La Scuola Storica Nazionale e la medievistica. Momenti e figure del Novecento

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ISTITUTO STORICO ITALIANO PER IL MEDIO EVO NUOVI STUDI STORICI - 96

LA SCUOLA STORICA NAZIONALE E LA MEDIEVISTICA. MOMENTI E FIGURE DEL NOVECENTO PER I 90 ANNI DELLA SCUOLA STORICA NAZIONALE DI STUDI MEDIEVALI Atti della giornata di studio (Roma, Istituto storico italiano per il medio evo, 16 dicembre 2013) a cura di Isa Lori Sanfilippo – Massimo Miglio

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ROMA NELLA SEDE DELL’ISTITUTO PALAZZO BORROMINI 2015


Nuovi Studi Storici collana diretta da Girolamo Arnaldi e Massimo Miglio

Coordinatore scientifico: Isa Lori Sanfilippo Redattore capo: Salvatore Sansone Redazione: Pierluigi Ponticello

ISSN 1593-5779 ISBN 978-88-98079-29-2 ________________________________________________________________________________ Stabilimento tipografico‌


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PREMESSA Gli anniversari non hanno di per sé alcun significato, se non quello che gli uomini e le istituzioni, o meglio gli uomini che in queste vivono, vogliono dare alle ricorrenze.

Raffaello Morghen ricordava nell’ottobre del 1973 il 90° anniversario della fondazione dell’Istituto con un ricchissimo convegno dedicato a cçåíá=ãÉÇáÉî~äá=É=éêçÄäÉã~íáÅ~=ëíçêáçÖê~ÑáÅ~,che si aprì in Campidoglio e si svolse in Vallicelliana, in Istituto, al Collegio teutonico di S. Maria in Camposanto e all’École con sedute dedicate ^ää~=ëíçêá~=ÇÉääÉ=áëíáíìòáçåá=ä~áJ ÅÜÉ=ÉÇ=ÉÅÅäÉëá~ëíáÅÜÉ, alla ëíçêá~=ÇÉää~=mentalità É=~ää~=ëíçêá~=ÇÉää~=Åìäíìê~I=~ää~ íáéçäçÖá~=ÇÉääÉ=ÑçåíáK=«[L’Istituto] è statoI sin dal suo nascere, al centro dei problemi e delle questioni che oggi si dibattono per una più precisa consapevolezza delle nuove istanze che il mondo moderno pone oggi al pensiero storico»1. Ripeto oggi, anche se proverei a usare altre parole, lo stesso concetto. Il rapporto tra pensiero storico e società si modifica quotidianamente e l’Istituto non può non tenerne conto. Gli anniversari possono anche trovare ragioni diverse d’essere. Ancora Morghen aveva ricordato nel 1953 i 70 anni dell’Istituto e li aveva più tardi collegati alla Öê~åÇÉ= áãéêÉë~= del oÉéÉêíçêáç= ÇÉääÉ= cçåíá= píçêáÅÜÉ= ÇÉä jÉÇáçÉîçK=In anni più recenti Girolamo Arnaldi, meno sensibile a centenari e ricorrenze, non aveva voluto dimenticare i cento numeri del _ìääÉííáåç con un fascicolo tutto dedicato agli studi medievali e all’immagine del Medioevo tra Ottocento e Novecento. Potrei tranquillizzarmi e tranquillizzare chi legge affermando che siamo oggi, per ragioni ideali e scelte tematiche, nella tradizione. Ma sarebbe parzialmente vero; la tradizione, così 1 R. Morghen, däá=ëíìÇá=ëìä=jÉÇáçÉîç=åÉääÛìäíáãç=Åáåèì~åíÉååáç, in cçåíá=ãÉÇáçÉî~äá=É éêçÄäÉã~íáÅ~= ëíçêáçÖê~ÑáÅ~K Atti del Congresso internazionale tenuto in occasione del 90°anniversario della fondazione dell’Istituto storico italiano (1883-1973), Roma 1976, I, p. 1.


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come l’innovazione, possono essere scelte strumentali di chi ha poteri decisionali per lasciar crollare le istituzioni. Le istituzioni culturali, tranne rare eccezioni, non hanno mai vissuto in Italia tranquillità e serenità. La nostra storia lo testimonia, anche nel concreto del suo corpo, nelle vicende dalla sua sede. L’Istituto è stato senza sede per molti decenni, vagabondo tra case private e più nobili istituzioni; sembrava aver trovato una sua nobile consistenza in Palazzo Chigi, tanto da far dettare al presidente Paolo Boselli parole che sapevano (ma la prima guerra mondiale era da poco finita) di rifondazione: «noi daremo una nuova vita al nostro Istituto»2. Ma aveva dovuto lasciare da subito palazzo Chigi a più alti destini; s’era allocato faticosamente qui in Palazzo Borromini, conquistando e perdendo spazi a seconda del potere proprio (vissuto nel nome dei singoli presidenti) e delle prepotenze altrui. È vissuto per molti decenni, quasi senza eccezioni, Çá=éçîÉêí¶=ëì~=äáÉí~, anche se all’origine aveva finanziamenti dedicati, poi lentamente persi. Ma da Fedele e Gentile in avanti ha avuto anche una Scuola storica, tutta volutamente diversa dalle scuole universitarie. E su questa e sull’impegno di molti è vissuto, o sopravvissuto alle tempeste. Gli anni recenti hanno esaltato le tempeste e depresso gli arcobaleni (l’immagine dell’arcobaleno è di Arnaldi); hanno visto i tentativi di una politica deviata di condizionarne l’attività. Ma, e questa è la riflessione più importante, quasi contestualmente ai tagli lineari, agli interventi demolitori, alla cancellazione delle istituzioni culturali, un Parlamento sostanzialmente unanime, dove le eccezioni erano millesimali, trovava la volontà di approvare con maggioranze bulgare, nel settembre del 2011, la legge per la `çåÅÉëëáçåÉ=Çá=ÅçåíêáÄìíá=éÉê=áä=Ñáå~åòá~ãÉåíç=ÇÉää~=êáÅÉêÅ~=ëìää~=ëíçêá~=É ëìää~= Åìäíìê~= ÇÉä= ãÉÇáçÉîç= áí~äá~åç= ÉÇ= ÉìêçéÉç. Verranno sicuramente i decreti legge con gli accantonamenti e altri tagli lineari, ma la vita dell’Istituto dovrebbe essere ora assicurata per il futuro. E spero di non essere troppo ottimista. Operiamo però in una società che assiste al degrado totale delle facoltà umanistiche universitarie, al fallimento della scuola superiore, all’esplosione dell’analfabetismo funzionale; una società in cui soltanto il 20 per cento della popolazione adulta possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo, necessari per orientarsi (Tullio De Mauro, pÉëëáçåÉ=ufsI=^Çìå~åò~=éäÉå~êá~=ÇÉä=NV=ã~êòç=NVNV, «Bullettino dell’Istituto storico italiano», 40 (1921), p. XII. 2


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iáîÉääá=É=ÇáëäáîÉääá=äáåÖìáëíáÅá=É=Åìäíìê~äá=çÖÖá=áå=fí~äá~, conferenza tenuta il 10 maggio 2013 all’Accademia dei Lincei); una società in cui, il mercato editoriale è precipitato del 15% dal 2011 al 2013. E l’ordine degli elementi di crisi non è necessariamente quello della priorità o della gravità, ma tutti esplodono in maniera esponenziale a fronte della crisi economica, devastante per le istituzioni culturali. Non possiamo adeguarci, né possiamo limitarci a contenere i danni. Ma il nostro compito istituzionale, che non è stato mai sostanzialmente modificato, dall’origine a oggi, sarebbe quello di pubblicare testi destinati ad una porzione ormai infinitesimale di un pubblico di lettori ridotto a decimali. Dobbiamo pubblicare volumi, edizioni e letteratura storiografica, che abbiano una possibilità di trovare fruitori (che a ben vedere è la ragione prima della scrittura in qualsiasi contesto).Torna allora d’attualità quanto scriveva Margherita Morreale3 nel raccontare la propria autobiografia e i vantaggi di una formazione internazionale: aveva imparato a scrivere nelle scuole elementari austriache e «il tedesco mette in moto meccanismi paragonabili a quelli del latino»; quindi, dopo il trasferimento negli Stati Uniti, aveva imparato a scrivere in inglese e «dovetti assuefarmi a stendere l’arco del discorso logico senza l’aiuto costante dei nessi subordinati»; di ritorno in Europa aveva studiato a Malaga lo spagnolo andaluso: lingua «che imparai frequentando giovani illetterate e i loro genitori […] rappresentò per me una svolta verso […] l’espressione semplice e pittoresca». Per finire con l’italiano, lingua che aveva sempre sentito come la più bella e affascinante, che però le creò qualche problema «quando venni in contatto col periodare accademico al mio rientro definitivo in Italia».

Non è solo problema di scrittura, anche se l’accademismo italiano ne ha condizionato forse più di altri la propria, tanto da far ricorso a un linguaggio gergale. Il problema è di struttura del racconto, forse, ancora più, di avere cultura e fantasia nella scelta delle fonti e nella loro lettura. Se apro il libro e leggo: «Se io sia per fare opera pregevole con lo scrivere tutte le vicende del popolo romano fin dall’inizio dell’Urbe, né so, né, se sapessi, oserei dire», sicuramente continuo nella lettura. Se apro un articolo e leggo «In un diploma di Ottone III del 1101 con cui vengono donate alla Chiesa otto contee della Marca è la prima testimonianza rimastaci della accusa di falsità della donazione di Costantino», molto probabilmente M. Morreale, bëÅêáíçë=ÉëÅçÖáÇçë=ÇÉ=äÉåÖì~=ó=äáíÉê~íìê~=Éëé~¥çä~, cur. J.L. Rivarola – J. Pérez Navarro, Madrid 2006. 3


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chiudo il fascicolo della rivista. Nel primo caso la scrittura è rivolta a tutti, nel secondo solo a quanti già sanno chi sia Ottone, cosa sia un diploma, una contea, cosa sia la Marca.

Introdurre non significa proporre soluzioni, ma forse soltanto indicare le ragioni di una scelta e di una iniziativa, nella consapevolezza che, negli ultimi anni, la Scuola storica non solo ha riflettuto sulla storia, ma condiviso la necessità di ripensare la scrittura della storia, e che questo si può fare solo riandando ai grandi maestri. E per riprendere ancora quanto dicevo prima, non mi considero un conservatore nella mia difesa a oltranza della Scuola storica. C’è stato un momento in cui le Scuole in Italia, a tutti i livelli, proliferavano; ora languono nel malinconico illanguidimento di tutta la cultura di tradizione antica. La cultura oggi è soprattutto immagine e parola: due stimmate profondamente medievali. La scrittura è ostica, funzionale nella riduzione estrema del twitter, solo a trasmettere i significati di immagini e di parole; anche questo sempre profondamente medievale. È per questa ragione che per noi è facile reagire – sul modello di chi ci ha preceduto: Fedele, Morghen, Arnaldi– reagire alle lusinghe di un mondo diverso, proposto nelle università attuali, da certa incolta burocrazia ministeriale, nelle case editrici alla moda, negli uffici studi dei partiti (ma esistono ancora?), lì dove insomma si dovrebbe formare la coscienza degli italiani. Riproporre oggi la funzione della Scuola storica, cosa e quanto ha prodotto nei decenni passati, il senso della sua ricerca culturale, anche il modello di incontro sociale che ha costituito, è quanto di più rivoluzionario sia possibile oggi pensare. Significa il ritorno a un modello elitario, come sempre deve essere per la ricerca, delegata a una minoranza e destinata ad una minoranza appena più vasta. I cambiamenti ci sono stati. Nel programma dell’incontro di oggi ne sono individuati alcuni, ma forse il più radicale, quello che ha maggiormente inciso sulla definizione dei compiti della Scuola è costituito dalla Convenzione del 2006 con il Ministero della Pubblica Istruzione, che ha permesso la sopravvivenza della Scuola stessa, e che è stata seguita, ora e allora, con competenza e intelligenza dal Direttore generale per il personale del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Luciano Chiappetta, che ringrazio. La conservazione sta nel riproporre un modello che è sempre stato unico in Italia, che non ha mai voluto essere solo scuola di filologia, di antiquaria, di esegesi, ma ha voluto proporre l’insieme delle specificità e alle-


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nare nel confronto delle idee e delle ricerche concrete. L’innovazione sta nel forzare la mano alla società contemporanea e proporre un modello, ancora più di prima, al servizio dei diversi ordini della scuola secondaria. Per citare un allievo della Scuola, nell’introduzione a uno dei volumi dei nì~ÇÉêåá=ÇÉää~=pÅìçä~=å~òáçå~äÉ=Çá=ëíìÇá=ãÉÇáÉî~äáI che della Scuola stessa sono stati una delle novità più significative degli ultimi anni: «Una comunità di formazione e di condivisione che, pur nelle traversie dei tempi e nelle difficoltà delle istituzioni, è rimasta, vogliamo crederlo, la salda testimonianza della lunga storia dell’Istituto, della sua operosità, dell’attenzione per la ricerca e per la pubblicazione delle fonti, e insieme della perseveranza degli uomini e delle donne che ne hanno voluta e garantita la continuità»4.

4 G. Francesconi, mêÉÑ~òáçåÉ, in M. Miglio, fëíáíìíç=ëíçêáÅç=áí~äá~åçK=NPM=~ååá=Çá=ëíçêá~, cur. F. Delle Donne – G. Francesconi, Roma 2013, p. XII.


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LA SCUOLA STORICA PRIMA DELLA SCUOLA STORICA Nel verbale del Consiglio Direttivo del 17 giugno 1963 del nostro Istituto si registra: «Circa le prossime pubblicazioni il Presidente <Raffaello Morghen> comunica di aver presa l’iniziativa per la celebrazione dell’80° anniversario della fondazione dell’Istituto e del 40° anniversario dell’Istituzione della Scuola Storica, invitando tutti gli alunni ed ex alunni a inviare un saggio per il Bullettino N. 75, che conterrà anche un ricordo di Pietro Fedele nel 20° anniversario della sua scomparsa. <pá ~ÖÖáìåÖÉî~=áåçäíêÉ> Il volume sarà distribuito in una riunione celebrativa che, nel prossimo autunno, raccoglierà tutti quelli che hanno fatto parte della Scuola Storica»1. A un anno di distanza, il verbale del 13 giugno 1964 registrava che «All’inizio dell’anno accademico, presso l’Istituto, è stata indetta una solenne riunione di tutti gli ex-alunni e degli alunni della Scuola storica nazionale, con intervento di autorità e di ospiti illustri, per rievocare il 40° anno di fondazione della Scuola storica, l’80° anno di fondazione dell’Istituto e il 20° della morte di Pietro Fedele. In quella occasione il prof. Morghen ha presentato e dato in dono agli intervenuti il volume Miscellanea di Studi Storici, costituito interamente di contributi di alunni ed ex-alunni della Scuola storica» (la Miscellanea era in realtà il numero 75 del Bullettino di cui erano state tirate a parte 100 copie)2. La scelta di Morghen era precisa e assolutamente significativa: segnalava la continuità dell’Istituto storico per il medio evo rispetto all’Istituto 1 Istituto storico italiano per il Medioevo, Archivio storico, cçåÇç=áëíáíìòáçå~äÉ, Organi di governo e membri, sÉêÄ~äá= ÇÉä= `çåëáÖäáç= ÇáêÉííáîç, reg. 7 (d’ora in poi Verbale del Consiglio direttivo) – 17 giugno 1963. 2 Verbale del Consiglio direttivo - 13 giugno 1964.


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storico italiano, sempre da lui rilevata e mai, a dir del vero, da nessuno revocata in dubbio; trascinava nella linea di continuità la Scuola (che era stata istituita prima della moltiplicazione degli Istituti e della conseguente moltiplicazione delle Scuole); sottolineava l’importanza della Scuola nella vita dell’Istituto e individuava in Pietro Fedele l’elemento unitario dell’uno e dell’altra. Morghen tornava a parlare di Fedele dopo molti anni, anche se in Istituto non si era mai avuta la sua Ç~ãå~íáç=ãÉãçêá~É per ragioni politiche (così come non erano stati cancellati gli stemmi littorii all’ingresso della Sala Ferraioli, anche se certo non per nostalgia politica). Non c’era stata Ç~ãå~íáç, tutt’altro, forse solo silenzio: dal 1949 esisteva una Fondazione Pietro Fedele; nello stesso verbale del giugno 1963 veniva assegnata a Zelina Zafarana la borsa di studio Pietro Fedele. Gli stessi verbali appena ricordati permetterebbero altre considerazioni, che indico solo come appunti da elaborare in futuro. La Scuola storica è sempre presente nelle verbalizzazioni; la sua attività coincide in gran parte con quella dell’Istituto. Gli allievi della Scuola partecipano negli anni 1963/64 a seminari tenuti da de Lubac, Gieystor, Sanchez-Albornoz, Delaruelle, Dujev, Francesco Gabrieli (era prevista per l’anno successivo una conferenza di Kaegi). In Istituto, a partire dal 1962, sono inoltre comandati dal Ministero della Pubblica Istruzione altri due studiosi, Anna Leonardi Chiavacci ed Enzo Petrucci, con il compito di realizzare gli indici di alcuni volumi della seconda edizione dei oÉêìã. Per la prima volta viene verbalizzato l’impegno dei nuovi allievi a «dedicare alcune ore ai lavori della redazione del Repertorium Fontium Historiae Medii Aevi, e precisamente del secondo volume del medesimo in corso di pubblicazione». La verbalizzazione continua ricordando che: «Gli alunni, inoltre, secondo le norme del concorso, svolgono anche un’attività personale, attendendo a ricerche e a studi preparatori per l’edizione di un testo medievale da pubblicare nella collezione delle “Fonti per la storia d’Italia” edita dall’Istituto». (Ma su questo e su altro parlerà Isa Sanfilippo a conclusione di questa giornata, così come ricorderà che Morghen fu costretto a tornare su alcune sue precedenti decisioni e a chiedere agli alunni il rispetto del bando e l’obbligo della residenza a Roma). Morghen conosceva la storia dell’Istituto e quella della Scuola per averle vissute in prima persona (siamo noi che dobbiamo oggi cercarla nelle carte d’archivio, come ancora non accadeva a Girolamo Arnaldi che le aveva vissute attraverso le proprie esperienze personali e le parole di Morghen) e sapeva che queste coincidevano in gran parte con l’impegno culturale di Fedele: da tutto ciò la scelta della coincidenza delle ricorrenze:


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80°, 40°, 20° anniversario; da questo la scelta, tutta personale e interiore, di scrivere, nel volume miscellaneo, proprio di Pietro Fedele e di tracciarne anche un ritratto redatto sul filo dei ricordi che, se pure non erano una dimensione di scrittura estranea a Morghen, venivano però da lui riservati a contesti diversi: «Il suo stesso aspetto ispirava fiducia e rispetto per la bonomia un po’ scontrosa della espressione e il senso di decoro che accompagnava ogni suo atto. Il timbro della voce alto e squillante, il gesto misurato a scandire il ritmo della parola facevano di Lui un oratore nato, né la naturale facondia degenerava mai in improvvisazione, tanta era la cura con la quale preparava discorsi e lezioni, sempre precisi nei dati, concreti nelle argomentazioni»3. Morghen, che propone in questa circostanza un’immagine di Fedele deprivata del tutto dalle stimmate fasciste, seppure di un fascista perdente e forse mite (lo scontro con Gentile e la perdita del Ministero; la creazione della Giunta centrale e la nomina di De Vecchi alla guida, forse questo per una sua scelta precisa); sottolineava la tradizione cattolico-liberale di Fedele, che giustificava da un lato la sua attenzione per la tradizione di Roma medievale e dall’altra «il senso dell’Italia “nazione culturale”, quale l’aveva concepita Ludovico Antonio Muratori», ma insisteva soprattutto sulla sua vocazione di maestro, che «trovò il campo dove spiegare in pieno tutta la sua efficacia nella Scuola Storica Nazionale, istituita per sua insistente richiesta dal ministro Gentile, nel 1923, presso l’Istituto Storico Italiano»4. Morghen coglieva in pieno in questo uno dei meriti di Fedele nei suoi rapporti con l’Istituto; Fedele che, come nel suo articolato necrologio, Ottorino Bertolini aveva ricordato: «All’Istituto Storico per il Medio Evo […] si considerava, con legittimo orgoglio, come un secondo fondatore»5. Poco più che quarantenne, Fedele era stato aggregato nel 1918 alla Giunta dell’Istituto6 (allora ancora Istituto storico italiano)7. Fedele, che 3 R. Morghen, oáÅçêÇç=Çá=máÉíêç=cÉÇÉäÉ, in jáëÅÉää~åÉ~=Çá=píìÇá=píçêáÅá (= «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano», 75), Roma 1963, pp. 1-5: 1. 4 fÄáÇ., p. 3. 5 O. Bertolini, máÉíêç=cÉÇÉäÉ, «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano», 59 (1944), p. XXXIX. 6 Istituto storico italiano per il Medioevo, Archivio storico, cçåÇç=áëíáíìòáçå~äÉ, Organi di governo e membri, Adunanze di Giunta, reg. 4 (d’ora in poi ^Çìå~åòÉ=Çá=dáìåí~) - 25 giugno 1918. 7 Nel decreto istitutivo dell’Istituto si stabiliva che la Giunta fosse composta da tre persone residenti a Roma; nell’Assemblea del 28 maggio 1912 (pÉëëáçåÉ= uff, «Bullettino


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aveva ottenuto lo straordinariato di storia moderna a Torino nel 1906 e nel 1914 era passato alla cattedra di storia medioevale dell’Università di Roma, entrava quindi in Istituto nel pieno della sua maturità scientifica e si inseriva immediatamente da protagonista, sia per quanto riguardava l’attività scientifica e l’attivazione della Scuola storica, sia per quanto riguardava le attività pratiche, come la scelta e l’allestimento della sede dell’Istituto. Scuola storica e sede ancora oggi testimoniano le scelte felici di Fedele. Già nel marzo del 1919, a pochi mesi dall’ingresso in Giunta, Fedele propone di istituire presso l’Istituto «una scuola di giovani tolti dall’Insegnamento i quali, sotto la guida dell’Istituto, si addestrino nei lavori di ricerca e di esplorazione di archivi specialmente di quello Vaticano, tanto frequentato da studiosi di Istituti storici stranieri, mentre di Italiani vi si trova soltanto qualche copista che lavora pure per conto di stranieri»8. Nella riunione, di poco successiva, dell’Assemblea, che come noto prevedeva una partecipazione più ampia di delegati nella verbalizzazione l’intervento di Fedele risulta più articolato: «[…] osserva come nella gara che ha spinto tutte le nazioni a ricercare nell’archivio Vaticano i documenti della loro storia, l’Italia sia rimasta completamente assente. Nel 1914, circa cinquecento stranieri studiavano in Roma nell’archivio Vaticano. Questa cifra <Åçåíáåì~î~> si ricava da una statistica pubblicata dall’Accademia storica di Spagna in occasione della fondazione qui in Roma del suo Istituto storico, fondazione a cui essa fu spinta “da un sentimento di dignità e di decoro nazionale”. Tale senso di decoro nazionale prima di ogni altra nazione avrebbe dovuto sentire l’Italia. Dovrebbe fon-

dell’Istituto storico italiano», 33 (1913), pp. XII-XV) si era avanzata la proposta - subito accettata dai presenti - di allargare la partecipazione alla Giunta e di abolire l’obbligo della residenza romana: in quella seduta furono aggregati Augusto Gaudenzi e Francesco Novati (poi nel 1916 Carlo Calisse) e venne richiesto al Ministero di modificare la norma relativa alla Giunta e nel contempo di non procedere a nomine senza aver domandato il parere dell’Istituto. I componenti dell’Istituto, che al momento della fondazione erano quindici (quattro di nomina governativa, sei eletti dalle Società di storia patria e cinque dalle Deputazioni), erano man mano diventati diciotto con la nascita di nuove Deputazioni e si temeva che il loro numero aumentasse sempre di più. 8 Adunanze di Giunta, 10 marzo 1919. L’Adunanza plenaria del 19 marzo 1919 avvenne, rispetto alla precedente, dopo un lungo intervallo dovuto alla situazione di guerra ed ebbe nel lungo intervento di Paolo Boselli, come detto, la tensione di una rifondazione. Boselli ripercorse la storia dell’Istituto dalla sua fondazione ad opera di Baccelli, ricordò i tanti scomparsi, e tra questi soprattutto Ernesto Monaci, e fece riferimento alla nuova sede a Palazzo Chigi, cfr. pÉëëáçåÉ=ufs, «Bullettino dell’Istituto storico italiano», 40 (1921) pp. VII-XXVII.


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darsi una scuola per la ricerca e lo studio dei documenti dell’archivio Vaticano riferentesi alla storia d’Italia. Si potrebbe incominciare con sei giovani o già insegnanti o appena usciti dalle Università, scelti mediante concorso o regole determinate dalla Giunta dell’Istituto. Gl’insegnanti dovrebbero avere, oltre il loro stipendio, un compenso in più. Per gli altri, oltre la borsa di studio, bisognerebbe ottenere delle provvidenze legislative per cui gli anni che passassero presso l’Istituto, non andassero per loro perduti, ma fossero computati agli effetti della carriera d’insegnanti»9. Era un progetto del tutto innovativo, che l’Istituto riuscirà a realizzare solo qualche anno dopo, anche se Boselli era completamente d’accordo10 e altrettanto favorevoli erano Tommasini e Fiorini; anche se, nell’immediato, il Ministero dichiarò il proprio consenso per l’istituzione di una scuola organizzata sul modello delle «istituzioni consimili universitarie». A opporsi a questa prospettiva era stato proprio Fedele, che aveva rifiutato con molta chiarezza e coerenza la proposta di qualcosa che avrebbe dovuto essere costruito sul modello universitario: «Le scuole alle quali si accenna sono universitarie, preparano agli studi e conferiscono diplomi. Noi non vogliamo dar diplomi»11. Sarà opportuno precisare anche che non dovette funzionare per lui come suggestione e modello (come qualche volta è stato detto) la Scuola di perfezionamento negli studi medievali, che era stata attiva per qualche anno presso la Società romana e che egli aveva frequentato, ma che era organizzata proprio sul modello delle scuole universitarie con lezioni di «paleografia, latinità medievale e dialettologia della regione romana, critica delle fonti, topografia romana, storia dell’arte, storia e miniatura dei manoscritti, diplomatica, bibliografia»12. Le osservazioni di Fedele furono tutte accolte dalla Giunta dell’Istituto, che verbalizzava il 17 giugno 1919 la delega per lui a preparare la lettera di accompagnamento al Ministero dello schema di Scuola letto

9 fÄáÇ., p. XXI. 10 fÄáÇ., pp. X-XI: «…sorsero in buon numero in questa città, che anche a riguardo del

compito nostro è sovrana, Istituti di altri Stati cui i propri governi forniscono mezzi cospicui onde emerge la loro scientifica autorità… e si fece palese quanto gioverebbe chiamare dalle varie parti d’Italia intorno a noi, come a dire in un noviziato sperimentale di elaborazioni negli archivi e di critica scientifica, giovani cui ammaestrerebbe la partecipazione ai lavori che apparecchiano le nostre pubblicazioni, mentre essi stessi altri lavori preparerebbero, con severità di scuola, per le fonti e per gli argomenti della storia italiana». 11 Adunanze di Giunta, 4 - 7 giugno 1919. 12 M. Miglio, fëíáíìíç= ëíçêáÅç= áí~äá~åçK= NPM= ~ååá= Çá= ëíçêáÉ, cur. F. Delle Donne - G. Francesconi, Roma 2013, p. 14.


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e approvato nella stessa seduta. Quindi nella seduta dell’Assemblea del 4 agosto 1919 viene deciso di «inviare al Ministero il disegno redatto dal Prof. Fedele», e si precisa ancora che «Nella lettera di accompagnamento è da distinguere però lo scopo della scuola proposta da quello degli insegnamenti universitari di storia indicati dal Ministero. <pá=~ÖÖáìåÖÉ=áåçäíêÉ ÅÜÉ> è da ricordare che la fondazione della scuola dipende dalla concessione dell’aumento della dotazione dell’Istituto nella misura richiesta […]»13. Il modello proposto era nella sostanza quello della Scuola che venne istituita da Giovanni Gentile nel 1923, e di cui Paolo Boselli, a pochi anni della istituzione già tracciava un primo bilancio nell’adunanza plenaria del 6 giugno 1927: «Il Ministro Giovanni Gentile, mercè il Decreto Reale del 31 dicembre 1923, adempì un lungo voto nostro, rinnovato ancora da questa Assemblea nel giugno del 1923. È sorta presso l’Istituto Storico Italiano la Scuola Storica Nazionale, con lo scopo di promuovere la ricerca e lo studio delle Fonti per la Storia d’Italia nel medio evo e di curarne la pubblicazione. Le prove del triennio attestano che fu ottimo l’ordinamento della Scuola e che felicissima riuscì la scelta degli studiosi. Direttore della Scuola fu eletto Pietro Fedele, la cui opera scientifica e ministeriale è connaturata oggimai a quella dell’Istituto nostro, a vanto e fortuna per la dignità, l’utilità, il progresso dell’opera nostra. Anche fra le cure del Governo, Pietro Fedele volge alla nostra Scuola il pensiero che indirizza e avvalora»14. La storia della Scuola è stata di recente puntualmente raccontata, e si può riassumere con la constatazione che in essa si è formata, se non tutta, sicuramente la migliore medievistica italiana15. Riflessione questa che Morghen, nel 1963, poteva estendere alle Scuole storiche degli altri Istituti storici nazionali nati contestualmente all’istituzione della Giunta: «Se di varia natura fu l’attività scientifica dei membri delle diverse scuole storiche, che vennero adibiti dai singoli direttori ai lavori specifici degli Istituti ai quali appartenevano, è certo che, attraverso

13 Adunanze di Giunta, 17 giugno 1919. 14 pÉëëáçåÉ=usf, «Bullettino dell’Istituto

storico italiano e Archivio Muratoriano», 44 (1927), pp. IX-X. 15 M. Zabbia - A. Feniello, sáÅÉåÇÉ=ÇÉää~=pÅìçä~=å~òáçå~äÉ=Çá=píìÇá=ãÉÇáÉî~äá, in iÉ=ëÅêáíJ íìêÉ=ÇÉää~=ëíçêá~K=m~ÖáåÉ=çÑÑÉêíÉ=Ç~ää~=pÅìçä~=å~òáçå~äÉ=Çá=ëíìÇá=ãÉÇáÉî~äá=~=j~ëëáãç=jáÖäáç, cur. F. Delle Donne - G. Pesiri, Roma 2012, pp. 1-34. Furono allievi della Scuola durante la direzione di Fedele: Raffaello Morghen, Ottorino Bertolini, Alfonso Gallo, Carlo Cecchelli, Olindo Salvadori, Francesco Paolo Luiso, Eugenio Duprè Theseider, Roberto Valentini, Angelo De Santis, Giuseppe Sola, Giuseppe Martini, Bruno Paradisi, Paolo Brezzi.


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LA SCUOLA STORICA PRIMA DELLA SCUOLA STORICA

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l’addestramento degli anni di permanenza nelle diverse Scuole Nazionali, si formò la massima parte degli attuali docenti universitari di discipline storiche dell’ultimo trentennio: basti ricordare fra gli altri, a titolo d’onore, i colleghi scomparsi Carlo Morandi, Federico Chabod, Franco Bartoloni, Carlo Cecchelli, Walter Maturi, Paolo Lamma […]»16. I colleghi che interverranno di seguito, nel corso di questa giornata, tracceranno linee di continuità e discontinuità della nostra Scuola; io credo che sarà necessario aggiungere ancora un ulteriore interrogativo e chiedersi per quali ragioni una così chiara e definita funzione della Scuola, soprattutto in relazione alla necessità di ricerche da svolgere tra i fondi dell’Archivio Vaticano, costantemente ripetuta fin quasi ai suoi ultimi giorni da Fedele, in un angoscioso confronto anche, per la ricchezza di mezzi e di sedi, con gli Istituti storici stranieri in Roma, sia rimasta sostanzialmente inattuata, fino a giorni recenti. Nella già ricordata adunanza del 1919 Fedele aveva individuato anche i settori d’intervento: «Compito di questi giovani dovrebbe essere lavorare all’archivio Vaticano <É=ëÉÖìáî~=äÛÉëÉãéáç=ÇÉääÛ°ÅçäÉ=É=ÇÉá=oÉÖÉëíá=ÇÉá=éçåíÉÑáJ Åá=~åíÉêáçêá=~ä=ëÉÅçäç=ufs>. L’Istituto potrebbe iniziare la pubblicazione dei documenti riferentesi all’Italia. Oltre i documenti dei regesti altro immenso materiale vi sarebbe da pubblicare: per esempio le suppliche. Bisogna quindi fare una proposta formale per la formazione di tale scuola»17. Ma la risposta potrà forse venire più dalle scelte culturali di Fedele come presidente dell’Istituto piuttosto che come direttore della Scuola. Per chi parla rimane l’impegno impari di modelli molto grandi a fronte di una sensibilità culturale completamente cambiata nella società contemporanea, a fronte di politici più attenti all’effimero che alla sostanza e di una burocrazia ministeriale che ha spesso quasi del tutto il senso di essere al servizio di una comunità e di uno Stato.

16 Cfr. R. Morghen, däá=ëíìÇá=ëìä=jÉÇáçÉîç=åÉääÛìäíáãç=Åáåèì~åíÉååáç, in cçåíá=ãÉÇáçÉî~J äá=É=éêçÄäÉã~íáÅ~=ëíçêáçÖê~ÑáÅ~. Atti del Congresso internazionale tenuto in occasione del 90° anniversario della fondazione dell’Istituto storico italiano (1883-1973), Roma 1976, p. 10. 17 pÉëëáçåÉ=ufs cit., pp. XXI-XXII.


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GLI INIZI. RAFFAELLO MORGHEN PRIMO ALUNNO DELLA SCUOLA STORICA (1924-1930)

Indagare gli inizi di una nuova istituzione attraverso il percorso biografico e i processi decisionali di un personaggio che ha partecipato appunto al suo avvio non è strada semplice da percorrere, condizionati come si è – per forza di cose e il più delle volte – dagli esiti successivi, dal consolidarsi nel tempo dell’istituzione stessa e dalla complessità della vicenda esistenziale e scientifica di chi ha condiviso il suo avvio. Si tratta, tuttavia, di una via che può rivelarsi feconda di risultati, in quanto offre la possibilità di portare alla luce quel momento – o alcuni dei momenti – di fluidità decisionale, durante il quale le diverse alternative possibili erano ancora presenti e aperte, sia nel caso della successiva realizzazione di un’istituzione in fieri (nel nostro caso, la Scuola storica nazionale), sia in quello delle vicende biografiche del personaggio la cui esistenza si è intrecciata con quella di un’istituzione (nel nostro caso, Raffaello Morghen). 1. Alfonso Gallo e Ottorino Bertolini Gli inizi della «Scuola storica nazionale», poi «Scuola nazionale di studi medievali» videro come primi alunni tre giovani studiosi ai primi passi della loro carriera: Ottorino Bertolini (allievo torinese di Pietro Fedele), Alfonso Gallo (allievo di Luigi Schiaparelli) e Raffaello Morghen (allievo romano di Fedele). È solo su quest’ultimo, tuttavia, che concentreremo la nostra attenzione. Alfonso Gallo, in effetti, lasciò molto presto la neonata Scuola Storica: già nel 1926, dopo un breve periodo passato a lavorare in Istituto1, venne infatti nominato “Ispettore superiore bibliogra1 Come vedremo più avanti, dovette trattarsi in effetti di un periodo di poco più di un anno.


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fico della Direzione generale delle biblioteche”. E fu proprio Pietro Fedele, allora ministro dell’Istruzione Pubblica che, nelle vesti di primo Direttore della Scuola Storica, due anni prima lo aveva scelto (insieme al maestro dello stesso Gallo, Luigi Schiaparelli, e a Pietro Egidi) tra i vincitori della prima tornata di alunnato, a chiamarlo a quel servizio2. Nello stesso anno, Gallo divenne anche titolare dell’insegnamento di Bibliografia e Biblioteconomia all’Università di Roma, dove ricoprì la cattedra fino al 19493. Una carriera dunque che, già dopo il primo, breve periodo di attività presso la Scuola dell’Istituto, era indubbiamente molto promettente: negli anni seguenti, tra il 1927 e il 1930, anni dunque durante i quali – se non fossero subentrati altri incarichi – sarebbe stato ancora un alunno della Scuola, egli pose infatti una sorta di “prima pietra” di quello che una decina di anni più tardi prese il via come Istituto di patologia del libro4. Pur lasciando molto presto la Scuola Storica, la collaborazione con l’Istituto non si interruppe subito e le ricerche affidategli come alunno portarono a diversi frutti positivi: una serie di suoi contributi, dedicati al tema

2 Cfr. E. Fileri, Gallo, Alfonso, in Dizionario biografico degli Italiani, 51, Roma 1998, p. 701: «Nel 1926 il G. fu nominato ispettore superiore bibliografico della Direzione generale delle biblioteche dal ministro della Pubblica Istruzione P. Fedele e, contemporaneamente, divenne titolare dell’insegnamento di bibliografia e biblioteconomia all’Università di Roma». La commissione che selezionò i futuri alunni della Scuola Storica, nella sua prima tornata, era composta da Pietro Fedele (Direttore della stessa Scuola), Luigi Schiaparelli e Pietro Egidi. In merito, cfr. M. Zabbia - A. Feniello, Vicende della Scuola nazionale di studi medievali, in Le scritture della storia. Pagine offerte dalla Scuola nazionale di studi medievali a Massimo Miglio, cur. F. Delle Donne - G. Pesiri, Roma 2012, (Zabbia, Dalla “Scuola storica nazionale” alla “Scuola nazionale di studi storici”, p. 9). 3 Fileri, Gallo, Alfonso cit., p. 701. 4 Ibid.: «Negli stessi anni approfondì l’indagine avviata riguardante le alterazioni del libro. Il G. era consapevole, in virtù delle conoscenze acquisite attraverso gli studi di medicina, che occorreva esaminare scientificamente gli agenti chimici, fisici e biologici che procuravano le alterazioni del materiale librario. […] Il G. riuscì a creare nel 1929 [...] un piccolo laboratorio presso l’abbazia di Grottaferrata dotato di modesti mezzi tecnici nel quale la collaborazione di biologi e chimici si limitava essenzialmente allo studio delle tecniche più idonee a risolvere i diversi casi di alterazione che venivano sottoposti di volta in volta al restauratore. […] All’inizio del 1938 il G. presentò un progetto, elaborato sulla base della grande esperienza acquisita, a G. Bottai - allora ministro dell’Educazione nazionale - che lo approvò. Lo stesso G. redasse i testi del R.D. 23 giugno 1938 n. 1038 e del R.D. 13 sett. 1940 n. 1444 che istituivano l’Istituto di patologia del libro. Questa istituzione, assolutamente nuova non solo per l’Italia, ebbe come finalità lo studio del libro quale entità fisica, dalla struttura alle alterazioni, nonché della prevenzione dei danni. I compiti che si prefiggeva erano principalmente il risanamento dei depositi librari e la sperimentazione di nuove tecniche di restauro».


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assegnato nel momento della vincita del concorso alla Scuola Storica5, trovarono collocazione nel Bullettino in un periodo che va dal 1929 (annata cui contribuì con circa centocinquanta pagine sotto diversi titoli) al 1937, anno in cui compare il suo studio sui diplomi dei principi longobardi di Benevento, Capua e Salerno nella tradizione cassinese6. In parte diverso il percorso del terzo alunno di questa prima tornata di alunni, Ottorino Bertolini. Egli completò tutti i sei anni del distacco presso la Scuola Storica (dal 1924 al 1930), lavorando all’edizione del cosiddetto Chronicon Sanctae Sophiae, da lui chiamato, più precisamente, Liber praeceptorum Beneventani monasterii Sanctae Sophiae. L’edizione, in realtà, non venne mai alla luce, sebbene il Bertolini, fino agli ultimi anni della propria attività di ricerca, avesse continuato a lavorarvi7. Pubblicò comunque due studi preparatori, usciti nel 1926 e nel 1928, rispettivamente in un volume collettivo, cui partecipò con il contributo I documenti trascritti nel “Liber preceptorum Beneventani Monasterii S. Sophiae” e in un articolo per l’ «Archivio storico italiano»: Studi sui diplomi dei duchi e principi longobardi dell’Italia meridionale8. Tra parentesi, possiamo notare come sia chiaro che le ricerche di Alfonso Gallo e del Bertolini dovettero per forza di cose incrociarsi, dal momento che entrambi si occuparono dell’edizione di diplomi longobardi dei ducati meridionali, fatto che permette di ipotizzare una qualche forma di collaborazione tra i due alunni della Scuola. Divenuto preside nei licei, dopo gli anni del comando alla Scuola Storica Ottorino Bertolini venne distaccato alla Presidenza del Consiglio

5 Alfonso Gallo ebbe l’incarico di curare l’edizione critica delle fonti longobarde del Mezzogiorno d’Italia. 6 Cfr. «Bullettino dell’Istituto storico italiano e Archivio Muratoriano», 45 (1929): A. Gallo, La scrittura curiale Napoletana nel medio evo, pp. 17-115; L’archivio di Montecassino (pp. 116-158); Il più antico documento originale dell’archivio di Montecassino (pp. 159-164); Iscrizione funeraria su una lamina plumbea medievale (pp. 165-166); Una carta abruzzese del IX secolo con tracce di volgare (Archivio di Montecassino, caps. XXX) (pp. 167-168). 7 C. Violante, Bertolini, Ottorino, in Dizionario biografico degli Italiani, 43, Roma 1988, voce on line sul sito del Dizionario bibliografico degli italiani, ad vocem (ultima consultazione: 3.11.2014). L’edizione, condotta sulla base del codice Vaticano Latino 4939, ha visto infine la luce nel 2000: Chronicon Sanctae Sophiae (cod. Vat. Lat. 4939), ed. J.-M. Martin, con uno studio sull’apparato decorativo di G. Orofino, Roma 2000 [Rerum Italicarum Scriptores, 3]. L’edizione è stata preceduta dalla pubblicazione dal contributo: J.-M. Martin, Quelques réflexions en vue de l’édition du Chronicon Sanctae Sophiae, «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medio evo», 99 (1993), pp. 301-317. 8 Il primo contributo fu pubblicato nel volume collettivo Studi di storia napoletana in onore di M. Schipa, Napoli 1926, pp. 11-47; il secondo comparve appunto nell’«Archivio storico italiano», 86, ser. VII, 9/2 (1928), pp. 177-215.


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dei Ministri, entrando a far parte della Consulta araldica9. Anche in questo caso, come per Alfonso Gallo, possiamo ipotizzare che il distacco fosse dovuto all’opera sempre attenta di Pietro Fedele nei confronti dei propri allievi (Bertolini era, come già detto, allievo di Fedele fin dai tempi del suo magistero torinese): nel 1930, alla fine dunque dell’alunnato di Bertolini, Fedele era stato nominato Commissario del re proprio presso la Consulta Araldica10, dove, a quanto possiamo capire, riuscì a ottenere il distacco del proprio allievo. Del resto Bertolini, già nell’anno accademico 1927-28, aveva iniziato a tenere i corsi di storia medievale, come libero docente, presso la Facoltà di Lettere romana, e qui supplì spesso il Fedele, che in quel periodo era distratto dai suoi impegni politici. E fu proprio il Bertolini, alla morte di Fedele, ad occupare la cattedra romana11. I percorsi dei due alunni colleghi di Morghen ai primordi dell’attività della Scuola Storica, dunque, si proiettarono molto presto su orizzonti differenti, e il legame con l’Istituto, pur presente, non fu così determinante come invece lo fu per Raffaello Morghen. 2. Morghen e l’Istituto prima della Scuola Storica È noto che i rapporti di Morghen con l’Istituto Storico Italiano furono molto precoci, e lo coinvolsero già a partire dal 1916, quando era ancora un giovane studente al primo anno di università presso la Facoltà di Lettere a Roma. Morghen, nato nel 1896, non partecipò ai combattimenti della guerra allora in atto, evidentemente per il fatto di essere rimasto orfano di padre (morto suicida nel 1904), e poté dunque compiere regolarmente il proprio percorso di studi universitario, al contrario di molti dei suoi coetanei12. Il legame così datato con l’Istituto Storico trovava origine in una serie di circostanze particolari; in effetti, quello di Morghen fu uno di quei per-

9 Violante, Bertolini, Ottorino cit. 10 F. M. Biscione, Fedele, Pietro, in

Dizionario biografico degli Italiani, 45, Roma 1995, pp. 572-575: 575. 11 Violante, Bertolini, Ottorino cit. 12 Morghen accenna in realtà di aver passato un periodo nell’esercito: «Nel 1916, dopo una breve parentesi di vita militare, incontrai le due persone che più hanno influito sugli orientamenti decisivi della mia vita» [R. Morghen, Nel venticinquennio degli «Studi Storici» (1953 – 1978), in Morghen, Tradizione religiosa nella civiltà dell’Occidente cristiano. Saggi di storia e di storiografia, Roma 1979 (Studi Storici, 112-114), p. IX].


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corsi biografici e scientifici in cui uno specifico evento fortunoso fu in grado di dischiudere prospettive inaspettate e fu gravido di sviluppi non prevedibili. È quello che accadde, mi pare, con la improvvisa morte di Amedeo Crivellucci, avvenuta l’11 novembre 1914 in un’aula universitaria, mentre si discuteva una tesi di laurea13. La morte dello storico, certo in modo retrospettivo e dalla visuale del percorso e della carriera di Morghen, sembrerebbe aver avuto tre conseguenze significative. In primo luogo, la cattedra lasciata libera da Crivellucci poté essere ereditata proprio da Pietro Fedele, fino ad allora professore di storia medievale e moderna a Torino. E il trasferimento di Fedele presso la sede romana creò l’occasione, nel 1915, per il suo incontro con Raffaello Morghen, giovane diciannovenne, al suo primo anno di università. Morghen ricorda a più riprese come l’ascolto della prolusione di Pietro Fedele su Cola di Rienzo, alla fine del 1915, «doveva avere un valore addirittura determinante per la mia vocazione scientifica», perché «mi aveva mostrato Pietro Fedele studioso, oratore, docente in uno dei suoi momenti più felici»14. Un incrocio di storie, dunque, un intrecciarsi di destini gravido di futuro, alla base della successiva carriera del giovane studente15. Una seconda, importante conseguenza della scomparsa di Crivellucci, sempre retrospettivamente e sempre nell’ottica del percorso di Morghen, fu il fatto che lo studioso e professore aveva lasciato incompiuto, per quanto già in bozze, l’edizione dell’Historia Langobardorum di Paolo Diacono, commissionatagli diversi anni prima dall’Istituto Storico Italiano16. La Giunta dell’Istituto richiese a Pietro Fedele, in diverse occasioni, che fosse lui a farsi carico dell’onere di rivedere e completare l’edizione: il 13 giugno 1915 (circa sei mesi dopo la morte di Crivellucci) Ignazio

13 M. Tangheroni, Crivellucci, Amedeo, in Dizionario biografico degli Italiani, 31, Roma 1985, 162-169: 168. 14 R. Morghen, Commemorazione di Pietro Fedele tenuta il 28 aprile 1943 nell’aula Alessandrina alla Sapienza dal prof. R. Morghen, «Archivio della R. Deputazione Romana di Storia Patria», 67 (1944), pp 7-8; cfr. anche R. Morghen, Ricordo di Pietro Fedele. Nel 40° anniversario della fondazione della Scuola Storica Nazionale, «Bullettino dell’Istituto Storico italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano», 75 (1963), p. 1. 15 Per i primi contatti e i rapporti tra Raffaello Morghen e il suo maestro Pietro Fedele, cfr. l’inquadramento generale di E. Petrucci, I rapporti tra Raffaello Morghen e Pietro Fedele, in Raffaello Morghen e la storiografia del Novecento. Atti del Convegno (Roma 1920 giugno 2003), cur. L. Gatto – E. Plebani, Roma 2005, pp. 369-398. 16 Tangheroni, Crivellucci, Amedeo cit., p. 167.


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Giorgi, segretario della Giunta esecutiva dell’Istituto, scriveva al professore comunicando che essa gli chiedeva di «assumere l’incarico dell’edizione ... rimasta interrotta per la morte del compianto prof. Crivellucci». Oltre alle bozze, nelle mani di Giorgi vi era anche il «rimanente materiale», utile per portare a termine in qualche modo il lavoro rimasto incompiuto, materiale che l’Istituto metteva a disposizione di Fedele17. Il 17 novembre 1915, in una lettera diretta allo stesso Giorgi, Fedele si dimostrava però ancora titubante, e chiaramente non aveva ancora deciso se accogliere o meno la proposta. Fu solo il 10 dicembre 1915 che lo studioso, scrivendo al presidente dell’Istituto Paolo Boselli, declinava ufficialmente l’incarico18. Pur non avendo precise informazioni o documentazione in merito, viene facilmente da pensare che Pietro Fedele, nel momento in cui si risolse per non accettare l’incarico propostogli dall’Istituto, abbia valutato con attenzione a chi potesse essere affidato il lavoro, e dunque possiamo ritenere più che probabile che sia stato proprio Fedele, forse anche per rimediare in qualche modo al proprio rifiuto, a fare il nome di Raffaello Morghen in Istituto: il giovane studente universitario, evidentemente, dopo la prolusione del maestro, lo aveva avvicinato e con lui aveva stabilito i primi contatti diretti e personali. Nel 1916, in effetti, l’allora ventenne Morghen ricevette ufficialmente l’incarico di rivedere le bozze e di integrarle, dove possibile, per mezzo del materiale disorganico lasciato da Crivellucci19. Nel dicembre del 1917, Morghen così presentava le caratteristiche del lavoro portato a termine e finalmente stampato:

17 Lettera di Ignazio Giorgi a Pietro Fedele, del 13.VI.915, edita in Pietro Fedele storico e politico. Atti della tavola rotonda nel cinquantenario della scomparsa di Pietro Fedele (Gaeta, 12 agosto 1993), cur. di F. Avagliano – L. Cardi, Montecassino 1994, p. 131 (lettera n. 13: I. Giorgi a P. Fedele). 18 Lettera di Pietro Fedele a Paolo Boselli, del 10 dic. 1915, ibid., p. 132 (lettera n. 15: P. Fedele a P. Boselli). 19 In merito, cfr. le parole dello stesso Morghen, in Morghen, Nel venticinquennio cit., p. VII: «All’Università di Roma Pietro Fedele m’insegnò la grammatica della ricerca storica e mi introdusse in quel paradiso degli studiosi ch’era la Biblioteca Vaticana, al tempo in cui ne era prefetto mons. Ratti, poi papa Pio XI. E la dura disciplina della scuola di Ernesto Monaci mi formò alla ricerca erudita, alla quale m’iniziai preparando l’edizione dei primi tre libri dell’«Historia Langobardorum» di Paolo Diacono, ad uso di esercitazioni universitarie, sulla base del lavoro, lasciato incompiuto, di Amedeo Crivellucci, e affidatomi, nel 1916, dall’Istituto Storico Italiano, per la benevolenza del mio maestro». Nello stesso tempo, la Giunta dell’Istituto gli affidò anche l’incarico di riprendere ex novo il lavoro sul palinsesto Assisiense dell’Historia Langobardorum, che lo stesso Crivellucci aveva lasciato


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«In queste condizioni l’edizione della Historia Langobardorum non poteva essere presentata agli studiosi; né, dato il metodo del tutto personale seguito dal Crivellucci nelle ricerche, potevasi affidare la continuazione del lavoro ad altro collaboratore. Ma ciò che non poteva più prestarsi per una edizione definitiva, ben poteva all’incontro riuscire utile nelle scuole universitarie, specialmente per le esercitazioni critiche dei corsi di magistero; ed è in questo senso che la Giunta dell’Istituto storico ha ritenuto non inopportuno di far pubblicare i tre libri nello stato in cui li lasciò il Crivellucci»20.

In ogni caso, questo lavoro – con tutti i limiti che poteva avere – fu il tramite con cui Morghen varcò le porte, allora, di Palazzo Corsini ed entrò in contatto diretto e definitivo con l’Istituto Storico, rendendo in tal modo, come vedremo, il suo alunnato presso la neonata Scuola storica, otto anni più tardi, sostanzialmente un passaggio naturale, e la vincita del concorso per il distacco prevedibile e già concordata prima del concorso stesso21. Ma la morte di Crivellucci, o meglio il fatto che la morte di Crivellucci avesse lasciato interrotto un importante lavoro di edizione, ebbe, indirettamente, una terza conseguenza. Furono proprio le riflessioni e le considerazioni critiche maturate collettivamente – ma, ancora una volta, con la stimolante spinta di Pietro Fedele - nell’ambiente dell’Istituto in merito a questa circostanza e alle situazioni che potevano venire a crearsi nel caso in cui uno studioso, per un qualsiasi motivo, avesse lasciato incompiuto un proprio lavoro di edizione, a riaprire in Istituto la discussione, nel 1919, sull’opportunità di istituire una Scuola Storica da esso dipendente. Nell’Adunanza del 19 marzo 1919, infatti, Pietro Fedele «Rilevando poi come per la morte del Crivellucci gran parte del materiale da lui raccolto con grandi spese da parte dell’Istituto per l’edizione dell’Historia Langobardorum di Paolo Diacono, non si sia potuto adoprare che per un testo di esercitazioni universitarie, mette in evidenza la necessità che d’ora innanzi l’Istituto faccia lavorare i suoi collaboratori, specialmente i giovani, metodicamente e con norme precise, in modo che il materiale raccolto da ognuno possa essere, anche in mancanza dell’autore, utilizzato da chicchessia»22. appena abbozzato. La ricerca ebbe buon esito nella pubblicazione del contributo R. Morghen, Il palinsesto Assisiense della «Historia Langobardorum» di Paolo Diacono, «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano», 38 (1918), pp. 7-49. 20 Cfr. R. Morghen, Introduzione, in Pauli Diaconi Historia Longobardorum, libri I III, edizione ad uso di esercitazioni nelle scuole superiori, Roma 1918, pp. V-VI. 21 Si veda infra, al paragrafo seguente. 22 Cfr. il testo dell’Adunanza del 19 marzo 1919, «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano», 40 (1921), p. XX.


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E di fronte alle perplessità di Oreste Tommasini, che faceva «notare le difficoltà di determinare queste norme, tanto più che difficilmente si accettano eredità scientifiche, […] Fedele risponde che sarà difficile dettare e far seguire queste norme precise, quando si accettino collaborazioni che si offrano d’iniziativa personale. Ma qualora si riuscisse a creare nell’Istituto un seminario di giovani, si potrebbe a questi collaboratori imporre di seguire norme determinate»23.

Proprio la proposta di un seminario di giovani sollevò, o meglio risollevò dopo diversi anni24, la discussione in merito alla creazione di una Scuola storica, che alla fine del 1923 – novant’anni fa – diede infine esito positivo25. Dicevamo che questo primo e precoce contatto non estemporaneo di Raffaello Morghen con l’Istituto Storico avesse spianato in modo naturale la strada al suo ingresso alla Scuola storica e avesse reso sostanzialmente ovvio e scontato il suo distacco – nel frattempo era divenuto, per concorso, professore di storia e in seguito di filosofia, storia ed economia politica nei licei –, come suo primo alunno, quando la Scuola prese avvio. 3. L’avvio della Scuola Storica e l’alunnato di Morghen Che per lo stesso Morghen il percorso presso la Scuola storica fosse già determinato e deciso ben prima che si tenesse il concorso ufficiale appare chiaro – credo – dalla disinvoltura con cui il giovane studioso ne parlava già in un periodo antecedente alla formalizzazione della propria posizione e prima che le attività partissero ufficialmente. Lo dimostrano chiaramente due lettere del 1924 a lui indirizzate. Vediamo innanzitutto la prima, in ordine cronologico. Si tratta di una lettera (ma forse più che di lettera è più appropriato parlare di biglietto) indirizzata a Morghen da parte di Ernesto Buonaiuti. Una breve parentesi: Morghen aveva conosciuto Buonaiuti ancora nel 1916, quando questi insegnava Storia del Cristianesimo presso l’Università La Sapienza, e aveva

23 Ibid. 24 In merito,

cfr. Zabbia, Vicende della Scuola nazionale cit., pp. 5-6 e note corrispon-

denti.

