Girolamo Arnaldi. 1929-2016

Page 1



ISTITUTO STORICO ITALIANO PER IL MEDIO EVO NUOVI STUDI STORICI - 110

GIROLAMO ARNALDI 1929-2016 Atti del Convegno Internazionale di Studi (Roma, 31 gennaio-1 febbraio 2017) a cura di ISA LORI SANFILIPPO – MASSIMO MIGLIO

ROMA NELLA SEDE DELL’ISTITUTO PALAZZO BORROMINI PIAZZA DELL’OROLOGIO 2018


Nuovi Studi Storici collana diretta da Massimo Miglio

Coordinatore scientifico: Isa Lori Sanfilippo Redattore capo: Salvatore Sansone

ISSN 1593-5779 ISBN 978-88-98079-76-6 ________________________________________________________________________________ Stabilimento Tipografico «Pliniana» - V.le Nardi, 12 - 06016 Selci-Lama (Perugia) – 2018


01Miglio_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:31 Pagina 5

MASSIMO MIGLIO GIROLAMO ARNALDI. 1929-2016

È difficile parlare di Girolamo Arnaldi. Per la sua complessa personalità; per il suo cambiare negli anni; per le sue precocissime scelte precise, che si accompagnavano ad una altrettanto precoce maturità; per la sua densa cultura, sedimentatasi nel tempo. Difficile parlarne per gli anni dopo il 1950, quando le testimonianze rimaste sono tante. Impossibile, a oggi, per gli anni precedenti, nell’assenza di attestazioni evidenti: potremmo solo affidarci alle impressioni e alle sensazioni, che debbo, invece, mantenere estranee. Possiamo solo immaginarci Gilmo sui banchi di scuola, già deciso e consapevole, ma non estraneo a tutti i turbamenti che sono comuni ai più giovani. Di Arnaldi ha già scritto Gennaro Sasso, e voglio ripetere, ancora una volta, le sue parole: «Uomo gentile e affabile, Arnaldi non aveva, in nessun senso, un animo né semplice né lineare. Era mite, ma coltivava dentro di sé tenaci, e insospettate durezze. Era socievolissimo, così socievole che, se si stava in sua compagnia in un luogo pubblico, si poteva esser certi che, alla fine, si sarebbe tornati a casa avendo conosciuto più persone di quante mai si sarebbe ritenuto possibile. Era ordinatissimo fino al dettaglio maniacale. Ma era possibile che all’ordine in cui teneva gli oggetti della sua scrivania corrispondesse, nella stanza medesima in cui quella era collocata, un preoccupante caos di libri e di carte, che egli si dichiarava sempre sul punto di mettere in ordine senza che mai questo momento venisse sul serio. Era uno studioso scrupolosissimo e con la tendenza, appresa alla scuola di più di un maestro, alla estrema concretezza monografica: analisi e non sintesi, esegesi dei testi, che non escludeva tuttavia sguardi che andavano al di là e non spegneva la curiosità, che in lui era altrettanto divorante dell’interesse con cui guardava a coloro con cui entrava in contatto. Era storico di individui, ma anche di istituzioni»1. 1 G. SASSO, Ricordi di Gilmo Arnaldi, in G. ARNALDI, Pagine quotidiane, cur. M. MIGLIO - S. SANSONE, Roma 2017, pp. 5-25: 5


01Miglio_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:31 Pagina 6

6

MASSIMO MIGLIO

Difficile parlarne oggi a solo un anno dalla scomparsa. Ricordando Francesco Compagna, a molta distanza dalla morte, Arnaldi scriveva che «i dieci anni trascorsi non erano sufficienti a garantire il distacco necessario per farne un oggetto di riflessione spassionata»2; per noi sono passati solo giorni, e in tutti l’emozione sarà forte e condizionerà tutti, aumentata dalle emergenze inutili e dalle incomprensioni di qualcuno. Ma era importante cominciare a riflettere cosa sia stato e cosa abbia significato. Fin da quando aveva vent’anni, da quando è possibile seguirlo più da vicino, alcune costanti appaiono immediate. Indicherei per prima la passione per la scrittura, sempre semplice, mai carica, spesso elegante, a volte raffinata nella scelta delle parole, ma anche nel trasmettere una logica mai scontata e sempre lontana dai luoghi comuni. Dalla sua scrittura emergono le predilezioni: la lettura, il cinema, il teatro, la volontà di conoscere e capire le persone e la fermezza nel sostenere le proprie idee, l’impegno (uso volutamente un termine fuori moda e di certo non nell’accezione per cui ha avuto fortuna) nella società civile, e in questo impegno va compresa naturalmente la vita universitaria. Si era laureato il 18 dicembre del 1950 a 21 anni; a 22 anni, dal 1951 al 1953, era stato assistente incaricato di storia medievale e moderna all’Università di Napoli; a 22 e 23 anni era stato borsista dell’Istituto italiano di studi storici (il Croce); a 24 divenne archivista di stato e lavorò presso il Centro microfotografico degli Archivi di Stato, più tardi Centro di fotoriproduzione, legatoria e restauro degli Archivi di Stato, del quale per breve tempo fu direttore ad interim; a 28 anni vinse il concorso per la Scuola storica nazionale di studi medievali presso l’Istituto storico italiano per il Medio Evo; a 29 anni ottenne la libera docenza in Storia medioevale; a 31 anni l’incarico di Esegesi delle fonti della storia d’Italia presso la Scuola speciale per Bibliotecari e Archivisti dell’Università di Roma (nel 1961-62) ed ebbe anche l’incarico di Storia medievale a Perugia; a 35 anni vinse il concorso per l’insegnamento di Storia medioevale: insegnò all’Università di Bologna, dove rimase sino al 1970, per poi trasferirsi alla Sapienza di Roma, fino al 1999, quando uscì dai ruoli dell’insegnamento; a 52 anni divenne presidente dell’Istituto storico italiano per il Medio evo, successore di Raffaello Morghen. Vi è rimasto fino al 25 febbraio 2001. Voglio oggi solo accennare qualcosa e ascoltarlo sfogliando qualche sua pagina, soprattutto quelle, e non sono poche, in cui più forte è la tensione autobiografica. 2

Ibid., p. 662.


01Miglio_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:31 Pagina 7

GIROLAMO ARNALDI.

1929-2016

7

A proposito del suo europeismo. Una convinzione a cui non era arrivato attraverso la storia medioevale (che in tal senso gli dava invece molte perplessità, perché confessava che lo aveva sempre infastidito, fin dai tempi della piccola Europa a sei, il riferimento ad un’Europa carolingia cattolica che gli sembrava una prospettiva limitante, anche se diffusa tra molti colleghi). Le sue convinzioni europeiste si erano formate attraverso la conoscenza diretta di Altiero Spinelli e di Jean Monnet, di Francesco Compagna e di Rosario Romeo («il più grande storico della mia generazione»3). Capovolgendo ogni luogo comune, pensava che la costruzione europea potesse essere un’occasione per il rilancio delle culture nazionali, soffocate proprio dall’esistenza dello stato nazionale»; prevedeva l’ostacolo enorme del problema linguistico»; auspicava iniziative serie, non di tipo nazionalistico, rivolte alla tutela della nostra cultura, dei nostri libri, della nostra lingua e in proposito rivendicava l’ideazione con Claudio Leonardi e Ovidio Capitani di Medioevo Europa (che purtroppo abortirà); pensava insostenibile e inopportuna una lingua franca europea, e la sua ironia era che si potesse pensare alla lingua inglese; non credeva utile e possibile arrivare all’istituzione di un insegnamento di storia europea nelle scuole superiori; riconosceva l’importanza della ripresa degli studi grammaticali in età carolingia, della nascita degli Studi universitari, della formazione delle nazioni europee con le loro lingue (tutti elementi comuni, ma non unitari). A proposito di Dante. Sulla pagina di un giornale del 19854 appare una breve confessione, che sembra assolutamente sotto tono, su Dante e i medievisti. Non sa come si comportino gli altri medievisti, ma dichiara che molto spesso hanno combinato dei guai (il verbo è coniugato all’imperfetto): «Quando gli storici del medioevo si occupavano sistematicamente di Dante talvolta combinavano anche dei guai. Molte “questioni dantesche” sono cresciute su se stesse per colpa di interventi spropositati di storici, felici di poter addurre un nuovo documento inedito spesso non pertinente». Debbono invece misurarsi con il testo; la Commedia non deve essere il pretesto per fare sfoggio di erudizione; il poeta non può essere accusato di conservatorismo, di non aver capito quanto stava maturando, invece «ha visto molto e il suo sguardo andava nel fondo delle cose di là delle apparenze ingannevoli». 3 «Era il migliore di tutti», in Pagine quotidiane cit., p. 624. Su Romeo cfr. G. ARNALDI, Per Rosario Romeo, in ARNALDI, Conoscenza storica e mestiere di storico, Bologna 2010, pp. 465-487. 4 «Il Tempo» (28 gennaio 1985), pubblicato in ARNALDI, Pagine quotidiane cit., pp. 182-183.


01Miglio_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:31 Pagina 8

8

MASSIMO MIGLIO

Fin qui potremmo essere nel campo di normali divergenze storiografiche trasmesse ad un pubblico ampio di non addetti ai lavori, ma credo che sia del tutto esemplare la scelta minimalista per raccontare il suo approccio a Dante, con un singolare che improvvisamente diventa plurale: «Da quattro anni, ogni venerdì frequento il seminario in cui il mio amico e collega Gennaro Sasso legge e commenta la Monarchia, la più ardua fra le opere minori di Dante. Viene anche Achille Tartaro (e il nome aggiunge emozioni alle emozioni), un italianista, che ogni tanto legge qualche canto della Commedia... C’è chi chiama tutto questo “interdisciplinarietà”; per noi è un modo di affrontare la lettura di Dante con qualche speranza di capire cosa vuol dire»5. In quest’ultima frase c’è anche un riferimento al Seminario Dantesco titolato a Bruno Nardi che si svolgerà in Istituto per molti anni, fino al giugno 2009 (l’ultimo incontro saranno le Letture dal Purgatorio di Arnaldi, Inglese e Sasso), e le pagine più fortemente autobiografiche di Arnaldi sono quelle dedicate all’Istituto, a cominciare dalle regolari relazioni sullo stato dell’Istituto, pubblicate annualmente sul «Bullettino»6. Dopo 31 anni di presidenza di Raffaello Morghen non era stata cosa semplice assumere quella eredità. L’ombra di quella lunga presidenza poteva risultare soffocante, su tutti i fronti. L’Istituto sotto la guida di Morghen aveva vissuto «la sua stagione d’oro, forse irripetibile» (la valutazione è dello stesso Arnaldi), riaffermando e poi conservando in Italia e all’esterno un ruolo di spicco nella medievistica. Ma anche all’interno della istituzione il carisma di quel presidente dalla «grandezza solitaria» (una bella definizione di O. Capitani nell’introduzione all’edizione delle Lettere di R. Morghen7) che si declinava in una gestione dal tratto paterno, come “una grande famiglia”, era difficile da riproporre. Su questo fronte la personalità di Arnaldi si è felicemente incontrata con l’evoluzione del mutato clima culturale e generazionale degli anni in cui ebbe la responsabilità dell’Istituto. È sempre stato esente da un “paternalismo” che, ormai, sarebbe parso solo inopportuna condiscendenza. Una valutazione della presidenza Arnaldi andrebbe inserita in una ricostruzione della storia complessiva dell’Istituto, alla cui scrittura avrebbe potuto contribuire in maniera decisiva. Continuerò a seguire solo le sue 5 6

Ibid., p. 182. Cfr. «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo», 102 (1999-2000), pp. IX- XXVI e 103 (2000-2001), pp. IX-XIX e XXI-XXVII. Ma vedi più avanti. 7 O. CAPITANI, Introduzione, in Lettere a Raffaello Morghen (1917-1983), cur. G. BRAGA - A. FORNI - P. VIAN, Roma 1984 (Nuovi Studi Storici, 24), pp. V- LVII.


01Miglio_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:31 Pagina 9

GIROLAMO ARNALDI.

1929-2016

9

note autobiografiche, che basteranno però a mostrare come la sua personalità si sia inserita nella tradizione dell’istituzione e l’abbia arricchita e trasformata. Basta per questo scorrere la Relazione sullo stato dell’Istituto, pubblicata nel numero 102 del Bullettino8 e l’intervento proposto ad apertura del numero 100 dello stesso Bullettino, con il titolo L’Istituto storico italiano per il Medio evo e la ristampa dei RIS9. Arnaldi ha più volte ricordato cinque principali funzioni dell’Istituto: a) la pubblicazione di una collana di fonti per la storia dell’Italia medievale, pari a quelle delle migliori analoghe iniziative europee b) la redazione di repertori e di strumenti di lavoro c) lo sviluppo di una biblioteca specializzata d) la collaborazione con gli Istituti storici stranieri di Roma e) la pubblicazione del Bullettino e di una collana di monografie che presentassero i risultati delle ricerche compiute nell’ambito dell’Istituto. Nella loro attuazione sono riconoscibili le scelte di Arnaldi. In controluce, anche alcuni elementi significativi della sua personalità culturale. Gli interventi nei quali si è espresso sulla attività dell’Istituto indicano la volontà di realizzare compiutamente il decreto istitutivo del 25 novembre 1883, mai modificato, pur armonizzandola con le esigenze dell’evoluzione della ricerca e delle problematiche storiografiche. Dalla sua riflessione sulla storia dell’Istituto e sul suo ruolo in un contesto scientifico, metodologico e storiografico profondamente modificato rispetto al passato, scaturiva l’impegno ad affrontare il contrasto tra Fonti per la storia d’Italia e Rerum Italicarum Scriptores (dell’editore Lapi prima, di Zanichelli poi). Un conflitto sempre latente, a tratti fragoroso, che si era innescato già nei primi anni di vita dell’Istituto. La sua risoluzione nel 1996 costituisce forse l’avvenimento più rilevante della sua presidenza. L’ultimo volume delle Fonti, il numero 118, era stato pubblicato nel 199310; l’ultimo volume dei RIS² nel 197511. L’accordo con Zanichelli gli permise una profonda revisione delle collane, che portò alle nuove Fonti per la storia dell’Italia medievale, suddivise nelle sezioni Antiquitates, Regesta Chartarum, Rerum Italicarum Scriptores, series III (RIS3), Storici italiani dal Cinquecento al Millecinquecento ad uso delle scuole e Subsidia. Il Bullettino 8 Relazione sullo stato dell’Istituto, «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo», 102 (1999-2000), pp. IX- XXVI. 9 Ibid., 100 (1995-1996), pp. 1-15. 10 Mondini de Leuciis «Expositio super capitolum de generatione embrionis Canonis Avicennae cum quibusdam quaestionibus», ed. R. MARTORELLI VICO, Roma 1993 (Fonti per la storia d’Italia, 118). 11 Georgii et Iohannis Stellae Annales Genuenses, ed. G. PETTI BALBI, Bologna 1975 (R.I.S.2, XVII/2).


01Miglio_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:31 Pagina 10

10

MASSIMO MIGLIO

abbandonò l’integrazione di Archivio Muratoriano. La rinuncia al monumentale formato dei Rerum Italicarum Scriptores, muratoriani prima, fioriniani e carducciani poi, è stata una decisione rivoluzionaria. I numeri soli non rendono certo lo spessore e le implicazioni delle scelte compiute in campo editoriale. Tuttavia anch’essi rappresentano un dato di rilievo. Si consideri che l’Istituto dal 1982 al 2001 ha pubblicato: 16 volumi nelle Fonti per la storia d’Italia, e, nelle nuove collane, 13 volumi nelle Antiquitates, 5 volumi nei RIS³, 9 volumi nei Regesta Chartarum, 2 volumi negli Storici italiani dal Cinquecento al Millecinquecento ad uso delle scuole. Nelle collane che possono riferirsi a «quei lavori preparatori … di interesse generale» menzionati dal decreto di fondazione, inoltre, sono stati editi: 18 volumi negli Studi storici, 53 volumi nei Nuovi studi storici, 7 volumi nei Subsidia, 4 volumi del Repertorium, 12 volumi del Bullettino. Sono solo cifre. Ma delineano tendenze significative. Tra tutte, l’attenzione costante di Arnaldi alla collaborazione con gli Istituti stranieri. Molti di quei volumi (fonti, atti di convegni) infatti sono stati realizzati in coedizione con altre Istituzioni, come i Monumenta Germaniae Historica o l’École française de Rome. Ma altrettanto significativo mi sembra il rapporto instaurato con enti culturali e universitari italiani, che ha trovato espressione, oltre che nelle edizioni, nel Bullettino (ma questo dovrebbe esulare sicuramente dai soli riferimenti autobiografici che questo intervento privilegia), nella Biblioteca dell’Istituto e nella Scuola storica. Per la Biblioteca, Arnaldi nella sua relazione del 1999 non è stato reticente12. L’Istituto dovrebbe avere – affermava – «una biblioteca specializzata, tale da poter competere con quelle dei maggiori istituti di ricerca stranieri di Roma». Chi la frequenta con regolarità, o chi lavora in Istituto, sa cosa significavano e a cosa alludevano quel rimpianto e quella rivendicazione. Non è stato soltanto un problema economico, è anche un problema di spazi. Negli ultimi anni della sua presidenza i mutamenti non sono stati solo scientifici e culturali. Arnaldi si è impegnato in prima linea anche su delicate questioni tecnico giuridiche. A questo proposito nelle sue relazioni ricorrono con frequenza metafore metereologiche ed anche un imprevisto riferimento calcistico. Leggo dall’ultima relazione: «In realtà, nel ’99, la tempesta annunciata … è scoppiata. Il 27 gennaio 2000 sembrava già tornato il sereno…» un sereno illusorio, perché il 2000 trascorre senza che accada nulla: «[…] Il

12

V. nota 8.


01Miglio_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:31 Pagina 11

GIROLAMO ARNALDI.

1929-2016

11

salvataggio è avvenuto solo all’ultimo momento mediante un emendamento all’ articolo 105 della legge Finanziaria»13, che aveva riaperto i termini per la presentazione delle domande di finanziamento. Tempesta e sereno sono riferiti all’impegno forte che ha dedicato alla riforma dell’Istituto e degli Istituti collegati alla Giunta Storica nazionale (a tutt’oggi un problema irrisolto). Egli stesso ne ha ripercorso puntualmente i momenti14: l’espressione del Comitato di settore per gli Istituti culturali del 26 febbraio 1998 a favore dell’ipotesi di privatizzazione degli istituti storici nazionali e della soppressione della Giunta centrale per gli studi storici, lo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri il 9 giugno del 1999 a proposito del riordino del sistema degli enti pubblici nazionali in attuazione dell’art. 14 della legge 59/97: vi si stabiliva che la Giunta e gli Istituti storici continuassero a sussistere come enti senza scopo di lucro e assumessero la personalità giuridica di diritto privato, l’approvazione del decreto legislativo 419 del 29 ottobre 1999 da parte del Consiglio dei Ministri in cui si prevedevano per gli Istituti tre diverse possibilità di trasformazione: la privatizzazione, l’assorbimento in strutture scientifiche universitarie, l’unificazione strutturale di enti appartenenti allo stesso settore di attività; infine, l’emendamento alla finanziaria per il 2001 che aveva permesso la presentazione da parte della Giunta di una bozza di proposta di legge (era chiamato articolato, e dico questo per chi volesse appassionarsi a scrivere la storia di questa esperienza infelice, più di quanto sia stato capace di fare io viziato da un inguaribile pessimismo politico) per la trasformazione in rete degli Istituti storici nazionali. Il suo impegno era stato forte, e il suo studio a casa si era riempito di cartelline gonfie di documentazione, sparse un po’ dappertutto. Diceva di sé, anche con qualche ironia, sempre presente nella sua scrittura, che aveva dedicato per sua spontanea volontà molto del suo tempo negli ultimi tre anni a seguire il cammino travagliato della riforma, ed era stato costretto a impratichirsi di leggi, di formazione delle leggi, di applicazione delle medesime, e a conoscere, insomma, ormai settantenne, “le pene delle leggi”. Il 25 febbraio del 2001 Arnaldi presentava le dimissioni da Presidente dell’Istituto. Erano, come scriveva15: «Motivate dal fatto che, ricoprendo tale carica dal 1982, ho avuto tutto il tempo necessario per tentare di met13

G. ARNALDI, Relazione sullo stato dell’Istituto (letta il 27 gennaio 2001), «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo», 103 (2000-2001), pp. XXII-XXIII. 14 ARNALDI, Relazione … (letta il 27 gennaio 2000), ibid., pp. X-XII. 15 ISIME, Archivio storico, Fondo Girolamo Arnaldi, Corrispondenza con diversi, fasc. 17, n. 4.


01Miglio_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:31 Pagina 12

12

MASSIMO MIGLIO

tere in pratica quello che avevo in animo di fare all’inizio del mio mandato». E aggiungeva: «Nei limiti imposti dalla normativa che regola tuttora la vita dell’Istituto, mi pare di esserci riuscito. Con quali risultati non sta a me giudicare». In una lettera personale indirizzata al Presidente del Consiglio (era Giuliano Amato, dal 2000 al 2001) e che riprendeva toni dell’ultima relazione presentata qualche giorno prima sullo stato dell’Istituto, terminava con un invito accorato a «mettere al sicuro da appropriazioni indebite […] l’Istituto che è stato gran parte della mia vita». In un’altra lettera precisava che «le istituzioni come l’Istituto devono essere preservate a ogni costo, mettendo a tacere le ragioni personali»16. Arnaldi aveva tutti i diritti di formulare queste rivendicazioni. Nella molteplicità delle sue iniziative e in tutti gli anni della sua presidenza, se un tratto comune che può essere identificato è certamente nella sua totale apertura e disponibilità storiografica, scientifica e più ampiamente culturale. Di questa sua apertura, forse il frutto più significativo sono gli oltre venti alunni della Scuola storica, che si sono succeduti durante la sua Presidenza e che hanno espresso le più diverse linee e sensibilità storiografiche, come giustamente sottolineava Ovidio Capitani. In questo, come nel resto, l’Istituto è stato veramente «al sicuro da appropriazioni indebite», come scriveva Arnaldi, e «le ragioni personali» non hanno avuto voce in capitolo. Altre pagine autobiografiche sarebbero da ricordare (ad esempio quelle sul suo impegno politico, ma non solo), e lo farò in altro momento, ma credo che quelle oggi citate possano mostrare a sufficienza come l’apertura all’intelligenza sia stata la ragione più personale di Gilmo.

16

Ibid., fasc. 4, n. 3 (25 febbraio 2001).


02Ortalli_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:31 Pagina 13

GHERARDO ORTALLI UN GIOVANE PROFESSORE

Confesso una certa fatica nel ricordare in un’occasione pubblica il professor Girolamo Arnaldi, Gilmo, a poco tempo dalla scomparsa, per di più a fianco di personalità della cultura del nostro Paese di altissimo livello che con lui hanno avuto una conoscenza e una frequentazione assai maggiore della mia e la priorità delle mie riflessioni rispetto alle loro mi imbarazza. Capisco bene che dipende soltanto da modeste congiunture temporali e biografiche. Del suo impegno di docente credo di essere stato il primo dei laureati, con un legame e una sintonia che mi permetto di dichiarare durata poi tutta una vita. Per questo mi è capitato in altre occasioni, dopo la sua scomparsa, di sentirmi proporre di ricordarlo. Qualcuno qui lo sa e mi scuso se non sono riuscito a dire di sì. E Massimo Miglio sa la ragione del mio essere restio. Un po’ di vigliaccheria: il timore di commuovermi. Un po’ di renitenza per il pudore dei sentimenti nel parlare in sede pubblica di una persona di cui sono stato anche allievo, ma soprattutto vorrei permettermi di dire che c’era pure un’amicizia sincera, con lui e con Sara, rimasta forte anche quando le occasioni per vederci si facevano sempre più sporadiche e le stesse mie telefonate diminuivano fino quasi a sparire negli ultimissimi tempi, frenato dal doloroso timore di sentirlo stanco tanto da poter essere infastidito da rituali vecchi di decenni. È vero che in un altro paio di casi mi è capitato di parlare pubblicamente di Gilmo, ma erano occasioni festose: una laudatio vicentina nel 2007 e un saluto di omaggio qui nel 2001, quando lasciava la presidenza di questo Istituto storico per il medioevo. E il mio essere qui oggi vuole rendere omaggio al legame che Gilmo ha sempre avuto per queste sale, credo assai maggiore anche rispetto a quello che lo legava alle università dove aveva operato. Era qui prima che in università e in convegni in giro per il mondo che capitava a giovanotti quasi in braghe corte come me allora di essere presentati a personaggi come Arsenio Frugoni e Raoul Manselli (ne


02Ortalli_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:31 Pagina 14

14

GHERARDO ORTALLI

ricordo solo un paio perché a lui specialmente vicini, pur facendo torto a molti). Ma non di Roma devo parlarvi, ma di un altro mondo. Quello in cui era arrivato imprevisto un giovane professore di cui nessuno aveva prima sentito parlare. Ricordarlo non mi è semplice, dato il sincero rapporto umano presto istituitosi pur nelle diversità, ed eviterò con cura quello che troppe volte capita quando si deve ricordare chi abbiamo sentito vicino e si finisce per parlare di se stessi! Voglio solo dire la commozione di quando, pochissimi giorni dopo la sua scomparsa, sono stato quasi una giornata nella sua casa di piazza Sforza Cesarini con il nipote suo carissimo Antonio Menniti (tristezza si aggiunge a tristezza) a vedere insieme le carte, gli appunti, i ricordi di una vita intera, ritrovando persino le note a un pezzo della mia tesi di laurea di mezzo secolo fa. Con queste premesse, se dovessimo ragionare di un professore, un medievista che era solo tale sarebbe molto semplice. Ma Arnaldi era anche molto di più: era un uomo di cultura e di interessi larghi, con il forte senso degli obblighi imposti dall’essere parte della società civile e dei suoi problemi, con impegni e attenzioni a ampio raggio. Dunque difficile da parametrare. Certo è che quello giunto nel 1963 nell’Ateneo bolognese era per noi soltanto un professore di storia medievale. Non troppo più che trentenne, era quasi un ragazzo rispetto a chi allora insegnava in un ateneo di antichissima tradizione, paludato, in anni in cui l’età media era decisamente più alta. Diventava collega di studiosi di una generazione e passa più anziani, dove l’insegnamento di storia medievale era di un bravo quanto austero personaggio come Eugenio Duprè Theseider, fermo nella sua etica protestante così come nell’importanza (peraltro indiscutibile) della filologia tedesca. Il passaggio quanto all’ambito medievistico era davvero notevole. Le analisi di quel grande studioso di Caterina da Siena e del suo epistolario lasciavano il passo a quelle sui cronisti della Marca trevigiana e al ruolo della storiografia nell’Italia di comune. Era un salto culturale non di poco conto, ma era anche un passaggio a diversi modi di didattica probabilmente legati ad esperienze maturate fuori dall’università: anzitutto l’Istituto italiano per gli studi storici (il Croce di Napoli) con la sua interdisciplinarietà, ma pure gli archivi di stato e il distacco presso l’Istituto storico per il medioevo. Soprattutto c’era un fatto generazionale di cui ci si rende conto soltanto nel ripensamento. La facoltà di lettere e filosofia di allora ai suoi livelli più alti aveva una docenza sostanzialmente tutta formatasi negli anni del vecchio regime anteguerra e usciva da un mondo non solo travolto dalle vicende del conflitto mondiale, ma soprattutto non pronto ai cambiamenti e agli sconquassi drastici e persino violenti che gli anni Sessanta avrebbero portato in particolare negli


02Ortalli_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:31 Pagina 15

UN GIOVANE PROFESSORE

15

atenei. Con questi salti generazionali Arnaldi rispetto al contesto era doppiamente giovane e gli studenti lo percepivano istintivamente. Lo scarto era enorme e in una piccola comunità qual era l’Università bolognese di allora l’arrivo di questo nuovo docente mai visto prima era un motivo di curiosità e vibrazioni fra studenti e (più ancora) studentesse. E forse non è un fatto solo di colore che il rapporto fra quelle due “classi statistiche” si fosse ulteriormente alterato a favore della presenza delle seconde rispetto a quella già molto debole dei primi. Colpivano l’assoluta sua seria professionalità combinata con una attitudine quasi amicale, il modo aperto d’insegnare e di ricevere gli studenti, la disponibilità a proporre temi per ricerche legate alla sua diretta esperienza ma, insieme, a seguire temi più legati alla realtà locale. Poi colpiva lo scrupolo generoso e insieme maturo in un personaggio che era addirittura sotto di anni rispetto ad almeno un paio di quei mitici fuori corso/goliardi a vita che allora rappresentavano una peculiare sottospecie stanziale della fauna universitaria. Anche qui il mondo universitario cambiava. La festa delle matricole si avviava a una irreversibile crisi. Le antiche consorterie universitarie legate alle provenienze geografiche sparivano (unica a sopravvivere anacronisticamente con fatica la “Parochia veneta”) e si andavano a spegnere quei gruppi universitari legati ai tradizionali schieramenti politici che dall’ormai quasi preistorico 1949 si ritrovavano nell’UNURI, l’Unione nazionale universitaria rappresentativa italiana, quel parlamentino travolto poi dal ’68, con l’UGI sempre più a sinistra, l’Intesa affannosamente democristiana, il duramente patetico Fronte universitario d’azione nazionale (FUAN). In questo nuovo clima la struttura didattica rimaneva quella di sempre. Non solo il medioevo era quello tradizionale. Anche gli apparati faticavano a reggere alle novità che si preannunciavano. L’antica aula Carducci veniva ancora usata per lezioni prima di diventare un museo. La materia più attuale era la Storia del Risorgimento, tenuta in un’aula poco illuminata in un orario postprandiale che favoriva il sonno. La filologia romanza procedeva con il commento ottonario per ottonario dell’Erec et Enide di Chrétien de Troyes e l’italianista ci illustrava passo a passo i Ricordi di Francesco Guicciardini. Il compito di latino, passaggio fondamentale, era una retroversione di un testo ciceroniano e il giudizio dipendeva da quanto il prodotto fosse vicino se non proprio identico all’originale… e così via. Si badi: non mi lamento né critico. Si usava forse così nelle sedi prestigiose. Io sono davvero debitore a quella rigida scuola di quel po’ che ho imparato, ma è solo per dire l’ambiente in cui con esperienza e formazione di tutt’altro genere giungeva Gilmo Arnaldi con i suoi interessi radicati pure nel presente.


