, rimane nel nido col gozzo pieno del cibo raccolto da lei stessa e dal maschio. Lo distribuirà a poco a poco ai pulcini nell’arco della giornata, presumibilmente in due o tre volte. Inoltre, si

occuperà di tenere ben puliti i pulcini e, se sono molto piccoli, li scalderà con il calore del suo corpo. Questa assistenza termica verrà bruscamente interrotta dopo due o tre settimane per un semplice motivo: una volta che i pulcini sono abbastanza cresciuti, il cibo che può essere raccolto dal solo maschio non basta più ed è assolutamente necessario che anche la femmina partecipi alla raccolta. D’altra parte, in linea di massima il comportamento suddetto è adattativo perché le temperature ambientali sono tali che nulla osta a una sospensione del riscaldamento dei pulcini durante il giorno. Il periodo della nidificazione è evidentemente legato a una situazione di abbondanza alimentare che dovrebbe coincidere con particolari fruttificazioni. Per esempio, nel caso del pappagallo africano dal ventre arancio, si è potuto constatare che, durante il periodo suddetto, i

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Particolare di foresta pluviale australiana, habitat del parrocchetto reale australiano. Sotto, esemplare del papagallo.

piccoli alberi dei datteri (Balanites aegyptiacus) si riempono di frutti che appaiono ricchissimi di zuccheri e probabilmente lo sono anche di proteine e di vitamine. Si può anche supporre che, in questo particolare periodo, la raccolta del cibo si svolga in una zona più prossima al nido (e ai dormitori) di quanto non avvenga poi nei periodi di magra. Quando i giovani si involano, è probabile che, dopo un periodo iniziale in cui rafforzano i muscoli delle ali, incomincino ben presto a seguire i genitori nelle loro peregrinazioni alimentari che si fanno via via sempre più lunghe e più complicate. Alla fine del primo anno, i giovani dovrebbero ormai sapere tutto delle fonti alimentari da cui dovranno approvvigionarsi nelle diverse stagioni, ma è probabile che continuino a stare con i genitori per un

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Sopra, foresta alle pendici del Monte dei Draghi, al confine tra Sudafrica e Lesotho. Sotto, un pappagallo Swahili (Poicephalus suahelicus) dll’Africa orientale, una delle tre diverse specie nelle quali è stato recentemente suddiviso il pappagallo robusto. La denominazione originaria (P. robustus) è rimasta al pappagallo dl Capo sudafricano, ridotto a meno di mille individui e minacciato di estinzione. La terza specie (P. fuscicollis) è localizzata in Africa occidentale.

secondo anno, facendo l’esperienza di un secondo ciclo e delle possibili differenze di questo rispetto al primo, differenze che possono fornire un’idea della componente di variabilità in un ciclo altrimenti abbastanza ripetitivo. Questa vita pendolare e avventurosa, costruita sulla base di una complicata mappa mentale spazio-temporale, dovrebbe avere guidato l’evoluzione dei pappagalli, soprattutto di quelli di taglia media e grande che più si identificano in essa come protagonisti di rilievo, come pappagalli a tutto tondo. I pappagalli di piccola taglia conservano in qualche misura le caratteristiche generali

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Esemplare di pappagallo africano dal ventre arancio, colto nell’atto di nutrirsi di alcune bacche.

del gruppo cui appartengono ma se ne distinguono anche in vario modo per essersi evoluti in nuove direzioni, generalmente più pratiche e meno intellettuali, come si

è già visto parlando di adattamenti generali e particolari dell’ordine. La lunga lista di nozioni che un pappagallo deve apprendere per poter condurre senza grandi problemi la sua vita è preceduta da un breve periodo di apprendimento precoce di poche nozioni essenziali. Questo sarà l’argomento del prossimo capitolo.

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IMPRINTING E APPRENDIMENTO

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utti sappiamo fin troppo bene che le esperienze precoci sono decisive anche per la formazione umana. Gli psicologi ci mettono in guardia contro ogni forma di maltrattamento materiale e morale in tenera età, che potrebbe essere devastante per i futuri esseri umani adulti. Ora, gli zoologi, per mezzo di ricerche completamente autonome, sono stati in grado di accertare che ciò che è vero per i bambini lo è anche per i cuccioli dei mammiferi e i pulcini degli uccelli, e hanno anche scoperto qualcosa di più, che alcune esperienze precoci che si hanno in periodo perinatale (cioè poco prima o poco dopo il momento della nascita) lasciano generalmente una traccia incancellabile (o almeno difficilmente e solo parzialmente cancellabile) che infatti è stata denominata imprinting. L’imprinting (letteralmente stampando, cioè azione stampante) è dunque un fenomeno biologico che determina una modificazione durevole a livello del sistema nervoso dei mammiferi e degli uccelli in seguito a un’esperienza molto precoce. Fu scoperto da Konrad Lorenz e gli fruttò un premio Nobel nel 1974 insieme con Nikolaas

Tinbergen, e Karl Von Frisch, altri due valorosi etologi che si erano concentrati con uguale successo su argomenti diversi (rispettivamente i segnali che scatenano un comportamento innato e il linguaggio figurato delle api). Lorenz era uno zoologo che amava molto gli animali ed era felice quando poteva allevare qualche neonato di uccelli, taccole, fringuelli o altro. Gli capitò di allevare fin dal momento della schiusa un’oca selvatica, il che è anche abbastanza facile dato che si tratta di un uccello nidifugo, cioè che già alla nascita è capace di camminare, di nuotare e di alimentarsi senza l’assistenza dei genitori e dunque non richiede cure eccessive. Poiché Lorenz non imbeccava Martina (così aveva chiamato l’oca), lo colpì il fatto che Martina lo seguisse ovunque come un’ombra. Non ci volle poi molto per capire che Martina si era fatta un’idea antropomorfa del mondo delle oche e pensava addirittura che Lorenz fosse sua madre. Ciò era accaduto perché Martina aveva visto lo zoologo non appena era sgusciata dall’uovo e perché le oche non hanno idee preconcette sull’aspetto degli adulti della loro specie ma generalmente vedono la loro madre prima di ogni altro individuo. Inutile aggiungere che Lorenz, i suoi collaboratori e i suoi numerosi emuli continuarono a studiare il fenomeno dell’imprinting su diverse specie di uccelli e che giunsero a diverse conclusioni molto interessanti. In primo luogo che esiste un imprinting parentale, cioè che molti animali si fanno un’idea di se stessi sulla base di ciò che vedono immediatamente dopo la nascita. Per esempio, se un uovo di passero del Giappone viene collocato in un nido di diamante mandarino (un altro piccolo uccello della stessa famiglia e di taglia simile), il piccolo passero appena nato si convincerà di essere un diamante mandarino e manterrà questa opinione per tutta la vita. Di conseguenza, e qui siamo nel campo dell’imprinting sessuale, l’uccellino vorrà come futura partner una femmina di diamante mandarino e si accoppierà eventualmente con una femmina della sua stessa specie soltanto se non gli è data altra scelta, con la convinzione, nel caso, di adattarsi a un’ibridazione. L’argomento è ormai ben noto non soltanto agli zoologi ma anche agli allevatori, specialmente quelli di pappagalli

L’immagine del più classico studio sull’imprinting, quello di Konrad Lorenz (nella foto) sull’oca selvatica. Le oche seguono l’etologo perché l’immagine di questi è la prima che esse hanno visto venendo alla luce e pertanto la probabilità che non si tratti della madre sarebbe irrisoria se gli uccelli si fossero trovati in condizioni naturali. Peraltro, non tutti gli uccelli subiscono un imprinting tanto netto e tanto poco reversibile.

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che sanno bene che l’allevamento artificiale dei pulcini destinati a diventare riproduttori, in natura o in voliera, va effettuato con particolari precauzioni per evitare di produrre adulti con idee totalmente sbagliate circa la loro identità, incapaci di scegliersi un partner della propria specie e di riprodursi con successo. Gli ulteriori studi sull’imprinting, portati avanti anche dopo la scomparsa di Lorenz, hanno tuttavia chiarito che il meccanismo non è identico nelle diverse specie di uccelli e di mammiferi e che non è esatto che tutti gli uccelli allevati artificialmente siano da considerare come inservibili per la riproduzione. In effetti, nel caso di molti pappagalli, una permanenza nel nido per un paio di settimane è sufficiente per fornire ai pulcini un corretto imprinting sulla figura dei loro genitori naturali e quindi anche per orientare correttamente le loro future preferenze sessuali una volta che avranno raggiunto la maturità. Certo, si è anche visto che c’è differenza tra i pulcini allevati in isolamento e quelli allevati in gruppo e che la presenza dei fratelli ha la sua importanza nella determinazione del futuro comportamento dei pappagalli

che vivono in condizioni domestiche. In altre parole, si è compreso che il fenomeno dell’imprinting può essere attenuato o rinforzato da esperienze non più tanto precoci ma certamente giovanili. Tutti sappiamo, del resto, che qualsiasi tipo di apprendimento funziona meglio quando l’individuo è ancora giovane. Il tema dell’imprinting ha una grande importanza per gli allevatori. In una voliera isolata dalla presenza umana si producono uccelli schivi, adatti a essere rilasciati in natura, sempre ammesso che vengano opportunamente addestrati alla vita in tali condizioni. Per i pappagalli che dovranno vivere in condizioni domestiche, un allevamento artificiale è preferibile, purché non si provochi nel pulcino un imprinting durevole su figure umane, il che lo renderebbe inadatto alla riproduzione. Il procedimento corretto da seguire dovrebbe essere quindi: (a) di lasciare ai genitori i pulcini per un periodo non inferiore alle due settimane e non superiore alle 4-5 settimane, (b) di allevare artificialmente i pulcini dal momento del prelievo dal nido fino a quello dello svezzamento (10-14 settimane, a seconda delle specie) evitando di tenerli in

Due immagini che ritraggono studi sulle capacità cognitive dei pappagalli. A sinistra Alex il noto cenerino studiato da Irene Pepperberg. A destra, un pappagallo di Jardine che si trova presso l’Università degli Studi di Milano. In quest’ultimo caso i quiz vertono sul riconoscimento di forme e di colori.

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isolamento e anzi raggruppandoli in asili da 2-5 individui, anche di specie diverse dello stesso genere, (c) di immettere i gruppi in voliera e lasciarli interagire liberamente, come farebbero in natura, con la speranza che all’interno di essi si possano formare nuove coppie. In questo modo si possono produrre pappagalli completamente domestici ma al tempo stesso anche adatti alla riproduzione. Nei casi in cui si debbano allevare uccelli nati da uova schiuse in incubatrice è necessario mettere in atto stratagemmi particolari per evitare che questi subiscano un

In alto, a sinistra un pappagallo di Meyer di circa 14 giorni di età; a destra, lo stesso a 45 giorni; in basso, due grossi pulcini di pappagallo di Jardine di circa 40-50 giorni di età. Lo studio dell’imprinting richiede evidentemente la disponibilità di pulcini nati in condizioni controllate che, fino a pochi decenni fa, erano una vera e propria rarità riservata ai migliori zoo del pianeta mentre oggi sono facilmente disponibili in un numero relativamente grande di piccoli e medi allevamenti. Pagina seguente: Nella pagina precedente, altro studio di Elizabeth Butterworth sulle are di Spix, attualmente specie estinta in natura e presente soltanto in poche collezioni pubbliche e private con un totale di circa 127 individui.

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Primo piano di amazzone dalla fronte blu. Lo studio dei pappagalli è stato trascurato fino a tempi molto recenti e le ricerche da poco intraprese stanno rivelando aspetti di grande interesse delle loro capacità di apprendimento, memoria e cognizione.

imprinting sulla figura umana. Casi del genere si sono verificati nelle operazioni di reintroduzione dell’aquila di mare e del gipeto che hanno necessariamente utilizzato uova soprannumerarie fatte schiudere in incubatrice. In un caso di questo genere, gli operatori umani non si facevano mai vedere dal pulcino e anzi lo nutrivano utilizzando un apparato particolare che riproduceva abbastanza fedelmente la testa di un adulto della sua specie. I pulcini svezzati in questo modo non subiscono imprinting sulla figura umana e sono idonei per operazioni di reintroduzione, sempre fatta salva l’esigenza di

un opportuno addestramento alla vita in natura, cioè di una fase di apprendimento paragonabile a quella che i pappagalli attraversano come minimo nel primo anno di vita. Non mi risulta che finora operazioni di questo genere siano mai state effettuate nel caso di pappagalli. Del resto, nessuna specie di pappagallo è stata finora oggetto di una vera e propria operazione di reintroduzione. La prima in assoluto potrebbe essere, nel prossimo futuro, l’ara di Spix, se la sua moltiplicazione in cattività avrà abbastanza successo da poter fornire gli individui da rilasciare in natura. È ovvio che l’allevamento, in tal caso, dovrebbe essere strettamente naturale, cioè dovrebbe essere effettuato da parte dei genitori. Per quanto riguarda, poi, la fase di apprendimento, l’esperienza insegna che la sopravvivenza degli uccelli rilasciati dipende dall’appoggio di un idoneo tutore, in grado di insegnare ai giovani involati come sopravvivere in natura, dove trovare il cibo, come evitare i predatori e via dicendo. Nel caso dell’ara di Spix, però, questo tutoraggio non sarà mai possibile da parte di conspecifici dato che in natura non esiste più neanche un singolo individuo di questa specie e i genitori nati a loro volta in cattività nulla possono insegnare ai loro figli sulla vita in natura. Che fare, allora? A somiglianza di quanto è stato fatto nel caso del condor della California, quando i tempi saranno maturi per il rilascio, converrà usare una specie affine come tutore, e poiché l’ultima ara di Spix libera aveva formato una coppia con un individuo di ara di Illiger, è piuttosto ovvio che questa specie dovrebbe essere considerata come la più idonea a fungere da tutore. Dunque, speriamo di leggere al più presto la notizia della prima nidificazione di una coppia di are di Spix liberate con modalità impeccabili in qualche luogo isolato del Brasile.

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TRAFFICO

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a bellezza e l’interesse dei pappagalli ne hanno fatto, fin dai tempi più remoti, oggetti di intenso traffico commerciale dai loro paesi di origine verso i paesi europei in primo luogo, poi anche verso il Nordamerica e ancora il Giappone, l’Australia e il Sudafrica. Questo traffico, negli ultimi decenni del ventesimo secolo, è diventato sempre più importante, tanto da costituire ormai un serio problema di carattere conservazionistico e quindi da suggerire la messa a punto di un trattato internazionale in grado di limitarlo o almeno di metterlo sotto stretto controllo. Oggi il suddetto trattato, denominato CITES (Convention for the International Trade of Endangered Species), entrato in vigore nel 1975, funziona a pieno ritmo ma non sempre è efficace come dovrebbe per salvaguardare le specie minacciate. In questo capitolo e nel seguente intendo trattare questo argomento da diversi punti di vista, quello dei protezionisti e conservazionisti, quello degli allevatori e dei commercianti e quello dei funzionari che hanno il compito di far rispettare le leggi e i trattati internazionali. Il modo più semplice di procurarsi i pappagalli richiesti come animali domestici era, tradizionalmente, quello di catturarli e sottoporli a una quarantena nonché, nei casi migliori, anche a un periodo di adattamento alla cattività prima di venderli agli utilizzatori finali. Nel passato, i pappagalli prelevati in natura in questo modo non erano moltissimi ma già questo primitivo approccio fu probabilmente sufficiente per mettere in seria crisi le specie originarie delle isole piccole e medie che contavano popolazioni più o meno limitate. In breve tempo dopo la loro scoperta scomparvero del tutto, come abbiamo già raccontato, l’ara di Cuba e l’amazzone della Martinica, tanto per citare soltanto due specie ben note per i resti che ne sono rimasti. Altre specie, di cui esistevano poche popolazioni di modesta entità incominciarono a perdere effettivi in modo preoccupante perché il prelievo non era sostenibile, in altre parole perché gli individui che venivano catturati ed esportati erano più numerosi di quelli che nascevano. La situazione è molto peggiorata nell’ultimo secolo, a causa della crescente globalizzazione, dell’aumento della ricchezza e di conseguenza anche della richiesta, e delle nuove possibilità offerte dal trasporto aereo. I dati raccolti dalle autorità dei paesi aderenti al trattato CITES rivelano che, dal 1980 al 1992, furono esportate in misura maggiore o minore ben 247 specie di pappagalli (su un totale di 348 esistenti), delle quali 156 con oltre mille individui, il che può essere poco o molto a seconda dei casi. Alcune specie sono state catturate ed esportate in quantità quasi incredibili. Per esempio, Juniper e Parr (1998) riferiscono che, nel suddetto periodo di 12 anni, furono esportati legalmente dai loro paesi di origine ben 278 mila

In alto, un’amazzone vinacea, raro pappagallo compreso nell’appendice 1 del CITES che elenca le specie che non possono in alcun caso essere prelevate in natura e che sono soggette a restrizioni particolari non solo del commercio ma persino della loro mobilità. Sopra, gruppo di inseparabili di Fischer, ammassati in una gabbia. A fronte, cacatua bianco.

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pappagalli del Senegal, 657 mila inseparabili di Fischer, oltre 200 mila parrocchetti dal collare, 158 mila conuri mitrati, 406 mila amazzoni dalla fronte blu e 108 mila cacatua bianchi. Anche in questo caso, questi numeri – per quanto impressionanti – non devono essere considerati in termini assoluti ma devono essere confrontati con quanto è noto della distribuzione e abbondanza attuale delle diverse specie. In modo particolare, l’inseparabile di Fischer, la cui distribuzione in Africa interessa un’area complessiva non più estesa di centomila chilometri quadrati a sud del lago Vittoria, non poteva sopportare un prelievo tanto pesante senza subire profonde conseguenze: oggi, la specie è scomparsa quasi del tutto al di fuori delle zone protette ed è considerata globalmente quasi-minacciata (NT), anche perché l’estensione del suo habitat è stata radicalmente ridotta, ragion per cui il suo prelievo in natura è stato completamente bandito. Per colmo dell’ironia, la specie si riproduce benissimo in cattività e il prelievo del 1980-1992 non era affatto necessario per potere stabilire una popolazione domestica vitale e in grado di conservarsi senza immissione di nuovi geni. Deplorevole è anche il caso del cacatua bianco, specie limitata alle isole Molucche settentrionali, il cui prelievo complessivo nei dodici anni considerati risulta di entità pari all’intera popolazione restante, secondo le stime più accreditate. Questa specie di grande taglia, per quanto considerata comune in cattività, non viene certamente riprodotta con la frequenza e con i numeri dei piccoli inseparabili. In effetti, la maggior parte dei 108 mila individui esportati, così come delle 406 mila amazzoni dalla fronte blu uscite dal Sudamerica, probabilmente sono stati in maggioranza condannati a una vita sterile e solitaria in una gabbia casalinga con il ruolo di pappagalli-buffoni in grado di ripetere senza fine le poche parole che sono riusciti ad apprendere dai loro padroni annoiati e distratti. In questa pagina compaiono due pappagalli che sono tuttora oggetto di intenso commercio ma che attualmente non dovrebbero più essere prelevati in natura a causa delle restrizioni introdotte dai paesi in cui si trovano. Il conuro mitrato, originario del Sudamerica, è una delle specie che furono più intensamente esportate nel secolo XX. In California un certo numero di individui ha riguadagnato la libertà, si è riprodotto con successo e oggi forma una popolazione locale di migliaia di individui. A destra, pappagallo del Senegal, il pappagallo africano che, insieme con il cenerino, è stato maggiormente oggetto di prelievo in natura con centinaia di migliaia di individui esportati. A dispetto di questo ampio prelievo, la diffusione di questa specie negli allevamenti resta limitata e il numero complessivo di individui nati in cattività è di almeno un ordine di grandezza inferiore a quello degli individui a suo tempo esportati.

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Due esempi di diboscamento: a sinistra apertura di una strada nella foresta tropicale brasiliana; a destra deforestazione attraverso un incendio. La frammentazione della foresta determina lo spezzettamento dell’area di distribuzione delle popolazioni di animali, la moltiplicazione delle zone inadatte e pericolose ai margini di ciascun frammento e, in ultima analisi, il declino e la scomparsa della biodiversità iniziando dalle specie più sensibili degli organismi di grande taglia fino ad arrivare a quelli più piccoli e mano sensibili. Questa operazione è destinata ad arricchire un piccolo gruppo di persone ed enti già ricchi e ad impoverire la grande massa del popolo al quale, molto spesso, viene dedicata, con parole vuote e retoriche.