25 Ibid.,

1923.

pp. 8-9. La Scuola fu formalmente istituita alla fine del mese di dicembre del


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frequentato il gruppo riunito intorno a lui – la cosiddetta Koinonia –, insieme a Gemma Calisti, che poi sarà sua moglie, e ad Arturo Carlo Jemolo, suo futuro cognato26. Riprenderemo più avanti la questione; per il momento, ci è sufficiente vedere come, il 24 luglio del 1924, Buonaiuti inviava appunto a Morghen un breve biglietto in cui, ricordando un recente incontro personale con Gemma, avvenuto poco tempo dopo la scomunica del 28 marzo 1924 – e, si noti, un incontro solo con Gemma, non con Morghen in persona – , faceva cenno alla sua attività presso la neonata Scuola Storica. Così scriveva infatti Buonaiuti: «Solo, a Gemma, lì per lì, mi son permesso di formulare il timore che, nel tuo primo anno di destinazione alla Scuola Storica, una manifestazione della tua attività fuori dall’ambito [...], possa apparire a Fedele come una dispersione»27.

Il riferimento era al progetto, che non risulta sia stato poi realizzato, di «iniziare ... un periodico di larga cultura e di alta politica, in cui si cerchi di dire, in mezzo a tanto babelico unanimismo di idee, una parola nitida e di enunciare un programma nobile di elevazione [...]»28.

Dalle parole del Buonaiuti, sembrerebbe che il distacco di Morghen presso la Scuola Storica dell’Istituto fosse già iniziato, e che quindi i consigli amichevoli se non paterni dello storico del Cristianesimo avessero come fine quello di indirizzare, e cautelare da eventuali critiche per le possibili dispersioni dalla attività principale di ricerca, un percorso ormai già intrapreso. In realtà, da un’altra lettera – anche questa, in effetti, non molto più che un appunto – indirizzata a Morghen e che ha come mittente Pietro Fedele, veniamo a sapere che l’inizio della Scuola Storica risale a un momento senz’altro successivo al luglio del 1924. Il 24 settembre di quello stesso anno, da Scauri, Fedele infatti così scriveva al suo allievo: 26

La bibliografia sull’argomento è naturalmente molto vasta. Rimando, in generale, alla voce di F. Parente, Buonaiuti, Ernesto, in Dizionario biografico degli Italiani, 15, Roma 1972, pp. 112-122. La fonte principale per queste vicende rimane l’autobiografia: E. Buonaiuti, Pellegrino di Roma. La generazione dell’esodo, Roma 1945 (2 ediz.: Bari 1964, cur. M. Niccoli, introd. A. C. Jemolo). 27 Cfr. il volume Lettere a Raffaello Morghen 1917-1983, scelte e annotate da G. Braga - A. Forni - P. Vian, introd. di O. Capitani, Roma 1994 (Nuovi Studi Storici, 24), p. 28 (lettera n. 9: Ernesto Buonaiuti a Raffaello Morghen). 28 Ibid., p. 27.


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«... in via privata ho saputo che sono stato nominato Direttore della Scuola, ma ignoro chi siano i consiglieri. Può lei saperlo e comunicarmi i loro indirizzi? Scriverei ad essi subito per convocarli e <?> il concorso rapidamente»29.

A questa data, dunque, pare evidente che la Scuola Storica, in realtà, dovesse ancora avviarsi e organizzarsi, e che il concorso (appare piuttosto ovvio che il riferimento sia al concorso per la selezione dei primi alunni) dovesse ancora tenersi, considerato quanto scriveva Fedele e le informazioni che richiedeva al suo allievo. Di fronte alle due testimonianze, l’unica spiegazione plausibile è che Morghen sapesse, probabilmente fin dal momento dell’istituzione ufficiale della Scuola Storica al chiudersi del 1923, che egli ne avrebbe fatto senz’altro parte, come allievo di Pietro Fedele, il motore della Scuola, e come studioso che già collaborava con l’Istituto Storico e che appunto dall’Istituto aveva ricevuto nuovi incarichi per proseguire qui le proprie ricerche; sua moglie Gemma era naturalmente al corrente della svolta che si sarebbe dischiusa, nella carriera del consorte, e per questo ne avrebbe parlato a Ernesto Buonaiuti come di un fatto ormai sicuro. A propria volta, dunque, Buonaiuti ne scrisse allo stesso Morghen come di una cosa fatta30. 4. Le attività di Morghen presso la Scuola storica Ma veniamo ora alle attività di ricerca effettivamente svolte da Raffaello Morghen nel momento in cui la Scuola Storica iniziò finalmente e ufficialmente la sua attività, senz’altro negli ultimi mesi del 1924, e di qui al profilo di studioso che la frequenza della stessa Scuola determinò, almeno in questa fase iniziale della sua carriera. Dei primi lavori per l’Istituto abbiamo già detto; come incarico ufficiale da svolgere durante il distacco, a Morghen fu chiesto di occuparsi in prima battuta dell’edizione del Chronicon Sublacense. Si trattava di un compito che, secondo quanto affermava lo stesso Morghen, già la Giunta esecutiva dell’Istituto gli aveva affidato – evidentemente prima che la 29 Lettera di P. Fedele a R. Morghen, Scauri (Caserta), 24 settembre [1924], in Pietro Fedele storico cit., p. 153, lettera n. 53. 30 A sottolineare il distacco tra Buonaiuti e Morghen in questo periodo (per il quale si veda anche infra), è significativo che, nella raccolta delle lettere del volume sopra citato, la successiva lettera di Buonaiuti a Morghen sia datata al 14 giugno 1935, cioè a quasi undici anni più tardi.


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Scuola prendesse avvio –, incarico poi confermato dal Consiglio Direttivo della Scuola Storica Nazionale. L’edizione uscì nel 1927, nei R.I.S.2; per Morghen si trattava di «uno dei più venerandi monumenti di storia del monachesimo benedettino»31. E ad essa fece seguito una serie di lavori collegati, nel complesso cinque contributi distribuiti tra il 1927 (un’anticipazione delle conclusioni dell’edizione critica) e il 1932 (con il contributo al Convegno storico benedettino del 1930)32. A seguire quest’edizione, negli ulteriori tre anni di alunnato Morghen si proponeva di pubblicare la cronaca fiorentina dei Malispini. Del resto, già si era interessato della questione ancora dal 1921, quando erano apparsi sul “Bullettino” di quell’anno due contributi (Dante, il Villani e Ricordano Malispini e Note Malispiniane, a proposito, quest’ultimo, della pubblicazione nei R.I.S.2 de Due cronache del Vespro in volgare siciliano del sec. XIII, a cura di Enrico Sicardi) e il nuovo incarico lo sollecitava a riprendere le fila di una riflessione già imbastita33. Nel 1931, ad alunnato finito (ma è ovvio che le ricerche dell’ultimo periodo videro la luce oltre il 1930), uscì nel «Bullettino» un nuovo contributo a riguardo (Ancora sulla questione malispiniana); tra le lettere pubblicate di Morghen una è in risposta a Michele Barbi, che aveva criticato la convinzione di Morghen che la questione dell’autenticità del Malispini fosse ormai definitivamente chiusa34. L’edizione, tuttavia, non venne mai alla luce. Ancora nel 1941, Pietro Fedele fece un tentativo di richiesta per un distacco di sei mesi di

31 R. Morghen, Prefazione, in Chronicon Sublacense (AA. 593-1369), ed. Morghen, in Rerum Italicarum Scriptores2, Bologna 1927, p. VI. Una nuova edizione, con traduzione italiana e presentazione dell’abate Stanislao Andreotti O.S.B., è uscita nel 1991 [Chronicon Sublacense (AA. 593-1369), ed. R. Morghen, trad. it. A. Carucci, Subiaco 1991]. Traggo la notizia da Bibliografia degli scritti di Raffaello Morghen, cur. G. Braga - A. Forni - P. Vian, in Raffaello Morghen e la storiografia cit., p. 416. 32 R. Morghen, I primi monasteri sublacensi (A proposito di un passo del Liber Pontificalis), «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano e Archivio Muratoriano», 44 (1927), pp. 259-268; Morghen, Studi sublacensi, «Archivio storico italiano», ser. VII, 7 (1927), pp. 121-123; Morghen, Le relazioni del monastero sublacense col papato, la feudalità e il comune nell’Alto Medio Evo, «Archivio della R. Società Romana di Storia Patria», 51 (1928), pp. 181-262; Morghen, Gli «Annales Sublacenses» e le Note obituarie e storiche dei codici F.25 di Perugia e Chigiano C.VI.177, «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano e Archivio Muratoriano», 45 (1929), pp. 1-15; Morghen, Il più antico frammento delle «Consuetudines Sublacenses», ibid., 47 (1932) [= Atti del Convegno storico di Montecassino, 28-29 maggio 1930], pp. 247-254. 33 Il primo contributo apparve nel «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano», 41 (1921), pp. 171-194, il secondo nel volume precedente: ibid., 40 (1921), pp. 105-126. 34 Cfr. Lettere a Raffaello Morghen cit., pp. 65-66 (lettera n.9: Raffaello Morghen a Michele Barbi, 27 gennaio 1931).


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Morghen presso l’Istituto Storico, finalizzati alla conclusione del lavoro, così scrivendo a Giuseppe Bottai, allora ministro dell’Educazione Nazionale: «Il prof. Raffaello Morghen, della Regia Università di Palermo, ha assunto, sin dal tempo del suo alunnato presso la Scuola Storica per il Medioevo, l’impegno dell’edizione nazionale della Cronaca fiorentina malespiniana, la cui importanza per essere la prima grande cronaca italiana, scritta in volgare, ai tempi di Dante, è universalmente riconosciuta. Il Morghen ha condotto molto avanti il suo lavoro, ma [...] non ha mai potuto trovare il tempo per condurre a termine la sua opera. E questa, d’altra parte, è, nella sua fase conclusiva, di tale natura, da non potersi svolgere proficuamente se non con un lavoro continuo ed esclusivo»35.

Il tentativo di Fedele, un’ultima prova del sostegno sempre accordato al suo allievo al di là di momenti di incomprensione e di tensione36, non ebbe però esito positivo e il lavoro di edizione rimase pertanto incompiuto. Questi gli incarichi ufficiali. Sempre per l’Istituto, nella collana delle Fonti per la storia d’Italia, Morghen collaborò con numerosi altri studiosi, coordinati di Vincenzo Federici, all’edizione degli Statuti della Provincia Romana. Il volume usciva nel 1930, ed è chiaro che il lavoro, per Morghen, fu compreso tra quelli svolti durante il suo alunnato37. Accanto a questi incarichi commissionati da parte dell’Istituto storico, tuttavia, si ritrovano altri lavori che mettono in luce il profilo di uno studioso capace di lavorare a ritmi serrati su diversi fronti, anche distanti tra di loro. Sappiamo che negli anni Venti Morghen, in collaborazione con Arturo Carlo Jemolo, si dedicò alla stesura di «un breve corso di storia per

35 Lettera

di P. Fedele a G. Bottai, Roma, 9 ottobre 1941 - XIX, in Pietro Fedele storico cit., pp. 163-164 (lettera n. 70). 36 Testimoniano un momento di incomprensione e di tensione tra i due studiosi due lettere di Fedele a Morghen, risalenti all’aprile del 1935. Fedele si era interessato per un comando di Morghen presso una Rivista della Giunta (non è chiaro quale) mentre Morghen si aspettava un comando presso la Segreteria del Comitato (anche in questo caso i riferimenti non sono espliciti). Fedele tuttavia non riteneva che Morghen fosse la persona più adatta a un ruolo presso il Comitato e ne illustra a Morghen i motivi, in tre specifici punti. Cfr. le due lettere di P. Fedele a R. Morghen: Roma (Senato del Regno), 11 aprile 35 – XIII e Roma (Senato del Regno), 15 aprile [1935] – XIII, in Pietro Fedele storico cit., pp. 158-160 (lettere nn. 63 e 64). 37 Cfr. il volume Statuti della Provincia Romana. S. Andrea in Selci, Subiaco, Viterbo, Roviano, Anagni, Saccomuro, Aspra Sabina, edd. R. Morghen - P. Egidi - A. Diviziani - O. Montenovesi - F. Tomasetti - P. Fontana, cur. V. Federici, Roma 1930 (Fonti per la Storia d’Italia. Statuti. Secoli X-XIV, [69]).


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le scuole complementari», in tre volumi; il primo volume del manuale, dedicato alla Storia antica, uscì già nel 1924, frutto di un lavoro svolto naturalmente in precedenza, mentre è chiaro che agli altri due volumi, usciti nel 1926, Morghen e il cognato si dedicarono quando l’alunnato del primo era già iniziato. L’esperienza di insegnamento, per quanto breve, lo aveva evidentemente spinto a interessarsi di didattica per le scuole dette complementari, e –aveva creato contatti e interessi in questo senso: Morghen si trovò così a unire in sé la ricerca specialistica vera e propria, di taglio storico-erudito, a un lavoro che aveva come destinatario un pubblico scolastico, un po’ sulla linea di quanto avviene oggi nella Scuola Nazionale, dopo la convenzione con il Ministero dell’Istruzione del 200638. Il lavoro di Morghen presso la Scuola Storica è segnato anche da progetti falliti o di fatto arenati. Non si tratta solo di edizioni critiche mai giunte in porto, come nel caso della Cronaca malispiniana. Al 1925 risale infatti il progetto di una miscellanea di studi in onore di Pietro Fedele, probabilmente «per celebrare il decennio di insegnamento nella cattedra di Storia medievale alla Sapienza di Roma»39. La scelta del momento in cui lanciare l’iniziativa risultò tuttavia piuttosto infelice: Fedele in quell’anno divenne ministro del governo fascista (resse il dicastero dell’Istruzione Pubblica dal 5 gennaio 1925 al 9 luglio 1928, nel cuore delle polemiche sollevate nel mondo politico, culturale, accademico e scolastico dalla riforma Gentile40), e tale coincidenza bloccò, con buone probabilità, il progetto. Così sembrerebbe indicare una lettera che Pietro Egidi indirizzò appunto a Raffaello Morghen il 5 marzo 1925: lo studioso, invitato a far parte del Comitato organizzativo o almeno a offrire al giovane alunno una serie di consigli, rispose, in toni piuttosto bruschi, di non voler aderire «a un’onoranza che pare diretta al ministro e non all’uomo» e per la quale «si ha un bel dire che si vuole onorare lo studioso: ma il fatto è che si pensa di farlo nel momento che è ministro di un governo che io considero di violenza e di oppressione»41. Egidi, nonostante tutto, offrì a Morghen due buoni suggerimenti: in primo luogo quello di aspettare «il 20° anno (di insegnamento a Roma), o anche solo il 15°, quando speriamo che queste nostre divisioni e questa

38 In merito, cfr. Zabbia - Feniello, Vicende della Scuola nazionale cit., pp. 20-21 (par. 4: Feniello, Una nuova stagione: la Convenzione). 39 Petrucci, I rapporti tra Raffaello Morghen cit., p. 372. 40 Biscione, Fedele, Pietro cit., p. 573. 41 Cfr. Lettere a Raffaello Morghen cit., pp. 63-64 (lettera n. 35: Pietro Egidi a Raffaello Morghen, Torino, 5 marzo 1925).


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dolorosa bufera siano quietate»42; nello stesso tempo consigliava di non invitare Gaetano Salvemini, «ché l’invito a lui potrebbe sonare, e non a torto, come un’irrisione, quando egli personalmente e i suoi amici sono fatti oggetto di insolenze e persecuzioni dal governo o dai partigiani del governo di cui, si voglia o no, Fedele è oggi parte»43. La lettera, risalente al marzo del 1925, precede in effetti di pochi mesi l’arresto di Salvemini ad opera della polizia fascista l’8 giugno di quello stesso anno. Quanto ad altre ricerche di interesse medievale, condotte in parallelo con i lavori affidatigli quale membro della Scuola Storica, sono da segnalare gli studi dedicati a due grandi personalità della curia pontificia di fine ‘200, evidentemente sulla scia della sua tesi di laurea, dedicata al cardinale Matteo Rosso Orsini44: risale al 1929 un articolo per l’ «Archivio della Società Romana di Storia Patria», dedicato a Una legazione di Benedetto Caetani nell’Umbria e la guerra tra Perugia e Foligno del 1288, mentre nel 1931 pubblicò una lettera e la prosa introduttiva del cardinale Iacopo Gaetano Stefaneschi al proprio scritto Opus metricum (Il cardinale Iacopo Gaetano Stefaneschi e l’edizione del suo «Opus metricum»)45. Istituzioni monastiche indagate a partire dall’edizione critica delle cronache da esse prodotte, grandi personalità di governo della Chiesa istituzionale, dunque: tematiche che tracciano il profilo di uno studioso che non è certo ancora quello di Medioevo cristiano. Solo in seguito, dopo la “svolta del 1939”46, si sarebbe infatti delineato l’interesse dello studioso verso la religiosità e la spiritualità medievali. Durante l’alunnato, siamo ancora in una fase in cui le ricerche di Morghen si concentravano nell’ambito delle fonti del medioevo, in cui la formazione storico-erudita della scuola di Pietro Fedele risulta determinante. Come lo stesso Morghen ricordava in occasione del 40° anniversario della fondazione della Scuola Storica Nazionale,

42 Ibid. 43 Ibid. 44 Tesi

che diede origine all’articolo Il cardinale Matteo Rosso Orsini, uscito nell’«Archivio della R. Società romana di storia patria», 46 (1922), pp. 271-372. 45 Il contributo apparve nel «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano e Archivio Muratoriano», 46 (1931), pp. 1-39; in Appendice (pp. 28-39) il Morghen pubblicò le due lettere del cardinale Stefaneschi relative all’Opus metricum. 46 In merito a tale svolta, cfr. P. Vian, Raffaello Morghen, Ernesto Buonaiuti e la Chiesa cattolica. Dalle Lettere di un prete modernista al concilio ecumenico Vaticano II, in Raffaello Morghen e la storiografia cit., pp. 253-308: 261 ss.


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«Pietro Fedele fu il primo direttore della Scuola […] ed esercitò una notevole influenza nel darle i primi indirizzi. […] a tutti i membri della Scuola assegnava […] come compito primo, l’edizione critica di un testo medievale. Non ammetteva che l’Istituto, il cui fine precipuo era la pubblicazione delle fonti per la storia d’Italia, si facesse editore anche di monografie storiche e credeva che il modo migliore per farsi le ossa, per uno storico in erba, fosse quello di cimentarsi nella ricostruzione e nell’esegesi di una fonte medioevale»47.

In questa prima fase, ed è Morghen stesso a parlarne, si evidenziava ancora l’eredità austera e rigorosa della tradizione erudita, fondata su competenze di ordine filologico e paleografico, come la intendeva Ernesto Monaci, maestro di Pietro Fedele, spentosi nel 191848. La Scuola Storica dunque, nello specchio delle ricerche dei primi alunni che ne hanno fatto parte, iniziava a strutturarsi con una configurazione ben precisa, dettata dal principale attore di tutta la sua vicenda iniziale e dall’eredità che egli rispecchiava quale allievo di Ernesto Monaci: una palestra di formazione di giovani studiosi, indirizzati ad occuparsi dell’edizione dei testi di fonti medievali, narrative o documentarie che fossero, considerato che la finalità principale dell’Istituto Storico Italiano era appunto, fin dalla fondazione nel 1883, quello della pubblicazione delle fonti di storia nazionale. Una finalità di intenti dunque ben compatta e coerente, che, come un filo rosso, si dipanava a partire da uno dei fondatori dell’Istituto nel 1883, Ernesto Monaci, attraverso Pietro Fedele, suo allievo, fino ai membri della Scuola Storica, cui Fedele impresse gli indirizzi specifici, in particolare nell’allievo Morghen. 5. I rapporti tra Morghen e Buonaiuti ai tempi della Scuola Storica: un discepolato in ombra L’altro “Ernesto” di Raffaello Morghen, il “don Ernesto”, Ernesto Buonaiuti, non segnava ancora il suo percorso di storico: sono anzi questi anni, quelli appunto dell’alunnato, a registrare un sostanziale raffreddamento nei rapporti tra il maestro e il giovane studioso, dopo gli anni con-

47 Morghen, Ricordo di Pietro Fedele cit., p. 4 48 D. Proietti, Monaci, Ernesto, in Dizionario biografico

degli Italiani, 75, Roma 2011, pp. 505-509. In merito ai legami tra Fedele e Monaci, si vedano le parole di Morghen, Commemorazione di Pietro Fedele cit., pp. 9-11. Cfr. anche supra, nota 19.


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trassegnati dalla stretta vicinanza creatasi con il discepolato nella Koinonia. Eppure, proprio tra 1926 e il 1931 i due condividevano di fatto spazi e istituzioni comuni: dal 20 febbraio 1926 Buonaiuti lavorava, grazie all’interessamento, ancora una volta, di Pietro Fedele, presso la Biblioteca Vallicelliana (vicina di casa dell’Istituto), dove attendeva, tramite un distacco annuale, al catalogo delle opere agiografiche di questa biblioteca; in seguito, sempre grazie all’intervento di Fedele, e dal momento che il Vaticano richiedeva che Buonaiuti rinunciasse all’insegnamento universitario, fu distaccato presso l’Istituto per tre anni (dal 1928 al 1931) durante i quali iniziò ad occuparsi di Gioacchino da Fiore49. Alla vicinanza fisica non corrispose tuttavia una vicinanza di interessi o di ideali: come altri hanno già evidenziato, negli anni in cui condivisero in qualche modo lo stesso tetto Morghen non considerava il Buonaiuti quel “maestro spirituale” come avrebbe potuto far credere la vicinanza del periodo, ancora tutto sommato recente, della Koinonia50. La discendenza spirituale vi sarà invece in seguito, a partire dal 1938-1939, anni definiti di svolta, nella considerazione che di Buonaiuti avrà da allora in poi Morghen51. Da parte sua, in quel periodo Buonaiuti rilevava apertamente, scrivendo a Jemolo, cognato di Morghen, una sorta di ingratitudine da parte del giovane studioso, per il quale egli aveva fatto «quel che non ho fatto per nessun altro di Koinonia» ma di non averne ricevuto «in opere e in disposizioni, il contraccambio che mi ripromettevo»52. In qualche misura, nella stessa lettera, pur senza fare esplicitamente nomi, Buonaiuti sembra accusare Morghen di arrivismo, parlando di «chi, lungo l’aspra via, ammaliato dalle sirene del successo immediato, si raffredda nel cammino» e denunciando «allontanamenti spirituali e rinnegamenti impliciti, di cui sento tutta l’amara verità»53. Che, parlando di «opere e disposizioni», Buonaiuti intendesse riferirsi alla mancata partecipazione di Morghen a quel lavoro collettivo dei suoi allievi che, nel 1925, pubblicarono la prima parte del primo volume del Manuale introduttivo alla storia del Cristianesimo, o al gruppo che lavorò a 49 Parente, Buonaiuti, Ernesto cit., p. 117-118. 50 In merito, cfr. Vian, Raffaello Morghen, Ernesto Buonaiuti cit., pp. 254-259. 51 Brevi pagine autobiografiche in merito (ma la questione è naturalmente molto vasta),

in Morghen, Nel venticinquennio cit., pp. IX-X. In generale, si veda Vian, Raffaello Morghen, Ernesto Buonaiuti cit. 52 Cfr. Lettere di Ernesto Buonaiuti ad Arturo Carlo Jemolo, 1921-1941, cur. C. Fantappiè, introd. F. Margiotta Broglio, Roma 1997 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Fonti, 24), p. 66. 53 Ibid., p. 67.


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un’antologia del Nuovo Testamento per i licei, poi mai pubblicata; o ancora per il fatto che, proprio nel periodo in cui Buonaiuti cercava di lanciare la sua nuova rivista «Ricerche religiose», Morghen ne progettasse invece una propria, o che vi fossero altre motivazioni a noi sconosciute, appare comunque chiaro che in questo periodo tra i due vi fosse un sostanziale gelo nei rapporti, nonostante la vicinanza fisica, e che, come scrive Paolo Vian, le strade appaiano decisamente diverse54. Il ritratto di studioso, ma anche di uomo, che si delinea da un’indagine che prende in considerazione il limitato periodo dell’alunnato, dal 1924 al 1930, è dunque quello di uno studioso ancora molto giovane, dalle indubbie capacità e da una notevole intelligenza di storico, certo al momento espresse ancora in un ambito prevalentemente erudito (e tuttavia indispensabile nella formazione del profilo dello storico), ma che il gran fiuto di maestro e di “cacciatore di talenti” quale era Pietro Fedele riuscì a mettere immediatamente in luce, fin dagli anni universitari; un giovane Raffaello Morghen dai molti interessi e dalla grande energia e costanza nel lavoro; forse davvero, come scriveva Buonaiuti, ammaliato dalle sirene del successo immediato, dalla carriera che l’alunnato presso la Scuola Storica e lo stretto legame con Pietro Fedele, studioso e uomo politico di spicco nell’Italia fascista, gli facevano senza dubbio già intravedere, ma anche capace, di lì a breve, di rimeditare, di rivedere e di approfondire il proprio percorso di studioso e di imprimere ad esso quella svolta determinante attestata a partire dai saggi in seguito confluiti e raccolti nel suo Medioevo cristiano55.

54 Vian, Raffaello Morghen, 55 Ibid., pp. 259-264.

Ernesto Buonaiuti cit., pp. 257-259.


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MARIno ZABBIA LA SVoLTA DeGLI AnnI TRenTA 1. Introduzione

Per la Scuola storica, ma anche per l’Istituto storico italiano, i lunghi anni Trenta – che nel caso del nostro Istituto coincidono con il periodo in cui Pietro Fedele diresse la Scuola storica dopo essere stato ministro e, quindi, vanno dal 1928 al 1943 – costituiscono una fase di normalizzazione che seguì alcuni decenni caratterizzati dalla mancanza di un preciso indirizzo d’azione1. Si tratta di vicende note, anche se per molti aspetti solo nelle loro linee principali, segnate dal deciso intervento della politica nel campo degli studi, che ebbero largo respiro e coinvolsero tutti i settori della ricerca, e – per quanto concerne la vita dell’Istituto e, in genere, l’organizzazione degli studi storici – videro un momento di vera e propria svolta nel 1934 con la costituzione della Giunta centrale per gli studi storici2. Soltanto con Fedele l’Istituto, fondato nel 1883, ebbe per molti anni alla sua guida uno storico che risiedeva stabilmente a Roma: cfr. A. Forni, L’Istituto storico italiano in Speculum mundi. Roma centro internazionale di ricerche umanistiche, cur. P. Vian, Roma s.d. [1991], pp. 599-654; i saggi di Massimo Miglio ora ristampati in Miglio, Istituto storico italiano. 130 anni di storie cur. F. Delle Donne - G. Francesconi, Roma 2013 (Quaderni della Scuola nazionale di studi medievali, 5); A. Feniello, “Dire a socera perché nora intenda”. L’azione di Ruggiero Bonghi per la nascita dell’Istituto storico italiano, in Unità d’Italia e Istituto storico italiano. Quando la politica era anche tensione culturale, Roma 2013, pp. 107122; e le molte informazioni raccolte da Isa Lori Sanfilippo nei verbali dell’Istituto e pubblicate nel sito internet www.isime.it. 2 Sulla costituzione della Giunta vedi G. Vitucci, La Giunta centrale per gli studi storici, in Speculum mundi cit., pp. 571-582. Tanti dati utili per capire meglio anche il mondo della medievistica negli anni Trenta si ricavano da M. Baioni, Risorgimento in camicia nera. Studi, istituzioni, musei nell’Italia fascista, Torino 2006. 1


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In questo breve contributo intendo portare qualche elemento per conoscere meglio il mondo degli studi di storia medievale durante i cambiamenti avvenuti negli anni Trenta, partendo dalla constatazione che la maggiore disponibilità di risorse economiche permise in quegli anni, per la prima volta in Italia, la costituzione di un gruppo, sia pure piccolo, di professionisti della ricerca storica3. Questo argomento non è certo inedito, ma di norma non è stato approfondito da chi lo ha affrontato perché vi si dedicava mentre ricostruiva il percorso di storici destinati a lasciare un segno nella cultura italiana i quali, nel corso della loro carriera, prima di giungere alla cattedra universitaria, studiarono per alcuni anni grazie ai comandi che la fondazione delle Scuole storiche nazionali e la nuova situazione delle istituzioni culturali rendevano possibile ottenere. Si pensi al caso notissimo di Federico Chabod, Carlo Morandi e Walter Maturi, comandati nello stesso periodo alla Scuola storica dell’Istituto per l’età moderna e contemporanea4; oppure a quello di Delio Cantimori che prima ebbe una borsa di studio dell’Accademia d’Italia e poi lavorò all’Istituto italiano di studi germanici5; o ancora ad ernesto Sestan, forse da questo punto di vista l’esempio suo malgrado più istruttivo, visto che attese oltre vent’anni prima di approdare alla cattedra, mentre trovava altri impieghi che lo esoneravano

3 Sugli storici italiani attivi negli anni Trenta e sui loro legami con le istituzioni è da consultare R. De Felice, Gli storici italiani nel periodo fascista, in Federico Chabod e la “nuova storiografia” italiana 19919-1950, cur. B. Vigezzi, Milano 1983, pp. 559-618; utile anche A. Casali, Storici italiani fra le due guerre. La «Nuova Rivista Storica», 1917-1943, napoli 1980, che, pur dedicato a ricostruire le vicende di un gruppo di studiosi rimasti ai margini delle istituzioni culturali durante la svolta degli anni Trenta, fornisce anche elementi per un quadro generale degli studi storici. 4 Cfr. da ultimo M. Angelini, Fare storia. Culture e pratiche della ricerca in Italia da Gioacchino Volpe a Federico Chabod, Roma 2012, pp. 34-46, con ampia bibliografia. Impostazione “verticistica” hanno i numerosi studi che si occupano dei rapporti tra il Fascismo e gli intellettuali, nei quali l’attenzione si concentra su letterati, filosofi e storici di punta, mentre le seconde linee rimangono in ombra. Cfr., ad esempio, solo due lavori tra quelli che hanno fatto scuola: M. Isnenghi, Intellettuali militanti e intellettuali funzionari. Appunti sulla cultura fascista, Torino 1979, e M. ostenc, Intellettuali e Fascismo in Italia (1925-1929), Ravenna 1989. 5 Per l’Istituto italiano di studi germanici si veda M. Mastrogregori, Sulla “collaborazione” degli storici italiani durante il Fascismo. Antoni, Chabod, Momigliano e l’Istituto italiano di studi germanici, in Università e accademie negli anni del Fascismo e del Nazismo. Atti del Convegno internazionale. Torino, 11-13 maggio 2005, cur. P.G. Zunino, Firenze 2008 (Fondazione Luigi Firpo. Centro di studi sul pensiero politico. Studi e testi, 30), pp. 365381.


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dall’insegnamento e gli permettevano di studiare6. Bisogna però considerare che, accanto a questi storici d’eccellenza, le Scuole storiche e gli enti che potevano offrire i comandi, ospitarono anche altri ricercatori, magari studiosi che non hanno lasciato un segno profondo, ma che erano forniti di buon mestiere e di sicure competenze: negli anni Trenta la dimensione di quello che allora senza simpatia si definiva “storico da deputazione” – un dilettante che studia la storia dei luoghi, che gli sono cari, nel tempo lasciato libero da altre occupazioni – era superata con la formazione di un gruppo di professionisti, certo ancora di modeste dimensioni ma non più così ridotto come era stato nei decenni precedenti. Costoro, anche se non inseriti nell’università, dove le cattedre erano ancora assai poche, potevano dedicarsi allo studio a tempo pieno o almeno con una certa tranquillità e – al di là di rivalità e gelosie che spesso li contrapponevano – si sentivano membri di una corporazione dai caratteri precisi, in possesso di un mestiere le cui tecniche dagli anni Quaranta erano talmente codificate che si potevano affidare a guide e manuali7, i primi dei quali furono stesi mentre si pubblicavano opere di sintesi destinate a lunga fortuna8. 6 Il libro di e. Sestan, Memorie di un uomo senza qualità, cur. G. Cherubini - G. Turi, Firenze 1997, alle pp. 180 – 290, costituisce una straordinaria testimonianza di questa stagione di studi: si tratta però di pagine da usare con cautela perché – anche se talvolta di bruciante sincerità – sono scritte a memoria e spesso imprecise nei dettagli. Cfr. G. Turi, Uno storico nelle istituzioni culturali del Fascismo, in Ernesto Sestan. 1898-1998. Atti delle giornate di studio nel centenario della nascita (Firenze, 13-14 novembre 1998), cur. e. Cristiani - G. Pinto, Firenze 2000, pp. 115-149. 7 «Gente del mestiere» definisce gli storici Gina Fasoli in un manuale di didattica della storia pubblicato una prima volta appunto alla fine degli anni Quaranta e poi più volte riproposto: cfr. G. Fasoli – P. Prodi, Guida allo studio della storia medievale e moderna, Bologna 1983, p. 168. L’atteggiamento di sufficienza dello storico “di mestiere” nei confronti del “dilettante” si coglie anche nelle pagine di una guida agli studi medievali, per altro assai controversa, apparsa all’inizio degli anni Quaranta: cfr. G. Pepe, Introduzione allo studio del medioevo latino, Milano 1942, p. 219: «[affidando tesi di laurea su temi locali] sarebbe sottratta la storia locale agli ignoranti e maniaci scrittorelli municipali che ne fanno strazio». In questa sede è importante notare che il volume di Pepe, ristampato sino ad anni recenti dalla casa editrice Dedalo di Bari, in prima edizione fu pubblicato dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI), con cui all’epoca collaboravano numerosi storici grazie in primo luogo alla mediazione di Gioacchino Volpe: cfr. più avanti nota 22 e testo corrispondente. Ma l’opera di Pepe non uscì in una collana diretta da Volpe, trovò invece posto nella “Biblioteca storica diretta da A. omodeo”, come primo volume della serie “Introduzioni e manuali”, destinata ad ospitare solo un’altra monografia: la ristampa di A. omodeo, L’età del Risorgimento italiano, Milano 1942, pubblicata in prima edizione nel 1930. 8 Sempre nel 1942 fu pubblicata una raccolta di saggi che potremmo considerare l’antesignano delle note Questioni di storia (poi Nuove questioni di storia) dell’editore


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Prendeva così forma negli anni Trenta una piccola comunità di studiosi i quali tutti si conoscevano tra loro, spesso risiedevano a Roma – dove per l’accentramento promosso dal regime fascista aveva sede la maggioranza delle istituzioni presso cui era possibile ottenere comandi e distacchi – collaboravano all’Enciclopedia italiana, condividevano le stesse letture e subivano le medesime influenze9. Tra questi studiosi vi era anche un certo numero di medievisti, alcuni destinati a importanti carriere accademiche, altri invece meno fortunati: essi si formarono principalmente frequentando la Scuola storica annessa all’Istituto storico italiano (dal 1934 per il medio evo) e contrassero un grosso debito umano e scientifico con Pietro Fedele10. nonostante alcuni giudizi, anche recenti e troppo severi, mettano in ombra il suo profilo di studioso11, di fatto Fedele fu negli anni Trenta uno dei più autorevoli storici attivi nelle università italiane e dalle carte che lo riguardano – in parte conservate presso l’Istituto storico italiano per il medio evo e nella maggioranza depositate all’Archivio centrale dello Stato – risulta come egli abbia inciso a fondo – più di quanto non avesse fatto, ad esempio, uno storico di grande talento come Volpe – nella carriera accademica di numerosi studiosi, anche di alcuni che non erano medievisti, ma che a lui dovettero comunque la cattedra. oltre al peso accademico, sui medievisti Fedele esercitò anche un autorevole magistero e il suo approccio allo studio della storia, che ancora si collegava a quello maturato nelMarzorati: Problemi storici e orientamenti storiografici, cur. e. Rota, Como 1942. A distanza di qualche anno i saggi medievistici proposti in quel libro costituirono parte del volume Questioni di storia medievale, cur. Rota, Milano 1946. Sulla figura di ettore Rota, uno studioso che durante gli anni Trenta si avvicinò sempre di più al Fascismo, cfr. Casali, Storici italiani fra le due guerre cit., ad indicem. 9 Si pensi alla fortuna che sin dagli anni Trenta ebbe tra quegli studiosi Johan Huizinga: cfr. M. Zabbia – A. Feniello, Vicende della Scuola nazionale di studi medievali, in Le scritture della storia. Pagine offerte dalla Scuola nazionale di studi medievali a Massimo Miglio, cur. F. Delle Donne - G. Pesiri, Roma 2012, pp. 1-34: 15-16. A questo saggio rimando per altra bibliografia sulle vicende della Scuola storica e dei medievisti ad essa legati. 10 Che gli studiosi formatisi nelle Scuole storiche romane costituissero una sorta di aristocrazia nel mondo della ricerca è dimostrato anche dalla polemica rivolta contro di loro da Adolfo omodeo, uno storico che per motivi politici rimase al margine degli ambienti accademici italiani durante gli anni Trenta: l’episodio è ricostruito in Angelini, Fare storia cit., pp. 32-33. 11 Queste imprecise opinioni – vedi, ad esempio, il lapidario parere espresso da A. D’orsi, Storie di storici. Torino fascista, in Università e accademie negli anni del Fascismo cit., pp. 383-408: 386 – dipendono in primo luogo dalla mancanza di studi dedicati a Fedele: cfr. per un primo orientamento la voce del Dizionario biografico degli italiani, 45, Roma 1995, dovuta a F. M. Biscione (che leggo nel sito internet www.treccani.it).


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l’ultimo quarto dell’ottocento presso la Società romana di storia patria di ernesto Monaci e Ugo Balzani, influenzò le ricerche medievistiche più di quanto si ritenga comunemente e per molti decenni. 2. Pietro Fedele, studioso e organizzatore culturale, e la Scuola storica negli anni Trenta

Pietro Fedele aveva condotto i suoi studi a Roma dove si era laureato nel 1894 con una tesi diretta da Giovanni Monticolo, che solo nel 1892 era arrivato alla Sapienza. Fu poi presso la Scuola storica organizzata dalla Società romana di storia patria che egli completò la sua formazione insieme a Vincenzo Federici che si era laureato con Monaci, a Pietro egidi, altro allievo di Monticolo, e a Luigi Schiaparelli, scolaro di Carlo Cipolla: le caratteristiche di quell’ambiente – in cui bene si inseriva anche l’insegnamento di Monticolo – segnarono a fondo la fisionomia di studioso di Fedele, attento lettore ed editore di testi che sapeva dare il meglio di sé nell’esegesi puntuale di una fonte. I suoi primi lavori – che gli valsero la stima di Paul F. Kehr e la cattedra universitaria – sono costituiti da ampie e accurate edizioni di documenti dal X al XII secolo tratti dai fondi archivistici di enti ecclesiastici romani cui egli mise mano mentre era alunno della Scuola della Società romana12. In seguito, sempre nei primi anni del novecento, la sua attenzione si soffermò sulle vicende del territorio di Gaeta intorno al quale gravitava Minturno, suo paese natale, e su alcuni grandi temi di storia romana relativi ai secoli centrali del medioevo – la storia del papato e quella del Senato in particolare – cui dedicò le sue pubblicazioni di più ampio respiro. Infine dal 1915 – dopo il rientro a Roma dalla breve parentesi d’insegnamento all’università di Torino (dove ebbe tra i suoi allievi Giorgio Falco, Francesco Cognasso e ottorino Bertolini, ma anche Giovan Battista Borino, divenuto scriptor alla Biblioteca vaticana su segnalazione di Fedele) – egli continuò le sue ricerche di storia romana, prediligendo però il basso medioevo: si interessò in particolare di alcuni personaggi come Arnaldo da Brescia, Bonifacio VIII e Cola di Rienzo, riservò attenzione alla storia degli anni santi e indagò la storia dell’idea di Roma 12 Sul valore di quelle edizioni e sull’ambiente di cui Fedele faceva parte vedi A. Pratesi, La Società romana di storia patria. Scuola di critica diplomatica, «Archivio della Società romana di storia patria», 100 (1977), pp. 193-204; e I. Lori Sanfilippo, La Società romana e le edizioni di documenti, ibid., 130 (2007), pp. 103-122.


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nel medioevo, un argomento che lo spinse a studiare Dante e al quale dedicò uno dei suoi rari contributi destinati all’Enciclopedia italiana13. L’attenzione alla storia di Roma e alla storia dell’idea di Roma, così rilevante negli studi di Fedele, non portò alla stesura di importanti lavori di sintesi, segnò però a fondo il gruppo di giovani studiosi che entrarono in contatto con lui sin dal tempo dell’insegnamento torinese – sia pure con esiti diversi: si pensi alle ricerche di Falco e Bertolini – e dopo il 1925 coinvolse anche i medievisti che presero a frequentare l’Istituto storico italiano nelle vesti di comandati presso la Scuola storica. Si rafforzò, quindi, grazie al suo magistero quel campo di studi romani già ampiamente dissodato dalle ricerche pubblicate sin dall’ultimo quarto dell’ottocento nell’«Archivio della Società romana» e che gli studiosi legati all’Istituto non hanno mai smesso di frequentare14. A rallentare la produzione scientifica del Fedele nel primo dopoguerra contribuirono la sua carriera politica e gli innumerevoli ruoli pubblici che egli – come altri maggiorenti del tempo – tendeva ad accumulare. L’incarico più prestigioso che ottenne fu la carica di Ministro della educazione nazionale, che ricoprì dal gennaio 1925 al luglio 1928. Ma già in precedenza, nel 1924, era stato eletto deputato e, alla scadenza del mandato, nel 1929, venne nominato senatore per poi essere insignito, dal 1933,

13 P. Fedele, L’idea di Roma. Medioevo, in Enciclopedia italiana, 29, Roma 1936, pp. 919-923. Per una completa bibliografia di Fedele si veda P.F. Palumbo, Bibliografia degli scritti di Pietro Fedele, «Archivio della Società romana di storia patria», 67 (1944), pp. 2739. Poche, dopo quella data, le ristampe di suoi lavori: cfr. Carte del Monastero dei SS. Cosma e Damiano in Mica aurea. 1, Secoli X e XI, ed. P. Fedele, ristampa con premessa, appendice e indice di P. Pavan, Roma 1981; P. Fedele, Scritti storici sul Ducato di Gaeta, cur. L. Cardi, presentazione di C. D. Fonseca, Gaeta 1988; Gli studi bonifaciani di Pietro Fedele, cur. G. Giammaria, Anagni 2002. 14 Si pensi alle ricerche di Morghen dagli anni Venti con il saggio su Il cardinale Matteo Rosso Orsini [«Archivio della Società romana di storia patria», 46 (1922), pp. 271-372] in cui si studiano le vicende della famiglia orsini della quale Morghen curò anche la voce nell’Enciclopedia italiana – mentre Fedele era stato più attento a quelle dei Colonna da lui sintetizzate in una voce dell’Enciclopedia italiana – alla maturità (per esempio con il saggio La tradizione cristiana e imperiale di Roma, che risale in prima stesura al 1933 e fu poi ristampato nel 1951 in Morghen, Medioevo cristiano, Bari 1951, pp. 39-54, 1951) e sino agli ultimi lavori (vedi lo studio Il mito storiografico di Cola di Rienzo, in Morghen, Civiltà medievale al tramonto, ed. or. 1971, Roma - Bari 1983, pp. 201-229), oppure ad una generazione di distanza colpisce il fatto che i temi di studio cari a Fedele siano stati ripresi in ricerche magistrali da Arsenio Frugoni (basti pensare ad A. Frugoni, Arnaldo da Brescia nelle fonti del secolo XII, ed. or. 1954, ristampa cur. G. Sergi, Torino 1989, e Frugoni, Il giubileo di Bonifacio VIII, ed. or. 1950, ristampa cur. A. de Vincentiis, Roma - Bari 1999).


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del titolo di Ministro del Regno e di molte altre onorificenze. La sua presenza nel mondo accademico è indicata dalle numerose deputazioni e società storiche di cui fece parte dal 1907. ecco un elenco che non ha pretese di completezza: Accademia pontaniana, Accademia dei Lincei, Accademia delle scienze di Torino, Società romana di storia patria, Società dalmata di storia patria, Deputazione umbra di storia patria, Deputazione di storia patria per Malta. Fu anche Vice-presidente del Consiglio per gli Archivi del Regno, Commissario del re presso la Consulta araldica, presidente dell’Istituto di studi romani (dal 1925 al 1929), membro del Comitato internazionale di scienze storiche e presidente dell’Istituto poligrafico dello Stato, carica questa che lo rendeva di diritto membro del Consiglio d’amministrazione dell’Enciclopedia italiana15. Grazie al suo ruolo politico egli promosse la fondazione della Scuola per archivisti e bibliotecari presso l’Università di Roma e aiutò Alfonso Gallo – alunno della Scuola storica – nelle attività che portarono alla creazione dell’Istituto centrale di patologia del libro. Dal 1933, dopo la morte di Paolo Boselli, Fedele fu anche presidente dell’Istituto storico italiano e in quelle veci prese parte al riordino degli Istituti storici nazionali e delle società e deputazioni di storia patria che portò alla fondazione della Giunta centrale per gli studi storici del cui direttivo egli fece parte accanto a Cesare Maria De Vecchi di Valcismon (presidente), Francesco Salata, Francesco ercole e Carlo Galassi Paluzzi, mentre alcuni suoi allievi (Raffaello Morghen ed eugenio Duprè Theseider) fungevano da segretari alle riunioni. Già prima del riordino che avrebbe condotto alla Giunta centrale, Fedele da ministro della educazione nazionale aveva promosso la fondazione di una Scuola storica per l’età moderna e contemporanea, alla cui direzione venne posto Gioacchino Volpe. La Scuola storica nazionale, invece, fu diretta da Fedele tranne per il periodo in cui egli fu ministro e l’affidò prima a Vittorio emanuele Fiorini, poi a Carlo Calisse. Quando rientrò all’Istituto dopo la sua esperienza di ministro, Fedele trovò ancora i primi allievi della Scuola, quelli che lui stesso aveva selezionato (Morghen 15 Cfr. G. Turi, Il mecenate, il filosofo e il gesuita. L’“Enciclopedia italiana”, specchio della nazione, Bologna 2002, p. 241. L’impegno di Fedele nell’Enciclopedia fu però modesto – Giorgio Falco è il medievista che ha lasciato il segno più profondo in quell’opera: cfr. G.M. Varanini, Le voci dell’«Enciclopedia Italiana» redatte da Giorgio Falco, «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medio evo», 111 (2009), pp. 419 - 444 – anche perché negli stessi anni egli diresse il Grande dizionario enciclopedico della Utet.


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e Bertolini), accanto a Carlo Cecchelli e olindo Salvadori che erano arrivati al tempo di Calisse. negli anni presi in considerazione in questo intervento fecero parte della scuola eugenio Duprè Theseider, Francesco Paolo Luiso, Angelo De Santis, Roberto Valentini, Giuseppe Sola, Giuseppe Martini, Paolo Brezzi e Bruno Paradisi. Ma questo elenco non è completo perché comprende – con qualche eccezione – solo gli insegnanti e gli archivisti comandati, mentre per quegli anni nell’archivio dell’Istituto storico italiano non rimangono notizie su eventuali alunni riconducibili alla categoria dei liberi studiosi, prevista dal regolamento della Scuola storica. È poi difficile individuare quali altri ricercatori erano legati all’Istituto nelle disparate forme rese possibili dall’intraprendenza e dalla disinvoltura istituzionale di Fedele: di certo vi furono distaccati ernesto Buonaiuti, allontanato dall’insegnamento all’università, e – unica donna – Tullia Gasparini Leporace (dal 1936 al 1941). Questo era il gruppo di studiosi comandato all’Istituto con il compito di curare un’edizione di fonti: Bertolini il Chronicon beneventano di Santa Sofia, Morghen il Chronicon Sublacense e la cronaca fiorentina di Ricordano Malispini, Duprè Theseider l’epistolario di santa Caterina da Siena, Luiso la cronaca di Villani, Sola documenti bizantini dell’Italia meridionale, Cecchelli il Liber pontificalis romano, Brezzi la cronaca di ottone di Frisinga, Valentini i Cantari sulla guerra Aquilana di Braccio di anonimo contemporaneo. Come si vede un ventaglio di interessi larghissimo dal punto di vista dell’ambito cronologico e geografico, ma concentrato prevalentemente sui testi narrativi, una tipologia di fonti non particolarmente studiata da Fedele, ma molto cara a Vittorio Fiorini, che della Scuola storica fu – a mio parere – il co-fondatore16. Molto vicino agli interessi di ricerca di Fedele era invece il Codice topografico della città di Roma, un’opera avviata dal 1930 per cura di Giuseppe Zucchetti, l’insegnante comandato presso l’Istituto con funzioni di segretario, e giunta a conclusione nei primi anni Cinquanta grazie anche all’apporto decisivo di Roberto Valentini17. Questo interesse per la storia di Roma, che Fedele trasmise a chi lavorava all’Istituto storico, compare

16 Per l’origine della Scuola storica e per i suoi primi anni cfr. Zabbia - Feniello, Vicende della Scuola nazionale cit., pp. 6-13. 17 Il Codice topografico della città di Roma fu pubblicato in quattro volumi: il primo del 1940 raccoglie testi dei secoli I-VI; il secondo del 1942 contiene fonti dei secoli IV-XII; il terzo del 1946 riguarda i secoli XII-XIV; l’ultimo del 1953 riguarda opere dei secoli XIV e XV.


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anche guardando le attività dell’Istituto di studi romani18. non solo Fedele partecipò sin dall’inizio alle iniziative dell’Istituto di studi romani, ma Calassi Paluzzi quando progettò la sua grande Storia di Roma in più volumi, decise di rivolgersi a lui e ai medievisti che si erano formati alla sua Scuola storica. nel progetto dell’opera, reso pubblico nel 1941, compaiono tre volumi dedicati alla storia di Roma medievale: a Bertolini era affidato l’alto medioevo, al giovane Brezzi i secoli centrali, Fedele avrebbe dovuto occuparsi del basso medioevo, scrivendo quel libro che invece pubblicò negli anni Cinquanta Duprè Theseider e nella nota bibliografica del quale è contenuto un bel ricordo di Fedele storico della Roma medievale19. 3. Roberto Valentini, l’insegnante comandato

nella realizzazione del Codice topografico di Valentini e Zucchetti e nei volumi della Storia di Roma scritti da Bertolini, Brezzi e Duprè Theseider compare con la massima evidenza il legame tra Roma e l’Istituto storico italiano, il quale in verità era sempre stato ben solido sin dalla fondazione dell’Istituto che aveva avuto nei principali esponenti della Società romana i suoi primi animatori. Ma rispetto alla Roma di fine ottocento e d’inizio novecento – quando solo due giovani studiosi per volta potevano contare sulla borsa di studio della Società romana di storia patria – quella degli anni Trenta offriva maggiore spazio ai medievisti, grazie anche alla posizione di Fedele e alla sua natura di “barone” accademico che aveva a cuore la sorte dei suoi alunni20. Così, ad esempio, Bertolini, terminato l’alunnato alla Scuola storica e nominato preside, non tornò nelle scuole ma, per interessamento Sull’Istituto di studi romani cfr. L. Canfora, Ideologie del classicismo, Torino 1980. C. Galassi Paluzzi, L’Istituto di studi romani, Roma 1941, p. 48 per l’elenco dei volumi della Storia di Roma, ma l’intero volume è utile per cogliere il coinvolgimento degli storici romani nell’attività dell’Istituto: ad esempio, Fedele, Calisse, Bertolini e Giuseppe Zippel tennero lezioni per i corsi superiori di studi romani. Fedele aveva anticipato il suo profilo della Roma bassomedievale in un saggio ospitato dalla rivista di Galassi Paluzzi: vedi P. Fedele, Aspetti di Roma nel Trecento, «Roma. Rivista di studi e di vita romana», 1/4 (1923), pp. 107-122. Cfr. inoltre e. Duprè Theseider, Roma. Dal comune di Popolo alla signoria pontificia (1252-1377), Bologna 1952 (Storia di Roma, 11), p. 719. I libri di Bertolini e Brezzi cui si fa cenno nel testo sono: o. Bertolini, Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi, Bologna 1941 (Storia di Roma, 9); e P. Brezzi, Roma e l’Impero medioevale, Bologna 1947 (Storia di Roma, 10). 20 Un tratto del carattere di Fedele che appare dalla lettura di tanti suoi interventi pubblicati nelle pagine del «Bullettino» dedicate alla vita dell’Istituto è costituito dalla sensibi18 19


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di Fedele, fu comandato alla Consulta araldica; prima di ottenere una cattedra all’università, Morghen divenne segretario della Giunta centrale, fungendo anche da segretario di redazione della «Rivista storica italiana» diretta da Volpe, fu redattore dell’Enciclopedia italiana, segretario e poi cancelliere dell’Accademia dei Lincei21; Duprè Theseider collaborò con l’Istituto di studi germanici, con l’Accademia dei Lincei, con la Giunta centrale (dove egli pure fu distaccato dal 1935 e per la quale curò la Bibliografia storica nazionale) e con la Deputazione maltese di storia patria. Tutti e tre questi studiosi raggiunsero la cattedra solo dopo il 1940: Morghen, nato nel 1896, nel 1941, Duprè Theseider, che era del 1898, nel 1942 e il più anziano Bertolini, classe 1892, solo nel 1948. Durante gli anni Trenta poterono continuare le loro ricerche, perché facevano parte di un più numeroso gruppetto di studiosi, di norma tutti liberi docenti, che lavoravano a Roma grazie a distacchi e comandi, scrivevano voci per l’Enciclopedia italiana e curavano volumi editi dall’Istituto per gli studi di politica internazionale, che in quel periodo pubblicava pure la «Rivista storica italiana»22. Tra costoro figura anche Roberto Valentini, che nell’ottobre 1930 fu comandato alla Scuola storica per curare la già citata edizione dei Cantari

lità per le difficoltà economiche che doveva affrontare chi iniziava a dedicarsi agli studi: per questo motivo egli sin dalla fondazione della Scuola storica aveva pensato a una speciale indennità per gli alunni che avrebbero dovuto trasferirsi a Roma e nei bilanci conservati presso l’Archivio storico dell’Istituto storico italiano per il medio evo sono indicate di frequente somme destinate a integrare il salario di studiosi comandati presso l’Istituto durante gli anni della sua presidenza. 21 La mansione di segretario della «Rivista storica» prevedeva il distacco presso la Giunta centrale e Morghen ricoprì il ruolo dal 1935 al 1939 quando fu sostituito da Sestan. In quegli anni egli non pubblicò saggi o recensioni sulla «Rivista storica», gli sono però da attribuire le numerose schede – alcune delle quali vere e proprie recensioni – raccolte nel Notiziario bibliografico e segnate da un asterisco. nelle sue Memorie di un uomo senza qualità (cit., pp. 246-247) Sestan ha affermato che durante gli anni in cui funse da segretario fu, di fatto, il direttore della «Rivista storica», perché Volpe era preso da troppi altri impegni: svolse pure Morghen il medesimo ruolo? Forse la frattura intervenuta pochi anni dopo tra lui e Volpe per le note vicende accademiche – sulle quali cfr. e. Di Rienzo, La storia e l’azione. Vita politica di Gioacchino Volpe, Firenze 2008, pp. 580-597 – ha messo in ombra questi anni di collaborazione. 22 L’ISPI, oltre all’importante collana “Storia e politica”, pubblicò alcune antologie di fonti curate dagli alunni della Scuola nazionale di studi storici, tra cui i volumi di P. Brezzi, I comuni italiani. Origine e primitiva costituzione (secoli X-XII), Milano 1942 (Documenti di storia e di pensiero politico, 17); Brezzi, La diplomazia pontificia, Milano 1942 (La diplomazia italiana); e. Duprè Theseider, L’idea imperiale di Roma nella tradizione del medioevo, Milano 1940 (Documenti di storia e di pensiero politico, 9).