02Ortalli_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:31 Pagina 16

16

GHERARDO ORTALLI

La sua permanenza universitaria bolognese, tutto sommato piuttosto breve – dal 1964 al ’70 – si fece sentire in molti modi. Anzitutto per l’attenzione e gli stimoli che riusciva a sollevare tra gli studenti che talvolta venivano ad “assaggiare” le sue lezioni anche se di altri corsi, ma forte fu pure l’incidenza sulla struttura della facoltà di lettere. Che fosse accaduto qualcosa di insolito nella quieta realtà bolognese era chiaro anche a chi, rispetto agli studenti, stava dall’altra parte delle cattedre, tant’è che poco tempo dopo, quando nel 1967 Gilmo favorì un arricchimento della medievistica con un’altra presenza simile per alcuni aspetti ma per molti altri tanto diversa dalla sua, chiamando il quasi coetaneo Ovidio Capitani (personalità certo non delle più quiete accademicamente), un dotto filologo (credo piuttosto sconsolato) non seppe trattenere quel che aveva fino ad allora compresso: «questa facoltà di lettere se continua così diventa un asilo infantile». Ma non immaginava che la faccenda non fosse finita lì. Infatti prima di partire per Roma Gilmo nel 1970 ebbe un ruolo decisivo nel portare a Bologna il giovane Vito Fumagalli che gli subentrò, e contemporaneamente nel procurare un posto di assistente in storia moderna per il giovane Carlo Ginzburg (e ricordo come mi dicesse che la cosa aveva molto irritato il suo amico Rosario Romeo). Furono impegni preziosi per la qualità del settore. In poco tempo la piccola e consolidata struttura della storiografia accademica bolognese viveva una rivoluzione copernicana. Ma il peso di Arnaldi in facoltà andava oltre la misura della ricerca storica e dello specifico medievale, nella convinzione (che gli studenti percepivano) di come la cultura vera andasse ben oltre lo specifico dei piccoli orti disciplinari con le chiusure che troppo spesso rischiano di indurre. Così, per esempio, ho ben presente la sua attenzione per quanto il grecista Benedetto Marzullo stava facendo nel mettere in piedi (1969-1970) il primo corso DAMS e come si fosse impegnato per la chiamata sulla cattedra di storia dell’arte di quel finissimo e difficile studioso che fu Francesco Arcangeli (altra persona che ricordo con straordinario affetto), credo il più longhiano della grande scuola di Roberto Longhi. E non tocca a me ricordare i rapporti che comunque già allora erano vivi con la cultura francese e quella polacca. Oppure i primissimi passi della quasi pre-istoria della “Storia della cultura Veneta” che poi proprio Gilmo salvò dagli intoppi dei conflitti ideologici. Con queste novità il settore di storia era diventato un punto di riferimento forte con notevole richiamo studentesco (in anni comunque di numeri estremamente modesti rispetto ad oggi), ma c’era anche altro che indirettamente era di importante stimolo per l’ambiente universitario. Quella scuola così tradizionalmente ordinata e ben strutturata corrispon-


02Ortalli_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:31 Pagina 17

UN GIOVANE PROFESSORE

17

deva e senza troppi sussulti era adatta alla Bologna in cui era giunto Arnaldi: città benestante (anzi grassa), dotta, pacata, ben amministrata senza troppi sussulti da un Partito Comunista che si proponeva a livello nazionale come esempio indiscusso di buon governo con sindaci di tutto rispetto (Guido Fanti e Renato Zangheri). La stessa cultura giovanile universitaria (più vivace come sempre in una facoltà di lettere e filosofia) si collocava per le sue pulsioni politiche sotto quell’ombrello partitico e un punto di riferimento era l’Istituto Gramsci, che mi trovo a ricordare come tranquillo luogo di lettura con la costante presenza di un professore di astronomia in pensione, lettore di giornali. Restavano piuttosto a parte in una sorta di rispettata autonoma bolla strutture importanti come (dal 1955) la Johns Hopkins University (attenta soprattutto allo studio delle relazioni internazionali). Su altro piano era ormai più che matura l’esperienza culturale della rivista «Il Mulino», nata nel 1951, che dal 1965 (proprio negli anni bolognesi di Arnaldi) vedeva il suo controllo assunto dall’Associazione di cultura e di politica “il Mulino”, un consiglio di studiosi che da allora coordina tutte le attività del gruppo. Dal 1953 l’Istituto per le scienze religiose fondato da Giuseppe Dossetti (oggi Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII) si occupava ad altissimo livello delle discipline legate al sapere storico-religioso mettendo a punto nuovi modelli di riflessione. Col Mulino siamo arrivati all’Arnaldi che nei rapporti con Bologna si ritrova con sintonie che prescindono e precedono l’università e fanno parte di quella sua figura culturale i cui riflessi in qualche modo entravano nell’insegnamento accademico. Erano collegamenti forti. In quello stesso giro di tempi, nel 1963 rinasceva «La Cultura», rifondata da Guido Calogero e poi dall’87 diretta da Gennaro Sasso, alla quale ebbi occasione di collaborare tra il 1973 e il 1983 con qualche articolo. Dalla sua prima annata trovava la collaborazione di Arnaldi. C’era già l’esperienza di «Nord e Sud», la rivista fondata nel 1954 da Francesco Compagna (credo che Galasso ne fosse il condirettore) con Vittorio De Caprariis, con quei legami con la migliore intellettualità napoletana che Arnaldi seppe poi mantenere. Con questo capitale intellettuale di partenza Arnaldi arrivava nella calma e omogeneizzata Bologna, con una sua diversità strutturale rispetto all’ambiente. Lo si vide bene non a caso nei collegamenti che prevedibilmente riprese con quegli ambienti culturali che ho detto essere rispettati come una bolla autonoma visto che la città che li ospitava era robustamente altra, e penso in particolare al gruppo del Mulino. Ricordo per inciso che nelle riunioni di politica studentesca genericamente di sinistra, ancora immediatamente prima dell’esplosione che col


02Ortalli_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:31 Pagina 18

18

GHERARDO ORTALLI

Sessantotto anche in Bologna avrebbe investito i vecchi equilibri, un’accusa per così dire insieme dura e raffinata era che si facevano “discorsi da Mulino”. E in quel Mulino Arnaldi aveva da subito ritrovato un ambiente intellettuale a lui assolutamente familiare. C’era, se si vuole, una certa lontana matrice comune visto che alcuni tra i fondatori della rivista erano passati per il Croce a Napoli, come nel caso di Antonio Santucci o Luigi Pedrazzi o Nicola Matteucci (con cui in particolare l’amicizia era forte), e già nel 1952-1953 Arnaldi ben quattro volte era intervenuto sul Mulino quasi neonato. Quel tipo di cultura che apparentemente doveva essere travolta più ancora della robustissima sinistra tradizionale dai sussulti in atto nella contestazione generale del passato, in fondo e paradossalmente usciva dalla marginalità o magari entrava in una marginalità assai più uniforme in cui tutte le “bolle” svanivano nella generale protesta che rifiutava con molte illusioni le certezze preesistenti, comprese quelle sulla peculiarità bolognese. In quei contesti in cui appunto cadevano tante vecchie certezze e illusioni e se ne aprivano di nuove e diverse, nel 1970 Arnaldi prendeva servizio a Roma alla Sapienza. I rapporti con Bologna sarebbero rimasti, ma erano ormai di carattere decisamente diverso dal passato. A me non resta altro da aggiungere. Ma, per chiudere, mi permetto un ricordo personale: quel giorno in cui con Arnaldi in compagnia di un amico che allora si trovava in Bologna (mi pare fosse proprio Gennaro Sasso), si uscì dalla facoltà in via Zamboni nel pieno di una violenta manifestazione in piazza Verdi e, mentre io pensavo che si dovesse rientrare subito con ogni dovuta cautela, loro decisero di andare avanti per la strada che dovevano fare: io non so ancora valutare esattamente la faccenda che vedeva me preoccupato per loro, ma penso che fosse una scelta che voleva dire qualcosa.


03Sasso_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:32 Pagina 19

GENNARO SASSO RICORDI DI GILMO ARNALDI*

Ho intitolato questo discorso Ricordi, e non Ricordo, di Gilmo Arnaldi, per una ragione precisa, che posso dichiarare fin dall’inizio, e che si riassume così: sono in grado di dipanare il filo di molti ricordi, di scrivere un ricordo unitario no. Se ho conosciuto bene il personaggio, del quale sono stato amico per più di sessant’anni, e che, per quel che è possibile, ho osservato da vicino in momenti importanti della vita, non posso dire altrettanto per lo studioso, per lo storico. Ho letto, credo, tutto, o quasi tutto, quello che ha scritto. Ma non sono stato, e non sono in grado di giudicarlo con la competenza che la sua serietà e puntualità analitica avrebbero meritata. C’è poi dell’altro. Uomo gentile e affabile, Arnaldi non aveva un animo né semplice né lineare. Era mite, ma coltivava dentro di sé tenaci, e insospettate durezze. Era socievolissimo, così socievole che, se si stava in sua compagnia in un luogo pubblico, si poteva esser certi che, alla fine, si sarebbe tornati a casa avendo conosciuto più persone di quante mai si sarebbe ritenuto possibile. Ma l’estrema socievolezza che caratterizzò le fasi essenziali della sua vita pativa in lui una sorta di contrappasso. era come se fra le molte amicizie e, comunque, le relazioni che intratteneva, Arnaldi dividesse il suo sé, e non lo concedesse se non nelle sue frazioni in modo che l’intero restasse celato. Insomma era una socievolezza, la sua, che nel fondo rivelava un tratto insocievole e che, mentre agli altri sottraeva una parte di sé, di conoscerli fino in fondo non aveva preminente interesse. La disposizione all’analisi psicologica ne scopre un’altra che riguarda la discrezione, e la sua mancanza. Gilmo era troppo ben educato, era, come si dice, troppo signore, per concedere a se stesso, e agli altri, quella libertà. Era storico di individui, ma anche, e soprattutto, di istituzioni. Non so se la prevalenza, in lui, di questo secondo aspetto sia da mettere in rela* Si pubblica qui quanto già scritto dall’autore in G. ARNALDI, Pagine quotidiane, cur. M. MIGLIO - S. SANSONE, Roma 2017, pp. 5-25.


03Sasso_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:32 Pagina 20

20

GENNARO SASSO

zione con la diffidenza con cui guardava all’analisi psicologica. Per l’Arnaldo da Brescia di Frugoni aveva, giustamente, grande ammirazione, anche se non credo che si sarebbe mai cimentato in un’analoga impresa. Ma sul rapporto che Arnaldi intratteneva, o piuttosto non intratteneva, con l’analisi psicologica di se stesso e di altrui, dovrò tornare; perchè il modo in cui la condusse, o piuttosto non la condusse, costituisce un tratto essenziale della sua personalità. C’erano comunque, in lui, ben visibili, altri contrasti. Era ordinato fino al dettaglio maniacale. Ma era possibile che all’ordine in cui teneva gli oggetti della sua scrivania corrispondesse, nella stanza medesima in cui quella era collocata, un preoccupante caos di libri e di carte, che egli si dichiarava sempre sul punto di mettere in ordine senza che mai questo momento venisse sul serio. Era uno studioso scrupolosissimo e con la tendenza, appresa alla scuola di più di un maestro, alla estrema concretezza monografica: analisi e non sintesi, esegesi dei testi. Ma questo non escludeva, tuttavia, sguardi che andavano al di là. Per questo, accanto a pagine di alta specializzazione, era capace di scriverne altre in cui lo storico che talvolta sembrava cedere all’esegeta delle fonti, mostrava una brillante vena narrativa che si esprimeva in pagine di alta e pregevole divulgazione. Chi legga i molti articoli di giornali, che sono ora stati racconti insieme in un grosso volume, noterà senza alcuno sforzo questa sua capacità di narrare, dopo aver colto, con invidiabile sicurezza il centro delle questioni; e avrà di fronte uno studioso che forse non immaginava potesse esprimersi così. Nel momento stesso in cui si definiva piuttosto un lettore di testi che non uno storico, era perciò non solo lo storico che talvolta negava di essere, ma anche un moltiplicatore di progetti, di curiosità, di esperimenti. Il che faceva sì che molti lavori egli li avesse cominciati e, dopo averli fatti progredire fin quasi al traguardo, li avesse lasciati incompiuti, non avendo trovato il modo di dare a essi l’ultima mano (ma diceva anche che, prima o poi, li avrebbe ripresi, per completarli, e a ragione lo diceva, perché fu questo il lavoro a cui egli attese negli ultimi anni quando la gioia di vivere, che l’aveva caratterizzato in tante stagioni della sua esistenza, cominciò a venarsi di malinconia, ed egli non fu più quello che per tanti anni era stato). Di questa prodigalità, che tendeva al non finito, si lamentava, e diceva che ne provava vergogna, come quando, arrabbiandosi con me che, ironicamente, gliene chiedevo notizia, diceva che presto avrebbe ripresa la traduzione di Kaiser, Rom und Renovatio, e l’avrebbe finita perché quel debito a Schramm non avrebbe potuto non pagarlo. Ricordo che in uno dei nostri ultimi colloqui, avvenuto nella sua casa di Piazza Sforza Cesarini, all’improvviso gli dissi che, nel sentirsi inadempiente, aveva torto, perché il lavo-


03Sasso_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:32 Pagina 21

RICORDI DI GILMO ARNALDI

21

ro non finito non conseguiva all’ozio subentrato al lavoro, ma alla sua vitalità, alla sua curiosità, al suo spirito di avventura intellettuale che, mentre camminava per una strada, lo costringeva ad abbandonarla per prenderne un’altra: a una virtù, dunque, che sarebbe stato segno, dopo tutto, di grettezza, se non fosse stata riconosciuta in questo carattere solo perché, moltiplicando le curiosità, recava con sé la difficoltà che incontrava a chiuderle in una conclusione. Chi voglia mettere questa osservazione alla prova dei testi, apra il grosso volume, Conoscenza storica e mestiere di storico, uscito in una collana dell’Istituto italiano per gli studi storici di Napoli, nel quale, sotto quel titolo un po’ alla Marrou e un po’ alla Febvre, egli ha raccolto molti dei suoi scritti di storia della storiografia. Lo apra e lo legga: e non potrà sfuggirgli la ragione per la quale sarebbe fargli torto se lo si considerasse soltanto come l’importante medievista che certamente fu, e in lui non si vedesse l’inesausto sperimentatore di cose nuove, e l’insaziabile lettore. Certo, dal Medioevo, a differenza di quel che era accaduto a Salvemini e a Volpe, non credo che Arnaldi provasse mai il desiderio di venir fuori per inoltrarsi nei paesaggi della modernità. Eppure, la riflessione che non poteva non aver condotta sulla difficile storia dell’Italia, lo indusse a scrivere un libro diverso da tutti gli altri suoi, nel quale la storia medievale è, certo, la più presente, ma in un intreccio inedito, e a tratti sorprendente, con quella moderna e anche contemporanea. Lo intitolò, prendendo il titolo da un libro di Thomas Hodgkin, che ai suoi tempi aveva suscitato l’interesse di Antonio Labriola, L’Italia e i suoi invasori, e fra le altre cose, vi sostenne che, se per gli italiani, e qui citava un poeta, Mario Luzi, l’Italia è stata sempre un sogno e un miraggio, per gli stranieri fu, purtroppo, «un desiderio soddisfatto». È un libro sul quale abbiamo molto discusso, non essendo io riuscito a trovare il filo che, permettendomi di evadere dal suo ordinatissimo labirinto, mi consentisse un chiaro giudizio sulle intenzioni che, nello scriverlo, erano state le sue. Qual è il senso del libro? Che cosa, scrivendolo, Arnaldi ha voluto esprimervi? A quale verità, prima non vista, ha inteso togliere il velo? Forse ha inteso dire che ai danni che le tante invasioni avevano arrecato all’Italia dovevano contrapporsi le tante esperienze di civiltà diverse che, pur nel subire le prime, l’Italia aveva compiute, e non solo in senso negativo, perché, senza riuscire a farne la sintesi, di esse si era tuttavia arricchita? Perché nell’essere stata per tanto tempo piuttosto un oggetto che non un soggetto di storia, si era fatta tuttavia il centro di civiltà che, in qualche modo rielaborate, l’avevano posta, rispetto ai suoi invasori, su un più alto gradino? A questa idea, a cui dava qualche rilievo nella conversazione orale, non mi pare che Arnaldi ne abbia dato uno altrettanto esplicito nel


03Sasso_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:32 Pagina 22

22

GENNARO SASSO

libro; che, molto abilmente costruito mediante la giustapposizione di molte narrazioni, e con la netta esclusione di, si dica così, riflessioni esplicite sulla decadenza, non consente che il lettore possa dire a se stesso se stia leggendo una storia ispirata al positivo o consegnata, invece, al negativo. Esperto di molte e diverse storiografie, e delle relative tecniche, Arnaldi fu infatti, per un altro verso, uno storico all’antica: uno storico che narrava, non teorizzava, e alla narrazione, non a dichiarazioni esplicite, assegnava il compito di spiegare al lettore quale fosse, nel fondo, il pensiero che lo guidava. Durante una discussione che avemmo su questo libro, a un certo punto, feci prevalere la mia drammatizzante vena polemica, e gli dissi: a Machiavelli tu preferisci Dino Compagni. Non so se il rilievo fosse del tutto giusto perché Arnaldi fu pronto a obiettarmi che dal mio libro sulle Istorie fiorentine aveva imparato a considerare quest’opera come un capolavoro, e di questo convincimento aveva dato la prova alle pp. 125127 del suo libro. E sia pure. Ma con il mio rilievo, intendevo dirgli (e Gilmo lo comprese benissimo) che, sebbene mostrasse di condividerne la tesi sulla decadenza italiana, De Sanctis non era un suo autore. Me lo faceva capire già ai tempi di Napoli: De Sanctis è grande, ma scrive male. Come anche per De Caprariis, che allora era quasi il suo tutor, fra le letture di Arnaldi c’era stato anche Rocco Montano, un acerrimo nemico di Croce e di De Sanctis. Ed era forse al retaggio di questa frequentazione eterodossa che risaliva la convinzione che De Sanctis scrivesse male (un giudizio che non mi sono mai sentito di condividere). Chi furono i suoi maestri? Ma è poi giusto rivolgersi questa domanda quando la conoscenza, anche minima che si sia avuta di lui, è sufficiente a dimostrarne l’astrattezza? In realtà, ma su questo dovrò ritornare, per tutta la vita Arnaldi sperimentò: sì che egli non fu mai, a rigore, un discepolo di maestri, fu, al più, il loro curioso interprete. Non sono tuttavia mai riuscito a capire perché del magistero napoletano di Ernesto Pontieri Arnaldi sia stato tanto restio a parlare, anche quando eventuali amarezze del lontano passato, posto che ci fossero state, avrebbero dovuto essersi nel tempo di molto attenuate. Ma, se posso giudicare dal mio punto di osservazione, che non è quello né di un medievista né di uno storico, credo che chi domani scriverà un compiuto e competente profilo di Arnaldi, e lo chiamerà Girolamo e non, come lo chiamo io, Gilmo, a Pontieri dovrà assegnare un posto di assoluto rilievo, non inferiore, credo, a quello occupato da suo padre Francesco. Al quale, in primo luogo, egli dovette la sua eccellente conoscenza del latino, da me direttamente sperimentata in cento occasioni durante l’intero corso della nostra vita (cimentarsi insieme nell’interpreta-


03Sasso_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:32 Pagina 23

RICORDI DI GILMO ARNALDI

23

zione di testi latini particolarmente ardui, forse anche perché mal trasmessi, fu a lungo una nostra passione, ed è rimasta, per entrambi, un caro ricordo). Da Pontieri Arnaldi imparò che la storia è narrazione, e che l’archivio è il luogo in cui soprattutto la si attinge e la si ricostruisce. Da lui, in primo luogo, credo che gli derivasse la felice disposizione narrativa che, quando scrisse di storia, e non di storiografia, non lo abbandonò mai. Ma direi di più. Da Pontieri gli provenne un’idea del Medioevo assai diversa da quella che egli incontrò nelle sale dell’Istituto storico italiano quando, definitivamente, da Napoli si trasferì a Roma per svolgere il suo lavoro presso l’Archivio di Stato: un’idea molto più laica e terrestre di quella che gli era offerta dalla lettura sia de La santa romana repubblica di Giorgio Falco sia del Medioevo cristiano di Raffaello Morghen. Del modo in cui Arnaldi si mise in rapporto con il pensiero di questi due storici e con la loro idea, fortemente unitaria, del Medioevo diranno coloro che, con competenza, parleranno di lui. Ma nessuno, credo, potrà mettere in dubbio la rispettosa indipendenza che egli mantenne nei confronti dell’uno e dell’altro. Più che al cristianesimo in quanto religione, Arnaldi guardava infatti alle sue forme istituzionali e, in primo luogo, naturalmente, alla Chiesa, intorno alla quale non smise mai di riflettere e di lavorare. Più che pura spiritualità, come in Morghen, e superiore principio di idealità civile e religiosa, come in Falco, il cristianesimo fu, per lui, un «collante efficace» (lo definì così ne L’Italia e i suoi invasori, Bari 2002, p.191) di realtà per se stesse disgregate. Il che basta a far comprendere perchè a formule così inclusive come quelle, diverse fra loro, di Falco e di Morghen, egli non potesse consentire senza riserve. Alla supposta unità dell’Europa cristiana, enfatizzata da Falco, egli guardò con diffidenza e scetticismo, non potendo evitare che del giudizio il maestro si risentisse. Di Morghen, da lui molto amato e stimato, ammirò bensì il famoso saggio sulle eresie medievali, ma la sua preferenza riservò, forse, a Il tramonto della potenza sveva in Italia, ossia a un libro di storia politica. A tenerlo lontano dalla sua idea del Medioevo fu forse anche il rapporto, mai fino in fondo chiarito, in cui egli si pose nei confronti di Buonaiuti. Simmetricamente, a renderglielo difficile era un altro rapporto che egli non riuscì mai a mettere in termini che lo soddisfacessero, quello intrattenuto con Adolfo Omodeo; che era stato suo professore nell’Ateneo napoletano e con il quale non era riuscito tuttavia a entrare in contatto, vincendo la soggezione in cui era posto dalla sua persona severa e scontrosa. A Napoli, nell’ambiente crociano, quello di Omodeo era un nome mitico. Altrove, era un nome, non so se intenzionalmente, ignorato, e quando non ignorato, criticato con rabbia fino all’insulto. Poi all’una e all’altro ha tenu-


03Sasso_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:32 Pagina 24

24

GENNARO SASSO

to dietro l’oblìo. Non ho notizia di qualcuno che, affrontando sul serio i tre volumi delle Origini cristiane e l’altro su La mistica giovannea, spiegasse la ragione dell’oblìo in cui erano caduti, del senso di sufficienza con cui se ne parlava e se ne parla, o, piuttosto, se ne taceva e se ne tace. Nemmeno so di qualcuno che abbia provato a spiegare, innanzi tutto a se stesso, perché, in che senso e se sia vero che i tre volumi di Omodeo sulle Origini cristiane sono l’espressione dell’impossibilità che potesse scriverne la storia chi avesse preteso di ispirarsi alla logica attualistica. In realtà, nascendo da un’opposta convinzione, le Origini cristiane furono una sfida che Omodeo condusse da solo nell’incomprensione dei più. Ma per capirne il senso, della filosofia di Gentile occorreva sapere più cose di quelle che, di norma, sono nel patrimonio dei dotti che scrivono di queste cose. A differenza di altri, Arnaldi sapeva bene che i libri di Omodeo richiedevano una lettura condotta, per così dire, su due piani. Li lesse. Ma non ritenne che appartenesse a lui il compito di dar conto della loro genesi e di spiegare il senso della sfida di cui ho parlato. Sta di fatto che, senza che egli lo comunicasse ad altri, lo spettro di Omodeo seguitò ad aggirarsi a lungo nelle sue stanze. Non essendo venuto a capo del rapporto che, criticandolo ed essendone criticato, aveva intrattenuto con Buonaiuti, non si ritenne in grado di spingere più a fondo lo sguardo, anche perché del pensiero di quest’ultimo non si sentì di tentare la ricostruzione non essendo riuscito a interessarsene sul serio. Se Omodeo lo metteva in difficoltà con la filosofia, Buonaiuti faceva altrettanto con la sua eccessività. La sua prosa era fatta per disturbare il suo innato senso della misura. Gli «anni uraganici» non appartenevano al calendario e al lessico arnaldiano. Di Buonaiuti, comunque, parlammo spesso nei tanti anni della nostra amicizia. Ma invariabilmente il discorso si chiudeva nella constatazione di un fallimento, che era mio prima ancora che suo. Così la questione buonaiutiana si ripercosse anche nel rapporto che egli intrattenne con Frugoni e, soprattutto, con Manselli: due storici molto da lui ammirati e nei confronti dei quali, pur riservando a entrambi la più schietta stima, mantenne la stessa distanza in cui si collocò nei confronti degli storici francesi, tedeschi e polacchi, con i quali stabilì rapporti di amicizia. Da ciascuno di essi certamente imparò molte cose, senza tuttavia mai rinunziare a quel nucleo di pensieri e di atteggiamenti intellettuali che gli proveniva dalla mai dimenticata cultura napoletana e crociana. Non dirò, perché questa sarebbe non più che una boutade, che, nel rapporto stabilito con loro, Arnaldi sia stato un crociano in partibus infidelium. Ma non saprei dire, e sarà certo per la mia pochezza, in quale sua pagina si avverta la presenza della storiografia di Le Goff, di Toubert (del quale aveva grandissima stima) o di Duby. Era la curiosità


03Sasso_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:32 Pagina 25

RICORDI DI GILMO ARNALDI

25

intellettuale, non certo un’esigenza di proselitismo, che lo spingeva a entrare in contatto con loro, a conoscerli, a leggerli accettando e criticando. Ma se non si sarebbe mai sognato di rivendicare, nei loro riguardi, la superiorità della «metodologia» crociana, e mai avrebbe scritto, e nemmeno sottoscritta, la lettera aperta che dalle colonne de Lo spettatore italiano De Caprariis aveva diretta, alla fine degli anni Quaranta, a Lucien Febvre, alla sua origine Arnaldi non era disposto a rinunziare. Mentre ampliava i suoi orizzonti, sapeva bene che le sue sperimentazioni non sarebbero state possibili, se alla loro radice non ci fossero stati i suoi giovanili Lehrjahre e la fedeltà ai suoi primi maestri. Dal mondo, che era stato il suo, non era disposto ad allontanarsi, aiutato, in questo dalla debole propensione che provava per le questioni di metodo, ma anche da quella, altrettanto debole, che su di lui esercitarono i Quaderni del carcere di Antonio Gramsci. Più che di Gramsci, credo che si interessasse di certe parti del Capitale, sollecitato a conoscerle da questioni incotrate nel vivo della ricerca storica. Poiché ho parlato dei suoi maestri, ossia dagli studiosi ai quali egli guardò con indipendente interesse, peccherei di grave incompletezza se non ne ricordassi uno che, medievista propriamente non era stato nemmeno in gioventù, e con il Medioevo aveva tuttavia avuto un contatto diretto essendosi dedicato allo studio delle origini delle Signorie settentrionali. Chabod fu, nella vita di Arnaldi, un punto di riferimento costante. Lo lesse, lo studiò, ne scrisse con molto impegno: con Romeo e con me rese possibile la pubblicazione del suo Carlo V nella Storia di Milano pubblicata dalla Fondazione Treccani. Una volta mi disse: senza Chabod, di te non avrei capito niente. Non sarebbe stata una perdita grave. Ma è indubbio che, fino all’ultimo, il ricordo di Chabod fu vivo in entrambi. Capitava che spesso il ricordo tornasse a lui, e soprattutto all’ultimo periodo della sua vita, così drammatico e, per tante ragioni, così strano. Ricordare quei giorni era, per me e per lui, come tornare al momento in cui ci si accorge che al di fuori di noi non c’è più nessuno che possa darci qualche essenziale assicurazione, e che d’ora innanzi si deve fare da soli. Veramente, la morte di Chabod fu per lui e per me uno di quegli eventi che, nella vita, hanno valore periodizzante. Chabod non era uomo che, nei confronti dei giovani entrati in contatto con lui, esercitasse una forma qualsiasi di protezione. Ma che da lui ci si sentisse protetti, era un fatto. E tanto più singolare in quanto una sola volta andai da lui per ragioni diverse da quelle che concernevano un autore o un testo. Si trattava di un’occasione sul serio unica, e irripetibile, della quale solo Gilmo allora seppe. Ora che anche lui se n’è andato persino la via dei ricordi risulta, in tanti punti, sbarrata per sempre.