Certo, non tutti i problemi delle popolazioni dei pappagalli derivano dalla loro cattura ed esportazione e l’effetto demografico di queste è molto diverso sulle diverse specie. Molto pesante è anche l’effetto della deforestazione che elimina l’habitat necessario per l’esistenza stessa delle specie. Tuttavia, quando alla deforestazione si aggiungono le catture legali o illegali, l’effetto è letteralmente devastante. Basti pensare al caso delle specie della foresta atlantica del Brasile, oggi ridotta a una minima percentuale della sua estensione originaria, in primo luogo l’ara giacinto e il conuro guaruba,

entrambi compresi nella lista rossa e, per quanto riguarda il trattato CITES, inclusi nell’appendice 1 che comprende le specie delle quali è vietata la cattura e il commercio anche degli individui nati in condizioni domestiche fino alla seconda generazione. La seconda appendice del trattato comprende invece le specie il cui commercio è consentito in quote limitate che dovrebbero essere assegnate a ciascun paese esportatore sulla base di quanto è noto della dinamica di popolazione delle specie interessate. Purtroppo, molto spesso, si sa ben poco persino della semplice situazione demografica, per non parlare poi delle tendenze demografiche locali e globali. La situazione è poi ulteriormente complicata da diversi fattori: in primo luogo l’atteggiamento dei paesi potenzialmente esportatori che è molto variabile. Per esempio, tra i pappagalli africani la specie di gran lunga esportata in numeri maggiori è quella del Senegal per il semplice motivo che per essa il paese di origine rilasciava le licenze di esportazione senza tanti problemi. Sul versante opposto sta il pappagallo dalla faccia gialla, endemico dell’Etiopia, per il quale il paese di origine non ha mai rilasciato alcun permesso né di cattura né di esportazione e che, di conseguenza, è

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totalmente sconosciuto in avicoltura, sebbene non sia affatto raro nei suoi luoghi di origine. Il secondo fattore che entra in gioco è quello del benessere degli animali nonché della mortalità nei processi di cattura, esportazione e acclimatamento che entrano in gioco in questi casi. Anche in questo caso le differenze sono molto grandi. Per esempio, le esportazioni delle amazzoni dalla nuca gialla dal Nicaragua si svolgevano con modalità veramente esemplari dal punto di vista del benessere degli animali: ogni anno, gli indigeni prelevavano dai nidi un certo numero di pulcini, li allevavano nelle loro case, li addestravano alla parola e infine li cedevano ai commercianti che li esportavano senza perdere, in pratica, neppure un singolo individuo di questi preziosi pappagalli. Sul versante opposto, nel caso dei pappagalli del Senegal e degli stessi pappagalli cenerini, le operazioni avevano luogo in un modo piuttosto brutale, catturando pappagalli adulti per mezzo di reti e ammassandone nei contenitori da viaggio il massimo numero possibile. Gli uccelli arrivavano quindi a destinazione col piumaggio mal ridotto e in uno stato di terrore difficile da calmare e risultavano del tutto inadatti a vivere in una casa, a contatto di esseri umani, ma al massimo potevano essere sistemati in voliere bene isolate e utilizzati per la riproduzione che comunque essi non avrebbero potuto affrontare prima di 3-4 anni dopo la traumatizzante esperienza che avevano subito. Molti di questi uccelli, tuttavia, si ammalavano di infezioni agli apparati digestivi o respiratori e morivano in poche settimane. Lo stress della cattura e del trasporto in condizioni disagiate può infatti facilitare la viru-

L’amazzone nucagialla (Amazona auropalliata) dell’America centrale è uno dei pappagalli più apprezzati per le sue qualità vocali. Oggi è collocato in appendice 1 del trattato CITES, il che implica che non può assolutamente essere prelevato in natura ma solo riprodotto in cattività. A destra, un acquerello di Giancarlo Cagnolati raffigurante un pappagallo dalla faccia gialla dell’Etiopia, specie ancora abbastanza comune nella sua area di distribuzione e che non è mai stata oggetto di esportazione e commercio internazionale ed è quindi sconosciuta in avicoltura. Nella pagina precedente, ara aliverdi.

lenza di batteri o virus prima latenti o tenuti sotto controllo dal sistema immunitario. Quest’ultima situazione rappresenta anche un problema sanitario dato che i pappagalli ammalati possono talvolta contagiare anche gli esseri umani le loro patologie che, in alcuni casi, possono essere molto gravi. Per tutti questi motivi, la cattura e l’esportazione dei pappagalli, a poco a poco, è stata bandita quasi ovunque e, in pochi anni, il mercato dei pappagalli e, più in generale, quello degli animali da affezione si è profondamente modificato, andando a interessare ormai per la massima parte individui nati e cresciuti in condizioni domestiche, anche perché l’avicoltura e la medicina veterinaria sono molto progredite nello stesso periodo. In tali condizioni, alcuni tipi iniziative delle autorità preposte all’osservanza del trattato CITES rischiano di conseguire un effetto contrario a quello desiderato. Per esempio, quando un pullman pieno

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Un angolo del mercato degliuccelli di Bangkok, in Tailandia, in una foto del 1981.

di avicoltori che effettuano una gita a una mostra-mercato tedesca viene fermato al Brennero per un controllo, è stupido aspettarsi che gli uccelli trasportati non siano nati in cattività o regolarmente importati e che l’eventuale sequestro di qualche pappagallino per una situazione formalmente carente possa contribuire alla salvaguardia delle specie in pericolo di estinzione. Il trattato CITES è stato stipulato per fermare o per limitare le importazioni di uccelli selvatici e non per combattere l’avicoltura. Sarebbe opportuno, ormai, che le autorità preposte ai controlli approfondissero le loro nozioni e concentrassero i loro sforzi sul contrab-

bando di specie rare e minacciate che, sebbene diminuito sostanzialmente, deve tuttora esistere. Basti pensare al caso penoso e veramente inatteso di un brillante allevatore a autore di diversi ottimi libri sui pappagalli, acuto viaggiatore e osservatore di uccelli in natura nelle foreste dell’America centrale e meridionale. Nessuno avrebbe mai immaginato che un personaggio di un tale spessore e una tale autorevolezza tecnica potesse essere coinvolto nel traffico illegale di specie rare e pregiate, eppure è proprio ciò che è accaduto, con grande sdegno e anche grande dolore di tutto il mondo degli appassionati di pappagalli. Il suddetto fu arrestato e processato negli Stati Uniti e subì una pesante condanna che lo costrinse in prigione per diversi anni troncando una brillante e promettente carriera di scrittore. Certo, si è trattato di un caso eccezionale ma anche indicativo di una certa mentalità che ancora potrebbe esistere in una minoranza di allevatori. Pertanto, sarebbe anche importante che le commissioni che si occupano dell’applicazione pratica del trattato CITES includessero regolarmente non soltanto un rappresentante delle associazioni cosiddette ambientaliste ma anche uno degli allevatori e che sia l’uno sia l’altro fossero autentici esperti e non persone che godono nel causare problemi a uomini onesti dei quali non condividono al cento per cento il modo di pensare. Con questi semplici accorgimenti il trattato CITES potrà essere meglio applicato e magari anche superato da un nuovo trattato che si occupi non solo del commercio delle specie minacciate ma anche della salvaguardia degli habitat che ad esse sono indispensabili per sopravvivere anche quando più nessuno ne insidia in modo diretto la vita in libertà.

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AVICOLTURA

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Allevamento a mano di un giovane pappagallo africano. Il pulcino, dell’età di circa un mese, viene nutrito con una pappa ben bilanciata per mezzo di un cucchiaino dai bordi rialzati che consente il trasferimento del cibo senza perdite laterali.

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er molti secoli, i pappagalli sono stati semplicemente mantenuti in cattività dopo essere stati prelevati in natura a uno stadio più o meno avanzato della loro lunga vita. Trattandosi di animali viventi esotici e costosi, quindi riservati a un piccolo numero di privilegiati, la richiesta del mercato era forzatamente piccola. D’altra parte, gli ambienti naturali di questi uccelli erano ancora molto estesi e il trasporto degli uccelli catturati per terra o per mare era fortunoso e gravido di rischi. Questa situazione si mantenne più o meno immutata per molti secoli ma negli ultimi decenni è stata drasticamente modificata da un lato dalla distruzione degli ambienti naturali tropicali, dall’altro dallo sviluppo del trasporto aereo. Dagli anni Cinquanta del Ventesimo secolo, la crescente penetrazione umana nelle foreste tropicali e la crescente ricchezza del mondo sviluppato causò un tale sviluppo del traffico di animali da renderlo assolutamente insostenibile. Le immediate conseguenze di questa situazione furono da un lato la nascita di legislazioni conservazionistiche, dapprima nei più avanzati paesi di origine dei pappagalli e poi anche a livello internazionale, dall’altro lato la reazione tecnica alla scarsità dei beni richiesti: trattandosi di una risorsa rinnovabile, ben presto ne venne iniziata la riproduzione in cattività a scopo amatoriale e commerciale. L’esempio paradigmatico di questa situazione è rappresentato dal caso dei pappagalli australiani. L’Australia è l’area di origine delle più note specie che

oggi vengono giustamente considerate completamente domestiche, ondulato e calopsitta, e inoltre di moltissime altre specie ampiamente allevate, parrocchetti delle erbe, parrocchetti Psephotus e Polytelis, parrocchetto veloce, parrocchetti splendenti, cacatua e molto altro ancora. Come già detto, il governo australiano fu uno dei primi a bandire completamente l’esportazione degli uccelli e non cedette neppure di fronte alla necessità di sacrificare un certo numero di cacatua a vantaggio degli agricoltori: piuttosto che permettere l’esportazione di questi uccelli altrimenti condannati a morte, finora la scelta è sempre stata quella di eliminarli fisicamente nel loro paese di origine. Di fronte a un tale atteggiamento di totale chiusura, giusto o sbagliato che lo si voglia considerare, la reazione degli appassionati di avicoltura fu quella di sforzarsi di riprodurre in cattività i pochi individui delle specie proibite che ancora esistevano all’estero. L’allevamento dei parrocchetti australiani si diffuse rapidamente dapprima in Olanda e in Belgio, poi in Germania, Svizzera e Gran Bretagna, infine negli altri paesi europei. Oggi, nella sola Europa, gli allevatori iscritti alle varie associazioni facenti capo alla COM (Confederazione Ornitologica Mondiale) sono centinaia di migliaia e sono alla base di un vasto mercato di cibi, attrezzature e servizi di assistenza. Negli ultimi decenni, i veterinari hanno iniziato a elaborare diete bilanciate e differenziate per il mantenimento, la riproduzione, l’allevamento dei pulcini da parte dei genitori o anche per l’allevamento artificiale, per mano umana. In breve tempo alla dotazione degli oggetti disponibili si sono aggiunte le incubatrici e le camere calde per i pulcini e per gli adulti ammalati, i farmaci specifici contro le più comuni patologie, le vitamine, i sali minerali, i substrati assorbenti e disinfettanti, i nidi, le gabbie più o meno specializzate. In pochi decenni, la situazione ha subito un totale ribaltamento e quelli che fino a mezzo secolo fa erano considerati uccelli molto difficili da riprodurre sono divenuti infine normali oggetti delle cure e delle attenzioni di una comunità sempre più vasta e sempre più organizzata di avicoltori. Del tutto ingiustificata è dunque l’animosità di alcuni protezionisti nei confronti di queste persone che oggi, quando sono oneste ed effi-

A fronte, nella sequenza fotografica sviluppo di un pappagallo dalla testa bruna allevato dai genitori. Da sinistra a destra e dall’alto verso il basso rispettivamente all’età di 3 giorni, 9 giorni, 12 giorni, 27 giorni, 40 giorni e 60 giorni, quando è praticamente pronto per l’involo.

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In alto, foto di un’ara all’interno di una voliera idonea all’allevamento all’aperto di pappagalli di taglia media o grande. Anche se provengono perlopiù da zone tropicali, molte specie di pappagalli si adattano benissimo alla vita all’aperto anche in pieno inverno e anche in paesi dal clima temperato, purché la temperatura non scenda troppo a lungo sotto lo zero. Sopra, un angolo di una mostra di uccelli in Europa. I divieti sempre più severi di esportazione e di commercio delle specie minacciate di estinzione hanno stimolato la loro propagazione in cattività e il cambiamento totale delle caratteristiche del loro commercio. Oggi, l’avicoltura è una risorsa culturale che contribuisce indirettamente alla conservazione rendendo inutile il prelievo di uccelli in natura e come tale dovrebbe essere incoraggiata e non ostacolata dalle autorità preposte ai controlli.

cienti, cioè nella massima parte dei casi, producono da sé gli uccelli che allevano senza in alcun modo sottrarli agli ambienti naturali che ancora rimangono in piedi per ospitarli e che in verità sono minacciati da altri processi. Dove sono andati a finire, allora, i numerosi uccelli che, negli ultimi decenni, sono stati comunque esportati da molti paesi tropicali verso il mondo più sviluppato? Tolta la quota non piccola venduta ad acquirenti casuali, spinti più che altro dalla curiosità, va riconosciuto che una buona parte deve essere andata appunto ad alimentare le fasi iniziali dell’avicoltura. Con scarso successo, però, perché i numeri dimostrano chiaramente che ben pochi allevatori hanno approfittato degnamente del tesoro che hanno avuto l’opportunità di poter gestire. Alcune specie, occasionalmente importate in migliaia di individui, sono oggi rappresentate in cattività da poche decine di superstiti o loro discendenti, evidentemente perché pochi sono coloro che si sono dedicati decisamente alla loro riproduzione. Basti pensare al pappagallo dal groppone blu o ancora al pappagallo capirosso o al cacatua di Tanimbar, tutti di taglia non molto grande, non troppo difficili da allevare e adatti anche alle situazioni di chi non ha molto spazio né grandi risorse. Bisogna riconoscere che di questi uccelli si è fatto un grande spreco, così come lo si è fatto anche di altri oggi ben stabiliti in avicoltura, per esempio gli inseparabili africani e il pappagallo cenerino che si è continuato a catturare anche quando era chiaro che, grazie alla riproduzione in condizioni domestiche, un prelievo di tali proporzioni non era più necessario. Mentre è evidente, dunque, che nessun allevamento potrebbe mai essere iniziato senza un prelievo iniziale di un certo numero di individui in natura, è altrettanto evidente che di tale prelievo iniziale si è spesso abusato e che l’abuso ha finito per nuocere all’avicoltura tanto quanto la proibizione totale. Infatti, se i pappagalli di cattura disponibili sul mercato sono troppi, ben pochi si impegneranno in un’attività di riproduzione che probabilmente non sarà affatto remunerativa, dovendo sopportare i giovani nati la concorrenza dei soggetti di cattura che, seppure stressati e potenzialmente esposti a varie patologie, avranno tuttavia un costo più basso e saranno perciò acquistati da molti, se sono disponibili. Normalmente, però, questi soggetti non inizieranno a nidificare prima di 3-4 anni dal momento della cattura e c’è un grande rischio che, in questo lungo periodo di adattamento, essi possano essere perduti, morti, ammalati, fuggiti durante un trasloco, ceduti per stanchezza a persone inadeguate. Non può

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esservi alcun dubbio che proprio in questo modo migliaia di pappagalli pregiati sono spariti nel nulla senza lasciare traccia o lasciando una traccia esilissima nelle rare coppie di allevamento che oggi sono reperibili di queste specie. Si tratta di avvenimenti che, con le regole attuali, non dovrebbero più accadere. Fortunatamente. L’avicoltura merita una maggiore attenzione positiva anche da parte delle autorità preposte alla conservazione delle specie per mezzo dell’applicazione della convenzione CITES. Anche se questa convenzione è insufficiente per una efficace azione di conservazione, essa è comunque meglio che niente e gli avicoltori forniscono il loro contributo all’applicazione del trattato mettendo sul mercato un certo numero di uccelli che sostituiscono efficacemente quelli che, anche grazie ad essi, non ven-

Ancora una fotografia di una voliera di socializzazione e di esercizio al volo per gruppi di pappagalli al di fuori del periodo riproduttivo.

gono più prelevati in natura. Non va dimenticato che le popolazioni viventi in natura non sono facilmente intercambiabili con quelle nate in cattività e che pertanto sia le catture degli uccelli selvatici sia i rilasci di quelli domestici dovrebbero essere limitati al massimo, essendo prevedibile la perdita di un certo numero di uccelli nel corso di queste difficili operazioni di adattamento a un nuovo tipo di ambiente. L’avicoltura produce, in ultima analisi, uccelli domestici quali infatti oggi sono i pappagalli completamente integrati come l’ondulato e la calopsitta australiani, alcune

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Due are impegnate a pedalare su una piccola bicicletta. La capacità di risolvere problemi e di compiere esercizi di precisione dimostra chiaramente la versatilità e l’intelligenza dei pappagalli, almeno per chi non sia afflitto da una totale prevenzione di tipo dogmatico.

specie di inseparabili africani, il parrocchetto dal collare indiano e pochi altri. A causa delle scelte degli allevatori, gli uccelli domestici sono presenti in cattività con molti individui mutati (albini, isabellini, lutini eccetera) che hanno il vantaggio di essere immediatamente riconoscibili per ciò che sono ma, d’altra parte, hanno lo svantaggio di conservare un pool genetico ridotto o modificato rispetto a quello originario e anche di rappresentare troppo stesso soltanto un’ombra della bellezza della specie selvatica che

peraltro fu la causa prima della sua adozione in avicoltura. Per il resto, l’avicoltura cura la riproduzione di molte altre specie che domestiche non possono ancora essere considerate, anche se si riproducono in cattività con una certa frequenza e regolarità. Non si può negare che, nel mondo dell’avicoltura e ancor di più in quello dei suoi utenti che non allevano in prima persona, esista un certo caos, ma in quale campo tutto si svolge in modo assolutamente impeccabile senza qualche opportuna sollecitazione dal mondo preposto alle operazioni di controllo? L’esistenza di qualche personaggio distratto o magari anche di qualche mela marcia non può essere un motivo sufficiente per condannare, anche solo moralmente, tutta una categoria di individui che in effetti ama la natura ed è ansiosa di rendersi utile anche nel campo della conservazione.

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CONSERVAZIONE EX SITU

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In alto, pittura rupestre di bisonte europeo nella grotta di Altamira, nella Spagna settentrionale. Diffuso in tutto il continente europeo in tempi preistorici, il bisonte subì una progressiva diminuzione e contrazione dell’areale in tempi storici finché si estinse del tutto in natura intorno al 1918-1920. Una sorte analoga subì anche il bisonte americano in modo anche più traumatico e più rapido collegato con l’espansione dei coloni verso ovest. Entrambe le specie furono recuperate grazie alla propagazione in cattività e furono anzi il primo esempio concreto delle possibilità insite in questo tipo di approccio. Sopra, bisonte americano maschio in inverno.

uando le popolazioni delle specie selvatiche sono minacciate in modo critico, il che significa quando gli individui si contano ormai in poche decine, quando gli eventi cosiddetti stocastici, cioè casuali, possono repentinamente determinare tassi di mortalità elevati, tali da innescare una spirale di estinzione, allora la tecnica di conservazione cambia e finisce per essere sempre più simile alla pura e semplice protezione di ogni singolo individuo. In condizioni normali, la mortalità da predazione o da eventi naturali (per esempio uragani) può ancora essere considerata come parte del gioco ma, quando si ha a che fare con una trentina di individui in tutto, allora si può pensare che il problema numero uno sia quello di moltiplicare i numeri a qualsiasi costo, e che la migliore soluzione al problema possa essere la propagazione ex-situ, cioè al di fuori dal sito costituente l’ambiente naturale della specie in tal modo minacciata in modo critico. Questo punto di vista è certamente incoraggiato dai notevoli progressi dell’avicoltura negli ultimi decenni, progressi che hanno reso possibile la moltiplicazione in cattività di un notevole numero di specie di uccelli e, tra gli altri, anche di pap-

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pagalli. D’altra parte, la complessità della questione, che implica non soltanto la riproduzione ma anche il rilascio e l’ambientamento in natura di uccelli che altrimenti subirebbero un fatale destino di domesticazione, consiglia di usare molta prudenza. In primo luogo c’è da dire che un’operazione di moltiplicazione in cattività finalizzata alla reintroduzione in natura è piuttosto complessa e, per sua natura, richiede un piano, risorse dedicate, continuità di azione e un attento coordinamento centrale. Pertanto, chi si trovi

per qualsiasi motivo in possesso di specie rare e riesca occasionalmente a farle riprodurre non può e non deve illudersi di partecipare ipso facto in modo implicito a un’operazione di un tale genere. I primi salvataggi di specie in pericolo per mezzo della tecnica suddetta riguardarono grandi mammiferi, il bisonte europeo e il bisonte americano al colmo di uno spaventoso collo di bottiglia che aveva ridotto entrambe le specie da un numero iniziale di molti milioni di individui a un misero pugno di superstiti che avrebbero potuto essere contenuti in un unico recinto, una ventina in tutto in entrambi i casi. Trattandosi di animali di grande mole, che necessariamente richiedevano gli spazi di diversi zoo, gli accoppiamenti furono pianificati con grande cura e il risultato fu lusinghiero: oggi sono migliaia gli individui delle due specie ritornati a popolare rispettivamente le praterie del Nord America e le foreste dell’Europa centrale, tra Polonia e Bielorussia. Risultati interessanti sono stati anche ottenuti nel caso del cavallo di Przewalski del quale resta solo una piccola popolazione selvatica in Mongolia ma di cui esiste anche una discreta popolazione suddivisa tra vari zoo che partecipano al progetto della sua moltiplicazione in condizioni controllate. Tra gli uccelli esistono anche diversi casi. Uno dei più noti è quello dell’ibis eremita di cui rimane in natura solo una popolazione di circa 200 individui in Marocco ma di cui negli zoo e nelle collezioni private ormai si trovano letteralmente migliaia di individui. L’abbondanza di questi uccelli in cattività suggerì, alcuni anni fa, di rilasciare alcuni individui nella Spagna del sud dove si trovano ambienti molto simili a quelli che la specie frequenta in Marocco e dove la specie, con ogni probabilità, fu presente in tempi storici. Il progetto, però, fu bloccato dall’intervento di alcuni biologi “puristi” che ritenevano che qualsiasi rilascio di specie in aree dove la loro presenza storica non fosse sufficientemente documentata dovesse essere considerato a tutti gli effetti come un’operazione di introduzione di una specie esotica. Non abbiamo qui lo spazio per discutere nel dettaglio questo particolare punto di vista.

