Iusveducation 2017 #9

Page 88

/ 174

/UNA FARFALLA IN UNA TECA D'AMBRA

vetro smerigliato della porta dello studio. Va avanti e indietro per il corridoio; ad un certo punto si ferma: la sua grande mole si staglia di fronte alla porta. Sento bussare. Terapeuta: «Avanti … buonasera Antonio». Antonio: «Perché tiene la porta chiusa, dottore? Pensavo fosse occupato con un altro paziente, ma ora non vedo nessuno … La prossima volta la tenga aperta, o socchiusa, così almeno capisco che lei è libero e posso entrare». Il comportamento controllante del paziente sembra trasformare la presunta fiscalità vissuta la volta precedente, in una fiscalità agita e direttiva nei confronti del terapeuta. Egli impartisce le regole sul come deve essere la porta: «aperta, socchiusa», da interpretare come messaggio di via libera. Provo un certo fastidio, un senso di irritazione, perché le parole di Antonio mi suonano invadenti e fuori luogo. In questo momento penso che Antonio sia invadente. Ho idea che quello che sento possa interferire con lo svolgimento della seduta. Terapeuta: «Beh, mancano ancora cinque minuti …». Antonio: «Sì, lo so … ma visto che non aveva nessun altro, pensavo che iniziare prima significasse anche finire prima, no?». Terapeuta: «Non è esattamente così. Qui non è come recarsi nell’ambulatorio del medico di famiglia, dove chi arriva prima viene ricevuto prima … ne abbiamo parlato più volte, ricorda?». Antonio: «Sì dottore, ma non cambia nulla. Perché, passati i cinque minuti, se continuo a vedere la porta chiusa, posso pensare che con lei c’è qualcun altro, mentre invece è qui che aspetta me … e la cosa mi mette un po’ in agitazione …». Una fantasia dalla quale cerco di difendermi, si fa strada tra i miei pensieri: ho l’impressione che Antonio non solo tenda al controllo totale dello spazio e del tempo a sua disposizione, ma che tale controllo si estenda anche la mia persona. Terapeuta: «Mi dica un po’ di più: che cosa la fa agitare?». Antonio: «L’incertezza, ossia il non sapere se posso entrare o se devo aspettare perché c’è un altro paziente con lei … sa, non vorrei mai interrompere un momento tanto delicato». Terapeuta: «Dunque, quello che la fa agitare è il non sapere quando entrare, in assenza di un segnale chiaro che glielo faccia intuire (come ad esempio la porta socchiusa)? Antonio, ha paura che non venga a chiamarla? O che la lasci in sala d’attesa ad aspettare?».

/D.M.MARCHIORO

Antonio: «Esatto, ma mi sembra di perdere tempo parlando di questa cazzata!». Il paziente decidere di chiudere la conversazione su questo tema per mantenere l’illusione di un controllo che presume legittimo, e a legittimarlo è l’ideale di sé. La preoccupazione di essere svalutato gli induce ansia, e l’ansia deve essere tenuta a bada chiarendo ogni dubbio. La dimensione interpretativa del suo pensiero, spesso a contenuto profetico, gli garantisce inoltre un controllo efficace anche nel verificarsi dell’evento avverso. L’improvvisa chiusura di Antonio mi fa pensare che si stia difendendo da un’angoscia molto profonda, i cui confini non sono ancora ben visibili. Paradossalmente, è proprio il tema del ‘confine’ a caratterizzare le sedute: il bisogno di infrangere i confini dell’altro per verificare i propri. È la sensazione che lui stesso definisce ‘incertezza’ e che a me appare angoscia, innescata dalle ‘distinzioni’ e dalle ‘differenze’. Tutto ciò, da un lato contrasta con il desiderio di ‘assenza di confine’, il bisogno di far parte in modo fusionale e godere di un privilegio che lo pone al di sopra degli altri, dall’altro è gravato dall’incapacità di saper aspettare: manca di quel ‘so-stare’ che è competenza necessaria per il rispetto delle regole di spazio e tempo che il setting prevede. Nella mia mente si fa strada l’immagine di un bambino che aspetta qualcuno e teme che non arriverà mai. Terapeuta: «Io non credo sia una perdita di tempo … ricorda quando mi ha raccontato di quel giorno a scuola, quando era venuta la dottoressa e che avrebbe dovuto auscultarla?». Antonio: «Sì, mi ricordo …». Terapeuta: «Quell’episodio sembra ripetersi sempre, anche oggi. Non le pare?». Antonio: «Lo sa che non ci avevo pensato? È vero … E infatti lei a volte si comporta proprio come quella dottoressa … cioè, non si offenda, non voglio dire che è come lei, ma che quello che io ho sentito quando … quel giorno, insomma … non voglio sentirlo e a volte lo sento, cioè, non tutto, ma in parte …». Terapeuta: «Ha paura di essere abbandonato ancora una volta?». Antonio: «Sì … non tanto di essere abbandonato … non sono mica un bambino! Piuttosto ho paura di essere deluso … vede, il senso di questo mio soffrire, di questa malattia mentale … io lo so perché mi sono ammalato, dottore …». La capacità di tollerare la distanza, sia spaziale che temporale,

/ 175

Il bisogno di infrangere i confini dell'altro per verificare i propri


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.