03Sasso_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:32 Pagina 26

26

GENNARO SASSO

Ho conosciuto Arnaldi nel novembre del 1951 quando feci il mio ingresso, come borsista, nell’Istituto italiano per gli studi storici di Napoli. Provenivo dalla Facoltà di lettere e filosofia dell’Univerità di Roma, che non aveva ancora ripreso il suo titolo di Sapienza (lo riprese per iniziativa proprio di Arnaldi, che aveva avuto dal Rettore Antonio Ruberti l’incarico di organizzare una Storia della medesima). Lì avevo subìto varie metamorfosi perché, essendovi entrato per studiarvi il latino e soprattutto il greco, la situazione di precarietà in cui quest’ultima cattedra versava a causa dello stato di salute del suo titolare, mi orientarono, prima, verso la letteratura tedesca, e, quindi, dopo l’improvvisa morte di Giuseppe Gabetti, verso la storia e, soprattutto, la filosofia. Credo sia necessario ricordarlo perché, avendo avuto modo, nel seminario di Carlo Antoni, di discutere molto di Croce e di idealismo, quando arrivai a Napoli e presi contatto con l’atmosfera che vi regnava, ebbi un’impressione come di trasognamento. Tutto, la cultura e la politica, vi era diverso. A Roma, la passione politica e l’antifascismo erano alimentati, non solo dal ricordo vivissimo e opprimente dei nove, durissimi mesi che era durata l’occupazione nazifascista, ma anche dal forte contrasto in cui subito venimmo a trovarci con i gruppi fascisti, che non erano esigui, come si potrebbe pensare, e in compenso erano non poco aggressivi. A Napoli non riscontrai niente di simile. Il fascismo sembrava appartenere ai libri di storia e l’ambiente liberale, o, per dir meglio, filogovernativo, risentiva del carattere prefascista che aveva da ultimo provocato lo sdegno di Omodeo e il contrasto con Croce. Sul fronte culturale, la differenza non era meno netta. A Roma l’idealismo e il crocianesimo erano già allora (parlo degli anni 1946/1950) in un momento di grave difficoltà. E non era difficile coglierne il segno. Se presso Antoni, la filosofia dello spirito era il tema dominante, e dominante era la fedeltà a essa, forti venti di contestazione provenivano dal gruppo che aveva in Sapegno il suo punto di riferimento, sì che può ben comprendersi con quanta facilità penetrassero anche in altri ambienti. Non so quel che a Napoli, nei corrispondenti mesi, fosse avvenuto nell’Università, della quale, nel periodo trascorso all’Istituto, sarei stato più che parco frequentatore. Ma, a parte Chabod, che conoscevo bene, e faceva storia a sé, all’Istituto il clima fu da me percepito come quasi surreale. Era come se il crocianesimo vivesse allora il suo momento espansivo, non quello dell’accentuato declino. Era come se di quel che stava avvenendo nelle altre Università a Napoli non si fosse preso atto e quasi non si avesse notizia; e a comunicare questa impressione era non solo il professore al quale, nell’Istituto, era stato affidato l’insegnamento della filosofia, e che considerava il maestro e tutto ciò che lo riguardava come storia sacra, erano altresì giovani studiosi di mente aper-


03Sasso_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:32 Pagina 27

RICORDI DI GILMO ARNALDI

27

ta e di provetta bravura, come, per esempio, Marcello Gigante e Ettore Lepore, per i quali la fedeltà a Croce era tuttavia cosa ovvia e imprescindibile, per non parlare di Giovanni Pugliese Carratelli. Studioso insigne di cose greche arcaiche, esperto archeologo, e operante, come professore, fra Firenze e Pisa, era bensì, nelle materia di sua diretta competenza, di mente apertissima e spregiudicata, ma, nei confronti di Croce, e di Omodeo, che considerava il suo maestro, non era disposto se non al riconoscimento della grandezza di entrambi. Arnaldi che, essendo figlio del temuto professore di latino dell’Università di Napoli, era molto addentro alle cose accademiche, aveva, come ho già avuto occasione di ricordare, direttamente conosciuto Adolfo Omodeo, prima, probabilmente, di iscriversi all’Università. Non si può dire, quindi, che ne fosse stato allievo: Omodeo morì nel 1946 nello stesso anno, dunque, in cui Gilmo iniziava il suo quadriennio universitario. Ma, per aver avuto occasione di vederlo in varie occasioni, ne conservò sempre un ricorso assai vivo, fatto di ammirazione e di un vago timore. Omodeo era, nell’ambiente liberalazionistico, una figura che s’imponeva per il rigore e la nettezza delle tesi politiche, a cui dava forma concreta negli articoli che scriveva per l’Acropoli. Era nettamente repubblicano in un ambiente che, per tradizione, inclinava verso la monarchia. E attraeva i giovani, alcuni dei quali non erano ignari della lezione di Guido Dorso. Con Croce costituiva il punto di riferimento dei pensieri di quanti sentivano di rappresentare il liberalismo nato dalla religione della libertà, o della libertà, come Omodeo l’aveva definita, «liberatrice». Il culto di cui Omodeo e Croce erano oggetto non precluse a Arnaldi la frequentazione di altri personaggi e la cauta sperimentazione di altri ambienti. La eseguiva per una irresistibile tendenza del suo spirito, per curiosità e desiderio di conoscenze, sfuggendo, credo, all’amichevole controllo che su di lui era esercitato da Vittorio de Caprariis che, proveniente dalla Facoltà di Giurisprudenza, aveva, del resto, lui pure qualche frequentazione eterodossa, destinata, tuttavia, a risolversi e perdersi, come insignificante rivolo, nel gran mare crociano. Può ben comprendersi, quindi, che, se, per un verso, fuori discussione era la sua appartenza al mondo crociano, per un altro era innegabile che per coloro che o se ne distaccavano, o lo criticavano senza avervi mai aderito, provasse un’irresistibile curiosità. L’anno precedente era stato ammesso, come uditore, ai corsi dell’Istituto, e lì aveva conosciuto Nicola Matteucci, che sarebbe poi tornato per qualche settimana anche l’anno successivo (ma io ricordavo di averlo conosciuto un paio di anni prima, a Cortina, quando, in una strana occasione, avevo ricevuto i complimenti di Giorgio Pasquali, che mi aveva sentito pronunziare come algida, e non algìda, la marca di un noto gelato!). Matteucci era


03Sasso_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:32 Pagina 28

28

GENNARO SASSO

allora comunista, o ancora comunista. Aveva pubblicato un libro su Gramsci e la filosofia della prassi, che fu fra i primi, se non il primo, a essere dedicato al suo pensiero. Con lui Arnaldi strinse un’amicizia che durò l’intera vita; e, se a certe sue idee non dava il suo consenso, era ben lungi dal respingerle con il fanatismo che era di altri. Con Alfredo Parente, ossia con il professore fedelissimo, Matteucci ingaggiava autentici tornei dialettici, spalleggiato da Antonio Santucci, qualche volta da Gigi Pedrazzi, mai da me che, dopo aver a lungo discusso nel seminario di Antoni guadagnandomi la fama, entrambe le volte immeritata, ora di gentiliano ora di carabellesiano, assistevo allibito al modo in cui quella discussione si svolgeva, fra giovani certamente intelligenti e desiderosi di confronti autentici e quel fanatico professore per il quale il mondo cominciava e finiva con Croce, e che non era disposto ad ammettere altro: di altro infatti non sapeva e non voleva sapere, e chi dal maestro anche per poco divergesse doveva essere messo sopra un ideale rogo purificatore. Ricordo bene che, quando uscivamo da quelle ore di seminario e non c’era modo di ricreare lo spirito delle lezioni sempre emozionanti di Chabod, qualche volta prendevamo, lui ed io, la via che conduce nella direzione di Mergellina e di Posillipo (Gilmo abitava, con i genitori, in quella parte della città). Fra noi si stava stringendo l’amicizia che, senza interruzione, sarebbe durata fino all’ultimo giorno della sua vita, e quelle passeggiate serali divennero un’abitudine con l’ occasione che era a esse connessa dei discorsi più vari, nei quali non incontravamo limiti che non fossero quelli segnati dalla nostra reciproca discrezione. Alle mie rimostranze relative al fanatico dogmatismo di quelle lezioni filosofiche (ricordo che una sera presi con impeto le difese di Karl Löwith che era stato duramente attaccato per aver dissentito da Croce in un argomento vichiano), Arnaldi, per solito, non obiettava e non consentiva. Ma una volta, all’improvviso, come spesso gli accadeva, mi confidò che qualche tempo prima, in un circolo politico-culturale, che si chiamava, mi pare di ricordare, L’Atollo, aveva parlato con favore e interesse dell’Estetica di Guido Calogero, il che, senza implicare l’abbandono di quella di Croce, significava pur sempre che lui si muoveva al di fuori dei pregiudizi e non si preoccupava di intrattenersi su un autore più volte scomunicato. In altre occasioni, ricordo, mi parlò a lungo di Franco Venturi; e poiché nell’estate che l’anno prima avevo trascorso a Londra, di sera, per distrarmi dalla noia che mi produceva lo studio di un eretico italiano del Cinquecento, leggevo Il populismo russo, la cui conoscenza aggiungevo a quella de la Jeunesse de Diderot, trovammo un argomento di conversazione che non riguardava i nostri specifici campi di studio.


03Sasso_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:32 Pagina 29

RICORDI DI GILMO ARNALDI

29

Era difficile, invece, che Arnaldi accettasse di parlare del suo lavoro; e poiché in questo il suo atteggiamento coincideva con il mio, la somma dei due silenzi avrebbe facilmente potuto condurre alla fine delle nostre passeggiate serali, o le avrebbe rese mute, se altro non fosse intervenute a difesa dello spirito del discorso. Ma gli argomenti erano tanti, e non riguardavano soltanto la storia e la filosofia. C’era in Arnaldi, da giovane un tratto che poi sarebbe rimasto caratteristico di lui, e dominante, fino al giorno in cui, all’improvviso, la sua gioia di vivere passò nel suo contrario. Arnaldi era un uomo mite, oltre che, come ho detto, ostinato. Ma, connessa alla sua gentilezza, era naturale in lui la tendenza a porsi al centro delle situazioni umane, a conoscerle e, entro certi limiti, a dominarle per assicurarsene. Eseguiva questa operazione, che non gli richiedeva sforzo alcuno ma, certo, gli prendeva tempo, con grande naturalezza e suprema abilità. La eseguiva, come ho già detto, non per soddisfare una curiosità che in lui si congiungesse con il gusto della comprensione psicologica delle moltissime persone con le quali entrava in contatto, ma, e questo può sembrare strano, per difendersene, per non correre il rischio che la penetrazione che avesse fatto della psicologia di uno avesse avuto il suo riscontro in quella che altri avesse fatto, o potesse fare, della sua. Potrà sembrare strano che si dica così di un personaggio dalle mille amicizie o, quanto meno, dalle mille conoscenze. Ma debbo ripetere che, istintivamente, Gilmo diffidava della psicologia. Temeva di esserne messo in pericolo. Se ne teneva infatti lontano, contentandosi di quella «vaga e media» che è in uso nelle normali relazioni umane. Dell’altra, di quella che si apprende leggendo grandi romanzi e, magari Freud, ma soprattutto è essa stessa una disposizione psicologica, Arnaldi non volle mai sapere. Dalla psicologia si difendeva, non chiudendosi in se stesso e rendendosi impenetrabile, ma moltiplicandosi nelle amicizie, in ciascuna delle quali nascondeva una parte di se stesso. Ricordo che una volta glielo dissi: «sei uno storico, non solo di istituzioni, ma anche di uomini, e di uomini ne conosci tanti anche al di fuori della storia che studi: possibile che non ti sia mai venuto in mente di leggere una pagina di Freud o, almeno di Balzac?». Rimase per un po’ sopra pensiero, in silenzio. Poi mi disse: Balzac l’ho letto (ma non aggiunse che aveva o che avrebbe letto Freud). A colpirmi era anche la velocità estrema con la quale Arnaldi passava da un discorso a un altro: una velocità alla quale egli stesso stentava a tener dietro. Per questo, credo, poteva accadere che, per metter fine al veloce succedersi delle idee, dando espressione a un modo che è rimasto proverbiale fra gli amici, all’improvviso egli dicesse “ciao” e si allontanasse velocemente, lasciando il suo interlocutore a contemplare, solo, le bellezze del


03Sasso_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:32 Pagina 30

30

GENNARO SASSO

golfo. Si capiva allora, ossia si cominciava a capire, che, mentre nella sua esistenza tutto sembrava felice e risolto, c’erano invece in essa luoghi ai quali egli non desiderava né di pervenire lui né che altri pervenisse, pensieri improvvisi, preoccupazioni, presentimenti che richiedevano il suo ritiro in qualche protettrice solitudine. Questo personaggio, che sembrava estroverso e quasi un eroe della socievolezza, chiudeva in sé inquietudini non domabili e potenziali tristezze: quelle stesse che lo conducevano talvolta a disperdersi nella moltiplicazione dei lavori, degli interessi, degli incontri, e a non avere il controllo di questa problematica ricchezza, della qual cosa avvertiva il rischio, e si lamentava. Poiché, d’altra parte la radice di tutto questo era troppo profonda e coincideva con la cifra stessa della sua personalità, saviamente, per dirla con Cunizza da Romano, indulgeva alla sua sorte e non se «noiava»: salvo che, a differenza di quella del personaggio dantesco, la sua non era un’anima del Paradiso, la sofferenza non le era risparmiata e di «noiarsi» qualche volta non poteva fare a meno. In realtà, era come se Arnaldi temesse la vita che amava e, talvolta, giungeva a deplorare. Il che induceva me, che per tanti e tanti anni fui il suo amichevole e antagonistico confidente, a ribadirgli, nei momenti in cui i nostri discorsi tendevano a salire al livello della maggiore serietà, che di quel che deplorava doveva invece compiacersi. Quella era, infatti, la cifra della sua creatività e della sua stessa vita, della quale gli dicevo, mannianamente scherzando, lui era una sorta di beniamino (prendevo la formula nel suo significato più semplice perché il Sorgenkind nasconde in sé un significato assai più inquietante). La discreta indipendenza che dimostrava nei confronti del pesante crocianesimo caratterizzante, in certe sue parti, l’ambiente intellettuale dell’Istituto di studi storici si notava di meno nelle cose della politica. Per questo, a differenza dell’altro, il discorso non può, a questo riguardo, non farsi più complesso, anche se non sia possibile, in questa sede, dargli lo sviluppo che sarebbe necessario. È un discorso che tante volte ho fatto con lui, e non sono sicuro che, avendo capito perfettamente quel che dicevo, egli ne fosse persuaso al punto da riconsiderare, alla sua luce, anche qualche tratto non secondario delle sue idee politiche: come ho detto, quanto era mite, altrettanto Arnaldi era ostinato. In breve, dirò così. Fra Roma e Napoli ci sono meno di duecento chilometri. Ma furono quelli che fra il 1943 e il 1944, con gli eserciti alleati rimasti fermi a Cassino e poi a Anzio e Nettuno per circa nove mesi, determinarono, nelle cose politiche e nell’atteggiamento tenuto nei confronti del fascismo, una differenza assai rilevante. Per dirla molto in breve. Napoli conobbe la ritirata dell’esercito


03Sasso_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:32 Pagina 31

RICORDI DI GILMO ARNALDI

31

tedesco e visse le famose quattro giornate: una pagina significativa che stenta tuttavia a entrare in una storia della resistenza perché, nemmeno in quel breve periodo, alla città fu dato di conoscere il volto orribile del fascismo repubblicano e di sperimentare la sua efferata violenza. Roma, invece, conobbe l’occupazione nazifascita per nove, tetri e interminabili, mesi, dal 10 settembre 1943 al 4 giugno 1944; ed è per quel che vi accadde, per le sofferenze che la sua popolazione patì, per la cospirazione e il terrore, che la sua vicenda entra a pieno titolo nella storia della Resitenza italiana, che proprio lì, anche se in forme diverse da quelle assunte nel Nord, ebbe la sua origine. Questa diversa esperienza del fascismo spiega, alla radice, la frattura che subito notai fra l’antifascismo mio e quello dei compagni di studio napoletani, che incontrai a Napoli. Il mio era un antifascismo attuale, quello dei napoletani non lo era più, non perché in passato fosse stato meno vivo e convinto, ma perché mancava a esso l’esperienza del suo ultimo atto, il più feroce e vendicativo, perché, a differenza del nostro, era fondato su esperienze che essi non avevano vissute. A Roma era stato possibile che, sia pure in proporzioni più modeste di quelle che poi sarebbero state compiute al Nord, gli antifascisti di tradizione liberale e azionistica avessero uno stretto contatto con i comunisti: il che rese poi difficile, quando il mondo si divise in due, assumerli come i protagonisti di un’altra storia e come nemici. Di tutto questo a Napoli non c’era traccia. A causa del modo in cui la guerra si era svolta sul terreno, Roma appartenne alla resistenza, Napoli no. Di qui due modi assai diversi di interpretarne il senso. Nell’ambiente napoletano di orientamento liberaldemocratico la resistenza coincideva con la presa mussoliniana del potere, e quella che, variamente, si era combattuta da Roma in su, non era che il capitolo di una storia unitaria. Da Roma in su la questione si poneva in altro modo: quella combattuta contro i fascisti era stata un’autentica guerra, combattuta con le armi, era stata una feroce guerra civile, nella quale l’antifascismo aveva definito il suo volto, anzi i suoi volti, in modi ben altrimenti drammatici. Nell’unico antifascismo, a parte quelle che fin dall’inizio lo avevano caratterizzato, si era determinata una frattura profonda, che non poté più essere ricomposta e costitituì una ragione di debolezza della successiva vita repubblicana. È un discorso serio, che non può essere lasciato a queste poche battute. Ma spiega, tuttavia, la difficoltà con cui, al riguardo, cercavamo di far convergere i nostri discorsi verso una meta comune, spiega perché a me riuscisse facile parlare con i compagni che venivano da Bologna e da Milano, e meno facile, in definitiva, con quelli di Napoli, per i quali era come se l’antifascismo fosse cosa passata e storicamente definita.


03Sasso_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:32 Pagina 32

32

GENNARO SASSO

Chi ricostruirà il percorso intellettuale di Gilmo Arnaldi, si interrogherà sulle sue letture giovanili, indagherà sul modo in cui visse nella famiglia, per tanti aspetti austera, che fu la sua, rifletterà sull’arte con la quale gli fu dato di operare la sua metabasis da veronese-vicentino in napoletano (ma napoletano, a cominciare dall’accento che sempre conservò il suo carattere originario, egli non divenne mai), - chi compirà queste varie operazioni conoscitive si troverà di fronte a varie porte aperte, altre invece le troverà chiuse e, da aprire, non facili. Per quel che appresi da lui, posso dire che, avendo frequentato il liceo, ma credo anche il ginnasio superiore, a Napoli, era ovvio che vi avesse incontrati professsori che variamente furono importanti per la sua iniziazione, non solo culturale, ma anche politica. Fra quelli che ebbero su di lui un influsso ragguardevole e contribuirono a orientarlo verso il crocianesimo, fu un letterato, Mario Sansone, il cui manuale di Letteratura italiana era del resto di largo uso, in quegli anni, anche nei licei romani. So inoltre che, a parte Pontieri, all’Università aveva trovato un professore degno di essere seguito e studiato in Salvatore Battaglia, mentre profondamente, e non a torto, era rimasto deluso da chi avrebbe dovuto aprirgli almeno una porta del castello filosofico, nel quale infatti, e se ne rammaricava, non riuscì a penetrare mai. Non so di sue iniziazioni politiche che avessero avuto per lui un significato particolarmente dirompente. Il suo antifascismo rimase, nella sostanza, quello che egli aveva appreso nella sua famiglia: un antifascismo dignitoso, ma di stampo conservatore, al quale, nella sostanza, fu sempre fedele sebbene, negli anni dell’Università, si fosse collocato a metà strada fra i liberali di sinistra e l’ala destra del Partito d’azione: un partito che, del resto, rapidamente si dissolse e lo restituì intero all’altro. La componente originariamente conservatrice prevalse così sempre nei confronti dell’altra che suggeriva una politica non passivamente allineneata sulle eterne posizioni governative; e, sotto questo riguardo, non trovò difficoltà, a inserirsi nel quadro di quello napoletano, che ho descritto qui su. C’è, tuttava, dell’altro; e credo che sia il più importante. Dubito che comprenderebbe il senso delle sue scelte chi semplicemente restasse chiuso nell’universo politico, e in termini politici le interpretasse, a modelli politici le riferisse. In realtà, il suo rapporto con la politica era dei più singolari. Non sapeva farne a meno, se ne interessava con quotidiana regolarità, ascoltava notiziari, ne parlava con chi ne sapeva più di lui e poteva erudirlo, leggeva con cura quasi maniacale i giornali, avendo l’abitudine, che sempre mi sembrò stravagante, di leggerli dalla prima pagina all’ultima, compreso lo sport di cui niente gli importava. Ma un testo era un testo, aveva un inizio una fine: cominciato, doveva essere finito. Solo nei tempi dell’Anvur e di consimili nefandezze, si può stabilire


03Sasso_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:32 Pagina 33

RICORDI DI GILMO ARNALDI

33

che, se un libro consta, per esempio, di trecento pagine, se ne possano leggere, con il convinto consenso dei professori, centoquindici, e subire soddisfatti e felici la conforme interrogazione. Ma, a parte i giornali e la cura minuziosa che dedicava a essi, la politica aveva nel suo universo interiore una collocazione tutt’affatto particolare. Se ne interessava tanto, non perché l’amasse e se ne sentisse attratto, ma per la ragione opposta, perché non l’amava affatto e desiderava che si risolvesse e sparisse nelle soluzioni virtuosamene date ai problemi che si era trovati davanti. Non che la teorizzasse, questa situazione, e si persuadesse che fosse la sua. Ma, per la lunga consuetudine che ho avuta con lui, credo di poter dire che per lui la politica doveva esercitarsi in grande stile per sopprimersi nel risultato; che era un decente ordine civile all’interno del quale si potessero coltivare, in pace e tranquillità di spirito, senza minacce giacobine alle porte, i propri interessi che, nel caso suo, erano intellettuali e letterari. La politica doveva, in altri termini, esercitarsi per cancellarsi di volta in volta in un «risultato calmo». Per questo, una volta gli dissi che, paradosso per paradosso, quando lo ascoltavo e mi sembrava di poterlo interpretare nel modo che ho detto, pensavo anche che lui non sarebbe stato male nel mondo comunista descritto da Marx nella Critica del programma di Gotha; ed egli, che era uomo di spirito, convenne, ma mi disse anche che, passi per il «risultato calmo», ma se, per ottenerlo, si fosse dovuto far ricorso a Robespierre, allora no, perché quel personaggio gli faceva veramente orrore. Perché nel ricordo che si moltiplica nei ricordi, sono questi, di natura politica, che ora mi tornano con insistenza alla mente? Per due ragioni. Perché, in determinati momenti della nostra vicenda politica, il nostro dissenso fu così radicale, e questa è la prima ragione, che avrebbe condotto a una forma di rottura se a impedirlo, e questa è la seconda, non fosse stata un’amicizia che escludeva come soltanto assurda quella possibilità. Eppure, in politica il dissenso era netto. Si determinò nella sua forma più acuta quando nel nostro paese si avanzò l’ipotesi di un compromesso storico che avrebbe dovuto unire nel governo del paese le due forze che, a partire dal 18 aprile 1948, si erano combattute l’una stando sempre al potere, l’altra sempre all’opposizione. Era un’ipotesi che sconvolgeva molti sonni beati, vecchie e consolidate abitudini, e rischiava di introdurre qualcosa di nuovo in un sistema nato per essere sempre identico a se stesso. Che quindi fosse combattuta da chi obiettava che, in quel modo, con una maggioranza che quasi coincideva con la totalità delle forze politiche, era il sistema democratico a esser messo in pericolo di snaturamento, si può anche comprendere. Ma più forte di questo era comunque l’argomento


03Sasso_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:32 Pagina 34

34

GENNARO SASSO

che l’acquisizione di una forza come quella comunista al sistema della democrazia liberale era stata in fondo il sogno, sognato a occhi aperti, di una forza come quella azionistica, e non ci si doveva perciò meravigliare se azionisti autentici ora la proponessero e la sostenessero. Meravigliarsi piuttosto si doveva che a questa prospettiva non aderisse chi sempre aveva dichiarato di non sentirsi a suo agio nella stagnante atmosfera della politica italiana. La questione comunque si complicò quando Indro Montanelli lasciò il Corriere della sera che, sotto la direzione di Piero Ottone, aveva assunto posizioni fiancheggiatrici del corso che si annunziava, e fondò il Giornale, al quale invitò a collaborare molti intellettuali di gran nome e, fra questi, anche Arnaldi che accettò con entusiasmo e non lesinò i suoi interventi. Un invito, ma per via indiretta, pervenne anche a me e fu cortesemente respinto. I temi del conflitto che allora divise Arnaldi e me non erano solo di stretta natura politica. Riguardavano aspetti essenziali della carta costituzionale nella parte, soprattutto, che concerneva la giustizia e la sua indipendenza dal potere politico. Il punto di più fiero contrasto riguardava la così detta separazione delle carriere e l’obbligatorietà dell’azione giudiziaria. Si intendeva, con quella proposta, che i procuratori avrebbero cessato di appartenere alla magistratura e di godere della autonomia che l’appartenervi garantiva alla loro azione, per costituire un corpo a sé alle dipendenza del Ministero degli interni e modulare la loro azione secondo le esigenze superiori della politica, dalla quale, in ultima analisi, la loro azione sarebbe dipesa. Era, grosso modo, il modello francese; e non era un buon modello. Fra me e lui la discussione su questo punto fu accanita; e ne rimane una traccia in una dedica a stampa che Gilmo mi fece di un suo scritto medievistico. Arnaldi temeva quel che poi, in effetti avvenne, e cioè che, svolgendo il suo compito, l’azione della magistratura avesse per conseguenza la distruzione della classe politica. Per parte mia, gli obiettavo che non era colpa della magistratura, quale che fosse di volta in volta lo stile di questo o quel magistrato, se la classe politica rischiava il disastro. Per evitarlo, avrebbe dovuto correggere se stessa, rendendo così inutile l’azione della magistratura: meglio ancora se non avesse avuto bisogno di correggersi, e fosse stata virtuosa. Ma ciascuno rimase del suo parere, anche se, avendogli una volta obiettato che, a parte ogni altra e più importante considerazione, mi sembrava grave che, con la separazione delle carriere, un pubblico ministero non potesse mai passare dalla magistratura inquirente a quella giudicante, cambiando musica e togliendosi di dosso quella divisa da inquisitore, Arnaldi apprezzò l’argomento. Ma, in generale, non cambiò parere.