In alto, un gruppo di cavalli di Przewaaski, animali di cui rimane una piccola popolazione selvatica in Mongolia. A sinistra, ibis eremita, uccello di cui in natura ne rimangono pochi esemplari, circa 200, in Marocco, ma che è molto diffuso in cattività in migliaia di esemplari.

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Condor della California. La specie, un tempo ampiamente diffusa in Nordamerica sulle Montagne Rocciose subì un progressivo declino fino a ridursi a meno di dieci individui che, alla fine del secolo ventesimo, furono tutti prelevati per essere utilizzati per la propagazione della specie in cattività. Nonostante che le difficoltà del progetto si siano dimostrate maggiori del previsto, oggi il magnifico uccello è presente in natura negli Stati Uniti con quasi 200 individui mentre altri 150 sono collocati in vari zoo e fungono da riserva nel caso in cui si manifestassero ulteriori difficoltà. A destra, Ara di Spix tratta da Proceedings of the Scientific Meetings of the Zoological Society of London for the Year 1878, part III. La condizione di questo uccello si può paragonare a quella vissuta del condor della California. Attualmente l’ara di Spix è considerato il pappagallo più raro del mondo essendo estinto in natura ed presente in cattività con un totale di individui, attestato al giugno del 2018 in 127 esemplari.

Altro caso ben noto, diverso tuttavia sotto vari aspetti, è quello del condor della California la cui popolazione, negli ultimi anni del ventesimo secolo, si era ridotta a un totale di sei individui che avevano anche un bassissimo successo riproduttivo. Nel 1986-1987, questi ultimi sei individui furono tutti catturati e trasferiti allo zoo di San Diego per essere destinati a un programma di riproduzione in cattività, unitamente con gli altri 21 individui che già si trovavano in questa condizione. La prima parte del programma, quella riguardante la riproduzione, riuscì molto bene e ben presto i 27 individui superstiti divennero più di cento, ma i guai iniziarono quando si tentò di attuare l’operazione di reintroduzione in natura degli ingenui condor nati nelle voliere

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dello zoo di San Diego: gli uccelli non riuscivano a sopravvivere in natura, morivano avvelenati dai pallini di piombo sparati dai cacciatori e rimasti nelle carcasse abbandonate, venivano ferocemente aggrediti da aquile reali o ancora erano coinvolti in collisioni con le linee elettriche. I ricercatori dovettero quindi rendersi conto dell’importanza dell’educazione giovanile per le specie per cui sono previste cure parentali. Per modificare questa situazione, si pensò di utilizzare un tutore e, in assenza di adulti della stessa specie nati in libertà, la scelta cadde su una specie strettamente affine, il condor delle Ande, che venne utilizzato per incubare le uova in cattività, allevare i piccoli nati ed essere poi rilasciato insieme con i giovani per insegnare loro i segreti della vita in natura. Infine, si ebbero i risultati della complessa operazione: la sopravvivenza dopo i rilasci aumentò notevolmente, i condor si ambientarono e la prima nidificazione con successo in natura avvenne dopo circa un decennio, nel 2003. Nell’aprile 2009 il numero totale esistente era salito a 322 individui dei quali 172 viventi in libertà, con nidificazioni nel Big Sur (nord della California) e in Messico dove gli uccelli avevano imparato a reperire e utilizzare come cibo carcasse di otarie e di balene lungo le coste. Passiamo ora a parlare di pappagalli. Una situazione simile a quella del condor della California si presenta nel caso dell’ara di Spix, estinta in natura ma ancora esistente in cattività con una decina di individui “ufficiali” e forse una trentina “sommersi” nella clandestinità. La differenza fondamentale tra i due casi sta dunque nell’esistenza, nel caso del pappagallo, di un’ostinata categoria di detentori ricchi e spesso anche molto potenti che negano recisamente di essere in possesso degli uccelli e non partecipano affatto alle operazioni di moltiplicazione in cattività ai fini del rilascio in natura. Questa è un’ulteriore difficoltà che non esiste nel caso del condor e di altri uccelli che nessuno o quasi si sognerebbe di detenere in cattività a scopo ornamentale o di collezionismo, e non si tratta di una difficoltà da poco, si tratta di una circostanza che modifica molto la situazione. Le altre difficoltà sono le solite che si incontrano in questo genere di operazioni: difficoltà di ambientamento dopo il rilascio, progressivo e sempre maggiore adattamento alla vita in cattività (domesticazione) nel corso delle generazioni, elevati costi della riproduzione in cattività e difficoltà di mantenere l’elevato standard tecnico necessario e di reperire i fondi necessari per il lungo periodo necessario per queste operazioni.

In alto, un grande cartello che invita a visitare il centro di riproduzione in cattività dell’amazzone di St. Vincent, collocato sull’omonima isola che è anche l’unico luogo in cui si possa trovare questo raro pappagallo. La propagazione in cattività può essere un metodo utile per salvare specie in pericolo critico di estinzione purché sia collocata all’interno di un serio programma che comprenda anche la reintroduzione della specie in natura. Sotto, esemplare di amazzone di St. Vincent.

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Un altro caso abbastanza simile a quello del condor è quello dell’amazzone di Portorico la cui popolazione è attualmente ridotta a poche decine di individui in libertà e un centinaio in cattività. Le vicissitudini di questa specie derivano principalmente dalla drastica eliminazione dall’isola della foresta tropicale che un tempo ne ricopriva la maggior parte della superficie: l’habitat idoneo residuo, oggi, è appena lo 0,2% e i pappagalli sono diminuiti di conseguenza. Tuttavia, in questo caso, si è evitato di catturare anche gli ultimi individui viventi in libertà e la scelta si è rivelata giusta perché la popolazione libera è aumentata a poco a poco dal minimo storico di 13 fino agli attuali 35 individui mentre quella vivente in cattività ha dovuto anche subire anche uno strano furto che ha diminuito gli effettivi disponibili per le operazioni di riproduzione a scopo di conservazione. Oggi, le speranze si concentrano quindi su un lento aumento della minuscola popolazione libera piuttosto che su quella in cattività che finora non è riuscita a fornire grandi contributi demografici. Purtroppo, alcuni sedicenti allevatori sono disposti a pagare cifre incredibili per procurarsi in qualsiasi modo le specie più rare e minacciate. Ironicamente, se costoro riescono a ottenere la riproduzione di qualche coppia, magari ottenuta con metodi fraudolenti, immediatamente incominciano a sostenere di lavorare per la conservazione, senza alcun riguardo al fatto che un evento di riproduzione in cattività risulta chiaramente irrilevante se avviene al di fuori di un preciso programma di recupero. Qualcuno, poi, contesta tout court la moltiplicazione in cattività come metodo di recupero delle specie minacciate e, come si è già detto nel caso del condor della California, il principale motivo di queste riserve sta nella difficoltà di reintrodurre in natura i giovani privi di esperienza e di un tutore. In una rassegna del 1994 di Beck si è osservato che, su 145 iniziative di reintroduzioni in natura di animali nati in cattività, un pieno successo si è avuto soltanto in 16 casi, poco più del 10% del totale. Le cause degli insuccessi, pur varie da caso a caso, comprendevano tuttavia molti casi di mancanza di una opportuna educazione da parte dei genitori: incapacità di reperire cibo, di sfuggire ai predatori, di esibire

Nella pagina precedente, una amazzone di Porto Rico, in un’illustrazione settecentesca di François-Nicolas Martinet.

Amazzone di Portorico nel suo ambiente, nella foresta dell’omonima isola. Questa specie, con una popolazione selvatica che annovera in tutto meno di quaranta individui, è indubbiamente la più rara tra tutte le amazzoni delle piccole isole caraibiche, tutte rare e minacciate.

un corretto comportamento sociale, quest’ultimo problema legato, quasi certamente, a grossolani errori nelle condizioni di allevamento dei giovani nati. Un tipico esempio può essere fornito dal fallito rilascio in Arizona di pappagalli becco grosso nati in cattività a fronte del successo della stessa operazione compiuta con individui di cattura traslocati dal Messico. Un altro problema non trascurabile dell’utilizzo di animali nati in cattività per il rilascio in natura deri-

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Il pappagallo dal becco grosso del Messico, qui in primo piano, è stato recentemente oggetto di un tentativo fallito di reintroduzione nel sud degli USA (Arizona) dove storicamente era stato presente fino alla prima metà del secolo scorso.

va dal forte rischio di trasportare, in modo del tutto incontrollato, batteri e virus latenti che tuttavia possono diventare molto pericolosi quando vengono in contatto con animali selvatici che contro di essi non hanno avuto l’occasione di sviluppare adeguate difese immunitarie. È stato, probabilmente, a causa di questo vero e proprio inquinamento sanitario che alcuni ripopolamenti venatori hanno sortito effetti opposti a quelli sperati: in Italia potrebbero avere falcidiato le popolazioni autoctone di starna e negli Stati Uniti hanno certamente introdotto nei tacchini selvatici una forma di malaria proveniente da uccelli infetti, inopinatamente traslocati. Sempre negli Stati Uniti, le piccole popolazioni superstiti di tartarughe terrestri della Florida e di Agassiz furono contagiate da un micoplasma virulento delle vie respiratorie causato dal rilascio di individui infetti mantenuti in cattività. Nel caso dei pappagalli, si può facilmente prevedere che un tale tipo di problema potrebbe assumere un’enorme importanza data la grande varietà di patologie latenti o conclamate che questi uccelli possono presentare. In definitiva, la moltiplicazione in cattività a scopo di reintroduzione in natura dovrebbe essere considerata come un’operazione eccezionale, da mettere in atto solo quando tutte le altre possibili risorse sono state esaurite e da compiere sempre sotto l’attenta supervisione di una istituzione dedicata allo studio e alla conservazione degli animali selvatici. Il contributo dell’avicoltura alla conservazione resta quindi essenzialmente legato alla conservazione di risorse genetiche in condizioni domestiche, oltre che a un continuo stimolo al progresso della medicina veterinaria, il che comunque non è poco.

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NATURALISTI

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I

Tre pappagalli che rappresentano tre diversi continenti e due diverse dinamiche demografiche. Sopra, un’ara aliverdi in volo in un parco sudamericano. Sotto, un parrocchetto dal collare australiano colto nel Giardino botanico di Palermo. Questo uccello, abbondantissimo nella sua area di diffusione originaria, è stato introdotto in diverse città europee dove prospera. Nella pagina a fronte, un cacatua di Leadbeaters, uno tra i più belli e più rari cacatua australiani.

pappagalli, come tutti gli altri organismi viventi, sono oggetto di studio da parte dei naturalisti. I naturalisti che si occupano di studiare gli uccelli sono generalmente noti come ornitologi ma tant’è, se chiedete a un ornitologo se per caso sia interessato allo studio dei pappagalli, è facile che vi risponda di no, che essendo un ornitologo, il suo interesse è rivolto agli uccelli. Non è uno scherzo, e d’altronde abbiamo già annunciato fin dal primo capitolo che i pappagalli sono uccelli speciali. Tutti gli uccelli, in fin dei conti, lo sono ma alcuni sono più speciali degli altri. Per esempio, tutti concorderanno sul fatto che i pinguini, i kiwi, gli struzzi sono davvero molto speciali poiché nuotano come pesci o corrono come gazzelle invece di volare. I pappagalli, però, volano anche piuttosto bene, alcuni di essi come il parrocchetto di Latham, addirittura migrano. Quali reconditi problemi psicologici hanno spinto gli ornitologi moderni e contemporanei a disconoscere i pappagalli quali oggetti di studio della loro disciplina? Beninteso, non sto parlando di disconoscimento ufficiale, ma di una sorta di disconoscimento strisciante, attivo nella pratica per mezzo di un insistente passa-parola. È incredibile quanto possa essere efficace un semplice passa-parola persino nel nostro mondo basato sulla pubblicità battente ad alto costo. Il fatto è che nessuno può contrastare le mode, magari può anche contribuire, nel suo piccolo, a determinarle ma, una volta che queste si sono imposte, è ben difficile andare contro l’onda di marea. Nel mondo occidentale, ne abbiamo già parlato, la conoscenza dei pappagalli risale a tempi molto remoti. Essi arrivarono in Grecia con i Persiani e a Roma da diverse parti dell’impero. Poi scomparvero o quasi nel Medioevo per ricomparire alla grande nei primi viaggi di esplorazione delle terre extra-europee. Tuttavia, io sospetto che proprio la loro fama di “uccelli parlanti” li abbia resi decisamente scomodi e sgraditi come oggetti di studio di naturalisti che si consideravano seri e genuini, una volta che le superstizioni medioevali erano state superate. Gli scienziati in genere si affannano a precisare che i pappagalli, in realtà, non “parlano” affatto ma si limitano a imitare suoni, compresa la voce umana. Sembra quasi che queste presunte imitazioni debbano svalutare i loro autori quali degni oggetti di studio e in effetti, a parte i naturalisti-viaggiatori e i naturalisti-illustratori del Diciannovesimo secolo, i naturalisti-ornitologi studiosi di una singola specie hanno molto tardato a occuparsi di pappagalli. Uccelli maestosi e splendidi come le are, i cacatua e le amazzoni cominciano a essere seriamente studiati in natura solo nella seconda metà

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del Ventesimo secolo. Le ragioni di questo atteggiamento sono però da ricercare solo in parte nel pregiudizio popolare e para-scientifico, altre ne esistono oggettive, legate all’estrema difficoltà di seguire nel dettaglio i movimenti e le azioni di uccelli che si annoverano tra i pendolari più incredibili che esistano in natura: centinaia di chilometri al giorno percorsi, magari al di sopra della chioma di un’immensa foresta per andare a cercare il cibo e poi ritirarsi in buon ordine nei quartieri di riposo. Troppo difficile cercare di capire come trascorrono la loro giornata-tipo questi strani uccelli, molto più facile ignorarli, magari ostentando disinteresse o disprezzo nei loro confronti. Per fortuna, però, stiamo parlando di un passato che speriamo sia ormai definitivamente superato. Nell’ultimo quarto di secolo gli studi sui pappagalli in natura sono fioriti in primo luogo in Australia, poi anche in America latina e in Africa, un po’ meno in Asia. Vediamo i motivi che hanno determinato questa nuova situazione.

L’Australia, sterminati o quasi gli aborigeni nella prima fase di colonizzazione, è rimasta essenzialmente un paese anglosassone, seppur popolato inizialmente da avanzi di galera. Bene o male, tuttavia, la cultura delle origini riaffiora sempre e, nel caso in questione, riaffiorò anche l’interesse per lo studio degli uccelli. Sarebbe forse rimasto epidermico se gli uccelli, e in particolar modo i pappagalli, non avessero rappresentato nel continente nuovissimo un grave e inedito problema economico. Nessuno si aspettava che i nuovi bacini idrici artificiali costruiti per rendere possibile l’agricoltura in un clima arido avessero l’effetto collaterale di moltiplicare gli stormi dei cacatua che per l’agricoltura rappresentano una minaccia o almeno un fattore limitante. Agricoltori ma anche studiosi di ornitologia, gli australiani hanno reagito su due fronti: da un lato combattendo contro i cacatua una battaglia cruenta, dall’altro promuovendo studi sul campo delle specie considerate come più dannose per comprenderne meglio la biologia e per agire

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sperabilmente in modo molto efficace con un numero minimo di vittime. Queste speranze sono state coronate almeno in parte da successo e il galah è stato forse il primo pappagallo del mondo al quale sia stato dedicato un intero libro di carattere scientifico (Rowley 1990). Il galah resta tuttavia non solo il pappagallo più studiato ma probabilmente anche il più perseguitato, anche se la persecuzione umana sembra incidere abbastanza poco sul suo bilancio demografico. Lo studio di Rowley ha comunque accertato che essa rappresenta ancora oggi la principale causa di morNella pagina precedente il cacatua rosato, detto localmente galah: è considerato in Australia specie nociva ma, a causa di questo poco invidiabile status, è stato anche oggetto di studi accurati da parte dei ricercatori.

Un gruppo di ara rosse intente a inghiottire argilla in un parco peruviano. È probabile che questo strano comportamento sia legato alla necessità di questi uccelli di procurarsi sostanze minerali altrimenti scarse nel normale cibo di cui si nutrono.

talità della specie. Ha anche accertato che l’accanimento degli agricoltori sui galah è scarsamente giustificato e che una politica di dissuasione immediata sugli stormi che vengono a raccogliere sementi è molto più efficace dei massacri indiscriminati che sono stati messi in atto fino a pochi anni fa. Sarebbe stato sorprendente se il pionieristico studio sul galah non avesse stimolato anche lo studio di altre specie, anzitutto quelle che interferiscono con l’agricoltura, come il cacatua dal ciuffo giallo e la corella piccola, ma

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Gruppo di galah nelle acque di un fiume australiano.

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Sopra, un naturalista alle prese con un kea in Nuova Zelanda. Lo studio dei pappagalli, disprezzato per secoli come un’occupazione da baraccone, ha recuperato tutta la sua dignità e anche l’importanza degli esercizi cosiddetti “da circo” è stata rivalutata. Sotto, una coppia di are dalla fronte rossa, una rara specie boliviana che è stata oggetto di ricerche da parte del noto allevatore e studioso di pappagalli Paolo Bertagnolio di Roma.

poi anche molte altre di minore o nullo interesse agricolo come, per esempio, i cacatua neri, gli ecletti, i parrocchetti reali. Fu probabilmente l’esempio dello studio sul galah in Australia che incoraggiò alcuni naturalisti americani ad agire in collaborazione con studiosi locali in diversi paesi del Sudamerica per studiare le are, pappagalli spettacolari che, negli ultimi decenni, hanno cominciato a dare un frutto economico divenendo la principale attrazione delle escursioni mattutine del Parco Manu, in Perù, dove le si può ammirare mentre vanno a ingoiare argilla di prima mattina insieme con molte altre specie di pappagalli di taglia minore ma ugualmente spettacolari. Per saperne di più sulle are e sulle amazzoni, sono stati iniziati numerosi progetti di ricerca che sono stati anche divulgati presso il grande pubblico con articoli su riviste divulgative dotati di eccezionali fotografie. Queste sono state ottenute grazie alle notevolissime attrezzature usate per la ricerca: fili di acciaio tesi a 20-30 metri di altezza tra grandi alberi della foresta che permettono ai ricercatori di issarsi e spostarsi in quota su una sorta di carrucola per spiare i pappagalli da un osservatorio privilegiato. Questi veri e propri virtuosismi tecnici e acrobatici hanno consentito di imparare moltissimo su alcuni aspetti della vita dei pappagalli e anche di scattare foto decisamente spettacolari. Altre interessanti ricerche sono in corso in Bolivia sulla rara e minacciata ara fronte rossa, alle quali anche lo studioso Paolo Bertagnolio ha fornito interessanti contributi, ben riassunti in una pubblicazione monografica. In Africa, il corpo principale delle ricerche sui pappagalli locali si deve all’iniziativa del professor Mike Perrin dell’Università di Pietermaritzburg, Sudafrica. Diversi collaboratori di Perrin hanno studiato nel dettaglio la vita di particolari specie: il pappagallo del Capo (Wirminghaus, Downs e Symes), il pappagallo testa bruna (Taylor), il pappagallo di Rueppell (Selman), il pappagallo di Meyer (Boyes). Uno dei risultati più interessanti di queste ricerche è stato il riconoscimento del pappagallo del Capo come specie distinta dal cosiddetto pappagallo dal collo bruno che, a sua volta, è stato distinto nelle due forme, nominale e Swahili, da qualcuno già descritte come buone specie. Rimangono fuori da questo vasto studio i pappagalli non compresi nell’area sudafricana, di alcuni dei quali, peraltro, mi sono occupato con i miei collaboratori: nel 1993 vi fu un primo studio sul pappagallo dal ventre arancio nel Tarangire e circa dieci anni dopo un altro sul pappagallo cenerino in Uganda che fu anche la tesi di laurea magistrale di John Bosco

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Amuno. Nel periodo intermedio, Vincenzo Venuto (che ha condotto programmi televisivi sulla natura) analizzò in laboratorio con i metodi della bioacustica la struttura e lo sviluppo delle vocalizzazioni di diverse specie di pappagalli africani mettendo in rilievo i parallelismi funzionali tra queste e il linguaggio umano. Altre ricerche sono state condotte sempre dai collaboratori di Mike Perrin sui pappagallini inseparabili e in particolare sull’inseparabile dalle guance nere che è attualmente considerato come specie minacciata. In generale, si può ben dire che il vecchio complesso di inferiorità del potenziale studioso dei pappagalli rispetto allo studioso di un altro qualsiasi gruppo di uccelli sia stato ormai superato e che gli studi sui pappagalli siano ormai limitati più che altro dall’intrinseca difficoltà che essi presentano e, fatto non secondario, dalla strutturale mancanza di fondi ad essi dedicati. Accade infatti che persino gli enti che si occupano di conservazione degli uccelli si trovino costretti a limitare le erogazioni agli studiosi di specie minacciate a breve termine. Una tale situazione può talvolta essere frustrante perché le specie minacciate non sono necessariamente le più interessanti dal punto di vista biologico ed ecologico. Per esempio, tra gli inseparabili africani, l’unica specie ufficialmente minacciata è l’inseparabile dalle guance nere ma certamente la specie di cui si sa meno è l’inseparabile dal collare nero, l’unico inseparabile di foresta, sul quale non esiste alcuno studio e del quale nessuno è mai riuscito nemmeno a mantenere in vita individui in cattività per più di pochi giorni anche nella stessa zona di origine. Un’altra specie che meriterebbe di essere studiata in modo più approfondito è il pappagallo cenerino che, tra l’altro, è in diminuzione quasi ovunque a causa non solo delle catture ma anche della riduzione della foresta tropicale e che, come tutti i grandi pappagalli non solo in Africa ma anche negli altri continenti, effettua lunghissimi movimenti pendolari diurni per nutrirsi ma va in crisi per mancanza di siti idonei alla nidificazione. Recentemente, Lutaaya e Pomeroy hanno

Sopra, una coppia di pappagallini inseparabili dalle guance nere, uccelli su cui si sono concentrati gli sudi dei collaboratori di Mike Perrin. Sotto, pappagallo cenerino, in un parco cittadino del Sud Africa. È un argomento che merita di essere approfondito quello dello studio dell’adattamento di questi uccelli forestali al contesto urbano.