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dell’Aquila, l’unica delle opere fra quelle messe in cantiere dagli alunni degli anni Trenta che giunse rapidamente alla pubblicazione23. A differenza dai citati Morghen, Bertolini e Duprè Theseider, Valentini – che pure aveva conseguito la libera docenza in Storia medievale nel 1935 e negli anni Trenta e Quaranta tenne qualche corso alla Sapienza – non arrivò mai ad una cattedra universitaria. Dopo avere pubblicato i suoi primi saggi, mentre insegnava nei licei, egli continuò la sua carriera di studioso per oltre vent’anni nel mondo dei comandi grazie alle opportunità che offrivano le istituzioni pubbliche, cui poté far ricorso con l’aiuto insostituibile di Fedele. Valentini era nato da nobile famiglia ad orvieto nel 1880 e aveva condotto i suoi studi a Roma e a Firenze24. La sua formazione non fu da storico, ma da filologo e già verso il 1905 era in contatto con Remigio Sabbadini cui guardò sempre come a un maestro25, mentre dei suoi professori all’università non sembra avere mantenuto un buon ricordo, come appare dalle parole scritte nel breve necrologio di Romolo Caggese che fu suo compagno di studi a Firenze e nelle quali si possono cogliere tratti autobiografici26. Le sue prime ricerche riguardano autori dell’Umanesimo, quali il Panormita – di cui pubblicò componimenti poetici assieme ad Adolfo 23 Cantari sulla guerra Aquilana di Braccio di anonimo contemporaneo (sec. XV), ed. R. Valentini, Roma 1935 (Fonti per la storia d’Italia, 75). 24 R. Morghen, Necrologio di Roberto Valentini, «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medio evo e Archivio Muratoriano», 65 (1953), pp. 161-162 (dove per errore si afferma che fosse nato nel 1881), e la più precisa nota di uno studioso che bene aveva conosciuto Valentini, L. Sandri, Roberto Valentini, «Bollettino dell’Istituto storico artistico orvietano», 7 (1952), p. 27, che mi è stata segnalata dalla dottoressa Marilena Rossi, alla quale devo anche altre informazioni su Valentini provenienti dall’Archivio di Stato di orvieto e che ringrazio di cuore. nei necrologi si ricordano solo gli studi a Firenze, ma fu egli stesso a ricordare i propri anni da studente alla Sapienza nella conclusione da lui fatta a Gli istituti romani di alta cultura e la presunta crisi dello “Studium urbis” (1370-1420), «Archivio della Deputazione romana di storia patria», 59 (1936), pp. 179-243: 223. 25 egli ha ricordato che il suo rapporto con Sabbadini risaliva a prima del 1906 in R. Valentini, A proposito di una recensione del dott. L. Quatrama sulle “Invettive di B. Facio contro L. Valla”, «Classici e neolatini», 1 (1909), pp. 74-82. 26 R. Valentini, Il professor Romolo Caggese, «Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria», 36 (1939), pp. 193-195: 93: «nel campo storico prevaleva […] il metodo tedesco che […] aveva trasformato filologi e storici in un gregge di pedanti, per i quali la ricerca della variante superava lo spirito della poesia e la determinazione di una data faceva dimenticare il significato di un documento. […] In questo equivoco, che scambiò l’erudizione con la storia e nel quale rimase irretito il nostro mondo accademico fino a tutto il primo decennio del sec. XX, passò la prima giovinezza di Romolo Caggese. Ma all’indirizzo erudito egli fu, bene o male, debitore di un severo rispetto per la verità, della cura del particolare, di uno spirito di acuta osservazione e penetrazione».


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Cinquini, latinista di lui maggiore di parecchi anni e dai molti interessi – Bartolomeo Facio e Lorenzo Valla, studiò anche la fortuna dei classici latini nel medioevo e dedicò una monografia ancor oggi ritenuta di riferimento al cancelliere visconteo Giacomo Becchetto27. Alla vigilia della prima guerra mondiale Valentini era dunque un promettente filologo che studiava soprattutto l’Umanesimo latino e pubblicava i suoi lavori su importanti riviste nazionali, tra le quali gli «Atti dell’Accademia dei Lincei» dove un suo studio fu presentato da oreste Tommasini, ai tempi esponente di primissimo piano della Società romana e dell’Istituto storico28. Dopo il conflitto, al quale aveva preso parte come ufficiale, Valentini era tornato alla sua cattedra di professore di liceo: non si può certo dire che avesse abbandonato gli studi filologici, come mostrano la sua collaborazione all’Unione accademica nazionale per conto della quale diresse per alcuni anni l’officina romana per il Dizionario del latino medievale, che aveva sede presso la facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza, e qualche recensione ospitata negli «Studi medievali» pubblicata nel corso degli anni Trenta, ma ormai aveva cominciato a occuparsi di storia medievale29. Questo passaggio fu dovuto allo studio che Valentini dedicò alla Vita di Braccio da Montone composta 27 R. Valentini, Il “Codex regius” di T. Livio, «Studi italiani di filologia classica», 14 (1906), pp. 206-238; Poesie latine inedite di A. Beccadelli detto il Panormita, edd. A. Cinquini - R. Valentini, Aosta 1907; Valentini, Le “emendationes in T. Livium” di L. Valla, «Studi italiani di filologia classica», 15 (1907), pp. 262-302; Valentini, Un codice abbreviato di Valerio Massimo, ibid., 18 (1910), pp. 298-318; Valentini, Di un’antologia ValerioGelliana del sec. XII, «Classici e neolatini», 4 (1910), pp. 251-277; Valentini, Circa l’unità di tradizione nelle antologie valeriane, ibid., 7 (1911), pp. 95-100; Valentini, Giacomo Becchetto umanista lombardo, ibid., 7 (1911), pp. 350-371; Valentini, Come Orazio fu giudicato nell’Umanesimo, «Athenaeum. Studi periodici di letteratura e storia», 3 (1915), pp. 152-176; Valentini, Vincenzo di Beauvais e la conoscenza della letteratura cristiana in Francia nella prima metà del secolo XIII, «Didaskaleion. Studi filologici di letteratura cristiana antica», 4/1-2 (1915), pp. 110-167 28 Valentini, Le invettive di Bartolomeo Facio contro Lorenzo Valla tratte dal cod. Vat. lat. 7179 e Oxoniense CXXXI, «Atti della R. Accademia dei Lincei», ser. V, 15 (1906), pp. 493-550. 29 Degli «Studi medievali» Valentini non fu collaboratore assiduo, mai vi pubblicò i suoi saggi e si limitò a redigere qualche recensione dedicata sempre a libri che si occupano di Umanesimo [cfr., per esempio, la lunga nota su H. Baron, Leonardo Bruni Aretino. Humanistisch-philosophische Schriften mit einer Chronologie seiner Werke und Briefe, Leipzig – Berlin 1928, «Studi medievali», n.ser., 4 (1931), pp. 579-582]. In quella dedicata a L. Lazzarini, Paolo de Bernardo e i primordi dell’Umanesimo a Venezia, Ginevra 1930, ibid., pp. 175-176, si leggono (a p. 175) parole che potrebbero trovare posto in epigrafe in questo saggio: «L’A. ci presenta in Paolo de Bernardo un uomo mediocre e più mediocre letterato; né s’intende con questo togliere allo studio alcun pregio, se è vero che i mediocri sono proprio quelli che meglio rappresentano il loro tempo».


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da Giovanni Antonio Campano, di cui curò l’edizione critica nella ristampa muratoriana diretta da Vittorio Fiorini30. Prima di dare dopo anni di lavoro alle stampe il testo critico, Valentini pubblicò alcune ricerche relative alla figura di Braccio che sono il risultato di minute indagini condotte sulla documentazione della sua città natale31. Si tratta di saggi puntuali, ricchi di dettagli piuttosto che di analisi, spesso corredati da appendici con edizioni di documenti in cui si ricostruisce la parabola di Braccio del quale Valentini stese nel 1930 anche la voce per l’Enciclopedia italiana32. nel momento in cui Valentini licenziava alle stampe la Vita di Braccio a dirigere i Nuovi Rerum Italicarum Scriptores non era più Fiorini, che gli aveva commissionato il lavoro ed era mancato nel 1925, ma Pietro Fedele il quale si accorse che quel professore di liceo quasi suo coetaneo, già dal 1924 tra i membri della Società romana di storia patria e della Deputazione umbra, poteva essere un valido collaboratore dell’Istituto storico italiano. Così, quando terminò la sua esperienza da ministro e riprese la direzione della Scuola storica, Fedele pensò a Valentini per curare l’edizione dei Cantari della guerra aquilana di Braccio, un cui codice autorevole era appena stato ritrovato. Valentini accettò l’invito e da filologo umanista si fece editore di un testo quattrocentesco in volgare abruzzese. ottenne così 30 Braccii Perusini Vita et gesta ab anno MCCCLXVIII usque ad MCCCCXXIV auctore Iohanne Antonio Campano, ed. R. Valentini, in R.I.S.2, 19/4, Bologna 1929, l’edizione è dedicata a Remigio Sabbadini che Valentini ringrazia anche alla fine della prefazione (p. XXIII). 31 Dalle lettere che Valentini ha indirizzato a Vittorio Fiorini (Istituto storico italiano per il medio evo, Archivio storico, Fondo Vittorio Fiorini, Corrispondenza con i collaboratori, fasc. 232) risulta che egli si era impegnato anche a redigere gli indici delle Ephemerides Urbevetanae curate da Luigi Fumi per la Ristampa muratoriana (R.I.S.2, 15/5). Di Fumi Valentini era anche parente: è lo stesso Fumi, la cui madre era una Valentini, a chiarire la parentela quando in una sua lettera al Fiorini chiama il Valentini «suo nipote» e afferma di essere aiutato da lui nel preparare gli indici delle Ephemerides Urbevetanae (Istituto storico italiano per il Medio evo, Archivio storico, Fondo Fiorini, Corrispondenza con i collaboratori, fasc. 97, lettera datata 3 dicembre 1920). Su Fumi vedi Luigi Fumi. La vita e l’opera nel 150° anniversario della nascita, cur. L. Riccetti e M. Rossi Caponeri, Roma 2003 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Saggi, 77). 32 R. Valentini, Braccio da Montone e il comune di Orvieto, «Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria», 25 (1922), pp. 65-157; 26 (1923), pp. 1-199; Valentini, “De gestis et vita Braccii” di A. Campano. A proposito di storia della storiografia, ibid., 27 (1924), pp. 153-196, dove (p. 153 nota) Valentini appare come socio della Deputazione umbra; Valentini, Rivelazioni postume sui rapporti tra Filippo Maria Visconti e Braccio da Montone, «Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria», ser. III, 15 (1924), pp. 43-94. Risale ai tempi in cui stava preparando l’edizione dei Cantari la stesura di Valentini, Lo Stato di Braccio e la guerra aquilana nella politica di Martino V, «Archivio della Società romana di storia patria», 52 (1929), pp. 223-379.


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il comando presso l’Istituto storico: era il 1930, ormai giunto ai cinquant’anni, egli abbandonava definitivamente l’insegnamento liceale e iniziava la sua ventennale carriera di comandato33. A questo periodo risale anche l’unico documento che conosco, in cui Valentini ha tracciato un bilancio dei suoi ultimi studi e ha indicato i temi cui avrebbe voluto dedicarsi. Si tratta della relazione presentata a Fedele in occasione della fine del secondo anno di comando, nel 193234. In quelle pagine Valentini informava degli avanzamenti del lavoro sui Cantari, ormai già a buon punto, ed esprimeva la sua intenzione di continuare ad occuparsi della storiografia umanistica, pubblicando la vita di Muzio Attendolo Sforza composta da Lodrisio Crivelli. egli, inoltre, si proponeva di iniziare una nuova ricerca e di dedicarsi allo studio delle licentiae docendi negli studia degli ordini religiosi tardomedievali. Ma nella stessa sezione del «Bullettino» che ospita questa relazione, si legge anche, tra le comunicazioni di Fedele (p. XVI), che da quell’anno Valentini non sarebbe più stato alunno della Scuola storica perché, su indicazione dello stesso Fedele, passava al Ministero degli Affari esteri e veniva coinvolto nelle attività culturali promosse a Malta dalla Direzione generale degli italiani all’estero e scuola35. Senza che i rapporti con l’Istituto si interrompessero – ma egli lasciava la Scuola storica e il suo posto era occupato da Giuseppe Sola – Valentini, ormai bene inserito nel mondo culturale romano – era, ad esempio, direttore della fondazione Primoli – nell’anno scolastico 1932/33 iniziava una nuova e – dopo avere letto i suoi progetti di ricerca, possiamo ben dirlo – inattesa stagione di studio e di insegnamento che avrebbe dovuto durare solo per qualche mese e invece si concluse all’inizio degli anni Quaranta36.

Le notizie sulla biografia di Valentini sono tratte dai documenti del suo fascicolo personale conservato presso l’Istituto storico italiano per il medio evo, Archivio storico, Fondo Istituzionale, Scuola storica nazionale, Fascicoli personali, fasc. 9. Ringrazio la dottoressa Marzia Azzolini per avere agevolato molto il mio lavoro permettendomi di accedere con la massima facilità a quei documenti. 34 Pubblicata nel «Bullettino dell’Istituto storico italiano e Archivio Muratoriano», 49 (1933), pp. XXXII-XXXIX. 35 La Direzione generale delle scuole italiane all’estero nel 1929 venne accorpata alla Direzione generale degli italiani all’estero al cui vertice era Piero Parini: cfr. F. Cavarocchi, Avanguardie dello spirito. Il fascismo e la propaganda culturale all’estero, Roma 2010, pp. 110-111 e passim. 36 Dagli atti conservati nel fascicolo personale di Valentini (Istituto storico italiano per il medio evo, Archivio storico, Fondo Istituzionale, Scuola storica nazionale, Fascicoli perso33


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Valentini entrava così in un mondo di studi per lui nuovo, ma nel quale già da alcuni anni fervevano iniziative caratterizzate da un marcato intervento degli interessi politici negli studi storici e dove Gioacchino Volpe stava incentivando numerose ricerche37. Come in Corsica, anche a Malta era presente un movimento irredentistico filo-italiano nel cui ambito lo studio della storia era rivolto a dimostrare le tradizioni d’italianità dell’isola38. In questo clima culturale negli anni Venti iniziò la pubblicazione dell’«Archivio storico di Malta», diretto da Benvenuto Cellini, su cui molto pubblicò l’antichista Roberto Paribeni, professore all’Università cattolica e autore di tre volumi della Storia di Roma diretta da Galassi Paluzzi. Importante era anche il ruolo dell’Istituto italiano di cultura a Malta che, prima di essere chiuso dalle autorità inglesi nel 1936, aveva ospitato conferenze di Gioacchino Volpe e Francesco ercole. Infine presso l’Università di Malta erano attivati – sempre sino al 1936 – alcuni insegnamenti in italiano: uno di questi – quello di Paleografia latina – era stato assegnato dal 1933 al 1935 a Valentini39. Di questo suo periodo di docente a Malta rimane la testimonianza di un suo allievo, Joseph Galea, che, prima di pubblicare alcuni documenti, ha ricordato come il professor Valentini mettesse i suoi studenti a trascrivere le carte dell’archivio di Malta per il periodo precedente l’arrivo degli ospedalieri40. e, in effetti, proprio la gran mole di documenti pubblicati caratterizza l’attività di Valentini storico di Malta, nali, fasc. 9) si desume che egli fu comandato presso il ministero per gli Affari esteri negli anni scolastici 1932/33 e 1933/34, poi tornò a Malta dal febbraio al maggio del 1935, mentre aveva ripreso il suo alunnato alla Scuola storica. 37 L’interesse di Volpe era rivolto soprattutto alla Corsica e anche di questo tema si occupò Valentini: cfr. R. Valentini, Una tentata riforma del clero in Corsica all’inizio del XV secolo, «Archivio storico di Corsica», 9/2 (1933), pp. 243-253. 38 Cfr. D. Paci, L’irrédentisme méditerranéen. L’espace politique et culturelle en Corse et à Malte à l’époque du fascisme italien (1925-1942), «Études Corses» in corso di stampa che ho potuto leggere grazie alla cortesia dell’autrice. Interessante nell’ottica del presente saggio è la figura di ersilio Michel, comandato per molti anni e prezioso collaboratore di Volpe. Michel si occupò principalmente della Corsica, ma collaborò anche con l’«Archivio storico di Malta»: su di lui si vedano G. Volpe, Ersilio Michel, in Volpe, Storici e maestri, Firenze 1967, pp. 199-212; e G. Monsagrati, Michel, Ersilio, in Dizionario biografico degli italiani, 74 Roma 2010. 39 Cfr. il fascicolo relativo a Valentini presso il Ministero degli Affari esteri, Archivio storico diplomatico, serie 1920-1955 Archivio scuole, fasc. pers. doc. estero non più in servizio, pacco 538, dove, in una relazione datata giugno 1933, egli informa sul suo corso di Paleografia. 40 J. Galea, Documenti per servire alla storia medievale maltese, ÂMelita Historica. Journal of the Malta Historical Society», 2 (1958), pp. 196-199. Cfr. anche A. Mercieca, Attività culturali italiane in Malta (1931-1936), ibid., 5 (1968), pp. 61-66, con un cenno sul corso di Paleografia latina tenuto da Valentini all’Istituto di cultura.


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anche se non mancano lunghe ricostruzioni puntuali di storia evenemenziale che privilegiano il Quattrocento e sono sorrette da un’interpretazione complessiva delle vicende di Malta, in cui i toni nazionalisti non sono certo esasperati: la storia dell’arcipelago sarebbe stata legata a quella della Sicilia (e quindi dell’Italia) per quasi cinque secoli, dal tempo di Ruggero I sino all’arrivo dei Cavalieri giovanniti da Rodi nel 1530, dopo di che la condizione di vita in quelle terre migliorò, perché venne meno il duro peso fiscale imposto dagli Aragonesi41. Rientrato a Roma, il laboriosissimo studioso non perdette i contatti con le iniziative promosse dal Ministero degli Affari esteri: collaborò con la Commissione nazionale per la cooperazione nazionale, un ente culturale

ecco l’elenco dei saggi che Valentini ha dedicato alla storia di Malta: si tratta in buona misura di lavori pubblicati dopo il rientro dello studioso a Roma e spesso è palese l’intento di valorizzare al massimo grado la documentazione raccolta durante i mesi passati a trascrivere. R. Valentini, Redazioni italiane quattrocentesche di Statuti della Religione Gioannita, «Archivium Melitense», 9 (1932), pp. 73-90; Valentini, I Cavalieri di San Giovanni da Rodi a Malta. Trattative diplomatiche, ibid., pp. 137-237, saggio in cui si afferma per la prima volta l’opinione poi spesso ribadita che il passaggio di Malta ai Cavalieri implicò un miglioramento delle condizioni economiche dell’arcipelago; Valentini, Il patrimonio della Corona in Malta sino alla venuta dell’Ordine, «Archivio storico di Malta», 5 (1934), pp. 3-56; Valentini, Feudo e comune in Malta fino alla caduta della dominazione angioina, ibid. 6 (1935), pp. 1-33; Valentini, La sopravvivenza della “Universitas Melivetana” fino alla cessazione delle infeudazioni dell’isola, ibid., 7/1 (1935/36), pp. 33-70; Valentini, Un capitolo generale degli Ospitalieri di San Giovanni tenuto in Vaticano nel 1446, ibid., 7/2 (1935/36), pp. 133-168; Valentini, Gli ultimi re aragonesi e i primi castigliani in Malta, ibid., 7/4 (1935/36), pp. 405-447, 8 (1936/37), pp. 72-101, con edizioni di documenti pubblicati anche per dimostrare l’uso del volgare siciliano a Malta; Valentini, Scuole, seminario e collegio dei Gesuiti in Malta, ibid. 8/1 (1936/37), pp. 18-32; Valentini, Organizzazione municipale e classi sociali in Malta alla fine del secolo XV, ibid., 8/2 (1936/37), pp. 125-152; Valentini, L’Egeo dopo la caduta di Costantinopoli nelle relazioni dei Gran Maestri di Rodi, «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medio evo e Archivio Muratoriano», 51 (1936), pp. 137-168; Valentini, Ribellione di Malta e spedizione alla Gerba come conseguenze dell’inefficienza della flotta aragonese nel Mediterraneo, «Archivio storico di Malta», 8/3 (1936/37), pp. 253-316; Valentini, Documenti per servire alla storia di Malta (1432-1450), ibid., 8/4 (1936/37), pp. 462-496; Valentini, Documenti per servire alla storia di Malta (14521458), ibid., 9/1 (1937/38), pp. 97-123; Valentini, Una nota erudita su Francesco Balbi negli “Analecta Melitensia”, ibid., 9/3 (1937/38), pp. 373-374; Valentini, Documenti per servire alla storia di Malta (1458-1466), ibid., 10/1 (1938/39), pp. 58-76, Valentini, Il Comune demaniale di Malta dall’origine alla crisi sveva, ibid., 10/3 (1938/39), pp. 189-230; Valentini, L’espansionismo aragonese nel Mediterraneo come causa della decadenza di Malta, ibid., 12/2-3 (1941), pp. 97-130; Valentini, Funzione storica e dispersione del patrimonio di Malta, ibid., 13 (1942), pp. 1-39. 41


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legato alla rappresentanza italiana presso la Società delle nazioni42, ma soprattutto funse da segretario per la Deputazione di storia patria per Malta, presieduta da Francesco ercole, che dal 1935 si prese in carico la pubblicazione dell’«Archivio storico per Malta» – di cui Valentini fu segretario di redazione – e nella sua sede romana costituì una biblioteca specializzata (che nel dopoguerra sarebbe confluita in quella dell’Istituto storico per l’età moderna e contemporanea diretto sino al 1944 dall’ercole). È interessante vedere come sia stata costituita questa nuova deputazione: a collaborare, oltre a ercole – appena arrivato all’università di Roma – e Valentini, furono chiamati alcuni accademici importanti come ernesto Pontieri, qualche studioso ancora giovane, ma già di valore riconosciuto – Piero Pieri e Duprè Theseider, per esempio – oppure ancora ai primi passi – Leopoldo Sandri, Pier Fausto Palumbo, all’epoca attivissimo in tutte le iniziative romane, oppure Arsenio Frugoni43 – e alcuni storici provenienti dall’Università cattolica – si ricordi l’impegno a Malta di Paribeni –, che poi avrebbero avuto accesso all’insegnamento universitario, ma che furono soprattutto archivisti e bibliotecari come Giacomo Bascapè, archivista dell’ospedale maggiore di Milano, e emilio nasali Rocca, bibliotecario a Piacenza, l’unico tra tutti i membri della Deputazione che avrebbe continuato a studiare la storia di Malta anche nel secondo dopoguerra. Insomma si cercò di ricostruire “in vitro” il classico clima da Deputazione con archivisti, insegnanti e bibliotecari che pubblicano sulla rivista dell’ente le loro ricerche di storia locale. nel 1938 Valentini lasciò il suo ruolo alla Deputazione, dove venne sostituito da Duprè Theseider, all’epoca vicino a Volpe e alla Giunta centrale per gli studi storici. ercole, nel rendere nota questa decisione, la motivò ricordando generici altri gravosi impegni che attendevano l’ormai ex suo collaboratore44. Valentini, che non aveva mai abbandonato gli studi di filologia umanistica, in quegli anni prese a collaborare con il Comitato per i carteggi degli umanisti, presieduto da Pier Silverio Leicht45, ma soprattutto 42 R. Valentini, Erasmo di Rotterdam e Pietro Corsi. A proposito di una polemica fraintesa, ÂRendiconti della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche della Reale Accademia nazionale dei Lincei», ser. 6, 12 (1936), pp. 896-922, pubblicato anche in «Cooperazione intellettuale. Bollettino periodico», 7-8 (1937), pp. 111-136. 43 Quella del giovane Frugoni è una collaborazione occasionale: A. Frugoni, Una “Istruttione per li Cavallieri di Malta” del nobile bresciano Alessandro Luzzago, «Archivio storico di Malta», 11 (1940), pp. 80-85. 44 Atti della Regia Deputazione, «Archivio storico di Malta», 11/1-2 (1940), p. 105. 45 A. Perosa, Sulla pubblicazione degli epistolari degli umanisti, in Perosa, Umanesimo italiano, cur. P. Viti, Roma 2000, pp. 9-21: 9 informa che Valentini era incaricato di curare


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si dedicava al Codice topografico della città di Roma, del quale nel 1940 fu pubblicato il primo tomo. In quel volume e nei successivi non è indicato quanto del lavoro spetti a un curatore e quanto all’altro, non possiamo quindi dire con certezza quale fu l’apporto di Valentini a una ricerca che Zucchetti conduceva già dal 1930: certo la ricostruzione del profilo culturale di questo studioso induce a guardare con maggiore attenzione alle opere edite nell’ultimo volume del Codice topografico, quello relativo al periodo cronologico cui Valentini ha dedicato buona parte – quella migliore – dei suoi studi. Rientrato alla Scuola storica dopo il comando presso il Ministero degli Affari esteri, Valentini poté continuare indisturbato le sue ricerche solo per qualche anno: nell’autunno del 1940, infatti, avrebbe dovuto riprendere l’insegnamento liceale. Ma anche in questo caso Fedele si mosse per trovare il modo di permettere al suo collaboratore di continuare gli studi con la tranquillità che i tempi permettevano e Valentini fu comandato per un ulteriore quadriennio presso la Soprintendenza bibliografica per le provincie del Lazio e dell’Umbria46. In quel periodo lo studioso, giunto ormai alla piena maturità, riprese e approfondì un tema di ricerca cui aveva sempre guardato con interesse: la storia della cultura e delle istituzioni scolastiche romane dall’alto medioevo al XV47. Agli “istituti di alta cultura” della Roma bassomedievale egli aveva già dedicato un saggio della seconda metà degli anni Trenta, poi ritornò sul tema dello “Studium Urbis” e quindi ricostruì le vicende dei secoli centrali del medioevo nelle sue due ultime pubblicazioni apparse nell’immediato dopoguerra48. Si tratta, come sempre, di saggi ben documentati con puntuali rimandi alle fonti e alla bibliografia il regolamento con le norme per i collaboratori. Del suo continuo interesse per gli studi filologici è prova l’articolo R. Valentini, Liriche religiose di Gian Antonio Campano, «Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria», 34 (1937), pp. 41-56. 46 Sembra rientrare nelle manovre di Fedele volte a valorizzare il lavoro di Valentini per propiziare ulteriori comandi la pubblicazione del piccolo libro di P. Fedele – R. Valentini, Per la storia dell’Italianità di Malta, Roma 1940, recensito assai benevolmente da Piero Pieri nella «nuova rivista storica», 24 (1940), pp. 555-557, e con minore entusiasmo da Duprè Theseider nell’«Archivio storico di Malta», 12 (1941), pp. 89-91. 47 La storia della scuola in generale lo interessava, come mostra il fatto che in un’appendice documentaria destinata ad illustrare le vicende di Braccio da Montone riuscì ad inserire alcuni atti che riguardano l’attività del “magister grammatice” Mattia di Ludovico d’orvieto: cfr. Valentini, Braccio da Montone cit., II parte, pp. 150-157. 48 Valentini, Gli istituti romani di alta cultura cit.; Valentini, Lo “studium Urbis” durante il secolo XIV, «Archivio della Deputazione romana di storia patria», 67 (1944), pp. 371389; Valentini, Tradizione e continuità dell’insegnamento in Roma nel medio evo,


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(anche la più aggiornata). In queste pagine scopo del Valentini è dimostrare come dal tardo antico sino al secolo XIII, prima dell’università quindi, Roma fosse rimasta centro di importanti istituzioni scolastiche. È utile soffermarsi sulle sedi che ospitarono questi contributi perché rivelano ulteriori dettagli sulla figura di questo studioso e mostrano i suoi legami con le istituzioni e il mondo culturale romani. Due saggi sono pubblicati nell’«Archivio» della Società romana, quello più recente nel volume dedicato alla memoria di Pietro Fedele; uno è apparso negli studi in memoria di Luigi de Gregori, un personaggio legato al mondo delle istituzioni culturali romane, nipote di Ignazio Giorgi, il vecchio segretario dell’Istituto storico italiano, bibliotecario alla Casanatense e poi importante funzionario ministeriale; un altro saggio è stampato nella rivista «orientamenti culturali», organo dell’Associazione culturale degli insegnanti medi, una pubblicazione che ebbe poca fortuna – si pubblicarono solo due annate – di cui Valentini fu condirettore. Il periodico era diretto da Francesco egidi, professore di filologia romanza alla Sapienza e vicino al Partito repubblicano, l’altro condirettore era uno scienziato, Carlo Piersanti, cui si devono alcuni manuali di scienze naturali e che collaborò anche con l’Enciclopedia italiana. nel 1944 terminò l’ultimo anno di comando di Valentini. Giunto ormai all’età pensionabile gli si offrì solo la scelta tra tornare a scuola oppure ritirarsi in congedo. Pietro Fedele, morto nel 1943, non poteva più aiutarlo, ma anche Gaetano De Sanctis che reggeva le sorti dell’Istituto in qualità di commissario, volle favorirlo e quindi provvide a nominarlo prima vice-segretario dell’Istituto storico italiano nel 1945 e poi segretario nel 1950. Due anni dopo quest’ultima nomina la stagione dell’Istituto storico italiano per il medio evo che si era aperta alla fine degli anni Venti, si chiudeva definitivamente: il 23 aprile 1952 Raffaello Morghen si era insediato alla presidenza dell’Istituto. Il nuovo presidente – direttore della Scuola storica già dal 1947 – aveva trovato in Piazza dell’orologio Franco Bartoloni – scolaro di Federici e Fedele –, poi però aveva selezionato studiosi di grande valore – Manselli e Frugoni cui si sarebbero aggiunti di lì a poco Violante, Lamma, Cilento e Arnaldi – che si erano formati lontano dall’ambiente segnato dal magistero di Pietro Fedele, mentre i vecchi allievi di Fedele – Bertolini e Duprè Theseider – erano andati ad insegnare in «orientamenti culturali», 1/1 (1945), pp. 9-26; Valentini, La cultura in Roma nei secoli XXII, in Studi di bibliografia e di argomento romano in memoria di Luigi de Gregori, Roma 1949, pp. 405-418.


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università lontane e avevano allentato i loro rapporti con l’Istituto. Il peso della vecchia guardia ancora si faceva sentire nel consiglio direttivo, dove sedevano due scolari di Fedele, Bertolini e Cognasso (il vecchio Federici, ultimo dei decani, si era ritirato nel 1950, mentre Brezzi e Duprè Theseider avrebbero fatto parte del direttivo soltanto dagli anni Sessanta e nelle vesti di consiglieri aggregati con voto solo consultivo). L’Istituto però aveva imboccato ormai una nuova strada: era già iniziato il periodo in cui la Scuola storica avrebbe dato i suoi frutti migliori, mentre dalle ricerche condotte negli anni Trenta si prendevano le distanze49. Ma di questa nuova stagione Valentini poté vedere solo le premesse: si era spento a Roma il 25 aprile 1952*.

49 Gli studiosi che hanno iniziato il loro percorso di ricerca negli anni Cinquanta sentirono forte il peso della cesura con la medievistica affermatasi negli anni Trenta. Si vedano le pagine (soprattutto quelle dedicate a Falco) di due storici entrambi vicini – sia pure in modo diverso – a Morghen: G. Arnaldi, Europa medievale e medioevo italiano (ed. or. 1956), in Arnaldi, Conoscenza storica e mestiere di storico, Bologna 2010, pp. 1-37; e o. Capitani, Dove va la storiografia medievale italiana? (ed. or. 1967), in Capitani, Medioevo passato prossimo, Bologna 1979, pp. 211-269. * Questo saggio rientra nei lavori del PRIn Concetti, pratiche e istituzioni di una disciplina: la medievistica italiana nei secoli XIX e XX (bando 2010-2011), coordinato dal prof. Roberto Delle Donne (Università di napoli «Federico II»), unità di ricerca dell’Università di Torino.


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GIUSEPPE MARTINI: L’ITINERARIO DI UNO STORICO. ALCUNE NOTE Premessa1

Includere la figura di Giuseppe Martini in una giornata di studio dedicata alla Scuola storica nazionale appare un atto obbligato. Egli è uno degli studiosi che è stato più a lungo membro della Scuola, in vesti diverse: come allievo aggiunto già dal febbraio 1930; come borsista a Parigi per parecchi anni, sino all’estate 1935; come ‘comandato’, dal 1 febbraio 1937, dopo la vittoria nel concorso di storia e filosofia per le scuole superiori: comando mantenuto sino al settembre 19452. Una lunghissima presenza, dunque, cui corrisponde un’indubbia familiarità con alcuni dei suoi membri. E tuttavia poche notizie si possono trarre dagli scritti e dalle carte che Martini ha lasciato sulla sua presenza nell’Istituto (pochissime sono le carte per gli anni precedenti il trasferimento a Milano). E per converso, bisogna aggiungere, rare volte compare il nome di Martini nelle carte e negli scrit1 Giorgio Chittolini ha elaborato la Premessa e i paragrafi 3, 6 e 7; Michele Baitieri i paragrafi 1, 2, 4 e 5. 2 Al 9 giugno del 1943 risale una relazione al sen. Carlo Calisse, Presidente dell’Istituto, in cui Martini si dichiara ‘professore comandato’ presso la Scuola, e dà conto dei lavori in corso, senza accennare a date di scadenza del suo incarico: avvertendo semplicemente che “con i primi di luglio dovrò presentarmi alle armi, perché richiamato” (Istituto storico italiano per il Medio Evo, Archivio storico, Scuola storica nazionale, fascicoli personali, fasc. 7: d’ora innanzi ISIME, Ssn, fasc. 7). In data 12 luglio 1943, Gaetano De Sanctis, subentrato come commissario a Calisse, defunto, chiese al Ministero la proroga del comando o almeno il trasferimento di Martini da Benevento a Roma come insegnante (“tenendo conto anche dei meriti del Martini, che ha sofferto la prigione durante il periodo nazifascista”): ivi.


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ti di altri membri della Scuola (parecchie delle quali sono state pubblicate e si stanno pubblicando in questi anni), o nelle ricostruzioni che della attività e della fisionomia della Scuola sono state tracciate3. Martini resta una figura un po’ chiusa e schiva, defilata rispetto all’Istituto e alla sua attività, impegnato piuttosto in un percorso di ricerca personale. Più che la ricostruzione di un rapporto, o di un dialogo con la storiografia medievistica di quegli anni, le pagine che seguono possono solo delineare sommariamente quell’itinerario di ricerca, in attesa che una documentazione più ricca consenta di ricostruirne lo svolgimento in una prospettiva più ricca e corposa. 1. La regia Università di Roma e il magistero di Pietro Fedele

«Fu nelle semplici stanze – più che aule – di palazzo Carpegna che ascoltai per la prima volta la parola di Pietro Fedele. Palazzo Carpegna era allora la modesta succursale del palazzo della Sapienza, ad esso unita da un ponte che scavalcava la strada, un ambiente modesto, ma in fondo assai più raccolto e ospitale che non fosse il grandioso edificio sede secolare dell’Università di Roma. Gli stretti e tortuosi corridoi davano accesso per lo più a piccole aule, nelle quali, d’inverno, crepitavano stufe a legna; l’atmosfera era semplice e cordiale, solo a tratti turbata dalla retorica dei politicanti che imperversava tutt’intorno»4. Queste le parole con le quali Giuseppe Martini – che come già sottolineato da altri non amava parlare di sé nei propri scritti e solo in questa occasione fece eccezione – apriva il suo contributo sulla dottrina gelasiana5. Una rievocazione degli anni giovanili in cui ad occupare un posto d’eccezione è il venerato maestro Pietro Fedele, che in quell’autunno del 1928 In quella grande ricognizione, ad esempio, che le Lettere a Raffaello Morghen, pubblicate nel 1994, costituiscono di figure e personaggi che ebbero rapporti con l’Istituto e con la Scuola, il nome di Martini compare solo un paio di volte, e in posizione del tutto marginale. Del resto è soprattutto dai primi anni ’50 – Martini viveva ormai a Milano - che si stabilì fra alcuni membri della Scuola una consuetudine di rapporti e di dialogo che diede poi corpo in qualche modo all’idea di una ‘Scuola romana’ 4 G. Martini, Alcune considerazioni sulla dottrina gelasiana, «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano», (1963), p. 7; riedito in Giuseppe Martini. Scritti e testimonianze, Città di Castello 1981 (Biblioteca della Nuova Rivista Storica, 35), p. 283. 5 Questa sezione del saggio è largamente debitrice alla puntuale ed ampia premessa di Gigliola Soldi Rondinini al volume Felix olim Lombardia, dedicato a Martini dagli allievi 3


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aveva da poco lasciato il Ministero dell’Educazione Nazionale. Tuttavia il suo magistero, seppure centrale nell’orientare le ricerche dello studente, non fu l’unico ad avere inciso sulla formazione di Martini. Sullo scorcio del secondo decennio del secolo scorso numerosi furono i docenti con i quali il giovane, nato a Roma il 16 settembre 1908, ebbe modo di entrare in contatto o di seguire i corsi. In primo luogo Vincenzo Federici, allievo di Ernesto Monaci; il capostipite della scuola filologico-critica romana, da cui anche Fedele aveva appreso i rudimenti di diplomatica e paleografia. Le peregrinazioni negli archivi di mezza Europa, la segnalazione di scritti inediti e il costante rigore, con cui Martini si è sempre accostato alle fonti, testimoniano quanto l’insegnamento di Federici si sia rivelato prezioso per il giovane. Un altro incontro non privo di frutti derivò dalle lezioni di Ernesto Buonaiuti, titolare alla Regia Università di Roma della cattedra di storia del cristianesimo sino all’allontanamento a seguito dei Patti Lateranensi. Attorno al sacerdote, membro di punta del modernismo cattolico italiano, era allora riunito un manipolo di aspiranti medievisti – destinati per lo più a brillanti carriere – intenti ad una rielaborazione obiettiva del cristianesimo storico e dell’azione della Chiesa6. La semplice menzione del lavoro più conosciuto di Martini, Cattolicesimo e storicismo, può essere sufficiente ad attestare l’importanza delle suggestioni legate a quell’incontro7. Anche Gioacchino Volpe insegnava a Roma e Martini ebbe occasione di seguire un suo corso di storia moderna italiana presso la Facoltà di Scienze Politiche. Certo i temi affrontati nelle lezioni non richiamavano direttamente problematiche medievistiche, ma la felice ricerca di sintesi e l’impostazione metodologica del Volpe non sarebbero stati dimenticati dallo studente. Da ultimo va ricordato Giovanni Gentile, che dal 1926 ricopriva in qualità di professore ordinario la cattedra di filosofia teoretica. Dell’illustre filosofo Martini ebbe anche modo di apprezzare alcuni per i suoi settant’anni: G. Soldi Rondinini, Introduzione, in Felix olim Lombardia. Studi di storia padana dedicati dagli allievi a Giuseppe Martini, Milano 1978, pp. XI-XLVII: XIXXV. 6 Dei giovani studiosi attivi in tal senso, seppure con interessi e posizioni distinte, possiamo ricordare Ottorino Bertolini, Eugenio Duprè Theseider e Raffaello Morghen. 7 G. Martini, Cattolicesimo e storicismo. Momenti di una crisi del pensiero religioso moderno, Napoli 1951. Questo studio, inviato alle stampe nel 1950 per l’interessamento di Federico Chabod, si rivelò inoltre determinante per il conseguimento da parte di Martini della cattedra di storia medioevale all’Università di Milano; a proposito si vedano A. Agnoletto, Giuseppe Martini professore di storia del cristianesimo, in Giuseppe Martini. Scritti e testimonianze cit., pp. XVIII-XXIX e Soldi Rondinini, Introduzione cit., pp. XXVIXXX.


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anni più tardi, collaborando all’Enciclopedia Italiana, l’impeccabile impegno come direttore8. Terminata questa rapsodica cavalcata attraverso le aule universitarie della Sapienza sarà bene tornare a Pietro Fedele. E proprio per dare il senso dell’importanza che il suo magistero ebbe nel suggerire ed orientare le prime ricerche del giovane Martini, lasciamo nuovamente la parola al discente. «L’insegnamento di Pietro Fedele fu decisivo nell’orientare la mia scelta. Uno degli argomenti da lui toccato nelle lezioni riguardava la translatio imperii, cioè la dottrina curialista medievale che interpretava l’incoronazione di Carlomagno nell’800 come un trasferimento dell’impero dai Bizantini ai Franchi operato da papa Leone III: in tal modo l’incoronazione dell’800 veniva a costituire la migliore prova storica dei diritti che il papato rivendicava sull’impero stesso. Fedele ci faceva notare che mancavano studi sull’argomento; fui attratto dall’interesse del problema e così ebbero origine la mia tesi di laurea ed uno dei primi lavori pubblicati»9. Il 29 novembre 1929 Martini si laureò con Pietro Fedele discutendo una tesi dal titolo La teoria della traslazione dell’impero negli scrittori politici medioevali10. Centro della ricerca era capire quando e in che modo fosse emersa la concezione curialista secondo cui papa Leone III avrebbe privato i Greci della somma dell’Impero per i loro demeriti, trasferendone la dignità ai Franchi nella persona di Carlo11. Partendo dalle opere coeve all’incoronazione del Natale dell’800, Martini segue l’evoluzione di questo concetto fino all’epoca di Dante. Il tema scelto, suggerito dalle lezioni di Fedele, si inserisce nel filone della storia del papato medievale; un “classico” per la medievistica romana di quegli anni12. Così pure la sensibilità per le dottrine politiche non pare granché originale vista la forte influenza sulla 8 Soldi Rondinini, Introduzione cit., p. XIII. 9 Martini, Alcune considerazioni cit., p. 283 10 G. Martini, La teoria della traslazione dell’impero

negli scrittori politici medioevali, a.a. 1928-1929. Una copia della tesi si trova nell’Archivio Martini (da questo momento in avanti A.M.), donato dagli eredi all’Università degli Studi di Milano e conservato oggi presso la Biblioteca del Dipartimento di Studi Storici. L’archivio composto da 33 buste, suddivise in 151 fascicoli, è stato così riordinato nel dicembre 2000 dal prof. Stefano Twardzik. Inoltre nell’Archivio Storico dell’Università degli Studi di Milano si conserva una copia dell’attestato di laurea richiesta da Martini stesso a fini pensionistici: Università degli Studi di Milano-Centro Apice, Archivio Storico dell’Università degli Studi di Milano, Archivio Proprio, Ufficio Personale, fascicoli del personale cessato, fasc. 1954 Martini Giuseppe fu Vittorio (d’ora innanzi Arch. st. Unimi, fasc. 1954). 11 G. Martini, La teoria della traslazione cit., p. 4. 12 P. Brezzi, La produzione romana di Giuseppe Martini, in Giuseppe Martini. Scritti e testimonianze cit., p. IX.


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storiografia italiana degli anni Trenta di Benedetto Croce, contrario ad un’impostazione positivista della storia e fautore di uno studio del pensiero politico e della circolazione delle idee da parte degli storici. Eppure, osservando con maggiore attenzione, il lavoro di Martini non si rivela poi così tradizionale. I Patti Lateranensi (siglati l’11 febbraio 1929) avevano coronato un lungo processo di mediazione, sanando il dissidio fra Stato e Chiesa. Essi contribuirono anche ad inaugurare una nuova stagione negli studi di storia della Chiesa. Da quel momento un laico poteva affrontare tematiche di storia ecclesiastica senza passare per reazionario o clericale. Inoltre, come suggerito da Gigliola Soldi Rondinini riguardo l’influenza di Croce, «Martini intendeva la storia delle dottrine politiche più come capacità di interpretare gli sviluppi ideologici di situazioni politiche e sociali che non di verificare la coerenza interna di un sistema filosofico»13. 2. Le prime ricerche tra Roma e Parigi (1929-1935)

Conseguita la laurea con lode nel novembre 1929, Martini proseguì le sue ricerche sotto la guida di Pietro Fedele. A soli tre mesi dalla discussione della tesi il giovane venne nominato allievo aggiunto presso la Scuola Storica Nazionale, con l’incarico di «preparare i primi elementi per un’edizione delle Suppliche italiane contenute nel fondo omonimo dell’Archivio Segreto Vaticano»14. Questo lavoro, che assorbì le energie di Martini dal febbraio 1930 al novembre dell’anno successivo, non fu da lui portato a termine15. Altri erano i progetti di Fedele per il promettente medievista, ma prima di svelarli sarà bene rievocare l’ambiente venutosi a creare nell’Urbe nei decenni a cavaliere fra XIX e XX secolo, quando cioè la città assunse gradualmente il suo aspetto di centro eletto per gli studi storici, specie in relazione al medioevo. All’interno di quel rigoglioso processo che nella seconda metà dell’Ottocento portò al fiorire di Deputazioni e Società di Storia Patria in

Soldi Rondinini, Introduzione cit., p. XVII. Il riferimento si trova in una Carriera di studi percorsa del 1937 autografa di Martini e conservata oggi presso ISIME, Ssn, fasc. 7. Scarse tracce di questa attività si trovano in un magro fascicolo dell’Archivio Martini a Milano (A.M., b. 16, fasc. 87). 15 A testimonianza dell’interesse dell’Istituto per lo studio delle Suppliche si veda F. Bartoloni, Suppliche Pontificie dei secoli XIII e XIV, «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano» 67 (1955), pp. 1-188. 13 14


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tutta la Penisola, assumono qui un particolare interesse gli ultimi tre decenni del secolo XIX. Nel dicembre 1876 per iniziativa di Costantino Corvisieri nacque la Società Romana di Storia Patria accompagnata dalla sua rivista, l’«Archivio della Regia Società Romana di Storia Patria»16. Passarono pochi anni ed ecco il Regio Decreto del 25 novembre 1883 con il quale si istituì l’Istituto Storico Italiano sotto la direzione di Cesare Correnti. All’Istituto venne affidato il compito di «dare maggiore svolgimento, unità e sistema alla pubblicazione de’fonti di storia nazionale e di promuovere segnatamente quei lavori preparatori, che, per essere di interesse generale, eccedono i limiti, gli intenti, nonché i mezzi delle Deputazioni e delle Società storiche regionali»17. Il Ministro della Pubblica Istruzione Pasquale Villari sostenne poi (1892) la creazione presso la Società Romana di Storia Patria di una Scuola Storica, che si rivelò un fecondo vivaio di futuri docenti universitari18. Nel computo delle operose officine storiche presenti a Roma si devono aggiungere i centri stranieri, in particolare la Scuola Francese di Roma, fondata nel 1873, e l’Istituto Storico Prussiano, sorto nel 1888. La rilevanza di queste due istituzioni per la medievistica si riassume efficacemente nei nomi dei maggiori studiosi ivi attivi in quegli anni: Louis Duchesne e Paul Fridolin Kehr. Da quanto si è brevemente richiamato risulta evidente la posizione privilegiata ricoperta dalla capitale al volgere del Novecento nell’ambito degli studi storici. La proficua cooperazione fra questi centri, suggellata dall’organizzazione di numerosi seminari e convegni, mostra un ambiente unico nel panorama storiografico della Penisola19. Con il nuovo secolo l’Istituto Storico Italiano rese sempre più palese la sua natura di centro votato allo studio del medioevo, sebbene la nomenclatura non lo rivelasse ancora20. Già dal 1924 i buoni uffici di Fedele consen16 E. Sestan, Origini delle Società di storia patria e la loro posizione nel campo della cultura e degli studi storici, in Sestan, Storiografia dell’Otto e Novecento, cur. G. Pinto, Firenze 1991, pp. 128-129. 17 O. Bertolini, Pietro Fedele, «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano», 59 (1944), p. XXXIII. Inoltre sulla fondazione dell’Istituto Storico Italiano si veda M. Miglio, Dall’unificazione alla fondazione dell’Istituto Storico Italiano, in La storia della storia patria. Società, Deputazioni e Istituti storici nazionali nella costruzione d’Italia, cur. A. Bistarelli, Roma 2012, pp. 25-44. 18 Sestan, Origini delle Società cit., p. 129. Tra i primi alunni basterà ricordare: Pietro Egidi, Pietro Fedele, Vincenzo Federici, Luigi Schiaparelli e Giorgio Falco. 19 Bertolini, Pietro Fedele cit., p. XXXIV. 20 La trasformazione in Istituto storico italiano per il Medio Evo è del 1934, si veda a tal proposito il RDL del 20 luglio 1934, n. 1226, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 180


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tirono la nascita di una Scuola Storica Nazionale presso l’Istituto21. Ad essa, creata dal Ministro Giovanni Gentile, vennero chiamati studiosi con il compito di curare edizioni di fonti per le collezioni dell’Istituto ed i relativi studi preparatori. Tutti lavori, che a ben vedere, riguardano il medioevo. Ulteriore spia di questa “deriva medievistica” fu il sorgere nel 1928 di un Comitato Nazionale di Scienze Storiche, distinto dall’Istituto22. Non a torto, dunque, Giorgio Falco, in una lettera scritta il 10 luglio del 1934 a Pietro Fedele per proporre Gustavo Vinay come alunno della Scuola Storica Nazionale, ricordava che «l’investitura medievale non si può prendere che a Roma»23. Torniamo ora a Martini che abbiamo lasciato alle prese con le carte dell’Archivio Segreto Vaticano. Naufragato il progetto di edizione delle Suppliche, Fedele decise di inviare il giovane Oltralpe. Nel novembre 1931, grazie ad un finanziamento congiunto dell’Istituto Storico Italiano e della neonata Fondazione Primoli, Martini partì per Parigi con il nuovo incarico di «preparare un’edizione moderna e critica degli atti del conflitto tra Bonifacio VIII e Filippo il Bello»24.

del 2 agosto 1934. Il testo del Decreto è riportato integralmente anche nel «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano», 51 (1936), pp. VIIXI. 21 Bertolini, Pietro Fedele cit., p. XXXVII. Nel lucido ricordo scritto da Bertolini si evidenzia l’impegno profuso da Fedele in favore dell’Istituto Storico Italiano ben prima della sua nomina a Presidente nel 1934. Oltre alla nascita della già menzionata Scuola Storica Nazionale, a Fedele sono ascrivibili altre iniziative meritorie. In primo luogo la composizione, nel 1923, del conflitto fra i dirigenti dell’Istituto e Vittorio Fiorini circa la nuova edizione dei Rerum Italicarum Scriptores del Muratori. Dopo anni di dissidi Fiorini entrò a far parte della Giunta Direttiva dell’Istituto mantenendo la Direzione dei Rerum, che proseguirono come attività dell’Istituto. Nello stesso anno gli sforzi di Fedele permisero la fusione del «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano» e dell’«Archivio Muratoriano». Infine nel 1924 Pietro Fedele assicurò all’Istituto la sua sede definitiva nel palazzo borrominiano dei Filippini alla Chiesa Nuova. 22 E. Sestan, Origini delle Società cit., p. 138. 23 Istituto storico italiano per il Medioevo, Archivio storico, Fondo Istituzionale, serie 5: Pubblicazioni, sottoserie 7: RIS, fasc. 37: Giorgio Falco, Chronicon Casauriense. Lettera manoscritta edita integralmente in M. Miglio, Istituto Storico Italiano. 130 anni di storie, cur. F. Delle Donne - G. Francesconi, Roma 2013, pp. 87-88. 24 Vedi Carriera di studi percorsa, cit. La Fondazione Primoli tutt’oggi esistente, sorse a Roma per lascito testamentario del conte Giuseppe Napoleone Primoli (1851-1927). Eretta in Ente morale con RD 8 marzo 1928, n. 942 essa si propose di promuovere le relazioni di cultura letteraria fra Italia e Francia. A tal fine si predispose l’ospitalità a Roma di giovani studiosi francesi e l’invio a Parigi di altrettanti italiani. Per una puntuale informazione sulla Fondazione Primoli si consulti il sito <http://www.fondazioneprimoli.it> (link


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Un’edizione che però non vide mai la luce. La scelta di abbandonare il progetto risiede in un duplice ordine di motivazioni e appare convincente la spiegazione data al riguardo da Gigliola Soldi Rondinini. In primo luogo l’edizione integrale dei registri bonifaciani, allora in corso per iniziativa della Scuola Francese di Roma, forniva agli studiosi ampia messe documentaria25. A ciò si deve aggiungere la pubblicazione postuma, nel 1936, del Philippe le Bel et le Saint-Siège di Georges Digard († 1923). Fu lo stesso Martini, analizzando alcuni anni più tardi questo lavoro, ad evidenziare come l’opera del Digard mostri l’impossibilità di scindere il conflitto tra Bonifacio VIII e Filippo il Bello dal più ampio contesto della politica europea del tempo26. Pertanto l’edizione di un episodio in sé conchiuso, quale lo scontro tra pontefice e re di Francia, appariva ormai di modesto beneficio per lo studio di una problematica ben più ampia e complessa. Tuttavia non si deve pensare al lungo soggiorno parigino (novembre 1931-maggio 1935) come ad un periodo sterile dal punto di vista della produzione dello studioso27. Gli anni trascorsi in Francia consentirono anzitutto a Martini di approfondire la storia di quel paese, permettendogli così di contribuire alla stesura di diverse voci per l’Enciclopedia Italiana28. I mesi di laboriosa ricerca trascorsi tra gli Archivi e la Biblioteca Nazionale di Parigi, oltre a consentire la raccolta di una mole formidabile di dati sul conflitto tra Bonifacio VIII e Filippo il Bello, fornirono a Martini l’occasione per alcune interessanti scoperte29. Sfogliando i cataloattivo il 5 marzo 2014). Giuseppe Martini venne proposto come borsista il 20 maggio 1931 da Pietro Fedele. L’allora Presidente Francesco Salata, in carica sino al 1934, avvallò la candidatura e Martini partì per Parigi in novembre. Desidero ringraziare la dott.ssa Valeria Petitto, responsabile dell’Archivio della Fondazione Primoli, per avermi fornito quest’informazione. Grazie alla cortesia della stessa si segnala che non vi sono altri documenti riguardanti Martini nell’Archivio della Fondazione. 25 Soldi Rondinini, Introduzione cit. p. XIX. 26 G. Martini, Per la storia dei pontificati di Niccolò IV e Bonifacio VIII. Note critiche su “Philippe le Bel et le Saint-Siège” di Digard, «Rivista Storica Italiana», 58 (1941), pp. 341: 5. 27 Si tratta di anni importanti anche per la vita privata di Martini che proprio durante il soggiorno nella capitale francese si sposò e divenne padre: Arch. st. Unimi, fasc. 1954. 28 Per un puntuale elenco di queste voci, le prime delle quali risalgono al 1932, si rimanda a L. Martinelli Perelli, Bibliografia degli scritti di Giuseppe Martini, in Giuseppe Martini. Scritti e testimonianze cit., p. 337. 29 Centinaia di trascrizioni ed alcune migliaia di documenti schedati, relativi al conflitto tra Bonifacio VIII e Filippo il Bello sono conservati oggi nell’Archivio Martini. Essi rappresentano una testimonianza eloquente dell’impressionante lavoro svolto dallo studioso in quegli anni: A.M., buste 9-18, fascicoli 64-92.