03Sasso_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:32 Pagina 35

RICORDI DI GILMO ARNALDI

35

Se negli ultimi tempi si avvicinò molto alla forza che aveva così tenacemente avversata, la ragione è, certamente da ritrovare nelle buone ragioni che seppe dare a se stesso, ma anche nel suo interiore tratto aristocratico, nelle buone maniere che egli aveva ereditate dai suoi, nella civiltà della sua persona che troppo contrastava con l’inciviltà profonda del personaggio che, avventurosamente emerso in quegli anni, ha contribuito in modo decisivo a dare all’Italia una sorta di colpo di grazia. Nell’avversarlo, egli mise un impegno commovente, che si faceva tanto più tale quanto più visibile era la nera nuvola che stava scendendo sul suo spirito, e al suo vivere toglieva ogni gioia. Grandi dolori intervennero, da ultimo, nella sua vita. E fu difficile per gli amici, e anche per me che per sessantacinque anni ho condiviso con lui i momenti più importanti della vita, stargli vicino e risvegliare gli interessi che sempre erano stati i suoi. Un pensiero singolare e doloroso mi attraversa la mente. Un pensiero che vale per lui come per me: con la sola differenza che sono io a poterlo ora formulare nella mente e non trascrivere sulla carta, perché quel momento l’ho vissuto e non so come non mi abbia ucciso. Dopo averlo formulato, mi si consentirà, tuttavia, di non dargli espressione. Dirò solo che Gilmo ha dovuto morire per non essere ucciso da un evento che, se l’avesse vissuto, non so come avrebbe potuto aggiungersi al peso, che già gli si era fatto insostenibile, della vita. Sotto questo riguardo, la sorte, che da ultimo aveva voltato le spalle al suo Sorgenkind, gli fu benigna. E ora che cosa debbo aggiungere a queste pagine nelle quali ho cercato di rievocare il senso di un’amicizia che ha conosciuto momenti lieti e polemiche, ha avuto per anni e anni un lessico comune e un’illimitata capacità di reciproca comprensione, e mai, in nessuna occasione, un sentimento che l’abbia contraddetta, anche solo per un istante?


03Sasso_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:32 Pagina 36


04Galasso_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:32 Pagina 37

GIUSEPPE GALASSO RICORDO DI GILMO ARNALDI

Di Gilmo Arnaldi non fu mai in dubbio l’orientamento politico. Coloro, che, come me, lo hanno conosciuto sin dalla prima giovinezza, sanno che il suo credo politico era di semplice e immediata formulazione e riconoscibilità. Era il credo della liberal-democrazia occidentale quale si atteggiava in tutti i suoi complessi e difficili problemi all’indomani della seconda guerra mondiale e nell’Italia post-fascista. Era il credo della forza profonda dei principii e delle idee come motore della storia. Era il credo di un laicismo non gridato e non sistematizzato, ma profondamente vissuto come una dimensione imprescindibile della libertà di coscienza, tanto più in gioco in quanto in lui la tradizione e la realtà del cattolicesimo formavano parte di un retaggio familiare, al quale egli non poté mai essere insensibile. Era il credo del principio della nazionalità, che a lui, italianissimo di educazione e di sentimenti, imponeva la consapevolezza di molti e gravi problemi storici e strutturali. Era il credo della maturità storica di un europeismo, fatto anche di idealità, di vissuta cultura storica, di passioni e di speranze per un futuro diverso dei popoli europei, senza sacrificio delle loro dimensioni nazionali, ma col senso pieno di quel che di nuovo per essi comportava la dimensione europea. Era il credo della funzione civile e pubblica della cultura, che rifiutava ogni e qualsiasi atteggiamento castale e magistrale degli intellettuali e degli studiosi, ma senza mai implicare in alcun modo una qualsiasi subordinazione degli studi o dell’intelligenza ai princípi attuali o potenziali. Di questi e di altri pochi, simili e connessi, credo si alimentava la passione civile che, contrariamente all’idea che molti ebbero di lui, fu in lui sempre fortemente viva e attiva. Ma non si creda che la chiarezza e la saldezza dei principii affievolissero in lui il senso chiaro e immediato delle necessità e delle urgenze della politica. Fu pronta e senza tentennamenti la sua solidarietà con i partiti centristi degli anni ’50, così come la sua convin-


04Galasso_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:32 Pagina 38

38

GIUSEPPE GALASSO

zione dell’opportunità del passaggio al centro-sinistra nei successivi anni ’60, e poi la sensibilità al tema della “questione comunista” dagli anni di Moro a quelli di Berlinguer. Allo stesso modo mai nessun dubbio egli ebbe sulla inevitabilità della scelta atlantica e delle necessità politiche e militari che ne conseguivano. Insomma, egli era tutt’altro che sprovvisto di senso politico e delle discipline e dei condizionamenti che la “politica buona” impone non meno della “politica cattiva”, pur vivendo anche queste istanze della prassi politica con lo stesso spirito critico che lo connotava inconfondibilmente in tutte le sue riflessioni e attività. Uno spirito critico non privo di accentuazioni e di venature di perplessa intelligenza, che poteva dare in molte occasioni, nel discorrere con lui, l’impressione di qualcosa di irrisolto o di non del tutto chiarito che si agitasse nel suo spirito. Come per molti di noi, il suo mentore politico fu fino alla fine Ugo La Malfa, ma profonda fu ugualmente la suggestione esercitata su di lui da personalità eminenti del campo democratico (cattolici, liberali, socialdemocratici), e non solo. Nei suoi interventi giornalistici Gilmo ebbe modo di riflettere tutto ciò con la schiettezza di una dialettica di semplicità fine e allusiva, penetrante e consapevole, molto spesso sotto quella esibita problematicità, cui abbiamo accennato e che gli era propria. Lo vediamo, quindi, discutere spesso con pertinenza di argomentazioni e di prospettive di problemi e momenti cruciali delle vicende del suo tempo. Così discute del «futuro per i “laici”» su «L’Europa» del 29 settembre3 ottobre 1975; o proprio, senz’altro, del «‘laicismo’ dei laici» (ivi, 8 agosto - 5 settembre 1975). Lo vediamo commentare lucidamente i risultati delle elezioni del 15 giugno 1975 e trarne una lezione di esemplare acume, riassunta nella necessità di ridare fiducia nelle istituzioni a quanto ancora c’era di borghesia produttiva, chiarendo in modo inequivocabile che l’impresa privata fondata sul profitto era una funzione sociale insostituibile (con una presa di posizione che ci dice molto anche delle sue convinzioni in materia di politica sociale). Su un tema difficile come quello della liceità dell’aborto lo vediamo chiosare la posizione dei vescovi italiani e la discussione sul Concordato del 1929 che ne seguì, sempre con la solita fermezza e chiarezza politica, congiunta a un’umana sensibilità anche al problema religioso («L’Europa», 26 dicembre 1975-5 gennaio 1976). Un tema di natura politica altrettanto difficile – l’eventualità di un secondo partito cattolico accanto alla Democrazia Cristiana (ivi, 31 ottobre - 14 novembre 1975) – appare analizzato con una intelligenza brusca, insolita in lui, ma oggetto di una coerente e non occasionale riflessione,


04Galasso_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:32 Pagina 39

RICORDO DI GILMO ARNALDI

39

come si vede nell’articolo La Chiesa non è più al di là del fiume (ivi, 25 luglio8 agosto 1975), che tiene presente anche eventuali implicazioni in esso di problemi interni alla Chiesa. E non ci vuole molto a capire come anche nel “giornalista” Arnaldi il tema spadoliniano dell’alternativa fra un Tevere più largo e un Tevere più stretto fosse uno di quelli da lui più sentiti, così come il tema ricorrente della «‘laicizzazione’ della DC» (ivi, 27 giugno-11 luglio 1975) e come quello, più volte ricorrente, della celebrazione del 20 settembre (fin su «Il Messaggero» del 20 settembre 1995). E chi vuole una prova di più del senso politico di Arnaldi legga il suo ricordo di La Malfa a un anno o poco più dalla morte («Il Giornale» 2 marzo 1980), dove ricorre una definizione davvero memorabile di quel grande leader politico come «costretto spesso a far politica per interposto partito». La parte maggiore dell’attività pubblicistica di Arnaldi riguardò sempre, comunque, l’università, grande passione della vita morale e sociale della nostra generazione di universitari. Sarebbe lungo analizzare nei dettagli le sue prese di posizione al riguardo. Vorremmo, piuttosto, affermare che i suoi interventi, soprattutto per alcuni aspetti, sono, e resteranno, una fonte spesso davvero illuminante della storia dell’università italiana, quale istituzione didattica e di ricerca e quale momento altamente significativo della realtà sociale e culturale e dei suoi sviluppi nell’Italia degli ultimi trenta o quarant’anni del secolo XX. E non esitiamo a credere che chi percorrerà i suoi (invero, neppure troppo numerosi) scritti sull’argomento potrà pienamente rendersi conto del perché di una tale affermazione. Alla fine, l’università comportava per lui motivi di delusione paralleli ed equivalenti a quelli che gli provocava la politica italiana. Per l’università può, tuttavia, dirsi che in lui viveva sempre la fiamma giovanile accesa da un’ideale di università, anche troppo mitizzante, che fu proprio della nostra generazione. Per la politica la sua reazione alle delusioni fu, invece, se non mi inganno, diversa. Fu, a un certo punto, una reazione che consistette anche – salvo mio errore di lettura o cattivo ricordo delle frequenti conversazioni con lui – in una tendenza progressivamente più radicale, pur non comportando alcuna disdetta o mutamento delle sue idealità giovanili. Ne era, anzi, come una cerchia protettiva stesa intorno al nucleo del credo che solum fu suo, quello delle idee della liberal-democrazia occidentale: un modo, radicaleggiando, non solo di proteggerle, ma di assicurarne ancor più l’inestinguibile potenzialità di sviluppo politico e civile, di cui egli fu e rimase sempre intimamente convinto anche dinanzi all’affiorare di un mondo tecnologico e mediatico così diverso da quello della propria formazione e presa di coscienza, e che tanto, e subito, si rifletteva anche nei modi e nelle vie di fare politica e di giudicarne.


04Galasso_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:32 Pagina 40


05Azzolini_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:33 Pagina 41

MARZIA AZZOLINI LE CARTE DELL’ARCHIVIO DI GIROLAMO ARNALDI

Il 2 marzo 2016, a pochi giorni dalla scomparsa di Girolamo Arnaldi, il nipote Antonio Menniti Ippolito, donava «in esecuzione di sue indicazioni ricevute negli anni»1 all’Istituto storico italiano per il medio evo l’archivio dello studioso. L’insieme documentario, tornava in realtà all’Istituto stesso dove, nel 2014, durante una ricognizione, erano state rinvenute alcune scatole contenenti la documentazione, istituzionale e personale, prodotta da Arnaldi perlopiù durante gli anni della sua permanenza in Istituto in qualità di Presidente (1982-2001). Il materiale documentario, venne restituito ad Arnaldi. Nei due anni successivi, fino alla donazione da parte degli eredi, la documentazione è stata visionata e selezionata dallo studioso. In questa fase, secondo la testimonianza di uno dei suoi collaboratori, dopo essere stati parzialmente riordinati, parte dei documenti sono stati scartati2. Al momento il fondo Arnaldi è in fase di riordinamento e inventariazione3 – sono state finora schedate le serie Diari, Corrispondenza con diversi, Corrispondenza con enti, Corrispondenza con le case editrici – al fine di produrre uno strumento di consultazione analitico e informatizzato che consentirà una ricerca più agevole da parte degli studiosi. Pertanto le notizie fornite in questa sede sono parziali e incomplete. 1

Istituto storico italiano per il medio evo (= ISIME), Archivio corrente, Lettera autografa di Antonio Menniti Ippolito con atto di donazione datata 2 marzo 2016, prot. 598/III3. 2 Più volte nei diari, Arnaldi fa cenno al «riordino radicale delle mie carte»; ISIME, Archivio storico, Fondo Girolamo Arnaldi, Diari, 34, annotazione del 5-10 maggio. 3 Il testo di questa relazione rispecchia quanto letto al convegno Girolamo Arnaldi 19292016, ora l’inventariazione analitica del Fondo Girolamo Arnaldi è stata ultimata, pertanto si tenga presente della possibile variazione di alcune informazioni riportate nelle note. Il riordinamento delle carte ha dato origine alle serie Corrispondenza, Attività scientifica, Diari personali, Carte personali e Fotografie per un totale di 783 unità archivistiche.


05Azzolini_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:33 Pagina 42

42

MARZIA AZZOLINI

L’utilizzazione e la fruizione di questo fondo, per le sue caratteristiche di contemporaneità e complessità, devono tenere conto della legislazione relativa alla tutela della privacy, entro cui si colloca il tema dell’accesso ai documenti, di quella relativa ai diritti d’autore4 per quanto attiene alle pubblicazioni e più in generale alla consultazione dei documenti prevista dal Codice dei beni culturali e del paesaggio. Questo prescrive che le disposizioni in materia di accesso ai documenti siano applicate anche a quelli di proprietà privata nella disponibilità di archivi storici di enti pubblici. In questa prima fase di ricognizione, una serie omogenea individuata è quella dei Diari5, 4 agende e 30 quaderni, sui quali Girolamo Arnaldi ha dal 1950 fino al 2012, con cadenza quotidiana, registrato annotazioni di notevole interesse. I primi diari, dal 1950 al 19546, sono stati compilati sulla celeberrima agenda Cirio per la Casa, nata nel 1933 con ricette, consigli utili, racconti, e che raggiunse un milione di copie già nel 1938. Una vera e propria fonte nella fonte. I promemoria giornalieri di Arnaldi sono relativi a note biografiche, mostre visitate, indicazioni su letture e incontri, eventi ai quali aveva assistito, film visti al cinema con relativo commento, lezioni universitarie frequentate e studi in corso. Nei diari degli ultimi anni la “registrazione” delle attività non è più assidua e, come scrive lo stesso Arnaldi, «la rarefazione delle mie annotazioni è dovuta alle mie complicazioni sanitarie»7. L’ultimo diario, copre un arco cronologico che va dal 25 dicembre 2009 al 15 gennaio 2012 e presenta delle parti e pagine tagliate. Lo stesso Arnaldi ha evidentemente eliminato informazioni troppo personali. La serie Corrispondenza con diversi è stata prodotta all’incirca dal 1944 al 2017. In assenza di un ordinamento originario delle carte e per agevolare la futura consultazione dell’archivio si è scelto di suddividere i documenti in fascicoli ordinati alfabeticamente per corrispondente. Le unità archivistiche individuate sono 340 e contengono lettere, telegrammi, cartoline e biglietti di auguri ricevuti da Arnaldi. In qualche caso sono conservate anche copie delle lettere da lui spedite in risposta. 4

F. GHERSETTI - L. PARO, Archivi di persona del Novecento. Guida alla sopravvivenza di autori, documenti e addetti ai lavori, Treviso 2012, p. 11. 5 Cfr. anche M. MIGLIO, Girolamo Arnaldi, storico “nuovo” del Novecento, in G. ARNALDI, Pagine quotidiane, cur. M. MIGLIO - S. SANSONE, Roma 2017, in particolare le pp. 54-58. 6 È presente una lacuna per l’anno 1951. 7 ISIME, Archivio storico, Fondo Girolamo Arnaldi, Diari, 34, annotazione del 1 aprile 2010.


05Azzolini_Nuovi Studi Storici 26/03/18 10:08 Pagina 43

LE CARTE DELL’ARCHIVIO DI GIROLAMO ARNALDI

43

Le serie Corrispondenza con enti e Corrispondenza con le case editrici contengono rispettivamente 13 e 4 fascicoli, dove sono conservate carte relative ai rapporti scientifici di Arnaldi con diverse istituzioni e con gli editori con i quali ha collaborato per i suoi numerosi studi e pubblicazioni. I nomi dei corrispondenti e il contenuto di molte missive danno la misura dell’importanza dei rapporti scientifici e istituzionali che Arnaldi ha intrattenuto negli anni della sua carriera, nomi eminenti della politica italiana e del mondo accademico nazionale e internazionale come quelli di Georges Duby, Jacques Le Goff, Ugo e Giorgio La Malfa, Indro Montanelli, Giorgio Napolitano, Gaetano Salvemini, Giovanni Spadolini per citarne alcuni. Del fondo fanno parte anche 142 immagini: si tratta di 59 positivi a colori e 83 positivi in bianco e nero di differente formato, che mostrano Arnaldi in diversi convegni, tra i quali le Settimane di studio del Centro italiano di studi sull’alto medioevo di Spoleto e il 3° Convegno storico internazionale organizzato dal Centro di studi sulla spiritualità medievale di Todi. Non mancano immagini che ritraggono Arnaldi in diverse circostanze istituzionali e momenti conviviali e immagini di altri studiosi, come ad esempio quella di Roberto Sabatino Lopez e Arsenio Frugoni e una dove sono ritratti Girolamo Arnaldi con suo padre Francesco. Arnaldi ha raccolto in un fascicolo che lui stesso definisce Scritti vari miei, poco meno di 200 articoli da lui redatti tra il 1953 e il 2003, si tratta di ritagli di giornale o intere pagine di quotidiani. Non è tuttavia possibile indicare se essi rappresentino la totalità di quelli realmente pubblicati, in quanto da una annotazione nei Diari, datata 3 maggio 2011, sappiamo che lo stesso Arnaldi aveva già provveduto ad un «riordino [degli] […] interventi giornalistici»8; non è escluso quindi che in questa fase egli abbia deciso di scartare alcuni suoi scritti. Gli articoli, oggi ripubblicati dall’Istituto in un volume dal titolo Pagine quotidiane9, riguardano interventi relativi a diversi temi di storia e di attualità, a recensioni di libri e a tematiche culturali; in alcuni casi, oltre al ritaglio dell’articolo, è stato conservato anche il manoscritto del testo da pubblicarsi con le correzioni da lui effettuate. La maggior parte degli scritti, redatti tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, con estremi cronologici dal 1953 fino al 2003, sono stati pubblicati su quotidiani a tiratura nazionale come Il Messaggero, il Corriere della Sera, Il Tempo, Il Giornale, o su riviste e quotidiani non più editi, o pub-

8 9

Ibid., annotazione del 1-3 maggio 2011. ARNALDI, Pagine quotidiane cit.


05Azzolini_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:33 Pagina 44

44

MARZIA AZZOLINI

blicati ora solo online, come L’Europa e il Radiocorrere TV, Storia e dossier, Il Caffè, La Voce Repubblicana10 e Gioventù liberale11. Importante il fascicolo intitolato Carriera Arnaldi, che contiene differenti versioni del curriculum vitae dello studioso e la documentazione amministrativa riguardante l’attività professionale svolta. I primi documenti attestano il lavoro svolto presso l’Università degli studi di Napoli12, in qualità di assistente incaricato presso la cattedra di storia medievale e moderna, e l’attività di studioso con l’assegnazione di una borsa di studio presso l’Istituto italiano di studi storici. È Benedetto Croce che con lettera datata 22 ottobre 1951 comunica ad Arnaldi il suo compiacimento «per le doti di studioso testimoniate dai suoi lavori»13. Merito confermato l’anno successivo da Federico Chabod con l’assegnazione di un premio di L. 100.000 per proseguire gli studi14. La documentazione successiva si riferisce al proseguimento degli studi presso la Scuola di Paleografia Diplomatica e Dottrina archivistica all’Archivio di Stato di Napoli15 e alla nomina di archivista in prova presso l’Archivio di Stato di Roma16, al comando alla Scuola Storica Nazionale di studi medioevali annessa all’Istituto storico italiano per il medio evo, fino all’inquadramento nei ruoli universitari a partire dal 1 novembre 1964, all’Università di Bologna prima e presso l’Università degli studi di Roma poi. Molti sono i documenti che testimoniano l’attività scientifica dello studioso, tra i quali la partecipazione a commissioni di diversi Enti e Istituzioni, le nomine a socio di numerose Istituzioni italiane e straniere, come 10 La Voce Repubblicana, fondato nel 1921, è stato pubblicato in versione cartacea fino al 2013; oggi è una testata online. 11 Si fornisce qui l’indicazione esatta del periodo in cui Girolamo Arnaldi scrisse per i diversi quotidiani o riviste: L’Europa, dal 23 febbraio 1975 al 28 giugno 1976; Il Messaggero, dal 31 ottobre 1975 al 15 luglio 1997; Corriere della Sera, dal 17 aprile 1996 al 12 novembre 2003; Il Caffè, [post 1953]; Radiocorriere TV, 9/15 marzo 1975; Il Tempo, dal 16 febbraio 1957 al 28 gennaio 1985; Il Giornale, dal 7 agosto 1974 al 22 aprile 1985; Storia e dossier, settembre 1994; La voce repubblicana, 20 ottobre 1983; Gioventù liberale, 2 giugno 1953. 12 Documento datato 20 marzo 1951. L’incarico viene confermato l’8 ottobre 1953 da Ernesto Pontieri. 13 ISIME, Archivio storico, Fondo Girolamo Arnaldi, Carriera Arnaldi, fasc. non inventariato, lettera datata 22 ottobre 1951 di Benedetto Croce a Girolamo Arnaldi. 14 Ibid., fasc. non inventariato, lettera datata 26 dicembre 1952. 15 6 gennaio 1953; ibid., fasc. non inventariato. 16 Il 28 marzo 1953 il Ministero dell’Interno invia ad Arnaldi una comunicazione con la quale si dice che a partire dal 16 aprile 1953 viene nominato archivista di Stato in prova presso l’Archivio di Stato di Roma; lo studioso viene promosso il 31 agosto 1954 I archivista di Stato; ISIME, Archivio storico, Fondo Girolamo Arnaldi, Carriera Arnaldi, fasc. non inventariato.


05Azzolini_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:33 Pagina 45

LE CARTE DELL’ARCHIVIO DI GIROLAMO ARNALDI

45

l’onorificenza di Grande ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana. Il fascicolo Carriera Arnaldi e parte della corrispondenza sono anche la testimonianza della partecipazione politica di Girolamo Arnaldi, espressa con numerose lettere a politici e uomini di stato, con scritti sui giornali, ma anche con la partecipazione attiva, testimoniata dalla candidatura nel Collegio di Verona per il Partito Repubblicano Italiano nell’anno 1972. Il 27 luglio 1976, Oddo Biasini, allora segretario del Partito Repubblicano, che aveva la possibilità di «chiamare […] fino a dieci personalità della cultura e studiosi di alta competenza e qualificazione»17, lo cooptava nel consiglio nazionale del Partito. Il nucleo di carte più corposo, ma ancora non indagato né inventariato, è quello relativo al materiale di lavoro scientifico e alla sua partecipazione alla vita culturale del Paese. In totale, si tratta di 17 buste contenenti fascicoli di dattiloscritti con correzioni autografe, bozze di relazioni, estratti, riproduzioni di articoli, taccuini con appunti bibliografici, brochure e materiale di studio vario. Il fondo Arnaldi arricchisce, con le sue informazioni documentarie la storia relativa alla vita istituzionale dell’Istituto storico italiano per il medio evo, ma sarà fondamentale per la futura ricerca su di lui e, insieme con le carte relative a Girolamo Arnaldi custodite nei fondi Raffaello Morghen, Elio Conti e nel fondo Istituzionale, fornirà un apporto importante per lo studio della storiografia medievistica italiana dell’ultimo sessantennio. Per queste ragioni la sede dell’Istituto è il luogo naturale per conservare i ricordi di Girolamo Arnaldi. Ma ancora di più per quanto lui stesso scriveva a Raffaello Morghen, nel novembre dell’82, a pochi mesi dalla sua elezione a Presidente dell’Istituto storico italiano per il medio evo «Da quando sono venuto a Roma, distaccandomi con dolore […] dalla casa paterna l’Istituto è stata per me la mia casa […]. L’Istituto è per me molto più che un luogo di lavoro. È una parte essenziale della mia vita e dei miei affetti»18.

17 ISIME, Archivio storico, Fondo Girolamo Arnaldi, Carriera Arnaldi, fasc. non inven-

tariato. 18

ISIME, Archivio storico, Fondo Raffaello Morghen, fasc. Girolamo Arnaldi, lettera datata 23 novembre 1982.