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accertato la nidificazione di una coppia in un solaio di una casa di Kampala, in Uganda. Comportamenti analoghi pare che siano stati osservati anche a Bangui, nella repubblica centroafricana, dove il pappagallo cenerino è addirittura considerato come una specie urbana. Questo argomento meriterebbe di essere approfondito per cercare di capire in quale misura questa specie tipicamente di foresta può adattarsi a vivere in ambienti nuovi, come hanno fatto nelle zone temperate altre specie di uccelli forestali che oggi frequentano parchi e giardini, per esempio il merlo in Europa. Tra i pochi enti che erogano piccole somme per lo studio dei pappagalli si annoverano le associazioni conservazionistiche ufficiali (in primo luogo WWF e Birdlife International) e inoltre alcuni zoo piccoli e grandi. Le decisioni di questi ultimi, però, sono spesso influenzate dagli orientamenti delle associazioni conservazionistiche e ne consegue la situazione abbastanza paradossale che le risorse per lo studio dei pappagalli si rendono (sempre in piccola misura) disponibili solo quando le popolazioni di questi siano mal ridotte. Speriamo che questa situazione possa essere presto modificata perché il mondo dei pappagalli, anche di quelli ancora abbastanza comuni e diffusi, ha ancora molto di nuovo da offrire alla ricerca. L’inseparabile dal collare nero in una stampa tratta da The Natural History of Parrots di Prideux John Selby (1836). Questo piccolo pappagallo è anche il più misterioso del continente africano perché non soltanto nessuno lo ha potuto finora studiare nelle fitte foreste tropicali in cui vive ma anche perché non si sono mai trovate le condizioni idonee per il suo eventuale adattamento alla cattività, con la conseguenza di non conoscere le sue abitudini di vita.

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CONCEZIONI POPOLARI

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l costruzionismo sociale è un punto di vista secondo il quale la realtà è soltanto quella dei valori, dei simboli e dei significati delle concezioni umane. Se dovessimo accettare un tale punto di vista, peraltro assai diffuso nel mondo, seppure in modo alquanto strisciante, dovremmo concludere che l’ordine degli Psittaciformi è composto da uccelli molto colorati che ripetono a vanvera le parole umane e che non fanno che disturbare le femmine delle loro specie e forse anche della specie umana. Per la gente comune, un pappagallo è un uccello vivacemente colorato, questo sì, ma d’altra parte anche stupido, chiassoso, vanesio e disgustosamente maschilista e, per quanto riguarda i pappagalli, stando ai costruzionisti sociali, non ci sarà nient’altro da dire finché la gente comune non li vedrà in un modo diverso. Per quanto la realtà, possa essere radicalmente diversa da questi preconcetti, essa rimane totalmente irrilevante per i costruzionisti sociali. In pratica,

si tratta di una nuova forma di idealismo (in senso filosofico) che, date le sue caratteristiche intrinseche, non può neppure essere confutata. Facciamo allora un passo indietro e chiediamoci: in quali circostanze si sono originate le concezioni popolari sui pappagalli? La risposta a questa domanda non è immediata perché i pappagalli non vivono in Europa e quindi la loro presenza nel nostro continente e di conseguenza anche le concezioni popolari della nostra civiltà su di essi potevano soltanto derivare da una superficiale conoscenza originata dalle occasionali importazioni. Queste si svolsero certamente, prima del fatidico anno 1492, dall’Asia e dall’Africa. Le specie interessate furono in primo luogo i parrocchetti asiatici Psittacula. Tra questi, la specie che presenta una distribuzione più estesa verso occidente è l’alessandrino (Psittacula eupatria) che, oltre che in India e in Pakistan, si trova anche in Afghanistan e che

Alessandro Magno, dettaglio della battaglia di Isso, mosaico conservato al museo archeologico di Napoli.

Cristo, fu il primo europeo che riuscì a condurre un esercito fino in India, dove venne a contatto con molte realtà sconosciute in Europa, tra le quali i pappagalli del genere Psittacula. Oltre al comune parrocchetto dal collare e al grande alessandrino, Alessandro conobbe probabilmente anche il parrocchetto dai mustacchi.

A fronte, un parrocchetto alessandrino, che deriva il suo nome comune dal grande condottiero macedone che, nel IV secolo avanti

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Due mosaici di epoca romana che presentano come soggetto il pappagallo. Il primo è a Santa Maria Capua Vetere, mentre il secondo si trova in Spagna, a Siviglia.

certamente fu conosciuto e anche importato in Grecia nel 327 a. C. da Alessandro il Macedone nel corso della sua temeraria spedizione verso oriente. Sembra peraltro che l’importazione di Alessandro Magno non sia stata nemmeno la prima perché, già nel 397 a. C., il medico greco Ctesia aveva descritto con dovizia di particolari un parrocchetto testa di prugna inviato in dono da un principe indiano al re di Persia, Artaserse II. All’uccello erano state insegnate alcune parole in una lingua indiana e altre in greco, nonostante che questi parrocchetti non siano affatto compresi tra i migliori parlatori del loro ordine. Molto più pazienti di quelli di oggi dovevano essere a quei tempi gli esseri umani addetti alle cure e all’educazione alla parola di questi uccelli che, col tempo, si costituirono in una vera e propria corporazione di addestratori specializzati al servizio dei pochi privilegiati in grado di permettersi questi costosi status symbol e i loro indispensabili maestri. Non va dimenticato, peraltro, che i pappagalli non sono gli unici uccelli potenzialmente parlanti e che già nell’antichità greco-romana, era ben nota la capacità di proferire parole dei corvi e delle gazze che, quando erano bene addestrati, spuntavano a loro volta prezzi notevoli. Purtroppo, si diffuse anche la leggenda che un pasto a base di lingue di pappagallo avrebbe potuto trasformare in un fine oratore anche un avvocato balbuziente. Per fortuna, i pappagalli erano troppo costosi perché il piatto avente come base le loro lingue o qualsiasi altra parte del loro corpo si diffondesse molto, ma è possibile che in alcuni casi sia stato effettivamente cucinato da qualche cuoco imperiale o anche al servizio di case particolarmente ricche, in banchetti straordinari. Non ci sarebbe tanto da stupirsi se una cosa del genere fosse davvero accaduta poiché, in tutte le società umane, la superstizione e la stoltezza vanitosa hanno sempre prevalso sulla cultura e sulla moderazione. Scrive infatti Plinio nella sua zoologia: “Famoso è, a questo proposito, il piatto di Clodio Esopo, attore tragico valutato centomila sesterzi, nel quale egli pose uccelli che cantavano o che imitavano il linguaggio umano, costati seimila sesterzi l’uno; quell’uomo non fu spinto da nessun’altra attrattiva se non di mangiare in questi uccelli un’imitazione dell’umanità, senza alcun rispetto per quelle grandi ricchezze che pure aveva guadagnato con la sua voce”. Peggio ancora, quell’uomo era uno spaccone che voleva dimostrare di essere in grado di sprecare nel modo più stupido possibile le più pregevoli risorse naturali e culturali che le sue grandi ricchezze gli potevano offrire. Per fortuna, egli stesso rappresentava una mostruosa rarità e in generale, a Roma i pappagalli erano altamente apprezzati in vita e pianti amaramente dopo la morte. Così almeno ci viene fatto di pensare leggendo l’elegia del poeta Ovidio scritta in morte di un meraviglioso parrocchetto di proprietà di un suo caro amico.

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Nel corso delle loro esplorazioni africane, i romani attraversarono deserti, savane e foreste, raggiunsero anche le coste dell’Africa occidentale e dalle terre che si affacciavano su quel lontano oceano forse importarono nell’Urbe anche il pappagallo cenerino che, con la sua straordinaria facilità di apprendimento di suoni, fischi, canti e parole, dovette indubbiamente sbalordire i cittadini della capitale, abituati alle più modeste prestazioni vocali dei parrocchetti asiatici. Tutto fu dimenticato, tuttavia, dopo la caduta dell’impero, quando l’Europa intera piombò nel caos e di pappagalli non si sentì più parlare fino ai tempi dell’imperatore-ornitologo Federico II di Svevia (1194-1250). Questi, attraverso i suoi fitti rapporti con gli arabi, non solo riportò in Europa, per la sua vasta collezione di animali esotici, i parrocchetti asiatici, ma a quanto pare fu anche il primo a importare alcuni cacatua, presumibilmente indonesiani (Cacatua sulphurea), attraverso l’impero cinese dove questi uccelli dovevano essere ben conosciuti. Se ne trova, infatti, una chiara menzione anche nell’opera di Marco Polo che, citando la grande varietà di pappagalli

A sinistra l’imperatore Federico II di Svevia fu probabilmente il primo europeo che conobbe i cacatua che importò dalla Cina. Il notevole zoo personale dell’imperatore viaggiò con lui, perlomeno nei grandi spostamenti dalla Sicilia alla Germania e viceversa e poi alla Puglia dove trascorse gli anni della maturità. A destra, bestiario medievale in cui è raffigurato un pappagallo.

reperibile nella Cina dei suoi tempi, parla anche di una specie bianca dotata di ciuffo che presumibilmente era un cacatua importato dall’Indonesia su navi di pescatori malesi. Nel 1402, quando i Francesi raggiunsero le isole Canarie, vi ritrovarono allo stato domestico non soltanto i canarini ma anche i pappagalli cenerini che evidentemente vi venivano regolarmente importati dalla vicina Africa occidentale. A partire da quei tempi, dunque, anche questa specie incominciò a diffondersi nelle più ricche case d’Europa con risultati vocali quasi incredibili. Sembra, infatti, che ai tempi del papa Martino V, un cardinale veneziano abbia pagato ben cento pezzi d’oro per un pappagallo cenerino al quale era stato inse-

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gnato il Padre Nostro dall’inizio alla fine. Si noti anche che l’atteggiamento della chiesa cattolica nei confronti di questi straordinari uccelli parlatori appare, a quei tempi, improntato da un sincero sentimento di contemplazione religiosa nei confronti dell’opera divina: un pappagallo che parla è più vicino all’uomo, e quindi anche a Dio stesso, di ogni altra creatura terrestre che non possiede questa mirabile dote; perciò il cardinale che spende una fortuna per un uccello di tali caratteristiche non è affatto uno sprecone ma un religioso ammiratore dell’opera della creazione. Le successive importazioni di nuovi pappagalli riguardano le specie più vistose esistenti sulla Terra, le are e le amazzoni del Nuovo Mondo repentinamente scoperto nel 1492 grazie alla spedizione di Cristoforo Colombo finanziata dalla regina Isabella di Castiglia. Colombo e i suoi uomini non dovettero faticare molto per procurarsi i pappagalli vivi dato che li trovarono già in stato di domesticità e probabilmente anche parlanti nelle capanne degli indigeni antillani e caraibici che

Natura morta seicentesca con pappagallo del pittore fiammingo Jan Davidsz de Heem.

sapevano anche come nutrirli e mantenerli in buona salute. È anche possibile che, tra le specie che la spedizione importò nella Spagna di quei tempi ve ne siano state alcune oggi estinte, come l’ara di Cuba, oppure attualmente minacciate in modo critico come l’amazzone imperiale di Dominica. A partire dal Sedicesimo secolo, le sempre più frequenti spedizioni di esplorazione del pianeta consentono a poco a poco di presentare al pubblico un numero crescente di nuove specie di pappagalli che vengono anche importati in piccolissimi numeri, rimanendo tuttavia oggetti esotici destinati a un pubblico ristrettissimo e molto facoltoso e sui quali incomincia a nascere una vera e propria mitologia. Si fa strada e si consolida la convinzione che la capacità di questi uccelli di imitare le parlate umane sia un curioso scherzo di natura che peraltro si manifesta soltanto in condizioni domestiche e non in natura dove i pappagalli si esprimono unicamente per mezzo di suoni sgraziati e discordanti. Questa nuova mitologia che potremmo definire “urbana” si articola ulteriormente e si complica con nuove convinzioni popolari destinate a rassicurare gli esseri umani sulla permanenza del loro primato sulla natura: i pappagalli sono uccelli stupidi che ripetono a vanvera ciò che non capiscono assolutamente, sono anche uccelli chiassosi, falsi, inaffidabili, vanitosi e traditori, come si può ben arguire dalla forma arcuata e aquilina del loro becco. La cattiva fama dei pappagalli si consolida, paradossalmente, anche a causa del prezzo elevato che generalmente deve essere pagato per ottenerne un esemplare di qualsiasi specie. L’invidia che, a torto o a ragione, spesso colpisce chi ha molto danaro viene dunque estesa ai soggetti viventi che questo danaro può comprare, in primo luogo ai pappagalli che già di per se stessi non godono presso il pubblico di una reputazione intellettuale e morale particolarmente buona. La calunnia viene architettata e propagata contro una strana categoria di uccelli che si comporta in modo da mettere in dubbio le convenzioni dogmatiche nelle quali tutti noi siamo stati allevati. Beninteso, i pappagalli possono fare buona mostra di sé nella voliera di uno zoo o su un trespolo sistemato in un bel salotto di gente facoltosa, ma non possono e non devono pretendere di essere considerati qualcosa di più che stupidi uccelli che ripetono parole che non capiscono affatto. All’inizio del ventesimo secolo nasce una particolare scuola di etologia – quella dei cosiddetti behavioristi – dedita, tra l’altro, a combattere la pretesa di ritrovare elementi di capacità cognitive in specie non umane ma, al tempo stesso, nasce anche una scuola cognitiva che persegue fini intellettuali esattamente opposti. Quest’ultima viene dapprima allontanata dai convegni di categoria, poi riesce a farsi accettare nell’ambito degli studi sul comportamento come tendenza minoritaria e

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infine, grazie alla sua ferma dedizione alla causa dell’intelligenza della natura, a poco a poco guadagna consensi e sfocia in una sorta di nuovo mare della Tranquillità dove le sue affermazioni rivoluzionarie diventano, a poco a poco, ovvietà largamente condivise. Però, la gente comune non si accorge di questa rapida evoluzione e continua a considerare i pappagalli come aveva sempre fatto nel passato, uccelli buffi e simpatici magari ma probabilmente stupidi. Ai pappagalli di tutto questo non importa affatto perché anche ammettendo che siano veramente dotati di capacità cognitive, nessuno potrà pretendere che lo siano fino al punto di pretendere anche di godere di una buona reputazione. Qualcuno, però, sul versante opposto della testardaggine, non ha accettato neppure questi ovvii limiti e ha prodotto un delizioso film che racconta le avventure di Paulie, un malcapitato conuro dalla testa blu che, dopo essere diventato l’amico inseparabile di una bambina che tarda a imparare a parlare, viene brutalmente separato dalla piccola e affronta diverse avventure

con malviventi, saltimbanchi, scienziati immorali e bugiardi e una saggia e deliziosa vecchietta. Infine, ritroverà la sua amica di un tempo che, nel frattempo, è diventata una bella ragazza capace di apprezzare le doti del bravo giovane che le riporta il suo amato pappagallo. Paulie è un pappagallo di una incredibile sagacità: conversa tranquillamente con il bravo giovane che lo aiuta ma emette solo suoni sgradevoli quando il solito scienziato malvagio tenta di esibirlo al pubblico come un fenomeno da baraccone. Il film difende il concetto di benessere degli animali in generale e inoltre sembra anche appoggiare la tesi delle capacità cognitive dei pappagalli, anche se su questa via esagera, peraltro prudentemente suggerendo allo spettatore che il caso di Paulie sia unico o assolutamente speciale. Si tratta, comunque, di uno spettacolo altamente godibile per chi condivida le tesi dell’etologia cognitiva e ritenga che, per renderne comprensibili i concetti fondamentali al grande pubblico, possa essere accettabile ricorrere anche a esagerazioni.

A sinistra, un’immagine di un esperimento di Skinner, archetipo dello scienziato che nega ostinatamente che gli animali possano fare qualcosa di diverso dal fornire un’adeguata risposta a uno stimolo. Forse è stata la persistente e ottusa negazione dei sentimenti degli animali degli skinneriani (behavioristi) che ha ispirato diversi creatori di film per bambini che, presentando personaggi scientifici, attribuiscono loro regolarmente una straordinaria ottusità e incapacità. Più in basso, la locandina del film su Paulie, il conuro a testa blu che parla troppo e si mette nei guai.

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A sinistra, una pagina del giornalino a fumetti degli anni Cinquanta “Il monello” con le figure dei protagonisti di una delle storie a puntate. Al centro del fumetto appare il marinaio Conterios con il suo fido Geremia che, a prima vista, potrebbe essere classificato come ara militare (foto in basso), una delle più belle specie del genere Ara, diffusa sulle sierre messicane. Sotto, una bambina alle prese con un pappagallo. I pappagalli sono riconosciuti come animali da compagnia di primo merito già da millenni ma, incredibilmente, questo riconoscimento non è andato di pari passo con l’approfondimento delle conoscenze sulle loro facoltà mentali. Ancora oggi, i pochi studi che stanno capovolgendo le classiche e consolidate concezioni su questi uccelli rimangono patrimonio di una piccola minoranza di membri della perennemente scettica comunità scientifica. Con simili maestri, non c’è da stupirsi del persistente scetticismo dell’uomo della strada.

A ben pensarci, il film Paulie non è stato nemmeno il primo prodotto di comunicazione ad avere affrontato il tema delle capacità cognitive dei pappagalli. Negli anni ’50, in Italia, il settimanale di fumetti «Il Monello» pubblicava, tra le altre, una storia a puntate dal titolo “Forza, John” nella quale compariva, tra gli altri, anche un inossidabile e invincibile marinaio presumibilmente sudamericano di nome Conterios che era regolarmente accompagnato da un’ara militare di nome Geremia in grado di parlare in modo interattivo e anche di partecipare a modo suo a pericolose azioni contro criminali. In una delle tante storie pubblicate, Geremia sorvolava il campo dei nemici per sganciare su di essi alcune bombe lacrimogene che ne provocavano lo scompiglio facilitando il successivo attacco da parte di Conterios, John e compagni. Forse anche a causa di queste letture, più tardi fui in grado di affrontare senza preconcetti di sorta il tema delle capacità cognitive dei pappagalli e di contribuire a demolire senza esitazioni una mitologia calunniosa che appariva ormai sempre più vecchia e consunta.