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ghi della Biblioteca Nazionale in cerca di manoscritti concernenti le dottrine politiche medioevali, Martini fu attratto dal codice lat. 6779, un manoscritto anonimo catalogato con il titolo di De pio regimine Principum. Consultando il codice lo studioso si rese conto di avere tra le mani una redazione sino allora sconosciuta del De Rectoribus christianis, opera dell’esegeta e scrittore politico irlandese del IX secolo Sedulio Scoto30. Confrontando il manoscritto parigino con l’edizione del De Rectoribus christianis curata dal filologo tedesco Siegmund Hellmann, Martini ne stabilì la posizione nello stemma codicum31. Da questo lavoro derivò un articolo di codicologia pubblicato nel 1935 sul «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo»32. Pochi mesi dopo un altro codice, anch’esso conservato alla Nazionale di Parigi, catturò l’attenzione dello studioso; si tratta del codice lat. 6178 A, contenente tre manoscritti autografi dell’erudito gesuita Jean Hardouin (1646-1729)33. Uno di questi manoscritti, intitolato Le différend entre

30 G. Soldi Rondinini, Introduzione, cit. p. XX. Il fortunato ritrovamento risale con ogni probabilità ai primi mesi del 1932, dato che Martini ne parla nella relazione sulla sua attività di ricerca inviata al Presidente della Fondazione Primoli nel settembre di quell’anno. Questa relazione, come le successive, è conservata oggi presso ISIME, Ssn, fasc. 7. 31 S. Hellmann, Sedulius Scoto, «Quellen und Untersuchungen zur lateinischen Philologie des Mittelalters», 1/1 (1906). 32 G. Martini, Un codice sconosciuto del « De Rectoribus christianis» di Sedulio Scoto, «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano», 50 (1935), pp. 49-62. 33 Martini parla per la prima volta di questo codice nella relazione sulla sua attività di ricerca inviata al Presidente della Fondazione Primoli il 2 aprile del 1933, ISIME, Ssn, fasc. 7. Un’altra relazione di Martini, quella del novembre 1933 inviata sempre al Presidente della Fondazione Primoli, menziona il ritrovamento di altri manoscritti dell’Hardouin. Essi fornirebbero «materiale interessantissimo per l’indagine delle varie reazione suscitate dai sistemi di Galileo, di Descartes e di Malebranche presso i contemporanei». Martini non scrisse altro al riguardo ed il vago riferimento a dei manoscritti del gesuita non ha reso possibile la loro precisa identificazione. Questa relazione è edita integralmente nel «Bullettino dell’Istituto storico italiano e Archivio Muratoriano», 49 (1933), pp. XLIX-LIV. Altri due ritrovamenti, destinati entrambi a non avere seguito, sono menzionati nelle predette relazioni. Il primo riguarda la Summa Gloria di Onorio d’Autun, edita nel 1898 nei Monumenta Germaniae Historica. Di essa Martini afferma di aver ritrovato all’Arsenale di Parigi un codice ignorato dalla precedente edizione tedesca. Il secondo concerne invece la Quaestio in utramque partem, uno dei principali scritti antibonifaciani. Lo Scholz se ne occupò nel 1903 descrivendo brevemente i manoscritti che la tramandavano ed esponendone il contenuto. A lui sarebbe però sfuggito un manoscritto dell’opera, ritrovato da Martini fra i codici conservati alla Biblioteca Nazionale di Parigi. V. «Bullettino dell’Istituto storico italiano e Archivio Muratoriano» cit. supra, p. LIV.


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Boniface VIII et Philippe le Bel, interessò particolarmente Martini34. L’intero scritto di Hardouin è teso a dimostrare l’inconsistenza storica dello scontro fra il pontefice ed il re di Francia, che per il gesuita sarebbe stato confezionato ad arte solo nel XIV-XV secolo da una cabala di scrittori senza religione intenti a screditare il papato per favorire le tesi conciliariste35. La stravagante interpretazione del gesuita portò Martini a scrivere un saggio, nel quale le riflessioni di Hardouin venivano inquadrate nel più generale clima di crisi intellettuale di fine XVII secolo36. 3. I lavori degli anni ’30

Oltre che dal lavoro sui documenti francesi (che non andò oltre la fase di raccolta del materiale), gli anni ’30 appaiono segnati da due opere, che restano fra le sue più significative, quelle forse a cui la sua immagine di medievista rimane più legata: L’idea della traslazione dell’impero – rielaborazione della tesi di laurea, licenziata a Parigi nel novembre del 193337 – e Regale sacerdotium38, di cinque anni più tardi. Martini stesso scrisse poi che l’impulso a trattare quei temi gli era venuto da Pietro Fedele: in particolare il tema della Translatio imperii, «cui Innocenzo III aveva dato veste ufficiale, assegnandole una parte considerevole nel formulare la pretesa del papato a disporre dell’impero romanogermanico»: tema che si era naturalmente esteso al problema della donazione di Costantino e al problema del valore che la donazione aveva assunto nella tradizione della curia fra VIII e XII secolo, sino a Innocenzo III. Martini esamina l’idea della traslazione in connessione con la politica di Innocenzo, preoccupandosi però di distinguere il carattere ora dottrinario, ora diplomatico degli scritti innocenziani; e mostrando come le varie con34 Il titolo dello scritto di Hardouin, richiama il lavoro erudito di Pierre Dupuy che proprio Martini si proponeva di aggiornare: P. Dupuy, Histoire du différend d’entre le pape Boniface VIII et Philippe le Bel roy de France, Paris 1655. 35 Soldi Rondinini, Introduzione, cit. p. XXI. 36 G. Martini, Le stravaganze critiche di padre Jean Hardouin, in Scritti di paleografia e diplomatica dedicati a Vincenzo Federici, Firenze 1945. 37 Traslazione dell’Impero e donazione di Costantino nel pensiero e nella politica di Innocenzo III, «Archivio della R. Società romana di Storia Patria», 56 (1933), pp. 219-362 (ora anche in Giuseppe Martini. Scritti e testimonianze cit., pp. 3-72). 38 Regale Sacerdotium, «Archivio della R. Deputazione romana di Storia Patria», 61 (1938: ma 1939), pp. 5-170; ora anche in Giuseppe Martini. Scritti e testimonianze cit., pp. 73-156.


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tingenze e i diversi scopi politici, che il papa si proponeva, abbiano via via modificato e perfezionato quell’idea, trasformandola all’occasione in un valido strumento polemico. È un’analisi molto minuziosa e attenta, in cui l’autore si mostra capace di mettere in luce le diverse sfumature e accentuazioni che il discorso di Innocenzo volta a volta assume, senza per questo rivelarsi contraddittorio. Della donazione di Costantino – esaminata non solo nel pensiero di Innocenzo III, ma nell’uso che la curia romana ne aveva fatto fra il sec. VIII e il sec. XII – l’autore intende viceversa mettere in luce il fatto che essa non era usata a fondamento delle pretese territoriali del papato, ma per affermare la regalis potestas, il regale sacerdotium di Silvestro, per sostenere cioè il primato spirituale e gerarchico della Chiesa romana e la sua precellenza in dignità e onore su tutte le istituzioni umane. Già in questi primi scritti, in cui si affrontavano due punti importanti della formazione delle teorie curialiste nel Medioevo, emerge un altro tema, quello del regale sacerdotium, cui Martini si accostò dopo qualche anno: forse anche per l’esterna sollecitazione dell’enciclica Quas primas (1925), che aveva istituito la festa di Cristo re, da celebrarsi universalmente l’ultima domenica di ottobre (proprio a un’accurata e minuziosa lettura dell’enciclica sono dedicate le prime pagine del suo nuovo lavoro). Attraverso un’analisi ampia della letteratura cristiana dei primi secoli, sia greca che latina, a partire dalla lettera ai Romani, Martini mette in luce come l’idea della regalità del Salvatore, sorta con le origini stesse del cristianesimo, nella teologia cristiana dei primi secoli tendesse ad integrarsi con l’idea del sacerdozio di Cristo; e come il concetto, che aveva in origine un puro valore teologico ed era applicato soltanto alla persona di Cristo (o, misticamente, all’intero corpo dei fedeli), venisse ad assumere un significato politico. Gelasio I affermò un principio di distinzione39, la cosiddetta dottrina dei due poteri, secondo cui nessun principe terreno poteva rivendicare la primazia in ambedue le dignità, spirituale e temporale insieme. Solo in seguito la dottrina del valore politico del regale sacerdozio,

39 Martini negava che già in Gelasio si potesse riconoscere una concezione teocratica, sostenendo invece che l’elaborazione e l’affermazione di tale concezione furono un processo di lunga durata, avviatosi in età carolingia e trasformato in un corpo organico di dottrine solo fra XIII e XIV secolo. A sostegno di questa sua tesi l’A. ritornò nel breve saggio Alcune considerazioni sulla dottrina gelasiana, «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medioevo, e Archivio muratoriano», 75 (1963), pp. 7-21, saggio in cui ribadì la sua convinzione, in contrapposizione all’interpretazione di W. Ullman (The growth of papal government in the Middle Ages, London 1955).


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attraverso una profonda evoluzione, cominciò a farsi perno di tutta la costruzione teocratica dei papi del pieno e basso medioevo, ponendosi al servizio delle teorie curialiste più radicali che si venivano elaborando40. L’intendimento delle ricerche di Martini in questa fase era dunque quello di approfondire quegli aspetti della dottrina della Chiesa che vertevano sul ruolo del papato all’interno della Chiesa stessa, e del papato nei suoi rapporti col potere politico. Era un discorso che rientrava in una solida tradizione di studi sul problema delle relazioni fra Chiesa e Stato: una tradizione ben rappresentata da Pietro Fedele, appunto, e che in quegli anni immediatamente successivi ai Patti lateranensi trovava rispondenza nella politica e, quasi, nella cronaca quotidiana, impegnando vari studiosi, di diversi orientamenti (da uno Jemolo, ad esempio, a un Soranzo). D’altro canto lo stesso progetto di ricerca che Martini aveva avviato in Francia, sui rapporti fra Filippo il Bello e Bonifacio VIII, rientrava in questo quadro. Era un discorso che tuttavia rifletteva, rispetto alle tradizioni risorgimentali, una sensibilità, nuova verso temi non solo politici ma anche religiosi, o ecclesiastico religiosi41 . E la linea di Martini fu, e si mantenne in seguito, quella di studiarli nelle espressioni ‘alte’ della dottrina della Chiesa, nelle opere di teologi, di papi, nelle delibere di sinodi e concili: trascurando per converso tutti gli aspetti del ‘vissuto’ cristiano o della pratica religiosa, cui altri studiosi tendevano ad avviarsi. Quello che colpisce è il rigore della riflessione di Martini e del suo percorso di ricerca, che appare forse connesso, più che a figure e orientamenti della storiografia italiana, al dibattito che quei temi avevano sollevato e sollevavano in una tradizione di studi europea e internazionale, che Martini dimostra di conoscere e di padroneggiare. I suoi diretti interlocutori, erano studiosi come A. e R. Carlyle, A. Luchaire, K. Burdach A. Dempf, P.E. Schramm, mentre quasi del tutto assenti nella sua bibliografia sono gli autori italiani: per i quali questi temi, pur così vivi negli anni Venti e Trenta, non si erano ancora tradotti nei termini di grossi problemi storiografici.

40 Su questi primi scritti di Martini si vedano anche le pagine di Brezzi, La produzione romana di Giuseppe Martini, cit., pp. IX-XXI. 41 Chabod, ripercorrendo la storiografia degli anni Trenta, segnalava l’emergere di questi interessi e ricordava accanto alla figura di Martini, quelle di Falco, di Duprè Theseider, di Brezzi, di Morghen: F. Chabod, Gli studi di storia del Rinascimento, in Cinquant’anni di vita intellettuale italiana, 1896-1946. Scritti in onore di Benedetto Croce per il suo ottantesimo anniversario, cur. C. Antoni - R. Mattioli, Napoli 1950, pp. 125-307, 199, 202.


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4. Il ritorno a Roma e l’alunnato presso l’Istituto storico italiano per il Medio Evo (1935-1942)

Rientrato a Roma nel maggio 1935 Martini ricoprì per alcuni mesi la Segreteria del Comitato Nazionale di Scienze Storiche42. Continuava intanto la sua collaborazione con l’Enciclopedia Italiana, come attestano diverse voci relative alla storia francese stilate in questo periodo43. Nel frattempo il giovane studioso era impegnato a prepararsi per il concorso di docente di filosofia e storia nei licei, bandito il 4 aprile 1936. Risultatone vincitore, venne nominato professore straordinario ed il 9 gennaio 1937 prese servizio presso il Regio Liceo-Ginnasio di Spoleto, ove rimase circa un mese44. Dispensato dagli obblighi di insegnamento con Decreto Ministeriale del 20 gennaio 1937, Martini fu comandato dal mese successivo presso l’Istituto storico italiano per il Medio Evo, che dal 1934 era presieduto da Pietro Fedele45. Alla Scuola Storica Nazionale il medievista continuò la sua attività di ricerca in qualità di alunno sino al settembre 194546. Si tratta di otto anni cruciali per la carriera e per la vita di Martini, ma converrà procedere con ordine. Il 1938 vide la pubblicazione di Regale Sacerdotium, studio di ampio respiro che dimostra la maturità scientifica raggiunta da Martini47. Allo stesso anno risale anche un importante impegno scientifico; inizia allora la collaborazione di Martini con il Dizionario di politica, opera commissionata dal segretario politico del Partito Nazionale Fascista, Achille Starace48.

Carriera di studi percorsa . Non si specifica però la durata dell’incarico. Si veda in proposito Martinelli Perelli, Bibliografia degli scritti di Giuseppe Martini cit. p. 337. 44 Ibid. 45 Lettera del Ministero dell’Educazione Nazionale al Preside del Regio LiceoGinnasio di Spoleto datata 14 febbraio 1940: ISIME, Ssn, fasc. 7. 46 Gli estremi cronologici dell’alunnato (1 febbraio 1937 - 30 settembre 1945) si ricavano da uno scambio epistolare del 1968 tra Giuseppe Martini ed Arsenio Frugoni (due lettere di Martini ed una di Frugoni). Con esso Martini richiese una certificazione dell’attività prestata ai fini del riscatto della pensione. Segue, infatti, un certificato dell’allora Presidente dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo, Raffaello Morghen: ISIME, Ssn, fasc. 7. 47 Martini, Regale Sacerdotium, cit. (v. nota 38). 48 Relazione sull’attività svolta nell’anno 1938 dall’alunno Giuseppe Martini, indirizzata a Pietro Fedele, Presidente dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo: ISIME, Ssn, fasc. 7. 42 43


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Da semplice collaboratore il medievista romano divenne poi uno dei tre direttori scientifici dell’opera, che uscì in quattro volumi nel 194049. La promozione al ruolo di professore ordinario di storia e filosofia nei Regi licei, stabilito dal Ministero dell’Educazione Nazionale attraverso il Decreto Ministeriale del 16 settembre 1939, sancì un ulteriore avanzamento di carriera50. I nuovi incarichi conseguiti non distolsero però Martini dal suo impegno di ricerca in qualità di alunno della Scuola Storica Nazionale. Ultimato l’articolo relativo all’opera postuma di Digard, già trattato in precedenza, lo studioso si concentrò su di un altro progetto51. Risale al 1940 l’avvio del lavoro mirato a fornire l’edizione critica, accompagnata dalla traduzione italiana, del Momus di Leon Battista Alberti, che uscì nel 1942 sulla collana degli Scrittori politici italiani52. La faticosa impresa dello storico romano supera il sia pur meritorio intento di rendere fruibile ad un vasto pubblico questo scritto “minore” del noto umanista53. Nell’introduzione al Momus, infatti, Martini criticò gli studi allora esistenti sulla figura dell’Alberti, troppo spesso sorretti da opinioni consolidate e retoriche, per insistere sul carattere «non organico del pensiero albertiano» e sul dissolversi in esso «dell’interesse politico nella più ampia sfera della ricerca morale»; un’analisi che anticipa di diversi decenni i più meditati giudizi della critica sulla personalità dell’Alberti54.

V. <http://www.treccani.it/export/sites/default/istituto/PDF/bibliografia/pdf> (link attivo il 5 marzo 2014). I direttori del Dizionario di politica sono: Guido Mancini, Antonino Pagliaro e Giuseppe Martini. 50 La notizia si ricava da una lettera del 29 aprile 1940, inviata dal Ministero a Fedele: ISIME, Ssn, fasc. 7. 51 Martini, Per la storia dei pontificati, cit. 52 L.B. Alberti, Momus o del Principe, Testo critico, traduzione, introduzione e note ed. G. Martini, Bologna 1942. Ad attestare l’inizio di quest’opera è il piano di lavoro per l’anno accademico 1940-1941 presentato da Martini al Presidente dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo Pietro Fedele: ISIME, Ssn, fasc. 7. 53 Il lavoro richiederà più di un anno per essere ultimato. L’attenzione dedicata da Martini all’edizione del testo e alla sua traduzione si intuisce da uno scambio epistolare con Mario Casagrande. Viste le bozze del lavoro inviategli, Casagrande propose a Martini delle correzioni, alcune delle quali vennero recepite dallo storico romano: A.M., b. 19, fasc. 5, s. fasc. 5. 54 C. Vasoli, Giuseppe Martini e il «Momus» di Leon Battista Alberti, in Giuseppe Martini. Scritti e testimonianze cit. pp. XXII-XXIII. 49


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5. La militanza nel Partito d’Azione e il carcere (1942-1944).

Indagare la posizione di Martini rispetto al regime prima del luglio 1942, epoca cui risale la sua adesione al Partito d’Azione, non è cosa semplice55. La pubblicazione del Momus dell’Alberti in una collana finanziata dal Partito Nazionale Fascista, il cui ultimo volume doveva raccogliere emblematicamente gli scritti e i discorsi di Mussolini, si può forse liquidare considerando come elementi disgiunti il contributo scientifico e la veste editoriale. A creare maggiori perplessità è la collaborazione di Martini ad un’altra iniziativa finanziata dal partito di regime. Come si è già avuto modo di dire, per il Dizionario di politica lo studioso non si limitò a stendere delle voci, ma prese parte attiva al progetto ricoprendo una funzione direttiva. Questo ruolo ostacola l’individuazione di un netto distanziamento di Martini dal “sistema costituito”. Paolo Brezzi rievocando la comune esperienza alla Scuola Storica Nazionale, sottolinea come «nei limiti consentiti dalla prudenza, eravamo tutti concordi nella critica al regime, nella condanna delle alleanze stipulate, nel rammarico per la guerra malcondotta»56. È possibile che proprio ai limiti suggeriti dalla prudenza vada ricondotta la scelta del medievista, che rifiutando un incarico prestigioso avrebbe attirato attenzione e sospetti. Nulla conosciamo del primo anno di attività clandestina di Martini nel neonato Partito d’Azione in quanto le attestazioni pervenuteci permettono una sommaria ricostruzione del suo operato solo a partire dal luglio 1943, data cui risale il suo diretto coinvolgimento nella resistenza romana57. Dal luglio al novembre 1943 Martini fu responsabile per l’organizzazione politico-militare della IIIª zona, un’area piuttosto estesa della capitale comprendente cinque settori: Flaminio, Parioli, Salario, Nomentano e Monte Sacro58. In questi mesi lo storico recuperò degli apparecchi radiotrasmit-

55 Circa la determinazione del periodo cui risale l’adesione di Martini al Partito d’Azione, si veda la citata relazione indirizzata al presidente Carlo Calisse sull’attività di ricerca da lui svolta in qualità di alunno della Scuola Storica Nazionale nell’anno 19431944. In essa lo studioso dichiara di aver aderito al Partito d’Azione sin dalla sua costituzione (luglio 1942): ISIME, Ssn, fasc. 7. Di Martini è anche la voce relativa al Partito d’Azione scritta per l’Enciclopedia Italiana, G. Martini, Azione, partito d’, in Enciclopedia Italiana, Appendice II, Roma 1948. 56 Brezzi, La produzione romana cit. p. X. 57 Dattiloscritto di tre pagine firmato da Martini in data 8 agosto 1944 e intitolato: Relazione dell’attività clandestina della IIIª zona, in A. M., busta 7, fasc. 49. 58 Ibid.


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tenti, predispose un sistema di distribuzione dei giornali clandestini e diede vita a delle squadre per le azioni armate ai danni dei nazi-fascisti59. Il suo impegno si interruppe quando gli uomini dell’Ufficio politico della Questura di Roma irruppero in via Basento 55 – sede della tipografia Gualerni, dove veniva stampata clandestinamente l’«Italia libera» – il 20 novembre 1943 e arrestarono l’intero corpo redazionale60. Insieme a Giuseppe Martini finirono in carcere: i tipografi, Leone Ginzburg, Manlio Rossi-Doria, Carlo Muscetta e Mario Fiorentino61. La Questura, non sospettando dell’impegno militare del medievista, lo inviò a Regina Coeli con la sola imputazione di svolgere attività propagandistica per il Partito d’Azione62. I tre mesi di detenzione non piegarono la volontà di Martini rafforzando al contrario in lui la consapevolezza di dover guardare avanti. Dalle conversazioni avute con due compagni di cella sul problema educativo in Italia, Martini trasse nell’aprile 1944 un breve scritto intitolato Per la scuola di domani63. Il testo si impernia sull’ispirazione a proporre una scuola «non d’istituti, ma di uomini» dove «al principio d’autorità si sostituisca lo spirito critico»64. L’intero progetto di riforma, non privo di una vena utopistica, dimostra ad ogni modo la sensibilità di Martini verso questo tema tanto delicato quanto cruciale per il futuro del Paese. Rilasciato il 27 febbraio 1944 lo studioso riprese l’attività clandestina con l’incarico della riorganizzazione politica del centro di Roma65. Il 31 maggio 1944 le SS, informate da un delatore, irruppero ad una riunione del Partito d’Azione arrestando sette degli otto partecipanti, fra i quali lo stesso Martini66. Tradotto nelle famigerate carceri di via Tasso, il medievista venne separato dagli altri fermati e mandato a “lavorare” in Ibid. L’informazione si ricava da una Relazione sull’attività militare svolta in periodo clandestino, comprensiva di due fogli manoscritti di Martini datati 9 aprile 1946, in A. M., busta 7, fasc. 49. 61 Ibid. 62Ibid. 63 Dattiloscritto inedito di 23 carte. A. M., busta 7, fasc. 49. 64 Dattiloscritto A. M., busta 7, fasc. 49, cc. 3-4. 65 Relazione sull’attività militare svolta in periodo clandestino cit. Si riferisce tra l’altro di un incontro a casa di Martini con il colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, caduto poi nella strage delle Fosse Ardeatine, al fine di potenziare l’azione militare del Partito d’Azione nella capitale. 66 La vicenda è riportata in dettaglio dall’Italia libera il 23 aprile 1945, in un articolo siglato da Franco Bugliari e intitolato L’ultima operazione della Gestapo. Una copia del lavoro si può leggere in A. M., busta 30, fasc. 148, s.fasc. 2. 59 60


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Germania67. Riuscì a fuggire il 5 giugno 1944 durante una sosta dei convogli diretti Oltralpe a Firenze, per tornare infine a Roma il mese successivo68. Le vicende belliche e l’attività clandestina svolta da Martini in questi anni si riflettono sulla sua produzione storiografica causandone un sensibile rallentamento69. Se si esclude il contributo relativo allo scritto di Digard, a questa data ormai in fase di rifinitura, l’opera del medievista si riduce ad un solo lavoro pubblicato: Innocenzo III ed il finanziamento delle crociate70. Lo studio approfondito dello scontro tra Bonifacio VIII e Filippo il Bello, aveva portato Martini ad interessarsi alla problematica delle decime ecclesiastiche imposte al clero per il finanziamento delle crociate, segnatamente in Francia. Il tentativo di comprendere la crisi di fine XIII secolo portò lo studioso ad analizzare quali fossero nel Duecento «i rapporti e le procedure normali in materia di decime»71. Non è dunque un caso che una volta constatato il ruolo centrale di Innocenzo III nella sistematica riorganizzazione delle procedure esistenti in materia di tassazioni ecclesiastiche, Martini si volse a «chiarire le relazioni tra curia romana e Francia in fatto di decime prima di Filippo il Bello evidenziando la formidabile macchina fiscale montata dai papi» a Innocenzo III succeduti72. Studi ancora saldamente ancorati alla riconsiderazione della storia del papato, ma che a ben vedere già mostrano l’apertura verso i problemi economici e sociali73. Relazione sull’attività militare svolta in periodo clandestino cit. Ibid. La rocambolesca fuga di Martini, stipato con un altro centinaio di deportati in una scuola nei pressi di Santa Croce, è da lui raccontata in un articolo dell’«Italia libera» datato 20 agosto 1944. Dell’articolo intitolato Borruso, Martini, Manlio e Silvia Gualerni ci parlano del loro soggiorno fiorentino si trova una copia in A. M., busta 30, fasc. 148, s. fasc. 1. 69 A rivelarlo è lo stesso Martini in una relazione della seconda metà del 1944, inviata al Presidente dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo Carlo Calisse (succeduto a Pietro Fedele, scomparso il 9 gennaio 1943), in cui si legge «come mi sia stato impossibile per molti mesi attendere agli studi che la Scuola Storica mi aveva affidato»: ISIME, Ssn, fasc. 7. 70 G. Martini, Innocenzo III ed il finanziamento delle crociate, «Archivio della Regia Deputazione Romana di Storia Patria», 67 (1944), pp. 309-335. 71 Soldi Rondinini, Introduzione, cit. p. XXII. 72 Ibid. p. XXIII. Tematica che Martini tratterà in modo disteso nel secondo dopoguerra: G. Martini, La politica finanziaria dei papi in Francia nel secolo XIII, «Memorie dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di Scienze morali, storiche e filosofiche», 347 (1950), pp. 3-83. Riedito in Giuseppe Martini. Scritti e testimonianze cit., pp. 209-282. 73 Soldi Rondinini, Introduzione cit. p. XXIII. 67 68


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Con la guerra terminò anche l’esperienza di Martini come alunno dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo. Il lustro precedente il conseguimento della cattedra di Storia medievale all’Università degli Studi di Milano (1950) vide lo storico diviso tra la composizione di Cattolicesimo e storicismo e gli impegni didattici presso il Liceo classico della capitale Ennio Quirino Visconti, ove ricoprì l’incarico di professore ordinario di storia e filosofia74. 6 ‘Cattolicesimo e storicismo’

Il volume Cattolicesimo e storicismo. Momenti di una crisi del pensiero religioso moderno veniva pubblicato a Napoli nel 1951 (preceduto da una edizione provvisoria, che fu presentata al concorso universitario tenutosi l’anno prima). In esso l’autore si proponeva di vedere come il cattolicesimo – nelle opere di alcuni dei suoi esponenti, fra gli inizi del XIX e la metà del XX secolo, attraverso il significativo passaggio rappresentato dal modernismo – si fosse posto nei confronti del pensiero storicista, quello storicismo che nel pensiero laico si era affermato sempre più, fra Otto e Novecento appunto, come la chiave di lettura e di interpretazione della realtà e del suo svolgersi. Era l’opera più impegnativa cui Martini si fosse sino ad allora accinto: e i suoi scritti precedenti danno scarse testimonianze del processo che portò alla concezione e all’elaborazione di un’opera tanto vasta, e distaccata dagli interessi originari dell’autore, se si eccettuano due brevi contributi su Renan (1945) e su Moelher (1949)75. Martini probabilmente si sentì interessato da una polemica assai vivace, sorta negli anni 1946-1948, fra un gruppo di domenicani francesi facenti capi alla «Revue thomiste» (fra gli altri L.B. Gillon, M.- M. Labourdette, R. Garrigou-Lagrange) e alcuni studiosi gesuiti (H. Bouillard e H. De Lubac, fra gli altri), anch’essi francesi, editori delle collezioni Sources chrétiennes e Théologie, e della rivista «Recherches de sciences religieuses» di Parigi. Il dibattito verteva sulla “nouvelle théologie”, sui rapporti cioè fra teologia e

74 L’insegnamento di Martini al Liceo Visconti per gli anni 1945-1950 è attestato da una lettera richiesta da Martini a fini pensionistici e siglata il 27 marzo 1968 dall’allora preside Nazareno Ernando Acquaro: Arch. st. Unimi, fasc. 1954. 75 Stato e cultura nel pensiero di Renan, «Aretusa. Rivista di varie letterature» (1945), pp. 18-27; Misticismo e storicismo in J. A. Moelher, «Ricerche religiose. Rivista di studi storico-religiosi», 20 (1949), pp. 104-127.


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storia, e vedeva, di contro alla posizione più rigida dei domenicani, atteggiamenti di cauta apertura da parte dei gesuiti. Il dibattito si smorzò, probabilmente per un intervento della superiore autorità e, nell’attesa anche dell’enciclica Humani generis che in effetti fu pubblicata nel 1950, e che «pur moderata nel tono, nella sostanza ribadiva i principi della metafisica tomistica, e la concezione tradizionale, cioè intellettualistica del dogma»76. Martini si sentì stimolato, per parte sua, a vedere il problema nel suo spessore storico, ripercorrendo circa 150 anni di storia del pensiero cattolico e cristiano intorno al problema del rapporto fra la storia e il dogma. Non deve stupire che, dall’interno di una bibliografia tutta rivolta al Medioevo, salvo poche, minori eccezioni, emergesse quasi d’un tratto un volume come Cattolicesimo e storicismo: un volume organico e compatto, che nella sua linea di discorso segue lucidamente lo svolgersi del pensiero cattolico dai primi decenni dell’Ottocento, in Germania, sino agli ultimi dibattiti teologici di pochi anni precedenti. I temi che Martini aveva affrontato in precedenza avevano sempre mostrato un nesso non troppo nascosto con questioni religiose vive e dibattute nel presente: si trattasse dei rapporti fra Chiesa e potere politico, o della definizione del sacerdozio in termini di regalità. Egli rivolgeva ora la sua attenzione allo scontro fra la dottrina cattolica – che si considera depositaria di un unico e immutabile corpo di dottrine - e una concezione come quella storicista che presentava la realtà come perpetuo divenire: scontro che coinvolge i fondamenti stessi della religione cristiana e che per Martini rappresentava il punto cruciale di contrapposizione fra due culture. Punto irrisolto, sottolinea l’autore77, e irrisolvibile, «perché non è possibile pensare che la chiesa cattolica accetti il principio della realtà come storia, o del primato del divenire sull’essere». Un problema tuttavia che era stato al centro della riflessione di alcuni personaggi eminenti dell’intellettualità cattolica: dal J. A. Moelher, autore della «prima grande sintesi di cattolicesimo e di romanticismo nel campo della teologia» (p. 60), al convertito pensatore oxfordiano John 76 G. Martini, Lineamenti di uno storicismo cattolico, estratto dalla «Rivista critica di storia della Filosofia», 6 (1954), pp. 556-565: 563. Si veda anche Cattolicesimo e storicismo cit., pp. 342-345. 77 «Lo storicismo dei novatori cattolici non potrà mai risolversi in un razionalismo immanentistico o in un panlogismo di tipo crociano, perché essi restano sostanzialmente religiosi […]; per tutti la verità del cristianesimo non è l’adesione a un certo sistema di idee; e nessuna dottrina, anche se basata sul senso totale del progresso storico può risolversi in termini di ragione il senso profondo di questo contatto mistico col divino»: Martini, Lineamenti di uno storicismo cattolico cit., p. 565.


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Henry Newman, alle prese con il problema del rapporto fra sviluppo e tradizione; dalla ‘rivoluzione teologica’, e dalla pragmatistica svalutazione della teologia di G. Tyrrel, alla concezione della storia «come principio fecondo e costante di interpretazione scientifica» di A. Loisy (p. 256), a quella filosofia dell’azione con cui Blondel vuole provare la realtà del trascendente e la necessità del soprannaturale. Gli echi della filosofia di Blondel, analizzata nelle ultime pagine, portano il lettore sino al dibattito sulla nuova teologia, da cui il libro ha preso le mosse. «Posta fra l’esigenza di proclamarsi fedele ad una realtà assoluta e la constatazione dei movimenti avvenuti nel tempo, la Chiesa cercherà di conciliare i due termini antitetici, senza tuttavia porli sullo stesso piano […]. L’uno è per essa un principio esistenziale, l’altro non lo sarà mai, e quindi, in un modo o nell’altro, finirà con l’essere assorbito» (p. 315): una affermazione la cui preveggenza possiamo ben valutare, se pensiamo alle vicende del pensiero e del movimento cattolico nei decenni successivi78. 7. Dopo il 1950

Nel novembre del 1950 Martini vinse il concorso di Storia medievale bandito dall’Università degli Studi di Milano. Egli non aveva partecipato a due concorsi precedenti, banditi da Pisa (1948) e da Messina (1950, per ‘Storia’), dove erano risultati vincitori studiosi più anziani di lui: Gabriele Pepe, Ottorino Bertolini, Ernesto Sestan e Fabio Cusin. Per il concorso di Milano la commissione era costituita da Giorgio Falco, Francesco Cognasso, Franco Valsecchi, Giovan Battista Picotti, Raffaello Morghen, e Martini risultò unico vincitore. Avevano concorso fra gli altri Vinay e Frugoni, che riportarono rispettivamente uno e due voti, e Giovanni Tabacco. (Frugoni e Tabacco vinsero nel ’54, Violante nel ’55, qualche anno dopo Lamma e Manselli, nel ’66 Capitani)79. L’università milanese rappresentò certamente un impegno non da poco dal punto di vista accademico e didattico: nella Facoltà, che col dopoguerra veniva lentamente assumendo una fisionomia nuova, vedeva nel settore storico Martini come unico cattedratico. A partire dal 1952 egli tenne anche l’incarico di ‘Storia del cristianesimo’, allora lasciato da M. Bendiscioli. 78 Il volume fu recensito in «Civiltà cattolica» (n. 102 [1951], pp. 299-304 da P. Valori) e in «Il ponte» (7 [1951], pp. 787-790). 79 C. Dolcini - F. Raspanti, La coda di Minosse, II. Concorsi a cattedre di storia medievale, 1949-1973, «Il pensiero politico medievale», 7 (2009).


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Negli anni 1959-1960 fu anche incaricato di ‘Storia moderna’80 . Martini dovette anche farsi carico dell’avvio e dell’organizzazione dell’Istituto di storia medievale e moderna, che nasceva in quegli anni81. Da alcuni fascicoli di lettere, indirizzate a Martini e conservate nell’Archivio Martini per il periodo successivo al 1950, si ricavano informazioni sparse sulle sue attività di quegli anni. Un posto importante per tutti gli anni ’50 ebbe la collaborazione con il Dizionario biografico degli Italiani, avviata già in precedenza a Roma82. In un dialogo costante con i redattori, in particolare con Fortunato Pintor ed Arsenio Frugoni, le lettere recano testimonianza sulla tormentata definizione del lemmario, sulla impostazione delle voci, sulla scelta dei collaboratori. Martini stesso preparò alcune voci, che furono poi pubblicate83. La collaborazione durò sino agli anni 1959-1960, quando fra alcuni membri della redazione e il presidente dell’Istituto dell’Enciclopedia Treccani, Aldo Ferrabino si determinò un forte dissenso: sui limiti cronologici del lemmario (in particolare sul terminus ad quem) e, più in generale, sulle linee di fondo cui l’opera doveva ispirarsi. Pintor, Frugoni e Claudio Pavone lasciarono il Dizionario, e lo lasciò anche Martini, proprio mentre i primi volumi prendevano a uscire84. A Milano si trovò anche a svolgere il ruolo di responsabile per la storia medievale nella redazione della Storia di Milano, che allora si stava realizzando per iniziativa di Giovanni Treccani degli Alfieri85. Non ebbe seguito il progetto di una ‘storia generale’ dell’Italia che Cantimori elaborava intorno alla metà degli anni Cinquanta per conto di Einaudi e che avrebbe dovuto veder coinvolto anche Martini (storia poi non realizzata)86, 80 Agnoletto, Giuseppe Martini professore di storia del cristianesimo cit., pp. XXVIIIXXXII. 81 La documentazione relativa alla attività accademica milanese è conservata nel fasc. “1954. Martini Giuseppe Vittorio” in Arch. St. Unimi. 82 Martini era stato chiamato nel 1948 come caporedattore accanto a Fortunato Pintor, direttore, e ad Arsenio Frugoni, condirettore: redattori erano allora per la storia medievale Raoul Manselli, per quella moderna Rosario Romeo, per la contemporanea Claudio Pavone: M. Verga, « Il dizionario si farà». Note per una storia del Dizionario biografico degli Italiani, in Religione, cultura e politica nell’Europa moderna. Scritti offerti a Mario Rosa dagli amici, cur. C. Ossola - M. Verga - M.A. Visceglia, Firenze 2003, pp. 3-39; A.M., b. 8, fascicoli 56-59. 83 Nel Dizionario uscirono le seguenti voci di Martini: Giuseppe Agrati e Bartolomeo Aicardi (vol. 1, 1960), Ambrogio da Paullo (vol. II, 1960), Andreollo Arisi e Simone Arrigoni (vol. IV, 1962). 84 Verga, « Il dizionario si farà» cit. 85 Storia di Milano, a cura della Fondazione Treccani degli Afieri, 16 voll., Milano 1953 - 1961. 86 Qualche cenno anche in I verbali del mercoledì. Riunioni editoriali Einaudi, 19531963, cur. T. Munari, Torino 2013, p. 166.


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e neppure quello di un manuale, propostogli dall’editore Fabbri. Le lettere e la documentazione conservata testimoniano anche, nel corso degli anni ’50, un moderato impegno di Martini all’interno del Partito socialista, insieme al collega Mario Dal Pra e a Tristano Codignola87, in relazione soprattutto al problema della riforma della scuola. Quanto all’attività di ricerca nel campo della storia medievale, essa appare intensa e continuativa, indirizzata a temi anche assai diversi fra loro. Si possono ricordare via via, fra gli scritti di maggiore impegno un articolo su La memoria di Carlo Magno e l’impero medievale»88, un saggio sul cronista milanese Ambrogio da Paullo (1957)89, un altro su Siena dopo Montaperti (1961)90, una corposa ricerca su Nola nel secondo Quattrocento (1972)91, e la voce History of Italy and Sicily per l’Enciclopedia britannica (1975). Colpisce il fatto che quei temi, assai diversi fra loro, compaiano come all’improvviso, quasi per caso negli orizzonti di ricerca di Martini, talora dietro sollecitazioni esterne; e poi vengano meno senza lasciar tracce; e analogamente colpisce il fatto che poco o nulla ritornino i temi che avevano appassionato Martini nella sua stagione romana: il papato, il pensiero politico, i dibattiti dottrinali all’interno del mondo cattolico. Non è dato trovare, segendo la traccia delle pubblicazioni, un tema che coinvolga continuativamente l’interesse dello studioso. Nel 1963-1964 intervennero alcuni nuovi impegni che occuparono fortemente Martini per tutto il periodo successivo. A partire dal 1963 egli subentrò a Gino Luzzatto nella direzione della «Nuova rivista storica»92. Sempre nel 1963 nacque, per suo impulso soprattutto, la Società degli storici italiani, di cui assunse la presidenza; poco dopo fu incaricato con Marino Berengo e Lucio Gambi, della direzione dei lavori per l’Atlante storico italiano. Questi impegni stimolarono, periodicamente, interventi di Martini sulla organizzazione degli studi storici, interventi di analisi storiografica, di riflessioni sul metodo storico, sull’organizzazione degli studi di storia: interventi 87 A.M., busta 7, fascicoli 51-57. 88 «Rivista storica italiana», 68 (1956), pp. 255-281. 89 Note biografiche e critiche su Ambrogio da Paullo,

cronista del primo Cinquecento, «Acme. Annali della Facoltà di Lettere e filosofia dell’Universtà degli Studi di Milano», 10 (1957), pp. 95-125. 90 Siena da Montaperti alla caduta dei nove (1260-1355), «Bullettino senese di storia patria», 68 (1961), pp. 75-128. 91 Nola nel secondo Quattrocento, in Algorismus. Trattato di aritmetica pratica e mercantile del secolo XV, Verona 1972, pp. 333-382. 92 G. Martini, Un programma sempre attuale, «Nuova rivista storica», 48 (1964), pp. 310. Qualche cenno in G. Soldi Rondinini, Giuseppe Martini direttore della “Nuova rivista storica”, in Giuseppe Martini. Documenti e testimonianze cit., pp. XXXIII-XXXVI.


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sollecitati anche dal suo ruolo di Presidente della società degli storici93, e di direttore della «Nuova rivista storica». In essi Martini si rivela assai attento alle novità degli orientamenti storiografici degli stessi anni ’50 e ’60: sottolinea in particolare una tendenza a quella che egli chiama una ‘storia strutturale’94, in cui deplora però la mancanza di «ricerche organiche condotte per lunghi periodi cronologici»95. Della nuova storiografia egli apprezza anche la profonda volontà di rinnovamento rispetto al passato, sottolineando tuttavia il pericolo che «la foga iconoclasta finisca col tagliare, insieme coi rami secchi, anche quelli vivi e vitali» (come il tema dell’impero medievale) ed esprimendo il timore che l’eccessivo specialismo nella ricerca frenasse la concezione e l’elaborazione di opere di ‘storia generale’. Sul piano della ricerca negli ultimi anni si fecero più numerosi i segni di interesse alla storia milanese e lombarda dei secoli centrali e tardi del medioevo, cui furono prevalentemente dedicati i corsi universitari: la lega lombarda, lo spirito cittadino e la storiografia comunale96; e, ancora, la città di Milano – anche nei suoi aspetti materiali e urbanistici – ; i mercanti milanesi e la loro organizzazione; la finanza viscontea97. Erano temi ben lontani ormai da quelli della maturità; e lontani ancor più da quell’Istituto e da quell’ambiente romano da cui Martini aveva preso le mosse.

93 Allorché assunse la direzione della «Nuova rivista storica» Martini scrisse, come si è detto, Un programma sempre attuale (48 [1964], pp. 3-10); in occasione del cinquantenario della rivista il breve saggio Cinquant’anni (51 [1965], pp. 1-14); poi Quando il mestiere dello storico si fa difficile (59 [1975], pp. 206-213), e la Introduzione agli Indici generali del cinquantenario, Roma 1977. Nel volume La storiografia italiana negli ultimi vent’anni. Atti del I Congresso nazionale di scienze storiche organizzato dalla Società degli storici italiani (Perugia, 9-13 ottobre 1967), pubblicato a Milano nel 1970, Martini trattò il tema Basso Medioevo (pp. 79-173); e nel volume degli Atti del II Congresso, Salerno 23-27 aprile 1972, pubblicato col titolo Nuovi metodi della ricerca storica, Milano 1975, il tema Alcuni indirizzi della storiografia medievale, pp. 117-126. Pubblicò inoltre Appunti sul metodo storico, in Storiografia e storia. Studi in onore di Eugenio Duprè Theseider, Roma 1974, pp. 467-494. 94 Sotto questa definizione egli comprende peraltro ricerche di natura diversa: come quelle di Cinzio Violante, Enrico Fiumi, Emilio Cristiani, Angelo Ventura, Giorgio Cracco, Elio Conti. 95 Cfr. Martini, Basso Medioevo cit., pp.101-116: Le nuove indagini strutturali. 96 Lo spirito cittadino e le origini della storiografia comunale lombarda, «Nuova rivista storica», 54 (1970), pp. 1-22; La battaglia di Legnano: la realtà e il mito, «Rendiconti dell’Istituto Lombardo. Accademia di Scienze e Lettere», 110 (1976), pp. 3-21; Feudalesimo e comune: contrapposizione o connessione?, in Aspetti e momenti del rapporto passato-presente nella storia e nella cultura, Milano 1977, pp. 111-125. 97 L’Universitas mercatorum di Milano e i suoi rapporti con il potere politico, in Studi di storia medievale e moderna per Ernesto Sestan, I: Medioevo, Firenze 1980, pp. 219-258.


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1. è utile avviare almeno con qualche primo appunto lo studio di quella che si potrebbe chiamare una “funzione buonaiuti” nella medievistica italiana: si tratta di cogliere nel suo insieme il perimetro d’influenza di una figura che come poche altre ritorna nella storia di due generazioni di medievisti. Sarà necessario distinguere la citazione rituale dall’assimilazione e, per non essere inclusivi ad ogni costo, anche il disinteresse dalla ripulsa vera e propria. dico ripulsa perché Ernesto buonaiuti fu anche, se vogliamo usare il linguaggio che fu suo, un segno di contraddizione. cominciamo così a escludere dal perimetro la zona crociana della nostra medievistica, con l’aiuto dei Pretesti della memoria per un maestro di Gustavo Vinay. In quel doloroso tributo a Giorgio falco, Vinay racconta un episodio torinese dei primi anni trenta. falco, allora nel suo periodo più coerentemente crociano, gli viene incontro in biblioteca con il volto scuro tenendo in mano un libro di buonaiuti (quale, non è detto) che lui, il giovane Vinay, aveva costellato di grevi insulti e punti esclamativi. cito: «falco aveva una avversione viscerale per quel tipo di storiografia, ma l’uomo andava rispettato, non avendolo fatto avevo offeso prima di tutto lui falco e poi me stesso». timida difesa: di buonaiuti so solo quel che leggo, non è colpa mia, cito ancora, «se mi è noioso come un prete e rompiballe come un pastore»1. In quanto a segno di contraddizione non c’è male, tra 1 G. Vinay, Pretesti della memoria per un maestro, Milano-Napoli 1967, pp. 61-62. In ristampa anastatica il libro è uscito a Spoleto nel 1993, con una Premessa alla ristampa di G. Miccoli, pp. V-XI. Nelle note che seguono, vista l’ampia bibliografia esistente su tutti gli studiosi citati, si rimanderà solo ai contributi direttamente connessi con l’argomento trattato.


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contumelie di Vinay e avversione viscerale di falco. Siamo in sintonia con la risaputa ostilità di croce stesso, per non parlare di Gentile, che contro i modernisti raccolse in volume alcuni saggi scritti a partire dal 1903, facendo uscire il libro con opinabile scelta di tempo nel 1909, cioè due anni dopo la loro condanna nell’enciclica Pascendi2. Sull’altro fronte della funzione buonaiuti, quello simpatetico, alcuni alunni della Scuola annessa all’Istituto storico sono invece un punto di osservazione privilegiato, e su di loro mi fermo prima di arrivare a Manselli. Si accennerà appena al caso di Morghen, che è conosciutissimo, se non per ricordare che qualcosa ancora nel rapporto tra lo storico e il sacerdote merita di essere problematizzato, come già si è fatto in un contributo di Paolo Vian3. Nessun dubbio che Morghen appartenne alla koinonía buonaiutiana tra il 1917 e il 1922, ma è appunto della fine del ’22 una lettera di buonaiuti a Jemolo che prende atto con una certa durezza di un sopravvenuto allontanamento dell’allievo4. fu un sostanziale distacco, che non esclude ovviamente il sopravvivere di talune relazioni personali, fino almeno all’articolo morgheniano Rinascita romanica e Rinascimento, uscito nel 1939 nella rivista buonaiutiana «religio», in cui, a parte una cita2 G. Gentile, Il modernismo e i rapporti tra religione e filosofia, bari 1909, poi in una «seconda edizione accresciuta», bari 1921, e infine come vol. 35 delle Opere complete, firenze 1962. Sui saggi di Gentile si veda il giudizio severo di G. Martini, Cattolicesimo e storicismo. Momenti d’una crisi del pensiero religioso moderno, Napoli 1951, p. 335. 3 P. Vian, Raffaello Morghen, Ernesto Buonaiuti e la Chiesa cattolica. Dalle lettere di un prete modernista al concilio ecumenico Vaticano II, in Raffaello Morghen e la storiografia del Novecento, cur. l. Gatto - E. Plebani, roma 2005, pp. 253-284, un saggio importante da cui dipendono le osservazioni che seguono sul rapporto buonaiuti-Morghen. Vi si trova anche la bibliografia completa su Morghen fino al 2003. 4 Lettere di Ernesto Buonaiuti ad Arturo Carlo Jemolo, 1921-1941, cur. c. fantappié, roma 1997, lettera 6, pp. 66-67, da roma, 21 dicembre 1922: «Sì, avrei anch’io parlato... o meglio riparlato volentieri con te di raffaello. dico riparlato: perché ne discutemmo un po’ insieme or è parecchio tempo, in una conversazione che, a dirti schietto il mio sentimento, non fu di completa mia soddisfazione. tu dici che la mia efficacia su di lui non può più essere oggi qual’era, ad esempio, due anni fa. Ne sono molto, ma molto spiacente. Ma non credo, in coscienza, di poter fare a me stesso alcun rimprovero. Io ho creduto di dover fare per raffaello quel che non ho fatto per nessuno di k.[oinonía]. francamente, e sotto ogni punto di vista, non credo di averne ricevuto, in opere e in disposizioni, il contraccambio che mi ripromettevo. Sarebbe troppo lungo e tedioso e sconveniente annoverare qui tutte le ragioni che potrei accampare a dimostrazione della giustezza della mia dimostrazione: fino agli ultimi episodi di questi giorni. Ma io credo, carissimo, di poter dire senza iattanza, che non sono uno spirito esigente e meticoloso, che tiene in mano la bilancia dell’orafo per constatare se quel che dà, gli è reso. Ma pure ci sono rallontanamenti spirituali e rinnegamenti impliciti, di cui sento tutta l’amara gravità. E perché abituato a non attardarmi a


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zione diretta del sacerdote romano, l’architettura interpretativa si fonda sul tema religioso-culturale del regno venturo: latente nell’alto medioevo, il motivo del regno sale alla superficie della cultura religiosa con Gioacchino da fiore e dante e tramonta alla metà del trecento. Soprattutto, con la caduta dell’aspettativa escatologica tramonta il medioevo stesso, perché l’età di mezzo si riassumeva principalmente in essa, «il momento più solenne e l’estremo anelito di un’età, che aveva vissuto intensamente il dramma della sua speranza e venne a mancare quando quella speranza cadde»5. è una tipica prospettiva buonaiutiana, e da allora in avanti il filo si riannoda con la lezione del vecchio maestro nel modo che tutti conoscono, giungendo fino all’omaggio diretto di alcuni titoli: Medioevo cristiano nel 1951, espressione frequente in buonaiuti, e Dante profeta nel 1970, ribadito poi nel volume del 1983 Dante profeta tra la storia e l’eterno, dove si ricalca evidentemente il Dante come profeta del sacerdote romano, che uscì nel 19366. con Morghen siamo a una prima fase di ascolto medievistico di buonaiuti, una fase di studiosi che seguirono le sue lezioni, lo conobbero e lo frequentarono, dividendosi magari, come Morghen, tra don Ernesto e l’influente Pietro fedele. A questa generazione va ascritto anche Eugenio duprè theseider, nato nel 1898, alunno della Scuola dal 1928 al 19347. tanto Sofia boesch quanto Augusto Vasina quanto Alba Maria orselli

contare chi, lungo l’aspra via, ammaliato dalle sirene del successo immediato, si raffredda nel cammino, sento di dover ogni giorno riprendere su altre glebe il mio lavoro di dissodamento, non posso prendere a tu per tu i singoli, per chiedere loro ragione del loro quotidiano operato. del resto, è per tutti meglio che sia così»; cfr. il commento di Vian, Raffaello Morghen, Ernesto Buonaiuti cit., pp. 257-260. Si può anche ricordare che Morghen non è mai citato nel buonaiutiano Pellegrino di Roma. 5 r. Morghen, Rinascita romanica e Rinascimento, [1939], in Morghen, Medioevo cristiano, roma-bari 19654, pp. 299-315: 305 (già in «religio», 15, [1939], pp. 177-194). 6 A puro titolo d’esempio: E. buonaiuti, Il medioevo cristiano, [1922], in buonaiuti, L’anno del risveglio. Scritti giornalistici, Milano 1971, pp. 235-240. In quanto a dante, cfr. E. buonaiuti, Dante come profeta, Modena 1936 e r. Morghen, Dante profeta, [1970], ripubblicato sia in Morghen, Civiltà medioevale al tramonto. Saggi e studi sulla crisi di un’età, roma-bari 1971, pp. 145-163, sia in Morghen, Dante profeta tra la storia e l’eterno, Milano 1983, pp. 139-157. Il confronto è facilitato dalla Bibliografia degli scritti di Ernesto Buonaiuti, cur. M. ravà, firenze 1951 (con aggiunte della stessa curatrice nella «rivista di storia e letteratura religiosa», 6 [1970], pp. 236-239) e dalla Bibliografia degli scritti di Raffaello Morghen, cur. G. braga - A. forni - P. Vian, in Raffaello Morghen e la storiografia del Novecento cit., pp. 407-500 (a p. 407 informazioni sulle bibliografie precedenti). 7 Qui e in seguito le informazioni sugli alunnati provengono dall’elenco in M. ZabbiaA. feniello, Vicende della Scuola nazionale di studi medievali, in Le scritture della storia.


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sono concordi nel vedere in lui l’efficacia della funzione buonaiuti, interessante anche perché attiva nel suo caso su uno studioso di confessione protestante8; anzi, è proprio nel tema della libertà religiosa e della tolleranza verso le minoranze che Vasina individua una delle ragioni dell’ascendente buonaiutiano su duprè9. Sappiamo che tra le carte di duprè è conservata una copia sottolineata e accuratamente schedata del libro di buonaiuti Il cristianesimo nell’Africa romana del 1928, un’«amata monografia» secondo la orselli, che era alla base delle sue lezioni su tertulliano, quando assunse a bologna anche l’insegnamento di letteratura cristiana antica a fianco di quello di Storia medievale10. Ma in ogni caso furono certamente anni di un rapporto intenso se, come sembra (testimone Gina fasoli), ancora a buonaiuti si deve la conoscenza da parte di duprè dell’opera di rudolf otto, Il sacro, che il sacerdote romano tradusse nel 1926, con una versione alquanto libera e non priva di errori, a proposito della quale si è notato che le infedeltà risalgono, oltre che alla fretta, anche a una certa volontà di buonaiuti di sottolineare talune affinità del teologo tedesco con il modernismo11. Per altro verso, il contatto con duprè potrebbe inserirsi anche

Pagine offerte dalla Scuola nazionale di studi medievali a Massimo Miglio, cur. f. delle donne - G. Pesiri, roma 2012, pp. 1-34: 32-34. 8 Si vedano, nel volume La storiografia di Eugenio Duprè Theseider, cur. A Vasina, roma 2002 (Nuovi studi storici, 58), i seguenti saggi: S. boesch Gajano, Profilo di Eugenio Duprè Theseider, pp. 1-24 (pp. 4-5 e nota 8), A. Vasina, Il medioevo nella storiografia di Eugenio Duprè Theseider, pp. 25-42 (pp. 29-31), A.M. orselli, L’immaginario religioso urbico, pp. 291-305 (p. 301). c. Violante, Correlazione, in Federico Chabod e la «nuova storiografia» italiana dal primo al secondo dopoguerra (1919-1950), cur. b. Vigezzi, Milano 1984, p. 76, parla a proposito di duprè di «qualche influsso del modernismo»; cfr. anche f. de Giorgi, Il medioevo dei modernisti. Modelli di comportamento e pedagogia della libertà, brescia 2009, pp. 251-253. 9 Vasina, Il medioevo nella storiografia di Eugenio Duprè Theseider cit., p. 29: «divennero in lui particolarmente operanti le suggestioni derivategli dal magistero romano di Ernesto buonaiuti, fortemente ispirato al principio della libertà religiosa e allo spirito di tolleranza nei confronti del dissenso delle minoranze, di cui il duprè si sentiva parte, ma con animo sereno e poi pure in una conciliante prospettiva ecumenica». 10 le informazioni sono in boesch Gajano, Profilo di Eugenio Duprè Theseider cit., p. 5 nota 8, e in orselli, L’immaginario religioso urbico cit., p. 301. 11 G. fasoli, Eugenio Duprè Theseider. In memoriam, «Atti e memorie della deputazione di storia patria per le province di romagna», n. ser., 27 (1976), pp. 1-20: 5-6: «Non sarà inutile forse, ricordare come nei suoi scritti [...] ritorni più volte e a distanza di anni, la citazione di un’opera di rudolf otto, intitolata Das Heilige, fattagli conoscere da Ernesto buonaiuti, che ne aveva curato la traduzione italiana», indicato già in boesch Gajano, Profilo di Eugenio Duprè Theseider cit., p. 5 nota 8. Il riferimento è a r. otto, Il sacro. L’irrazionale nella idea del divino e la sua relazione al razionale, trad. E. buonaiuti, bologna


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nel contesto dei legami intensi, studiati ora da barbara faes, che buonaiuti intrattenne almeno a partire dagli anni Venti con esponenti e associazioni culturali del protestantesimo italiano12. Sul margine estremo di questa generazione collocherei infine Giuseppe Martini, nato nel 1908 e alunno della Scuola dal 1934 al 1941. Piero Zerbi, che di Martini fu amico per decenni, giudica «fuor di dubbio» che buonaiuti sia stato, con fedele e falco, l’uomo che più profondamente influì sui suoi orientamenti storici13. Piacerebbe saperne di più, ma molto è già consegnato alle pagine di un libro che, a mio modesto giudizio, costituisce il punto più alto dell’attività di Martini, ovvero Cattolicesimo e storicismo, del 1951. Ancora oggi lo studio colpisce non solo per l’eleganza della scrittura e del pensiero ma anzitutto per quel suo onestissimo misurarsi da credente che non getta dubbio alcuno sulla centralità della dimensione storica, con la vicenda degli intellettuali che in Europa dall’inizio dell’ottocento a metà Novecento cercarono di portare nella chiesa una analoga attenzione alla storicità delle forme in cui la rivelazione poteva essere compresa e spiegata. un libro in cui buonaiuti, pur citato più volte, non è attore principale (giganteggiano piuttosto Newman, tyrrell e loisy), ma che non è concepibile se non a partire da una riflessione intensa sulla crisi modernistica e i suoi protagonisti, su un movimento cioè «che, pur tra i suoi errori, era animato da un potente soffio d’idealità, ed avrebbe quindi potuto arricchire la coscienza religiosa pubblica»14. Martini è una sorta di anello di congiunzione, perché dopo di lui le tracce della funzione buonaiuti ci conducono alla generazione dei morgheniani, quella di frugoni e Manselli, che entrano tutti e due nella Scuola nel 1947; e qui il problema starà semmai nel cogliere quanto vi poté essere di personale nel loro avvicinamento intellettuale al sacerdote vitando, scom1926. Sulle caratteristiche della traduzione buonaiutiana cfr. b. faes, Marcella Ravà, Ernesto Buonaiuti e un’inedita revisione de Il Sacro di Rudolf Otto, «Studi e materiali di storia delle religioni», 79 (2013), pp. 215-238. 12 b. faes, Marcella Ravà: storia di una bibliotecaria che incontra Ernesto Buonaiuti e il mondo evangelico, «Archivio italiano per la storia della pietà», 24 (2011), pp. 105-182; faes, Le lettere di Ernesto Buonaiuti a Friedrich Heiler. Firenze, Accademia Toscana di Scienze e Lettere «La Colombaria», Fondo Marcella Ravà-Ernesto Buonaiuti, «Archivio italiano per la storia della pietà», 25 (2012), pp. 203-273. ringrazio barbara faes per alcune indicazioni che mi ha gentilmente fornito sull’argomento. 13 P. Zerbi, Giuseppe Martini, [1980], in Zerbi, «Ecclesia in hoc mundo posita». Studi di storia e di storiografia medioevale, Milano 1993, pp. 645-660: 647-648. Su Martini si veda anche in questo volume la relazione di G. chittolini. 14 Martini, Cattolicesimo e storicismo, p. 335.