05Azzolini_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:33 Pagina 46


06Vauchez_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:33 Pagina 47

AnDré VAuchez GiroLAmo ArnALDi, iL pApAto e L’eccLesioLoGiA DeLL’ALto meDioeVo

come è ben noto, Gilmo Arnaldi si è interessato a lungo alla storia del papato e della chiesa romana nell’Alto medioevo, alla quale ha dedicato parecchi studi tra i quali il suo libro Natale 875. Politica, ecclesiologia, cultura del Papato altomedievale, pubblicato dall’istituto storico italiano per il medioevo nel 1990 nella collana dei “nuovi studi storici”, e particolarmente ai papi della seconda metà del iX secolo. per dire la verità, questa scelta di interessarsi a un periodo cosi oscuro – almeno a prima vista – della storia mi aveva lasciato perplesso per un certo lasso di tempo, anche se ovviamente non potevo rimanere insensibile alla maestria con la quale egli adoperava e analizzava le poche fonti diplomatiche e cronachistiche di cui disponiamo per questo periodo cosi travagliato e complesso. ma, dal momento in cui siamo diventati amici, Gilmo ed io, coè nel 1973 all’occasione della creazione del circolo medievistico romano assieme con reinhard elze, e sopratutto quando in seguito abbiamo collaborato per la ristampa anastatica dell’opera di p. Arthur Lapôtre, un gesuita francese vissuto tra gli anni 1844 e 1927, di cui devo confessare che non conoscevo neanché il nome, cominciai a capire meglio i suoi interessi storiografici, malgrado la mia scarsa competenza nel campo della storia dell’Alto medioevo1. tornerò più avanti sulla «passione» per l’opera di Lapôtre che Arnaldi rivelò agli storici francesi e altri. per il momento, mi limiterò a dire che, se è vero che Gilmo era uno spirito «laico», nel senso italiano della parola, cioè non legato a una chiesa e non particolarmente interessato da ciò che chiamiamo la vita religiosa o la spiritualità, egli aveva tuttavia una viva sensibilità in questo campo, come dimostrò in diverse occasioni, ad

1 A. LApotre, Études sur la papauté au IXe siècle, Avant-Propos d’A. VAuchez, Introductions de p. DrouLers - G. ArnALDi, 2 voll., torino 1978, p. 555.


06Vauchez_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:33 Pagina 48

48

AnDré VAuchez

esempio nell’articolo brillante e profondo che dedicò all’edizione critica della regola di san Benedetto curata dal p. de Vogué, uscito nella «miscellanea morghen» nel 1974 sotto il titolo di S. Benedetto guadagnato alla storia2. in effetti , ciò che gli sembrava rilevante nella chiesa non era tanto l’istituzione o la comunità quanto la sua storia e la storiografia che si era sviluppata attraverso i secoli attorno alle sue vicende terrene. tra gli storici del passato che questo studioso laico ammirava di più, c’erano tre autori ecclesiastici francesi: mons. Duchesne, direttore dell’école française di roma dal 1895 al 1922, il p. Lapôtre, già menzionato, e il padre – poi cardinale – congar, che gli fece capire l’importanza dell’ecclesiologia e al quale rese un bellissimo omaggio in occasione del convegno che organizzai all’école dopo la sua morte nel 19963. in Duchesne Arnaldi ammirava certo l’autore del primo libro scientifico sulle origini dello stato pontificio – tema al quale egli dedicò un importante contributo nella Storia degli Stati Italiani dell’utet –, anche se preferiva parlare con pierre toubert per i secoli iX e X del «principato territoriale di s. pietro»4; ma apprezzava sopratutto in lui l’editore del Liber pontificalis pubblicato tra il 1886 e il 1892, come testimonia un suo intervento molto stimolante al convegno su Monseigneur Duchesne et son temps, che si tenne all’école nel 1973, dove aprì delle nuove prospettive sul genere letterario del «Liber Pontificalis» e sul significato di questo titolo – più tardi spesso interpretato male – nel contesto ecclesiastico del iX secolo, paragonandolo al Liber Pontificalis ecclesiae Ravennatis dell’arcivescovo Agnello5. nei suoi lavori su quest’argomento, Gilmo Arnaldi sottolinea l’importanza del iX secolo dove «assistiamo ad un definitivo compimento della fase della storia del papato iniziata con i ponteficati di Gregorio iii e di zaccaria, quando si cominciò a parlare, nelle lettere dei papi ai sovrani franchi, del populus peculiaris beati Petri e a estendere la denominazione di romani a tutti gli

2 G. ArnALDi, San Benedetto guadagnato alla storia, in Studi sul Medioevo cristiano offerti a Raffaello Morghen, roma 1974, i, pp.1-27. 3 Monseigneur Duchesne et son temps. Actes du colloque organisé par l’école française de rome (palais Farnèse, 23-25 mai 1973), rome 1975, p. 500 (collection de l’école française de rome, 23); G. ArnALDi, Congar et l’ecclésiologie du Haut Moyen Âge. Quelques réflexions, in Cardinal Yves Congar (1904-1995), dir. A. VAuchez, paris 1999, pp. 27-39. 4 L. Duchesne, Les premiers temps de l’État pontifical, paris 1911; G. ArnALDi, Le origini dello Stato della Chiesa, in Storia degli Stati Italiani dal Medioevo all’Unità, Vii/2, torino 1987, p. 157 e ArnALDi, Profilo di storia della Chiesa e del papato fra Tarda Antichità e Alto Medioevo, «La cultura», 35 (1997), pp. 5-32. 5 G. ArnALDi, Intorno al Liber pontificalis, in Monseigneur Duchesne et son temps cit., pp. 129-136.


06Vauchez_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:33 Pagina 49

iL pApAto e L’eccLesioLoGiA DeLL’ALto meDioeVo

49

abitanti delle terre imperiali del Ducato di roma e dell’esarcato di ravenna», cioè dei possessi italiani degli imperatori bizantini «recuperati» dalla santa sede tra la fine dell’ottavo secolo e l’inizio del nono. Dopo questo primo impatto con la responsabilità dell’esercizio a pieno titolo del potere temporale, interpretato da Arnaldi come un ripresa del retaggio gregoriano (cioè di Gregorio magno), ma anche come un passaggio dalla chiesa come corpo mistico di cristo a una realtà nello stesso tempo politica e spirituale, si sarebbe raggiunto con Giovanni Viii «un equilibrio – certo precario – fra le esigenze di governo di un principato territoriale e quello, primario, del governo del patriarcato d’occidente e della stessa chiesa universale»6. ma non si trattava di un semplice ritorno al passato, ed egli mostra che Giovanni Viii, quando informò il mondo cristiano dell’incoronazione imperiale di carlo il calvo avvenuta a roma nel 875, presentò questa sua scelta come una decisione collettiva presa con l’assenso del clero romano, de «l’intero popolo» e della «gens togata» , cioè dell’aristocrazia laica della città, formula che mette in evidenza la triade in cui si rispecchiava, a livello di autorappresentazione ufficiale, la società romana del tempo: clero, «senato», popolo, in conformità allo schema indo-europeo delle tre funzioni sociali, come era già stato sottolineato poco prima da evelyne patlagean in un saggio del 1974 citato da Arnaldi7. nella stessa prospettiva di un rinnovamento della roma dei papi nel iX secolo, bisogna collocare l’accento messo da Arnaldi sulla rinascita della vita culturale della città e sopratutto della curia negli anni tra 850 e 880 circa, illustrata dalle figure di Giovanni immonide, Anastasio il Bibliotecario e Gauderico di Velletri. È stato il secondo a ritenere di più l’attenzione di Gilmo, che gli ha dedicato parecchi articoli, nonché un intero capitolo nel libro sul Natale 8758. in effetti, questo personaggio non è stato solo il Bibliotecario della chiesa romana, ma anche il dettatore di numerose lettere pontificie sotto i regni di niccolò i, Adriano ii e Giovanni Viii, che gli affidarono anche importanti missioni diplomatiche e di rappresentanza presso la corte imperiale e il patriarcato di costantinopoli. Arnaldi mise anche l’accento sul ruolo che gli aveva

6 G. ArnALDi, Natale 875. Politica, ecclesiologia, cultura del papato altomedievale, roma 1990, p. 17. 7 Ibid., p. 12; cfr. e. pAtLAGeAn, Les armes et la cité à Rome du VIIe au IXe siècle et le modèle européen des trois fonctions sociales, «mélanges de l’école française de rome», 86 (1974), pp. 25-62. 8 si tratta del capitolo Vii, intitolato Il re filosofo e Anastasio Bibliotecario, in Natale 875 cit., pp. 87-106.


06Vauchez_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:33 Pagina 50

50

AnDré VAuchez

consentito di giocare la sua conoscenza del greco – molto rara allora in occidente –, illustrata dalle glosse che riportò sul manoscritto della traduzione letterale – e quindi poco utile – dell’opera di Dionigi l’Areopagita curata da Giovanni scoto «eriugena» su richiesta dell’imperatore carlo il calvo, che Anastasio non esita a chiamare il «re filosofo». il Bibliotecario non fece una nuova traduzione dell’opera, ma riportò e tradusse in latino gli scoli che massimo il confessore e Giovanni di scitopoli avevano aggiunto al testo di Dionigi, poi mandò o consegnò il tutto all’imperatore nell’875. A questo proposito, Arnaldi ricorda che gli scambi culturali tra l’ambiente romano e il mondo franco non erano a senso unico, come testimoniano la famosa «Cathedra Petri» in avorio della basilica di san pietro, poi inserita nella «gloria» del Bernini, regalata da carlo il calvo a Giovanni Viii in occasione della sua incoronazione a roma nell’875, e la splendida Bibbia detta di s. paolo, realizzata in una abbazia della Francia settentrionale e offerta al papa, probabilmente in occasione dell’ultimo incontro che ebbero nel nord dell’italia nell’877, poco prima della morte dell’imperatore. per Arnaldi, questi scambi illustrano bene la vocazione mediatrice di roma che faceva da «intercapedine fra un mondo mediterraneo di cultura prevalentemente greco-bizantina e un mondo occidentale europeo di cultura latino-germanica e di impronta nettamente franco-carolingia, con alcuni innesti ispano-cristiani e insulari»9. il secondo autore che influenzò molto Arnaldi nelle sue ricerche sul papato della seconda metà del iX secolo fu il p. Arthur Lapôtre (18441927), che egli considerava come «uno dei maggiori protagonisti, accanto al Duchesne, del risveglio dell’erudizione ecclesiastica al tempo di Leone Xiii»10. Questo gesuita francese, bisogna dirlo, era rimasto quasi sconosciuto anche in Francia fino alla ripubblicazione delle sue opere – in due volumi – a cura dello stesso Arnaldi e di paul Droulers nel 1978, e sono fiero di averlo potuto aiutare in quegli anni per la realizzazione di questa impresa. Lapôtre in effetti non aveva mai raggiunto la stessa notorietà di Duchesne, ma aveva capito l’importanza della seconda metà del iX secolo per la storia della chiesa romana, mentre prima di lui si consideravano questi decennni come l’inizio di un periodo di decadenza e di confusione che apriva la strada alla grave crisi del papato che avrebbe segnato il successivo «secolo di ferro». Dopo un importante articolo su Hadrien II et les fausses decrétales nel 1880, Lapôtre si buttò in un vasto progetto strorio9 Ibid., p. 100. 10 G. ArnALDi,

L’opera di P. Lapôtre, in A. LApotre, Études sur la papauté au IXe siècle, i, torino 1978 (rist. anast.), p. XLiii.


06Vauchez_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:33 Pagina 51

iL pApAto e L’eccLesioLoGiA DeLL’ALto meDioeVo

51

grafico intitolato «l’europe et le saint-siège à l’époque carolingienne», ma riusci solo a pubblicarne une parte intitolata Le pape Jean VIII (872-882), un grosso volume uscito nel 189511. egli infatti fu doppiamente vittima del contesto politico-religioso della Francia del tempo: nel 1884, i professori della sorbona non accettarono né la sua tesi di Dottorato su Le pape Formose. Étude critique sur les rapports du Saint-Siège avec Photius, né la tesi secondaria in latino De Anastasio bibliothecario Sedis Apostolicae, probabilmente in quanto il candidato era un gesuita di cui l’università parigina, molto anticlericale, non aveva voglia di coronare i lavori, che dunque non furono mai difesi né pubblicati, se non molto tardi (e in poche copie per il secondo). D’altronde, a partire dal pontificato di pio X, Lapôtre, come il suo amico Duchesne, fu sospettato di modernismo, tanto più che si era permesso di contestare le affermazioni del cardinale hergenröther (1867-1869), autore del manuale ufficiale di storia della chiesa in uso nei seminari, che aveva enfatizzato la responsabilità di costantinopoli nella rottura con roma all’epoca di Fozio, presentato come fautore del primo «scisma orientale», prefigurazione di quello del 1054. isolato e depresso, il gesuita rinunciò a portare avanti il suo grande progetto e fu rapidamente dimenticato dopo la sua morte, avvenuta nel 192712. Arnaldi ebbe il merito di capire l’importanza della sua opera e si mise in contatto, all’inizio degli anni 1970, col p. paul Droulers, che insegnava allora la storia contemporanea all’università Gregoriana ed era un ottimo conoscitore della storia del modernismo. Grazie a lui, fu possibile ritrovare nell’archivio dei Gesuiti della provincia di Francia un testo inedito di Lapôtre, cioè le 120 prime pagine della sue tesi su papa Formoso, rimaste allo stato di bozze13. Dopo una serie di riunioni di cui conservo il miglior ricordo, fu deciso da tutti e tre di ristampare l’insieme dell’opera di Lapôtre, che era o inedita o introvabile, e riuscii a convincere la casa editrice, allora torinese, La Bottega d’erasmo, di pubblicarla nel 1978 in due volumi, con una intro-

11 A. LApotre, Hadrien II et les Fausses Decrétales, «revue des Questions historiques», 28 (1880), pp. 377-43, ripreso in LApotre, Études sur la papauté au IXe siècle cit., ii, pp. 1-55, e LApotre, L’Europe et le Saint-Siège à l’époque carolingienne, i: Le pape Jean VIII, paris 1895, ripreso in LApotre, Études sur la papauté au IXe siècle cit., ii, pp. 57-437. 12 p. DrouLers, Le père Arthur Lapôtre et les vicissitudes de son œuvre, in LApotre, Études sur la papauté au IXe siècle cit., i, pp. Vii-XLii. 13 A. LApotre, Le pape Formose. Étude critique sur les rapports du Saint-Siège avec Photius (inédit), in LApotre, Études sur la papauté au IXe siècle cit., i, pp. 1-120 e LApotre, De Anastasio Bibliothecario Sedis Apostolicae, paris 1885 (ma diffuso solo in poche copie a partire dal 1922), ibid., pp. 121-466.


06Vauchez_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:33 Pagina 52

52

AnDré VAuchez

duzione di p. Droulers sulla biografia del gesuita francese (pp. Vii-XLii) e un’altra di Arnaldi dedicata alla sua opera storica (pp. Liii-LXiii) . per quali ragioni Gilmo Arnaldi fu tanto interessato dall’opera di Lapôtre? innanzi tutto, perché quest’ultimo era stato il primo a capire l’importanza del tornante degli anni 850-900 nella storia del papato romano e specialmente quella del pontificato di Giovanni Viii (872-882). inoltre, Lapôtre aveva mostrato, come è stato già detto, che, contrariamente alle affermazioni di hergenröther, Fozio era stato ristabilito nelle sue funzioni e riabilitato nell’879/880 dal concilio di costantinopoli con l’appoggio del papa Giovanni Viii, che praticò una politica di conciliazione nei confronti del patriarca, prima deposto e poi reintegrato, il ché gli valse più tardi l’accusa di debolezza da parte del cardinale Baronio mentre Anastasio il Bibliotecario e il futuro papa Formoso contestavano questa linea della sede romana ai loro occhi troppo morbida14. Alla fine, con l’accesso di Formoso al papato, la linea dura prevalse e si arrivò alla rottura tra roma e costantinopoli. ma Lapôtre aveva inoltre messo in luce l’importanza della ricezione delle decretali pseudo-isidoriane – questi falsi coniati in una abbazia della Francia del nord (probabilmente a corbie) attorno agli anni 850 – da parte del papato a partire da Adriano ii, un fatto che ebbe delle ricadute pesanti in quanto questi testi attribuiti ad alcuni papi del iV e V secolo servirono a legittimare le crescenti pretese dell’autorità papale nei confronti delle chiese locali. ovviamente Arnaldi non ignorava i lavori fondamentali di horst Fuhrmann sulla questione delle false decretali pseudo-isidoriane; li cita spesso nei suoi saggi, ma era molto grato a Lapôtre di essere stato uno dei primi a mettere in evidenza le ricadute immediate di questo fenomeno e il ruolo giocato in questa vicenda da Anastasio il Bibliotecario che lo storico gesuita considerava come «un personaggio tutto in negativo e un imbroglione nato»15. pur condividendo in linea di massima tale giudizio, Gilmo Arnaldi andò oltre questa polemica, inserendola in una riflessione più larga sul fenomeno del ricorso a roma da parte delle chiese locali e sulle modifiche del suo significato avvenuto 14 c. BAronius, Annales Ecclesiastici a Christo nato ad annum 1198, XV, Lucae 1744, pp. 339ss, ad annum 879. Arnaldi, dopo Lapôtre, rifiuta l’ipotesi secondo la quale questo rimprovero, già fatto al papa dal suo entourage quando era ancora vivo, sarebbe stato all’origine della leggenda della papessa Giovanna. 15 L’opera fondamentale su questo argomento rimane quella di h. FuhrmAnn, Einfluss und Verbreitung der pseudoisidorischen Fälschungen, stuttgart 1972 (ma si veda anche ultimamente l’articolo di e. KniBBs, Ebo of Reims, Pseudo-Isidore and the Date of the False Decretals, «speculum», 92 [2016], pp. 144-183). A proposito del giudizio negativo di Lapôtre sul ruolo di Anastasio il Bibliotecario in questa vicenda, cfr. G. ArnALDi, L’opera di P. Lapôtre cit., i, p. LXiii.


06Vauchez_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:33 Pagina 53

iL pApAto e L’eccLesioLoGiA DeLL’ALto meDioeVo

53

proprio in quegli anni 850-880. Questo ricorso, scrive, «che aveva il suo fondamento nella doppia origine apostolica della sede romana, si risolveva in pratica, nel più dei casi, non nel sottoporre a quell’autorità giudicata da tutti suprema una questione da dirimere, bensi nel richiedere una norma autentica in base alla quale la questione sarebbe stata poi debitamente risolta in sede locale»16. Dalle chiese locali del iX secolo, come un secolo prima da carlo magno e i suoi consiglieri ecclesiastici, roma era guardata prevalentemente come un insieme di archivi comuni, una sorta di serbatoio delle memoria scritta della chiesa universale e delle tradizioni cristiane. ma, a partire da Adriano ii, la chiesa romana cominciò a non accontentarsi più di essere riconosciuta custode e depositaria delle «regole» comuni ma prese ad agire non più regulariter ma potentialiter, cioè autorevolmente, operando in conformità a regole nuove, che venivano fatte risalire a papi antichissimi vissuti in epoca anteriore alla grande stagione dei sei primi concili ecumenici. il primo ad accorgersene e a protestare contro questa deviazione fu l’arcivescovo di reims hincmaro che, in occasione dei conflitti che sorsero con alcuni dei suoi suffraganei negli anni 850/860, vide le sue prerogative di metropolita contestate dai suoi avversari che si appoggiavano su alcune decretali pseudo-isidoriane ratificate dal papato, che erano in contraddizione con i decreti conciliari che avevano prevalso fino ad allora in questo campo. in questa occasione fu formulata a roma l’affermazione, subito contestata da hincmaro, del diritto della santa sede di evocare a sé come «cause maggiori» tutti gli affari riguardanti i vescovi, col pretesto che i testi che organizzavano questa procedura erano conservati nell’archivio delle chiesa romana… su questa base fragilissima si assistette allo sviluppo di una linea interventista da parte del papato negli affari delle chiese locali, usando talvolta dei testi non genuini come le decretali pseudo-isidoriane17. come è ben noto, i conflitti attorno a questi testi e la loro valutazione ebbero presto delle ricadute pesanti sui rapporti di roma con le chiese orientali e specialmente la chiesa bizantina. portando avanti le sue ricerche in questo campo, Arnaldi ebbe occasione di confrontarsi col concetto di ecclesiologia e quest’incontro avvenne attraverso l’opera di p. congar, autore di un libro fondamentale sull’ecclesiologia dell’Alto medioevo, nonché di uno studio fondamentale sui rapporti tra le chiese di roma e costantinopoli prima dello scisma del 1054

16 17

ArnALDi, Natale 875 cit., p. 79. Ibid., pp. 80-81.


06Vauchez_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:33 Pagina 54

54

AnDré VAuchez

«opere», disse lui nel 1997, «che ho spesso utilizzate, il più spesso condividendone le conclusioni, talvolta criticandole»18. Da storico laico e, in un certo senso, positivista, Arnaldi infatti diffidava di ogni tentativo di attualizzazione delle ricerche storiche, e non gli sfuggiva certo che il futuro cardinale congar s’interessava all’ecclesiologia del iX secolo soprattutto in una prospettiva ecumenica; egli scrisse a questo proposito che «si trattava di una sfera di interessi forse superiore ma in ogni caso diversa da quella in cui si svolge la ricerca storica»19. tuttavia, a differenza di ovidio capitani che considerava l’impegno religioso del Domenicano francese come un difetto redibitorio che viziava la sua ricerca, Arnaldi riconoscerà che «attraverso il ricorso alla storia e le relativizzazioni che essa consente in una chiesa dove tutto è eterno e assoluto, congar aveva riportato alla luce delle alternative che in seguito, col passare del tempo, erano state dimenticate o cancellate»20. egli si mostrò anche grato a quest’ultimo per aver analizzato con grande sottigliezza il concilio costantinopolitano degli anni 879/880, che aveva segnato la riabilitazione completa di Fozio, dietro richiesta del papa Giovanni Viii, il che valse a quest’ultimo l’accusa di essere stato un uomo debole o un traditore da Baronio, ma di essere elogiato da p. Lapôtre e da Dvornik. Arnaldi in effetti aveva capito che non si potevano capire le vicende del papato durante la seconda metà del iX secolo senza dar retta alle sue relazioni col patriarcato di costantinopoli. sulla scia di congar, egli fece sua la problematica ecclesiologica, cioè lo studio dell’autocoscienza delle chiese e del modo in cui esse concepivano i loro rapporti. Anch’egli considerò l’intervento di Giovanni Viii mirante a riportare Fozio sulla sede costantinopolitana come un successo per la chiesa romana, ma nello tempo sottilineò l’ambivalenza della decisione del concilio che si conformò alla decisione del papa, non per obbedienza ma nella misura in cui il suo intervento mirava a ristabilire la pace nella chiesa. A questo proposito, egli riprese a sua volta la formula di congar: «per la maggior parte dei Bizantini, c’era una autonomia della loro Ecclesia, che doveva certo armo18

Y. conGAr, L’ecclésiologie du Haut Moyen Âge, paris 1968 e conGAr, Neuf cents ans après. Notes sur le «schisme oriental» in 1054-1954. L’Église et les Églises. Neuf siècles de douloureuse séparation entre l’Orient et l’Occident, i, chevetogne 1954, pp. 3-95. per l’apprezzamento dell’opera del congar da parte di G. ArnALDi, cfr. Congar et l’ecclésiologie du Haut Moyen Âge. Quelques réflexions, 1, in Cardinal Yves Congar cit., specialmente p. 28. 19 Ibid., p. 29. 20 Ibid, p. 28 (citazione di J.p. JossuA, Yves Congar. La vie et l’œuvre d’un théologien, «cristianesimo nella storia», 17 [1966], p. 2); cfr. anche o. cApitAni, Congar et l’ecclésiologie du Haut Moyen Âge. Quelques réflexions, 2, in Cardinal Yves Congar cit., pp. 41-50.


06Vauchez_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:33 Pagina 55

iL pApAto e L’eccLesioLoGiA DeLL’ALto meDioeVo

55

nizzarsi con l’insieme della chiesa, ma attraverso il gioco della sua propria attività»21. L’accettazione da parte bizantina dell’intervento papale non deve far dimenticare la realtà di una evoluzione divergente tra roma e costantinopoli che si andava rafforzando a causa di un distacco crescente e di una ignoranza reciproca, ben messa in luce in una lettera inviata nell’871 dall’imperatore «franco» Ludovico ii – ma scritta molto probabilmente da Anastasio il Bibliotecario – all’imperatore bizantino Basilio i nella quale egli riassume con grande chiarezza l’insieme dei dissensi tra roma e Bisanzio22. A questo proposito, Arnaldi rifiuta l’espressione tradizionale di «scisma orientale» per nominare il conflitto che portò a una prima rottura tre le due sedi negli anni 890, e fa sua la parola inglese «estrangement», usata da congar, per qualificare il processo di allontanamento che portava le due chiese a non intendersi più, aggiungendo con grande lucidità: «Alla fine dei conti, c’era tra di loro una unica divergenza: quella di un oriente e di un occidente», che doveva ancora approfondirsi nei secoli successivi23. ma anche in occidente, le modalità di esercizio delle prerogative pietrine cominciarono a cambiare durante la seconda metà del iX° secolo, che segna un tornante nei rapporti tra roma e le chiese locali. A partire da niccolò i, Adriano ii e Giovanni Viii, che appoggiarono i vescovi suffragani di hincmaro di reims contro il loro arcivescovo metropolitano appoggiandosi su alcune False Decretali pseudo-isodoriane, l’ecclesiologia che risultava dai sei primi consigli ecumenici, alla quale si riferivano sia hincmaro che i Bizantini, non fu più accetta alla chiesa romana che tentò di far prevalere, tramite l’intervento di Anastasio il Bibliotecario, dettatore delle lettere pontificie durante questo periodo, un altro modo di concepire i rapporti tra il papato e i vescovi, accrescendo il potere giurisdizionale e discrezionale del successore di pietro all’interno della chiesa. Questo vasto programma non fu realizzato subito, a causa delle crisi che attraversò il papato durante il X e l’inizio dell’Xi secolo e delle resistenze della maggioranza dei vescovi «franchi» che consideravano, come disse Gerberto, in occasione del concilio di saint-Basle de Vergy, nel 991, che il mandato dato da cristo a pietro di far pascere il suo gregge era condiviso dagli altri apostoli e dai loro successori. ma le basi ecclesiologiche per una rivendicazione della supremazia del papa sulla chiesa e nella chiesa, già assimilata attorno al mille da Abbone di Fleury a una monarchia nella quale il potere 21 22 23

ArnALDi, Congar et l’ecclésiologie cit., p. 30. Ibid., p. 31. Ibid.


06Vauchez_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:33 Pagina 56

56

AnDré VAuchez

scenderebbe dal solo caput, cioè dal papa, erano già presenti alla fine del iX secolo, ed è stato il grande merito di Gilmo Arnaldi di averlo capito e illustrato attraverso i suoi studi sul papato altomedievale.