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ARTISTI

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L

a generale ammirazione di cui godono i pappagalli non è certo basata sulla loro voce aspra, acuta e talvolta anche difficile da sopportare ma piuttosto sul loro piumaggio, spesso talmente splendido da evocare straordinari tesori naturalistici di terre lontane e favolose. Non c’è da stupirsi che, nel corso della storia dell’illustrazione naturalistica, i pappagalli siano stati spesso considerati come soggetti privilegiati. È anche vero, però, che, se oggi esistono bellissime tavole pittoriche, che illustrano gli uccelli e, tra essi, anche i pappagalli, nel passato non è stato sempre così; le descrizioni degli animali e delle piante furono per molto tempo piuttosto nebulose e fantasiose e, analizzando attentamente le prime tavole realizzate per un trattato di zoologia, per esempio quelle famose di Ulisse Aldrovandi (15221605), che pure costituiscono un immenso passo avanti rispetto al passato, spesso si fatica a identificare con

certezza la specie di cui si tratta. Così non è, tuttavia, per l’immagine di Teodoro Ghisi (uno dei numerosi illustratori che lavoravano per l’Aldrovandi) pubblicata nel volume I raffigurante un non meglio definito Psittacus minor viridis che appare uniformemente verde con becco rosso e coda lunga: dovrebbe trattarsi del parrocchetto dal collare indiano, un uccello abbastanza conosciuto anche in Europa a quei tempi, anche se del collare nell’immagine non c’è traccia. Lo sforzo dell’Aldrovandi di superare la fase aristotelica della zoologia sistematica dovette comunque essere poderoso se il suddetto, nel 1549, arrivò a essere arrestato sotto accusa di eresia e fu quindi tradotto a Roma nelle carceri dell’Inquisizione dove tuttavia, per sua fortuna, rimase soltanto per due mesi. Ne uscì ben deciso a continuare la sua opera ma anche a evitare di rischiare la pelle; perciò abbandonò gli studi di filosofia e continuò a dedi-

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carsi anima e corpo alla storia naturale, senza più farsi tentare in alcun modo dalle inevitabili riflessioni che la progressiva caduta della reputazione di Aristotele forse aveva messo in moto nella sua mente. Dovette trascorrere più di un secolo perché potesse emergere una nuova figura di naturalista, quella di una sorta di studioso, illustratore e avventuriero vagante in territori prima sconosciuti in cerca di nuovi oggetti da descrivere, possibilmente meravigliosi per forme, colori o per abitudini straordinarie. La figura emblematica di una tale stagione dell’arte e della scienza è, con pochi

dubbi, Mark Catesby (1683-1749), un inglese che, ben presto rimasto senza un centesimo, emigrò in Virginia dove si era stabilita già sua sorella, e si pose a disposizione di un ricco patrono, William Sherard, che gli finanziava viaggi intesi alla raccolta di piante del nuovo mondo ancora da descrivere. L’attività di Catesby in questo campo fu talmente intensa che ancor oggi le sue collezioni formano il nucleo principale dell’erbario di Oxford, ma il nostro intraprendente emigrante lavorava anche in proprio conducendo accurate osservazioni sulla vita degli animali che intendeva raggruppare insie-

Qui e nella pagina precedente, 4 illustrazioni tratte dal volume Illustrations of the Family of Psittacidae, or Parrots. Da sinistra a destra, rispettivamente: ara giacinto; lorichetto variopinto; parrocchetto capirosso; cacatua ciuffogiallo.

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me con quelle sulle piante in un futuro libro sulla storia naturale della Carolina, Florida e isole Bahama. Questo fu infine pubblicato in fascicoli tra il 1731 e il 1748 e il risultato finale fu una splendida opera con oltre 200 incisioni acquerellate tra cui, in questa sede, è opportuno notare in modo speciale l’immagine di un parrocchetto della Carolina raffigurato su un ramo di cipresso calvo, intento a mangiarne i frutti. La specie, destinata a essere perseguitata fino alla totale estinzione, avvenuta nel 1914, appare qui ben riconoscibile, con il suo corpo verde, la testa gialla e la faccia arancione, come una sorta di conuro endemico di un’area molto distaccata a nord rispetto a quella dove vivono tutti gli altri rappresentanti del gruppo. Quella di Catesby è la testimonianza più antica oggi esistente sull’unico pappagallo storicamente esistito nel territorio degli attuali Stati Uniti d’America. Va notato che Catesby, per ridurre le notevoli spese della parte iconografica della sua opera, provvide personalmente non solo a realizzare i disegni preparatori ma anche a inciderli sulle tavole di rame e, a tale scopo egli prese lezioni da uno dei maggiori calcografi del tempo, Joseph Goupy, che era di pochi anni più giovane di lui. Gli acquarelli originali da cui Catesby produsse le sue tavole sono ancor oggi conservati presso la Royal Library di Windsor, nel Regno Unito. Grande fu indubbiamente l’influenza di Catesby sui naturalisti contemporanei o che vissero nel periodo appena seguente, non escluso il grande Jean Louis Leclerc, conte di Buffon (1707-1788) che ritenne a sua volta necessario dotare di adeguate illustrazioni il suo monumentale trattato di zoologia dato alle stampe nel corso di quattro decenni, dal 1749 al 1789. Il conte curava molto lo stile della scrittura, tanto che gli si attribuisce il motto “le style est l’home même” che peraltro gli costò la disapprovazione dei contemporanei che, pur lodando la sua opera, fecero notare la preminenza scientifica del lavoro di Linneo (1707-1778), naturalista svedese suo contemporaneo che, senza tanto preoccuparsi dello stile, inventò tuttavia il moderno sistema di classificazione binomia. Immagini di pappagalli che compaiono nella nota opera zoologica del Buffon (1707-1788), la prima enciclopedia realmente completa sulla vita ai suoi tempi nota degli animali. I pappagalli raffigurati sono: a sinistra, il cacatua bianco e dal ciuffo giallo, corella comune e lead beater; al centro, lori testanera e lori dal ventre purpureo, due specie definite dal Buffon lori cremisi e lori rosso; a destra, ara rossa e ara militare; amazzone testa bianca e amazzone testa gialla.

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Il primo naturalista e ornitologo che sentì la necessità di utilizzare il nuovo sistema linneiano per classificare gli uccelli fu forse John Latham (1740-1837) che giustamente è meglio noto come ornitologo piuttosto che come artista. Il suo lavoro più importante è un’opera in dieci volumi dal titolo A general history of birds che fu completato nel 1824 e che non solo è illustrato con tavole di suo pugno di esecuzione non straordinaria, ma contiene anche la descrizione di molte nuove specie esotiche delle quali egli veniva a conoscenza per mezzo di una fitta corrispondenza con naturalisti e artisti resi-

denti un po’ dappertutto. Specialmente utili gli furono sir Joseph Banks (1743-1820) che, tra il 1768 e il 1771, aveva viaggiato con il capitano Cook e che era quindi in possesso di ricche collezioni ornitologiche, nonché un oscuro deportato in Australia, Trevor Watling, che gli spediva i disegni dei numerosi uccelli che osservava intorno a sé. Il nome di Latham viene oggi ricordato non solo in molte specie ma addirittura in un genere di pappagalli, il Lathamus discolor che è una specie decisamente insolita quasi a metà tra i parrocchetti e i lori che nidifica in Tasmania e sverna nella mainland australiana, un bellissimo uccello di colore verde splendente con macchie rosse e blu sulla testa e sulle ali. Quasi in contemporanea con la monumentale opera di Latham uscì a Parigi nel 1801-1805 una particolarissima opera in due volumi in-folio a firma di François Levaillant con 145 tavole di Jacques Barraband sulla Histoire Naturelle des Perroquets (Storia Naturale dei pappagalli) che, salvo errori, è la prima opera illustrata dedicata interamente ai pappagalli. Sia l’autore dei testi sia l’illustratore di questa magnifica e oggi rarissima opera furono personaggi decisamente fuori dal comune. Il Levaillant (1753-1824) in giovane età aveva compiuto diversi viaggi di esplorazione in Africa meridionale, da uomo maturo si era dato al collezionismo e al commercio di esemplari naturalizzati di fauna nonché alla stesura di diari autobiografici sui suoi viaggi e alla compilazione di accurate e costose monografie. Il suo nome è rimasto legato a numerose specie di uccelli, per esempio il francolino di Levaillant, il corvo di Levaillant, il cuculo di Levaillant. Dal canto suo, il Barraband (1767-1809) fu un artista specializzato nelle decorazioni floreali e naturalistiche che si dedicò anche a dipingere le porcellane di Sèvres e altri oggetti come arazzi con fiori, frutti e uccelli, ma purtroppo morì a soli 42 anni. La particolarità delle incisioni di Barraband è che su di esse l’artista utilizzava diversi inchiostri di vari colori, talvolta fino a sei, invece del solito nero. Questa particolare tecnica conferisce al soggetto un aspetto alquanto vaporoso che viene ulteriormente aumentato dall’aggiunta di acquerelli dello stesso colore sul disegno ottenuto con gli inchiostri. Nonostante tutto, l’opera del Barraband oggi è considerata più come

Calyptorhynchus in un disegno di Edward Lear, da The Natural History of Parrots di Prideux John Selby

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decorazione che come illustrazione naturalistica. Per ironia della sorte, il suo nome è rimasto tuttavia legato a un pappagallo sudamericano poco conosciuto dal grande pubblico (Pionopsitta barrabandi). La successiva opera dedicata, se non esclusivamente, perlomeno in buona parte ai pappagalli è uno dei volumi della Naturalist’s Library di sir William Jardine (1800-1874) dedicato ai Pigeons and Parrots cui contribuì anche il suo socio e fedele amico e compaesano scozzese John Prideaux Selby (1788-1867) rimasto noto soprattutto per le sue splendide immagini di uccelli pubblicate in 19 fascicoli tra il 1821 e il 1834 con il titolo di Illustrations of British Ornithology. Secondo molti esperti il lavoro di Selby fu a suo tempo oscurato dalla straordinaria fama raggiunta dal contemporaneo John James Audubon (1785-1851) con la pubblicazione del suo Birds of America, ma tra i due scozzesi e l’americano corre una grande differenza perché l’Audubon fu un avventuriero intenzionato a emergere e dotato di un grande senso degli affari mentre Selby e Jardine furono due gentiluomini determinati soprattutto a lavorare in pace per il progresso dell’ornitologia. Per quanto riguarda i pappagalli, l’opera dell’Audubon è rilevante per la sola tavola del parrocchetto della Carolina che, ai suoi tempi, prosperava ancora nelle foreste fluviali della Carolina e della Florida mentre il nome del Jardine, oltre che per il suddetto volume, è rimasto legato al pappagallo africano Poicephalus gulielmi da lui descritto e dedicato nel 1849 al figlio William che, tuttavia, portava il suo stesso nome. Tornando ai parrocchetti della Carolina di Audubon bisogna notare che nella relativa immagine ne appaiono ben sette dei quali uno in piumaggio giovanile, senza traccia del giallo sulla testa. Il momento massimo nell’illustrazione dei pappagalli nel secolo decimo nono può essere però considerato quello della pubblicazione del famoso Birds of Australia di John Gould (1804-1881). Costui fu un autentico manager dell’ornitologia e della iconografia ornitologica che produsse, nel corso della sua vita, un totale di 41 volumi contenenti quasi 3000 litografie raffiguranti uccelli d’Europa, Asia, Australia e inoltre monografie sui tucani, sui colibrì e molto altro ancora. Lavorava

In alto, un parrocchetto codanera e un parrocchetto di Barraband in un disegno di James Whitley Sayer. In basso, illustrazione di Henrik Gronvold da Extinct birds.

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Pagine iniziali da The Natural History of Parrots di Prideux John Selby.

sia con la moglie Elizabeth Foxen sia con Edward Lear (1812-1888), un singolare personaggio che, oltre a dipingere uccelli e a produrre in proprio un bel volume di Illustrations of the family of Psittacidae, si dedicò anche a molte altre disparate attività e infine se ne andò vagabondo nei paesi del Mediterraneo in cerca di sole e

di nuovi amici per migliorare la sua salute fisica e psichica. Il Bonaparte gli volle dedicare una rara specie di ara da lui descritta nel 1856 (Anodorhynchus leari) Per raccogliere informazione e schizzi per la sua opera australiana, John Gould si recò sul posto per un paio d’anni, dal 1838 al 1840. Visitò prima la Tasmania, poi il Nuovo Galles del Sud, poi i dintorni di Sydney e poi ancora l’Australia meridionale lavorando non solo sul campo ma già alla redazione dell’opera il cui primo

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volume infatti uscì solo tre mesi dopo il suo rientro in patria. L’alto patronato della regina Vittoria e del principe consorte Alberto insieme con la grande bellezza delle illustrazioni facilitò la raccolta di sottoscrizioni nell’ambiente nobiliare col risultato di facilitare l’uscita di ulteriori volumi. Purtroppo la signora Gould morì poco dopo il rientro della coppia in Inghilterra e le mansioni di litografo da lei svolte furono allora affidate al giovane Henry Richter che continuò diligentemente a tradurre su lastra dei disegni preliminari del maestro. L’opera di Gould contiene alcune delle più belle immagini del tempo di pappagalli australiani, splendidamente ambientati e sempre raffigurati in coppia per mostrare le differenze di piumaggio dei due sessi o, quando queste fossero inesistenti, immagini riprese da diversi punti di vista della specie in oggetto. Al famoso ornitologo, collezionista e illustratore furono dedicate da vari naturalisti ben quattro diverse specie di uccelli, una tangara, un occhialino, un tucano e un colibrì mentre a sua moglie fu dedicata dal Vigors nel 1831 una nettarinia himalayana. Lo stesso John Gould, nel 1844, dedicò infine alla

A sinistra, tavola di François Levaillant, da Histoire naturelle des perroquets, di Jacques Barraband, vol. 2 (1801). A destra, cacactua solforato, in un’illustrazione di Edward Lear.

memoria della moglie da poco scomparsa l’estrildide più bello di Australia e forse del mondo che è infatti denominato Chloebia gouldiae (come anche la nettarinia del Vigors e non gouldi o gouldii come le altre quattro specie) e deve quindi essere denominato in lingua italiana diamante della signora Gould. Resta da dire qualche parola sull’attività dei pittori contemporanei. Qui si rimane in imbarazzo sul giudizio da esprimere a causa delle bellissime tavole che spesso illustrano queste opere, per esempio quelle di Martin Woodcock e di altri pittori che illustrano una grande opera scientifica come The birds of Africa edito da Fry, Keith e Urban, tanto per citare una serie di libri di grande formato, dove la parte iconografica appare di grande importanza. O meglio, si rimarrebbe in imbarazzo se non si fosse mai potuta ammirare qualcuna delle opere straordinarie di quella che, a mio

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Uno studio di Elizabeth Butterworths di vari piumaggi di amazzoni. Si distinguono: amazzone dalla nuca gialla, amazzone fronte blu, amazzone di Dufresne, amazzone a redini rosse. Nella pagina seguente, Amazzone fronte blu.

modo di vedere, è la massima pittrice contemporanea di pappagalli, Elizabeth Butterworth. Questa straordinaria signora inglese studiò al Royal College of Art dove al suo talento fuori dal comune poté unire una perfetta tecnica.

Iniziò a dipingere pappagalli nel 1973 e organizzò la prima mostra al Fischer Fine Art di Londra nel 1978. Tutti i suoi quadri si vendettero immediatamente e l’immediato riconoscimento della pittrice incoraggiò opere più impegnative quale una recente monografia sui pappagalli del genere Amazona i cui testi sono stati scritti da Rosemary Low, una delle maggiori allevatrici ed esperte di pappagalli. L’opera della Butterworth può essere anche ammirata al Museum of Modern Art di New York e alla collezione de Beers di Londra.

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APPENDICE

I nomi dei pappagalli

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Quando si dice pappagalli ci si riferisce in modo univoco all’intero ordine degli Psittaciformi, 348 specie suddivise in 81 generi. Inoltre, come si è già più volte ripetuto, ci si riferisce a una gamma assai vasta di forme e di taglie, dai minuscoli pappagalli pigmei della Nuova Guinea che misurano appena 10 cm e pesano meno di 10 grammi fino alle are giacinto del Brasile che, con la loro lunga coda, arrivano circa a un metro e, per il peso, fino al kakapo della Nuova Zelanda il cui maschio raggiunge i tre chili e mezzo. L’intero gruppo è, per molti versi, unico nella sua classe ed è stato ben dimostrato che le specie che ripetono parole umane sanno bene ciò che dicono. I nomi volgari che comunemente circolano per l’ordine Psittaciformi sono: pappagallo, lori, lorichetto, cacatua, parrocchetto, rosella, inseparabile, loricolo, ara, conuro, pappagallino, tui e amazzone. Vi sono inoltre altri nomi particolari riservati a una o poche specie: calopsitta, kea, kaka, guajabero, ecletto, kakariki, kakapo, vasa, caicco. La parola latina per pappagallo è Psittacus e con questo nome Linneo aveva indicato il genere di numerose specie di pappagalli. Poi, quando i generi vennero moltiplicati ritenendo troppo grossolana la classificazione originaria di Linneo, fu necessario scegliere quale particolare specie dovesse godere di questa importante priorità in lingua latina e quindi a quale specie spettasse il titolo di pappagallo per antonomasia. Il risultato fu che il titolo di Psittacus rimase soltanto al pappagallo cenerino, il pappagallo africano argentato con la coda rossa che è ben noto come ottimo “parlatore” e la conseguenza di questa attribuzione è che in italiano il titolo di “pappagallo” dovrebbe spettare (oltre che in senso generale a tutti i rappresentanti del gruppo) in senso più particolare innanzi tutto ai pappagalli africani, in secondo luogo a tutti quelli a corpo compatto e coda corta che ad essi assomigliano, siano o no africani. Pertanto viene denominato pappagallo del Capo il sudafricano Poicephalus robustus che ha una struttura simile al cenerino e pappagallo ventrearancio l’africano dell’est Poicephalus rufiventris che è ancora una specie a coda corta anche se più piccola. Andando fuori dall’Africa, parliamo di pappagallo testablu per il sudamericano Pionus menstruus e ancora di pappagallo bruno, pappagallo dell’imperatore Massimiliano, pappagallo alibronzate etc per tutti i suoi congeneri che hanno una struttura molto simile e anche per molti altri pappagalli come Pionopsitta, Gradydiscalus etc. Tuttavia, in America centro-meridionale, troviamo anche un importante gruppo di pappagalli “compatti” prevalentemente verdi, di forma e taglia assai simile al cenerino, cui spetterebbe a pieno titolo il nome di “pappagallo” ma che invece ha ricevuto il nome di “amazzoni”, termine chiaramente derivante dal genere Amazona che si riferisce al bacino amazzonico nel quale si trovano diverse specie di questo gruppo. Nella stessa area geografica vivono le due specie di caicchi (genere Pionites), altro nome stavolta di origine locale per altri pappagalli compatti peraltro di taglia minore e di colori molto attraenti. Tra gli asiatici il titolo di pappagallo spetta senz’altro ai Tanygnathus e Geoffroyus che sono piuttosto compatti e prevalentemente verdi. Non viene invece usato per una specie neoguineiana a questi abbastanza vicina, l’ecletto (Eclectus roratus), che forse si chiama così per il suo “eclettismo” dato che presenta un dimorfismo sessuale estremo, con maschi verdi e femmine rosse. In Nuova

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Guinea, peraltro, il titolo è alquanto abusato dato che lo detiene il pappagallo di Pesquet, uccello di grossa taglia vagamente simile a un piccolo avvoltoio rosso e nero che indubbiamente è una delle specie più strane e fuori dal comune per la quale sarebbe utile ripescare qualche nome indigeno (che peraltro dovrebbe essere ben noto). Per altro verso lo detengono i pappagalli del genere Psittacella, di taglia modesta come del resto anche l’asiatico Psittinus cyanurus che, tradotto letteralmente dal latino, dovrebbe suonare come “pappagallino dalla coda blu” (ma in realtà il blu è sul groppone). Del resto, anche Psittacella è un diminuitivo che, in teoria, dovrebbe essere tradotto come “pappagallina”. Nomi indigeni che vanno benissimo perché indicano specie ben diverse da tutte le altre sono invece il mascareno vasa e i neozelandesi kea, kaka, kakapo e kakariki. Il termine pappagallo è anche usato per altri pappagallini veramente piccoli e delicati quali i pappagalli pigmei (Micropsitta) e i pappagalli dei fichi (Cyclopsitta e Psittaculirostris) ancora una volta neoguineiani, il che, nel primo caso, mi sembra una scelta obbligata perché l’aggettivo “pigmeo” fa pensare di per sé a qualcosa ancora più piccolo di un “pappagallino”, nel secondo caso è una scelta giustificata dalla tradizione, per breve e modesta che sia. Più complesso il caso dei pappagalli coda a racchetta (Prioniturus) delle isole dell’Asia orientale che, avendo una coda non solo a racchetta ma notevolmente lunga, dovrebbero in teoria rientrare tra i parrocchetti dai quali però differiscono notevolmente per altri versi. Potrebbe essere una buona idea, anche per abbreviare i loro nomi, indicarli unicamente come “coda a racchetta”, così per esempio il pappagallo coda a racchetta dorsodorato (Prioniturus platurus) diventerebbe coda a racchetta dorsodorato che suona decisamente meglio. Naturalmente a scapito della chiarezza per chi non sa di che uccello si tratti o addirittura se si tratti di un uccello o di una farfalla ma, si sa, nella vita non si può mai ottenere tutto e il contrario di tutto in contemporanea. Quanto ai “compatti” australiani e oceanici, essi differiscono da tutti gli altri “pappagalli” per essere dotati di ciuffo e sono tradizionalmente denominati “cacatua” da un nome aborigeno e da taluni ornitologi addirittura separati in una famiglia a sé stante. Fa eccezione una specie particolare ciuffata di piccola taglia che è lunga e snella e ha una coda lunga come un parrocchetto. Questo delizioso uccello che è ormai ampiamente diffuso come animale domestico ha ricevuto il nome di calopsitta che vuol dire (dal greco) “bel pappagallo”. In inglese si chiama cockatiel che significa letteralmente “piccolo cacatua” o forse “cacatuino”. Un altro gruppo di pappagalli “compatti” a coda corta è quello degli africani Agapornis che però sono di piccola taglia, non superando una cinquantina di grammi di peso. Questi uccelletti sono stati denominati “Inseparabili” ed è vero che sono monogami e molto affettuosi nei legami di coppia ma non più di molti altri pappagalli. Più esatto, anche se magari più banale, sarebbe stato denominarli “pappagallini” o “pappagalletti”, nome che dovrebbe essere comunque usato per i loro quasi-equivalenti centro-sud americani dei generi Bolborhynchus, Forpus e Brotogeris. Così Bolborhynchus lineola è pappagallino barrato (e non parrocchetto barrato), Forpus xanthops è pappagallino facciagialla, Brotogeris jugularis è pappagallino tovi. Tornando per un momento agli Agapornis, è curiosa una sorta di disputa letteraria tra zoologi che talvolta considerano questo nome come maschile, talvolta come femminile e quindi scrivono, per esempio Agapornis personata o A. personatus