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parso nell’anno precedente al loro ingresso nell’Istituto, e quanto fu invece mediazione di Morghen, un Morghen che era da quasi un decennio finalmente pacificato nel suo non facile rapporto con buonaiuti e anzi impegnato in una sua riappropriazione. cercherò di farlo almeno in relazione a Manselli, ma prima qualche parola su frugoni. la domanda che ci guida è già stata posta da clara Gennaro. constatata la presenza di tematiche escatologiche in più di un saggio di frugoni, preso atto della sua edizione dell’Adversus Iudaeos di Gioacchino da fiore nelle “fonti per la storia d’Italia” in proseguimento delle edizioni dell’abate calabrese procurate da buonaiuti negli anni trenta, la studiosa si interrogava proprio sui contorni del rapporto frugoniano con buonaiuti, per concludere che si trattò di un interesse vivo; non senza aggiungere la notizia interessante che proprio frugoni le propose una volta di studiare il Gioacchino buonaiutiano15. d’altra parte, è difficile prendere in mano, per esempio, i Celestiniana di frugoni (1954), senza cogliere una nota di partecipazione profonda, forse qualcosa di autobiografico, come suggerisce Zerbi, nella storia di quel contrasto fra Ecclesia spiritualis ed Ecclesia carnalis16. certo una lettura finalizzata del libro può anche riservare qualche piccolissima sorpresa. In un contesto a dire il vero un po’ estemporaneo, a proposito di Angelo clareno e dell’attesa dell’ora novissima, compare in Celestiniana, quasi come un segnale per un lettore predisposto, il nome del gesuita irlandese George tyrrell, uno dei protagonisti del modernismo europeo. la frase è la seguente: «ché, come dice bene il tyrrell, la disperazione in questa vita è la tessera della nostra speranza in un’altra»17. confesso di aver impiegato un po’ di tempo alla ricerca della citazione, lasciata cadere da frugoni senza alcuna indicazione, prima di rendermi conto che si trovava nel luogo più ovvio, un luogo che conferma appunto il muoversi di alcuni alunni dentro una sensibilità condivisa. la frase di tyrrell è ripresa infatti da 15 c. Gennaro, L’umanità di Arsenio Frugoni. Note e ricordi di un’allieva, in Arsenio Frugoni, cur. f. bolgiani - S. Settis, firenze 2001, pp. 101-110: 105. 16 P. Zerbi, Arsenio Frugoni, [1971], in Zerbi, «Ecclesia in hoc mundo posita» cit., pp. 615-629: 628. 17 A. frugoni, Celestiniana, roma 1954 (Studi storici, 6-7), p. 130; si veda anche la ristampa anastatica, con Introduzione di c. Gennaro, roma 1991 (Nuovi Studi storici, 16). la citazione era già stata notata da G.l. Potestà, Interpretazione storica e sensibilità spirituale, in Arsenio Frugoni cit., pp. 63-68: 65: «Si è lungamente discusso sul peso del modernismo negli orientamenti dei suoi studi [...]. tanti elementi spingono a porlo in un solco modernista ampiamente inteso: proprio in Celestiniana egli cita d’altronde tyrrell, in un contesto alquanto estemporaneo, quasi a voler consegnare al lettore la suggestione di quel nome».


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Cattolicesimo e storicismo di Martini, nel capitolo intitolato Dal newmanismo al modernismo. George Tyrrell18. concludo questi appunti frugoniani anticipando, perchè ci tornerò brevemente alla fine, che esiste anche un documento importante per chiarire la posizione sul modernismo di frugoni e, soprattutto, di Manselli, cioè una relazione preparata insieme dai due studiosi per il XIII congresso internazionale di scienze storiche tenuto a Mosca nell’agosto 1970. letta dal solo Manselli per la scomparsa di frugoni, la relazione, intitolata proprio Il modernismo, circola solamente nella forma di un opuscolo stampato a Mosca e deturpato da una quantità inverosimile di refusi, ed è senz’altro auspicabile una ristampa corretta di questo testo significativo e poco noto19.

2. Veniamo appunto a Manselli e al suo buonaiuti. Il punto di partenza non può essere che il bel contributo Ernesto Buonaiuti e il cristianesimo medioevale, preparato dallo studioso napoletano per il convegno tenuto in questo Istituto nel 1976, a trent’anni dalla morte del sacerdote scomunicato20. Siccome uno degli scopi che mi ripromettevo era quello di leggere, per quanto possibile, un rapporto culturale Manselli-buonaiuti senza ricondurlo in ogni suo aspetto alla lezione morgheniana, la prima cosa che rilevo è una sostanziale autonomia dell’analisi di Manselli rispetto a quella di Morghen. Il gruppo dei saggi morgheniani su buonaiuti, già sottoposti a una fine lettura da Paolo Vian, presenta infatti alcune costanti21: da un lato, un’attenzione non troppo rilevante alla precisa posizione buonaiutiana su singoli problemi storici; dall’altro, invece, l’insistenza forte sul fatto che la grandezza del sacerdote stava in due ispirazioni: sottoporre il fatto cristiano al vaglio del pensiero storico, essere dunque storico; fondare la Martini, Cattolicesimo e storicismo cit., p. 182; cfr. p. 333: Martini citava da G. tyrrell, Il cristianesimo al bivio, trad. it. di P. balducci, roma 1910. 19 A. frugoni-r. Manselli, Il modernismo, Mosca 1970. cfr. Bibliografia degli scritti di Arsenio Frugoni, cur. c. Gennaro, «Annali della Scuola Normale superiore di Pisa. classe di lettere e filosofia», ser. III, 3 (1973), pp. 487-514: 512, numero 171; Bibliografia di Raoul Manselli, cur. E. Pásztor, Spoleto 1994, p. 22, numero 184; Bibliografia di Raoul Manselli, cur. A. cocci, in r. Manselli, Scritti sul medioevo, roma 1994, pp. 483-511: 493, numero 129. Integrazioni e aggiornamenti alle due bibliografie manselliane sono nell’appendice Pubblicazioni di Raoul Manselli assenti nelle sue bibliografie e postume (1985-2004) di A. Marini, Tra didattica e ricerca. Le tesi di argomento francescano assegnate da Raoul Manselli, in “Nisi granum frumenti...”. Raoul Manselli e gli studi francescani, cur. f. Accrocca, roma 2011, pp. 203-219: 218-219. 20 r. Manselli, Ernesto Buonaiuti e il cristianesimo medioevale, in Ernesto Buonaiuti storico del cristianesimo a trent’anni dalla morte, roma 1978 (Studi storici, 106-108), pp. 55-85. 21 Vian, Raffaello Morghen, Ernesto Buonaiuti cit. 18


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prospettiva storica assumendo come inevitabilmente centrale l’esperienza religiosa vissuta, essere dunque credente. In questa assoluta inscindibilità dell’uomo di storia e dell’uomo di fede stava per Morghen il cuore del magistero di buonaiuti, in un’evidente corrispondenza tra l’allievo e il maestro perduto e riconquistato. Questo rovello è stemperato nel saggio di Manselli, non certo perché egli non avverta come almeno in parte anche sua questa problematica, ma perché il buonaiuti di Manselli è acquisito, a distanza di una generazione, con una sensibilità più pacata, come un’eredità ormai stabilizzata22; soprattutto, e qui vengo a un punto su cui ritornerò, è un buonaiuti che Manselli ha già messo a frutto e verificato, o falsificato secondo i casi, in più di vent’anni di ricerche. Non è un caso che il buonaiuti di Morghen sia per lo più quello della Storia del cristianesimo, appunto la sintesi in tre volumi in cui confluiscono molte pagine redatte in decenni di lavoro febbrile, laddove il buonaiuti di Manselli è soprattutto quello di singoli saggi e libri; perché l’urgenza di Morghen correva a un bilancio dell’intera opera sua e del suo ruolo nella cultura del Novecento, e la sintesi si prestava bene a questo intento dalle linee ampie, mentre la prospettiva di Manselli voleva mettere in luce anzitutto i diversi aspetti di uno storico del medioevo e doveva dunque far ruotare intorno al fuoco medievale una serie di contributi settoriali che la sintesi non accoglieva e che andavano invece considerati con attenzione23. Nel contributo su buonaiuti c’è poi una speciale positiva attenzione di Manselli per una raccolta di studi del sacerdote romano, Saggi di storia del cristianesimo, uscita nel 1957 a cura di Ambrogio donini e Mario Niccoli, che è in effetti un’ottima introduzione al buonaiuti storico, muovendosi dai contributi sul cristianesimo primitivo fino ben dentro i secoli XII-XIII con i fondamentali per Manselli (vedremo tra poco) Origini cristiane e un cenno alla differenza tra le generazioni nella percezione di buonaiuti, risolto comunque in una «surprenante convergence de vues», è nel resoconto del convegno romano scritto da Manselli stesso per la «revue d’histoire ecclésiastique», 73 (1978), pp. 258261: 259-260. 23 Va nello stesso senso la seguente osservazione, sorta in margine al piccolo libro buonaiutiano La chiesa romana, Milano 1933: «... questo libretto di estrema lucidità, che, indubbiamente, è fra le sue cose più vive. Va, infatti, tenuto presente che il buonaiuti è soprattutto efficace là dove si sentiva obbligato ad una precisione e concisione le maggiori possibili. Allora veramente il suo sforzo di dire bene, molto e in breve spazio, gli permette di fare dei discorsi estremamente acuti e potentemente sintetici» (Manselli, Ernesto Buonaiuti e il cristianesimo medioevale cit., p. 70). Manselli si riferisce all’edizione del 1933, ma era già disponibile la ristampa (Milano 1971) del libro di buonaiuti, con una Presentazione di l. bedeschi alle pp. 7-43. 22


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movimento francescano (1925), Prolegomeni alla storia di Gioacchino da Fiore (1928), Il misticismo di Gioacchino da Fiore (1929)24. di nuovo, dunque, non può non colpire che in quello stesso volume di atti del convegno romano Morghen ripubblicasse invece un suo articolo in cui si mostrava critico verso l’iniziativa di donini e Niccoli di raccogliere scritti storicoscientifici del maestro, perché, scriveva, «il criterio della scientificità non basta a caratterizzare l’opera storica del buonaiuti»25. Ecco, per ragioni ovvie di distanza dal fuoco divampato per decenni intorno al prete ribelle, e anche forse (ma qui non si può dire di più per non cadere in una presuntuosa indiscrezione) per una diversa intonazione nell’interrogarsi su che cosa possa significare davvero essere insieme storico e credente, per queste ragioni Manselli è lontano da una volontà di custodire e trasmettere una “giusta” immagine di buonaiuti. Ma non è alieno affatto dalla volontà di capire il suo medioevo26. In sintesi estrema, le acquisizioni mi paiono queste: esiste una prima fase di concezione buonaiutiana del medioevo, che è una fase di ricerca sostanzialmente altomedievale che arriva fino alla metà degli anni Venti, definibile, con le parole retrospettive del Pellegrino di Roma, un «attaccamento disperatamente nostalgico alla grande fioritura del medioevo ecclesiastico»27; ma non tutto è positivo, perché nella parte iniziale di questi anni buonaiuti mostra diffidenza verso la cupezza dei più duri filoni ascetici tar-

24 E. buonaiuti, Saggi di storia del cristianesimo, cur. A. donini - M. Niccoli, pref. di l. Salvatorelli, Vicenza 1957, in cui i tre saggi si trovano rispettivamente alle pp. 383-398, 327362, 363-382. 25 r. Morghen, Il modernismo e la storia del cristianesimo di Ernesto Buonaiuti, in Ernesto Buonaiuti storico del cristianesimo cit., pp. 7-22: 21: «I curatori della breve silloge, notoriamente laici, avevano voluto mettere in evidenza la validità scientifica dell’opera di buonaiuti, nel significato che all’aggettivo dava un pensiero moderno, fermo alla concezione della storia come puro accertamento di dati politico-culturali, per difendere almeno una parte dell’opera di buonaiuti anche presso gli storici laici, che ne mettevano in dubbio la validità. Ma il criterio della scientificità non basta a caratterizzare l’opera storica del buonaiuti». corsivo nel testo. Il saggio di Morghen era già stato pubblicato nella rivista «Problemi» nel 1970 e sarà incluso anche in r. Morghen, Per un senso della storia. Storici e storiografia, cur. G. braga - P. Vian, brescia 1983, pp. 90-106 (citaz. a p. 104). 26 la prospettiva manselliana su buonaiuti medievista è sostanzialmente condivisa da A. Zambarbieri, Ernesto Buonaiuti e l’esperienza cristiana nel tempo. Radici e sviluppi di una storiografia, in Storici e religione nel Novecento italiano, cur. d. Menozzi - M. Montacutelli, brescia 2011, pp. 151-192: 173 ss.; di impianto descrittivo il saggio di c. lorusso, Ernesto Buonaiuti storico del medioevo, bari 1984. 27 E. buonaiuti, Pellegrino di Roma. La generazione dell’esodo, bari 19642, p. 121; cfr. Manselli, Ernesto Buonaiuti e il cristianesimo medioevale cit., pp. 56-57.


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doantichi, una diffidenza infine risolta intorno al 1920 nella conferenza su Le grandi crisi del cristianesimo antico. Qui il filone ascetico è pienamente recuperato come deposito vivente e via maestra dell’autenticamente cristiano contro le intellettualizzazioni della paideia ellenistico-romana; l’ascetismo diventa nel pensiero di buonaiuti restituito da Manselli «una delle soluzioni costanti della possibilità di crisi permanente del cristianesimo nel suo inserirsi nella società»28. Siamo ancora in un ambito tardoantico o al più altomedievale. lo scatto verso un francesco d’Assisi e un bassomedioevo precedentemente quasi ignorati è individuato da Manselli con una puntualità che può stupire, ma ha precise ragioni che saranno chiarite più avanti. Nel 1925 buonaiuti pubblica il saggio Origini cristiane e movimento francescano, che si apre con una indicazione di metodo suggerita da un articolo dell’anno prima di Karl ludwig Schmidt (Die Stellung der Evangelien in der allgemeinen Literaturgeschichte), uno dei teorici della Formgeschichte, cioè lo studio sistematico dei lóghia evangelici e della loro tradizione per ricostruire le parole veramente dette da Gesù e trasmesse dalla cerchia di discepoli a lui più vicina. Schmidt proponeva apertamente un parallelo tra la JesusForschung e la Franziskus-Forschung, nel segno dei medesimi problemi sia testuali sia di trasmissione orale delle testimonianze. buonaiuti coglie lo spunto e nel saggio citato inizia una prima ricognizione di fonti francescane, prendendo coscienza dell’esperienza di francesco d’Assisi, nei suoi seguaci più stretti, come di un momento di integrale ritorno alle origini cristiane. un ritorno che significa anche percezione della loro dimensione apocalittica e di attesa del regno imminente: il saggio stringe già, infatti, un nesso tra la Sila e il Subasio, tra Gioacchino da fiore e francesco (rilevo che questo arrivare all’abate calabrese da francesco d’Assisi è ribadito anche nel Pellegrino di Roma)29. A questo punto per Manselli buonaiuti è diventato pienamente se stesso e dal 1926 comincerà, con l’avvio degli scritti su Gioacchino, la sua attività più autentica, dominata dal tema esca28 E. buonaiuti, Le grandi crisi del cristianesimo antico, [1920], in buonaiuti, Saggi sul cristianesimo primitivo, cur. f.A. ferrari, città di castello 1923, pp. 336-356; cfr. Manselli, Ernesto Buonaiuti e il cristianesimo medioevale cit., pp. 65-66, citaz. a p. 66. 29 E. buonaiuti, Origini cristiane e movimento francescano, [1925], in buonaiuti, Saggi di storia del cristianesimo cit., pp. 383-398. Il saggio di Schmidt, citato in modo sommario nell’articolo, è K.l. Schmidt, Die Stellung der Evangelien in der allgemeinen Literaturgeschichte, in Eucharistérion. Studien zur Religion und Literatur des Alten und Neuen Testaments. Hermann Gunkel zum 60. Geburtstage, dem 23. Mai 1922, cur. H. Schmidt, II, Göttingen 1923, pp. 50-134 (Die Franziskuslegende a pp. 106-111); cfr.


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tologico e profetico, «uno dei blocchi più solidi di tutta l’opera medioevalistica del buonaiuti», con risultati «certo, discutibili, ma sempre impressionanti e, talvolta, imponenti»30. Non chiuderò questa analisi senza far notare un ultimo punto caratteristico, là dove lo storico napoletano osserva che la visione buonaiutiana, in quanto radicata nell’esistenza stessa del prete scomunicato, è attenta soprattutto al rapporto tra fedeli e gerarchie, ai dogmi e agli scontri dottrinali e gli fa trascurare un poco le «questioni del mondo popolare, del mondo subalterno», assai vive oggi, cioè nel 197631. Il saggio su buonaiuti è anche una specie di intreccio da dipanare, con fili che si collegano al presente di studioso di Manselli, ma presuppongono il suo passato e fanno vedere qualcosa dei suoi studi a venire. Provo a estrarre tre fili. Il primo è stato appena citato e si può seguire facilmente. Il Manselli che nel 1976 parlando di buonaiuti solleva il tema delle religioni popolari è lo studioso che pochi anni prima, nel 1973, aveva tenuto a Montréal il ciclo di seminari e la conférence Albert-le-Grand sulla Religion populaire au moyen âge, con testo pubblicato in francese nel ’75, e d’altra parte già nel 1972 aveva scritto su Gregorio Magno e i riti pagani dei longobardi e pubblicato le dispense universitarie sui fenomeni di devianza nel medioevo, seguite nel 1974 dall’articolo La religione popolare nel Medio Evo32. In altre parole, aveva inserito apertamente dai primi anni Settanta nel suo lavoro un punto di novità, nutrito di scienze sociali e, diremmo oggi ma lui non amava questa espressione, di antropologia storica, un punto che affrontava secondo una prospettiva indipendente da quella di Morghen le questioni dell’acculturazione cristiana delle masse e di una sempre problematica autonomia creativa del vissuto popolare, in Manselli, Ernesto Buonaiuti e il cristianesimo medioevale cit., pp. 67-68. Per il percorso da francesco d’Assisi a Gioacchino da fiore si veda buonaiuti, Pellegrino di Roma cit., p. 255. Sul francesco di buonaiuti, S. Migliore, Prefazione, in E. buonaiuti, Francesco d’Assisi [1926], Milano 1997, pp. 7-43; sul suo Gioacchino, f. de Giorgi, Millenarismo educatore. Mito gioachimita e pedagogia civile in Italia dal Risorgimento al fascismo, roma 2010, pp. 279-286. 30 Manselli, Ernesto Buonaiuti e il cristianesimo medioevale cit., pp. 73 e 78. 31 Ibid., p. 85. 32 r. Manselli, La religion populaire au Moyen Âge. Problèmes de méthode e d’histoire, Paris-Montréal 1975 (conférence Albert-le-Grand 1973), poi nel testo italiano come Il soprannaturale e la religione popolare nel Medio Evo, roma 1985; Manselli, Gregorio Magno e due riti pagani dei Longobardi, in Studi storici in onore di Ottorino Bertolini, Pisa 1972, pp. 435-440; Manselli, I fenomeni di devianza nel Medio Evo: le devianze nella società ecclesiastica, torino 1972; Manselli, La religione popolare nel Medio Evo: prime considerazioni metodologiche, «Nuova rivista storica», 58 (1974), pp. 29-43.


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materia religiosa, nei confronti di quella acculturazione33. Non sottovaluterei il valore di svolta di questi anni per Manselli, perché credo gli si debba riconoscere un ruolo pionieristico. Era una nuova prospettiva che in qualche misura comportava anche una riconsiderazione di suoi lavori precedenti. Mi sembra significativa la peripezia degli Studi sulle eresie del secolo XII, che escono presso l’Istituto storico in prima edizione nel 1953 con una premessa in cui la parola chiave è «evangelismo» («evangelismo sempre più cosciente e più rigoroso», «eresia di tipo evangelico»); ma la nuova edizione del 1975, molto ampliata e sempre presso l’Istituto, non ripubblica la premessa e ne porta una nuova, in cui la parola chiave diventa “religiosità”, precisata di fatto dal titolo del saggio d’apertura, La religiosità popolare nel Medio Evo: problemi e metodi; e di qui si transita alla terza edizione del 1983, ulteriormente ampliata e presso altro editore, in cui il sommovimento investe direttamente il titolo, che diventa Il secolo XII: religione popolare ed eresia34. riconosciamo dunque che l’osservazione un po’ estemporanea mossa a buonaiuti nel 1976, di non essersi occupato di religioni popolari in tempi in cui davvero pochi se ne occupavano, non contribuisce troppo alla conoscenza di buonaiuti, ma certamente a determinare la gamma dei problemi che impegnavano allora Manselli. Il secondo filo riguarda la Formgeschichte e la questione francescana, ci conduce cioè direttamente al Nos qui cum eo fuimus di Manselli, che esce nel 198035. Ho detto prima che, con una nettezza che ancora sorprende, Manselli individua nel saggio di buonaiuti Origini cristiane e movimento francescano (1925) un tornante fondamentale nel lavoro del sacerdote romano, per due ragioni: il recupero dell’esperienza di francesco nella prospettiva apocalittica del primo cristianesimo, e dunque anche nel riverbero di Gioacchino da fiore; e il recupero, collegato, di una possibilità di lettura delle fonti francescane secondo i criteri diffusi dalla Jesus-Forschung e soprattutto da Karl ludwig Schmidt, con identificazione formale delle 33 Per le letture di Manselli in questi anni è utile M. oldoni, Il magico, il simbolico e l’immaginario nel medioevo di Raoul Manselli, in L’opera storica di Raoul Manselli, cur. b. Vetere, Galatina 1988, pp. 81-99. 34 I cambiamenti tra la prima e la seconda edizione sono stati notati da c. leonardi, In ricordo di Raoul Manselli, in leonardi, Ricordi e incontri con medievisti, cur. G. cremascoli - I deug-Su - o. limone - E. Menestò, Spoleto 1996, pp. 147-159: p. 151, 154. Per la terza edizione cfr. la Prefazione in r. Manselli, Il secolo XII. Religione popolare ed eresia, roma 1983, p. 7: dato l’ulteriore ampliamento con altri tre saggi, «ne viene perciò anche un inevitabile mutamento del titolo che meglio risponda alla realtà che viene mostrata nelle sue diverse sfaccettature in quest’opera». 35 r. Manselli, Nos qui cum eo fuimus. Contributo alla questione francescana, roma 1980.


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pericopi che più ci avvicinano nei vangeli e nelle fonti francescane alla Parola originaria nella forma e nel momento in cui fu detta. Il rilancio in Italia della «assai importante» proposta di Schmidt (leggere i testi francescani con il metodo della Formgeschichte) è sottolineato da Manselli nel saggio del 1976 come un merito grande di buonaiuti e «della sua incredibile capacità di non lasciarsi sfuggire nulla»36. Sappiamo benissimo che quel metodo sorregge tutta l’impostazione del Nos qui cum eo fuimus. Ma mi pare che non si sia notato che nelle pagine del 1980 del suo libro francescano, là dove dichiara i suoi presupposti di metodo, Manselli ricostruisce esattamente lo stesso percorso delineato nel saggio su buonaiuti: articolo fondamentale di Schmidt del 1922, riproposizione in Italia di Schmidt da parte di buonaiuti nel 1925, e infine, ora, rinvio all’articolo stesso di Manselli su buonaiuti per quanto riguarda il suo contributo importante alla questione francescana37. In conclusione, tutti gli elementi disponibili legittimano la convinzione che ci sia un preciso ruolo dell’indicazione fornita da buonaiuti sulla Formgeschichte, Schmidt e le fonti francescane nell’edificio di metodo del Nos qui cum eo fuimus, un’indicazione ovviamente sviluppata poi da Manselli con altre ampie letture nello stesso campo, da dibelius a bultmann38. Infine dipanerò solo qualche tratto brevissimo del terzo filo, quello gioachimita-dantesco, sia perché richiede una competenza che non è la mia, sia perché la bella introduzione di Paolo Vian alla raccolta manselliana Da Gioacchino da Fiore a Cristoforo Colombo ha ricostruito bene la posizione dello storico napoletano su questi argomenti, messa a punto progressivamente in una quantità amplissima di contributi, a partire dalla “Lectura super Apocalipsim” di Pietro di Giovanni Olivi39; sia ancora perché proprio qui entriamo nella zona in cui il percorso individuale di Manselli più si intreccia con la lezione di Morghen, scritta ma certamente anche consegnata a un parlato storiografico di cui è difficile restituire ora Manselli, Ernesto Buonaiuti e il cristianesimo medioevale cit., p. 67. Manselli, Nos qui cum eo fuimus cit., p. 13 e nota 3, in cui la citazione dell’articolo di Schmidt mostra, per via di alcuni dati bibliografici lievemente diversi da quelli qui indicati a nota 29, che Manselli aveva a disposizione un estratto. 38 Ibid., pp. 9-15. In generale si possono vedere E. Pásztor, Raoul Manselli storico del francescanesimo e della «questione francescana», in L’opera storica di Raoul Manselli cit., pp. 63-80 (sulla Formgeschichte pp. 73-75) e f. Accrocca, Raoul Manselli e la questione francescana, in “Nisi granum frumenti...” cit., pp. 71-113 (a pp. 77-81 un paragrafo su L’adozione della Formgeschichte). 39 r. Manselli, La “Lectura super Apocalipsim” di Pietro di Giovanni Olivi. Ricerche sull’escatologismo medioevale, roma 1955 (Studi storici, 19-21). 36 37


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i contorni. Mi limito a due osservazioni. Abbiamo visto che lo scritto su buonaiuti del 1976 riservava una speciale attenzione agli studi del sacerdote romano raccolti nei Saggi di storia del cristianesimo, tra cui i Prolegomeni alla storia di Gioacchino da Fiore (1928) e Il misticismo di Gioacchino da Fiore (1929). Va rilevato che il giudizio del 1976 si colloca su una linea lunga, visto che già nel 1959, a saggi appena ristampati, Manselli li salutava in una sua Rassegna di studi gioachimitici come superiori al libro stesso di buonaiuti su Gioacchino: in essi la sua interpretazione dell’attesa di una chiesa nuova nell’abate calabrese è esposta «con una freschezza, con una varietà di testi e di suggestioni non più raggiunta»40. Si conferma dunque la centralità di questa raccolta buonaiutiana, che contiene anche il saggio più volte citato su Origini cristiane e movimento francescano, nella cultura storica di Manselli. In secondo luogo, per Manselli, buonaiuti può essere criticato (e lui apertamente ne dissentì, per esempio, a proposito dell’interpretazione della terza età), ma mai sottovalutato. Si veda come nel quasi celebre lavoro su Dante e l’«Ecclesia spiritualis», del 1965, lo storico prenda dapprima le distanze dal Dante come profeta di buonaiuti, libro giudicato «vivace, ma in sostanza eccessivo» a proposito del gioachimismo dantesco, al quale si preferisce il più equilibrato contributo di Grundmann41; salvo difendere poche pagine dopo, con una veemenza inconsueta, il libro di buonaiuti (e più in generale la presenza di filoni gioachimitico-spirituali in dante e la sua fisionomia stessa di profeta) dagli attacchi di Michele barbi42. Il che sta a dire che nella complessa geografia medievistica intorno all’attesa della nuova età, nella composizione dell’agenda degli argo-

r. Manselli, Rassegna di studi gioachimitici, [1959], in Manselli, Da Gioacchino da Fiore a Cristoforo Colombo. Studi sul francescanesimo spirituale, sull’ecclesiologia e sull’escatologismo bassomedievali, cur. P. Vian, roma 1997 (Nuovi Studi storici, 36), pp. 19-26: 23: «li addito all’attenzione degli studiosi, perché nel loro insieme mi sembrano anche più efficaci e validi del volume complessivo che lo stesso buonaiuti dedicò appunto a Gioacchino da fiore nel 1930. la interpretazione che egli ne diede, tutta rivolta a porre in luce le esigenze e l’attesa di una nuova chiesa già nell’abate calabrese, è in quegli articoli che la precedettero esposta con una freschezza, con una varietà di testi e di suggestioni non più raggiunta». 41 r. Manselli, Dante e l’«Ecclesia spiritualis», [1965], in Manselli, Da Gioacchino da Fiore a Cristoforo Colombo cit., pp. 55-78: 55 nota 1; H. Grundmann, Dante und Joachim von Fiore, «deutsches dante-Jahrbuch», 14 (1932), pp. 210-256. 42 Manselli, Dante e l’«Ecclesia spiritualis» cit., p. 69 nota 38. da notare che in alcuni appunti autobiografici Manselli ricordò due volte sue simpatie giovanili per il modernismo: «Neo-scolastica tipica. cristianesimo ancora intriso di spirito controriformistico, ma non senza fermenti modernistici. Incontro col modernismo italiano. 16-18 anni»; più avanti: 40


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menti buonaiuti mantiene per Manselli un suo posto importante: magari anche negli aspetti che oggi possono essere giudicati meno aggiornati in materia gioachimitica, come, con le parole di Gian luca Potestà, «i cliché convenzionali del Gioacchino profeta o mistico» oppure (sempre Potestà) «una certa retorica storiografica sulla partizione ternaria»43.

3. concludo con qualche cenno al saggio sul modernismo firmato da frugoni e Manselli e presentato a Mosca da quest’ultimo nel 1970. Per la scarsità della circolazione, solo sotto forma di estratto, e il pessimo stato del testo, non è un saggio troppo noto, anche se è regolarmente registrato nelle bibliografie dei due studiosi e lo si può vedere occasionalmente citato. Si deve soprattutto a Paolo Vian la valorizzazione del contributo, insieme con l’auspicio di una ristampa corretta e il giudizio del tutto condivisibile, per ragioni stilistiche, che la stesura si debba a Manselli44. la relazione si apre con un richiamo alle ricerche sul modernismo che hanno fatto, in questi ultimi anni, «passi da gigante»; e tuttavia, trattandosi di lavori che hanno privilegiato le prosopografie intellettuali e gli avvenimenti sull’arco stretto di alcuni decenni, manca ancora l’inserimento del modernismo in una visione storica di lungo periodo, che è quanto si ripromettono i due autori. Perché il modernismo va considerato come un momento, ben precisato nello spazio e nel tempo, d’un tipico processo storico, più volte già verificatosi nella storia cristiana, il processo cioè d’adattamento della realtà della chiesa, nella sua articolazione di dottrine (teologiche e morali), di liturgia, di norme giuridiche alle circostanze storiche nelle quali essa è venuta a trovarsi e nelle quali è costretta ad esistere in una tensione continua di influenze reciproche attive e passive45.

«la parte “fedeliana” di Morghen mi diceva poco; ma Morghen aveva in sé l’esperienza crociana e l’altra, che mi riconduceva ai miei anni giovanili, quella modernistica, nella personalità di buonaiuti» (E. Pásztor, Una traccia biografica per una bibliografia, in Bibliografia di Raoul Manselli cit., pp. IX-X: XII). Sul punto cfr. anche d. Quaglioni, Manselli, Raoul, in Dizionario bibliografico degli Italiani, 69, roma 2007, pp. 142-144: 142. 43 G.l. Potestà, Prefazione, in H. Grundmann, Studi su Gioacchino da Fiore, Genova 1989, pp. IX e X, e anche XVI; si veda G.l. Potestà, Herbert Grundmann storico di Gioacchino da Fiore, in Grundmann, Gioacchino da Fiore. Vita e opere, cur. Potestà, roma 1997, pp. VII-XXXIII (un paragrafo, pp. XI-XIV, è dedicato a I rapporti con Ernesto Buonaiuti, e si pubblicano in appendice tre lettere di buonaiuti a Grundmann, pp. XXVXXVII). 44 P. Vian, Introduzione, in Manselli, Da Gioacchino da Fiore a Cristoforo Colombo cit., pp. XXII-XXIII nota 45. 45 frugoni-Manselli, Il modernismo cit., p. 1. correggo i refusi in tutte le citazioni.


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Appunto a questo faticoso processo di stimolo, ripulsa e adattamento, colto in una lunga corsa dalle origini cristiane fino alla fine del secolo decimonono è dedicata la parte più cospicua del saggio, che ha lo scopo di collocare la crisi tra otto e Novecento sulla scia lunga di una vicenda storica quasi bimillenaria. A inizio ottocento «la chiesa cattolica raggiunse senza dubbio, se non andiamo errati, il punto culminante del suo isolamento come del suo rifiuto del mondo circostante»46; timidi tentativi di riavvicinamento nel corso del secolo non eliminarono un distacco «preciso e grave» fra la cultura cattolica e quella laica: è nel tentativo di eliminare questo iato che si impegna, in varie e diverse direzioni e su molteplici piani culturali, quel gruppo di uomini che con termine sempre comodo, ma estremamente sbrigativo ed al limite di una ambiguità approssimativa si suole chiamare «modernismo»47.

Il saggio insiste a questo punto sulla diversificazione profonda di quello che si definisce modernismo, categoria che non corrisponde a nessuna impostazione univoca. ciò avvertito, noi precisiamo ora che il modernismo, in quanto tendenza generale in seno alla chiesa cattolica, vada sentito, proprio per e nella sua molteplicità, come il sintomo e l’espressione d’una coscienza della necessità d’un nuovo adattamento in conseguenza d’un vero distacco, profondo ed ormai del tutto consumato, con la società contemporanea48.

Se il modernismo storico è finito per sempre, non è così per i problemi che esso ha posto: i quali hanno generato però la «convinzione» che il distacco tra chiesa e modernità potrà essere ricomposto «non da una vivace pattuglia di punta, per valida e preparata che sia, ma solo da un’opera lenta, cauta e gradatamente progressiva, a cui partecipi, nella forma più larga possibile, la comunità dei fedeli». Il modernismo, inserito nel panorama più ampio della storia del cristianesimo e nei suoi problemi di adattamento alla realtà, «perde, senza dubbio, molto del suo mordente e della sua presenza polemica, ma acquista, proprio per questo, una sua giustificazione e validità, che non si possono facilmente negare o diminuire»49.

46 47 48 49

Ibid., p. 9. Ibid., p. 10. Ibid., p. 11. corsivi nel testo Ibid., p.12.


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dopo la crisi, uno «spaurito silenzio» e un «lento, cauto processo di ricognizione dei rischi e dei danni»; e solo oggi, su basi nuove e diverse, si va cercando il superamento di quella crisi: «ne è stata una prima manifestazione, in seno al cattolicesimo stesso, il concilio Vaticano II»50. I due autori (e la penna di Manselli) profilano così il modernismo storico, quello dei decenni di fuoco, lungo un fondale costituito dall’intera storia della chiesa; assumono cioè uno sguardo prospettico, senza rinunciare a dire che tra le crisi quella fu particolare e acutissima, e ancora in via di elaborazione. Si può concludere che nelle domande sollevate da quella crisi, ognuno con la sua sensibilità e con il filtro di una diversa percezione generazionale, vissero non pochi alunni dell’Istituto.

50

Ibid., p. 13.

Questo saggio rientra nei lavori del PrIN Concetti, pratiche e istituzioni di una disciplina: la medievistica italiana nei secoli XIX e XX (bando 2010-2011), coordinato dal Prof. roberto delle donne (università di Napoli «federico II»), unità di ricerca dell’università di torino. dati i molti studiosi citati, su ognuno dei quali esiste ormai una letteratura, le note rimandano solo ai contributi strettamente connessi con l’argomento qui trattato.


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CINZIO VIOLANTE E LA «SCUOLA STORICA» (1951-1956). APPUNTI E SPUNTI DAL CARTEGGIO*

È noto che Cinzio Violante ha amato essere storico di se stesso; più volte ha proposto, in modo suggestivo, le proprie esperienze di vita e di ricerca riconoscendone la contraddittorietà e individuandone lui stesso il filo rosso e la coerenza in uno straordinario “vitalismo”, dal suo reagire sempre vivo ai contesti molto diversi nei quali si trovò. La sua cifra è quella di un uomo del contropiede, “bastian contrario” per indole e per scelta. Difficile trovare, riguardo a questo atteggiamento complessivo, parole migliori di quelle di Cosimo Fonseca: «indomabile imprevedibilità», «pressante carica di provocazione». Della sua esperienza romana tra il 19511 e il 1956 lo storico pugliese parla con una certa ampiezza; lo fa in particolare nel ben noto dialogo con Fonseca che ha il felice titolo Le contraddizioni della storia2. Insieme con Arrigo Castellani, Violante entrò alla Scuola storica poco più che trentenne, avendo ormai concluso la stesura della Società milanese, che uscì come

* Le ricerche svolte per la stesura di questo saggio rientrano nelle attività del P.R.I.N. La medievistica italiana 1880-1940. Nascita e identità di una disciplina, coordinato dal prof. Roberto Delle Donne dell’Università di Napoli «Federico II» (unità di ricerca dell’Università di Verona). Ringrazio Pino Petralia, Mauro Moretti e Massimo Miglio; e inoltre la dott. Marzia Azzolini, responsabile dell’archivio dell’Istituto storico italiano per il medioevo. 1 Assumo questo termine post quem perché, come si espone qui sotto, egli partecipò al concorso bandito nel settembre di quell’anno per il triennio 1951-1954, e ottenne poi la conferma del “comando” presso la Scuola storica per il triennio successivo (1954-1957); ma il suo servizio a Roma cessò il 10 marzo 1956, per rinunzia a seguito della chiamata come ordinario all’Università Cattolica di Milano. 2 C. Violante, Le contraddizioni della storia. Dialogo con Cosimo Damiano Fonseca, Palermo 2002.


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si sa nel 1953. Vi trovò Frugoni e Manselli; e dallo stesso anno l’Istituto fu frequentato anche dal giovanissimo Arnaldi, allora funzionario all’Archivio di Stato di Roma. La ricostruzione autobiografica di quarant’anni dopo è attenta a sottolineare i diversi aspetti di quella esperienza, che fu un momento importante di sprovincializzazione e di apertura culturale, dopo quello dell’anno napoletano (1948) ricordato anch’esso con vivo entusiasmo. I nodi fondamentali che segnano questo passaggio dell’esperienza intellettuale di Violante sono ben conosciuti3: la dialettica con Morghen e la ricerca sulla Pataria milanese e la riforma ecclesiastica, «libro scritto di getto sotto la suggestione delle idee di Morghen»; la crescente insofferenza per il «cristianesimo “spirituale”», e la crescente attenzione, grazie all’incontro forse un po’ mitizzato con Lemarignier, ad attribuire «in polemica ormai con Morghen e con i miei amici romani … nuovo valore alle istituzioni ecclesiastiche considerandole – sempre più – non come assolutamente contrastanti e incompatibili con la spiritualità, ma anzi come naturale sbocco e realizzazione di esperienze spirituali»4. Così si esprime Violante; ma la sottolineatura prevalente di quelle pagine mi sembra tuttavia quella relativa alla varietà degli incontri, che il giovane studioso ebbe modo di fare nella capitale. Gli ambienti laici, Elena Croce e Craveri, Salvemini, Rosario Romeo, Duby, oltre a Lemarignier…: nel proporre un’immagine di sé Violante insiste, assai più che sulla dialettica interna alla Scuola, su queste varie esperienze (quella «sorprendente pluralità che si respira a Roma», come ebbe a scrivergli molti anni più tardi e in riferimento a una diversa temperie Arnold Esch). In questo breve intervento ho cercato di proporre, relativamente all’esperienza romana di Violante, una sorta di contrappunto rispetto alla ricostruzione vulgata, e alla organizzazione e formalizzazione del proprio vissuto che il grande storico diede di sé: alcune modeste note a margine, insomma, basate (oltre che sulla documentazione dell’archivio dell’Istituto storico italiano per il medioevo, e marginalmente su altri fondi d’archivio) su una prima analisi del materiale epistolare proveniente dall’archivio personale di Violante conservato oggi presso il Dipartimento di «Civiltà e forme del sapere» (già Dipartimento di Storia) dell’Università di Pisa5. 3

Mi limito a ricordare O. Capitani, Introduzione, in Lettere a Raffaello Morghen 19171983, scelte e annotate da G. Braga - A. Forni - P. Vian, Roma 1994, pp. XLII-LIII. 4 Violante, Le contraddizioni della storia cit., pp. 32-38. 5 Si tratta di due scatole (scat. 1-2) che contengono quanto è stato conservato della corrispondenza in arrivo (distinta per anno, dal 1951 al 2001); una terza raccoglie corrispon-


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Oltre alla conferma di ciò che è noto, emerge come si vedrà anche qualche piccolo particolare inedito. Violante arrivò a Roma avendo già “chiuso”, anche se la pubblicazione risale al 1953, la ricerca sulla Società milanese nell’età precomunale; e anzi fu proprio il manoscritto della sua opera prima a costituire il suo principale titolo, in occasione del concorso di ammissione, svoltosi nell’autunno 19516. Come si sa quella monografia portò a maturazione sensibilità e interessi già coltivati da oltre un decennio. All’arcivescovo milanese Ariberto d’Intimiano Violante aveva dedicato il colloquio normalistico di primo anno7; e il suo interesse non era venuto meno negli anni successivi. Infatti nel 1942 un collega normalista, Mario Ceva, scrisse al giovane universitario pugliese – allora allievo ufficiale a Pesaro – commentando le confidenze che egli aveva fatto a Mario Pomilio («pensieri catastrofici», come la prospettiva di «dover fare il professore in un liceuccio di provincia per tanti anni»); e gli preconizzò «farai invece chissà quanti libri di storia e sul comune milanese e su quello romano e su tanti altri»8.

denza varia. Con l’autorizzazione degli eredi di Violante e del Dipartimento «Civiltà e forme del sapere» dell’Università di Pisa, ho iniziato ad analizzare questa documentazione con l’intenzione di raccogliere, prossimamente, un volumetto di Lettere a Cinzio Violante. 6 Il suo primo triennio di comando si concluse dunque nel settembre 1954; come mostra la corrispondenza tra Morghen e il ministro della pubblica istruzione Gaetano Martino, iniziarono tempestivamente le pratiche di rinnovo per quel «giovane di alto valore e meritevole perciò del prolungamento del comando». Il secondo triennio doveva concludersi nel settembre 1957. Cfr. Istituto storico italiano per il medioevo, Fondo istituzionale, Scuola storica, Fascicoli personali, fasc. 23 (corrispondenza di carattere amministrativo tra Violante, Morghen e Manselli). 7 Presentandolo come «un eroe della resistenza cittadina all’imperatore Corrado II» (Violante, Le contraddizioni della storia cit., p. 72; e cfr. la nota seguente). A uno studio dedicato all’arcivescovo milanese (G. Castiglioni, Ariberto d’Intimiano, Brescia 1947) è dedicata la primissima pubblicazione di Violante, una scheda bibliografica uscita sulla «Rivista storica italiana», 61 (1949), pp. 140-141, redatta nell’anno napoletano. 8 Pisa, Università, Dipartimento «Civiltà e forme del sapere», Fondo Violante (d’ora in poi FV), scat. 3, Corrispondenza-Varie, busta «Cartolina postale…». Il secondo accenno si riferisce al fatto che nel febbraio 1941 – dopo quello del marzo 1940 su Ariberto d’Intimiano, sostenne nel febbraio 1941, «secondo il regolamento della Scuola Normale Superiore di Pisa, a cui apparteneva», un secondo «colloquio» col Picotti su «Le origini del Comune di Roma e Arnaldo da Brescia»; e inoltre «partecipò attivamente al mio Seminario di Storia medievale e moderna, leggendo una relazione, in cui discuteva la teoria del Solmi sulle Origini dei Comuni italiani». Così recita una dichiarazione del Picotti (datata 8 ottobre 1947), che è agli atti nella documentazione del concorso 1947-48 per l’ammissione


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La tematica destinata a confluire nella Società milanese fu al centro anche della tesi di laurea di Violante, sostenuta a Catania. Ma un ulteriore impulso esterno a studiare quei problemi Violante lo ebbe verosimilmente anche dall’ “ambiente” (uno straordinario ambiente) nel quale poté proseguire la sua formazione, a Napoli nel 1948. Violante era molto consapevole del condizionamento ambientale, dell’influsso che un contesto può esercitare su un autore giovane: e probabilmente pensa anche a se stesso quando afferma, in un meditato giudizio sull’opera prima di Duby, che è sempre un mistero l’opera prima di uno studioso quando essa si rivela essere un capolavoro assoluto, come nel caso di Duby, di Volpe e di tanti altri. Allora è doveroso, perché umanamente interessante, studiare l’ambiente culturale e scientifico in cui si era formato lo studioso, l’educazione dei sentimenti che egli aveva ricevuta, le idee che erano nell’aria e che erano state da lui assorbite quasi inconsciamente. È interessante anche cogliere nell’opera prima la presenza, più o meno conscia, di idee che si riveleranno pienamente soltanto in opere posteriori, per le quali i critici si affanneranno a ricercare le origini in una lettura, in un influsso culturale o scientifico determinato, o in un’esperienza di vita9.

all’Istituto italiano per gli studi storici (Napoli, Archivio dell’Istituto italiano per gli studi storici, serie Borsisti, busta 1947/1948, fascicolo Violante). Picotti soggiungeva che «vicende penosissime hanno poi allontanato da me il Violante, nel quale io vedevo uno de’ miei discepoli migliori per ingegno, per cultura, per operosità, per attitudini singolari agli studî di storia medioevale. È tuttavia mia convinzione che, ormai chiusa la parentesi dolorosa, egli possa dare frutti eccellenti a vantaggio degli studî storici». Analoga valutazione esprime il Picotti in una lettera a Chabod del 24 ottobre 1947 (conservata ibidem), nella quale ricorda le traversie di guerra e di salute di Violante e ne parla come di un giovane «a mio avviso, eccellente, anche più che non possa parere dalla tesi»; «ha lavorato alla tesi ancora non bene rimesso, senza maestro, o quasi, in luogo, dove difettano i libri. Io lo credo un’ottima promessa per i nostri studi e lo raccomando a te, al Croce e agli altri eventuali giudici caldamente». In effetti, agli inizi del 1948 Croce – in risposta a una maligna lettera di Luigi Russo che ricordava d’avere «un’idea troppo vaga e nebulosa» del giovane studente pugliese, ma soprattutto metteva in guardia l’anziano filosofo «per il contatto coi vostri familiari» dal passato di tubercolotico di Violante – fece presente con dignità «che gli era nota la malattia sofferta [da Violante] e l’interruzione degli studi»; che il giovane gli era stato «raccomandato concordemente dai professori Picotti e Valeri»; e soprattutto che egli aveva «[letto] personalmente la sua tesi e vi [aveva scorto] capacità d’ingegno storico in una materia difficile qual è la storia medievale». Cfr. Luigi Russo-Benedetto Croce. Carteggio 19121948, a cura di E. Cutinelli Rèndina, Pisa 2006 vol. II, pp. 711, 714. 9 FV, scat. 5, Varie, busta intestata «Italia». Nella stessa occasione Violante propone una genesi molto precoce dei suoi interessi per la signoria rurale, forse viziata – nella ricostruzione di parecchi decenni più tardi – da un (involontario?) teleologismo: «Su una simile base cattolica ma con la differenza che io mi ero formato al crocianesimo mentre Georges allo studio della geografia e delle scienze umane, eravamo entrambi affascinati dalla lezio-


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È lecito ipotizzare infatti che sullo sviluppo dell’opera l’impulso di Chabod sia stato forse più diretto di quanto non si creda. Risulta infatti dalle carte dello storico valdostano che egli già nel 1938 o 1939, in vista di uno dei suoi corsi di Storia medievale a Perugia, aveva schedato sistematicamente tutti i negociatores milanesi dell’alto medioevo10. È esattamente l’operazione compiuta da Violante nel suo testo, e la coincidenza mi sembra davvero troppo stringente per non lasciare aperta la possibilità di un suggerimento, in attesa di eventuali ulteriori conferme documentarie: è ragionevole pensare che Chabod abbia arricchito e ampliato i precedenti interessi di Violante. Si accennava al concorso per l’ammissione Scuola storica del novembre 1951. La commissione (composta dal commissario De Sanctis, da Morghen e dal docente di materia affine Angelo Monteverdi, designato da De Sanctis) approvò infatti con qualche riserva la candidatura dello storico della lingua italiana Arrigo Castellani11, mentre si espresse in termini estremamente lusinghieri su Violante, collocandolo al primo posto della

ne di Marc Bloch. Dirò di più: senza sapere che patron della thèse di Duby e qualche anno prima di Dollinger era stato Charles Edmond Perrin, il 1950 i primi libri stranieri che comprai coi miei poveri risparmi furono proprio il libro di Perrin sulle signorie rurali e quello di Dollinger sulle classi rurali in Baviera, e il mio primo scritto fu un saggio a proposito dell’opera di Dollinger». Violante si riferisce qui alla recensione a P.R. Dollinger, L’évolution des classes rurales en Bavière depuis la fin de l’époque carolingienne jusqu’au milieu du XIIIe siècle, Paris 1949, edita col titolo Problemi della società medievale in «Quaderni di cultura e storia sociale», 1 (1952), pp. 141-149, 182-191, ristampata «con notevoli tagli e sfoltimenti e parecchi ritocchi» (cfr. la nota asteriscata iniziale, a p. 45) in C. Violante, Prospettive storiografiche sulla società medievale. Spigolature, Milano 1995, pp. 45-66 (col titolo Per una interpretazione della società medioevale: le classi rurali in Baviera dalla fine del secolo IX alla metà del XIII [1952]). 10 Molto probabilmente in vista del corso del 1940-41 (Trapasso dai comuni alla signoria. Lezioni); cfr. Istituto per la storia moderna e contemporanea (Roma), Archivio Federico Chabod, Serie «Attività didattica e accademica», fasc. 12 (dispense dattiloscritte, recanti il titolo sopra riportato). Ritornerò sugli interessi medievistici di Chabod, rimasti vivi (pur se latenti) anche negli anni Trenta, nella prossima pubblicazione di un suo saggio inedito datato «Aosta, ottobre 1924» dal titolo Note ed appunti per la storia dei comuni e delle signorie nell’alta Italia (Archivio Federico Chabod, fasc. III, 4 - 121), che ho da tempo segnalato. Al riguardo, basti qui rinviare al par. 3 (Gli studi di storia medievale) di G. Arnaldi, Per Federico Chabod, in G. Arnaldi, Conoscenza storica e mestiere di storico, Bologna 2010, pp. 306 ss. (che riprende il saggio edito in Federico Chabod e la «nuova storiografia italiana». 1919-1950, Milano 1984, pp. 21-63. 11 «Manca tuttavia in quanto ci ha dato finora il Castellani la prova di un suo vivo e attivo interesse storico»: Istituto storico italiano per il medioevo, Archivio storico, Fondo istituzionale, Scuola storica, Concorsi, fasc. 6.


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graduatoria in considerazione degli obiettivi della Scuola12. Il giudizio si fondava sulla attenta valutazione della monografia, presentata manoscritta: ne coglieva la «novità» e la problematicità 13, ma anche «qualche volta…una certa tendenza a schematizzare troppi fenomeni sociali e politici del secolo XI secondo atteggiamenti di pensiero moderno»14. È possibile di conseguenza proporre, per gli inizi dell’esperienza romana di Violante, un aggiustamento dell’itinerario di ricerca sinora noto: anticipando l’interesse per la pataria milanese, ponendolo più direttamente in connessione (e in contiguità temporale) con le ricerche per la monografia milanese – e rendendolo così più personale, e meno ‘morgheniano’, meno legato alle sollecitazioni romane. Violante ottenne il comando presso l’Istituto in data 21 marzo 1952, e pochissimi giorni dopo – il 6 aprile dello stesso anno – durante il suo primo soggiorno a Roma firmò una relazione Per l’edizione di Arnolfo milanese nella quale affermava d’essersi già occupato di quella cronaca «per quel che riguarda il periodo aribertiano nel mio lavoro sulla Società Milanese», e soggiungeva me ne sto occupando per il periodo posteriore in un lavoro su La vita religiosa e sociale a Milano al tempo della pataria, che potrebbe servire di preparazione a un’edizione. Mi son reso conto dell’importanza della cronologia degli avvenimenti, specialmente per quello che riguarda i rapporti fra i Patarini e la S. Sede, perché tratta di un problema storico importantissimo, di studiare se il movimento patarino prese per dir così la mano alla S. Sede e questa cercò di legalizzare e di incanalare nella sua linea politica e religiosa un moto al quale non poteva porre freno, oppure se il moto patarino seguì fin da principio le direttive della S. Sede inserendosi nel processo in evoluzione che il costume, il pensiero religioso e il diritto canonico stavano avendo proprio in quel tempo15.

Qualche primo passo, per la pubblicazione di Arnolfo (che era destinata ai Rerum Italicarum Scriptores), Violante lo fece, controllando nel12 «Pieno possesso dei mezzi metodologici necessari per attendere fruttuosamente alla ricerca storica e in particolare ai lavori di erudizione e di edizione di testi che costituiscono il compito specifico dei membri della scuola storica nazionale del medioevo» (ibid.). 13 «Quadro complesso e ricco di sfumature di una società che si viene profondamente trasformando sotto l’influenza delle esigenze politiche, spirituali, economiche dei primi secoli dopo il Mille»; «molte delle pagine del grosso lavoro del Violante, e specialmente quelle che riguardano il formarsi dei ceti mercantili, che ebbero così larga parte nel comune italiano, sono scritte con felice intuito di storico» (ibid.). 14 Relatore ed estensore fu il Monteverdi (ibid.). 15 Istituto storico Italiano per il medioevo, Archivio storico, Fondo istituzionale, Scuola storica, Fascicoli personali, fasc. 23; dattiloscritto di 5 cartelle.