07Gasparri_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:33 Pagina 57

STEFANO GASPARRI GIROLAMO ARNALDI ALTOMEDIEVISTA

Come studioso dell’alto medioevo, Arnaldi è stato innanzitutto uno studioso di Roma e del papato. Cercherò di leggere queste sue caratteristiche alla luce della mia personale esperienza di studioso e dei miei interessi di ricerca; e quindi la mia sarà una lettura parziale, inevitabilmente ma anche volutamente. È in apparenza singolare – ma non più di tanto, per chi lo ha conosciuto ed abbia potuto apprezzare l’ampiezza di interessi di Arnaldi – constatare come il sottoscritto abbia potuto coltivare, sempre in stretto rapporto con lui, la propria inclinazione per l’alto medioevo su un versante diverso, e per certi aspetti opposto rispetto al suo. Infatti chi scrive è soprattutto uno storico dell’Italia longobarda, ossia di quel mondo che Arnaldi ha sempre osservato stando dall’altra parte, con i piedi saldamente fissi dentro Roma: bizantina, papale, carolingia; una Roma ostile, quasi a priori, rispetto ai Longobardi. Potremmo parlare di complementarietà, ma non è solo questo. L’alto medioevo romano di Arnaldi ha due dimensioni ben precise. La prima è rivolta verso la storia della città, della sua evoluzione interna, di come essa si sia sviluppata all’ombra del papato, ma sempre in rapporto al suo grande passato imperiale. In questo senso, è importante la sua analisi dell’evoluzione più estrema del Senato, del suo rapporto con la nuova élite clericale, fino ad arrivare alla famosa, ultima riunione dell’aprile del 603, quando il clero dovette integrare i ranghi ormai sguarniti dei senatori per poter accogliere – in Laterano, e non più nella Curia – le immagini dell’imperatore Foca e di sua moglie1. Arnaldi segue poi con attenzione l’incerto

1 G. ARNALDI, Rinascita, fine e successive metamorfosi del senato romano (secoli V-XII), «Archivio della Società romana di storia patria», 105 (1982), pp. 5-56: 8-9 per l’episodio delle icone di Foca e di Leonzia, che è riportato solo in una breve narrazione inserita all’in-


07Gasparri_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:33 Pagina 58

58

STEFANO GASPARRI

esordio, nella seconda metà del secolo VIII, di un nuovo concetto di senatus, un senato che non è altro che la nascente classe dirigente romana dell’alto medioevo. Questo nuovo senato altomedievale appare significativamente, secondo Arnaldi, nel momento in cui, scomparso ormai l’Esarcato a Ravenna (e dunque anche il ducato a Roma), si profilava «la nascita del dominio temporale dei papi»; esso avrebbe infatti sostenuto l’azione dei papi, che ben difficilmente si sarebbe indirizzata verso una strada così rivoluzionaria senza l’appoggio dell’aristocrazia romana2. Questa stessa aristocrazia “senatoriale” avrebbe poi disputato più volte il potere al papato nel corso dei primi secoli della Roma medievale, però – come lo stesso Arnaldi mette in luce, contro concezioni troppo rigide di “partiti” – sempre in un intreccio profondo e reciproco di famiglie, persone, interessi fra le élites laiche e quelle clericali. La seconda dimensione delle ricerche di Arnaldi invece è rivolta all’esterno, ed è tesa ad individuare il peso che il papato ha avuto nella storia d’Italia. Quest’ultima, la storia d’Italia, ha sempre rappresentato un problema centrale nella riflessione storiografica di Arnaldi, fino a ritornare anche nel suo ultimo libro, L’Italia e i suoi invasori, del 2008, il cui titolo riprendeva – in modo consapevole – quello di un classico della storiografia di fine Ottocento, Italy and her Invaders di Thomas Hodgkin3, rivelando così un tratto tipico del suo modo di fare ricerca, quello di ricollegarsi sempre ai grandi del passato per trarne spunti del tutto originali. Il suo interesse per la storia d’Italia ha trovato spazio anche nella sua fatica televisiva, l’ideazione e il coordinamento delle puntate medievali de La straordinaria storia d’Italia. La volontà di diffondere la sua visione della storia italiana al di fuori della cerchia ristretta degli studiosi, forte nelle fasi mature ed ultime della sua attività, rappresenta una novità (evidente, ad esempio, anche nei suoi ultimi interventi spoletini, dove appare talvolta un lessico volutamente semplice e diretto) rispetto al suo più usuale modo di presentare le proprie ricerche, che era caratterizzato da interventi di una tale complessità, interpretativa e filologica, da renderli in primo luogo,

terno del registro delle lettere di Gregorio Magno (Gregorii I Papae Registrum Epistolarum, edd. P. EWALD (†) - L.M. HARTMANN, in M.G.H., Epistolae, II, Berolini 1899, p. 365). 2 ARNALDI, Rinascita cit., pp. 43-46, che a sua volta cita O. BERTOLINI, Le origini del potere temporale e del dominio temporale dei papi, in I problemi dell’Occidente nel secolo VIII, Spoleto 1973 (XX Settimana), pp. 231-255. 3 T. HODGKIN, Italy and her Invaders, I-VIII, Oxford 1880-1899. In senso stretto l’ultimo libro di Arnaldi, però pubblicato insieme ad altro autore, è G. ARNALDI - F. MARAZZI, Tarda antichità e alto medioevo in Italia, Roma 2017.


07Gasparri_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:33 Pagina 59

GIROLAMO ARNALDI ALTOMEDIEVISTA

59

anche se non esclusivamente, appannaggio degli addetti ai lavori: si pensi ad esempio al contenuto altamente erudito di un libro come Natale 8754. Questo ampliamento del raggio del messaggio storiografico di Arnaldi poggia direttamente sull’alto medioevo. Perché per lui una questione cruciale – ed è ovviamente una grande questione, e non solo storiografica – è quella del dominio temporale della Chiesa di Roma, e il suo impegno principale è quello di riuscire a cogliere i modi e i tempi della sua formazione. Detto in termini volutamente anacronistici rispetto al periodo altomedievale, la questione che lui si pone in innumerevoli interventi – da laico a lungo impegnato in politica, come esponente della società civile – è quella del ruolo dello Stato della Chiesa nella storia d’Italia5. Quando si formò il dominio temporale dei papi? Arnaldi distingue nettamente, e con grande finezza, tra possesso territoriale e dominio politico. Ma in entrambi i casi, anche se Arnaldi riconosce che per parlare di uno Stato della Chiesa, sia pure ai suoi inizi, bisogna attendere almeno l’età di Innocenzo III, tuttavia egli ha ben chiaro che il nodo storico fondamentale si gioca nei secoli altomedievali. E qui la sua scelta è chiara: bisogna indagare a fondo il periodo VIII-IX secolo, partendo dai primi contatti fra i papi e i maestri di palazzo franchi per arrivare fino all’età di Carlo Magno; senza dimenticare che ciò che accadde in quel periodo aveva la sua necessaria premessa nell’età – e nella personalità – di Gregorio Magno. Ecco quindi che, anche per la necessità di operare una necessaria cerniera tra questi due momenti così distanti della storia del papato, il suo interesse si distende dal tardo VI a tutto il IX secolo. Tutto questo lo si vede bene nel suo lungo intervento del 1987 sulla Storia d’Italia UTET, che è un po’ una summa delle sue posizioni al riguardo, e che portava un titolo significativo, Le origini del Patrimonio di S. Pietro; il saggio fu poi ristampato come volume autonomo, con una correzione nel titolo – che diventò Le origini dello Stato della Chiesa – che forse andava incontro proprio alla sua già accennata volontà di farsi comprendere da un pubblico più ampio6.

4

G. ARNALDI, Natale 875. Politica, ecclesiologia, cultura del papato altomedievale, Roma 1990 (Nuovi Studi Storici, 9). 5 Per il momento mi limito a citare due lavori: G. ARNALDI, Preparazione delle Lampade e tutela del gregge del Signore, alle origini del papato temporale, «La Cultura», 24 (1986), pp. 38-63, e ARNALDI, Lo Stato della Chiesa nella lunga durata, «La Cultura», 37/2 (1999), pp. 197-217. 6 G. ARNALDI, Le origini del Patrimonio di S. Pietro, in Storia d’Italia, diretta da G. GALASSO, VII/2, Comuni e signorie nell’Italia nordorientale e centrale: Lazio, Umbria e Marche, Lucca, Torino 1987, pp. 1-151; ARNALDI, Le origini dello Stato della Chiesa, Torino 1987.


07Gasparri_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:33 Pagina 60

60

STEFANO GASPARRI

Alla luce di quanto detto finora, si spiega l’interesse per la formazione iniziale del patrimonio della Chiesa: si pensi alla sua riflessione sulle prime donazioni ai papi, testimoniate già dalla vita Silvestri del Liber Pontificalis ed effettuate pro luminariorum concinnatione, oltre che per il mantenimento dei poveri, in una fase nella quale i divieti inizialmente posti dai benefattori (imperatori e senatori) ancora imbrigliavano la libera disponibilità di quei beni da parte della Chiesa; una riflessione, questa sulla “preparazione (meglio: l’illuminazione) delle lampade sacre”, che consente ad Arnaldi di ricollegarsi alle prime donazioni di età pipinide-carolingia, dove l’espressione è ancora presente e dove egli, con un lavoro di esegesi finissima, riesce a leggere, al di sotto di essa, i mutamenti profondi intervenuti rispetto all’età costantiniana, individuando addirittura una finestra temporale strettissima – una decina d’anni, tra Gregorio II (715-731) e Gregorio III (731-741) – all’interno della quale si può cogliere il passaggio dal senso antico e originale dell’espressione tradizionale, l’illuminazione delle basiliche romane, a quello nuovo, le rivendicazioni territoriali da parte dei papi7. L’interesse di Arnaldi, manifestato in molti suoi interventi, oltre che per la formazione va anche verso lo studio della gestione del patrimonio della Chiesa nel periodo decisivo del pontificato di Gregorio Magno. Periodo decisivo innestato dall’arrivo dei Longobardi, naturalmente: e qui registro – di nuovo – il dato di fatto che questi ultimi per lui rappresentano sempre e solo “l’altro”: se non sono proprio “il popolo dell’oscurità”, der Volk der Finsternis di cui ha parlato recentemente Clemens Gantner8, essi rappresentano comunque sempre un mondo diverso, e come tali non divengono mai oggetto diretto dell’interesse di Arnaldi, anche nelle fasi più strette dei rapporti dei sovrani longobardi con i papi: in questo senso egli si innesta pienamente nella tradizione storiografica italiana nella quale si era formato, come si vede anche bene dai suoi continui apprezzamenti dell’opera di Ottorino Bertolini, oltre che nell’accettazione spesso un po’ acritica – verrebbe da dire: per mancanza di interesse diretto nell’argomento – del lavoro di Giampiero Bognetti, al quale egli lasciava l’appannaggio totale delle interpretazioni “autentiche” per tutto ciò che riguardava i Longobardi visti da una prospettiva interna al regno9. 7 8

ARNALDI, Preparazione delle Lampade cit., pp. 39-44. C. GANTNER, Freunde Roms und Völker der Finsternis. Die päpstliche Konstruktion von Anderen im 8. und 9. Jahrhundert, Wien-Köln-Weimar 2014. 9 Nei lavori di Arnaldi sono frequentissime in particolare le citazioni di O. BERTOLINI, Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi, Roma 1941 (Storia di Roma dell’Istituto di Studi Romani, 9), e dello stesso, Roma e i Longobardi, Roma 1972, oltre al saggio sempre di Bertolini citato sopra alla nota 2.


07Gasparri_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:33 Pagina 61

GIROLAMO ARNALDI ALTOMEDIEVISTA

61

Gregorio Magno occupa un posto privilegiato nella storiografia di Arnaldi, e non solo in relazione alla questione del patrimonio, che rappresenta comunque la base materiale a partire dalla quale (si pensi ad esempio ai suoi interventi sulla giustizia) si dispiega tutta l’attività politica di Gregorio. Quest’ultimo è davvero consul Dei per Arnaldi, che mette in luce la continuità della sua azione tra mondo civile di stampo romano – la sua prefettura urbana – e dimensione ecclesiastica come monaco, apocrisario e papa; non mancando mai di ribadire come la presenza non solo del papato, ma anche di una personalità ingombrante come la sua abbiano impedito la nascita di un solido ducato di Roma, al punto che lo stesso duca è di fatto un semplice fantasma10. La prima svolta, nella direzione della nascita dominio temporale dei papi, è dunque saldamente collocata nella Roma di Gregorio Magno. Ma è sull’età decisiva dei primi contatti con i maestri di palazzo pipinidi, per arrivare poi fino a Carlo Magno, che si concentra l’attenzione di Arnaldi, che sottolinea come i papi, a mano a mano che avanzano gli anni e si accentuano le loro responsabilità di ordine temporale, ne sembrino quasi sopraffatti, dismettendo gli atteggiamenti dei grandi papi tardo-antichi nei loro rapporti anche conflittuali con gli imperatori, per finire ad occuparsi solo ed esclusivamente di grette rivendicazioni territoriali11. Ancora un Gregorio II, proprio all’inizio di questo periodo, era in grado di scrivere con toni alti agli imperatori Irene e Costantino che non li temeva, perché Roma, come patriarcato d’occidente, poteva contare su un retroterra profondo, costituito da quell’occidente barbarico neo-convertito che era irraggiungibile per i Bizantini; ma questo livello alto poi si perde, in un gioco politico-diplomatico, come nota Arnaldi, che si era fatto troppo complesso. I papi non era diventati «vescovi dei Longobardi», forse nemmeno

10 Senza pretesa di essere esaustivo, cito qui i principali lavori di Arnaldi su Gregorio Magno: G. ARNALDI, Gregorio Magno, i «patrimoni di San Pietro» e le autorità imperiali in Italia ed in Sicilia, in Miscellanea in onore di Ruggero Moscati, Napoli 1985, pp. 39-46; ARNALDI, L’approvvigionamento di Roma e l’amministrazione dei «patrimoni di San Pietro» al tempo di Gregorio Magno, «Studi Romani», 34 (1986), pp. 25-39; ARNALDI, Gregorio Magno e la giustizia, in La giustizia nell’alto medioevo (Sec. V-VIII), I, Spoleto 1995 (XXIV Settimana), pp. 57-101; sul tema, Arnaldi è tornato anche negli ultimi anni: ARNALDI, Gregorio Magno e le difficoltà inerenti all’esercizio del potere temporale, in Italia e Germania, in Liber amicorum Arnold Esch, Tübingen 2001, pp. 135-152. Gregorio Magno naturalmente è anche un importante protagonista dei due lavori citati alla nota 6. 11 G. ARNALDI, Il papato e l’ideologia del potere imperiale, in Nascita dell’Europa ed Europa carolingia. Un’equazione da verificare, I, Spoleto 1981 (XXVII Settimana), pp. 341418: 369-370.


07Gasparri_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:33 Pagina 62

62

STEFANO GASPARRI

«primi vescovi dei Franchi», tuttavia lo scadimento del loro livello culturale era evidente e portava con sé il paradosso che, nel momento in cui la chiesa e l’impero carolingi diventavano – per opera di Carlo – sempre più romani, da parte papale si registrava una totale passività, a fronte del dinamismo e della crescita culturale del clero d’Oltralpe12. La questione della cultura assume quindi un ruolo sempre più centrale negli interventi di Arnaldi sulla storia dei papi della seconda metà dell’VIII secolo, i quali erano da lui ritenuti colpevoli di aver dimenticato il fondamentale collegamento con l’oriente greco e mediterraneo, ossia con la tradizione antica che vedeva in Roma la cerniera di quel mondo con l’occidente. Rinnegando quelle radici, e inseguendo meschini propositi di dominio territoriale, essi avevano perso il loro primato culturale. E qui Arnaldi nota, con ragione, che non è mai esistito qualcosa come «il pensiero della curia romana rispetto al governo del mondo, e sostiene che i nuovi papi procedettero a tentoni nel nuovo mondo (per riprendere il titolo di un libro recente, su tutt’altro argomento, di Chris Wickham), un mondo dominato ormai dai Carolingi13. Nel discutere di papato e di ideologia imperiale, Arnaldi si misura con il concetto di translatio imperii, legato all’azione di Leone III e teorizzato poi con chiarezza da Anastasio Bibliotecario nella lettera a Basilio I, ufficialmente attribuita a Ludovico II; e poi con quello di imitatio imperii, in relazione al Constitutum Constantini, un testo di cui Arnaldi mette in luce la sostanziale «deficienza di fantasia e di cultura». Egli è peraltro ben cosciente del fatto che sia la translatio che l’imitatio imperii sono in fondo tardi schemi interpretativi, e che dunque – scrive – per i protagonisti di quel periodo «esisteva solo un limitato numero di mosse e di combinazioni», posto che c’era un papa a Roma, un imperatore a Costantinopoli e un re dei Franchi della statura di Carlo ad occidente14. È il suo modo per prendere le distanze, in modo critico, nei confronti di una grande tradizione storiografica, in specie tedesca, che pesava grandemente (sia detto in modo neutro) sulla storia di Roma e del papato altomedievale15. In questa 12 13

Ibid., in particolare pp. 396-397. Ibid., pp. 355-356: è il punto in cui Arnaldi manifesta la sua «istintiva, pregiudiziale diffidenza verso una storia delle idee concepita come ricostruzione delle diverse fasi del passaggio, di mano in mano, del famoso secchio d’acqua che si suppone destinato a spegnere un ipotetico incendio». Il riferimento nel testo è a C. WICKHAM, Sleepwalking into a new world. The Emergence of Italian City Communes in the Twelfth Century, Princeton 2015. 14 ARNALDI, Il papato e l’ideologia del potere imperiale cit., pp. 366-369. 15 Per l’influsso della storiografia tedesca, si vedano le tantissime citazioni – ad esempio nel lavoro citato in ultimo – dei lavori di P. Classen, H. Furhmann. P.E. Schramm.


07Gasparri_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:33 Pagina 63

GIROLAMO ARNALDI ALTOMEDIEVISTA

63

chiave, l’azione di Leone III, di cui certo non negava l’importanza, viene però fortemente ridimensionata; a risultare vincente era quello che lui definiva «l’asse Bonifacio-Carlomagno». Viene così chiamato in causa Bonifacio. A quest’ultimo egli ha dedicato uno fra i più incisivi dei suoi interventi spoletini, tutto costruito in una chiave di nascita dell’Europa che, se pure forse non è più del tutto sostenibile dopo il recente ridimensionamento del ruolo di Bonifacio, rimane però un approccio interpretativo di grande fascino (che si muove sulla stessa linea, è ovvio, del pensiero di Giovanni Tabacco)16. Il periodo della seconda metà del secolo IX rappresenta l’altro grande interesse di Arnaldi. È un periodo che ha il suo momento più alto – prima della grande crisi degli ultimi anni del secolo, culminata nella “sinodo del cadavere” – nel papato di Giovanni VIII, quando per un volgere di anni relativamente breve il papato riprese sulla scena politica il posto che aveva smarrito nei decenni precedenti, con un peso e un’autorità ben maggiore che ai tempi di Leone III, e il papa fu allora in condizione addirittura di scegliere lui fra più candidati all’impero. E non è un caso, come sottolinea Arnaldi, che il fiorire culturale del papato (e di Roma) di questo periodo si caratterizzi per un recupero del retaggio di Gregorio Magno e si manifesti con un equilibrio fra le esigenze di governo territoriale e quelle del patriarcato d’occidente e della Chiesa universale (qui Arnaldi allude anche alla questione delle decretali pesudoisidoriane). Ancora Gregorio, quindi; e con lui la ripresa della tradizione culturale tardo-antica e mediterranea, resa evidente dagli intensi rapporti del papato di questi anni con Bisanzio; rapporti che furono anche drammatici durante la lunga crisi legata al patriarcato e alla condanna di Fozio17. Lo studio che fa Arnaldi del papato, da Niccolò I a Giovanni VIII passando per Adriano II, è tutto teso a mostrare il ruolo chiave della ripresa culturale romana nella crescita di influenza politica, e religiosa, del papato. In fondo, è anche l’affermazione di una sorta di primato della cultura

16

G. ARNALDI, Bonifacio e Carlo Magno, in I problemi dell’Occidente nel secolo VIII cit., pp. 17-39. In riferimento agli studi di Giovanni Tabacco, si possono citare ad esempio le pagine che questi dedica ai rapporti tra Bonifacio, i maestri di palazzo pipinidi e il papato in G. TABACCO - G.G. MERLO, Medioevo, V-XV secolo, Bologna 1981, pp. 110-119. Il ridimensionamento del ruolo di Bonifacio è evidente in R. MCKITTERICK, History and Memory in the Carolingian World, Cambridge 2004, pp. 133-155. 17 G. ARNALDI, Mito e realtà del secolo X romano e papale, in Il secolo di ferro: mito e realtà del secolo X, Spoleto 1991 (XXXVIII Settimana), pp. 27-53: 37 per la sottolineatura del ruolo politico di Giovanni VIII; e ARNALDI, Natale 875 cit., pp. 91-106.


07Gasparri_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:33 Pagina 64

64

STEFANO GASPARRI

sulla politica. Un primato che è fatto di figure di intellettuali, ai quali Arnaldi ha dedicato moltissima parte della sua attività di studioso dell’alto medioevo; fra essi, il posto principale spetta ovviamente ad Anastasio Bibliotecario, la figura indubbiamente più intrigante dell’alto medioevo romano, con il quale Arnaldi strinse un vero e proprio sodalizio intellettuale18. I possibili dubbi sulla statura morale dell’uomo, che Arnaldi non nega, non sono sufficienti a diminuire la sua evidente ammirazione per un intellettuale del calibro di Anastasio: intellettuale e politico, ma, nella seconda parte della sua carriera, impegnato soprattutto con le armi proprie dell’intellettuale: traduzioni, commenti, scrittura di lettere per conto di papi (e dello stesso imperatore Ludovico II nel caso della famosissima lettera che ho già menzionato). Anastasio inoltre non è solo: oltre a papi, in particolare Giovanni VIII, di grande statura, c’è un Gauderico di Velletri e c’è un Giovanni Immonide, con la sua Vita Gregorii e con la sua versione della Cena Cypriani (un’altra prova, sia pure minore, di quel recupero della cultura mediterranea al quale Arnaldi assegna un’importanza grandissima)19. In questo rapporto con gli intellettuali del passato, a rendere più complessa la trama dei collegamenti incrociati, si deve ricordare l’altro sodalizio stretto da Arnaldi con padre Lapôtre, con il quale, a distanza di quasi un secolo, condivise la fatica di interpretare la figura di Anastasio20. L’età carolingia ricostruita da Arnaldi è in conclusione caratterizzata da questa dualità fra un asse – politico, ma anche culturale – transalpino, definibile, sulla scorta di Tabacco, latino-germanico (ma ora decisamente franco), e uno mediterraneo. Il peso e l’importanza di quest’ultimo, sia nella fase di avvio della fortuna dei Pipinidi-Carolingi, sia nella sua fase più tarda, è messo da lui in forte evidenza; e non si può fare a meno di notare quanto sia diverso, questo modo di interpretare quel periodo chiave della storia altomedievale dell’Europa, dall’attuale narrazione storica, che, dominata com’è dalla storiografia di matrice anglosassone, appare total-

18 Ibid., pp. 87-106; e naturalmente si deve ricordare anche ARNALDI, Anastasio Bibliotecario, in Dizionario Biografico degli Italiani, 3, Roma 1961, pp. 25-37 (riedito in Enciclopedia dei Papi, I, Roma 2000, pp. 735-746, con il titolo Anastasio Bibliotecario, antipapa), oltre a ARNALDI, Impero d’Occidente e impero d’Oriente nella lettera di Ludovico II a Basilio I, «La Cultura», 1 (1963), pp. 404-424. 19 ARNALDI, Giovanni Immonide e la cultura a Roma al tempo di Giovanni VIII, «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medio evo», 68 (1956), pp. 33-89, oltre a ARNALDI, Natale 875 cit., pp. 107-114. 20 ARNALDI, L’opera di P. Lapôtre, in P. LAPÔTRE, Études sur la papauté au 9e siècle, I, Torino 1978, pp. 43-63; Il papato nella seconda metà del secolo IX nell’opera di P. Lapôtre SJ, «La Cultura», 16 (1978), pp. 185-217; Natale 875 cit., pp. 66-76.


07Gasparri_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:33 Pagina 65

GIROLAMO ARNALDI ALTOMEDIEVISTA

65

mente squilibrata verso l’asse settentrionale21. In questo senso, l’insegnamento di Arnaldi mi pare importante, come lascito culturale, per chi – come ad esempio chi scrive – è impegnato da tempo su questi temi. Un recupero mediterraneo e, se posso integrare il pensiero di Arnaldi, italico in generale: non solo Roma, ma l’intera tradizione italiana deve contare nella ricostruzione del periodo carolingio. Terzo punto di attenzione è poi il periodo della crisi del papato dopo la morte di Giovanni VIII, con il papato di Formoso, la sua successiva condanna e i contrasti che la accompagnarono. È il periodo 880-910, quello che, sulla scorta di Pierre Toubert, Arnaldi definisce il periodo della «crisi sociale acuta», della crisi dell’autorità e dei poteri centrali in Italia22. Nell’analizzare questa fase in relazione alla storia di Roma, Arnaldi incontra il secondo grande intellettuale altomedievale al quale dedicò grandissima attenzione, Liutprando di Cremona. Di lui si è occupato anche in quello che forse è stato il suo ultimo intervento, o uno dei suoi ultimi, la prefazione all’edizione dell’Antapodosis curata da Paolo Chiesa23. Liutprando è presentato come interprete principale, e malevolo, del “secolo di ferro”, che per lui è tale fin dai suoi esordi negli ultimi anni del secolo IX, dopo il regno di Arnolfo di Carinzia; Liutprando che dipinge dei personaggi romani totalmente negativi, le donne in primo luogo, Teodora e Marozia. Un intellettuale, Liutprando, ma anche il membro di una stirpe di mercanti, ed ecco che in questo modo Arnaldi riesce a dare un senso alla geografia dell’Antapodosis; è alla curiosità di Liutprando, di un vescovo con la cultura di un mercante, che si deve la scoperta di un mondo lontano come quello di Bisanzio24. L’avversione di Liutprando per Roma, resa manifesta dalla sua famosa invettiva, è ricondotta da Arnaldi soprattutto all’avversione per una città ormai totalmente preda delle forze locali e per un papato che aveva quin21 Come esempio recente di questa storiografia – che annovera, fra gli altri, nomi di spicco come quelli di Janet Nelson, Rosamond McKitterick e dell’olandese Mayke De Yong – si veda M . COSTAMBEYS - M. INNES - S. MACLEAN, The Carolingian World, Cambridge 2011. 22 P. TOUBERT, Les structures du Latium médiéval. Le Latium et la Sabine du IXe siècle à la fin du XIIe, 2 voll., Rome 1973. 23 G. ARNALDI, Introduzione, in Liutprando, Antapodosis, ed. P. CHIESA, Milano 2015 (Scrittori greci e latini della Fondazione Lorenzo Valla), pp. XI-XL. 24 ARNALDI, Liutprando e la storiografia contemporanea nell’Italia centro-settentrionale, in La Storiografia altomedievale, Spoleto 1970 (XVII Settimana), pp. 497-520; ma Arnaldi si occupava di Liutprando da moltissimi anni: qui mi limito a citare ARNALDI, Liutprando e l’idea di Roma nell’Alto Medioevo, «Archivio della Società Romana di Storia Patria», ser. III, 9 (1956), pp. 23-34.


07Gasparri_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:33 Pagina 66

66

STEFANO GASPARRI

di abdicato del tutto al suo ruolo universale25. Nell’ambito di questo tema, lo smontaggio della leggenda del secolo di ferro è effettuato da Arnaldi con grande abilità, a partire dalla ricostruzione del modo stesso con cui il termine era nato, passando dalla penna del cardinal Baronio, che commentava la Decima Centuria di Mattia Flacio, alla moderna storiografia. Questo lucido percorso di analisi mette di nuovo Arnaldi in contatto con lo spessore secolare delle nostre ricostruzioni storiche, e al tempo stesso lo aiuta a leggere correttamente lo stesso Liutprando. Ma Arnaldi tiene in primo piano tutte le fonti e non dimentica di sottolineare che, da quel punto di vista, il primo testo antico a porre le basi della leggenda del secolo di ferro non era stata l’Antapodosis, ma la problematica testimonianza del Libellus de imperatoria potestate in urbe Roma, che aveva legato lo scoppio della crisi (del papato, di Roma, del Regno italico) al crollo dell’autorità imperiale seguito alla morte di Carlo il Calvo, l’imperatore che secondo l’anonimo autore avrebbe colpevolmente concesso un pactum ai Romani che annullava di fatto l’autorità imperiale sulla città (e qui, nel continuo dialogo fra le fonti altomedievali e la storiografia dell’età moderna, Arnaldi nota come questa tesi sia specularmente opposta a quella del cardinal Baronio, che invece proprio nel predominio del potere imperiale, in specie di Ottone III, aveva visto la causa prima della decadenza del papato). Segue l’acuta osservazione, da attentissimo lettore di fonti, che la concessione ai Romani e non al papa, se non è una totale invenzione dell’autore del Libellus, potrebbe essere una delle prime testimonianze dell’apparizione sulla scena delle forze locali, ossia di quell’aristocrazia romana che, avendo come capofila Teofilatto senator e la sua famiglia, restaurò l’ordine interno dopo la gravissima crisi dell’età formosiana26. Di queste nuove forze Arnaldi mette in luce il fatto che ad esse si deve anche la restaurazione dell’assetto fondiario del Patrimonio di S. Pietro. Egli fa così propria, nella sostanza, la tesi sull’incastellamento nel Lazio di Pierre Toubert, ossia dello stesso autore da cui aveva ricavato anche la cronologia della crisi, 880-910 circa27. Una crisi che per lui, comunque, rima25 Legatio Liudprandi episcopi Cremonensis, in Liutprand de Crémone, Oeuvres, présentation, traduction et commentaire par F. BOUGARD, Paris 2015, c. 12, p. 376. 26 ARNALDI, Mito e realtà del secolo X romano e papale, in Il secolo di ferro. Mito e e realtà del secolo X, Spoleto 1991 (XXXVIII Settimana), pp. 27-53. 27 V. sopra, nota 22. Una prova ulteriore della volontà di Arnaldi di porsi in collegamento con le tesi storiografiche di Toubert è data anche dalla successione – che non è solo contiguità editoriale – dei loro due contributi nel volume della storia d’Italia UTET dedicato, fra le altre regioni, al Lazio. Il contributo di Arnaldi è citato sopra alla nota 6; al suo segue appunto P. TOUBERT, Il patrimonio di S. Pietro fino alla metà del secolo XI, in Comuni e signorie cit., pp. 153-228.