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rimbeccandosi tra loro con molto calore. Ciò accade perché la parola Agapornis è un termine greco latinizzato (e significa bell’uccello). Ora, in greco la parola Ornis è maschile mentre il corrispondente termine latino Avis è femminile (ricordate rara avis?). In realtà, però, le regole ufficiali della nomenclatura zoologica prescrivono di trattare qualsiasi nome scientifico come latino, indipendentemente dalla sua origine. Tra inseparabili, pappagallini e pappagalletti non abbiamo ancora spiegato in quali casi si dovrebbe allora usare il ben noto termine “parrocchetto”. Bene, la tradizione lo attribuisce ai pappagalli di piccola o media taglia e coda lunga e graduata di origine oceanica o asiatica. I pappagalli centro-sud americani di caratteristiche simili vengono invece denominati conuri (generi Aratinga, Pyrrhura e altri) oppure are (Ara, Anodorhynchus, Cyanopsitta) quando sono di grande taglia. La differenza di nome è ben giustificata non solo da ragioni geografiche ma anche ecologiche e vocali dato che i conuri (e le are) sono uccelli molto più arboricoli (alcune specie cercano di non scendere mai a terra) e anche dotati di una voce acuta e potente, a mio modo di vedere fastidiosissima. È dunque utile sapere, soprattutto nel caso in cui uno pensi di mettersi in casa una coppia di pappagalli, se si avrà a che fare con un gentile parrocchetto o piuttosto con uno schiamazzante conuro. Una specie atipica sudamericana è il pappagallo monaco (Myopsitta monachus) che ha in comune con i conuri sia la distribuzione geografica sia la voce potente sia la coda lunga e il volo forte ma ha la caratteristica unica tra i pappagalli di costruire un grande nido di stecchi con intricate gallerie e camere nel quale trovano posto numerose coppie. Si tratta di un particolare adattamento a nidificare in una zona quasi priva di alberi quale è la pampa argentina. Il conuro della Patagonia (Cyanoliseus patagonicus) ha affrontato lo stesso problema in modo diverso e nidifica in colonie in gallerie scavate in banchi di sabbia. Il monaco è una sorta di conuro aberrante e va anche bene chiamarlo pappagallo (ma per carità, non parrocchetto). I parrocchetti australiani non soltanto hanno coda lunga e spesso graduata, becco piuttosto piccolo, volo forte e rapido e voce gentile, spesso melodiosa, ma sono anche dotati di splendidi colori spesso molto vari e combinati in modo mirabile. Sono uccelli che scendono a terra con disinvoltura e vi si muovono rapidamente ma in compenso hanno perso la capacità di usare la zampa come una mano per tenere il cibo mentre lo mangiano. D’altronde essi si nutrono in prevalenza di piccoli semi che non è necessario manipolare con la zampa. I parrocchetti australiani del genere Platycercus, per tradizione, sono noti con il nome di roselle, non proprio tutti però perché P. zonarius e P. barnardi vengono comunemente chiamati parrocchetto di Port Lincoln e parrocchetto di Barnard. D’altra parte, queste due specie sono oggi da molti zoologi separate dai Platycercus nel genere Barnardius e quindi scientificamente denominate Barnardius zonarius e Barnardius barnardi. È il caso di ricordare che al gruppo dei parrocchetti australiani appartiene a pieno titolo il parrocchetto ondulato (Melopsittacus undulatus) che, con il nome di “cocorita” e con le sue innumerevoli mutazioni di colore, ha conquistato il cuore di un gran numero di ornitofili che lo allevano in cattività in tutto il mondo. Nella nativa Australia forma enormi stormi in cui tutti i componenti esibiscono il loro colore naturale che è verde-erba con faccia gialla, coda blu e barre nere sul dorso. Anche in natura è probabilmente il pappagallo più numeroso del mondo, annoverando circa cinque milioni di individui.

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Tra i parrocchetti oceanici esistono anche specie di taglia medio-grande e di piumaggio assolutamente splendente che tuttavia hanno voce delicata e rispondono bene alle caratteristiche del gruppo. Essi sono i parrocchetti splendenti dell’Oceania (Prosopeia), i parrocchetti reali australiani e neoguineani (Alisterus) nonché i parrocchetti australiani dei generi Aprosmictus e Polytelis. Prima di passare ai parrocchetti asiatici ricorderò ancora quelli della Nuova Zelanda (Cyanorhamphus) che vengono anche indicati con il nome indigeno di kakariki (che significa piccolo pappagallo) e sono notevoli sotto molti punti di vista, come si è già detto nel capitolo 3. Affini ai kakariki sono i parrocchetti cornuti della Nuova Caledonia (Eunymphicus cornutus) che in realtà non sono dotati di corna ma di un piccolo ciuffo. Un gruppo omogeneo e alquanto diverso è invece quello dei parrocchetti asiatici (Psittacula, ancora un diminutivo della parola che indica i pappagalli) che non sono tanto terricoli ma piuttosto arboricoli. Una specie, il parrocchetto dal collare, ha raggiunto l’Africa, un’altra è endemica dell’isola africana di Mauritius dove è in pericolo di estinzione, altre ancora oggi estinte vivevano nelle isole di Rodriguez, Reunion e Seychelles. Tutte le specie di questo gruppo sono bellissime sia di forme che di colori ma hanno una voce nettamente più aspra di quella dei parrocchetti australiani. In India il parrocchetto dal collare è numerosissimo con stormi che, al mattino e alla sera, quando si muovono dai dormitori alle zone di alimentazione e viceversa, possono letteralmente oscurare il cielo. Purtroppo questa non è, in generale, la situazione delle altre specie. Infine è molto semplice la situazione delle numerose e spesso bellissime specie di pappagalli che si nutrono di nettare e che vivono tutte tra l’Asia sud-orientale e l’Oceania: si chiamano lori, lorichetti e loricoli dalla parola malese lori che indica esattamente questi uccelli. Si noti che i lorichetti sono semplicemente lori di piccola taglia mentre i loricoli sono tutt’altra cosa: anche a prima vista appaiono molto diversi, sono piccoli come gli inseparabili ed è stato ipotizzato che siano con essi imparentati seppure alla lontana. Questi uccellini presentano la singolare abitudine di dormire (talvolta) appesi a testa in giù e perciò vengono chiamati in lingua inglese hanging parrots cioè pappagalli pendenti. A me questo nome appare decisamente irriguardoso nei confronti di un bellissimo gruppo di pappagallini il cui comportamento ha ben altro da offrire oltre a questa curiosità. Anche il nome proposto da qualcuno in italiano, pappagallo acrobata, mi sembra assolutamente fuorviante. Chi ha un po’ osservato i pappagalli in libertà e anche in cattività sarà senz’altro d’accordo nel considerarli tutti o perlomeno in maggioranza come meravigliosi acrobati.

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Stormo di parrocchetti ondulati in volo sopra uno specchio d’acqua nel deserto rosso australiano.

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APPENDICE

Tutti i pappagalli del mondo

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Qui di seguito presentiamo per gruppi omogenei e quindi elenchiamo ad una ad una con i loro nomi scientifici e quelli volgari in italiano e in inglese tutte le 348 specie di pappagalli viventi, con alcune brevi note sulla loro eco-etologia e diffusione in natura nonché, quando sia importante, anche in avicoltura. Abbiamo suddiviso i diversi gruppi di specie nei modi tradizionali e abbiamo denominato le specie secondo i criteri indicati nel capitolo 18. Nella quarta colonna viene eventualmente precisato lo status di minaccia della specie: V = vulnerabile, NT = quasi minacciata, E = minacciata di estinzione, CE = minacciata di estinzione in modo critico, cioè a brevissimo termine.

LORI E LORICHETTI

Lori nero

Dodici generi con un totale di 53 specie diffuse tra l’isola di Sulawesi, le Filippine (una sola specie), la Nuova Guinea e le isole dell’Oceania con alcune caratteristiche e ben note specie in Australia. Lori e lorichetti sono da annoverarsi tra i pappagalli più affascinanti, spesso di colori vivissimi dal rosso sangue al verde erba e al blu-viola (generi Eos e Lorius) o all’azzurro elettrico o acquamarina (genere Vini di alcune isolette del Pacifico centrale) ovvero un vero e proprio arcobaleno di tinte quasi sempre molto intense. Sono di taglia variabile tra quella di un passero e quella di una cornacchia, specializzati a una dieta di nettare, frutta e piccoli insetti, dotati di una lingua a spazzola specializzata per la raccolta di nettare. Vivacissimi, molto vigili e decisamente più rapidi e più reattivi della maggioranza degli altri pappagalli, hanno movimenti caratteristici alternando scatti a momenti di immobilità. Sono uccelli estremamente intelligenti, spesso decisamente territoriali e molto aggressivi nei confronti degli intrusi. Il loro principale centro di diffusione è la Nuova Guinea con le sue isole prossime, Molucche a ovest, Salomone ad est, dove è reperibile la grande maggioranza delle specie in ambienti vari che vanno dalla foresta primaria a coltivi circondati da pochi filari. In cattività, a causa della loro dieta specializzata e delle abbondanti deiezioni liquide, in passato, a dispetto della loro grande bellezza e intelligenza, non sono mai stati molto popolari anche se ormai sono disponibili cibi ben bilanciati che consentono perlomeno di nutrirli in modo adeguato e di ottenerne la riproduzione senza grossi problemi. Alcune specie, come il lorichetto blu di Tahiti, sono sensibilissime ai cambiamenti ambientali e possono improvvisamente morire semplicemente se vengono spostate da una voliera a un’altra che l’allevatore abbia ritenuto, dal suo punto di vista, più idonea. Numerose sono, purtroppo, le specie minacciate di estinzione o vulnerabili a causa di problemi che potrebbero causare un peggioramento del loro status nel prossimo futuro. Una quindicina di specie sono state riprodotte in cattività abbastanza spesso da avere costituito piccole popolazioni autonome che oggi, nella situazione attuale, hanno assunto una notevole importanza.

Chalcopsitta C. atra C. duivenbodei C. scintillata C. cardinalis

Lori nero Lori di Duivenbode Lori scintillante Lori cardinale

Black Lory Brown Lory Yellow-streaked Lory Cardinal Lory

Lori rosso e blu Lori collo viola Lori rosso Lori reticolato

Red and blue Lory Violet-necked Lory Red Lory Blue-streaked Lory

Eos

Lori rosso e blu

E. histrio E. squamata E. bornea E. reticulata

E

NT

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E. cyanogenia E. semilarvata

Lori ali nere Lori orecchie blu

Black-winged Lory Blue-eared Lory

Lori bruno

Dusky Lory

T. ornatus T. haematodus T. rubritorquis T. euteles T. flavoviridis

Lorichetto ornato Lorichetto arcobaleno Lorichetto dal collare Lorichetto testa oliva Lorichetto giallo e verde

T. johnstoniae T. rubiginosus T. chlorolepidotus

Lorichetto di Mindanao Lorichetto di Ponape Lorichetto petto squamoso

Ornate Lorikeet Rainbow Lorikeet Red-collared Lorikeet Olive-headed Lorikeet Yellow and green Lorikeet Mindanao Lorikeet Pohnpei Lorikeet Scaly-breasted Lorikeet

V NT

Pseudeos P. fuscata

Trichoglossus

Lorichetto arcobaleno

V

Psitteuteles P. versicolor P. iris P. goldiei

Lorichetto multicolore Lorichetto iride Lorichetto di Goldie

Varied Lorikeet Iris Lorikeet Goldie’s Lorikeet

Lori garrulo Lori nuca viola Lori testa nera Lori ventre viola Lori nuca bianca Lori dal collare giallo

Chattering Lory Purple-naped Lory Black-capped Lory Purple-bellied Lory White-naped Lory Yellow-bibbed Lory

Lori solitario

Collared Lorikeet

Lorichetto corona blu Lorichetto di Kuhl Lorichetto di Stephen Lorichetto blu di Tahiti Lorichetto ultramarino

Blue-crowned Lorikeet Kuhl’s Lorikeet Stephen’s Lorikeet Blue Lorikeet Ultramarine Lorikeet

Lorichetto muschiato Lorichetto minore Lorichetto corona viola

Musk Lorikeet Little Lorikeet Purple-crowned Lorikeet

Lorichetto delle palme Lorichetto mento rosso

Palm Lorikeet Red-chinned Lorikeet

V

Lorius L. garrulus L. domicella L. lory L. hypoinochrous L. albidinuchus L. chlorocercus

Lori solitario

V V

NT

Phygis P. solitarius

Vini V. australis V. kuhlii V. stepheni V. peruviana V. ultramarina

E V V E

Glossopsitta G. concinna G. pusilla G. porphyrocephala

Charmosyna Lorichetto corona viola

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C. palmarum C. rubrigularis

NT

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C. meeki C. toxopei C. multistriata C. wilhelminae C. rubronotata C. placentis C. diadema C. amabilis C. margaretae C. pulchella C. josephinae C. papou

Lorichetto di Meek Lorichetto fronte blu Lorichetto striato Lorichetto di Guglielmina Lorichetto fronterossa Lorichetto fianchi rossi Lorichetto di N. Caledonia Lorichetto gola rossa Lorichetto della duchessa Lorichetto grazioso Lorichetto di Josephine Lorichetto papua

Meek’s Lorikeet Blue-fronted Lorikeet Striated Lorikeet Pigmy Lorikeet Red-fronted Lorikeet Red-flanked Lorikeet New Caledonian Lorikeet Red-throated Lorikeet Duchess Lorikeet Fairy Lorikeet Josephine’s Lorikeet Papuan Lorikeet

Lorichetto dell’Arfak

Plum-faced Lorikeet

Lorichetto becco giallo Lorichetto becco arancio

Yellow-billed Lorikeet Orange-billed Lorikeet

V NT

E V NT

Oreopsittacus O. arfaki

Neopsittacus N. musschenbroekii N. pullicauda Lorichetto papua

Lorichetto corona blu A fronte, lorichetto di Josephine

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CACATUA

Galah

Ecco un altro gruppo di pappagalli ben conosciuti: un totale di 21 specie divise in sei generi con distribuzione principalmente centrata tra l’Australia e la Nuova Guinea con un paio di specie che, a ovest, raggiungono Timor, Sulawesi e le Filippine. La maggior parte dei cacatua sono uccelli di taglia media o grande, prevalentemente neri oppure bianchi, dotati di un ciuffo prominente colorato di giallo o di rosa. Adattati alle condizioni aride dell’interno dell’Australia, sono tipici pappagalli dai movimenti lenti e studiati, spesso belli e maestosi, estremamente intelligenti e sensibilissimi, spesso molto nervosi ed esigenti. Le specie a piumaggio prevalentemente nero sono uccelli di taglia grande e di aspetto insolito e maestoso, visibili raramente in cattività, soltanto in alcuni grandi zoo. Quelle prevalentemente bianche sono più conosciute e, in alcuni casi, ancora abbastanza diffuse. Intermedi, in un certo senso, tra i due gruppi sono il galah, rosa e grigio, e il cacatua gang gang, grigio e rosso, questo ultimo con dimorfismo sessuale. Tra i cacatua esistono, purtroppo, anche alcune specie vulnerabili o minacciate di estinzione, in modo particolare è critica la situazione del cacatua delle Filippine. In cattività i cacatua sono uccelli di grande soddisfazione ma anche di enorme impegno, da sconsigliare a chiunque non disponga di una organizzazione paragonabile a quella di un grande zoo. Abbastanza comuni in cattività sono il galah, il ciuffo giallo e il solforato, comunissima è l’unica specie del gruppo che si possa considerare domestica, la calopsitta, atipica non solo per la taglia piccola ma anche per l’aspetto allungato e il disegno del piumaggio che la avvicina ai cacatua a piumaggio scuro.

Probosciger P. aterrimus

Cacatua delle palme

Palm Cockatoo

C. baudinii

Cacatua nero di Baudin

C. latirostris

Cacatua nero codabianca

C. funereus

Cacatua nero codagialla

C. banksii

Cacatua nero codarossa

C. lathami

Cacatua nero di Latham

Long-billed black Cockatoo White-tailed black Cockatoo Yellow-tailed black Cockatoo Red-tailed black Cockatoo Glossy black Cockatoo

Cacatua gang-gang

Gang-gang Cockatoo

Galah

Galah

C. leadbeateri C. sulphurea

Cacatua di Leadbeater Cacatua solforato

C. galerita

Cacatua ciuffogiallo

C. ophtalmica

Cacatua occhi blu

Pink Cockatoo Yellow-crested Cockatoo Sulphur-crested Cockatoo Blue-eyed Cockatoo

NT

Calyptorhynchus V V

V

Callocephalon C. fimbriatum

Eolophus E. roseicapillus

Cacatua NT

Cacatua gang-gang

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Calospsitta

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C. moluccensis C. alba C. haematuropygia C. goffini C. sanguinea C. pastinator C. tenuirostris C. ducorpsii

Cacatua delle Molucche Cacatua bianco Cacatua delle Filippine Cacatua di Tanimbar Corella piccola Corella occidentale Corella becco lungo Cacatua di Ducorps

Salmon-crested Cockatoo White Cockatoo Philippine Cockatoo Tanimbar Cockatoo Little Corella Western Corella Long-billed Corella Ducorp’s Cockatoo

Calopsitta

Cockatiel

V V CE NT NT

Nymphicus N. hollandicus

Corella piccola A fronte Kea in volo

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KEA E KAKA Il genere Nestor comprende soltanto due specie della Nuova Zelanda. Sono pappagalli decisamente fuori dall’ordinario sia per il loro comportamento curioso e sbarazzino sia per le loro abitudini di spazzini e consumatori di un’ampia varietà di cibi, compresa la carne, sia per l’inconsueto sistema socio-sessuale del kea che, a differenza della massima parte degli altri pappagalli, sembra essere poliginico, anche con 3-4 femmine per un maschio. Le interazioni socio-sessuali tra i due sessi sembrano comunque scarse. Il kaka pare invece essere monogamo e più attento alla sua femmina. Entrambe le specie sono ridotte a una distribuzione molto frammentaria, rispettivamente ad alta quota (kea) e nelle residue foreste indigene (kaka) delle isole Sud e Nord ma, fortunatamente, non appaiono minacciate a breve termine dato che le loro popolazioni contano ancora alcune migliaia di individui e attualmente sono ben protette. In avicoltura il kea è un uccello scarso e costoso e il kaka una assoluta rarità presente forse solo nelle isole native. Lo zoo di Auckland ha comunque prodotto decine di giovani da alcune coppie e pare ben disposto a esportare nel prossimo futuro alcuni di questi a pochi e ben qualificati zoo e parchi ornitologici.

Nestor N. notabilis N. meridionalis

Kea Kaka

Kea Kaka

NT V

Kaka

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PAPPAGALLI PIGMEI Il genere Micropsitta comprende sei specie diffuse nelle foreste della Nuova Guinea e/o delle isole vicine: Kai, Geelvink, Meek, Salomone, Brujin. Si tratta dei più piccoli pappagalli esistenti, lunghi in tutto 8-10 cm e di peso non superiore a quello di uno scricciolo. Frequentano foreste indigene primarie o secondarie e, in qualche caso si adattano a macchie di alberi sparsi mantenuti in piedi per ombreggiare le piantagioni di caffè. Camminano su e giù per i tronchi come picchi muratori e si nutrono prevalentemente di licheni. Nessuno, finora, è mai riuscito ad allevarli in cattività e ben pochi, al di fuori dei residenti nelle loro isole, li hanno potuti anche soltanto osservare nelle loro foreste native. Alcune specie presentano un leggero dimorfismo sessuale e tutte un piumaggio giovanile.