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l’estate 1952 i manoscritti di Modena e di Milano16. Egli aveva preso al riguardo un impegno formale, e ancora nel 1964-65 dichiarò a Morghen la sua «ferma intenzione di riprendere il lavoro per la edizione dei Gesta», impegnandosi a completarla in un triennio e asserendo che il trasferimento a Pisa avrebbe agevolato l’impresa17. Ovviamente da quei propositi non sortì nulla di concreto. Ma qui interessa il fatto che nei primi mesi dell’esperienza romana, le discussioni con Morghen dovettero facilitare il chiarimento e la sedimentazione di interessi già saldamente radicati in Violante nel 1951 e nel 1952. Forse questi interessi erano più maturi e avanzati di quanto la ricostruzione successiva, proposta da Violante stesso nel dialogo con Fonseca e altrove18, lascia intendere, visto che già nell’aprile 1952 si fa cenno esplicito e preciso al titolo di un saggio: che peraltro fu poi «scritto di getto nell’imminenza di un concorso universitario»19. Naturalmente, la diversità di accenti e di interessi tra i due lavori è molto marcata, e diversi osservatori – che erano stati profondamente impressionati dalla Società milanese – sentirono lo scarto piuttosto che la continuità, e ne scrissero privatamente all’autore, una volta uscita la Pataria. Tra costoro per esempio Piero Pieri, che per impulso di Salvemini20 aveva con forza sostenuto Violante al concorso del 195521, rilevò il venir meno nella Pataria di «quel tipo di storiografia storicistica che

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Ibid., lettera a Morghen del 30 agosto 1952 (da S. Vito di Cadore). Istituto storico italiano per il medioevo, Archivio storico, Fondo istituzionale, VIIPubblicazioni (RIS), fasc. 109. 18 In qual misura la ricerca sulla Pataria nasca come prosecuzione della riflessione precedente, e in qual misura invece sia un qualcosa di nuovo, indotto dall’incontro con Borino e dall’ambiente morgheniano, è problema richiamato da Violante stesso nella nota introduttiva alla seconda edizione della Società milanese: cfr. C. Violante, La società milanese nell’età precomunale, Bari 19742, p. XI. 19 Violante, Le contraddizioni della storia cit., pp. 33-34. 20 Che era in contatto con Violante già nel 1953, quando (di sua spontanea iniziativa a quanto s’intende dal tenore della lettera) si era rivolto all’autore per commentare e criticare in due interessanti lettere il volume del 1953; FV, scat. 1, anno 1953. Anche per Volpe non vi sono tracce nell’epistolario di contatti diretti, al di là della lettera di apprezzamento sulla Società milanese (FV, scat. 3, Corrispondenza-Varie, busta «Lettere di Gioacchino Volpe»). Violante intendeva pubblicare questo testo, come scrisse negli anni Novanta: «c’è un lungo passo bellissimo, che pubblicherò, di lode per i giovani della nuova generazione che hanno fatto tesoro di una intensa e varia “esperienza di vita vissuta” cioè – come egli dice – di “realtà”, mentre egli e la sua generazione avevano della vita esperienza solo “cartacea e libresca” e questo si rifletteva nei loro scritti». 21 FV, scat. 1, Corrispondenza per anno, busta 1955: «Ci siamo trovati più che mai concordi nel giudizio scientifico sopra Cinzio Violante».


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risponde alle diverse esigenze dei vari indirizzi considerando politica, economia e vita religiosa come aspetti di un più profondo fenomeno»22. Vi sono poi altri spunti che confermano come gli anni romani furono – nella auto-percezione e nella rielaborazione soggettiva di Violante, non proposta negli scritti autobiografici più impegnativi – anni di maturazione e di elaborazione che si rispecchiarono, oltre che nel volume sulla Pataria, anche nelle pubblicazioni minori e in certo senso d’occasione che punteggiarono quegli anni di fervido impegno. È infatti notevole che nei decenni successivi lo storico pugliese ricordi esplicitamente e ripetutamente, ad alcuni interlocutori importanti, alcuni interventi dei suoi anni romani, come indicatori significativi di una riflessione innovativa ma già inscritta in qualche modo nel suo DNA scientifico. Scrivendo a Giovanni Tabacco nel 1980, a commento di un lavoro che lo storico torinese gli aveva inviato23, Violante afferma io credo di aver dimostrato di saper bene “non confondere gli sviluppi che via via nel medioevo si intrecciano”, come tu giustamente esigi e aborro come te dalla “illusione di possedere la chiave ideologica per aprire i segreti del ‘tutto’ ”; ma non sono peraltro per nulla soddisfatto di una storiografia (e mi riferisco per prima alla mia) che indaga per settori anche se poi coglie gli intrecci o – ed è meglio – riesce a ordinarli intorno a un intreccio che di volta in volta si presenta non come quello determinante, ma come quello più ricco di agganci. Tale soluzione strutturalistica è l’esito inevitabile di una ricerca che tenda a individuare tutti i filoni senza privilegiarne nessuno: è una soluzione alla quale io sono stato sempre (almeno dal 1953: Crisi di strutture….) portato, e a cui mi sono ispirato recentemente studiando il gran libro di Toubert24.

Violante prosegue affermando che «è una soluzione che mi lascia con le mani vuote o che, forse, soltanto nasconde a me stesso quel che non riesco ad afferrare e che sarebbe l’essenziale»; e accenna poi alla sua «incapacità a trovare un “senso” certo provvisorio ma illuminante al Medioevo», eccetera. Ma qui interessa appunto il riferimento un po’ enfatizzato al saggio Crisi di strutture e crisi di coscienze fra il mondo antico e il medioevale,

22 23

Ibid. Il «volumetto Einaudi» al quale egli allude è certamente da identificare in Egemonie sociali e strutture di potere nel medioevo italiano, Torino 1979; nel testo di Violante si fa espresso riferimento al saggio di apertura (Introduzione storiografica, pp. 3-47). 24 FV, scat. 3, Corrispondenza-Varie, cartella «Lettera del professore…»; altra versione in scat. 5 («Cartella contenente minute…»).


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che uscì (in realtà nel 1954 e non 1953) sullo «Spettatore italiano»25. Lo stesso spunto egli riprende scrivendo negli anni Ottanta a Marino Berengo a proposito della «storia degli ambiti», un concetto che in quel torno di tempo propose (in un noto volume collettivo edito dal Mulino sulla storia locale26) come espediente concettuale per arricchire l’alternativa tra storia locale e storia generale (e ne avrebbe scritto nuovamente nel ’91). Anche in quella occasione lo storico pugliese richiamò quanto aveva scritto durante il suo periodo romano, in una rassegna storiografica, dedicata a Stato e nazione di Sestan e a studi di Courcelle e Giunta, che ha come asse portante la «nascita di una realtà strutturale» composita e nuova. Io ho usato questo metodo già nel 1954-1955 nello Spettatore italiano: Crisi di struttura e crisi di coscienza tra mondo antico e mondo medievale. Si esaminava la moltiplicazione degli ambiti come una caratteristica del medioevo rispetto al mondo antico e – anche – nel moderno. Nel medioevo si dissociano, e si differenziano (e per le singole persone si combinano variamente) gli ambiti della vita politica, religiosa, culturale, etnica, giuridica27.

Anche scrivendo a Capitani nel 1980 sostiene che «rileggendo i miei Monetieri e il mio Enrico III vedo che fin dal 1953 avevo interesse per le istituzioni», pur sottolineando la centralità dell’influsso di Gianfranco Miglio28. Violante non era nuovo del resto a proporre spunti importanti di metodo in lavori di carattere minore, quelli che poi raccolse nel 1995 in

25 Ripubblicato in Prospettive storiografiche sulla società (cfr. nota 9), pp. 30 ss. Ivi si ricorda che, nell’occasione della ristampa, «sono stati tolti alcuni passi che contenevano riferimenti di attualità». L’importanza di questo saggio era stata subito colta da Arnaldi: cfr. G. Arnaldi, Europa medievale e medioevo italiano, in Prospettive storiografiche in Italia. Omaggio a Gaetano Salvemini, «Itinerari», 22-24 (1956), pp. 411-440 (ristampato in G. Arnaldi, Conoscenza storica e mestiere di storico, cit., pp. 1-37). 26 La storia locale. Fonti, temi e metodi della ricerca, cur. C. Violante, Bologna 1982. 27 FV, scat. 2, Corrispondenze per anno, busta 1986. L’autore prosegue poi con una lunga analisi sulla complessità e sulla varia articolazione degli ambiti di vita propri dell’uomo medievale, contrapponendola schematicamente alla coerenza delle appartenenze politico, culturale e religioso che caratterizzerebbero non solo l’età antica, ma anche la modernità e soggiunge: «Per questo io credo che il mondo moderno stia finendo e che andiamo verso un’epoca che – strutturalmente – tende a somigliare al mondo medievale». 28 FV, scat. 5, Varie, «Cartella contenente minute…». «Ma rileggendo i miei Monetieri e il mio Enrico III vedo che fin dal 1953 avevo interesse per le istituzioni. Strano che le istituzioni fossero invece quasi estranee all’orizzonte della Società milanese: forse per colpa della forte suggestione delle Annales».


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Prospettive storiografiche della società medievale29. Proprio recensendo la Pataria milanese, Tabacco valorizzò il «rifuggire dalla considerazione di un singolo isolato aspetto del divenire storico» che lo storico pugliese aveva proposto già nel 1952, nella discussione (da lui subito adocchiata, nonostante la sede di pubblicazione davvero marginale) del volume di Dollinger30, e lo stesso discorso vale per questo contributo del 1954. Nell’insieme, è facile constatare comunque che la produzione di Violante negli anni “romani” tra il 1953 e il 1955, se si fa eccezione per la Pataria e per le recensioni a Frugoni, Manselli e Dupré-Theseider31, si mantiene largamente fedele alle tematiche di storia sociale ed economica che da sempre l’avevano interessato: gli studi su Salimbene, su Gerardo Patecchio, il lungo saggio Per la storia economica e sociale di Pisa nel Trecento; le recensioni a Renouard e a Dopsch; nel 1956, nel fascicolo della rivista «Itinerari» dedicato a Gaetano Salvemini, il saggio La società italiana nel basso medioevo32. Del resto, l’ultima pagina dell’Appendice della Società milanese, quelle Note di diplomatica e di storia giuridica che non troppo spesso (anzi quasi mai) vengono ricordate quando ci si occupa della grande monografia, si chiudono – proprio nelle ultime righe – con una “fuga in avanti” verso una tematica trecentesca, quella degli investimenti fondiari dei banchieri, che appare in sintonia con diversi temi dei quali Violante ebbe a occuparsi negli anni romani33. E ancora: nell’aprile del 1955, Rosario Romeo predispone, su richiesta dello storico pugliese, una bibliografia accurata e ampia «per lo studio delle campagne lombarde dopo il periodo da te studiato nel tuo libro» (che è ovviamente la Società milanese, non la Pataria), ma lo scambio è alla pari perché a sua volta Violante spedisce allo storico siciliano un volume sulla «seigneurie rurale» e bibliografia in merito34. Anche Lopez, che nelle Contraddizioni della storia Violante colloca soprattutto sullo scenario delle settimane di Spoleto, è

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Citato sopra, nota 9 e testo corrispondente. La recensione uscì nel «Bollettino storico-bibliografico subalpino», 54/2 (1956), pp. 321-329; vedila in G. Tabacco, Medievistica del Novecento. Recensioni e note di lettura, cur. P. Guglielmotti, I (1951-1980), Firenze 2007, pp. 12-19. www.ebook.retimedievali.it. 31 Nello «Spettatore italiano»; cfr. i rinvii in Bibliografia, a cura di E. Salvatori, in Società, istituzioni, spiritualità. Studi in onore di Cinzio Violante, Spoleto 1994, I, a p. XIII. 32 Per i rinvii a questi testi, cfr. Bibliografia, p. XII. 33 C. Violante, La società milanese nell’età precomunale, Bari 1953, p. 288; cfr. anche p. 278 (con riferimenti agli studi di Sapori). 34 FV, scat. 1, Corrispondenza per anno, busta 1955 (26 aprile, da Napoli). Romeo segnala per lo più gli studi dell’erudizione lombarda otto-novecentesca (Seregni, Molteni,


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presente nel carteggio di questi anni con alcune lettere nelle quali dà suggerimenti importanti, che lasciano intendere un rapporto non formale (del resto dichiarato da Violante stesso): lo invita ad esempio a studiare sistematicamente la storia dell’agricoltura medievale italiana, favorisce un accreditamento presso Postan e il giovane Jones35. Insomma non è infondata l’affermazione di Violante in un celebre scambio epistolare con Morghen del 1970: egli non esita a ribadire il suo orientamento per la «storia familiare e sociale, secondo la mia vera vocazione che, a fatica, riesce tuttavia ad affermarsi di fronte a problemi di storia della spiritualità e delle istituzioni religiose che esercitano anch’essi un grande fascino su di me»36. Dinamica interiore del suo pensiero e reattività agli ambienti lo porteranno poi, in particolare negli anni della Cattolica, per strade diverse. Accanto a queste constatazioni concernenti la ricerca, nell’esperienza romana dello storico pugliese c’è anche un coinvolgimento più diretto ed esplicito nel dibattito politico di attualità, in conseguenza della «attenzione che aveva allora per il cattolicesimo di sinistra, sia politico che religioso» (sono parole sue), mentre sino al 1953, come scrive lui stesso a Capitani nel 1980, «non avevo avuto un rapporto con la cultura e la politica cattolica ed avevo il gusto di essere, come studioso totalmente laico o addirittura laicista»37. I due saggi dal titolo Laici e cattolici e Vergini folli e vergini sapienti pubblicati sullo «Spettatore italiano» nel 195538, meritano infatti un breve discorso a parte perché costituiscono la testimonianza delBeretta) oltre a Bognetti e Barni (e tra gli stranieri, Caro e Peyer); chiede in cambio oltre all’imprecisato lavoro citato nel testo altre indicazioni sulla signoria rurale e sul «libro di Imberciadori sull’origine della mezzadria». A quest’epoca dunque Romeo era già abbastanza avanti nella riflessione che doveva portarlo a pubblicare, nel 1957, il saggio su La signoria dell’abate di Sant’Ambrogio sul comune rurale di Origgio, «Rivista storica italiana», 69 (1957), pp. 340-377, 473-507. Questo saggio fu edito in volume a parte nel 1970 col titolo Il comune rurale di Origgio nel secolo XIII, Assisi 1970, e ripubblicato nuovamente nel 1992, qualche anno dopo la morte dell’autore, con il medesimo titolo (Milano 1992), corredato da una Presentazione di Violante (pp. VII-XXII), a sua volta ristampata «con una piccola aggiunta e pochi ritocchi formali» in Violante, Prospettive storiografiche sulla società (cfr. nota 9), pp. 175-188 (col titolo Castelli e signorie rurali nelle contese tra i ceti cittadini nel Duecento). Ivi (p. 175) Violante ricorda appunto che «negli anni 1955-57» Romeo fu indotto a compiere questa «fortunata incursione in campo medievistico» da Chabod, che ripropose a lui «e ad altri allievi» dell’Istituto Croce i temi abbandonati negli anni Venti, per dedicarsi agli studi sul Machiavelli. 35 FV, scat. 1, Corrispondenza per anno, busta 1955. 36 Lettere a Raffaello Morghen cit., n. 59, p. 94. 37 FV, scat. 5, Varie, «Cartella contenente minute…». 38 Cfr. Bibliografia (cit. sopra, nota 31), p. XIII (nn. 21 e 22).


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l’inserimento del Violante «marxista cattolico» in ambienti non scontati e in un contesto romano al quale egli arrivava col biglietto da visita dell’esperienza napoletana di qualche anno prima all’Istituto Croce, ma sostanzialmente da neofita. Lo sfondo sociale e culturale è appunto quello della citata rivista, promossa da Raimondo Craveri, Leo Valiani ed Elena Croce. Ci scrive anche Frugoni, sullo «Spettatore italiano», ma soltanto per alcune pur significative recensioni di testi storici. Violante invece in questo ambiente incontra anche Franco Rodano e Gabriele De Rosa, introdotti nell’attività della rivista da Raffaele Mattioli. In particolare, l’intervento su Laici e cattolici, fu nell’immediato apprezzato e citato da Pietro Nenni, come ricorda lo stesso Violante, e negli anni immediatamente successivi riesumato e riutilizzato da un «assistente volontario di giurisprudenza della Cattolica (poi passato alla politica)»39. È solo una suggestione, e una giustapposizione, ma forse non è del tutto illegittimo affiancare questo percorso politico di Violante alle esperienze che fece in quegli stessi anni, stando più all’interno del mondo cattolico e della sua tradizione antistatalista, un altro grande studioso che dal 1955 passò non poco tempo in piazza dell’Orologio (e tra l’altro proprio a lui Morghen affidò la redazione dell’indice della Pataria milanese)40. Si tratta del giovane (ventisettenne o poco più) Claudio Leonardi, che a partire dal 1953 e per un paio d’anni ebbe un ruolo molto attivo all’interno del gruppo di Terza generazione, la rivista promossa dopo le elezioni di quell’anno da un gruppo di intellettuali cattolici (Felice Balbo, Gianni Baget-Bozzo, Achille Ardigò, Ubaldo Scassellati, Bartolo Ciccardini)41. Ciò non significa sminuire l’esperienza dell’Istituto. Sono sincere le parole scritte da Violante nel 1959 a Morghen: «l’atmosfera da Lei creata all’Istituto va al di là di una fredda organizzazione burocratica e di una attività esclusivamente scientifica. I valori umani che Ella ha creato e viene creando in una comunità affettuosa di vita e di ricerca restano perenni nel

39 Cfr. Violante, Le contraddizioni della storia cit., p. 47 (si tratta di Ciriaco De Mita, non menzionato esplicitamente). 40 Qualche cenno in C. Leonardi, Storia e utopia in Raffaello Morghen, in Raffaello Morghen e la storiografia del Novecento, Atti del Convegno, Roma, 19-20 giugno 2003, cur. L. Gatto - E. Plebani, Roma 2005, pp. 399-400 e ss. 41 Bastino qui i cenni di F. Santi, Claudio Leonardi storico del Medioevo, in Il senso del medioevo. In memoria di Claudio Leonardi (Rovereto, 14 maggio 2011), cur. di A. Degl’Innocenti - D. Frioli - P. Gatti - F. Rasera, Firenze 2012, p. 17, e la rievocazione del protagonista: C. Leonardi, ‘Terza generazione’: dall’utopia alla profezia, «Renovatio. Rivista di teologia e cultura», 8 (1973), pp. 363-434.


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cuore di tutti coloro che dall’Istituto sono passati e poi si considerano di esso membri attivi e partecipanti, sempre»42. È un aspetto scontato e fin banale, questo del richiamare lo spessore umano di Violante, ma è un fatto che in quel che resta del carteggio Violante questa dimensione e questo apprezzamento circolano in modo percepibilissimo. Ad esempio, nel gennaio del ’56, scrivendogli per commentare l’esito del concorso a cattedra Cantimori esulta non solo «per la vittoria del lavoro critico e moderno e della onestà intellettuale», rievocando i vecchi tempi della Scuola normale «con l’ombra di Picotti che ci assisteva, quando ero studente io e quando lo eri tu, e con tutte le nostre discussioni e lotte», ma anche per il «riconoscimento del tuo valore scientifico [e], permettimi di dirlo, umano»43. Ribadisco, in conclusione, che non è evidentemente mia intenzione ribaltare, con questi modesti appunti, un quadro storiografico consolidato, né negare che il triennio trascorso da Violante presso la Scuola storica dell’Istituto storico italiano per il medioevo sia stato profondamente segnato dai dibattiti e dalle discussioni che si svolgevano nelle stanze di piazza dell’Orologio, e che lo impegnarono in un confronto serrato con Morghen, Frugoni, Manselli. Né va dimenticato che Violante partecipò diligentemente con tre saggi bibliografici, editi puntualmente nel «Bullettino» dell’Istituto degli anni nei quali prestò effettivamente servizio (1953, 1954 e 1955)44, ai lavori preparatori per il «Nuovo Potthast», che allora iniziavano45. Ma è altrettanto indubbio che il triennio romano fu, per il giovane storico pugliese, anche un’occasione per esprimere a tutto campo, il suo vitalismo e la sua energia, nella fedeltà a prospettive di ricerca di storia sociale ed economica, che aveva maturato tra gli anni Quaranta e Cinquanta, e che non avrebbe mai abbandonato. 42 43 44

Lettere a Raffaello Morghen cit., n. 55, p. 88. FV, scat. 1, Corrispondenza per anno, busta 1956. C. Violante, Saggio per una bibliografia delle fonti del Medioevo europeo per gli anni 1950-1951, «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio muratoriano», 65 (1953), pp. 137-160; Note di bibliografia delle fonti del Medioevo europeo per gli anni 1950-1952, ibidem, 66 (1954), pp. 207-226; Note di bibliografia delle fonti del Medioevo europeo per gli anni 1952-1954, ibidem, 67 (1955), pp. 297-310 (e cfr. Bibliografia [cit. sopra, nota 31], pp. XII-XIII, ai nn. 14, 19, 26). 45 Per questa impresa, si cfr. M. Miglio, 1953, 1957, 1962: dal convegno di studi per le fonti del medioevo europeo ai trattati di Roma, all’edizione del primo volume, in Senza confini. Il Repertorium fontium historiae medii aevi 1962-2007. Roma 9 novembre 2007, a cura di I. Lori Sanfilippo, Roma 2008, pp. 15-24, e Lori Sanfilippo, Breve storia del Repertorio, e C. Leonardi, I primi protagonisti, rispettivamente pp. 25-48 e 49-52. Non si cita, in tali saggi, la collaborazione personale degli studiosi appartenenti all’Istituto.


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Appendice Descrizione sommaria delle buste di corrispondenza del Fondo Violante

Il fondo fu depositato dalla famiglia Violante presso il Dipartimento di Storia (questa la denominazione di allora) dell’Università di Pisa, dopo la morte di Cinzio Violante. È attualmente conservato nei locali del Dipartimento «Civiltà e forme del sapere» dell’Università di Pisa (via Pasquale Paoli, 15). Pervenne al Dipartimento già sommariamente riordinato da Maria Luisa Corsi, all’epoca direttore dell’Archivio di Stato di Cremona (e già allieva di Violante all’Università Cattolica), ed è in corso un ulteriore e definitivo riordinamento . In questa sede si dà conto sommariamente della corrispondenza in arrivo, o meglio di quanto ne è sopravvissuto: è ragionevole pensare, ma solo un esame attento del fondo potrà forse permettere di acquisire ulteriori elementi per convalidare l’ipotesi, che Violante stesso abbia proceduto a una selezione o scarto. Tale corrispondenza è contenuta nelle scatole 1-2 e in piccola parte nella scatola 3. Solo in pochissimi casi si conservano abbozzi di risposte di Violante a lettere pervenutegli; in questo breve saggio, se ne sono utilizzate due, indirizzate a Giovanni Tabacco e Ovidio Capitani, conservate nella b. 5, contenente materiale eterogeneo (fasc. «Cartella contenente minute di lettera a Tabacco (28 febbraio 1980) e a Capitani (2 giugno 1980)»). Scat. 1 - Corrispondenza per anno 1951-1981 (1 busta comprende le lettere 1951-1953 [nessuna lettera per il 1952]; per gli anni successivi una busta per anno, di consistenza molto varia [in linea di massima piuttosto esigua sino al 1968 incluso], ad eccezione del 1978 che comprende anche una busta “tematica” «Convegno italo-polacco Pisa novembre 1974; Convegno Varsavia 1978»]. Le lettere sono racchiuse in buste a sacco, in qualche caso riciclate, con indicazione (in penna biro rossa) dell’anno e del numero dei pezzi. Scat. 2 – Corrispondenza per anno 1982-2001 (una busta per anno; consistenza molto variabile, e talvolta esigua, anche per gli anni più recenti). La busta 2001 comprende anche corrispondenza tra C.D. Fonseca e l’editore Sellerio per la pubblicazione di Le contraddizioni della storia, e due lettere (di A. Esch e F. De Giorgi) alla sig.ra Violante.


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Scat. 3 - Corrispondenza-Varie Lettere di Gioacchino Volpe Busta con intestazione «Lettera del professore a Tabacco sul suo fare storia»; «A Duby per Mendola ’86. Dattiloscritto incompleto») Busta con intestazione «Corrispondenza riunita dal professore sotto la voce F.I.S.A» Busta con intestazione «Corrispondenza Commission internationale pour l’histoire des villes. Comitato italiano 1973-1975» Busta con intestazione «Corrispondenza collegata alla ricerca Pirenne 19661986, con lettera del prof. Esch a commento del lavoro. Recensione di A. Verhulst» Cartolina postale di Mario Ceva, 3 febbraio 1942.


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«GLI ANNI FAVOLOSI DELL’ISTITUTO». ELIO CONTI, ALUNNO DELLA SCUOLA STORICA (1958-1963) 1. Salvemini, Morghen e la prospettiva della Scuola Storica Nazionale Ma oltre gli Archivi, c’è forse un’altra possibilità per me. È stato bandito di recente un concorso a sei posti nella “Scuola di studi medievali annessa all’Istituto storico italiano per il medio evo”, cinque dei quali sono riservati a “studiosi che abbiano ufficio di ruolo alle dipendenze dello Stato”. È una specie di borsa di studio, della durata di 3 anni, fino al 1958. I giovani ammessi ricevono uno stipendio eguale a quello di un insegnante di scuola media di prima nomina e sono incaricati, sotto la guida del direttore dell’Istituto (in questo caso il Morghen, prof. di storia med. all’Università di Roma) di un lavoro scientifico, generalmente l’edizione di un qualche testo…: è sottinteso che uno dedica a questo lavoro solo una piccola parte del tempo, perché possa portare a termine gli studi intrapresi. È insomma una specie di asilo d’infanzia per futuri insegnanti universitari: l’aver appartenuto alla scuola facilita poi il concorso a cattedra, per una specie di spirito di corpo che si istituisce fra gli alunni e gli ex-alunni. Anche Spini, per es., ottenne il comando alla Scuola storica (per la storia moderna) durante gli anni nei quali preparava il suo libro sui Libertini. Sarebbe prescritta la residenza a Roma, dal novembre al giugno, ma mi hanno detto che è facile ottenere, come lavoro, un’edizione da preparare a Firenze (di una cronaca fior. per es.).

Elio Conti scriveva queste parole a Gaetano Salvemini il 5 settembre del 19551. Erano quelli, del resto, gli anni del suo impegno titanico sui 1 Carte Conti (in seguito CC), Carteggio, 1955 settembre 5, Elio Conti a Gaetano Salvemini. Esemplare in fotocopia. Ho potuto consultare il carteggio di Elio Conti, conser-


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fondi dell’archivio fiorentino ed erano anche gli anni di un intenso rapporto di stima, di protezione e di sostegno che il grande studioso di Magnati e popolani2 aveva accordato al giovane Elio, allora appena trentenne. Un rapporto che doveva essersi avviato sulla base di una fiducia istintiva nelle doti di quel giovane promettente, di origini popolane, e che doveva essersi poi saldato in una comune consonanza di ideali politici e civili3. Conti si era, infatti, da poco laureato con una tesi su Le origini del socialismo a Firenze (1860-1888), quando Gaetano Salvemini di ritorno dall’esilio americano lo aveva nominato assistente della sua cattedra fiorentina4. Il sodalizio umano e scientifico di Elio Conti con Gaetano Salvemini fu senza dubbio il primo e forse più significativo tassello della sua purtroppo non lunga esperienza di studioso. Quell’incontro sarebbe stato determinante per indirizzarne i gusti e gli interessi di studio, ma per temprarne anche certi aspetti intransigenti, persino irriverenti, di un carattere decisamente laico e ostinatamente libertario5. Un carattere, e lo vedremo, certo non facile, spigoloso, ma anche volitivo fino al calvinismo, esigente fino al risentimento, seppur dal tocco umano inconfondibile – questo almeno nel racconto di chi lo ha avuto per amico e collega e questo pure da quanto si può leggere nelle nitide trame del suo puntuale e fedele carteggio6. vato nella sua abitazione fiorentina, grazie alla disponibilità e alla squisita cortesia della moglie, Anna Luti Conti che qui colgo l’occasione per ringraziare. Il carteggio sarà peraltro presto donato all’Istituto storico italiano per il Medioevo, dove sarà sistemato in un fondo apposito. Voglio, allo stesso modo, esprimere tutta la mia gratitudine a Isa Lori Sanfilippo per l’amicizia e il tocco inconfondibilmente delicato con cui mi ha parlato di Elio e del rapporto di amicizia che li aveva legati. E lo stesso valga per Giovanni Cherubini. A Marzia Azzolini sono debitore di una continua assistenza archivistica sui fondi dell’Istituto: di questo la ringrazio sinceramente. A Massimo Miglio va tutto il resto: un grazie difficile da esprimere per quanto ci ha creduto e per la stima e l’affetto che sento di aver ricevuto. 2 Su Gaetano Salvemini, la sua opera e il clima nel quale si formò e concepì le prime opere, prevalentemente di argomento medievistico, cfr. E. Artifoni, Salvemini e il Medioevo. Storici italiani fra Otto e Novecento, Napoli 1990. Si veda, inoltre, per un quadro biografico di più lungo periodo M.L. Salvadori, Gaetano Salvemini, Torino 1963, pp. 39-42 e più di recente G. Quagliarello, Gaetano Salvemini, Bologna 2007. 3 Cfr. T. Detti, Da rerum scriptor a Gaetano Salvemini: storia del socialismo e storia della società nella formazione di Elio Conti, in La società fiorentina nel basso Medioevo. Per Elio Conti, (Roma-Firenze, 16-18 dicembre 1992), cur. R. Ninci, Roma 1995, pp. 9-27: 2223; G. Pampaloni, Ricordi di deputati. Elio Conti, «Archivio Storico Italiano», 148/2 (1990), pp. 233-248: 234-235; G. Francesconi, Elio Conti e la società fiorentina del Rinascimento: un’incompiuta di successo, Roma 2014, pp. 9-11. 4 Detti, Da rerum scriptor a Gaetano Salvemini cit., pp. 11-13. 5 Pampaloni, Elio Conti cit., pp. 234-235. 6 Tra le pagine più belle e vive che siano state scritte sulla personalità di Elio Conti si devono ricordare quelle di M. Sanfilippo, Ricordo di Elio, in La società fiorentina nel basso


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Elio Conti, in ogni modo, quando si risolse a scrivere, alla fine dell’estate del 1955, la lunga lettera a Salvemini con cui si è aperto, una lettera accorata ma anche oculata, erano ormai cinque anni che lavorava indefessamente nella sala di studio dell’archivio fiorentino, cinque lunghi anni di lavoro che erano stati possibili proprio grazie alla munificenza dello stesso Salvemini, di Bernard Berenson e di una borsa di studio della Fondazione Rockfeller7. Era ben chiaro al giovane studioso che altre risorse fossero necessarie per condurre avanti il suo ambizioso, per molti versi impossibile ma su questo avremo modo di tornare, progetto di dare corpo al vasto affresco di ritrarre la società fiorentina del Quattrocento. Ecco allora che nella trama delle conoscenze e dei legami che Conti aveva saldato proprio nella sala di studio degli Uffizi gli si erano prospettate due possibilità: quella di archivista di Stato, di cui era fresco vincitore con destinazione Milano, e quella di ottenere un comando presso la Scuola nazionale di studi medievali annessa all’Istituto di Piazza dell’Orologio8. Il tenore delle parole con cui Conti chiedeva un parere al vecchio maestro su quelle due possibilità sembra tradire abbastanza chiaramente la preferenza per la seconda di quelle opzioni, la preferenza per quel comando che ancora appariva alla sua mente con contorni non del tutto definiti – «è una specie di borsa di studio» e ancora «è una specie di asilo d’infanzia per futuri insegnanti universitari». Quel che era evidente sin da allora – al di là della minore o maggiore verosimiglianza di quest’ultima affermazione – e che sarebbe stato ancor più chiaro in progressione di tempo era la netta e tenace volontà di Elio Conti di intraprendere la carriera universitaria. Una volontà che si saldava con la sua solida convinzione che solo un posto all’Università gli avrebbe potuto garantire il tempo e la tranquillità necessari per fare ricerca: avrebbe, del resto, scritto nell’allegato di presentazione del suo percorso di studioso alla domanda per il concorso alla Scuola del 20 settembre 1956: dalla primavera del 1950 a quella di quest’anno ho trascorso tutte le mie giornate nella sala di studio dell’Archivio di Stato di Firenze. Persi per la

Medioevo cit., pp. 1-8. I racconti di Isa Lori Sanfilippo e di Giovanni Cherubini hanno contribuito a far rivivere un quadro, venato certo di affetto, ma credo di onesta e lucida verosimiglianza. 7 Pampaloni, Elio Conti cit., p. 236; A. Molho, Società e fisco nell’interpretazione di Elio Conti, in La società fiorentina nel basso Medioevo cit., pp. 41-60: 41-45. 8 Sanfilippo, Ricordo di Elio cit., pp. 4-5.


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prima volta il contatto con le mie carte – sembra uno scherzo – solo il giorno che divenni archivista9.

Per Elio Conti il 1955 sembra, dunque, profilarsi come un anno importante, uno spartiacque significativo fra le certezze e le prospettive. La certezza di voler proseguire a studiare e la prospettiva di dover trovare una sistemazione per poterlo fare con relativa tranquillità. Una sistemazione che neppure il ruolo di archivista sembrava potergli garantire. E si dovrà aggiungere che nel 1955 Conti non aveva ancora scritto una riga di argomento medievistico – i suoi titoli erano la pubblicazione a stampa della tesi sulle origini del socialismo e la traduzione per Einaudi dei tre grossi volumi della Storia delle dottrine economiche di Marx10 – ma doveva già fidare su di un credito importante come studioso. Mario Sanfilippo ha avuto modo di ricordare che nel suo viatico per le ricerche fiorentine11, proprio nel settembre di quell’anno, Federico Chabod gli aveva indicato il nome di Elio, il suo vasto progetto di ricerca e la possibilità di fare sicuro affidamento su quel giovane ricercatore. La fama di Conti aveva evidentemente valicato i confini dell’ambiente fiorentino, di amici come Roberto Abbondanza, Ugo Procacci, Arnaldo D’Addario e Giuseppe Pansini, e attraverso la diretta intercessione epistolare di Gaetano Salvemini era arrivata a Raffaello Morghen. Una fama e un’affidabilità di ricercatore, per quanto ancora giovane, che proprio Raffaello Morghen avrebbe confermato, e in modo convinto, a quello che era stato il maestro più importante e il più solerte sostenitore delle doti di Elio Conti. Scriveva, infatti, Morghen in una bellissima lettera del 9 novembre 1956 a Gaetano Salvemini un giudizio assai lusinghiero del giovane studioso fiorentino. Una lettera che era anche una prova di audace eloquenza per comprendere il senso del rispetto e di valori accademici oggi forse in parte smarriti:

9 Istituto storico italiano per il Medioevo, Archivio storico, Fondo istituzionale, Scuola storica, fascicoli personali, fasc. 49, Allegato alla domanda di partecipazione al concorso presso la Scuola storica nazionale per il posto riservato ai funzionari di ruolo del gruppo A delle Biblioteche governative e degli Archivi di Stato, Notizie sulla operosità scientifica e sulla carriera didattica e amministrativa del candidato Elio Conti. 10 E. Conti, Le origini del socialismo a Firenze (1860-1880), Roma 1950; K. Marx, Storia delle teorie economiche, I, La teoria del plusvalore da William Petty a Adam Smith, Torino 1954; II, David Ricardo, Torino 1955; III, Da Ricardo all’economia volgare, Torino 1958. Cfr. anche Detti, Da rerum scriptor a Gaetano Salvemini cit., p. 16. 11 Sanfilippo, Ricordo di Elio cit., p. 1.


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Condivido completamente il Suo giudizio su Elio Conti. Egli è stato 6 mesi come alunno della Scuola Storica Nazionale per il Medioevo e nelle lunghe discussioni avute con me e i colleghi della Scuola, ho potuto rendermi conto della sua preparazione, delle sue attitudini e dell’importanza delle ricerche che va compiendo sulla Firenze quattrocentesca12.

La lettera di Morghen ci proietta in un salto cronologico e di contesto che non vuole essere un facile traghettamento verso i lidi romani, ma piuttosto il suo contrario e cioè la testimonianza del macchinoso e complesso costeggiamento della Scuola Storica Nazionale da parte di Elio Conti. L’arrivo di Elio nelle sale di Piazza dell’Orologio non fu per nulla facile e immediato: e questo è un altro tratto ricorrente della sua vita di studioso e non soltanto di studioso. 2. Da Firenze a Roma, via Lucca. L’arrivo alla Scuola Storica

Il 26 settembre del 1955 Elio Conti aveva poi inviato, dopo una serie di consigli e di sollecitazioni di Salvemini, la domanda per un posto come libero studioso alla Scuola; si prevedeva allora la possibilità di accesso anche alla «categoria degli studiosi che non hanno ufficio di ruolo alle dipendenze dello Stato»13. Il 22 dicembre successivo riceveva la comunicazione dell’avvenuta ammissione: era risultato, infatti, vincitore con Francesca Ambrogi, Andrea Carboni e Ovidio Capitani14; pochi giorni dopo, il giorno di Santo Stefano, Conti scriveva la sua prima lettera a Morghen, una lettera di ringraziamento per un esito che lo onorava15. Il 28 febbraio 1956 Elio Conti partecipava alla sua prima riunione della Scuola storica16. Era quello però solo il primo passaggio di Conti all’Istituto ed erano anche i primi contatti che prendeva con l’ambiente romano. Un CC, 1956 novembre 9, Raffaello Morghen a Gaetano Salvemini. Istituto storico italiano per il Medioevo, Archivio storico, Fondo istituzionale, Scuola storica, fascicoli personali, fasc. 49, Domanda di ammissione per sei posti presso la Scuola storica nazionale di studi medioevali annessa all’Istituto storico italiano per il Medio evo, di cui uno riservato a studiosi che non abbiano ufficio di ruolo alle dipendenze dello Stato, 1955 settembre 26. 14 Verbali del concorso per sei posti presso la Scuola nazionale di studi medievali annessa all’Istituto storico italiano per il Medioevo, 1955 dicembre 19. La commissione era composta da Raffaello Morghen, Franco Bartoloni ed Eugenio Dupré Theseider. 15 CC, 1955 dicembre 26, Elio Conti a Raffaello Morghen. 16 CC, 1956 febbraio 28, Elio Conti a Raffaello Morghen. 12 13


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ambiente che ben presto ne avrebbe apprezzato le qualità di studioso e di amico, insieme a certe ritrosie caratteriali. E non si dovrà dimenticare il ruolo che certamente avevano avuto Isa e Mario Sanfilippo, conosciuti proprio in quei mesi nelle sale dell’archivio fiorentino, prima nel convincere Elio che l’Istituto era italiano e non romano e che dunque un suo arrivo non sarebbe stato male accolto e quindi ad inserirlo nel gruppo che frequentava Palazzo Borromini17. La vittoria però del posto di ruolo da archivista, l’assunzione alle dipendenze del Ministero dell’Interno, avrebbe di lì a poco mutato completamente il quadro e le prospettive. E lo avrebbe mutato in termini drammatici, o almeno vissuti drammaticamente da Elio. Nonostante un periodo di aspettativa che consentì a Conti di non prendere servizio nella prima sede di destinazione a Milano, nel maggio del 1956 dovette tuttavia iniziare il suo lavoro presso l’Archivio di Stato di Lucca18. L’impossibilità di studiare le sue carte, come avrebbe scritto nel già citato allegato, e i difficilissimi rapporti con l’allora Direttore dell’Archivio aprirono uno dei periodi più bui della sua vita professionale. Soltanto la prospettiva di una vittoria del concorso che l’Istituto avrebbe bandito il 30 giugno 1956 fu per Conti19, a quel punto archivista delle Amministrazioni Centrali dello Stato, l’unico vero ancoraggio. Le angosce di quei mesi, il desiderio di poter tornare di nuovo a Roma, vissuto addirittura come l’unica possibilità di non mettere a rischio una salute già abbastanza malferma, scorrono nell’intenso carteggio che proprio a partire da quei giorni difficili avrebbe scambiato con Raoul Manselli, allora Segretario dell’Istituto. Lo stato d’animo di Conti in quel difficile passaggio, le ansie e le speranze riposte nella possibilità di una vittoria del concorso all’Istituto sono rivelatrici di una tenacia e di una volontà ferree. E ci dicono anche con una qualche certezza che il suo obiettivo era chiaro: non intendeva fare l’archivista, ma proseguire nel suo percorso di studio. Alla fine di agosto del 195620, mentre si infittivano ad un ritmo crescente le missive con Manselli21, Conti scrisse una lettera dal tono franco e diretto, al maestro e 17 Sanfilippo, Ricordo di Elio cit. Sono stati utilissimi poi i racconti che di quei giorni mi ha fatto Isa Lori Sanfilippo. 18 Ivi, p. 4. 19 Istituto storico italiano per il Medioevo, Archivio storico, Fondo istituzionale, Scuola storica, Concorsi, fasc. 15, Bando di concorso a tre posti presso la Scuola storica nazionale di studi medievali triennio 1956-1959, 1956 giugno 30. 20 CC, 1956 agosto 28, Elio Conti a Gaetano Salvemini. 21 Meritano una menzione almeno: CC, 1956 luglio 30, Raoul Manselli a Elio Conti; ivi, 1956 ottobre 11, Raoul Manselli a Elio Conti; Istituto storico italiano per il Medioevo,


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consigliere di sempre, Gaetano Salvemini. Una lettera che non lascia adito a molti dubbi sulle intenzioni del giovane studioso e persino sulla concretezza con la quale delineava le strategie e gli spesso delicati equilibri del mondo accademico. Conviene leggerla nella sua interezza: Carissimo Prof., Sono tornato all’Archivio di Lucca, avevo chiesto un altro periodo di aspettativa, ma non mi è stato concesso. Ho ripreso servizio perché in settembre ci sarà un concorso (per titoli) per 2 posti presso la “Scuola storica” dell’Istituto per il Medio Evo, di cui è direttore R. Morghen. Come forse si ricorderà, l’anno scorso concorsi e fui ammesso alla scuola come “libero studioso”, cioè senza alcun stipendio. Ora invece si tratterebbe di un comando di tre anni, raddoppiabili, presso l’Istituto (che mi incaricherebbe di terminare il mio lavoro sul ’400) col diritto allo stipendio di cui godrei restando all’Archivio. Sarebbe una cosa splendida, se riuscisse. Ma ci sono molte difficoltà. In primo luogo i due posti sono 1 per archivisti e bibliotecari e l’altro per funzionari delle amministrazioni centrali dello Stato, cioè per impiegati ai vari Ministeri. Il posto riservato agli archivisti è già stato promesso da Morghen all’Arnaldi, che si occupa di alto Medioevo. Il secondo posto, quello per impiegati nei Ministeri, non è mai stato utilizzato, evidentemente perché nella polizia ecc. nessuno si occupa di studi storici perciò il Morghen, sia per utilizzare quel posto sia per aiutare me, sta cercando, o sembra che ci sia riuscito, se la burocrazia non solleverà altre difficoltà all’ultimo momento, di rendere accessibile agli archivisti anche quel posto. In questo caso avrei qualche probabilità di avere il comando, riuscendo però a vincere il concorso. Nella commissione ci sarà Morghen che, per quanto posso giudicare, ha tutto l’interesse di aiutarmi, e altri due professori di cui non si sa il nome. Come vede la cosa è molto incerta, ma valeva la pena di tentare. Per me si tratta di perdere un paio di mesi qui a Lucca, infatti in ottobre, se mi faranno sapere che non c’è niente da fare, me ne tornerò a casa dando le dimissioni.

Le idee erano molto chiare e la risoluzione che Conti avrebbe preso drastica, sarebbe stato addirittura disposto a perdere un lavoro di ruolo da archivista dello Stato. Gaetano Salvemini di fronte a tanta ostinata determinazione dovette risolversi a caldeggiare ancora una volta il nome di Conti a Morghen. Lo si evince da una successiva lettera del 29 ottobre – la Archivio storico, Fondo istituzionale, Scuola storica, fascicoli personali, fasc. 49, 1956 ottobre 15, Elio Conti a Raoul Manselli.


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costanza è rivelata e premiata proprio dalla densità della scrittura epistolare – con la quale Conti cercava di ricordare al vecchio Maestro la sua situazione e al tempo stesso si lasciava andare ad uno sfogo accorato sulle angherie cui il dirigente lucchese a suo dire lo sottoponeva: Carissimo Prof. è strano che Morghen non le abbia ancora risposto. Probabilmente non ha ricevuto la lettera, come Lei dubita. So che Morghen farà di tutto per cavarmi da Lucca: me lo ha ripetuto più volte, e lo ha detto ad amici comuni. Ma ormai la speranza che la cosa vada in porto è diventata molto tenue. Negli Archivi, dopo che ho presentato la domanda e i documenti per il concorso, si fa di tutto per rendermi la vita impossibile e cacciarmi 22 fuori .

Quella tenue speranza di cui Conti scriveva a Salvemini sarebbe stata alimentata da altre lettere al Maestro – si potrebbe ricordarne una molto bella del 12 novembre ‘5623 –, da alcuni sondaggi esplorativi che aveva chiesto all’amico Marino Berengo24, conosciuto proprio nelle stanze dell’archivio lucchese e che tornerà spesso nei momenti decisivi della vita di Conti, ma soprattutto quella speranza sarebbe stata alimentata dalla convinzione di Morghen e di Manselli di riportare il giovane fiorentino all’Istituto. E così, come risulta dai verbali della commissione esaminatrice composta da Raffaello Morghen, Ernesto Pontieri e Ottorino Bertolini, ai primi di gennaio del 1957 Elio Conti era risultato vincitore del concorso di accesso alla Scuola Storica Nazionale insieme a Girolamo Arnaldi per il canale degli Archivi e a Giovanni Zippel per quello dei professori25. In quella tornata era riuscito idoneo anche Ildebrando Imberciadori, i cui studi sulla mezzadria toscana sarebbero rimasti un punto fermo per più di una stagione storiografica. L’arrivo di Conti all’Istituto non sarebbe stato però automatico: mentre, infatti, Girolamo Arnaldi prendeva regolarmente servizio a partire dal

CC, 1956 ottobre 29, Elio Conti a Gaetano Salvemini. Ivi, 1956 novembre 12, Elio Conti a Gaetano Salvemini. Ivi, 1956 febbraio 24, Elio Conti a Marino Berengo; ivi, 1956 novembre 18, Marino Berengo a Elio Conti. 25 Istituto storico italiano per il Medioevo, Archivio storico, Fondo istituzionale, Scuola storica, Concorsi, fasc. 15. Verbali delle sedute della commissione giudicatrice per il concorso a tre posti presso la Scuola storica nazionale di studi medioevali annessa all’Istituto storico italiano per il Medioevo, 1957 gennaio 3-4. 22 23 24


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15 marzo del 195726, per Conti la situazione si sarebbe ingarbugliata27. La Giunta centrale per gli Archivi, complici effettivamente alcuni rapporti disciplinari che erano arrivati da Lucca, non accordò il comando con la giustificazione che Conti stava ancora svolgendo il suo periodo di prova. Il 1957 sarebbe stato un anno difficile e complesso per Conti, ma anche il periodo in cui, nelle difficoltà di sbrogliare la matassa degli impedimenti ministeriali, avrebbe saldato un rapporto di affetto, di amicizia e di fraternità con Raoul Manselli. Un rapporto verrebbe quasi da dire che poté saldarsi per scritto e nell’avversità. Le lettere di Elio a Raoul di questo periodo e quelle di Raoul a Elio sono fra le più belle e intense dell’intero carteggio e sono anche quelle che rivelano a fronte della disperazione e dell’avvilimento dell’uno – su tutte quelle del 13 luglio e del 26 settembre ’5728 –, la misura, il garbo e la saggezza dell’altro. Mi limito a ricordare quella del 10 settembre in cui Manselli scriveva a caldo, a pochi giorni dalla morte di Salvemini: Carissimo, [...] Ti penso addolorato per la morte di Salvemini: per me, che ho di te qualche anno in più, è come se si fosse spento un faro, un sicuro punto di riferimento. Lui, anche quando non eri d’accordo, il suo punto di vista era sempre qualcosa che ti risolveva l’orizzonte, che ti additava una via. Siamo diventanti più soli e, per la sua sola scomparsa, è aumentato il potere del male attorno a noi. Ma scusami questo rimpianto e credimi Tuo affezionato Raoul Manselli29.

Ma assai più frequenti e credo, anche più efficaci sull’animo provato di Conti in quel periodo, dovettero essere quelle che lo invitavano alla calma, al ragionamento, a non perdere la fiducia per tutto il lavoro che si stava facendo affinché i funzionari del Ministero chiarissero la faccenda e desse26 Istituto storico italiano per il Medioevo, Archivio storico, Fondo istituzionale, Scuola storica, fascicoli personali, fasc. 49, 1957 marzo 11, Elio Conti a Raoul Manselli. Cfr. Appendice, n. 3. 27 Appena ricevuto l’esito della vittoria del posto alla Scuola Storica e dell’approvazione da parte del Ministero della Pubblica Istruzione, Elio Conti scrisse il 21 gennaio del 1957, la comunicazione di Manselli era del 18 precedente (ivi, 1957 gennaio 18, Raoul Manselli a Elio Conti), a Raffaello Morghen e Raoul Manselli due lettere di ringraziamento (ivi, 1957 gennaio 21 Elio Conti a Raffaello Morghen; ivi, 1957 gennaio 21, Elio Conti a Raoul Manselli). 28 Ivi, 1957 luglio 13, Elio Conti a Raoul Manselli; ivi, 1957 settembre 26, Elio Conti a Raoul Manselli. Cfr. Appendice, nn. 4, 6. 29 CC, 1957 settembre 10, Raoul Manselli a Elio Conti. Cfr. Appendice, n. 5.


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ro il via libero al comando. Effettivamente in quei mesi Raoul Manselli e Raffaello Morghen fecero proprio di tutto per ottenere il distacco per Conti. E il via libero sarebbe finalmente giunto il 17 gennaio 1958. Alle ore 16, lo stesso Manselli provvedeva a inviare un telegramma con la notizia: Incarico, Presidente giubilante, comunicoti Giunta approvato tuo comando presso Istituto, Manselli30.

La risposta di Conti fu immediata e in quello stesso 17 gennaio scriveva a Manselli poche, ma eloquenti e, forse per la prima volta, felici parole: Carissimo, ti ringrazio della bella notizia, che mi ha reso molto felice. Mi sembra quasi impossibile che tutti i guai siano terminati! Spero di poterti riabbracciare presto. Lascia intanto che ti esprima tutta la mia riconoscenza per la paziente, fraterna amicizia con la quale mi hai sostenuto e incoraggiato in questi mesi31.

Di lì a poco, il 1 febbraio 1958, avrebbe avuto inizio l’alunnato romano di Elio Conti. 3. Elio Conti all’Istituto. La discontinuità di una presenza–assenza

Al suo secondo arrivo nelle sale dell’Istituto, anche quello più vero e strutturato, Conti avrebbe trovato un gruppetto di alunni e di colleghi della Scuola di prim’ordine: ai più anziani, almeno per cronologia interna, Nicola Cilento e Paolo Lamma, si aggiungevano Girolamo Arnaldi e Giovanni Zippel, poi sostituito da Mario Grignaschi32. Più avanti, nel 1960, sarebbe arrivato con il concorso successivo anche Ottavio Banti. Con Cinzio Violante si erano invece appena incrociati, in occasione della sua prima fugace apparizione come libero studioso33. CC, 1958 gennaio 17, Telegramma a Elio Conti. Istituto storico italiano per il Medioevo, Archivio storico, Fondo istituzionale, Scuola storica, fascicoli personali, fasc. 49, 1958 gennaio 17, Elio Conti a Raoul Manselli. Cfr. Appendice, n. 7. 32 Cfr. l’elenco alfabetico degli alunni della Scuola storica nazionale edito in appendice al saggio di M. Zabbia - A. Feniello, Vicende della Scuola nazionale di Studi medievali, in Le scritture della storia. Pagine offerte dalla Scuola nazionale di studi medievali a Massimo Miglio, cur. F. Delle Donne - G. Pesiri, Roma 2012, pp. 1-34: 33-34. 33 Ivi. 30 31


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Raffaello Morghen, che della Scuola era direttore, poteva fidare, com’è evidente, sullo scorcio degli anni ’50 e dei primi ’60, su di un drappello di giovani studiosi che dovevano rendere il tavolo attorno al quale si tenevano le periodiche riunioni della Scuola un luogo di discussione, di confronto e persino di sperimentazione storiografica dalle grandi prospettive34. Il tempo trascorso e il cammino storiografico compiuto da ciascuno di quei giovani lo avrebbero ampiamente dimostrato e ribadirlo qui può sembrare un esercizio persino inutile. Quel che invece mi sembra meritevole di una notazione specifica è la sostanziale distanza tematica e cronologica delle ricerche che conduceva Elio Conti rispetto ad una linea, se non comune, almeno riferibile ad un alveo di interessi morgheniani e comunque accostabili ad una certa tradizione dell’Istituto35. L’attenzione per l’alto Medioevo o per i secoli centrali ben vivo in Arnaldi, Cilento e Lamma, lo studio delle fonti cronistiche, così come delle tematiche di storia religiosa o di storia istituzionale ecclesiastica erano del tutto assenti nel progetto di ricerca di Conti36. Perché nel suo caso, è bene ribadirlo, non fu chiesto di predisporre nessuna edizione critica, secondo una tradizione diffusa all’interno della Scuola storica, ma gli fu consentito di poter continuare a lavorare al suo immane progetto di ricostruire i fondamenti della società fiorentina quattrocentesca. Verrebbe da dire che tema più distante dal Medioevo Cristiano di Morghen o anche dalle ricerche che Manselli andava conducendo sulle eresie, sui movimenti eterodossi e, proprio in quegli anni, sugli Spirituali e beghini in Provenza, non si potesse immaginare37. Che era poi una distanza non solo di temi, ma anche di metodi: lo studio sistematico delle fonti fiscali, dei catasti, delle provvisioni, delle filze e dei registri della Mercanzia e delle Arti fiorentine che Conti con scrupolo certosino andava accumuIvi, pp. 14-18. Cfr., a questo proposito, l’analisi lucida e anche coinvolta di O. Capitani, Dove va la storiografia medievale italiana?, in Capitani, Medioevo passato prossimo. Appunti storiografici: tra due guerre e molte crisi, Bologna 1979, pp. 211-269: 241-244. 36 Ivi, pp. 250-257. 37 Ivi, R. Morghen, Medioevo cristiano, Roma-Bari 1991; R. Manselli, Spirituali e Beghini in Provenza, Roma 1959. Cfr. inoltre il volume Raffaello Morghen e la storiografia del Novecento. Atti del Convegno (Roma,19-20 giugno 2003), cur. L. Gatto - E. Plebani, Roma 2005, nello specifico gli interventi di Girolamo Arnaldi, di Massimo Miglio e di Paolo Delogu; M. Miglio, Raffaello Morghen, in Miglio, Istituto storico italiano. 130 anni di storie, cur. F. Delle Donne - G. Francesconi, Roma 2013, pp. 95-106; D. Quaglioni, Introduzione, in Temi e immagini del Medioevo. Alla memoria di Raoul Manselli da un gruppo di allievi, cur. E. Pásztor, Roma 1996, pp. 11-24. 34 35


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lando era certo estraneo ai colleghi e ai maestri con cui periodicamente si trovava a discutere a Piazza dell’Orologio38. Pare difficile trovare una spiegazione dell’insistenza con cui Conti fu voluto e poi fu accolto: se volessimo tentare una qualche ipotesi potremmo dire che Morghen e Manselli dovevano essere rimasti colpiti dall’intelligenza e dalla perseveranza di Conti, forse anche dall’audacia e dall’importanza delle sue ricerche, potremmo anche dire che il biglietto da visita del sostegno di Salvemini dovette avere il suo effetto; ma dovremmo, forse, anche guardare ad una prospettiva più ampia e certo storiograficamente più impegnativa. E mi riferisco al fatto che, con ogni probabilità, la cosiddetta «medievistica romana» doveva essere meno romana di quanto per lungo tempo non si sia pensato e più aperta rispetto ai pur certo ricorrenti interessi per la storia del Cristianesimo, per la storia del Papato e per la, pur sempre vivace, predilezione per le cronache e i loro contesti di produzione39. I primi numeri degli «Studi Storici», del resto, con la pubblicazione dei lavori di Giovanni Tabacco, di Bruno Nardi, per non arrivare ad André Guillou, dicono che gli spazi per guardare ad altro non erano certo prevalenti, ma erano ben presenti40. L’alunnato di Elio Conti potrebbe allora aver trovato la sua collocazione proprio in uno di quegli spazi. 38 Per una sintesi del metodo di lavoro e dei temi più presenti nelle opere di Conti, cfr. G. Cherubini, Qualche considerazione sulle campagne dell’Italia centro-settentrionale tra l’XI e il XV secolo, in Cherubini, Signori, contadini, borghesi. Ricerche sulla società italiana del Basso Medioevo, Firenze 1974, pp. 49-119; Francesconi, Elio Conti e la società fiorentina cit., pp. 29-33. Per l’ambiente della Scuola Storica che in quegli anni si riuniva intorno a Raffaello Morghen si rimanda a I. Lori Sanfilippo, Scuola storica di studi medievali. L’ambiente della Scuola storica anni ’50-’60, in questo volume di atti alle pp. 149-168. 39 Ciò nulla toglie alla bontà delle riflessioni di O. Capitani, Una medievistica romana, Bologna 1986 e a quelle storiograficamente più impegnative enunciate in Capitani, Dove va la storiografia medievale cit., pp. 247-253. Mi pare che si possa dire che «in quella che, tutto sommato, può essere considerata l’unica scuola, in senso tradizionale, di storia medioevale che abbia operato in Italia, con una convinzione di propositi che, specie negli anni tra il ’50 ed il ’60, ha dato l’impressione di un radicale esclusivismo: intendo parlare dell’attività dell’Istituto Storico Italiano per il Medioevo e degli indirizzi prevalenti in questa attività per opera di Raffaello Morghen» (ivi, p. 247) agissero aperture e stimoli anche più larghi e diversi rispetto «ad una connotazione unitaria del Medioevo ... che poneva in primissimo piano il problema di una identificazione etico-culturale e civile dell’Europa nelle sue tradizioni esclusivamente religiose». Si veda inoltre A. De Vincentiis, Storia e filologie. Il percorso di Arsenio Frugoni fino al 1950, in A. Frugoni, Il giubileo di Bonifacio VIII, Roma-Bari 1999, pp. 129-160: pp. 141-143; De Vincentiis, Ovidio Capitani critico della medievistica italiana, 1967-1977, «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medioevo», 115 (2013), pp. 527-545. 40 G. Tabacco, La casa di Francia nell’azione politica di papa Giovanni XXII, Roma 1953; B. Nardi, Dal “Convivio” alla “Commedia”. Sei saggi danteschi, Roma 1960; A.