07Gasparri_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:33 Pagina 67

GIROLAMO ARNALDI ALTOMEDIEVISTA

67

ne oscura, così come è difficile ricostruire la fisionomia dei diversi gruppi che si confrontavano per il potere; anche se egli ribadisce che l’aristocrazia romana che prende allora il potere, con Teofilatto e con Alberico, risultava dalla mescolanza fra i funzionari del palazzo papale e i capi della milizia, un gruppo che, nel periodico riemergere a Roma delle suggestioni antichizzanti, definiva se stesso “senato”28. Per concludere su questo, è importante ricordare un punto sottolineato da Arnaldi, e precisamente il fatto che, mentre il caso romano è presentato nella storiografia come paradigmatico del crollo dell’autorità del secolo X, in realtà il rafforzamento dell’assetto territoriale del Principato di S. Pietro, che avvenne proprio in quel periodo ad opera del gruppo aristocratico senatorio, in convergenza con il papato, ha fornito al successivo papato riformatore del secolo XI una base solida sulla quale affermare, localmente, la propria azione riformatrice. Diversamente andavano le cose, naturalmente, se si guarda al papato in relazione al complesso della Chiesa; ma si tratta di una questione del tutto differente29. Mi rimane da ricordare l’opera di Arnaldi come redattore di voci per il Dizionario biografico degli Italiani, legate in primo luogo ai personaggi principali del suo alto medioevo romano, come Alberico ed Anastasio; ma va ricordata anche la voce dedicata a Berengario I, un’autentica biografia, che rappresenta il tentativo più organico di Arnaldi di esplorare fuori di Roma gli anni della crisi, anni che coincidono quasi perfettamente con il regno di quel sovrano30. Va detto però che il Berengario di Arnaldi non è un regulus privo di autorità, come Berengario è troppo spesso dipinto dalla storiografia, ma al contrario – pur senza arrivare al rovesciamento di questa interpretazione operato da Barbara Rosenwein31 – il Berengario di Arnaldi è un sovrano capace più volte di risollevarsi, nella difesa ininterrotta di un’autorità che poggiava le sue salde basi territoriali nel nord-est del regno italico. Berengario si aggiunge così alla lunga fila di personaggi che animano le ricostruzioni storiche di Arnaldi. Principi secolari e papi, imperatori come Carlo il Calvo, ma soprattutto – lo abbiamo visto – intellettuali e uomini di 28 29 30

Cfr. il lavoro di Arnaldi citato sopra alla nota 1. ARNALDI, Mito e realtà del secolo X cit., pp. 35-37. ARNALDI, Alberico di Roma e Alberico di Spoleto, in Dizionario Biografico degli Italiani, 1, Roma 1960, rispettivamente pp. 647-656 e 657-659; Berengario I, duca-marchese del Friuli, re d’Italia, imperatore, ibid., 9, Roma 1967, pp. 1-26; e poi Anastasio Bibliotecario, citato sopra alla nota 18. 31 B. ROSENWEIN, Negotiating Space. Power, Restraint, and Privileges of Immunity in Early Medieval Europe, Ithaca 1999, pp. 137-155.


07Gasparri_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:33 Pagina 68

68

STEFANO GASPARRI

cultura. L’alto medioevo di Gilmo Arnaldi è dunque popolato di persone, da lui seguite negli anni, con un percorso di ricerca paziente; ed è però al tempo stesso fatto anche di testi, dal Constitutum Constantini al Registro di Gregorio Magno, a quello di Giovanni VIII o di Anastasio Bibliotecario, o all’Antapodosis di Liutprando. In primo piano sono sempre le fonti, quindi; le fonti e i loro protagonisti e interpreti.


08Fonseca_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:34 Pagina 69

COSIMO DAMIANO FONSECA LO “SPAZIO FEDERICIANO” NELLA STORIOGRAFIA DI GIROLAMO ARNALDI

Lo “spazio federiciano” trova nell’itinerario storiografico di Girolamo Arnaldi una legittimità metodologica nei suoi interessi di ricerca riferiti alla “fondazione” o “rifondazione” sveva dello Studio generale di Napoli. Rimane fondamentale, in proposito, il saggio pubblicato a Pistoia nel 1982 Fondazione e rifondazione dello Studio di Napoli in età sveva, inserito in un volume di più ampio orizzonte dal titolo Università e Società nei secoli XII e XVI e più volte riutilizzato sino alla sua comparsa ancorché “in parte” nel secondo volume dell’Enciclopedia Fridericiana pubblicato nel 20051. Tra il 1982 e il 2015 nello “spazio federiciano” di Arnaldi si collocano altri due saggi: il primo del 1996: Federico II nelle ricerche dello Schramm e l’altro, strettamente interconnesso al precedente, del 2015: I simboli del potere dell’Imperatore Federico II, a loro volta, l’uno e l’altro, confluiti in un unico volume, quello appunto del 2015 dianzi citato2. A questi vanno aggiunte tre voci dell’Enciclopedia Fridericiana rispettivamente Dante Alighieri, Roma e Studio di Napoli3. 1 G. ARNALDI, Fondazione e rifondazione dello Studio di Napoli in età sveva, in Università e Società nei secoli XII e XVI, Palermo 1982, pp. 81-103; ARNALDI, Studio di Napoli, in Federico II. Enciclopedia federiciana, II, Roma 2005, pp. 883-888. Sul problema dello Studium di Napoli si veda il recente saggio di L. CAPO, Federico II e lo Studium di Napoli, in Studi sul Medioevo per Girolamo Arnaldi, cur. G. BARONE - L. CAPO - S. GASPARRI, Roma 2001, pp. 25-54. 2 G. ARNALDI, Federico II nelle ricerche dello Schramm, in Friedrich II. Tagung des Deutschen Historischen Instituts in Rom im Gedenkjahr 1994, cur. A. ESCH - N. KAMP, Tubingen 1996 (Bibliothek des Deutschen Historischen Instituts in Rom, 85), pp. 23-34; ARNALDI, Introduzione, in P.E. SCHRAMM, I simboli del potere dell’imperatore Federico II, cur. e con saggio introduttivo di Girolamo Arnaldi, Soveria Mannelli 2015 (Fonti e studi del Centro europeo di studi normanni di Ariano Irpino, Nuova serie 3). 3 G. ARNALDI, Dante, in Federico II. Enciclopedia federiciana cit., I, pp. 464-466; ARNALDI, Roma, ibid., II, pp. 581-586; ARNALDI, Studio di Napoli, ibid., pp. 803-808.


08Fonseca_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:34 Pagina 70

70

COSIMO DAMIANO FONSECA

Con questo richiamo allo “spazio federiciano” di Arnaldi inteso nelle sue valenze tematiche, non si intende affatto escludere dal più vasto orizzonte storiografico dello Studioso la figura e l’opera del grande Imperatore svevo. Basti fare un cenno all’ultima e opportuna raccolta di saggi curata da Lidia Capo per il CISAM di Spoleto dal titolo Cronache e cronisti dell’Italia comunale, dove pur nel riferimento all’Italia comunale e, quindi, alla esclusione dell’Italia meridionale – salvo la recensione a Salvatore Tramontana per il suo Michele da Piazza e il potere baronale in Sicilia –, i saggi con i richiami a Federico II non mancano4. Ma tant’è. Tornando a Federico II e allo spazio che Arnaldi dedica specificamente al grande Imperatore normanno-svevo emergono con chiarezza i due segmenti nei quali si esplicita il suo impegno di ricerca e l’istanza unificatrice che in rapporto all’VIII centenario della nascita (1994) di Federico sembra costituire il fulcro della storiografia arnaldiana5. Nel primo segmento vanno certamente iscritti i due saggi dianzi citati sulle origini dello Studium generale di Napoli e sulla simbologia del potere vista da Percy Ernst Schramm ambedue oggetto di ristampa anche se il suo Autore dichiara di «non essere solito ripubblicare i suoi scritti, soprattutto senza rimetterci in quale modo mano»6. E tale, come si è rilevato, è il caso del contributo sulla fondazione o rifondazione sveva dello Studio napoletano7. Altrettanto va detto per l’altro saggio dedicato a I segni del potere di Federico II comparso inizialmente nel volume Friederich II. Tagung des Deutschen Historischen Instituts in Rom im Gedenkjahr 1994 e, relativamente alla seconda parte, nel 1998 nell’ottantesimo fascicolo della «Rivista Storica Italiana»8. L’uno e l’altro sono ora unitariamente riproposti quale saggio introduttivo alla traduzione italiana del ben noto volume dello Schramm su I simboli del potere dell’Imperatore Federico II, edito quale terzo numero nel 2015 dalla Nuova serie della collana Fonti e Studi del Centro Europeo di Studi Normanni. Non è questa la sede per mettere in adeguato e luminoso risalto il ruolo che lo Schramm (Amburgo 1896 - Göttingen 1979) ha avuto, ben oltre la 4 G. ARNALDI, Cronache e cronisti dell’Italia comunale, cur. L. CAPO, Spoleto 2016 (Centro italiano di Studi sull’Alto Medioevo). 5 C.D. FONSECA, Federico II tra l’ottavo centenario della nascita e i settecentocinquanta anni dalla morte (1994-2000): un bilancio, in Conferimento del Premio scientifico della Fondazione Stauferstiftung Göpingen, 16. November, Bari 2006, pp. 27-40. 6 G. ARNALDI, Introduzione, in SCHRAMM, I simboli cit., p. 9. 7 Il riferimento bibliografico è alla nota 1. 8 G. ARNALDI, I segni del potere di Federico II, «Rivista storica italiana», 80 (1998), pp. 131-135.


08Fonseca_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:34 Pagina 71

LO

“SPAZIO FEDERICIANO”

71

sua controversa vicenda personale, nell’ambito della storiografia tedesca ed europea del primo Novecento. Nel nostro caso per limitarci al volume sulla simbolistica imperiale di Federico II curato nella edizione italiana da Arnaldi varrà notare che ci sono testi che nel ’900 hanno segnato profondamente una mutazione nella percezione dell’epoca medievale e della sua cultura. È questo il caso dello studio di Schramm sulle insegne del potere di Federico II. La lucidità con cui lo studioso tedesco, per primo, affronta il tema dell’autorappresentazione simbolica dell’autorità imperiale e regia (Staatssymbolik) – vedendo nel modo in cui i sovrani si presentavano al mondo un segno della concezione del potere e dell’autorità che incarnavano – introdusse così nel dibattito storiografico, allora concentrato principalmente su temi di storia giuridico-istituzionale, prorompente, il tema della dimensione culturale di alcune manifestazioni umane e di alcuni monumenti storici. Egli permise così agli storici, che, ormai sessant’anni fa, lo lessero per la prima volta in lingua tedesca, di affrontare con una sensibilità storiografica nuova il tema della regalità in epoca medievale. Riproporre al pubblico italiano, oggi, a distanza di più di mezzo secolo, questo testo, che a tutti gli effetti si può definire un grande classico della storiografia novecentesca, significa permettere ai lettori italiani di andare direttamente alla radice di un modo di fare storia che ancora oggi, malgrado le scoperte susseguitesi negli anni, mantiene inalterato il suo alto valore metodologico e il suo carattere esemplare. Una coraggiosa iniziativa editoriale che, anche grazie al saggio introduttivo di Girolamo Arnaldi, è destinata a divenire un classico per gli studiosi, gli amanti dell’ultimo degli imperatori Svevi e, più in generale, gli appassionati di storia. Al secondo argomento dello “spazio federiciano” di Arnaldi vanno riportati i contributi legati alle celebrazioni del 1994 dell’VIII centenario della nascita di Federico II. Come è noto e come lo mise in generoso risalto non senza una garbata vena polemica nei contributi del suo Paese Arnold Esch nel «Frankfurter Allgemeine Zeitung» del 7 novembre 1998, l’Italia fu particolarmente prodiga di finanziamenti per le celebrazioni relative all’evento giubilare del Sovrano svevo9. Oltre alla costituzione da parte del Ministro per i Beni Culturali e Ambientali (Decreto 6 marzo 1993) di un Comitato Nazionale per le cele9 A. ESCH, Friedrich II. Wandler der Welt? Vortrag der Gedenkveranstaltung zum 750. Todestag Kaiser Friedrichs II. von Hohenstaufen (1194-1250), in Der Stadthalle Göppingen, Göppingen 2001 (Schriften zur staufischen Geschichte und Kunst, 21), p. 14.


08Fonseca_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:34 Pagina 72

72

COSIMO DAMIANO FONSECA

brazioni, il Parlamento italiano varò una leggina che dotò il Comitato stesso di cospicui finanziamenti grazie all’impegno autorevole del senatore prof. Ortensio Zecchino al tempo Presidente della Commissione Istruzione e Beni Culturali del Senato della Repubblica. Nel Consiglio di Presidenza vennero chiamati, oltre lo stesso Zecchino come Presidente, chi scrive come suo Vice, il compianto prof. Alberto Varvaro dell’Università di Napoli e, come coordinatore della Commissione scientifica, Girolamo Arnaldi al tempo Presidente dell’Istituto Storico Italiano per il Medioevo. L’intensa attività del Comitato Nazionale è documentata nel volume che raccoglie l’elenco delle manifestazioni: convegni, mostre, manifestazioni culturali, ecc. non senza rilevare come il radicamento della vicenda federiciana in contesti locali provocò una sorta di emulazione da parte delle istituzioni politico-amministrative10. Arnaldi collaborò per la sua parte interessandosi a Federico e alla sua politica nell’ambito del contesto italiano tra XII e XIII secolo. Tale fu la sua prolusione alla cerimonia inaugurale dell’anno federiciano tenuta a Jesi il 13 settembre 1994, che nella stessa formulazione del titolo si collegava alle tematiche di fondo del suo itinerario storiografico. Federico II e la Storia d’Italia fu il tema intorno al quale Arnaldi costruì il suo itinerario di ricerca: «Il compito che mi è stato assegnato è molto più limitato e diverso: parlare di Federico II e l’Italia, o, per essere precisi, di “Federico II e la storia d’Italia”. Un Federico, dunque, più che dimidiato, costretto in panni che gli stanno insopportabilmente stretti e che, a pensarci bene, non sono nemmeno i suoi. Ma la manifestazione di oggi è promossa dal “Comitato nazionale per le celebrazioni dell’VIII centenario della nascita di Federico II” ed è parso opportuno che in questa sede ufficiale si cercasse di esplicitare le ragioni più specifiche per le quali, indipendentemente dalla indubbia notorietà del personaggio da celebrare, il ministro competente ha provveduto a dare vita al Comitato medesimo. Le manifestazioni federiciane, che si sono tenute nei mesi scorsi e che si susseguiranno con ritmo crescente lungo i mesi restanti del ’94 e l’intero ’95 (il 26 dicembre 1194 è, in realtà, il secondo giorno dell’anno 1195 per lo stile cronologico della Natività, che faceva cominciare l’anno nuovo il 25 dicembre), non trascureranno, c’è da esserne certi, nessun aspetto della personalità e dell’opera del sovrano svevo. Sono, semmai, da mettersi nel conto fastidiose, ma inevitabili, ripetizioni. Oggi, qui a Jesi, mi limi10 Comitato Nazionale per le celebrazioni dell’VIII centenario della nascita di Federico II (1194-1994), programma.


08Fonseca_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:34 Pagina 73

LO

“SPAZIO FEDERICIANO”

73

terò a cercare di spiegare fino a che punto Federico II ha influito sullo svolgimento della nostra storia nazionale»11. Meno consistente, anche se sempre vigile e attenta, fu la presenza di Arnaldi alla iniziativa dell’Enciclopedia Fridericiana, proposta da chi scrive al Comitato di Presidenza nell’ultima fase del suo lavoro e successivamente integrato da Arnold Esch e da Antonio Menniti Ippolito12. Si è fatto cenno allo sparuto gruppo di “voci” – tre per la precisione – redatte da Arnaldi per l’Enciclopedia: non va peraltro trascurato il suo impegno nell’opera di diffusione dei risultati della ricerca ad una platea più ampia che non fosse quella degli addetti ai lavori. Si pensi al Profilo di Federico II, che accompagnò la diffusione di un documentario che la Fondazione Europa e Comunità Mondiale con il patrocinio del Comitato Nazionale per le Celebrazioni dell’VIII centenario della nascita di Federico II con la partecipazione di Editalia Film affidò al regista Carlo Lizzani: Un viaggio intorno a Federico II13. «Un grande regista – ricorda il testo pubblicitario – narra con la macchina da presa la vicenda umana e la storia di uno straordinario sovrano che suscitò, già tra i suoi contemporanei, entusiastici consensi e profonde inimicizie. Le testimonianze di avversari e amici, il giudizio degli storici di oggi, i luoghi dove Federico II visse e operò, i documenti, le opere più significative che ancora testimoniano la sua grandezza – dalla Sicilia alla Puglia, dalla Lucania alle Marche, da Gerusalemme ad Aquisgrana – formano l’affascinante ritratto di un imperatore che fu chiamato già al suo tempo Stupor mundi»14. E non era, questa, la prima volta che Arnaldi ricorresse ai mezzi di comunicazione di massa per allargare ad una cerchia di non specialisti l’illustrazione della vicenda federiciana e la sua collocazione nello sviluppo della Storia d’Italia. Si prenda l’ottava puntata del ciclo televisivo curato dallo stesso Arnaldi per la regia di Adriana Borgonovo all’insegna de La straordinaria Storia d’Italia andata in onda l’8 gennaio 1993. Il titolo della puntata era proprio dedicato a Lo stupore del mondo e si dipanava sull’in11 G. ARNALDI, Federico II e la Storia d’Italia, in Inaugurazione ufficiale delle celebrazioni dell’VIII centenario della nascita di Federico II, Jesi, Teatro Pergolesi, 15 Settembre 1994, Roma 1999, pp. 38-59. 12 O. ZECCHINO, Introduzione, in Federico II. Enciclopedia federiciana cit., I, pp. XIIIXIV. 13 Il fascicolo del profilo di Federico II redatto da G. Arnaldi è contenuto in un elegante cofanetto che porta inciso sul frontespizio “Comitato Nazionale per le celebrazioni dell’VIII centenario della nascita di Federico II”. 14 C. LIZZANI, Un viaggio intorno a Federico II, Editalia films 1996.


08Fonseca_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:34 Pagina 74

74

COSIMO DAMIANO FONSECA

tero arco dell’esistenza dell’imperatore giovandosi di due strumenti bibliografici (il primo di Giulio Cattaneo, Federico II. Lo specchio del mondo e l’altro di Georges Duby, La dimanche de Bouvines) e di una testimonianza di Raoul Manselli su Federico II e San Francesco. Comunque per la gabbia e il contenuto analitico della puntata televisiva si rinvia alle note di questo intervento15. E sempre in questa attività di alta divulgazione da parte di Arnaldi va anche inserita la collaborazione a giornali, riviste, periodici, insomma alla carta stampata come si suol dire, cui egli attese per il nostro argomento tra il 1994 e il 1999. I primi due articoli furono scritti per il «Messaggero» e riguardano le polemiche che accompagnarono proprio le celebrazioni federiciane: il primo del 6 settembre 1994 ha per titolo: Federico II: dopo Dante c’è chi vuole mandarlo davvero all’Inferno e il secondo del 29 settembre dello stesso anno altrettanto perentorio e liquidatorio: Federico val bene un volumetto. Ultimo, ma non ultimo, tassello di questo capitolo dell’impegno civile di Arnaldi è il lungo articolo comparso su «Storia illustrata» del settembre 1979 su Federico II l’ultimo degli Svevi – Anticristo o Messia? Vorrei concludere questa, se pur sommaria, ricognizione dello “spazio federiciano” nella storiografia di Girolamo Arnaldi con un “obbligante” richiamo alla Conferenza tenuta dallo stesso Arnaldi il 13 maggio 1995 all’Accademia Nazionale dei Lincei sul tema L’anno federiciano a metà cammino. Con grande sensibilità, rigore metodologico e finezza intellettuali mai disgiunte – si pensi all’esercizio dedicato al nuovo genere delle commemorazioni o all’intreccio tra le previsioni del secondo settennato della presidenza di François Mitterand e i grandi eventi della storia di Francia, o ancora al sistema di datazione di uno o due anni dedicati a Federico II – Arnaldi passa in una rassegna non asettica né acritica o meramente classificatrice il lavoro svolto da istituzioni, enti, associazioni, non sottacendo mai le qualità degli interventi, lo spirito municipalistico ad esso sotteso, le tentazioni apoteotiche e quant’altro. Nulla sfugge alla sua analisi: la pluralità delle aree geografiche e politiche interessate dal governo dello Svevo ben oltre l’Italia meridionale e l’Impero, i caratteri originari della sua politica, i capisaldi della sua ideologia. E ciò che intorno ad esso è stato prodotto dalla prima parte dell’anno o degli anni federiciani trova la sua adeguata collocazione: a cominciare

15 Biblioteca Centrale RAI, Via Mazzini, Roma, Teche RAI. Ringrazio vivamente la collega Orsola Amore per la sua generosa collaborazione.


08Fonseca_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:34 Pagina 75

LO

“SPAZIO FEDERICIANO”

75

dalla produzione biografica – Abulafia e Sthurner e lo stesso Kantorowicz rivisitato negli ultimi anni – per proseguire con le fonti giuridiche, con i componimenti poetici e letterari, le edizioni dei testi giuridici e poi le mostre, i convegni, ecc. ecc. Insomma dell’universo federiciano a metà anno dell’VIII centenario nulla sfugge nell’acuto resoconto di Girolamo Arnaldi16. Se al termine di questo intervento mi è consentito esprimere un auspicio, è che questo bilancio storiografico di Arnaldi possa essere inserito nel volume degli Atti del nostro Convegno. Sono certo che non sfuggirà alla delicata attenzione del prof. Massimo Miglio il senso di questa richiesta nei confronti del suo predecessore nella presidenza dell’Istituto Storico per il Medioevo.

16 G. ARNALDI, L’anno federiciano a metà cammino, «Atti dell’Accademia Nazionale dei Licei» - anno CCCC, 1995. Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Rendiconti, Ser. IX, 6/4 (1995), pp. 861-871. Per cortese concessione dell’Accademia Nazionale dei Lincei, il saggio viene ristampato anastaticamente in Appendice a questa relazione.


08Fonseca_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:52 Pagina 76

76

COSIMO DAMIANO FONSECA


08Fonseca_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:52 Pagina 77

LO

“SPAZIO FEDERICIANO”

77


08Fonseca_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:52 Pagina 78

78

COSIMO DAMIANO FONSECA


08Fonseca_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:52 Pagina 79

LO

“SPAZIO FEDERICIANO”

79


08Fonseca_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:52 Pagina 80

80

COSIMO DAMIANO FONSECA


08Fonseca_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:52 Pagina 81

LO

“SPAZIO FEDERICIANO”

81


08Fonseca_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:52 Pagina 82

82

COSIMO DAMIANO FONSECA


08Fonseca_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:52 Pagina 83

LO

“SPAZIO FEDERICIANO”

83


08Fonseca_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:52 Pagina 84

84

COSIMO DAMIANO FONSECA


08Fonseca_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:52 Pagina 85

LO

“SPAZIO FEDERICIANO”

85


08Fonseca_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:52 Pagina 86

86

COSIMO DAMIANO FONSECA


09Milani_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 87

GiuliAno MilAni ArnAldi E lA politiCA CoMunAlE

isolare nella produzione storiografica di Girolamo Arnaldi un tema come quello indicato nel titolo di questo contributo potrebbe essere operazione non del tutto legittima: questo studioso ha manifestato sempre e in modo molto chiaro la volontà di far aderire la propria interpretazione alla struttura e alla scrittura delle fonti. Se è vero che, come egli stesso ha scritto, «è la fonte stessa a fornire, nel suo insieme, le indicazioni necessarie alla propria lettura e utilizzazione»1, allora la politica comunale, concetto attingibile solo attraverso il confronto tra testi diversi e non definito precisamente dalle fonti coeve, rischia di essere un oggetto di studio imposto dall’esterno. tanto più che il termine di «politica comunale» non appare né tra i titoli delle raccolte di saggi che Arnaldi ha progettato e in parte realizzato, e nemmeno tra quelli dei suoi saggi2. Se poi si aggiunge il fatto che, come ha scritto recentemente lidia Capo, molti degli studi che oggi prenderò in esame sono nati «da un interesse sorto curando le voci rispettive per il Repertorium Fontium Historiae Medii Aevi»3, si potrebbe addirittura considerare l’isolamento della «politica comunale» dal resto della storiografia di Arnaldi come un vero e proprio abuso. nonostante ciò, nelle pagine che seguono si proverà a dimostrare che proprio il percorso di questo storico, scandito dai problemi posti dalle fonti e dai suggerimenti da esse forniti, 1 G. ArnAldi, Europa medievale e Medioevo italiano, in ArnAldi Conoscenza storica e mestiere di storico, Bologna 2010, pp. 1-33: 21 (nel quadro di un resoconto su Arsenio Frugoni). l’articolo era stato pubblicato in Prospettive storiografiche in Italia: omaggio a Gaetano Salvemini, «itinerari», 22-24 (1956), pp. 411-440. 2 le raccolte di saggi già pubblicate sono ArnAldi, Conoscenza storica cit. e Cronache e cronisti dell’Italia comunale, cur. l. CApo, Spoleto 2016. A quanto mi risulta da comunicazioni personali il progetto di Arnaldi prevedeva anche un volume su Il papato nell’alto medioevo, che dovrebbe uscire presso l’istituto Storico italiano per il Medio Evo a cura di G. BAronE, e un volume di studi danteschi. 3 l. CApo, Prefazione a ArnAldi, Cronache e Cronisti cit., p. Viii nota 3.