Micropsitta M. keiensis M. geelvinkiana M. pusio M. meeki M. finschii M. bruijnii

Pappagallo pigmeo delle Kai Pappagallo pigmeo testa bruna Pappagallo pigmeo faccia fulva Pappagallo pigmeo petto giallo Pappagallo pigmeo verde Pappagallo pigmeo di Brujin

Yellow-capped pygmy Parrot Geelvink pygmy Parrot NT Buff-faced pygmy Parrot Meek’s pygmy Parrot Finsch’s pygmy Parrot Red-breasted pygmy Parrot

Pappagallo pigmeo di Brujin A fronte Pappagalli pigmei

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PAPPAGALLI DEI FICHI

Pappagallo dei fichi di Desmarest

Si indica con questo nome un gruppo di cinque specie appartenenti ai due generi Cyclopsitta e Psittaculirostris. Quelle del primo genere sono più piccole di quelle del secondo, raggiungono rispettivamente la taglia di un inseparabile e quella di un pappagallo del Senegal. Sono uccelli della Nuova Guinea che raramente sono stati importati per l’avicoltura anche perché si tratta di pappagalli molto delicati, che necessitano di una dieta molto ricca di vitamina K per sopravvivere. La loro dieta naturale comprende frutta, nettare, insetti, larve, licheni e funghi. Frequentano foreste primarie e secondarie e talora anche i parchi urbani dove non è facile notarli se non si conosce il loro richiamo dato che si nutrono in silenzio, ben nascosti nella chioma. La popolazione del pappagallo di fichi di Salvadori sembra non essere superiore ai diecimila individui e questa specie è considerata vulnerabile. Le altre sono di un ordine di grandezza superiore e considerate, al momento, sicure ma la sottospecie australiana del pappagallo dei fichi dagli occhiali C.d.owenii è stata inclusa nell’appendice 1 della lista CITES.

Cyclopsitta C. gulielmitertii C. diophtalma

Pappagallo dei fichi petto arancio Pappagallo dei fichi dagli occhiali

Orange-breasted fig Parrot Double-eyed fig Parrot

Psittaculirostris P. desmarestii P. edwardsii P. salvadorii

Pappagallo dei fichi di Desmarest Pappagallo dei fichi di Edwards Pappagallo dei fichi di Salvadori

Large fig Parrot Edward’s fig Parrot Salvadori’s fig Parrot

V

Pappagallo dei fichi dagli occhiali

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GUAJABERO Il guajabero è un pappagallo prevalentemente frugivoro di piccola taglia (15 cm) a coda corta e appuntita, endemico delle Filippine. Il colore è verde brillante con le remiganti blu in entrambi i sessi ma i maschi si riconoscono per la tinta azzurra della faccia. Frequenta ambienti forestali ed è abbastanza comune, con una popolazione totale distribuita su quattro isole e distinta in quattro razze. Difficile da osservare in natura, eccetto quando si leva in volo in gruppi di varia consistenza, la sua biologia è poco conosciuta e non esistono esperienze di avicoltura, anzi con tutta probabilità non è mai stato esportato dai suoi luoghi di origine.

Bolbopsittacus B. lunulatus

Guajabero

Guajabero

Guajabero

Pappagallo dal groppone blu

PAPPAGALLO DAL GROPPONE BLU Il genere monotipico Psittinus comprende una sola specie ampiamente diffusa negli ambienti forestali della penisola di Malacca e delle isole di Sumatra e Borneo. È un pappagallo molto particolare di taglia piuttosto piccola, lungo 18 cm, a coda corta e ali verdi con becco lungo e forte e piume rosse nascoste nel sottoala. Il maschio adulto ha becco rosso e un magnifico colore blu sulla testa che diviene quasi nero sul dorso, mentre la femmina ha testa bruna e i giovani sono uniformemente verdi. Specie forestale prevalentemente frugivora, ha molto sofferto delle distruzioni del suo habitat e la popolazione totale sul suo vasto areale (più di un milione di kmq) sembra raggiungere appena i 100 mila individui, tanto da essere considerato near-threatened, cioè quasi minacciato. È stato esportato molto raramente e oggi, pur non essendo una specie particolarmente difficile o delicata da mantenere, costituisce un’autentica rarità in avicoltura, con una presenza totale in Europa di 30-40 coppie.

Psittinus P. cyanurus

Pappagallo dal groppone blu

Blue-rumped parrot

NT

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PAPPAGALLI TIGRATI Nelle foreste di montagna della Nuova Guinea sono reperibili quattro specie di pappagalli dal piumaggio più o meno tigrato, prevalentemente frugivori, di taglia modesta, da quella di un passero nella specie più piccola fino a quella di una calopsitta nella maggiore. Sono uccelli forestali molto tranquilli che si fanno notare ben poco e della cui vita in natura si sa pochissimo, totalmente sconosciuti in avicoltura. Le loro popolazioni sono stabili e nessuna delle specie, allo stato attuale, è considerata minacciata.

Psittacella P. brehmi P. picta P. modesta P. madaraszi

Pappagallo di Brehm Pappagallo tigre variopinto Pappagallo modesto Pappagallo di Madarasz

Brehm’s tiger Parrot Painted tiger Parrot Modest tiger Parrot Madarasz’s tiger Parrot

Pappagallo di Brehm

PAPPAGALLI GEOFFROYUS Tre specie di taglia media, verdi con colori brillanti sul capo, con diffusione centrata sulla Nuova Guinea, da Lombok fino alle Salomone e alla penisola di Capo York in Australia, tipiche delle foreste tropicali e dei loro margini. Pressoché sconosciuti in avicoltura e ben poco conosciuti anche per quanto riguarda le loro vita in natura, questi uccelli non sono tuttavia minacciati. Il pappagallo guance rosse è il più diffuso e più numeroso dei tre e la sua popolazione totale è dell’ordine di grandezza di un milione di individui.

Geoffroyus

Pappagallo guance rosse

G. geoffroyi G. simplex G. heteroclitus

Pappagallo guance rosse Pappagallo dal collare blu Pappagallo testa gialla

Red-cheeked Parrot Blue-collared Parrot Singing Parrot

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PAPPAGALLI DALLA CODA A RACCHETTA Il genere Prioniturus comprende in tutto nove specie molto caratteristiche, essendo dotate di una coda con due timoniere centrali molto lunghe e foggiate a spatola o racchetta, con una specie di pennello finale su un filo nudo. Questi pappagalli di media taglia, prevalentemente verdi, di abitudini frugivore, sono diffusi nelle foreste di montagna di varie isole dell’arcipelago delle Filippine (6 specie) e inoltre di due isole indonesiane, Sulawesi (2 specie) e Buru (1 specie). Il loro status di conservazione, a causa della sovrappopolazione e della deforestazione selvaggia, è decisamente preoccupante: delle sei specie delle Filippine tre sono considerate vulnerabili, due (P. luconensis e P. verticalis) sono minacciate di estinzione e una quasi-minacciata; delle tre specie indonesiane due sono quasi-minacciate e solo una (P. platurus) è considerata stabile. Quasi superfluo aggiungere che nessuna di queste specie è stata introdotta in avicoltura e neppure è auspicabile che, nelle attuali condizioni, ciò avvenga in futuro.

Prioniturus

Coda a racchetta corona rossa

P. montanus P. waterstradti P. platenae P. luconensis P. discurus P. verticalis P. flavicans P. platurus P. mada

Coda a racchetta montano Coda a racchetta di Mindanao Coda a racchetta di Palawan Coda a racchetta verde Coda a racchetta corona blu Coda a racchetta di Sulu Coda a racchetta corona rossa Coda a racchetta dorso dorato Coda a racchetta di Buru

Montane Racquet-tail V Mindanao Racquet-tail V Blue-headed Racquet-tail V Green Racquet-tail E Blue-crowned Racquet-tail V Blue-winged Racquet-tail E Yellow-breasted Racquet-tail NT Golden-mantled Racquet-tail Buru Racquet-tail NT

Coda a racchetta

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PAPPAGALLI TANYGNATHUS Quattro specie di taglia medio-grande (30-40 cm), prevalentemente verdi con becco rosso, decisamente spettacolari, diffuse in un’area compresa tra le isole Molucche, le Filippine, Sulawesi e Buru. La specie delle Filippine (T. lucionensis) è minacciata di estinzione e quella di Buru (T. gramineus) è considerata vulnerabile mentre le popolazioni delle altre due specie appaiono attualmente stabili. Raramente sono stati importati in occidente e costituiscono oggi in avicoltura vere e proprie rarità.

Tanygnathus

Pappagallo di Müller

T. megalorhynchus T. lucionensis T. sumatranus T. gramineus

Pappagallo becco grosso Pappagallo nuca azzurra Pappagallo di Müller Pappagallo dalle redini nere

Great-billed Parrot Blue-naped Parrot Blue-backed Parrot Black-lored Parrot

E V

Ecletto

ECLETTO L’ecletto è un magnifico pappagallo della taglia di un’amazzone a distribuzione molto vasta: dalle isole Molucche fino alle Salomone attraverso la Nuova Guinea e la penisola di York, in Australia,, dal piano fino a 1900 m di quota. L’aspetto veramente unico di questa specie sta nel dimorfismo sessuale estremo e decisamente insolito: il maschio è in prevalenza verde brillante mentre la femmina è rossa e blu o rossa e viola a seconda delle razze (nel suo vasto areale ne esistono dieci). Dal punto di vista della morfologia è chiaramente imparentato con gli altri pappagalli orientali, Tanygnathus, Geoffroyus e Psittinus. In avicoltura è molto diffuso, con diverse razze.

Eclectus E. roratus

Ecletto

Eclectus parrot

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PAPPAGALLO DI PESQUET Questa è una specie davvero particolare, dotata di una testa e di un becco quasi più simile a quelli di un avvoltoio che di un pappagallo. Di grossa taglia, (45 cm) prevalentemente nero e rosso, specializzato a nutrirsi di frutta ricca di polpa, è ristretto alle foreste di montagna della Nuova Guinea tra i 600 e i 1200 m, ha una distribuzione sparsa ed è quasi ovunque raro e considerato vulnerabile: la popolazione totale non supera i 10 mila individui e forse è tuttora in declino. Poche coppie sono presenti in avicoltura.

Psittrichas P. fulgidus

Pappagallo di Pesquet

Pesquet’s parrot

V

Pappagallo di Pesquet

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PARROCCHETTI SPLENDENTI, REALI E ALIROSSE Il genere Prosopeia comprende tre specie forestali imponenti (45 cm e oltre) e di splendidi colori (prevalentemente verde e rosso) di aspetto snello e aggraziato, dal volo leggero, consumatrici di frutta, diffuse soltanto nelle isole Figi e quindi rappresentate solo da piccole popolazioni. Il genere Alisterus, apparentemente simile al precedente ma in realtà più strettamente imparentato con il successivo, comprende altre tre specie di taglia poco inferiore ma di colori ancora più splendidi, diffuse in Australia orientale, isole Molucche e Nuova Guinea. Il genere Aprosmictus, infine, comprende due specie di caratteristiche ancora simili, una australiana e una indonesiana. Parrocchetti splendenti, reali e alirosse sono abbastanza diffusi in avicoltura dove però richiedono molto spazio.

Prosopeia P. splendens P. personata P. tabuensis

Parrocchetto splendente cremisi Crimson shining Parrot Parrocchetto splendente mascherato Masked shining Parrot Parrocchetto splendente rosso Red shining Parrot

NT NT

Alisterus Parrocchetto splendente rosso

A. scapularis A. amboinensis A. chloropterus

Parrocchetto reale australiano Parrocchetto reale delle Molucche Parrocchetto reale Papua

Australian king Parrot Moluccan king Parrot Papuan king Parrot

NT

Parrocchetto giunchiglia Parrocchetto alirosse

Olive-shouldered Parrot Red winged Parrot

NT

Aprosmictus A. jonquillaceus A. erythropterus

Parrocchetto reale australiano

Parrocchetto alirosse

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PARROCCHETTI POLYTELIS Le tre specie del genere Polytelis sono tra i più bei pappagalli australiani. Di taglia media, a coda lunga, abbastanza diversi tra loro e ognuno di essi ben caratterizzato come forme e colori, i Polytelis sono uccelli granivori di zone aperte divenuti oggi poco comuni in natura ma per contro abbastanza diffusi in avicoltura.

Polytelis P. swainssonii P. anthopeplus P. alexandrae

Parrocchetto di Swainsson Parrocchetto coda nera Parrocchetto principessa Alessandra

Superb Parrot Regent Parrot

V

Alexandra’s Parrot

V

Parrocchetto coda nera

PARROCCHETTO CAPIROSSO Una specie molto particolare dell’Australia sud-occidentale, di media taglia, variopinta e leggermente dimorfica, munita di uno strano becco specializzato per estrarre semi dal frutto di Eucalyptus calophylla, albero che utilizza anche per nidificare. In avicoltura è moderatamente diffuso.

Purpureicephalus P. spurius

Parrocchetto capirosso

Red-capped Parrot

Parrocchetto capirosso

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PARROCCHETTI AUSTRALIANI TIPICI Si possono indicare in questo modo le 14 specie dei generi Barnardius, Platycercus, Psephotus e Northiella, tutte australiane e tutte di zone piĂš o meno aperte, arbustive o altro. Sono uccelli di taglia media o medio-piccola, generalmente ben diffusi e abbondanti, eccezion fatta per alcune specie del genere Psephotus. In quest’ultimo genere era incluso anche il parrocchetto del paradiso, Psephotus pulcherrimus, che oggi è certamente estinto. In avicoltura sono state tra le prime specie di Psittacidi a essere riprodotte regolarmente e oggi sono molto diffuse.

Barnardius B. zonarius B. barnardi Parrocchetto di Port Lincoln

Parrocchetto di Port Lincoln Parrocchetto di Barnard

Port Lincoln Ringneck Mallee Ringneck

Rosella ventre giallo Rosella di Pennant Rosella gialla Rosella di Brown Rosella pallida Rosella orientale Rosella di Stanley

Green Rosella Crimson Rosella Yellow Rosella Northern Rosella Pale-headed Rosella Eastern Rosella Western Rosella

Parrocchetto facciablu

Bluebonnet

Parrocchetto dal groppone rosso Parrocchetto multicolore Parrocchetto dal cappuccio Parrocchetto ali gialle

Red-rumped Parrot Mulga Parrot Hooded Parrot Golden-shouldered Parrot

Platycercus P. caledonicus P. elegans P. flaveolus P. venustus P. adscitus P. eximius P. icterotis

Northiella N. haematogaster

Psephotus

Parrocchetto facciablu

P. haematonotus P. varius P. dissimilis P. chrysopterigius

Rosella di Pennant

Parrocchetto dal groppone rosso

NT E

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KAKARIKI E PARROCCHETTI CORNUTI Un piccolo gruppo di specie molto caratteristiche, endemiche rispettivamente della Nuova Zelanda e della Nuova caledonia. Sono uccelli agili, prolifici, curiosi e naturalmente confidenti che hanno avuto un rapido successo anche in avicoltura, nella cui condizione sono comuni e facili da acquisire. I cosiddetti parrocchetti cornuti della Nuova Caledonia e dell’isola di Uvea sono dotati di un piccolo ciuffo. Due specie di Cyanorhamphus si sono estinte in epoca storica e delle quattro rimanenti una è minacciata in modo critico, un’altra è considerata vulnerabile e una terza quasi minacciata.

Cyanorhamphus C. unicolor C. cooki C. novaezelandiae C. auriceps

Kakariki verde Kakariki dell’Isola di Norfolk Kakariki fronte rossa Kakariki fronte gialla

Antipode’s Parakeet Norfolk Island Parakeet Red-fronted Parakeet Yellow-fronted Parakeet

Parrocchetto cornuto

Horned Parakeet

V CE NT

Eunymphicus E. cornutus

Kakariki fronte rossa

Parrocchetto cornuto

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PARROCCHETTI DELLE ERBE Sette specie di parrocchetti australiani di taglia poco inferiore a quella di un ondulato, specializzate in piccoli semi, delicate e variopinte, discretamente adattabili e di grande successo in avicoltura. Tipiche delle zone aride australiane, sono tutte abbastanza simili tra loro come forme e colori, eccettuato il parrocchetto di Bourke, rosa e celeste e di abitudini crepuscolari che viene generalmente separato in un genere distinto.

Neopsephotus N. bourkii

Parrocchetto di Bourke

Bourke’s Parrot

Parrocchetto ali azzurre Parrocchetto elegante Parrocchetto delle rocce Parrocchetto ventre arancio Parrocchetto turchese Parrocchetto splendido

Blue-winged Parrot Elegant Parrot Rock Parrot Orange-bellied Parrot Turquoise Parrot Scarlet-chested Parrot

Neophema N. chrysostoma N. elegans N. petrophila N. chrysogaster N. pulchella N. splendida

E NT V

Parrocchetto splendido

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PARROCCHETTO VELOCE Il genere monotipico Lathamus comprende solo una specie atipica sotto molti punti di vista, vivacemente colorata, migratrice tra la Tasmania e il sud dell’Australia, a dieta parzialmente nettarivora tanto da essere talvolta considerato impropriamente come una sorta di lori. La popolazione totale di questa specie è stata stimata in meno di 1500 coppie e ciò ha comportato la sua inclusione nella categoria vulnerabile. Discretamente diffuso in avicoltura dove però nidifica meglio in un sistema coloniale.

Lathamus L. discolor

Parrocchetto veloce

Swift Parrot

V

PARROCCHETTO ONDULATO Ecco un altro genere monotipico con un’altra specie che nidifica bene in colonia. In questo caso, però, si tratta del pappagallino più famoso del mondo, la cosiddetta “cocorita” che conta oggi una popolazione di molti milioni di individui domestici oltre a una popolazione selvatica di cinque milioni di individui diffusi sulla massima parte dell’interno arido dell’Australia dove spesso si incontra in grandi stormi.

Melopsittacus M. undulatus

Parrocchetto ondulato

Budgerigar

Parrocchetto veloce

Parrocchetto ondulato

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PARROCCHETTI TERRAGNOLO E NOTTURNO Ecco due generi e due specie che hanno qualcosa in comune tra loro oltre che con la specie precedente e con la successiva: piumaggio barrato, abitudini terragnole e, per il parrocchetto notturno, anche abitudini notturne. Questa seconda specie è considerata minacciata in modo critico ed è stata osservata in natura solo in rarissime occasioni.

Pezoporus P. wallicus

Parrocchetto terragnolo

Ground Parrot

Parrocchetto notturno

Night Parrot

Parrocchetto terragnolo

Geopsittacus G. occidentalis

CE

Parrocchetto notturno

Kakapo

KAKAPO Il genere Strigops della Nuova Zelanda è probabilmente imparentato con Geopsittacus, l’unica specie vivente è terricola, notturna e non volante ma è un uccello di grossa taglia, detenendo il record assoluto di peso tra i pappagalli. Minacciato in modo critico, è tuttavia oggetto di una intensiva operazione di recupero di cui si parla altrove in questo libro.

Strigops S. habroptilus

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Kakapo

Kakapo

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VASA Le due specie di vasa del Madagascar sono pappagalli molto singolari sia per i loro colori molto sobri (grigio scuro, più chiaro nel sottocoda), sia per la loro testa piccola, collo lungo e grande leggerezza nel volo. Forse sono pappagalli molto primitivi, sopravvissuti senza molte modifiche morfologiche e di comportamento nel rifugio biologico della grande isola malgascia da quando questa è rimasta isolata, cioè per 35 milioni di anni.

Coracopsis C. vasa C. nigra

Vasa maggiore Vasa minore

Vasa parrot Black Parrot

PAPPAGALLO CENERINO

Vasa minore

In Africa, le specie di pappagalli oggi esistenti sono meno numerose che in Sudamerica, in Australia o in Asia. Tuttavia, in Africa vive il pappagallo parlatore più abile e più famoso di tutti, il cenerino che appartiene a un genere monotipico non lontano dai Poicephalus ma da questi ben distinto per la zona nuda attorno all’occhio e per il piumaggio peculiare. Il cenerino è diffuso nell’area dell’Africa centrale originariamente coperta da foreste tropicali ed è anche molto diffuso in avicoltura, con migliaia di nascite annuali che ormai ne coprono quasi del tutto la forte richiesta di mercato. La varietà timneh dell’Africa occidentale è ben distinta dalla nominale e qualcuno tende a separarla in una specie differente. La supposta varietà princeps è invece da invalidare. Alcuni individui possono presentare un certo numero di penne di contorno rosse come la coda e nel museo di Tring ne è conservato uno assolutamente spettacolare.

Psittacus P. erithacus

Pappagallo cenerino

Grey Parrot

Pappagallo cenerino

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PAPPAGALLI POICEPHALUS La maggior parte dei pappagalli di media taglia del continente africano è compresa nel genere Poicephalus che comprende nove specie di taglia variabile dai 150 ai 400 grammi circa. La maggior parte delle specie abita le savane o le foreste fluviali, il Jardine e il pappagallo faccia gialla sono di foresta. In avicoltura solo il pappagallo del Senegal e quello di Meyer sono ben rappresentati, le altre specie sono perlopiù poco frequenti e due specie (faccia gialla e NiamNiam) sono del tutto assenti.

Poicephalus P. robustus P. suahelicus P. fuscicollis P. gulielmi P. senegalus P. crassus P. meyeri P. flavifrons P. rufiventris P. cryptoxanthus P. rüppellii

Pappagallo del capo Pappagallo swahili Pappagallo collo bruno Pappagallo di Jardine Pappagallo del Senegal Pappagallo del Niam Niam Pappagallo di Meyer Pappagallo faccia gialla Pappagallo ventre arancio Pappagallo testa bruna Pappagallo di Rüppell

Cape Parrot Swahili Parrot Brown-necked Parrot Jardine’s Parrot Senegal Parrot Niam Niam Parrot Brown Parrot Yellow-faced Parrot Red-bellied Parrot Brown-headed Parrot Rüppell’s Parrot

Pappagallo del Senegal

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INSEPARABILI Tutti i pappagalli africani di piccola taglia fanno capo al genere Agapornis che ha avuto un enorme successo e una vastissima diffusione in avicoltura. Purtroppo, questi uccelli, a differenza dell’ondulato australiano, non sono né molto diffusi né molto numerosi in natura dove i loro ambienti sono le savane oppure le foreste tropicali. L’unica specie che non è mai entrata in allevamento è A. swinderniana, quelle più diffuse, da considerare pienamente domestiche, sono A. roseicollis, A. fischeri e A. personata.