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Spazi, come in parte si è accennato, che parlavano di tabelle, di lunghe serie numeriche, di tutti quei dati che Conti era andato appunto mettendo insieme, addirittura con l’aiuto di una sorte di équipe familiare formata dalla madre, dalla sorella e dalla moglie, per capire da vicino il funzionamento della società fiorentina del Rinascimento, la sua stratificazione sociale, i livelli della ricchezza e la sua distribuzione, i rapporti fra la ricchezza fondiaria e quella mobile della produzione artigiana e commerciale41. A quel lavoro colossale, che al suo arrivo a Roma si sostanziava di decine di migliaia di schede e di un dattiloscritto, allegato fra i titoli presentati, su i I catasti fiorentini nel Quattrocento gli anni dell’alunnato avrebbero dato un contributo decisivo42. Non gli avrebbero consentito di portare a termine il suo progetto, e lo vedremo, ma gli avrebbero permesso di pubblicare nel 1965 i volumi I e III/2 della sua grande opera dedicata a La formazione della struttura agraria moderna nel contado fiorentino43. E questo soprattutto in ragione della relativamente ampia libertà che gli fu concessa da Morghen di condurre le sue ricerche a Firenze. Era questo se non uno strappo assoluto, almeno nella forma avendo già ottenuto qualcosa di analogo Raoul Manselli, un elemento di forte discontinuità nella sostanza di una tradizione interna alla Scuola che voleva la residenza romana degli alunni. Con Elio Conti questa tradizione si modificò in una presenza da lontano. L’impegno che gli veniva richiesto era quello di partecipare alle riunioni della Scuola, alle conferenze o alle lezioni che allora periodicamente si tenevano in Istituto – scorrendo il fascicolo personale ho potuto trovare quelle tenute da Cognasso, da Dombrowski, da Holtzmann e da Momigliano – e di compilare le schede per il Repertorium, allora nel pieno della sua attività redazionale44. Anche in questo caso con il Guillou, Régionalisme et indépendance dans l’empire byzantin au VIIe siècle. L’exemple de l’exarchat et de la pentapole d’Italie, Roma 1969. 41 Francesconi, Elio Conti e la società fiorentina cit., pp. 27 ss. 42 Ivi, Appendice II. 43 In realtà Elio Conti avrebbe pubblicato, fra il 1965 e il 1966, ben quattro volumi. Ai due menzionati, infatti, si dovranno aggiungere usciti in edizione speciale per ragioni concorsuali: La formazione della struttura agraria moderna, III/1, Fonti e risultati sommari delle indagini per campione e delle rilevazioni statistiche (secoli XV-XIX), Roma 1965 e I catasti agrari della repubblica fiorentina e il catasto particellare toscano (secoli XIV-XIX), Roma 1966. Se ne può vedere ora la ristampa anastatica a cura di G. Francesconi. 44 Fra le carte di Elio Conti e nel suo fascicolo personale si trovano puntuali le lettere, su carta intestata dell’Istituto, che Isa Lori Sanfilippo inviava ad Elio con le voci da compilare per il Repertorium e anche le eventuali sollecitazioni quando queste tardavano ad arrivare.


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particolare riguardo di affidare a Conti voci che fossero di sua pertinenza tematica: e così dalle puntuali richieste inviate da Isa Lori Sanfilippo i nomi che scorrono sono tutti o quasi tutti fiorentini. Pare evidente che anche a Roma si ritenesse quasi impossibile distogliere Elio dai suoi fondi archivistici. Mi è sembrato, tuttavia, di cogliere che una certa sua reticenza di fronte a qualche viaggio romano – anche in coincidenza dell’incarico di assistente che gli era nel frattempo stato affidato da Sestan45 – non fosse sempre stata bene accolta da Manselli, per quanto dalle lettere non trasparisse mai alcun cenno di disagio esplicito in questo senso. Non c’è dubbio però che l’Istituto e l’ambiente romano che gravitava intorno a Palazzo Borromini fossero entrati e con forza nell’orizzonte affettivo di Elio. L’Istituto fu certamente per Conti anche, se non soprattutto, una comunità di affetti: qualcosa che andava oltre e assumeva toni più compiuti dei legami di amicizia duraturi che già aveva stretti con Mario Sanfilippo, che avrebbe consolidato con Nicola Cilento e del rapporto fraterno e filiale che aveva saldato con Raoul Manselli e Raffaello Morghen. E questo è un aspetto che si coglie con chiarezza dalla lettura del carteggio: nei molti momenti difficili che Conti aveva vissuto durante gli anni del suo alunnato, l’Istituto era stato sempre presente e in modo non formale. Così era avvenuto in occasione della morte del padre nel dicembre del 1959 – le lettere di Manselli in quella circostanza grondano di una partecipazione profonda46 –, così per l’operazione ad un rene che Elio aveva subito nella primavera del 1960 e così ancora per la perdita di un bambino che i coniugi Conti avevano patito nel maggio del 196247. Queste due ultime circostanze, seppur in modo diverso, sono ben rivelatrici del senso di appartenenza ad una comunità affettiva forte. Nella prima delle due, infatti, durante i giorni in cui Elio Conti era ancora ricoverato in ospedale per i postumi operatori, Raffaello Morghen volle aggiungere al consueto assegno mensile una somma sua personale. L’8 maggio 1960 un Conti commosso inviava una lettera al Professore, come era solito chiamarlo, quasi incredula di fronte a quel gesto: CC, Comunicazione dell’Università di Firenze in merito all’espletamento del concorso a posti di assistente ordinario, 1964 settembre 22. Presidente della commissione giudicatrice era il prof. Ernesto Sestan. 46 Ivi, 1959 dicembre 11, Raoul Manselli a Elio Conti; ivi, 1959 dicembre 15, Mario Sanfilippo a Elio Conti; ivi, 1959 dicembre 23, Raoul Manselli a Elio Conti. 47 Ivi, 1960 aprile 29, Nicola Cilento a Elio Conti; ivi, 1960 maggio 2, Raoul Manselli a Elio Conti; ivi, 1960 maggio 10, Raoul Manselli a Elio Conti; ivi, 1960 maggio 10, Raffaello Morghen a Elio Conti; ivi, 1960 giugno 9, Raoul Manselli a Elio Conti; ivi, 1962 maggio 28, Vanda Cherubini a Elio Conti; ivi, 1962 giugno 5, Mario Sanfilippo a Elio Conti. 45


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Caro Professore, non credo di fare della retorica se le confesso che il suo garbo mi ha profondamente commosso. Mi ha confermato che la Scuola è per tutti anche una grande famiglia. Mia moglie ed io le siamo ancora sinceramente grati48.

Nella seconda circostanza, il 28 maggio 1962, Girolamo Arnaldi scriveva un biglietto a Elio che costituisce quasi una sintesi del suo passaggio romano e del suo significato emotivo, oltre che scientifico: Carissimo Elio, vengo a sapere solo adesso della disgrazia che ti ha colpito. So perfettamente che in casi come questi i discorsi consolatori, anche fatti con animo sincero, non servono a nulla. Ma forse non ti dispiacerà di sapere che, anche questa volta, come in altre circostanze della tua vita di questi ultimi anni, noi tutti dell’Istituto ti siamo vicini, molto più vicini di quello che sarebbe da attendersi guardando solo alle occasioni vere e frettolose dei nostri incontri49.

Quando poi Elio Conti perse il concorso nel 1965 – anche Conti aveva perso un concorso – quel moto di affetti si sarebbe trasformato in una partecipazione alla sventura dell’amico, ma anche in qualcosa di più. Le lettere inviate da Ovidio Capitani, da Mario Sanfilippo e da Raoul Manselli – fra gli amici di derivazione romana – dicono molto di una solidarietà che non era forse così distante da quella lontana intuizione scritta a Salvemini dieci anni prima50. 4. Un uomo solo: Elio Conti e l’Istituto dopo l’alunnato

L’alunnato romano era stato decisivo per la vita di studioso e per la carriera di Elio Conti. Non possiamo sapere quale sarebbe stata la sua biografia scientifica senza quei cinque anni, ma ci piace e crediamo legittimo pensare che siano stati determinanti nel suo percorso. L’alunnato però non Istituto storico italiano per il Medioevo, Archivio storico, Fondo istituzionale, Scuola storica, fascicoli personali, fasc. 49, 1960 maggio 8, Elio Conti a Raffaello Morghen. Cfr. Appendice, n. 13. 49 CC, 1962 maggio 28, Girolamo Arnaldi a Elio Conti. Cfr. Appendice, n. 16. 50 CC, 1965 novembre 17, Ovidio Capitani a Elio Conti (cfr. Appendice); ivi, 1965 dicembre 12, Mario Sanfilippo a Elio Conti; ivi, 1965 dicembre 2, Raoul Manselli a Elio Conti (cfr. Appendice, n. 19). 48


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avrebbe conosciuto una fine con la sua scadenza naturale dell’autunno del 1963. I legami scientifici e umani saldati con e dentro l’Istituto sarebbero rimasti una costante di tutta la vita di studioso e di docente di Elio Conti, anche quando era ormai incardinato, prima all’Università di Trieste e poi in quella di Firenze. Gli anni romani avrebbero, infatti, segnato la trama dei legami accademici, delle relazioni scientifiche, ma anche più concretamente la sua bibliografia: tranne, infatti, la curatela del volume salveminiano su Stato e Chiesa in Italia stampato da Feltrinelli51, tutta la sua produzione di medievista sarebbe uscita nelle collane dell’Istituto. Così per i primi due volumi, così per i Ricordi fiscali di Matteo Palmieri del 198352, così per L’imposta diretta a Firenze nel Quattrocento dell’anno successivo53, così per le ricerche da lui pensate, promosse e proseguite dai suoi alunni su Le consulte e pratiche della Repubblica fiorentina54. 1965-1983 sono gli estremi cronologici che segnano il lasso di tempo fra il secondo e il terzo volume pubblicati da Conti nella collana degli “Studi Storici”. Si tratta di quasi venti anni: un lasso di tempo enorme, quasi impossibile, se pensiamo ai ritmi e alle progressioni della medievistica attuale e forse anche di allora. Un lasso di tempo però che dice molto, forse quasi tutto, del carattere e del metodo di lavoro di Elio Conti. Conti non era uomo da convegni, non vi aveva mai partecipato e se ne era sempre tenuto ostinatamente lontano, e non era nemmeno uomo da articoli, rimane la testimonianza delle lettere di Raoul Manselli e di Arsenio Frugoni che lo invitano a consegnare un contributo proposto per il «Bullettino», mai arrivato alla stampa e fatto rifluire poi nei volumi maggiori55. Conti non era nemmeno uomo da impegni intermedi, da primi abbozzi e da deviazioni tematiche56. G. Salvemini, Stato e Chiesa in Italia, cur. Elio Conti, Milano 1969. M. Palmieri, Ricordi fiscali (1427-1474) con due Appendici relative al 1474-1495, cur. E. Conti, Roma 1983. 53 E. Conti, L’imposta diretta a Firenze nel Quattrocento (1427-1494), Roma 1984. 54 Le Consulte e Pratiche della Repubblica Fiorentina (1404), cur. R. Ninci, Roma 1991; Le Consulte e Pratiche della Repubblica Fiorentina (1405-1406), edd. L. De Angelis - R. Ninci - P. Pirillo, Roma 1996. Il primo volume era stato pubblicato anni prima dall’Università di Firenze: «Consulte» e «Pratiche della Repubblica Fiorentina nel Quattrocento, I (1401), Cancellieriato di Coluccio Salutati, cur. Seminario guidato da E. Conti, Pisa 1981. 55 Cfr. Francesconi, Elio Conti e la società fiorentina cit., pp. 19-20. 56 Assumono un valore paradigmatico la rinuncia all’invito ad un convegno internazionale di storia economica ricevuto da parte di Fernand Braudel - nello specifico il “Congrès International d’Histoire Economique” che si sarebbe tenuto a Monaco di Baviera dal 23 al 27 agosto 1965 (CC, 1964 settembre 3, Fernand Braudel a Elio Conti) e il rifiuto di colla51 52


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Conti aveva perseguito in tutta la sua vita di studioso un solo obiettivo di ricerca, il suo principale, quello di capire i caratteri della società che aveva prodotto il Rinascimento fiorentino. E paradossalmente, nel perseguire quello sforzo impossibile per “un uomo solo” è rimasto storiograficamente più noto per le sue acquisizioni di storia rurale, di storia delle campagne. Alla storia della città e della società cittadina, per quanto quello fosse il suo reale obiettivo, è arrivato solo tangenzialmente. Era stata una sua convinzione tenace, del resto, quella di partire dallo studio delle basi rurali per capire i gangli fondamentali dello sviluppo tardomedievale. Quella sua convinzione, che molto doveva all’insegnamento di Salvemini57, lo avrebbe posto fra gli studiosi che lungo gli anni ’60 avrebbero ritagliato uno spazio importante per gli studi di storia rurale in Italia, accanto a Emilio Sereni, a studiosi stranieri come Philip Jones e Charles Marie de la Roncière e più avanti a Vito Fumagalli e Giovanni Cherubini58. Ma il suo grande obiettivo non sarebbe riuscito a coglierlo pienamente, fino in fondo. Ovidio Capitani, a questo proposito, aveva scritto nella sua ormai famosa rassegna del 1967, poi pubblicata nel 1979, dal titolo Dove va la storiografia medievale italiana? che Conti era la testimonianza eccezionale di un lavoro unico, «di un lavoro immane: il lavoro di una équipe fatto da un uomo solo, con lo spoglio di decine e decine di migliaia di documenti»59. Salvo aggiungere poche righe dopo però che «ogni giudizio, come la serietà e la probità di Elio Conti ha insegnato ormai a tutti, va sospeso: e c’è anche il caso che alla storia che si voleva fare in partenza non si arrivi mai, anche dopo anni di lavoro e la stesura di risultati preliminari»60. Elio Conti aveva, d’altro canto, una naturale ritrosia per il lavoro di gruppo, ne è una chiara testimonianza il rifiuto di collaborare con David Herlihy e Christiane Klapisch-Zuber allo studio collettivo avviato a Parigi sul catasto

borazione alla Storia d’Italia dell’editore Einaudi (cfr. Francesconi, Elio Conti e la società fiorentina cit., pp. 50-51). 57 Cfr. S. Raveggi, Le basi rurali della società cittadina, in E. Conti - A. Guidotti - R. Lunardi, La Civiltà Fiorentina del Quattrocento, Firenze 1993, p. 13. 58 Limito il rimando alle rassegne di G. Pinto, Toscana, in Medievistica italiana e storia agraria. Risultati e prospettive di una stagione storiografica. Atti del Convegno di Montalcino (12-14 dicembre 1997), cur. A. Cortonesi - M. Montanari, Bologna 2001, pp. 13-25 e di A. Cortonesi, La storia agraria dell’Italia medievale negli studi degli ultimi decenni. Materiali e riflessioni per un bilancio, «Società e storia», 100-101, (2003), pp. 235-253. 59 Capitani, Dove va la storiografia medievale cit., p. 241. 60 Ivi, p. 242.


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fiorentino del 1427, anche perché non avrebbe mai potuto fidarsi delle elaborazioni elettroniche delle sue schedine fatte a mano61. Ma non si dovrà dimenticare anche un altro aspetto del suo carattere, e cioè la sfida che per tutta la vita ha giocato col tempo, una sfida quasi utopistica e che, accanto alla ridda di piani di lavoro che costantemente aggiornava – si può ricordare quello inviato il 30 marzo del 1973 a Morghen e già pubblicato da Arnaldi62, ha fatto poi scrivere a Giovanni Cherubini, che di Conti era stato giovane assistente e poi collega: Ho spesso avvertito nelle sue confessioni e nei suoi sfoghi nel corso degli anni una sorta di sottovalutazione del tempo e insieme il dramma del tempo che scorre troppo velocemente. Egli mi ha detto più di una volta di essersi proposto, quasi un destino felice e insieme inevitabile, un compito troppo ampio63.

Una battaglia con il tempo quella di Conti che aveva dovuto combattere con ricorrenti problemi di salute, con una emicrania spesso invalidante, e poi con impegni universitari che aveva sempre assolto con una tensione vivissima per la didattica e per la ricerca sul campo64, come potrebbero testimoniare i suoi allievi che ancora ricordano con profonda nostalgia le gite alla scoperta del contado fiorentino. Nella convinzione di metodo che quello che i documenti attestavano dovesse essere verificato sul territorio. E nello scorrere del tempo gli anni romani, gli anni all’Istituto acquistavano sempre di più una luce particolare. Una luce che, in una lettera scritta a Morghen il 2 aprile 1975, glieli faceva ricordare come gli «anni favolosi dell’Istituto»65. Quella luce sarebbe stata descritta con ancora maggiore pienezza nell’ultima missiva che Conti avrebbe scritto al Professore, il 30 gennaio Cfr. Francesconi, Elio Conti e la società fiorentina cit., pp. 52. G. Arnaldi, Elio Conti all’Istituto di piazza dell’Orologio, in La società fiorentina del basso Medioevo cit., pp. V-XV: VII-IX. 63 G. Cherubini, Elio Conti: gli studi di storia agraria, in La società fiorentina del basso Medioevo cit., pp. 29-40: 31. 64 Basterebbe al proposito ricordare che uno dei massimi studiosi dell’archeologia medievale italiana come Riccardo Francovich era stato allievo di Elio Conti: cfr. G. Vannini, Elio Conti e l’archeologia medievale, «Postclassical archaeologies», 1 (2011), pp. 431-440 e S. Raveggi, Elio Conti, le campagne toscane e la fotografia, in Il Chianti nelle fotografie di Elio Conti, «Il Chianti. Storia, arte, cultura, territorio», 29 (2013), pp. 9-17. 65 Istituto storico italiano per il Medioevo, Archivio storico, Fondo Morghen, Corrispondenza con italiani, fasc. 106, 1975 aprile 2, Elio Conti a Raffaello Morghen. Cfr. Appendice, n. 21. 61 62


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198366, una volta appreso che questi avrebbe lasciato la presidenza dell’Istituto: Carissimo Professore, appena due righe, per dirle quanto mi abbia turbato la notizia che Lei ha deciso di lasciare la guida dell’Istituto. È la fine di un’epoca, che ricordo con nostalgia e rimpianto, perché gli anni dell’Istituto sono stati per me i più felici e fruttuosi. Sono stati per l’Istituto anche anni di grandi realizzazioni, alle quali il Suo nome sarà sempre legato. Voglio esprimerle tutta la mia riconoscenza per il molto che all’Istituto ho imparato, sotto la sua affettuosa guida. Con un lungo abbraccio, Elio Conti.

Pochi giorni fa la signora Anna Luti Conti, nel salotto della sua casa fiorentina contornato dalle scansie con i libri di Elio, mi diceva che gli ultimi giorni di vita del marito erano stati segnati dalla rabbia, dalla rabbia per una morte che ormai sentiva arrivare e che gli avrebbe impedito di portare a termine il suo lavoro, quel lavoro per il quale aveva speso tutta la vita. In quella chiacchierata, con altrettanta affettuosa lucidità, la signora Anna aveva anche aggiunto che per Elio gli anni romani erano stati i più felici e belli della sua vita. Anche la moglie aveva colto che gli anni all’Istituto erano stati anni «favolosi».

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Ivi, 1983 gennaio 30, Elio Conti a Raffaello Morghen. Cfr. Appendice, n. 22.


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APPENDICE 1

1955 dicembre 26 Elio Conti a Raffaello Morghen

Istituto storico italiano per il Medioevo, Archivio storico, Fondo istituzionale, Scuola storica, fascicoli personali, fasc. 49. Lettera manoscritta su carta semplice. Firenze, 26 dic. ’55

Ch.mo Professore, la ringrazio vivamente, insieme agli altri componenti la commissione giudicatrice, della fiducia e della stima dimostratami ammettendomi alla Scuola Storica di Studi Medioevali. In attesa di conoscerla personalmente, voglia accettare i miei migliori auguri per il nuovo anno. Elio Conti via Falcucci, 62 Firenze

2

1957 gennaio 21 Elio Conti a Raffaello Morghen

Istituto storico italiano per il Medioevo, Archivio storico, Fondo istituzionale, Scuola storica, fascicoli personali, fasc. 49. Lettera manoscritta su carta semplice. Firenze, 21 genn. 1957

Caro Professore, Ricevo oggi da Manselli la notizia che il Minsitero della P.I. ha chiesto a quello dell’Interno il comando per me. È una notizia così bella, che mi lascia quasi stordito.


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So quanto Lei ha fatto per arrivare a questo, e capisco che non potrò mai ringraziarLa abbastanza, né dimostrarLe adeguatamente la mia gratitudine. Ma, mi creda, sono già preoccupato di non riuscire, nei prossimi anni, a dimostrarmi degno della fiducia che mi ha concessa e della Sua scuola. Saluti affettuosi dal suo Elio Conti 3

1957 marzo 11 Elio Conti a Raoul Manselli

Istituto storico italiano per il Medioevo, Archivio storico, Fondo istituzionale, Scuola storica, fascicoli personali, fasc. 49. Lettera manoscritta di due facciate su carta semplice. Firenze, 11 marzo 1957

Caro Manselli, Un amico dell’archivio di Firenze, Abbondanza, che sabato scorso era a Roma per il Consiglio del Partito Radicale e vide Arnaldi, mi ha riferito che Gilmo ha ottenuto il comando dal 15 prossimo, e che per me accampano il pretesto che sono ancora in prova. Cerco di sperare che tutto si appiani, benché sia convinto che l’Ufficio Centrale degli Archivi stia facendo quanto può per ostacolarmi. In ogni modo, relativamente alla prova, sappi che in rigore di un capoverso dell’art. 10 (“Periodo di prova”) della legge-delega (Ordinamento delle carriere degli impiegati civili dello Stato, D.P.R. 11 gen. 1966 n. 16) io dovrei avere già superato favorevolmente la prova. Infatti quel capoverso dice: “Qualora entro tre mesi dallo scadere del periodo di prova non sia intervenuto un provvedimento di proroga ovvero un giudizio sfavorevole, la prova si intende conclusa favorevolmente”. È questo appunto il mio caso. Entrai in servizio il 1° di maggio 1956: la prova quindi doveva durare fino al 31 ottobre 1956. Poiché sono stato un anno in aspettativa per motivi di salute, il mio periodo di prova terminò soltanto il 31 ottobre 1957 (ma 1956). Da allora sono passati più di 4 mesi, durante i quali il Ministro non ha preso alcun provvedimento in merito. Perciò, in rigore di quell’articolo, non possono negarmi il giudizio favorevole. Scusa se ho cominciato a tempestarti di lettere, ma puoi immaginarti il mio stato d’animo. Se, appena avrai qualche notizia, bella o brutta, mi scriverai due righe, te ne sarò molto grato. Un saluto affettuoso dal tuo Elio Conti


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1957 luglio 13 Elio Conti a Raoul Manselli

Istituto storico italiano per il Medioevo, Archivio storico, Fondo istituzionale, Scuola storica, fascicoli personali, fasc. 49 Lettera manoscritta di due facciate su carta semplice, firmata a mano dall’autore. Firenze, 13 luglio 1957

Carissimo, ti ringrazio della cartolina e delle parole di amicizia, della quale non ho mai dubitato. Ti confesso che speravo fermamente che la mia questione sarebbe stata decisa prima delle vacanze estive. Invece siamo sempre allo stesso punto. Mi ha detto Rodolico che la Giunta non si riunirà prima di settembre, e che avrà molto lavoro arretrato da sbrigare. Malgrado ogni promessa, io non sono affatto tranquillo; ogni mese che passa è un mese di lavoro perduto, e se le cose finiranno male il tentativo mi sarà costato troppo. Non basta aver terminato anche il secondo periodo di prova: vogliono rimettere la questione ad una Giunta che non si riunisce da quasi cinque mesi! Perché poi aspettare la Giunta, quando basterebbe un decreto ministeriale, come nel caso di Arnaldi e di tutti gli altri che ci hanno preceduto alla Scuola? Il Corsi continua a ripetermi che non mi vogliono mandare alla Scuola, che glielo hanno assicurato, che stanno adottando manovre dilatorie per far scadere (!?) il mio diritto, ecc. ecc. Me lo ha ripetuto anche ieri l’altro, quando mi recai a Lucca per ritirare il decreto di censura. So che sarebbe capace di parlarmi così soltanto per rovinarmi le ferie tanto sospirate, ma credo che la sua malignità si limiti a riferire a bella posta informazioni raccolte recentemente al Ministero. Se si rifiutano di concedermi il nulla-osta, che cosa potremo fare? Io desidero soltanto che tutto si decida al più presto possibile, perché mi sembra di non potercela fare di più, e voglio venire via, in un modo o nell’altro. Se qualcuno dei membri del Consiglio Superiore che conosciamo riuscisse a farmi ottenere un’aspettativa senza stipendio dal 15 di settembre – data in cui, a norma di regolamento, la Scuola inizia la sua attività – fino a che la questione del comando non sia decisa, io non perderei altro tempo. Che ne dici? Non credi che Morghen stesso, ai primi di settembre, ritornando da Strano, possa chiedergli questo favore, motivandolo con la necessità, da parte dell’Istituto, di funzionare in pieno? Se Strano è stato sincero nell’ultimo colloquio, dovrebbe almeno accettare questa proposta. Anche Arnaldi, l’inverno scorso, quando ottenne la borsa americana, riuscì ad avere senza difficoltà tre mesi di aspettativa senza stipendio. Se questa soluzione sembra anche a te realistica, cerca tastare il terreno. Affettuosi saluti a te, al prof. Morghen, a tutti gli amici dell’Istituto, e auguri di buone vacanze. Tuo Elio Conti


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1957 settembre 10 Raoul Manselli a Elio Conti

Carte Conti, Carteggio. Lettera manoscritta su carta intestata dell’Istituto storico italiano per il Medioevo. 10 sett. 1957

Carissimo, ho tardato qualche giorno a risponderti, per aver notizie dal ministero. Non pare che ci siano state riunione del Consiglio, anche se non mi han saputo dire quando ci saranno. In linea di massima non badare però al tuo principale e alle sue notizie. Ti penso addolorato per la morte di Salvemini: per me, che ho di te qualche anno in più, è come se si fosse spento un faro, un sicuro punto di riferimento. Lui, anche quando non eri d’accordo, il suo punto di vista era sempre qualcosa che ti risolveva l’orizzonte, che ti additava una via. Siamo diventanti più soli e, per la sua sola scomparsa, è aumentato il potere del male attorno a noi. Ma scusami questo rimpianto e credimi tuo affezionato Raoul Manselli 6

1957 settembre 26 Elio Conti a Raoul Manselli

Istituto storico italiano per il Medioevo, Archivio storico, Fondo istituzionale, Scuola storica, fascicoli personali, fasc. 49. Lettera dattiloscritta su carta semplice firmata a mano dall’autore. Lucca, 26 settembre ’57

Carissimo Manselli, tra poco è finito anche settembre, e io non so ancora cosa fare. Ho paura di non poter più tirare avanti come ho fatto finora: finirò col prenderci davvero una brutta malattia. Pensi che sarebbe chiedere troppo se io pregassi il prof. Morghen di parlare ancora una volta a Strano sollecitando una risposta qualsiasi, ma precisa? Un bel giorno si riunirà la Giunta, ma il mio caso non verrà portato in discussione se non cercheremo di sventare le manovre di Lombardo e C. E allora tutto ricomincerà


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GIAMPAOLO FRANCESCONI

da capo. Rodolico mi ha ripetuto che il suo voto sarà favorevole, qualora se ne parli in Giunta. Scusatemi tutte le grane che vi sto procurando. Vorrei al più presto chiudere questo brutto capitolo, anche se ci avrò rimesso le penne. Affettuosi saluti a te e a tutti gli amici Elio Conti 7

1958 gennaio 17 Elio Conti a Raoul Manselli

Istituto storico italiano per il Medioevo, Archivio storico, Fondo istituzionale, Scuola storica, fascicoli personali, fasc. 49. Biglietto dattiloscritto firmato a mano dall’autore. Firenze, 17 gennaio ’58

Carissimo, ti ringrazio della bella notizia, che mi ha reso molto felice. Mi sembra quasi impossibile che tutti i guai siano terminati! Spero di poterti riabbracciare presto. Lascia intanto che ti esprima tutta la mia riconoscenza per la paziente, fraterna amicizia con la quale mi hai sostenuto e incoraggiato in questi mesi. Affettuosi saluti e auguri Elio Conti 8

1958 gennaio 17 Elio Conti a Raffaello Morghen

Istituto storico italiano per il Medioevo, Fondo Morghen, Corrispondenza con italiani, fasc. 106. Lettera manoscritta su carta semplice. Firenze, 17 gennaio ’58

Caro Professore, immaginerà la mia gioia per la bella notizia. Ora che ogni ostacolo è superato, sento quanto io debba esserle grato anche per il paziente e affettuoso incoraggiamento col quale mi ha sostenuto in questi lunghi mesi di attesa.


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ELIO CONTI, ALUNNO DELLA SCUOLA STORICA

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Spero di ritrovarmi presto con Lei e gli altri colleghi dell’Istituto. Affettuosi saluti dal suo Elio Conti 9

1959 dicembre 11 Raoul Manselli a Elio Conti

Carte Conti, Carteggio. Lettera manoscritta su carta intestata dell’Istituto storico italiano per il Medioevo. 11 dic. 1959

Carissimo, ho appena il coraggio di scriverti per inviarti un documento del Ministero, che fortunatamente garantisce ormai il comando. Ma tu non sai che il mio cuore d’amico ti è accanto nel tuo dolore, che comprendo grande e profondo, anche se la morte del tuo babbo era dolorosamente prevista. E posso additarti come solo conforto, che possa lenire il tuo senso di vuoto e di sbalordimento grande che provi: il ritornare al lavoro per realizzare ciò che Egli s’aspettava da te, dalla tua passione agli studi, dal tuo valore. Credimi sinceramente vicino al tuo cuore con affetto Tuo Raoul Manselli 10

1959 dicembre 15 Mario Sanfilippo a Elio Conti

Carte Conti, Carteggio. Lettera manoscritta su carta intestata del Liceo Scientifico Statale “G. Sulpicio” di Veroli. Caro Elio, solo ieri ho saputo della morte del tuo babbo. Noi tutti a casa siamo rimasti veramente addolorati; per te in special modo che sembri non aver pace in questi ultimi tempi. Fai le nostre condoglianze alla tua mamma e sorella. Conta su noi per qualsiasi cosa tu possa aver bisogno. Ti abbraccio Mario


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GIORGIO CHITTOLINI

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1959 dicembre 23 Raoul Manselli a Elio Conti

Carte Conti, Carteggio. Lettera manoscritta su carta intestata dell’Istituto storico italiano per il Medioevo. 23.XII.’59

Carissimo, ti ringrazio tanto delle tue buone e gentili parole e ti ringrazio anche degli auguri per il Natale. So che questi giorni saranno per te particolarmente duri e tristi: ma proprio perché ho qualche anno più di te e son passato per prove severe, mi permetterei lo stesso di augurarti quanto di meglio può pensare il cuore d’un amico sinceramente affezionato. Certo il non aver accanto a te, proprio ora, anche tua moglie contribuirà a rattristarti, ma devi perciò più che mai esser forte e tener duro. Dovrai alla fine venir a capo di prove così severe. Provvederò naturalmente ad un anticipo, anche per questo mese, se non ancora ci sarà lo stipendio: ad ogni modo subito dopo Natale provvederò a sollecitare l’ufficio competente. Poiché so che ti farà piacere, ti dico che andrò a Perugia. Salutami tua moglie, cui auguro una rapida guarigione, ed accetta un abbraccio affettuoso dal Tuo Raoul Manselli 12

1960 aprile 29 Nicola Cilento a Elio Conti

Carte Conti, Carteggio. Biglietto manoscritto su cartolina dell’Istituto storico italiano per il Medioevo. Roma, 29.IV.1960

Carissimo Elio, sono assai afflitto per le cattive notizie che ho appreso sulla tua salute. Proprio non ti meriti queste cattiverie della sorte. So, oltretutto, quali sofferenze dia il mal della pietra, dal quale anche mio fratello è stato afflitto. Accetta il mio augurio cor-


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ELIO CONTI, ALUNNO DELLA SCUOLA STORICA

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diale di sicura e immediata guarigione, senza interventi. E stai di buon animo: verranno certamente giorni migliori. Un affettuoso saluto alla tua Anna e un bacetto alla Lisettina. Un abbraccio, affettuosamente tuo Nicola 13

1960 maggio 8 Elio Conti a Raffaello Morghen

Istituto storico italiano per il Medioevo, Archivio storico, Fondo istituzionale, Scuola storica, fascicoli personali, fasc. 49. Lettera manoscritta di due facciate su carta semplice. Firenze, 8.V.1960

Caro Professore, non credo di fare della retorica se le confesso che il suo garbo mi ha profondamente commosso. Mi ha confermato che la Scuola è per tutti anche una grande famiglia. Mia moglie ed io le siamo ancora sinceramente grati. Quella somma ci permetterà di rimettere in sesto il nostro bilancio. Io sono tornato a casa, anche se ancora posso appena alzarmi dal letto. Ma le cose sono andate molto meglio di quanto temessi, perché non è stato necessario asportare il rene. Il che mi consentità di tornare a Roma, prima delle vacanze, per riabbracciare lei e tutti i colleghi. Con i più devoti saluti dal suo Elio Conti 14

1960 maggio 10 Raffaello Morghen a Elio Conti

Carta Conti, Carteggio. Lettera manoscritta di due facciate su carta intestata dell’Istituto di storia medioevale dell’Università di Roma. Roma, 10 maggio 1960

Caro Conti, dagli amici dell’Istituto ho avuto tue notizie e ho seguito con affettuosa trepi-


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GIAMPAOLO FRANCESCONI

dazione le vicende del malanno che ti affligge e delle cure e dell’operazione da te subita per eliminarli. Fortunatamente le notizie che ieri mi ha dato Manselli sono veramente buone e, nonostante le sofferenze che devi patire, la cosa si è risolta bene. Non voglio tardare oltre e ti rivolgo le mie felicitazioni per la prova superata e il mio più affettuoso augurio. Aspetto intanto col desiderio il momento in cui potrò vederti di nuovo all’istituto e riprendere con te il colloquio solo per poco interrotto. Tanti cordiali saluti dal Tuo Raffaello Morghen 15

1962 maggio 26 Elio Conti a Raffaello Morghen

Istituto storico italiano per il Medioevo, Fondo Morghen, Corrispondenza con italiani, fasc. 106. Lettera manoscritta su carta semplice. Firenze, 26 maggio ’62

Carissimo Professore, grazie, da me e da mia moglie, per le care parole. In verità, la fortuna non ci è stata benigna in questi ultimi anni. Ma, anche se ora lo sconforto sembra talvolta vincerci, siamo certi che la nostra bambina e il lavoro ci aiuteranno a superare pure questo colpo. Con tanto affetto suo Elio Conti 16

[1962] maggio 28 Girolamo Arnaldi a Elio Conti

Carte Conti, Carteggio Lettera manoscritta su carta intestata dell’Istituto di storia medioevale dell’Università di Roma. 28.V

Carissimo Elio, vengo a sapere solo adesso della disgrazia che ti ha colpito. So perfettamente


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ELIO CONTI, ALUNNO DELLA SCUOLA STORICA

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che in casi come questi i discorsi consolatori, anche fatti con animo sincero, non servono a nulla. Ma forse non ti dispiacerà di sapere che, anche questa volta, come in altre circostanze della tua vita di questi ultimi anni, noi tutti dell’Istituto ti siamo vicini, molto più vicini di quello che sarebbe da attendersi guardando solo alle occasioni vere e frettolose dei nostri incontri. Un codicillo personale: la forza d’animo di cui dai prova continuando a lavorare, in condizioni di spirito certo non favorevoli agli studi, riempie di commossa ammirazione chi, come me, non sarebbe assolutamente capace di fare altrettanto. Un abbraccio affettuoso, tuo Gilmo Arnaldi 17

1963 settembre 23 Elio Conti a Raffaello Morghen

Istituto storico italiano per il Medioevo, Fondo Morghen, Corrispondenza con italiani, fasc. 106. Lettera manoscritta di due facciate su carta semplice. Firenze 23 settembre ’63

Caro Professore, tempo fa concorsi ad una borsa di studio bandita dal “Centro di Studi della Harvard University sulla Civiltà Italiana del Rinascimento a Firenze (Villa i Tatti)” da usufruire in Firenze nell’anno accademico ’63-’64. Prima delle vacanze seppi, in via non ufficiale, che ero uno dei due vincitori. Ora me ne è giunta la comunicazione ufficiale. Questa borsa risolve molti problemi. Alla fine di ottobre, quando scadrà il nostro comando, potrò chiedere un’aspettativa senza stipendio e continuare il mio lavoro per un anno accademico. Nel frattempo, dovrebbe giungere il mio posto di assistente. Avevo indicato il Suo nome fra le “referenze”. La ringrazio con affettuosa riconoscenza. Il mio lavoro procede senza soste. Per la fine dell’anno dovrebbe essere ultimato il primo volume. Ma l’informerò meglio in occasione della prossima riunione della Scuola. Sarà l’ultima volta, ahimé, come “comandato”, ma non come allievo e membro della Sua Scuola, almeno lo spero. Con affettuosi saluti, a Lei e alla Signora Suo Elio Conti


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GIAMPAOLO FRANCESCONI

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1965 novembre 17 Ovidio Capitani a Elio Conti

Carte Conti, Carteggio. Lettera manoscritta di due facciate su carta intestata della redazione di «Studi Medievali» del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo di Spoleto. 17/XI/65 Via Valpadana 43

Caro Elio, ritenendo che la cosa possa comunque interessarti – e più facendoti nel contempo i più sinceri auguri per un riconoscimento che meriteresti più di tanti altri, anche nell’attuale concorso – desidero comunicarti che la Facoltà di Lettere dell’Università di Lecce ha deliberato di bandire un concorso di Storia Medioevale per il prossimo anno. Penso che il Consiglio Superiore non dovrebbe aver difficoltà ad approvarlo. Non intendo minimamente entrare nel merito delle tue decisioni, dei tuoi orientamenti e delle tue preferenze, assicurandoti solo che mi riterrei – e chiunque lo sarebbe – altamente fortunato se potessi riuscire ad averti compagno in un eventuale successo. Se tu pensassi di scrivermi, ne sarei lieto, ma ti prego di credere in ogni modo alla mia più sincera stima ed amicizia tuo Ovidio

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1965 dicembre 22 Raoul Manselli a Elio Conti

Carte Conti, Carteggio. Biglietto manoscritto su carta intestata dell’Istituto di paleografia e storia medievale “Pietro Fedele” dell’Università di Torino. 20 dic. 1965

Elio carissimo, due righe anch’io rinunciando al desiderio di scriverti più a lungo, per paura di non scrivere poi affatto.


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Prima di tutto auguri per Costanza, che sia felice lei, che porti felicità a voi tutti; ed auguri anche per il Natale ed il Capodanno. Poi le amarezze: non sorprenderti per Sestan. Un po’ ti avevo avvertito quest’estate. Ricordati che ha sottoscritto anni fa un giudizio sul quale si diceva – è sempre solennemente stampato – che “le pubblicazioni del candidato [ero io] non sono pertinenti al presente concorso” [di storia medioevale]. E se permetti al vecchio “maestro dei novizi” di riprender per un momento la sua antica carica, è proprio di costanza, che tu devi armarti, tener duro, aver fiducia in te, nelle tue qualità di studioso e, un po’, anche sugli amici. Sarò in Toscana all’inizio dell’anno e conto in qualche modo di vederti: o a Firenze, o a Lucca, o alle Focette; dovremo anche pensare al futuro, perché, come sai, è stato chiesto un altro concorso di medioevale. Auguri dunque, auguri, su tutta la linea, da noi tutti e molti affettuosi saluti dal tuo Raoul 20 1969 febbraio 27 Elio Conti a Raffaello Morghen

Istituto storico italiano per il Medioevo, Fondo Morghen, Corrispondenza con italiani, fasc. 106. Lettera manoscritta di tre facciate su carta intestata dell’Istituto di Storia della Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Firenze. Firenze, 27 febbraio 1969

Caro Professore, Le devo chiedere scusa del lungo silenzio. In verità, negli ultimi mesi sono stato tormentato da vari malanni, e recentemente ho subito una grave operazione (asportazione della cistifellea), della quale però non mi sono ancora rimesso del tutto. In particolare, soffro da tempo di continua emicrania, di cui speravo di liberarmi operandomi. Ma, almeno per ora, non ne ho tratto molto giovamento. I medici, dopo una infinità di prove e di analisi, ritengono che io mi porti dietro un focolaio di infezione o di intossicazione endogena, che però ancora non è stato individuato. Cerco di prendere questo inconveniente con “filosofia”; anzi, direi che non ho perso del tutto l’ottimismo di un tempo. Però, la mia capacità di applicazione, anche a causa di alcune cure sbagliate, non è più quella di qualche anno fa. Tiro avanti attendendo giorni migliori, senza tuttavia interrompere il mio ormai “annoso” lavoro, perché altrimenti mi sentirei in colpa (in più, l’Università mi dà un sacco da fare). In queste condizioni, non ho avuto né il coraggio di accettare il Suo gradito invito di tenere una lezione di seminario del nostro Istituto, né quello di declinarlo per motivi di salute. Così non mi sono fatto vivo, e chissà come sarò stato giudicato!


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GIAMPAOLO FRANCESCONI

Non mi voglia male, e continui a ritenermi il suo affezionatissimo Elio Conti 21

1975 aprile 2 Elio Conti a Raffaello Morghen

Istituto storico italiano per il Medioevo, Fondo Morghen, Corrispondenza con italiani, fasc. 106. Lettera manoscritta di due facciate su carta intestata dell’Istituto di Storia della Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Firenze. Firenze, 2 aprile 1975

Carissimo Professore, ho sempre nutrito sincera stima e amicizia per Ludovico Gatto, che ricordo come uno dei più seri e preparati fra i colleghi negli anni per me “favolosi” dell’Istituto. Quindi, fin dall’inizio, non avevo dubbi che sarebbe stato uno dei candidati da prendere nella massima considerazione nel concorso, del quale (per mia sfortuna) sono stato eletto fra i commissari. Tuttavia ho voluto attendere, prima di risponderle, di aver preso almeno una sommaria visione dell’enorme quantità di pubblicazioni (poveri noi!) che ingombrano un lato della mia stanza. Sosterrò Gatto con piena convinzione come uno dei più meritevoli (e non solo perché più anziano). La prima riunione è per il 26 maggio, al Ministero. Spero in uno dei giorni successivi di poterla riabbracciare. Con molto affetto dal suo Elio Conti 22 1983 gennaio 30 Elio Conti a Raffaello Morghen

Istituto storico italiano per il Medioevo, Fondo Morghen, Corrispondenza con italiani, fasc. 106. Lettera manoscritta su carta intestata dell’Istituto di Storia della Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Firenze. Firenze, 30/1/83

Carissimo Professore, appena due righe, per dirle quanto mi abbia turbato la notizia che Lei ha deci-


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so di lasciare la guida dell’Istituto. È la fine di un’epoca, che ricordo con nostalgia e rimpianto, perché gli anni dell’Istituto sono stati per me i più felici e fruttuosi. Sono stati per l’Istituto anche anni di grandi realizzazioni, alle quali il Suo nome sarà sempre legato. Voglio esprimerle tutta la mia riconoscenza per il molto che all’Istituto ho imparato, sotto la sua affettuosa guida. Con un lungo abbraccio Elio Conti


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ISA LORI SANFILIPPO

SCUOLA STORICA DI STUDI MEDIEVALI. L’AMBIENTE DELLA SCUOLA STORICA ANNI ’50-’60

A me è stato affidato un compito molto più difficile che ad altri: tutti quelli che mi hanno preceduto hanno avuto vita facile nel preparare la propria relazione. Molte pezze d’appoggio: articoli, lettere, necrologi, le opere dei biografati e anche i loro stessi lavori che vertono sul medesimo tema o su temi simili. Io, invece, devo appoggiarmi più che altro sulla mia memoria e la memoria spesso fa brutti scherzi e stravolge la realtà di quello che realmente è successo. Fa vedere – specie se comparato al presente – un passato più bello di quanto non lo fosse in realtà. Ma il periodo immediatamente successivo agli anni Quaranta è stato veramente unico per l’Istituto e da tutti quelli che l’hanno vissuto è ricordato unanimemente come il periodo d’oro della Scuola. Gli anni precedenti erano stati laceranti: la guerra, la morte di Fedele il Presidente per antonomasia, le difficoltà di comunicazione, l’occupazione nazista di Roma, l’Italia divisa in due. Tutto contribuiva a credere che nulla sarebbe stato come prima. L’Istituto dopo la guerra era stato commissariato1. Gaetano De Sanctis, grande storico dell’antichità, doveva reggerlo e ricostituirlo insieme agli altri Istituti storici e alla Giunta2. Per fortuna aveva accanto a sé in Istituto due antichi alunni di Fedele: antichi, anzi i 1 Nel 1943, alla scomparsa di Fedele, era stato nominato Presidente dell’Istituto Carlo Calisse, che mantenne la carica per due anni all’incirca. Morì nel 1945. 2 La Giunta fu assoggettata all’amministrazione di un commissario: il compito venne affidato a Gaetano de Sanctis con decreto luogotenenziale del 28 settembre 1944 (cfr. G. Vitucci, La Giunta centrale per gli “Studi Storici”, in Speculum mundi. Roma centro internazionale di ricerche umanistiche. Unione degli Istituti di archeologia, storia e storia dell’arte in Roma, introd. M. Pallottino, cur. P. Vian, [Roma s.a.], p. 579).


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ISA LORI SANFILIPPO

primi alunni della Scuola, Ottorino Bertolini e Raffaello Morghen3, che nell’Istituto avevano vissuto e avevano per esso lo stesso amore del loro Maestro. De Sanctis affidò al primo la Biblioteca e al secondo la Scuola4. Dopo il commissariamento Morghen viene nominato Presidente5. Nel 1946 era stato bandito un nuovo concorso per la Scuola storica nazionale di studi medievali, da cui erano usciti vincitori per la categoria dei professori Franco Bartoloni, Arsenio Frugoni e Raoul Manselli6. In questi ultimi due Morghen trovò un aiuto formidabile per la rinascita dell’Istituto. Due persone che gli saranno poi accanto anche all’Università. Già Raffaello Morghen ricopriva anche la cattedra di Storia Medievale alla Sapienza. A lungo gli fu rimproverato di preferire l’Istituto anziché l’Università. E in un certo senso era vero: sulla cattedra appariva distaccato e freddo, tanto che era stato soprannominato il Pesce. Per gli alunni più interessati c’erano però i seminari che si tenevano non a Lettere, ma all’Istituto ogni martedì. E un martedì del gennaio 1953 sono entrata per la prima volta a piazza dell’Orologio. Ero al secondo anno di Università e volevo laurearmi in storia medievale: poi non è andata così, ma questa è un’altra storia ... Ero timida, insicura, cresciuta in una scuola tutta femminile, non sapevo muo3 Ambedue si erano laureati con Pietro Fedele: Ottorino Bertolini nel 1915 a Torino, dove aveva seguito anche le lezioni di Gaetano De Sanctis, e Raffaello Morghen nel 1919 a Roma. Nel 1924 erano entrati a far parte della Scuola storica nazionale e vi erano rimasti fino al 1930. 4 Istituto storico italiano per il Medio Evo, Archivio storico, Organi di governo, Fondo istituzionale, Adunanze di giunta, reg. 4, Verbale della seduta del Consiglio Direttivo del 31 ottobre 1947 [d’ora in poi solo Verbale della seduta del Consiglio Direttivo e la data relativa]. 5 Non sono riuscita a trovare, per ora, il documento ufficiale che attesti la nomina di Raffaello Morghen, per quanto abbia controllato vari fondi nell’Archivio storico dell’Istituto. A quanto ricordi, la data dovrebbe essere quella del 24 dicembre 1951. Al 26 dicembre datano le prime congratulazioni: v. Istituto storico italiano, Archivio storico, Fondo Morghen, Attività istituzionale, ISIME, fasc. 65. 6 Il concorso fu bandito, quando De Sanctis era ancora Commissario e terminò nel gennaio seguente. Morghen fece parte della commissione giudicatrice, anzi ne fu il segretario relatore. Cfr. Istituto storico italiano per il medio evo, Archivio storico, Fondo istituzionale (d’ora in poi Arch. stor., Fondo istituz.), Scuola storica nazionale, Concorsi, fasc. 5. La nomina di Morghen a Direttore della Scuola è quindi di poco posteriore. Il comando di Frugoni e Manselli fu prorogato di un triennio: ma il primo si dimise nel febbraio 1951, essendo divenuto assistente di ruolo presso la cattedra di storia medievale della Facoltà di Lettere della Sapienza; Manselli invece portò a compimento il secondo triennio, ma già nel 1952 risulta essere stato nominato segretario dell’Istituto, al posto di Giuseppe Zucchetti, andato in pensione (Verbale della seduta del Consiglio Direttivo del 23 aprile 1952).


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L’AMBIENTE DELLA SCUOLA STORICA. ANNI

’50-’60

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vermi in un mondo che allora era quasi totalmente maschile. Ma all’Istituto ho trovato la mia casa e sono stata adottata da chi allora vi viveva. Ai seminari di Morghen non erano presenti solo i suoi allievi universitari, che a quel tempo erano Mario Sanfilippo, Ovidio Capitani, Ludovico Gatto, Edith Pasztor, Anna Benvenuti Moscati, Luciano Gulli, Teresa Veroi, Nemorino Paolelli e più tardi Lalla Bertolini, Sofia Boesch, ma erano sempre presenti Manselli, Frugoni e alcuni degli allievi della Scuola storica: dico alcuni, perché non ricordo che fossero presenti Enrico Castellani7 – che però fu una meteora – e Luigi Prosdocimi, che se ne disinteressò fin dal primo momento8. C’era certamente Cinzio Violante9, cui si affiancarono ben presto Paolo Lamma, Nicola Cilento, Claudio Leonardi10 e Ludovico Gatto11. 7 Enrico Castellani, vincitore per la categoria dei professori del concorso indetto nel 1951 (Arch. stor., Fondo istituz., Scuola storica nazionale, Concorsi, fasc. 6FI=aveva preso servizio il I° febbraio 1952 presso la Scuola, avendo terminato il precedente comando presso il Centro studi di filologia italiana dell’Accademia della Crusca. Presentò una lettera di dimissioni nell’aprile del 1954, essendo stato chiamato dall’università di Friburgo quale professore di filologia romanza (Arch. stor., Fondo istituz., Scuola storica nazionale, fascicoli personali, fasc. 22). Come alunno della Scuola gli venne affidato il compito di concludere l’edizione della cronaca di Giovanni Villani, iniziata da Francesco Paolo Luiso. Compito che non portò a termine: nel 1960 Morghen comunicherà al Consiglio Direttivo l’offerta di Castellani di pubblicare nelle “Fonti per la storia d’Italia” la Cronaca senza apparato critico e note, offerta che non fu accettata. 8 Vincitore di concorso per la categoria degli Archivisti e Bibliotecari. Fu comandato presso la Scuola dal 1953 al 1955: lui e Castellani furono gli unici, credo, fra gli alunni della Scuola a non aver lasciato traccia alcuna nelle pubblicazioni dell’Istituto. 9 Cinzio Violante, già allievo dell’Istituto di “Studi Storici” fondato da Benedetto Croce, aveva vinto, insieme a Castellani, il concorso indetto nel 1951 per la categoria dei professori. V. in questo stesso volume la relazione di G.M. VaraniniI=Cinzio Violante e la «Scuola storica». Appunti e spunti dal carteggio. 10 Claudio Leonardi era arrivato all’Istituto «per caso», come amava affermare, portatovi da Frugoni, che insieme a lui abitava presso i Filippini della Chiesa Nuova; Morghen, che lo aveva accolto con favore, lo inserì nella segreteria del Convegno per i 70 anni dalla fondazione dell’Istituto. Nel 1954 Leonardi ottenne il posto di libero studioso presso la Scuola e nello stesso anno entrò a far parte della segreteria del Repertorium fontium historiae Medii Aevi, impresa che allora stava decollando e che molto si gioverà della sua opera. Diversi anni dopo Leonardi racconterà che i seminari del martedì gli avevano fatto scoprire un nuovo modo di concepire la storia: in quel momento aveva capito che non solo era necessario narrare gli avvenimenti accaduti nel Medioevo, ma bisognava anche cercare di comprendere perché erano avvenuti: cfr. Leonardi, Storia e utopia in Raffaello Morghen, in Raffaello Morghen e la storiografia del Novecento, cur. L. Gatto - E. Plebani, Roma 2005, pp. 398-406. 11 Ludovico Gatto ottenne il posto di libero studioso insieme a Leonardi: fu anche lui occupato nei lavori preparatori del Repertorium, che poi lasciò al momento di passare all’università, quando divenne assistente di ruolo presso la cattedra di storia medievale.