Agapornis A. canus A. pullarius A. taranta A. swinderniana A. roseicollis A. fischeri A. personatus A. lilianae A. nigrigenis

Inseparabile del Madagascar Inseparabile facciarossa Inseparabile dell’Etiopia Inseparabile dal collare nero Inseparabile dal collo rosa Inseparabile di Fischer Inseparabile dal collare giallo Inseparabile del Niassa Inseparabile guance nere

Grey-headed Lovebird Red-faced Lovebird Black-winged Lovebird Black-collared Lovebird Peach-faced Lovebird Fischer’s Lovebird Yellow-collared Lovebird Nyasa Lovebird Black-cheeked Lovebird

NT

E

Inseparabile dal collo rosa

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LORICOLI Una dozzina di specie di piccola taglia, di brillanti colori e di abitudini alimentari nettarivore, note in lingua inglese come hanging parrots per l’abitudine di riposare talvolta appese a testa in giù. Sono diffuse in Australasia, dall’India fino alla Nuova Guinea attraverso le isole della Sonda, Sulawesi, le Molucche e le Filippine. In avicoltura sono poco diffuse a causa delle loro peculiari esigenze che ne rendono poco agevole l’allevamento.

Loriculus

Loricolo corona blu

L. vernalis L. beryllinus L. philippensis L. galgulus L. stigmatus L. amabilis L. catamene L. aurantiifrons L. tener

Loricolo indiano Loricolo di Sri-Lanka Loricolo delle Filippine Loricolo corona blu Loricolo di Sulawesi Loricolo delle Molucche Loricolo di Sangir Loricolo fronte dorata Loricolo fronte verde

L. exilis L. pusillus

Loricolo becco rosso Loricolo gola gialla

L. flosculus

Loricolo di Wallace

Vernal hanging Parrot Ceylon hanging Parrot Colasisi Blue-crowned hanging Parrot Sulawesi hanging Parrot Moluccan hanging Parrot Sangir hanging Parrot E Orange-fronted hanging Parrot Green-fronted hanging Parrot NT Red-billed hanging Parrot Yellow-throated hanging Parrot NT Wallace’s hanging Parrot V

Loricolo indiano

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PARROCCHETTI PSITTACULAI Ben noto gruppo di parrocchetti in prevalenza asiatici con una sola specie (P. krameri) diffusa anche in Africa e un’altra nell’isola di Mauritius (P. echo). Sono uccelli molto eleganti, facili da allevare e quindi anche molto diffusi in avicoltura. In particolare, P. krameri può essere considerato come una specie pienamente addomesticata.

Psittacula P. eupatria P. krameri P. echo P. hymalaiana P. finschii P. intermedia P. cyanocephala P. roseata P. columboides P. calthorpae Parrocchetto dai mustacchi

P. derbyana P. alexandri P. caniceps P. longicauda

Parrocchetto alessandrino Parrocchetto dal collare Parrocchetto di Mauritius Parrocchetto dell’Himalaya Parrocchetto a testa ardesia Parrocchetto intermedio Parrocchetto testa di prugna Parrocchetto testa rosa Parrocchetto del Malabar Parrocchetto dal collare smeraldo Parrocchetto di Lord Derby Parrocchetto dai mustacchi Parrocchetto di Blyth Parrocchetto coda lunga

Alexandrine Parakeet Ring-necked Parakeet Mauritius Parakeet Slaty-headed Parakeet Finsch’s Parakeet Intermediate Parakeet Plum-headed Parakeet Blossom-headed Parakeet Malabar Parakeet

CE

V

Emerald-collared Parakeet Lord Derby Parakeet NT Red-breasted Parakeet Nicobar Parakeet NT Long-tailed Parakeet

Parrocchetto testa di prugna

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ARA

Le are sono probabilmente i pappagalli più colorati e più spettacolari del mondo e, insieme con le amazzoni, quelli che alla gente comune vengono alla mente quando si parla di questi uccelli. Il gruppo comprende tre generi con un totale di sedici specie di taglia media o grande a coda lunga oltre ad altre tre estinte in epoca storica. Sono distribuite in America centrale e meridionale in ambienti che vanno dalla foresta tropicale ai pendii semiaridi delle Ande. A causa della deforestazione e del prelievo eccessivo, purtroppo metà delle specie viventi sono in diverso grado minacciate. Le specie di maggiore taglia sono piuttosto diffuse in avicoltura e rappresentano un’attrazione fondamentale degli zoo e delle collezioni pubbliche e private.

Anodorhynchus A. hyacinthinus A. leari

Ara giacinto Ara di Lear

Hyacinth Macaw Lear’s Macaw

V CE

Ara di Spix

Spix’s Macaw

CE

Ara blu e gialla Ara gola blu Ara militare Ara di Buffon Ara rossa Ara aliverdi Ara fronte rossa Ara severa Ara ventre rosso Ara testablu Ara di Illiger Ara dal collare Ara spalle rosse

Blue and yellow Macaw Blue-throated Macaw Military Macaw Great green Macaw Scarlet Macaw Green-winged Macaw Red-fronted Macaw Chestnut-fronted Macaw Red-bellied Macaw Blue-headed Macaw Blue-winged Macaw Yellow-collared Macaw Red-shouldered Macaw

Cyanopsitta C. spixi

Ara

Ara di Lear

A. ararauna A. glaucogularis A. militaris A. ambigua A. macao A. choropterus A. rubrogenys A. severa A. manilata A. couloni A. maracana A. auricollis A. nobilis

E V V E

V

Ara rossa, ara aliverdi e ara blu e gialla A lato, ara fronte rossa

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CONURI I conuri sono pappagalli a coda lunga del Sudamerica fondamentalmente simili alle are ma generalmente più piccoli e dotati di zone nude di minore estensione attorno all’occhio. Il gruppo comprende otto generi viventi oltre all’estinto Conuropsis che comprendeva soltanto il conuro della Carolina. La denominazione di “conuro” in lingua italiana e inglese non viene generalmente usata per gli uccelli dei generi Guarouba, Rhynchopsitta, Ognorhynchus e Leptosittaca. In questo vasto gruppo diverse specie sono ben stabilite in avicoltura e poche altre sono minacciate di estinzione.

Ognorhynchus O. icterotis

Pappagallo dalle orecchie gialle

Yellow-eared Parrot

CE

Pappagallo becco forte Pappagallo fronte castana

Thick-billed Parrot Maroon-fronted Parrot

E V

Guaruba

Golden Conure

E

Conuro testablu Conuro verde Conuro di Socorro Conuro fronte rossa Conuro mitrato Conuro testarossa Conuro di Finsch Conuro occhi bianchi Conuro di Cuba Conuro di Hispaniola Conuro del sole Conuro Jandaya Conuro testadorata Conuro di Weddell Conuro nano Conuro fronte arancio Conuro fronte dorata Conuro gola bruna Conuro dei cactus

Blue-crowned Conure Green Conure Socorro Conure Red-fronted Conure Mitred Conure Red-masked Conure Finsch’s Conure White-eyed Conure Cuban Conure Hispaniolan Conure Sun Conure Jandaya Conure Golden-capped Conure Dusky-headed Conure Olive-throated Conure Orange-fronted Conure Peach-fronted Conure Brown-throated Conure Cactus Conure

Conuro nenday

Black-hooded Conure

Pappagallo dai ciuffetti dorati

Golden-plumed Parrot

Conuro della Patagonia

Patagonian Conure

Rhynchopsitta R. pachyrhyncha R. terrisi Pappagallo becco forte

Guaruba G. guarouba

Aratinga

Neday

A. acuticaudata A. holochlora A. brevipes A. wagleri A. mitrata A. erythrogenys A. finschi A. leucophtalma A. euops A. chloroptera A. solstitialis A. jandaya A. auricapilla A. weddellii A. nana A. canicularis A. aurea A. pertinax A. cactorum

V

V V

V

Nandayus N. nenday

Leptosittaca L. branickii

V

Cyanolyseus Conuro di Finsch

C. patagonicus

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Conuro Jandaya

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Pyrrhura P. cruentata

Conuro gola blu

Blue-throated Conure

P. frontalis P. perlata P. molinae P. picta P. leucotis P. viridicata P. egregia P. melanura P. orcesi P. rupicola P. albipectus P. calliptera P. hoematotis P. rhodocephala P. hoffmanni

Conuro ventre castano Conuro ventre cremisi Conuro guance verdi Conuro variopinto Conuro orecchie bianche Conuro di Santa Marta Conuro spalle rosse Conuro coda bruna Conuro di El Oro Conuro capinero Conuro collobianco Conuro petto bruno Conuro orecchie rosse Conuro corona rosa Conuro di Hoffmann

Maroon-bellied Conure Crimson-bellied Conure Green-cheeked Conure Painted Conure White-eared Conure Santa Marta Conure Fiery-shouldered Conure Black-tailed Conure El Oro Conure Black-capped Conure White-breasted Conure Brown-breasted Conure Red-eared Conure Rose-crowned Conure Sulphur-winged Conure

Conuro di Magellano Conuro becco sottile

Austral Conure Slender-billed Conure

V

V

V V V NT

Enicognathus E. ferrugineus E. leptorhynchus

NT

Conuro ventre castano

200

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PAPPAGALLO MONACO Una specie sudamericana a coda lunga che tuttavia conviene tenere ben distinta dal gruppo dei conuri per la particolarità, unica tra i pappagalli, di costruire un enorme nido collettivo di stecchi dotato di molte gallerie e camere di incubazione. La specie è molto comune in cattività e spesso, grazie alle sue abitudini coloniali che la rendono facilmente controllabili, viene anche mantenuta in completa libertà. Ne esistono varie mutazioni (gialla, azzurra….) e si può praticamente considerare domestica.

Myiopsitta M. monachus Pappagallo monaco

Pappagallo monaco

Monk Parakeet

CAICCHI Il genere sudamericano Pionites comprende due specie di taglia medio-piccola, particolarmente attraenti sia per il vivace accostamento di colori (verde, bianco, nero, giallo, arancio), sia per il comportamento estroso e rapidamente reattivo agli stimoli che ne fanno soggetti privilegiati per l’avicoltura.

Pionites P. melanocephala P. leucogaster

Caicco testanera Caicco ventre bianco

Black-capped Parrot White-bellied Parrot

Caicco testanera

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PAPPAGALLINI NEOTROPICALI I pappagalli di piccola taglia (entro i 15-16 cm) del Centro e del Sudamerica si collocano tutti nei cinque generi seguenti che comprendono in tutto trenta specie. Molte di queste sono uccelletti ben noti anche in avicoltura e alcune specie dei generi Bolborhynchus e Forpus si possono considerare completamente domestiche. Fa eccezione il genere Touit che è tuttora totalmente sconosciuto in avicoltura.

Bolborhynchus

Pappagallino barrato

B. aymara B. aurifrons B. lineola B. orbygnesius B. ferrugineifrons

Pappagallino della Sierra Pappagallino fronte dorata Pappagallino barrato Pappagallino delle Ande Pappagallino fronte ruggine

Sierra Parakeet Mountain Parakeet Barred Parakeet Andean Parakeet Rufous-fronted Parakeet

E

Papp. dal groppone turchese Pappagallino passerino Pappagallino aliblu Pappagallino dagli occhiali Pappagallino di Sclater Pappagallino del Pacifico Pappagallino faccia gialla

Mexican Parrotlet Green-rumped Parrotlet Blue-winged Parrotlet Spectacled Parrotlet Dusky-billed Parrotlet Pacific Parrotlet Yellow-faced Parrotlet

V

Pappagallino tirica Pappagallino aligialle Pappagallino alirosse Pappagallino tovi Pappagallino ali cobalto Pappagallino alidorate Pappagallino tui

Plain Parakeet Canary-winged Parakeet Grey-cheeked Parakeet Tovi Parakeet Cobalt-winged Parakeet Golden-winged Parakeet Tui Parakeet

Pappagallino di Tepui Papp. della signora D’Achille

Tepui Parrotlet Amazonian Parrotlet

Tui sette colori Tui spalle scarlatte Tui della Costarica Tui alirosse Tui dal groppone zaffiro Tui orecchie nere Tui coda dorata Tui ali macchiate

Lilac-tailed Parrotlet Scarlet-shouldered Parrotlet Red-fronted Parrotlet NT Red-winged Parrotlet Sapphire-rumped Parrotlet Brown-backed Parrotlet E Golden-tailed parrotlet Spot-winged Parrotlet V

Forpus F. cyanopygius F. passerinus F. crassirostris F. conspicillatus F. sclateri F. coelestis F. xanthops

Brotogeris

Pappagallino passerino

B. tirica B. versicolorus B. pyrrhopterus B. jugularis B. cyanoptera B. chrysopterus B. sanctithomae

Nannopsittaca N. panychlora N. dachilleae

NT

Touit T. batavica T. huetii T. costaricensis T. dilectissima T. purpurata T. melanonota T. surda T. stictoptera

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Pappagallino tirica

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ALTRI PAPPAGALLI NEOTROPICALI Le 19 specie facenti capo a cinque generi qui raggruppate hanno in comune la diffusione sudamericana, l’ecologia forestale e il fatto non trascurabile di essere quasi tutte rare in avicoltura, eccezion fatta per i Pionus che sono gli unici di questo gruppo ad essere stati importati abbastanza spesso nel recente passato e che tuttora sono presenti in discreto numero in avicoltura. Quasi tutte le specie del genere Hapalopsittaca sono minacciate di estinzione e quelle del genere Pionopsitta sono vulnerabili e anche difficili da allevare.

Pionopsitta

Pappagallo capobruno

P. pileata P. haematotis P. pulchra P. barrabandi P. pyrilia P. caica

Pappagallo capirosso Pappagallo capobruno Pappagallo faccia rosa Pappagallo di Barraband Pappagallo testa zafferano Pappagallo dal cappuccio

Red-capped Parrot Brown-hooded Parrot Rose-faced Parrot Orange-cheeked Parrot Saffron-headed Parrot Caica Parrot

Pappagallo vulturino

Vulturine Parrot

Pappagallo alinere Pappagallo faccia rugginosa Pappagallo ali azzurre Pappagallo dell’Ecuador

Black-winged Parrot Rusty-faced Parrot Fuertes’s Parrot Red-faced Parrot

Pappagallo codacorta

Short-tailed Parrot

Pappagallo testablu Pappagallo becco di corallo Pappagallo di Massimiliano Pappagallo corona di prugna Pappagallo corona bianca Pappagallo ali bronzate Pappagallo violaceo

Blue-headed Parrot Red-billed Parrot Scaly-headed Parrot Speckle-faced Parrot White-crowned Parrot Bronze-winged Parrot Dusky Parrot

NT

Gypopsitta G. vulturina

Hapalopsittaca H. melanotis H. amazonina H. fuertesi H. pyrrhops

E E E

Graydidiscalus Pappagallo corona bianca

G. brachyurus

Pionus P. menstruus P. sordidus P. maximiliani P. tumultuosus P. senilis P. chalcopterus P. fuscus

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AMAZZONI Le amazzoni sono i pappagalli più noti di taglia medio-grande del continente americano, dal Messico fino al sud del Cile e dell’Argentina. Ne sono note, con la classificazione che seguiamo per questo testo, trentuno specie tra le quali sono compresi molti tra i più noti pappagalli “parlatori” da molti anni importati in Europa e Nordamerica e mantenute a scopo di diletto. Molte specie sono di habitat forestale ma molte altre frequentano ambienti più aperti, foreste-galleria, savane, arbusteti. Molte sono, purtroppo, le specie minacciate, quasi i due terzi del totale, tra cui quasi tutte quelle endemiche delle piccole isole delle Antille. Nel gruppo sono anche compresi alcuni pappagalli veramente imponenti come l’amazzone imperiale e l’amazzone di S. Lucia. In avicoltura oggi sono tra i pappagalli che riscuotono maggior interesse, fortemente richiesti e discretamente riprodotti.

Amazona

Amazzone del Brasile

A. leucocephala A. collaria A. ventralis A. albifrons

Amazzone di Cuba Amazzone golarosa Amazzone di Hispaniola Amazzone frontebianca

Cuban Amazon Yellow-billed Amazon Hispaniolan Amazon White-fronted Amazon

NT NT NT

Amazzone dell’Amazzonia

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A. xantholora A. agilis A. vittata A. tucumana A. pretrei A. viridigenalis A. finschi A. autumnalis A. difresniana A. rhodocorytha A. brasiliensis A. festiva A. xanthop A. barbadensis A. aestiva A. oratrix A. auropalliata A. ochrocephala A. amazonica A. mercenaria A. kawalli A. farinosa A. vinacea A. versicolor A. arausiaca A. guildingii A. imperialis

Amazzone dalle redini gialle Amazzone della Giamaica Amazzone di Portorico Amazzone di Tucuman Amazzone dagli occhiali rossi Amazzone guance verdi Amazzone corona lilla Amazzone guance gialle Amazzone guance blu Amazzone corona rossa Amazzone del Brasile Amazzone dal groppone rosso Amazzone faccia gialla Amazzone spalle gialle Amazzone fronteblu Amazzone testa gialla Amazzone nuca gialla Amazzone fronte gialla Amazzone dell’Amazzonia Amazzone loricata Amazzone faccia bianca Amazzone farinosa Amazzone vinacea Amazzone di S. Lucia Amazzone collorosso Amazzone di S. Vincent Amazzone imperiale

Yellow-lored Amazon Black-billed Amazon V Puertorican Amazon CE Tucuman Amazon Red-spectacled Amazon E Green-cheeked Amazon E Lilac-crowned Amazon NT Yellow-cheeked Amazon Blue-cheeked Amazon NT Red-crowned Amazon E Red-tailed Amazon E Red-backed Amazon Yellow-faced Amazon V Yellow-shouldered Amazon V Blue-fronted Amazon Yellow-headed Amazon E Yellow-naped Amazon Yellow-fronted Amazon Orange-winged Amazon Scaly-naped Amazon White-faced Amazon Mealy Amazon Vinaceous Amazon E St. Lucia Amazon V Red-necked Amazon V St. Vincent Amazon V Imperial Amazon V

Amazzone fronteblu

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PAPPAGALLO ACCIPITRINO Un bellissimo pappagallo amazzonico chiaramente imparentato con le amazzoni ma da esse ben distinto per il variopinto collare erettile blu e fucsia e per la corporatura piĂš snella e piĂš allungata.

Derotypus D. accipitrinus

Pappagallo accipitrino

Hawk-headed Parrot

TRICHLARIA Un agile pappagallo appartenente a un genere monotipico, verde di media taglia con il ventre blu nel solo maschio. Molto raro in avicoltura e anche nel suo ambiente naturale ormai molto ridotto, la foresta atlantica del Brasile.

Trichlaria T. malachitacea

Pappagallo dal ventre malachite Purple-bellied Parrot

E

Pappagallo accipitrino

Pappagallo dal ventre malachite

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CARTE E TAVOLE

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Distribuzione mondiale dei pappagalli con evidenziazione delle diverse aree biogeografiche e alcuni esempi di specie tipiche delle stesse

Nord America 210

Parrocchetto della Carolina

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Pappagallo Beccoforte

Sud America Ara

Amazzone fronte blu

Pappagallo testa blu

Africa Pappagallo Pappagallo Pappagallo dal cenerino di Jardine ventre arancio

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Madagascar

Nuova Guinea Nuova Zelanda

Pappagallo Vasa

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Lori rosso

Pappagallo kakapo

Asia Parrocchetto dal collare

Parrocchetto testa di prugna

Australia Parrocchetto dell'Himalaya

Cacatua Pappagallo ciuffo giallo alirosse

Pappagallo notturno

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Distribuzione delle undici specie di pappagalli africani del genere Poicephalus, a sinistra superspecie meyeri, a destra superspecie robustus. Si noti che la distribuzione nell'ambito di ciascuna delle due superspecie risulta allopatrica (cioè, dove si trova una specie non vi sono le altre) e, nel caso della superspecie meyeri, anche parapatrica, cioè la distribuzione delle diverse specie forma una sorta di area continua con le diverse aree delle singole specie a contatto, generalmente senza sovrapposizioni.

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Il genere Amazona ha subito una vivace speciazione nell'arcipelago dei Caraibi, dando luogo a ben nove diverse specie che oggi, in buona parte, a causa della ristrettezza dell'areale e dell'interferenza umana, risultano in pericolo di estinzione, talora in modo critico. Nella figura sono schematizzate, da sinistra verso destra e dall'alto verso il basso, l'amazzone di Cuba, l'amazzone di Hispaniola, l'amazzone di Portorico, le amazzoni di S. Vincent, Santa Lucia, Imperiale e Dominicana nonchĂŠ le due specie che convivono nell'isola di Giamaica, verde e golarosa.

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