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ISA LORI SANFILIPPO

In quell’anno accademico 1952/53 i seminari avrebbero dovuto avere come tema la riforma gregoriana. Ma in quello stesso anno Manselli finiva il lavoro sulle eresie del XIII secolo, Frugoni già pensava a Celestino V e a Arnaldo da Brescia12. Era quindi inevitabile che i discorsi, che dico?, le discussioni finissero su quei temi. E non erano discussioni pacifiche, anzi turbolente e impegnate. Ma estremamente interessanti e istruttive13. Poi nell’aprile ci fu il Convegno sulla pubblicazione delle fonti storiche del Medioevo negli ultimi settanta anni, che dette origine, prima e dopo, ad altri temi e ad altri discorsi. Durante quel convegno conobbi Gilmo Arnaldi, che sarebbe diventato anche lui alunno della Scuola (e in seguito Presidente dell’Istituto e Direttore della Scuola) e Paolo Lamma, che proprio in quel Convegno tenne una relazione sul tema a lui congeniale delle fonti bizantine14. E in quei giorni nacque il progetto del rifacimento della Bibliotheca Historica di August Potthast, progetto destinato a mettere le radici nell’Istituto e che ha visto coinvolti anche gli allievi della Scuola15. L’anno seguente ho cominciato a frequentare più spesso l’Istituto. Ormai mi era stata data, anzi imposta, una tesi – non più in storia medievale, ma in paleografia e diplomatica – e il mio professore mi aveva incari12 Queste ricerche sarebbero poi confluite nei primi volumi della collana “Studi Storici”, voluta da Morghen proprio in quegli anni per poter pubblicare gli studi che gli alunni della Scuola andavano facendo (v. Verbale della seduta del Consiglio direttivo del 24 giugno 1952). Fino a quel momento era stato il «Bullettino dell’Istituto storico italiano» (d’ora in poi «Bullettino») a sopperire al bisogno. Cfr. R. Manselli, Studi sulle eresie del sec. XII, Roma 1953, II ediz. ampliata Roma 1975 (“Studi Storici”, fasc. 5); A. Frugoni, Celestiniana, Roma 1954 (“Studi Storici”, fascc. 6-7), rist. anast con prefazione di Cl. Gennaro, Roma 1991 (“Nuovi Studi Storici”, 16); Frugoni, Arnaldo da Brescia nelle fonti del secolo XII, Roma 1954 (“Studi Storici”, fascc. 8-9). 13 A distanza di quarant’anni Ovidio ricordava quei seminari con rimpianto e anche con gratitudine, mettendo in luce l’esperienza, per lui fondamentale, che egli, ma sarebbe meglio dire tutti noi avevamo tratto dal confronto di preparazione e di proposte storiografiche e culturali. Cfr. Lettere a Raffaello Morghen. 1917-1983, cur. G. Braga – A. Forni – P. Vian, Roma 1994 (“Nuovi Studi Storici”, 24), p. VIII, nota 4. 14 P. Lamma, Pubblicazioni relative alle fonti della storia bizantina, in La pubblicazione delle fonti del Medioevo Europeo negli ultimi 70 anni (1883-1953), I: Relazioni, Roma 1954, pp. 235-257. A questa sua prima pubblicazione per l’Istituto ne seguirono ben presto anche altre: negli “Studi Storici” apparvero nel 1955 e nel 1957 i due volumi su Comneni e Staufer. Ricerche sui rapporti fra Bisanzio e l’Occidente nel secolo XII e nel 1961 il libro (licenziato dalla tipografia il giorno stesso della morte di Paolo) su Momenti di storiografia cluniacense. Nel «Bullettino», 75 (1963) fu ripubblicato un articolo, già uscito nel 1958 nella rivista «Studium», su La madre di Pietro il Venerabile. 15 Cfr. I. Lori Sanfilippo, Breve storia del Repertorio, in Senza confini. Il Repertorium fontium historiae Medii Aevi. 1962-2007, cur. Lori Sanfilippo, Roma 2008 (“Nuovi Studi Storici”, 78), pp. 25-48: 25-27 per i primi anni; v. inoltre C. Leonardi, I primi protagonisti, ibid., pp. 49-52.


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cato di fare lo spoglio di alcune riviste tedesche alla ricerca di notizie su temi che lo interessavano per un suo lavoro. Franco Bartoloni, antico allievo della Scuola16, mi aveva spedito all’Istituto certo che lì avrei trovato le riviste da lui indicate. Data la mia frequenza avevo una tessera ed una postazione fissa. Ero al tavolo dove studiava Violante e nella stessa stanza dove stava Cilento17: la stanza dove ancora oggi ho la scrivania. Violante era a capotavola, trincerato dietro un mucchio di libri, sembrava essere lontano e astratto, ma invece vedeva e sentiva tutto . In quella stanza si riunivano spesso anche gli altri, Frugoni e Manselli compresi. Ho capito in quei giorni che gli storici erano (e sono) grandi pettegoli. Ma in quei giorni ho visto litigare aspramente per l’interpretazione di una parola, di una frase di un cronista, su una lettera di un cluniacense. Eretici, santi, bizantini, latini, uomini dell’Imperatore e del papa mi sembravano vivi. Le discussioni erano spesso la continuazione delle riunioni settimanali, che gli alunni della Scuola facevano con Morghen, Frugoni e Manselli e che spesso duravano fino alle ore piccole. Manselli e Frugoni erano venuti ad abitare a Roma da Lucca18 e da Brescia, portando con loro la famiglia; ora a Roma vivevano stabilmente Paolo Lamma e Cinzio Violante, mentre Cilento veniva da Napoli un gior16 Franco Bartoloni, allievo di Pietro Fedele e di Vincenzo Federici, si era presentato al concorso del 1937, ma non venne accettato, perché la sua entrata in ruolo nella scuola statale era avvenuta sedici giorni dopo il termine utile per la presentazione della domanda; aveva ritentato nel 1942 – quando era sotto le armi – e infine aveva partecipato al concorso indetto nel 1947 – di cui sopra alla nota 6 – risultando il primo in graduatoria. Il suo comando sarebbe finito il 30 settembre 1950, ma gli venne concesso un ulteriore anno, che non sfruttò pienamente, perché assunse servizio presso l’università di Messina il 19 febbraio 1951, per passare nel novembre del seguente anno accademico sulla cattedra di paleografia e diplomatica della Facoltà di Lettere della Sapienza. 17 Nicola Cilento, eminente storico del Mezzogiorno medievale, fu alunno della Scuola storica dal 1° ottobre 1953 al 30 settembre 1959; il 1° ottobre di quello stesso anno fu nominato segretario dell’Istituto al posto di Manselli e mantenne la carica fino a tutto il 1967, quando, vincitore di concorso universitario, insegnò prima a Macerata e poi a Salerno. Durante gli anni romani collaborò al Repertorium fontium historiae Medii Aevi, redigendo voci per il comitato italiano e occupandosi soprattutto della revisione del latino di tutte le parti redazionali dell’opera. 18 In una lettera inviata da Manselli a Morghen per congratularsi con lui della nomina a Direttore della Scuola si trova il ringraziamento di Manselli «per il permesso che Ella mi ha ottenuto di rimanere in Lucca per attendere ai miei studi»: v. Lettere a Raffaello Morghen cit., n. 51, pp. 83-84 (11 novembre 1947) e anche il Verbale della seduta del Consiglio Direttivo del 31 ottobre 1947. Poco dopo Manselli si trasferì a Roma, dove rimase ininterrottamente – a parte il periodo torinese (1960/66) e fu una presenza costante e positiva in Istituto.


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no sì ed uno no. Era una vita in comune: si studiava, si discuteva di argomenti seri, ma si andava anche a mangiare insieme, insieme si andava al cinema e a teatro o si girava per Roma. Era il compimento di quello che Morghen desiderava, una vita in comune, ma ben diversa dalla koiné del suo maestro Buonaiuti. Qui non c’era una guida superiore, tutti erano alla pari ed avevano le proprie idee e il più delle volte non volevano recedere dalle proprie opinioni. All’inizio Morghen era alquanto preoccupato da queste diversità, specie del modo di concepire il fenomeno storico19 di Violante ed in una lettera, anni dopo, racconta che aveva parlato di questa sua preoccupazione anche con Federico Chabod, allora direttore dell’Istituto di Studi Storici di Napoli. Non era persuaso specialmente del fatto che Violante incentrasse «sul fatto economico-sociale l’essenza del fenomeno storico»: una visione ben lontana dalla sua. E Chabod gli aveva risposto di lasciare che ognuno svolgesse la sua attività di studioso, secondo la sua vocazione iniziale, aggiungendo che «un vero storico si matura in forme sempre più complesse, che comprendono tutta la realtà»20. E Morghen aveva seguito e seguirà il consiglio dell’amico. Alla Scuola21 vigeva libertà di pensiero, come libertà di contraddittorio. In fondo nella diversità delle opinioni ognuno si chiariva le proprie idee22. Come Manselli e Frugoni erano diversi fra loro, così anche Violante, Lamma e Cilento percorrevano vie differenti, ma la loro amicizia era stret19 Già nel giudizio espresso dai commissari del Concorso del 1951 era stato rilevato che tendeva «a schematizzare troppi fenomeni sociali e politici del secolo XI secondo atteggiamenti del pensiero moderno». 20 Lettere a Raffaello Morghen cit., n. 60, p. 98 (2 ottobre 1970). Morghen intrattenne sempre una fitta corrispondenza con i suoi allievi, lettere ufficiali e lettere personali, nelle quali è interessante notare la diversità di tono a seconda che il suo interlocutore fosse a lui congeniale o meno. Oltre il tono diverso, fa la differenza anche il fatto che egli dava del tu solo ad alcuni, non a tutti. 21 La Scuola Romana, se mai è esistita, era composta da persone già adulte che ragionavano con la propria testa ed avevano le proprie convinzioni e il Maestro, in fondo, era soddisfatto di poter dialogare con delle teste pensanti. 22 Nicola Cilento nel necrologio di Paolo Lamma, scritto con grande affetto e rimpianto («Bullettino», 73 [1961], pp. 279-286), mette bene in luce l’apporto di queste discussioni alla crescita dei singoli studiosi. «Chi c’è stato non può dimenticare – ed il ricordo si fa struggente per l’amico caduto per via – quel periodo assai fervido di discussioni feconde: nella riunione settimanale, che spesso si protraeva sino ad ora tardissima, si poneva un dialogo, diretto assai liberamente, in cui veniva temperata l’esuberanza dei più accaniti fra i giovani studiosi e in cui ciascuno aveva modo di illimpidire le proprie idee a se stesso prima che agli altri, attraverso un processo di «decantazione» - il termine e il metodo sono del maestro comune, Raffaello Morghen – risultante dalla dialettica delle opinioni».


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tissima. Uno alla volta lasciano l’Istituto: Manselli per Perugia e poi Torino, Frugoni per Pisa, Violante per Milano e poi Pisa, Lamma prima per Catania e poi per Padova, mentre Cilento diviene il segretario dell’Istituto al posto di Manselli. Morghen era giustamente orgoglioso quando faceva notare che gli allievi della Scuola sotto la sua direzione erano tutti, o quasi, arrivati a coprire una cattedra universitaria23. Succederà – come vedremo fra breve – anche a Cilento e ad altri venuti dopo di lui. Lamma sarà il primo ad andarsene ancora più lontano: per Morghen fu un dolore grande24 e per noi tutti un distacco atroce. Degli alunni di quegli anni era stato il più umano, il più caldo, il più sensibile ai bisogni degli altri e dimentico di se stesso e della sua vita non facile, piena di dolori e di acciacchi. Di Violante ha parlato Varanini, ma Lamma avrebbe meritato anche lui un ricordo, come pure Cilento. Nicola rimase, come già detto, all’Istituto fino al 1968, sempre facendo su e giù con Napoli. Nel 1955 era stato bandito un nuovo concorso per coprire i posti liberi25. Uno destinato ai funzionari nelle Amministrazioni dello Stato – che andò deserto – e cinque per liberi studiosi – questi ultimi posti onorifici che non davano però alcun compenso pecuniario. Quell’anno due di questi posti, per una convenzione con la Regione Sardegna, sarebbero dovuti andare a due laureati nelle Università sarde26 e furono ricoperti da Antonio Meloni e Andrea Carboni. Un posto non fu assegnato e gli altri due andarono a Ovidio Capitani ed Elio Conti. Il primo era un assiduo frequentatore di piazza dell’Orologio, allievo e poi assistente volontario di Morghen, 23 Nel 1973, nel cinquantesimo dell’istituzione della scuola Morghen scriveva che da essa «sono stati avviati al magistero universitario la maggior parte di tutti i docenti di storia antica, medioevale e moderna che oggi siedono sulle cattedre delle Università italiane» (R. Morghen, Gli studi sul Medioevo nell’ultimo cinquantennio, in Fonti medioevali e problematica storiografica. Atti del Congresso internazionale tenuto in occasione del 90 anniversario della fondazione dell’Istituto storico italiano (1883-1973), Roma 1976, p. 9). Dopo di allora questo divenne un leit-motiv nei suoi discorsi 24 Il rapporto di Morghen con Lamma e sua moglie era stato molto stretto e si può dire che non si interruppe con la morte di Paolo, perché Morghen mantenne un’affettuosa corrispondenza con la sua vedova. 25 Il concorso fu indetto nel giugno 1955 (v. Arch. stor., Fondo istituz., Scuola storica nazionale, Concorsi, fasc. 13). 26 Ibid., fascc. 17 e 47. Il bando di concorso, pubblicato sul Bullettino ufficiale della Regione autonoma della Sardegna (6 giugno 1955) prevedeva due borse di studio presso l’Istituto storico italiano per il Medioevo di Roma e due presso l’Istituto di Studi Storici “Benedetto Croce” di Napoli da assegnare a due laureati presso le Università sarde, nati in Sardegna da genitori sardi. L’accordo era stato firmato dal Presidente dell’Istituto e


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vice di Frugoni per quanto riguardava la biblioteca dell’Istituto. Il secondo era uno sconosciuto: Morghen nella seduta del Consiglio direttivo del 21 gennaio 1956 si sentì in dovere di presentarlo agli altri membri del Consiglio, raccontando che conduceva ricerche archivistiche sulla vita economica e sociale di Firenze nei secoli XIV e XV e proponendo di farlo continuare a vivere a Firenze, perché solo nell’archivio di quella città poteva trovare materiale per le sue ricerche27. E lì lo conobbi, quando, dopo essermi sposata, seguii mio marito a Firenze e per essere più precisi all’Archivio di Stato di Firenze che allora era ancora nella Manica Lunga degli Uffizi; lì diventammo amici: un’amicizia stretta e durata a lungo, fino alla morte di Elio. Nel 1956 si erano liberati i posti destinati a professori e archivisti28. Furono ricoperti da Gilmo Arnaldi, che già si era trasferito a Roma, da Elio Conti, che nel frattempo era entrato negli Archivi29 e da Gianni Zippel, che dall’Assessore alla Sanità e alla Cultura della Regione Sardegna. Conclusasi la borsa di studio dei primi due vincitori, ricordo che la borsa per l’anno accademico 1958/59 fu assegnata, a Rosaura Muzzioli, dopo della quale non mi risulta che qualcuno abbia goduto una borsa del genere. 27 La vulgata conosciuta in Istituto afferma che Elio Conti fu il primo a derogare alla norma dell’obbligo di residenza a Roma. Non so quante volte questo sia accaduto negli anni precedenti, ma, come ho già detto, Manselli usufruì di una simile concessione almeno per il primo periodo del suo alunnato (v. nota 18) e quindi Conti non è stato un apripista. A dire il vero, nei bandi dei primi concorsi non compare la clausola dell’obbligo della residenza a Roma, che invece si trova sia nel decreto di approvazione della Scuola storica nazionale (firmato Giovanni Gentile, 20 giugno 1923) sia nel Regolamento della Scuola del 10 novembre 1936 dove si dice che gli alunni «hanno l’obbligo di risiedere a Roma dal 1° ottobre al 15 luglio», ma si aggiunge anche che «sulla base del programma di massima, di cui all’articolo 3, il Presidente dell’Istituto stabilisce le sedi nelle quali i membri dovranno lavorare, la durata della permanenza in dette sedi e gli assegni da corrispondere a ciascuno di essi» (tutti e due i decreti ministeriali sono attualmente collocati nell’Arch. stor., Fondo istituz., Scuola storica nazionale, busta non inventariata. Ringrazio Marzia Azzolini, che li ha trovati e me li ha segnalati). Per la prima volta proprio nel bando di concorso per il triennio 1955-1958 (quindi del concorso di cui sopra) si trova menzionato l’obbligo di residenza a Roma per tutta la durata del comando: anche i liberi studiosi dovranno ottemperare a quest’obbligo, ma per un periodo più ristretto: dal I° settembre al I° giugno. 28 Il bando prevedeva tre posti: uno per professori, uno per archivisti o bibliotecari ed uno per funzionari di gruppo A delle amministrazioni dello Stato: non essendosi presentato nessuno per quest’ultimo posto – come del resto era successo nei due concorsi precedenti – si decise di assegnarlo ad un archivista o bibliotecario sempre afferente al gruppo A. 29 La graduatoria fu accettata in prima istanza dal Ministero della Pubblica Istruzione, ma, poiché il Consiglio superiore degli Archivi aveva eccepito sul fatto che Elio Conti non avesse ancora compiuto il prescritto periodo di prova, predispose che decorresse dal 20 marzo 1957 il comando del solo Arnaldi (v. Arch. stor., Fondo istituz., Scuola storica nazionale, Fascicoli personali, fasc. 25: lettera del Ministero in data 4 aprile 1957).


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lo mantenne per poco più di un anno30 e poi per ragioni familiari preferì andare all’Istituto di cultura italiano a Colonia e fu sostituito da Mario Grignaschi professore triestino, interessato all’impero ottomano e alla Turchia moderna, risultato secondo nel concorso. L’ambiente della Scuola cambiò completamente, si stravolse quasi. Il più integrato, il più assiduo nella presenza in Istituto era certamente Arnaldi, ma anche lui era ben lontano dagli interessi coltivati da Lamma, Cilento, Violante. Morghen, se a fatica aveva capito l’ interesse per la storia economica e sociale di Violante, che pure parlava la sua stessa lingua nel campo della spiritualità religiosa, ora si trovava con due allievi che per lui erano come degli alieni e faticava ad entrare in sintonia con loro. Nel frattempo ero tornata a Roma ed ero entrata a far parte dell’équipe del nuovo Potthast, così era chiamato il Repertorio; contemporaneamente avevo fatto i concorsi per l’abilitazione, avevo vinto il concorso e ottenuto una cattedra nelle scuole. La mia presenza era continua in Istituto al Repertorio, ma partecipavo meno alle vicende della Scuola. Morghen sentì in quegli anni la necessità di far venire altre persone perché parlassero agli alunni della Scuola31. Conferenze e seminari su temi diversi si susseguivano, continuavano anche gli incontri con gli alunni, non più settimanali, ma mensili ed erano aperti anche a coloro che lavoravano al Repertorio. In quei momenti si notava con maggiore evidenza la profonda differenza tra le concezioni storiografiche del direttore e gli interessi dei nuovi alunni con effetti qualche volta comici, sembrava un dialogo tra sordi. Gli interessi di Grignaschi erano tutti volti alle sponde orientali del Mediterraneo. Fin dall’inizio del suo alunnato egli aveva fruito di borse di studio che gli permettevano di vivere per alcuni mesi ad Istanbul. In partenza egli era uno studioso della filosofia di Averroè: cercando di avvicinarsi agli interessi dell’Istituto, si offrì di studiare il feudo turco. Morghen si 30 Gianni Zippel, nonostante la brevità del suo alunnato, lascia memoria di sé nel «Bullettino» con tre articoli: La lettura del diavolo al clero, dal secolo XII alla Riforma (nel numero 70 del 1958); Ludovico Foscarini ambasciatore a Genova nella crisi dell’espansione veneziana sulla Terraferma (1449-50) (n. 71 del 1959); Gli inizi dell’Umanesimo tedesco e l’Umanesimo italiano nel XV secolo (n. 75 del 1963). 31 Nella seduta del 30 giugno 1956 il Consiglio direttivo approvò la proposta avanzata da Morghen di affiancare alle abituali conferenze pubbliche alcune lezioni di tono nettamente scientifico, che gli alunni della Scuola sarebbero stati obbligati a frequentare. Le prime lezioni furono tenute nel 1957 da Francesco Calasso, Giulio Battelli, Ezio Franceschini: tre grandi luminari in tre campi completamente diversi. Ancora una volta da queste scelte si può comprendere la grande apertura culturale di Raffaello Morghen.


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mostrò interessato e cercò di saperne un po’ di più. Con sua grande delusione scoprì che si trattava di un fenomeno ben diverso da quello occidentale, ma fin qui il tema sarebbe potuto andare bene, ma, c’è un ma alquanto grosso: il feudo turco finiva con Kemal Ataturk e così si arrivava al XX secolo. Il Medio Evo turco ha una ben lunga durata. Alla fine venne assegnato a Grignaschi il compito di studiare la diffusione in area mediterranea del Secretum Secretorum e delle sue traduzioni nel mondo occidentale. Arrivarono microfilm, si sentiva parlare dei rapporti tra la versione spagnola occidentale e la versione orientale. Passarono gli anni dell’alunnato e non si concluse la ricerca, anche a causa dei problemi di salute dello studioso. Grignaschi tornò al suo liceo triestino, andrà poi a coprire la cattedra di storia delle costituzioni islamiche e sarà incaricato dei corsi di ottomano nell’Università di Venezia. Morghen non si intese mai con questo suo allievo, che ebbe maggiori contatti con Manselli, sempre molto curioso di conoscere momenti e pensieri lontani dai suoi ambiti di studio. Con Elio Conti invece si instaurò un rapporto molto stretto: Manselli/Conti e Morghen/Conti. Morghen, nonostante la profonda diversità degli ambiti di studio, della visione politica, dell’essere l’uno pervaso da profonda religiosità e l’altro uno spirito estremamente laico, ebbe sempre un affetto speciale per Elio, che aiutò in tutti i sensi: da quello economico – a Conti per lunghi periodi non fu corrisposto lo stipendio dallo Stato32 e Morghen gli concesse anticipi mensili33–, a quello affettivo e Conti sentì per Morghen sempre un profondo legame di riconoscenza e di affetto come dimostrano le sue lettere. Ancora vent’anni dopo, quando Morghen decise di lasciare la guida dell’Istituto, Conti gli scrisse di essere turbato dalla notizia, che sentiva come «la fine di un’epoca che ricordo con nostalgia e rimpianto, perché gli anni dell’Istituto sono stati per me i più felici e affettuosi e sono stati per l’Istituto anche anni di grandi realizzazioni, che saranno sempre legati al Suo nome. Voglio esprimerLe la mia riconoscenza per il molto che all’Istituto ho imparato sotto la sua affettuosa guida»34. Gli anni affettuosi, la sua affettuosa guida: questa ripetizio32 Il problema dello stipendio verrà sistemata solo nel 1962, ma fin dall’inizio Conti si era imbattuto in mille altre difficoltà prima di ottenere che gli fosse riconosciuto il diritto al distacco dall’Archivio di Stato di Lucca, difficoltà da parte del Direttore dell’Archivio stesso e anche dal Ministero dell’Interno, dal quale allora dipendevano gli archivi. Arnaldi, come già detto, viene insediato nella Scuola nei primi mesi del 1957, mentre il comando di Elio decorre dal I° febbraio 1958. Da quel momento in poi le due carriere corrono parallele. 33 Arch. stor., Fondo istituz., Scuola storica nazionale, Fascicoli personali, fasc. 49. 34 Arch. stor., Fondo Morghen, fasc. 106: lettera 30 gennaio 1983.


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ne sottintende un mucchio di cose. Al funerale di Morghen Elio era accanto a me e il suo dolore era manifesto, nonostante la sua riservatezza. Con Conti e Grignaschi la Scuola era diventata diversa, solo Arnaldi era sempre presente. Viveva, si può dire, in Istituto35. E lavorava nella redazione italiana del Repertorio accanto a Frugoni, che era tornato a Roma, avendo Morghen sdoppiato la sua cattedra alla Sapienza. Nel 1959 Arnaldi e Conti avevano ottenuto una proroga al comando, prima solo fino al marzo dell’anno seguente e poi per un altro triennio, fino al 31 ottobre 196336. Si affiancarono a loro Cesare Erminio Vasoli e Ottavio Banti37, altri due che a Roma non si stabiliranno e verranno in Istituto solo – e non sempre – quando vi si tenevano seminari e conferenze. La Scuola era proprio mutata: la comunanza di vita e di studio dei primi anni Cinquanta non esisteva più. I rapporti erano tenuti principalmente da Manselli e in seguito da Frugoni, divenuto nel 1962 Segretario generale dell’Istituto38. Le conferenze annuali aperte ad un vasto pubblico continuavano come pure i seminari per gli alunni della Scuola, ma le riunioni mensili erano più asettiche: gli alunni riferivano sui loro lavori, che però svolgevano nelle loro sedi39. Appaiono i loro articoli sul «Bullettino»40, escono i 35 E continuerà a viverci anche dopo, terminato il suo alunnato e ancora di più negli anni della sua presidenza. Nel periodo, in cui è stato comandato alla Scuola, escono nel «Bullettino» alcuni suoi articoli: 68 (1956) Giovanni Immonide e la cultura a Roma al tempo di Giovanni VIII; 71 (1959) Il biografo “romano” di Oddone da Cluny; 75 (1963) Come nacque l’attribuzione ad Anastasio del Liber Pontificalis. 36 Alcuni giorni prima che termini il comando, Conti risponde ad una richiesta di Morghen: «...L’informerò meglio in occasione della prossima riunione della Scuola. Sarà l’ultima, ahimè, come “comandato”, ma non come allievo e membro della Sua scuola, almeno lo spero» (Arch. stor., Fondo Morghen, fasc. 106: lettera 23 settembre 1963). Nonostante le abissali differenze di vedute, Conti riconosce in Morghen il “suo” maestro e promette una frequentazione dell’Istituto, promessa, che in realtà non manterrà. 37 Arch. stor., Fondo istituz., Scuola storica nazionale, Concorsi, fasc. 18. Il concorso indetto nel 1959, fu espletato nel 1960. 38 Manselli e Frugoni sono nominati Consiglieri aggiunti nella seduta del Consiglio direttivo del 10 novembre 1961; in seguito vengono designati quali Consiglieri (Verbale della seduta del Consiglio Direttivo del 2 dicembre 1966). La nomina sarà ratificata ufficialmente nel giugno dell’anno seguente. 39 Anche gli ex-alunni vengono invitati a parlare delle loro ricerche: nel 1959, ad esempio, Claudio Leonardi parlò di Raterio, mentre Arnaldi, che in quell’anno era ancora alunno della Scuola, presentò i suoi studi su Anastasio Bibliotecario. 40 Nel «Bullettino» trovano posto in quegli anni due articoli di Banti: Per la storia della cancelleria del comune di Pisa nei secoli XII-XIII ( 73 [1961]) e Studio sulla genesi dei testi cronistici pisani del secolo XIV (ibid., 75 [1963]). E negli stessi volumi anche due articoli di Vasoli: Temi e motivi della riflessione morale di Alano di Lilla nella “Summa quoniam homines” e nel “Tractatus de virtutibus” (1961) e Il “Contra haereticos” di Alano di Lilla (1963).


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risultati delle loro ricerche negli “Studi Storici”41. Banti è l’unico che porta a termine l’edizione che gli era stata affidata: nel 1963 esce la Cronaca pisana di Ranieri Sardo nelle “Fonti per la storia d’Italia”42. Vasoli, cui era stato dato il compito di editare l’epistolario del Bruni, si occupa invece, come già detto, di Alano di Lilla e, dopo aver ottenuto un incarico presso l’Università di Firenze, vince il concorso da ordinario e va a Cagliari43. Quando è arrivato alla Scuola, era uno studioso già formato e il periodo romano è stato per lui – come lo sarà per altri – un periodo di studio e di ricerca intenso, ma a livello personale. Morghen si accorse che la Scuola stava diventando una cosa diversa da quella che lui aveva avuto in mente: per i comandati equivaleva ad un periodo in cui essere liberi da ogni altro impegno che non fosse quello di studiare e di fare ricerca: periodo meraviglioso, irrepetibile, ma, per così dire, egoistico. Non era più un periodo di scambi di idee, di aiuto reciproco, di litigate chiarificatrici. Decise quindi che gli alunni della Scuola dove-

41 Nel 1961 era apparso postumo l’importante lavoro di Paolo Lamma: Momenti di storiografia cluniacense (“Studi Storici”, fascc. 43-44), mentre nel 1963 Arnaldi partecipa al volume miscellaneo Studi Ezzeliniani (ibid., fascc. 45-47) e nello stesso anno dà alle stampe gli Studi sui cronisti della Marca trevigiana nell’età di Ezzelino da Romano (ibid., fascc. 48-50; rist. anast. 1998): inoltre nel 1965 escono due volumi di Elio Conti su La formazione della struttura agraria moderna del contado fiorentino, I: Le campagne nell’età precomunale (ibid., fascc. 51-55) e III: Monografie e tavole statistiche sec. XV-XIX (ibid., fascc. 6163) Per motivi concorsuali usciranno in edizione provvisoria due libretti: nel 1965 La formazione della struttura agraria moderna nel contado fiorentino e nel 1966 I catasti agrari della repubblica fiorentina e il catasto particellare toscano (sec. XIV-XIX), che, dopo essere stati rivisti e licenziati dall’autore, sarebbero dovuti comparire negli “Studi Storici”; però nel 1973 Elio scriverà a Morghen, chiedendo scusa per il ritardo con il quale avrebbe consegnato la stesura definitiva del suo lavoro e proponendo un nuovo assetto dei volumi. V. Arch. stor., Fondo istituz., Scuola storica nazionale, fascicoli personali, fasc. 49. V. in questo volume la relazione di Giampaolo Francesconi dal titolo «Gli anni favolosi dell’Istituto». Elio Conti alunno della Scuola storica (1958-1963) e la recente ristampa anastatica dei quattro volumi corredata da una presentazione dello stesso Francesconi, Roma 2014 (“Studi Storici”, 51-68). 42 Banti porterà poi a termine tra il 1985 e il 1993 l’edizione di Nicola Caturegli – che era stato suo maestro – delle Carte arcivescovili pisane del secolo XIII (“Regesta chartarum”, 38, 40, 43). Negli Studi sul Medioevo cristiano cit. infra uscirà un altro suo articolo su Forme di governo personale nei comuni dell’Italia centro-settentrionale nel periodo consolare (secc. XI-XII), pp. 29-56. 43 Nel 1974, nel 90° anniversario dell’Istituto Storico Italiano, furono offerti a Raffaello Morghen due volumi con articoli di alunni, ex alunni e collaboratori recenti e passati: agli Studi sul Medio Evo cristiano, Roma 1974 (“Studi Storici”, fascc. 88-92) collaborò anche Vasoli con un articolo, Profezia e astrologia in un testo di Annio da Viterbo (pp. 1027-1060).


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vano riprendere a vivere a Roma: non bastava l’impegno preso nella domanda di ammissione al concorso44, ci voleva un impegno reale in modo che essi potessero effettivamente dedicarsi alle edizioni in funzione delle quali la Scuola era stata in origine istituita45. Di questo suo convincimento egli fece partecipi i membri del Consiglio direttivo nel giugno 1963 e nella stessa riunione annunciò di aver chiesto ad alunni ed ex alunni della Scuola di inviare un saggio da pubblicare sul «Bullettino» in modo da celebrare così il quarantesimo dell’istituzione delle Scuola storica nazionale. In molti risposero all’invito e nel numero 75 del «Bullettino» infatti si trovano gli articoli di Martini, Cilento, Violante, Leonardi, Palumbo, Brezzi, Vasoli, Lamma, Manselli, Frugoni, Guido Rossi, Gasparrini Leporace46, Banti, Arnaldi, Zippel, De Santis. Nel novembre dello stesso 1963 si tenne in Istituto una giornata celebrativa, che accumunava il ricordo di tre momenti importanti: era l’ottantesimo anniversario della sua fondazione dell’Istituto, il quarantesimo dell’istituzione della Scuola e il ventesimo della morte del suo ideatore47.

V. nota 27. Verbale del Consiglio Direttivo 17 giugno 1963. Nella commemorazione di Fedele che Morghen fece nel ventesimo anniversario della sua morte, ricordava che il suo maestro, benché editore di diversi cartari monastici, era stato più portato all’indagine critica dei testi che non agli studi di diplomatica e per questo aveva assegnato sempre come primo compito agli allievi della Scuola l’edizione critica di un testo medievale, essendo convinto che «il modo migliore per farsi le ossa, per uno storico in erba, fosse quello di cimentarsi nella ricostruzione e nell’esegesi di una fonte medievale» («Bullettino», 75 [1963], pp. 1-5). 46 Tullia Gasparrini Leporace fu l’unica donna a partecipare alla miscellanea con un articolo dal titolo Una supplica originale per ‘fiat’ del papa Giovanni XXII (pp. 247-257F. In realtà la Gasparrini Leporace non era stata un’alunna della Scuola, ma, su richiesta di Fedele, venne comandata presso la Scuola con il compito di riordinare la Biblioteca per il triennio 1935-37, poi rinnovato per altri tre anni. Durante il comando, oltre ad occuparsi del riordinamento del materiale librario della sala di consultazione e di quella delle riviste (le due sale furono due nuove acquisizioni durante la presidenza di Pietro Fedele), scrisse un articolo dal titolo Un diploma dell’imperatore Guido e il suo ‘actum’ apparso nel «Bullettino», 52 (1937), pp. 257-263 e pubblicò l’inventario de I manoscritti capilupiani della biblioteca Centrale di Roma, apparso nella collana “Guida storica e bibliografica degli Archivi e delle Biblioteche d’Italia”, curata dall’Istituto, Roma 1939 (all’epoca lei faceva parte dell’organico della Biblioteca Vittorio Emanuele). Nei “Regesta Chartarum Italiae”, n. 32 uscirono nel 1948 Le suppliche di Clemente V, vol. I, quando lei si era allontanata non solo dall’Istituto, ma anche da Roma. 47 E in quell’occasione fu presentato il numero del «Bullettino», di cui erano state tirate 100 copie speciali con il titolo di “Miscellanea di Studi Storici in occasione del 40° anniversario della fondazione della Scuola Storica Nazionale”. 44 45


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L’Istituto era ben vivo e la Scuola si preparava a rinnovarsi. Espletato il concorso bandito nel 196348, Anna Morisi e Franco Gaeta coprivano i posti riservati ai professori, Vito Tirelli e Giampaolo Tognetti quelli riservati agli archivisti. In più erano entrati come liberi studiosi Roberto Abbondanza, Antonia Borlandi49 e Paolo Bertolini, che in seguito al concorso successivo – bandito per le dimissioni di Ottavio Banti, che aveva ottenuto un posto di assistente alla cattedra di storia medievale presso l’università di Pisa – entrerà anche lui a far parte della Scuola50. La Scuola era quindi al completo e a ciascuno dei cinque alunni era stato affidato il suo compito. Nell’archivio storico ho trovato le relazioni che essi fanno all’inizio del loro comando51: scoperta fortunata, perché si sono conservate di questi anni pochissime relazioni, che gli alunni dovevano invece fare annualmente. Questi scritti hanno il loro riscontro in un verbale del Consiglio direttivo52. Morghen parla delle “scelte” che i nuovi comandati hanno proposto per l’approvazione del Consiglio e nello stesso tempo fa qualche considerazione su di loro. Gaeta, da lui giudicato uno studioso maturo53, autonomo, ben orientato e preparato filologicamente, intendeva approntare l’edizione dei tredici libri dei Commentari di Enea Silvio Piccolomini, che considerava il più bel testo narrativo della nostra storiografia quattrocentesca. Il Consiglio approva, ma l’edizione non uscirà mai. In cambio Gaeta scriverà per il «Bullettino» un lungo articolo sulla lettera di Pio II a Maometto e un altro su Giorgio di Trebisonda, le leggi di Platone e la costituzione di Venezia.54. Arch. stor., Fondo istituz. Scuola storica nazionale, Concorsi, fasc. 21. Rimase molto poco alla Scuola, pur essendosi trasferita a Roma: tornò infatti a Genova nel giugno 1964 in seguito alla morte della madre. Aveva in progetto l’edizione dei Libri iurium reipublicae Ianuensis, di cui parla in una relazione consegnata nello stesso giugno (Arch. stor., Fondo istituz., Scuola storica nazionale, Concorsi, fasc. 23), ma che non riuscì a portare a termine. Ritenterà il concorso per la Scuola e vincerà per la categoria dei professori nel 1969 e affronterà allora un altro tema di ricerca, ma si veda più oltre. 50 Ibid., fasc. 24. 51 Ibid., fasc. 23. 52 Verbale della seduta del Consiglio Direttivo del 13 giugno 1964. 53 Morghen aveva tutte le ragione per fare questa affermazione: infatti Franco Gaeta era stato precedentemente borsista dell’Istituto di studi storici di Napoli, sotto la direzione di Federico Chabod e nella collana di questo Istituto aveva pubblicato le sue ricerche su Lorenzo Valla. Dal 1953 al 1958 era stato comandato presso la Scuola annessa all’Istituto di storia moderna e in quegli anni aveva curato i primi volumi sulla Nunziatura di Venezia ed edito testi quattrocenteschi. Inoltre nel 1955 aveva ottenuto la libera docenza in storia moderna. 54 Rispettivamente «Bullettino», 77 (1965), pp. 127-227 e 82 (1970), pp. 470-501. Nel 1978 uscirà negli “Studi Storici” un volume che raccoglie un ciclo di conferenze tenute nel 48 49


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Anna Morisi, da Morghen giudicata ben orientata verso lo studio dei ptoblemi religiosi quattrocenteschi, aveva in animo di studiare la figura e l’opera di Amadeo de Silva, frate lusitano, ma vissuto a Milano, tardo erede dei movimenti religiosi francescani, e di pubblicare un lungo studio su questo personaggio, corredato in appendice da documenti inediti e dall’edizione della sua opera, l’Apocalypsis Nova. Il lavoro uscirà negli “Studi Storici” alla fine dell’alunnato della Morisi, che nel frattempo però si era resa conto che dietro l’Apocalypsis Nova non poteva esserci il beato Amadeo, bensì un altro anonimo autore55. Nel 1967 la Morisi pubblicherà sul «Bullettino» un articolo sulle due redazioni della Collatio Novi Testamenti del Valla, che riprende un argomento studiato anni prima56. Giampaolo Tognetti, molto più incerto nelle sue scelte, aveva in progetto di curare l’edizione della cronaca di Saba Malaspina, ma ne viene sconsigliato perché proprio in quegli anni ne stava curando la pubblicazione A. Nitschke per i Monumenta Germaniae Historica57. Al Consiglio Direttivo appare poi troppo esiguo l’altro progetto presentato dal Tognetti, di studiare il moto dei Bianchi del 1399, che sarà oggetto di un lunghissimo articolo apparso in seguito nel «Bullettino»58; proporrà infine un lavoro su temi e motivi di letteratura e di propaganda religiosa per il periodo 1480-1530. Vito Tirelli si proponeva di continuare le sue ricerche sulla società cremonese nei secoli X-XIII e di pubblicare l’edizione integrale del Liber pri1967 a Rimini in occasione del quinto centenario della morte di Sigismondo Malatesta, fra queste trova posto una sulla «Leggenda» di Sigismondo Malatesta, nella quale il Gaeta sfrutta ancora una volta alcuni spunti che gli derivavano dalla lettura dei Commentari di Pio II: cfr. P.J. Jones – A. Vasina – Ch. Mitchell – P. Sampaolesi – P.G. Pasini – F. Gaeta, Studi Malatestiani, Roma 1978 (“Studi Storici”, fascc. 220-222), pp.150-196. 55 A. Morisi, Apocalypsis Nova. Ricerche sull’origine e la formazione del testo dello pseudo-Amadeo, Roma 1970 (“Studi Storici”, fasc. 77). 56 A. Morisi, A proposito di due redazioni della Collatio Novi Testamenti di Lorenzo Valla, «Bullettino», 78 (1967), pp. 345-381 e qualche anno più tardi pubblicherà Vangeli apocrifi e leggende nella cultura religiosa del tardo Medioevo, ibid., 85 (1974-1975), pp. 151177. Nel 1974 parteciperà agli Studi sul Medioevo cristiano con un articolo dal titolo Una pagina sconosciuta di Andrea Biglia sull’immortalità dell’anima (pp. 539-553). 57 L’edizione uscirà solo nel 1997, a cura di W. Koeller - A. Nitschke, in M.G.H., SS., 35. 58 «Bullettino», 78 (1967), pp. 205-344. Tognetti continuerà negli anni a collaborare alla rivista dell’Istituto: La fortuna della pretesa profezia di San Cataldo, «Bullettino», 80 (1968), pp. 273-317; Note sul profetismo nel Rinascimento e la letteratura relativa, ibid., 82 (1970), pp. 128-157; I fraticelli, il principio di povertà e i secolari, ibid., 90 (1982-1983), pp. 77-145; La profezia come potere carismatico, ibid., 104 (2002), pp. 177-180. Nel 1974 aveva partecipato agli Studi sul Medioevo cristiano con un articolo dal titolo Amare la patria più che l’anima: Contributo circa la genesi di un atteggiamento religioso (pp. 1011-1026).


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vilegiorum Cremonensis Ecclesie, detto anche Codice Sicardo, dal vescovo che ne curò la redazione tra il 1185 e il 1215. Era la prima volta da quando Morghen era presidente che qualcuno pensava all’edizione di documenti: dopo Franco Bartoloni nessun allievo della Scuola aveva presentato un progetto del genere o era stato invitato a farlo. Morghen infatti era alquanto refrattario ai documenti (ne so qualcosa io!), per lui esistevano solo i testi narrativi. Comunque sia, quest’edizione non si fece e il Tirelli finì il suo alunnato senza finire neanche l’altra opera, che aveva progettato, e per la quale erano stati previsti due fascicoli negli “Studi Storici”, i cui numeri non sono mai stati coperti59. A Paolo Bertolini, subentrato, come già detto, nel 196560 a Gianni Zippel, venne assegnato come compito l’edizione della Vita Maior di Atanasio. Gli studi preliminari e la necessità di inquadrare meglio quest’opera negli avvenimenti della storia napoletana e beneventana del periodo lo portarono a indagare a fondo la cronologia dei principi longobardi di Benevento, che sarà l’argomento di un suo articolo sul «Bullettino». Molti anni dopo uscirà un suo volume negli “Studi Storici”, nel quale ancora una volta Benevento sarà al centro dell’attenzione dell’autore61. Morghen però aveva deciso di unire all’attività istituzionale degli alunni un nuovo compito, che li coinvolgesse più strettamente con le imprese dell’Istituto. Essi avrebbero dovuto dedicare alcuni pomeriggi alla settimana ai lavori della redazione del Repertorium Fontium Historiae Medii Aevi, che era arrivato al II volume. Nel pensiero di Morghen questa collabora59 Il volume (fascc. 73 e 74 degli “Studi Storici”) avrebbe dovuto presentare alcune novità sulla “starza” e ancora nel maggio 1970 in una lettera a Morghen Tirelli promette di consegnarne la stesura definitiva entro giugno, in quanto la sua ricerca è terminata (Arch. stor., Fondo istituz., Scuola storica nazionale, Fascicoli personali, fasc. 67: lettera del 12 maggio 1970) e invece poco dopo si accorgerà che le sue ipotesi erano prive di fondamento. Rimangono di lui nel «Bullettino», 72 (1960) alle pp. 191-217 un articolo su Di un privilegio dell’abazia di Chiaravalle della Colomba nel Trecento: una nota sull’exemptio dell’Ordine Cistercense e un altro nella Miscellanea per Morghen dal titolo Osservazioni sui rapporti tra Sede Apostolica, Capua e Napoli durante i pontificati di Gregorio VII e di Urbano II (pp. 9611010). 60 Il comando, che gli era stato concesso dal Ministero in data 1° ottobre 1964, era divenuto operante solo alla fine del marzo 1965. 61 Cfr. Studi sulla cronologia dei principi longobardi di Benevento: da Grimoaldo a Sicardo (787-839), «Bullettino», 80 (1968), pp. 25-135; e quindi Figura velut qua Christus designatur. La persistenza del simbolo della croce nell’iconografia numismatica durante il periodo iconoclasta: Costantinopoli e Benevento, Roma 1878 (“Studi Storici”, fasc. 99). Negli Studi sul Medioevo cristiano cit. partecipò con un articolo su La chiesa di Napoli durante la crisi iconoclasta. Appunti sul codice Vaticano latino 5007 (pp. 101-128).


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zione sarebbe servita loro come «esercizio scientifico e apprendimento tecnico» e avrebbe fatto sì che frequentassero maggiormenta l’Istituto. Fino a quel momento gli alunni della Scuola avevano collaborato al Repertorium, preparando le voci per il Comitato italiano. La divisione di queste veniva fatta di solito basandosi sugli interessi di ciascuno, ma c’erano voci che non interessavano a nessuno e qualche volta sembrava che i seri alunni ritornassero ad essere bambini, nascondendosi dietro scuse varie o scegliendo le voci un po’ a capriccio. La voce sul diarista senese Allegretto de Allegrettis era sembrata a Cilento di buon augurio in un momento difficile per lui e l’aveva scelta come buon auspicio. Ora però si trattava di dare il proprio tempo ad un lavoro metodico e, sotto molti versi, noioso. Ma noiosa non fu la collaborazione, almeno alla Redazione internazionale: Bertolini e Tirelli furono assegnati al Comitato italiano; Gaeta, Morisi e Tognetti fecero parte della Redazione internazionale. Allora ero diventata segretaria della Redazione del Repertorio e dopo qualche anno, quando Cilento se ne andrà anche lui a coprire una cattedra di storia medievale, sarei diventata il segretario scientifico dell’Istituto62. Da quel momento sono vissuta in uno stretto contatto con gli allievi della Scuola. È stato il periodo più divertente e spensierato di tutti gli anni che ho passato sul e con il Repertorio, pur essendo un periodo di gran lavoro, di rodaggio perché eravamo all’inizio e bisognava inventarsi il modo di fare le voci in maniera uniforme. Gaeta era il più preparato di tutti, la Morisi la più perfezionista, Tognetti il più scrupoloso. Poi c’era il resto della redazione Mario Sanfilippo, Giovanna Nicolaj, io e all’inizio Lalla Bertolini e Nicola Cilento. Ognuno aveva i suoi comitati dei quali doveva controllare, correggere, alleggerire, o approfondire il lavoro fatto. Andato via Cilento, Gaeta si era addossato tutta la parte redazionale in latino, ma era anche quello che dava il la alle battute scherzose, alle fughe per andare a mangiare un gelato, e nello stesso tempo era quello che spingeva a lavorare e tirava fuori il meglio dai suoi colleghi. Anna Morisi, quando è arrivata, era spaesata, insicura; Franco la supportava, le dava fiducia in modo che si aprisse al gruppo. Paolo Tognetti era chiuso, introverso, ma Franco riusciva con le sue battute a tirargli fuori un umorismo nascosto, che nessuno si aspettava.

62 La mia nomina risale all’ottobre 1968. Questo nuovo incarico non interromperà la mia collaborazione al Repertorio, se mai la intensificherà.


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La Scuola era formata di nuovo da un gruppo unito, che sapeva discutere dei propri problemi, di quelli concernenti il lavoro comune e il lavoro personale. E, come dicevo poco fa, si sapeva divertire e riusciva a coinvolgere anche le “persone serie”, i grandi. Morghen, che aveva passato momenti molto tristi per la malattia e la morte della moglie, molto amata e sempre rimpianta, prese l’abitudine di passare alcune ore in redazione: avrebbe dovuto dirigerne i lavori, ma amava andare indietro nel tempo e ricordare gli anni in cui anch’egli era stato un alunno della Scuola. Manselli63 e Frugoni venivano anche loro volentieri al Repertorio. Eravamo allora nelle due stanze al di là del pianerottolo, quelle due stanze, che ora ci sono state tolte dall’Archivio Capitolino. Ho trovato tra le mie carte alcune voci fatte in quei giorni. Sono fotocopie vecchie, su una carta speciale rosea, il cui inchiostro si è molto sbiadito. Ma qualcosa si legge ancora. Una ha per argomento un certo «Arnaldi, Hieronymus, qui etiam Gilmus et ab intrisecis Gilmectus a Busco Ecclesiae Novae (Bosco Chiesa Nuova, Veneto). Floruit temporibus Arsenii Brixiensis et Francisci (sive Chinchini) Compagnae. Comes vicentinus ...». Non sto a leggerla tutta, vi sono elencate le opere (Maxima moralia, De itinere polonico, De situ et moribus scholarum) con la loro nota redazionale e le rubriche: manoscritti, edizioni, traduzioni, bibliografia. Ma ho trovato anche un aut aut di Frugoni: «Questo tavolo deve esser lasciato libero». Firmato: «Il Segretario Generale Professor A. Frugoni». Sotto una mano irriverente ha postillato: « Per decreto originale / del reggente generale / chi di solito qui si siede / quando meno se lo crede / vien sorpreso dal Frugoni / e colpito con puntoni64, / poi innalzato su ‘na guglia / o su un trullo della Puglia / verrà ben segnato a dito / come il martire san Vito; / se però farà il fetente, / niente libero docente». Il reo di lesa maestà, l’usurpatore della scrivania era chiaramente Vito Tirelli. Frugoni come “poeta” non era da meno di Gaeta e volle anch’egli cimentarsi nell’agone poetico: a lui si devono i versi dell’inno potthastico, che non ha poi trovato nessuno che li mettesse in musica. [Chorus sollemniter] Repertorium facimus iuvenes dum sumus; exspectantes senectutem

63 Era tornato da Torino a Roma nel 1966 e copriva la cattedra che era stata di Morghen alla Sapienza. 64 E qui trova posto una nota: «In un codice esiste una lectio difficilior ad aures paratas».


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[Chorus rythmice]

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in labore et paupertate nos servabit opus. Noi siamo il cást, che fa il Potthást. come convién di Raf Morghén!

Gaeta fu il primo ad andarsene, chiamato a coprire la cattedra di storia moderna nell’università dell’Aquila. Dando le dimissioni scrisse a Morghen, assicurando il suo impegno a continuare la sua collaborazione e ricordando gli anni trascorsi in Istituto «anni che rimarranno veramente nella mia memoria per le fruttuose e durature amicizie che lì ho contratto e per l’atmosfera fraterna nella quale sono vissuto»65. Amicizia, spirito fraterno sono sentimenti che travalicano gli intendimenti con i quali fu istituita la Scuola, ma sono quelli che rendono preziosi gli anni passati nella Scuola. Non sempre succede, ma, quando capita, la Scuola appare più viva. Nel concorso bandito nel 1969 risultano vincitori Michele Luzzati e Antonia Borlandi 66. Morghen decide allora, e il Consiglio approva, di concedere il compenso mensile, che era fino allora dato agli alunni della Scuola67, solo a chi risieda a Roma e quindi unicamente ad Antonia Borlandi che infatti torna a vivere a Roma, mentre Luzzati rimane a Pisa e il periodo del suo alunnato sarà molto breve, perché prende servizio presso la Scuola nel gennaio 1969 e si dimette il 24 luglio dello stesso anno, avendo vinto il posto di assistente presso la Scuola Normale di Pisa68. Nell’inverno 1969/70 non vengono più tenute conferenze pubbliche, ma 65 Lettera a Morghen dell’1 novembre 1968 (Arch. stor., Fondo istituz., Scuola storica nazionale, Fascicoli personali, fasc. 59). Gaeta continuerà a frequentare l’Istituto, specie dopo il suo ritorno a Roma, dove coprirà la cattedra di storia moderna alla Sapienza. Al Repertorio era sempre una festa rivederlo seduto al suo posto, pronto a dare una mano, un suggerimento, a fare una battuta scherzosa. 66 Il concorso, bandito il 26 maggio 1969 ed espletato nel settembre dello stesso anno, viene riaperto nel novembre dopo il ricorso di un candidato. La graduatoria è approvata dal Ministero in data 26 novembre. V. Arch. stor., Fondo istituz., Scuola storica nazionale, Concorsi, fasc. 26. 67 Nel progetto per la Scuola storica Fedele aveva previsto questo compenso, che in anni recenti verrà tolto, date le difficoltà in cui si troverà l’Istituto. 68 A Luzzati viene affidata una ricerca sulla famiglia pisana dei Roncioni; Morghen sperava che durante il triennio del comando avrebbe ripreso le carte di F.P. Luiso e quindi portato a termine l’edizione del Villani. V. Arch. stor., Fondo istituz., Scuola storica nazionale, Fascicoli personali, fasc. 76.


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continuano gli incontri mensili della Scuola, nei quali Manselli, Capitani, Frugoni e Cilento tengono dei seminari e si prevedono per l’anno seguente altri seminari tenuti da Duprè Theseider, Miccoli, Tabacco, Arnaldi, Bolgiani. Con il 1970 si apre un nuovo periodo per la Scuola: muore improvvisamente Frugoni, vengono a finire quasi contemporaneamente i vecchi comandi e c’è un rinnovo totale – a parte Antonia Borlandi. Arriveranno Chiara Frugoni69 e l’anno seguente Andrea Castagnetti, Giovanna Petti Balbi70 e Fausto Parente71. A parte quest’ultimo, che già viveva a Roma, né Castagnetti, né la Balbi e ancora meno la Frugoni risiederanno a Roma: verranno in Istituto per i seminari, per alcune riunioni, ma le loro ricerche li terranno lontani, a Verona, Genova, Pisa. La Scuola di nuovo si snaturerà. La vita in comune, che aveva dato tanti frutti sia all’Istituto sia agli stessi alunni non esisterà più e per parecchi anni il periodo del comando sarà un periodo di ricerche e studi proficui per i singoli, ma un po’ sterile per quelli che gravitano intorno all’Istituto. E questa situazione, a parte alcune presenze costanti, durerà per molto tempo. Solo in questi ultimi anni, per quanto gli alunni non vivano costantemente a Roma, ci sono incontri e seminari mensili, ricerche comuni, scambi di idee e di progetti. Si respira di nuovo, posso dirlo con gioia, un’aria di collaborazione, di complicità, di amicizia.

69 Il concorso, bandito nel marzo 1970 per due posti riservati alla categoria degli Archivisti e Bibliotecari di gruppo A, vede un solo vincitore nella persona di Chiara Frugoni. V. Arch. stor., Fondo istituz., Scuola storica nazionale, Concorsi, fasc. 29. 70 La graduatoria di questo concorso, bandito nel giugno 1970 e dedicato a professori di ruolo A nelle scuole di Stato, sarà approvata solo il 30 marzo dell’anno successivo e i due vincitori prenderanno servizio nell’ottobre 1971. V. ibid., fasc. 31. 71 Parente ricoprirà finalmente il posto previsto per i funzionari delle Amministrazioni dello Stato afferenti al gruppo A, posto, che, come già detto, era andato deserto per parecchi concorsi. V. ibid., fasc. 30.


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INDICE GENERALE

Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Pag.

5

Massimo Miglio, La Scuola storica prima della Scuola storica

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11

Valeria De Fraja, Gli inizi. Raffaello Morghen primo alunno della Scuola storica (1924-1930) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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19

Marino Zabbia, La svolta degli anni Trenta . . . . . . . . . . . . . . . . .

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37

Michele Baitieri – Giorgio Chittolini, Giuseppe Martini: l’itinerario di uno storico. Alcune note . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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57

Enrico Artifoni, Raoul Manselli (e altri alunni della Scuola) e il medioevo di Buonaiuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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81

Gianmaria Varanini, Cinzio Violante e la «Scuola storica» (1951-1956). Appunti e spunti dal carteggio . . . . . . . . . . . . .

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99

Giampaolo Francesconi, «Gli anni favolosi dell’Istituto». Elio Conti, alunno della Scuola storica (1958-1963) . . . . . . . . . . . .

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115

Isa Lori Sansfilippo, Scuola storica di studi medievali. L’ambiente della Scuola storica anni ’50-’60 . . . . . . . . . . .

»

149


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