09Milani_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 88

88

GiuliAno MilAni

giustifica questo titolo e la scelta che esso sottintende rendendo l’operazione storiografica condotta in questa sede un po’ meno abusiva. 1. (Non) studiare il comunale a metà Novecento Alla politica dei comuni italiani Arnaldi giunge presto, ma non prestissimo: in quella fase importante del suo percorso scientifico e accademico posta tra il convegno organizzato a Bassano nel 1960 e dedicato a Gli Ezzelini nella storia e nella poesia, in cui era stato invitato a partecipare con un contributo sulla cronachistica, e la pubblicazione nel 1963 degli Studi sui cronisti della Marca trevigiana, che costituivano un ampliamento di quel contributo congressuale4. Benché anche grazie a quel libro Arnaldi sarebbe riuscito a ottenere nel 1964 la cattedra di Storia Medievale all’università di Bologna5, all’epoca quell’opera era ancora per certi versi extra-vagante: fino ad allora, infatti, Arnaldi aveva studiato solo autori altomedievali. in quel momento, l’interesse degli storici italiani per i comuni era, se così si può dire, ai minimi storici. Se pure c’era stato quel «ritorno al medioevo» che aveva auspicato Federico Chabod nel 19506 dando conto della più generale perdita di interesse degli studiosi per il medioevo che era avvenuta negli anni della seconda guerra mondiale, al principio degli anni Sessanta i medievisti della generazione di Arnaldi andavano sviscerando oggetti diversi e lontani dai regimi cittadini. in primo luogo la Chiesa, secondo gli sviluppi di quel progetto morgheniano analizzato negli ultimi anni dai partecipanti al convegno della Sapienza e da Amedeo de Vincentiis7: la Chiesa istituzionale, dunque, e il suo corrispettivo dialetti-

4

Studi ezzeliniani, cur. G. FASoli - r. MAnSElli - C.G. Mor - G. ArnAldi - E. rAiMondi - M. Boni - p. toSChi, roma 1963, p. 123; G. ArnAldi, Studi sui cronisti della Marca trevigiana nell’età di Ezzelino da Romano, roma 1963 (Studi Storici, 17), p. xi, ma si veda la ristampa anastatica: roma 1998 con postfazione di M. ZABBiA. 5 M. MiGlio, Arnaldi, storico “nuovo” del Novecento, in G. ArnAldi, Pagine quotidiane, cur. M. MiGlio - S. SAnSonE, roma 2017, pp. 53-65: 59. 6 F. ChABod, Gli studi di storia del Rinascimento, in Cinquant’anni di vita intellettuale italiana (1896-1946), 1, napoli 1966, p. 202 nota 1. Su questo v. ArnAldi, Conoscenza storica cit., pp. 306 ss. 7 Raffaello Morghen e la storiografia del Novecento. Atti del convegno, roma, 19-20 giugno 2003, cur. l. GAtto - E. plEBAni, roma 2005; A. dE VinCEntiiS, L’albero della vita. Medievistica romana e medievistica italiana alla metà del XX secolo, in La storiografia tra passato e futuro: il X Congresso Internazionale di Scienze Storiche (Roma 1955) cinquant’anni dopo. Atti del convegno internazionale, roma, 21 - 24 settembre 2005, roma 2008, pp. 155-172.


09Milani_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 89

ArnAldi E lA politiCA CoMunAlE

89

co, l’eresia. tra i giovani, alcuni (come Giovanni Miccoli, raoul Manselli e ovidio Capitani) continuano a indagare questo nucleo tematico, solidamente radicato nelle fonti della riforma del secolo xi. Altri, allontanandosi dalle inquietudini di Morghen, partono in varie direzioni: la ripresa del commercio nella lombardia pienomedievale, a cui giunge Cinzio Violante8, la dissoluzione medievale dello stato analizzata da Giovanni tabacco9 e − ma in una posizione più distaccata − il papato aristocratico sul quale lavora il più giovane Arnaldi10. rispetto all’«albero della vita» di Morghen e alle sue diramazioni il comune è insomma lontano. A segnalare la posizione periferica che occupa nella storiografia era stato peraltro, pochi anni prima, lo stesso Arnaldi11. dopo una prima fase di interesse risalente agli anni 1890-1910, incentivata da quella che Croce aveva chiamato la «scuola economico-giuridica», in cui l’interesse per i comuni era stato altissimo − scriveva − e una fase successiva, stimolata dalla prima guerra mondiale, in cui, «come vuole il Volpe, per una rivalutazione del politico sul sociale» l’attenzione degli storici della scuola economico-giuridica si era spostata «dai Comuni alle Signorie, dalle lotte sociali alla fondazione dello Stato moderno», «i problemi relativi alla storia comunale non sono più al centro dell’attenzione», «si prescinde in genere dalla considerazione dei rapporti politici e dello sviluppo delle classi e della società»12. in questo paesaggio desolato le eccezioni sono pochissime. Se in questa rassegna scritta da Arnaldi nel 1953 si cercasse qualche novità significativa relativa, se non al comune in senso stretto, al più ampio contesto della storia cittadina, la si potrebbe trovare solo nella menzione del libro di Violante sulla Società milanese che, proseguendo ed esplicitando quanto aveva avviato Gioacchino Volpe, aveva collegato in modo originale la dimensione comunale e quella feudale. Questo collegamento colpisce Arnaldi che ne dà conto lungamente alla fine dell’articolo, ma quello studio, almeno nella sua dimensione più propriamente precomunale13, per il momento non lascia tracce nella sua produzione storiografica. 8 9

C. ViolAntE, La società milanese nell’epoca precomunale, Bari 1953. G. tABACCo, La dissoluzione medievale dello stato nella recente storiografia, «Studi medievali», Ser. iii, i (1960), pp. 397-446. 10 Questi studi sono destinati a essere raccolti nel volume su Il papato nell’alto medioevo (v. nota 2). 11 ArnAldi, Europa medievale cit., p. 1. 12 Ibid., pp. 4-5. 13 diversa e forse più consistente sarebbe stata l’influenza della ricerca violantiana sugli studi di Arnaldi relativi a liutprando da Cremona di cui il primo tassello, tuttavia,


09Milani_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 90

90

GiuliAno MilAni

A segnare in modo più evidente gli scritti di Arnaldi è un altro dei tratti che accomunano i colleghi più grandi, un atteggiamento più che un tema, ovvero quel tipo di interesse per le fonti che caratterizza in questa fase i medievisti italiani in misura più intensa rispetto a molti colleghi stranieri. Come ha scritto Amedeo de Vincentiis, «per andare all’essenziale, ponevano tutti il problema delle possibilità e dei limiti di ricostruzione del passato attraverso le testimonianze: in quale misura i documenti (soprattutto quelli letterari, narrativi, storiografici) trasmettevano informazioni al di là della testimonianza stessa, della interpretazione della realtà della loro personale visione dei fatti?»14. proprio per interpretare nel modo più giusto le fonti di cui è stato chiamato a parlare a Bassano, Arnaldi comincia a riflettere sulla politica dei comuni. per quanto quelle fonti fossero state prodotte in un quadro assai diverso da quello in cui si erano mossi Giovanni immonide, Anastasio Bibliotecario, liutprando da Cremona, Giovanni romano, ovvero gli autori che sino a quel momento aveva posto al centro della sua attenzione, si trattava pur sempre opere di storiografia medievale. Ed è con le armi che si è forgiato per lavorare su quei testi più antichi che il poco più che trentenne Arnaldi aggredisce il corpus delle cronache venete. 2. La politica come reagente storiografico il risultato di questo assalto, sottolineato tra gli altri da lidia Capo e prima ancora da Marino Zabbia15, consiste nella verifica dell’«evidente contrasto fra gli schemi tradizionali su cui [queste cronache] sono costruite, e il contenuto nuovo di cui danno notizia»16. Come si ricava dalla nota che segue questa frase, che fa riferimento a una recensione di Giovanni Miccoli di un libro libro di heinrich Schmidt, questo contrasto è anche e soprattutto quello «tra ideologia e politica, tra cultura e realtà» o, detto

Liutprando e l’idea di Roma nel Medio Evo, «Archivio della Società romana di storia patria», 79 (1956), pp. 23-34, non cita Violante, ma solo Volpe. 14 dE VinCEntiiS, L’albero della vita cit., p. 10. 15 ZABBiA, Postfazione a ArnAldi, Studi sui cronisti cit., pp. 1*-19*, 1 nota 1; CApo, Prefazione cit. , p. xV. 16 ArnAldi, Studi sui cronisti cit., p. Viii: la riflessione viene collegata in nota a una recensione di G. Miccoli sulla «rivista Storica italiana», 73 (1961), pp. 573-577 al libro di h. Schmidt, Die deutschen Städtechroniken als Spiegel des bürgerlichen Selbstverständnisses in Spätmittelalter, Göttingen 1958.


09Milani_Nuovi Studi Storici 26/03/18 10:09 Pagina 91

ARNALDI E LA POLITICA COMUNALE

91

altrimenti, tra ciò che i cronisti sanno già, le loro esperienze, i loro metodi di indagine e ciò che la storia che vivono li costringe a raccontare. Quando questa storia è nuova, infatti, lo sforzo di adattare gli schemi si fa intenso rendendo per certi versi visibile la loro resistenza nel momento della crisi. È questo processo intellettuale, storico e storiografico, profondamente segnato dalla filosofia di Croce, che interessa Arnaldi. Ma, dal momento che per i cronisti su cui sta mettendo le mani il cambiamento è stato l’avvento di Ezzelino III, Arnaldi identifica il reagente fondamentale per il suo esperimento storiografico in un cambiamento politico. È un dato esplicitato due pagine dopo, quando, in un raro momento di rinuncia alla reticenza relativamente ai discorsi di metodo e alle generalizzazioni che lo caratterizzava, Arnaldi esprime la volontà «che questa ricerca di storia della storiografia possa valere anche nell’ambito della storia politica come contrappunto attraverso cui si esprime, in forma ancora confusa ma immediata, il travaglio del processo storico in atto»17. L’approccio alla politica comunale di Arnaldi è dunque sin dal principio volto ad analizzare un processo storico, un cambiamento, più che, come fanno altri storici in quel momento, teso a tracciare il profilo di tale politica. Dal punto di vista metodologico Arnaldi è molto distante, per esempio, da Ovidio Capitani, che si stava, tra l’altro, dedicando a smontare la cultura politica del comune dal piedistallo su cui gli storici delle generazioni risorgimentali e postrisorgimentali lo avevano posto facendo dei chierici − e mai dei laici − la «coscienza del sistema» medievale18. Ad Arnaldi interessa piuttosto capire come questa cultura si era trasformata e a questo interesse per la trasformazione culturale Arnaldi rimarrà fedele nel corso dei successivi decenni ogni volta che tornerà a occuparsi di comuni. Come si è detto, le sue incursioni nella politica delle città italiane del basso medioevo non furono mai condotte sulla base di un progetto di ricerca sistematico. Si trattò invece di incursioni suggerite ad Arnaldi dalla sua sensibilità per questioni più vaste, le stesse che portavano la sua riflessione al di là dei confini del medioevo: i sistemi per costruire un’Italia unita

17 18

ARNALDI, Studi sui cronisti cit., p. X. O. CAPITANI, Storia ecclesiastica come storia della coscienza del sistema, in Istituzioni e società nella storia d’Italia. Forme di potere e struttura sociale in Italia nel Medioevo, cur. G. ROSSETTI, Bologna 1977, pp. 41-55 (già pubblicato nel saggio Impressioni sullo stato della storia della Chiesa Medioevale in Italia, relazione al 1° convegno della Associazione dei Medievalisti italiani, Atti, Bologna 1976, pp. 51-70, ora anche in O. CAPITANI, Una storiografia per la vita. Medioevo passato prossimo e futuro anteriore, cur. E. MENESTÒ - G.G. MERLO, Spoleto 2015.


09Milani_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 92

92

GiuliAno MilAni

e funzionante liberandola dagli ostacoli che ne avevano impedito lo sviluppo, il possibile contributo degli intellettuali a questo processo, il ruolo della scuola e della formazione universitaria. per pensare a tutto ciò Arnaldi studierà anche i comuni e questo studio passerà sempre per la via delle cronache o, meglio, dei cronisti. nel libro del 1963 Arnaldi aveva spiegato – tanto in generale, nell’introduzione19, quanto in particolare, nei capitoli relativi ai singoli autori – che le cronache si dovevano leggere al di là del loro valore di buone testimonianze e che era necessario superare l’atteggiamento positivista che cercava di capire se un tale cronista era guelfo o ghibellino in modo da poter poi fare la tara delle sue affermazioni relativamente alle informazioni riportate. la critica di quell’atteggiamento era strettamente connessa alla sua proposta interpretativa, che si coglie in modo particolarmente chiaro nel capitolo su Gerardo Maurisio. Gerardo Maurisio, spiega Arnaldi, non è, come avevano pensato i suoi editori precedenti, meno utile perché la sua cronaca è una sorta di panegirico per i da romano che nelle sue intenzioni dovrebbe portare ricompense anche materiali, ma è utile allo storico proprio per questa ragione. Gerardo, infatti, non va considerato solo come un testimone oculare, ma addirittura come un «protagonista, sia pure minore» delle vicende che racconta20. Questo fare dei cronisti i protagonisti delle vicende e dei cambiamenti che testimoniavano è stato un tratto costante delle analisi di Arnaldi e, come apparirà più chiaramente nelle conclusioni, costituisce il filo rosso anche del suo interesse per la politica comunale perché, come si diceva, quelle vicende e quelle trasformazioni sono fondamentalmente politiche. in queste pagine vorrei affrontare tre trasformazioni della vicenda politica comunale che hanno costituito lo sfondo degli studi di Arnaldi sulle cronache e sui cronisti, disponendole secondo l’ordine in cui si sono manifestate nella sua produzione storiografica, e cercando ogni volta di comprendere, da un lato, da quali storici Arnaldi trasse le categorie per coglierle, dall’altro come le interpretò alla luce di ciò che le sue fonti cronachistiche gli suggerivano, quali risultati, insomma, egli abbia tratto dal suo esame. le trasformazioni della politica comunale di cui parlerò sono dunque tre: la 19 20

ArnAldi, Studi sui cronisti cit., p. Viii. Ibid., p. 54: «Secondo quanto si è detto a suo tempo, Gerardo non va considerato solo come un testimone oculare, ma addirittura come un protagonista, sia pure minore delle vicende della Marca trevisana nei primi decenni del secolo xiii: in questa prospettiva, la figura dell’autore della Cronica e la complessa contabilità del suo dare e avere con i signori da romano diventano oggetto di indagine storica allo stesso titolo dei fatti in essa registrati».


09Milani_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 93

ArnAldi E lA politiCA CoMunAlE

93

prima si svolge sul piano dello spazio ed è quella dal comune allo stato regionale; la seconda è posta sul piano della statualità e vede il passaggio da comuni ancora poco sviluppati dal punto di vista dell’autorità e dunque bisognosi di legittimazioni esterne a organismi politici più sviluppati e autonomi; la terza si colloca sul piano del ceto dirigente e registra il passaggio da una fase in cui questo ceto dirigente è sulla stessa lunghezza d’onda, per così dire, della società e dei conflitti che la attraversano a un’altra in cui se ne separa dando luogo a una nuova chiusura oligarchica. 3. Dal comune allo stato regionale il primo processo storico che Arnaldi coglie nella percezione dei cronisti è anche l’ultimo di cui gli storici italiani avevano parlato prima dell’eclissi del comune nella storiografia italiana, il passaggio dal comune alla signoria, inteso in modo specifico come passaggio da un governo condiviso a base cittadina al governo di un singolo che si esercita su un ambito pluricittadino o regionale. paradossalmente, per un libro che nel titolo ha il nome di Ezzelino, in questa prima riflessione l’ampliamento regionale è quasi più presente della degenerazione tirannica, anche se è ad essa collegato. in primo luogo, infatti, i cronisti devono adattare alla nuova realtà il più elementare dei loro «schemi tradizionali» ovvero lo schema annalistico. Così parisio da Cerea, che aveva scritto una cronaca scandita dai podestà, viene interpolato da qualcuno che invece si basa sui signori, ridefinendo la storia veronese come il passaggio da un’età di Ezzelino iii da romano a un’età di Mastino della Scala21. Così ancora il già menzionato Gerardo Maurisio che, avendo «in mano una fonte che gli dava il nome del podestà dell’anno più qualche sporadica notizia di carattere locale», «intorno a quel nucleo si ingegnò a costruire il resto, mettendo insieme i pochi dati che gli offriva la tradizione orale favorevole ai da romano, e forse anche lavorando alquanto di fantasia»22. Così sull’impalcatura cittadina e podestarile si vengono a posare i giudizi soggettivi e “situati”. Ma Gerardo Maurisio mostrava anche un’altra cosa: che questo abbandono della dimensione cittadina verso quella regionale si era accompagnato a una disgregazione dei rapporti legati alla precedente società politica,

21 22

Ibid., p. 21. Ibid., p. 57.


09Milani_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 94

94

GiuliAno MilAni

una disgregazione di legami non dovuta tanto alla diffusione delle fazioni dei Guelfi e dei Ghibellini − come voleva il giudizio moralistico che era stato formulato sin dal trecento e che in gran parte avevano condiviso gli studiosi risorgimentali da cui Arnaldi prendeva le distanze − ma alla fine di alcuni legami sociali, quelli legati alla cittadinanza, e alla costruzione di nuovi legami clientelari di natura signorile nel senso che questo aggettivo veniva assumendo in quella fase23. proprio i legami clientelari erano stati la base sulla quale quella nuova signoria pluricittadina era stata costruita, in un processo evolutivo nuovo, che non era né quello che avevano descritto gli storici che avevano sostenuto che la signoria era stata un’anticipazione dello Stato moderno, né quello di quanti avevano espresso nostalgia per il comune. A giudicare dalle note di questo libro, Arnaldi trasse l’idea di una connessione tra la formazione dello stato regionale e i legami di clientele e di partes dal celebre articolo di Ernesto Sestan sulle Origini delle Signorie cittadine, un problema storico esaurito? uscito anche quello nei primi anni ’6024. Su quell’articolo, che considerava «un piccolo capolavoro», Arnaldi avrebbe continuato a meditare molto a lungo, perché − come scrisse − in quel saggio «il Sestan si è assunto la responsabilità di «generalizzare» di indicare piste di ricerche comuni (si pensi, tanto per fare un esempio alle pagine su fuoriuscitismo nel saggio sulle origini delle signorie), di prendere apertamente posizione si grandi problemi d’insieme»25. Anche altri hanno valutato quel contributo come fondamentale e, grazie alla mediazione di Giorgio Chittolini (che lo incluse in una fortunata antologia)26, quell’idea è divenuta una delle basi per ricerche che oggi alimentano una delle scuole più attive e importanti della medievistica italiana27. Ma questa trasmissione dell’eredità di Sestan deve molto, credo, alla mediazione di Arnaldi, che di quel legame generale tra abbandono dell’orizzonte cittadino e trasformazione dei legami di cittadinanza diede alcuni esempi al tempo stesso molto concreti e molto esportabili negli

23 24

Ibid., p. 36. E. SEStAn Le origini delle signorie cittadine: un problema storico esaurito?, «Bullettino dell’istituto storico italiano per il medioevo», 73 (1961), pp. 41-69, poi anche in SEStAn, Italia medievale, napoli 1968, pp. 193-223. 25 ArnAldi, Conoscenza storica cit., p. 419. 26 La crisi degli ordinamenti comunali e le origini dello stato del Rinascimento, cur. G. Chittolini, Bologna 1979. 27 particolarmente in continuità con questa linea di ricerca sono i lavori di Marco Gentile e Andrea Gamberini.


09Milani_Nuovi Studi Storici 26/03/18 10:09 Pagina 95

ARNALDI E LA POLITICA COMUNALE

95

Studi sui cronisti della marca trevigiana. Va osservato, peraltro che, se questo processo è stato indagato analiticamente nei suoi esiti ultimi, quelli quattrocenteschi, per quanto riguarda le sue prime manifestazioni è solo da poco che, grazie al rinnovato interesse per le signorie e i poteri personali28, sono state poste le premesse per una sua riconsiderazione. 4. Comune debole e comune forte Vengo così al secondo cambiamento. A fornire prove per un abbandono dell’orizzonte cittadino era anche il cronista più studiato dall’Arnaldi degli Studi sui cronisti, Rolandino da Padova, ma per ragioni diverse da quelle legate alle fazioni. Arnaldi notava infatti come la sua esperienza formativa a Bologna lo aveva allontanato dall’angusto orizzonte padovano. «Anche questi soggiorni in terra straniera per motivi di studio» − scriveva − contribuivano ad intaccare l’antico sentimento esclusivo di patriottismo cittadino, dando una specie di seconda patria a molti membri delle classi dirigenti comunali»29. Ma la cronaca di Rolandino interessava Arnaldi per altri due motivi tra loro combinati: il fatto che era stata redatta da un notaio e il fatto che ne era stata data pubblica lettura dinnanzi a un gruppo di professori universitari. Che fosse scritta da un notaio «a Padova, nel 1262, evidentemente non era più ritenuta [garanzia] sufficiente, se si sentì il bisogno di ribadirla con una garanzia ulteriore, di natura specifica, derivante dalla podestà di un ordinamento particolare»30: quello al tempo stesso comunale e universitario rappresentato dal collegio dei dottori di medicina e Arti. Il caso di Rolandino dunque era doppiamente interessante: da un lato permetteva di penetrare in modo più approfondito dentro il laboratorio di un notaio-cronista, ovvero di un tipo di autore specifico che Arnaldi andava identificando. Dall’altro suggeriva qualcosa che le ricerche successive avrebbero dimostrato, ovvero che nel 1262, per una cronaca, essere scritta da un notaio non significava più essere considerata autentica o ufficiale, ma serviva una legittimità ulteriore. Per affrontare il groviglio di problemi relativi alla legittimazione pubblica di una cronaca offerta da un comune che la vicenda di Rolandino sol-

28

V. Signorie cittadine nell’Italia comunale, cur. J.-Cl. MAIRE VIGUEUR, Roma 2013 e i titoli seguenti della collana Italia comunale e signorile dello stesso editore. 29 ARNALDI, Studi sui cronisti cit., p. 79. 30 Ibid., p. 128.


09Milani_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 96

96

GiuliAno MilAni

levava, Arnaldi non aveva molta letteratura a disposizione. Giovandosi della sua capacità di cogliere, ben al di là degli studi sulle fonti storiografiche, collegamenti tra ambiti diversi, egli fece ricorso a un autore che effettivamente si era posto problemi simili, ma su un piano completamente differente, analizzando cioè fonti documentarie. Si trattava di pietro torelli31, ma non, come ci si potrebbe aspettare vista la tematica del torelli studioso della signoria di Capitanato del popolo e vicariato imperiale32, che quarant’anni prima aveva trattato un tema singolarmente vicino a quello affrontato da Arnaldi negli studi sui cronisti, ma al torelli degli Studi e ricerche di diplomatica comunale33. Quel libro importantissimo, ma caratterizzato da una struttura tecnica che a lungo lo ha confinato nel recinto dei diplomatisti diede ad Arnaldi la chiave per capire varie cose. in primo luogo perché rolandino, come peraltro anche parisio da Cereta, aveva continuato una cronaca cominciata dal padre: i notai si succedevano di padre in figlio nella capacità di autentificare gli atti. in secondo luogo, la lettura di torelli suggerì a Arnaldi che essere stato notaio del sigillo, ovvero notaio del podestà, aveva avuto una sua importanza nel far redigere a rolandino una cronaca che raccontava la storia della città di padova nei tempi calamitosi della sua soggezione al tiranno, una cronaca, che, se non era stata ufficiale nella sua genesi, con ogni probabilità era stata ufficializzata nel momento della nascita del nuovo regime guelfo successivo alla liberazione, facendo del suo autore un «protagonista» di primo piano di quel regime. Come spiegava Arnaldi sulla base di torelli, il notaio del sigillo era sempre meno simile «al notaio pubblico ufficiale e al tempo stesso libero professionista che prestava occasionalmente la sua opera al Comune e invece sempre più configurabile come il cancelliere al servizio esclusivo di esso»34. il secondo cambiamento che Arnaldi scopriva era dunque quello che aveva trasformato il comune da un ente che aveva ancora bisogno dei notai

31 Su torelli, v. ora Notariato e medievistica. Per i cento anni di Studi e ricerche di diplomatica comunale di Pietro Torelli, cur. G. GArdoni - i. lAZZArini, roma 2013. 32 p. torElli, Capitanato del popolo e vicariato imperiale come elementi costitutivi della Signoria Bonacolsiana, «Atti e memorie dell’Accademia virgiliana di Mantova», n.ser., 1416 (1921-23), pp. 73-221. 33 p. torElli, Studi e ricerche di diplomatica comunale, Spoleto 1980, rist. anast. di Studi e ricerche di diplomatica comunale, parte i, «Atti e memorie della r. Accademia Virgiliana di Mantova», n.ser., 4 (1911), pp. 5-99 e parte ii, Mantova 1915 (pubblicazioni della r. Accademia Virgiliana di Mantova). 34 ArnAldi, Studi sui cronisti cit., p. 120.


09Milani_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 97

ArnAldi E lA politiCA CoMunAlE

97

per produrre atti legittimi a un ente che ormai aveva propri cancellieri e che dunque era fonte della sua stessa legittimità35. Mi pare che Arnaldi si sia appassionato per un certo periodo, identificabile più meno con gli anni Settanta, a questo processo, cercando di coglierne le tappe e che tuttavia alla fine abbia desistito dallo spiegarlo compiutamente. testimonianza della prima e della seconda affermazione è la coppia di articoli di argomento comunale e cronachistico che seguirono al libro del 1963, quello sul Notaio-cronista del 1967 e quello su Cronache con documenti, cronache autentiche e pubblica storiografia del 197636. Arnaldi, che nel primo articolo era stato tentato dall’idea di lanciare una «diplomatica della cronaca medievale»37, nove anni dopo ci rinuncia, affermando che i diplomatisti possono restare a lavorare con i materiali che hanno38. proprio questo cambiamento di opinione mostra tuttavia che per tutto il periodo egli continuò a interrogarsi sulla capacità della cronaca medievale di costituire una prova, il cui valore, tuttavia, rispetto alle storie moderne e contemporanee riposava più sul fatto di essere stata autenticata da qualcuno che su quello di riportare informazioni corrette e affidabili. inoltre, anche una volta chiarito questo punto, egli continuò a chiedersi se di volta in volta tale autenticità fosse data dallo status legale dell’autore (notaio, cancelliere), oppure da una decisione politica. nonostante ciò Arnaldi non giunse a elaborare un modello unificante di evoluzione della memoria storica cittadina. in parte ciò avvenne perché del processo gli interessavano più le tappe intermedie rappresentate dai singoli casi che non il punto di arrivo. in parte perché, a differenza di quanto era avvenuto con Sestan relativamente all’ampliamento degli orizzonti cittadini, per questo tipo di problema gli altri storici prima di lui, torelli compreso, non erano giunti a formulazioni altrettanto chiare e utilizzabili. Così, il comune descritto da Arnaldi negli anni Settanta restava ibrido, in bilico tra l’autentificazione imperiale, pubblica, e il tentativo, sempre più prorompente di autenticarsi da solo, o meglio, come sarà nello 35 per la linea che collega in questo aspetto torelli alle ricerche di Gioacchino Volpe v. G. MilAni, Lo strano destino della lezione di Torelli: ottimisti e pessimisti nella comunalistica italiana degli ultimi trent’anni, in Notariato e medievistica cit., pp. 23-39. 36 oggi raccolti in ArnAldi, Cronache e cronisti cit., alle pp. 13-32 e 33-60, con indicazioni sulle collocazioni originarie a p. xlV. 37 Ibid., p. 17: «È mia convinzione che un caso come questo autorizzi a parlare, fuori da ogni artificiosa ricerca del nuovo e del paradossale, di una “diplomatica delle cronache medievali” venendosi con ciò stesso a ridurre notevolmente la distanza che, nel gran coacervo delle «fonti scritte», separa di solito la categoria delle «fonti narrative» da quella delle «fonti documentarie». 38 Ibid., p. 56: «oggi sul punto della “diplomatica” sarei molto più prudente».


09Milani_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 98

98

GiuliAno MilAni

stato regionale protomoderno, di legittimarsi tramite cancellieri che per quel comune lavoravano. in quell’articolo sulle Cronache autentiche Arnaldi affermava con una certa civetteria, ma non troppo, che il suo lavoro sui cronisti rischiava di essere un pietiner sur place e che il discorso si sarebbe mosso sul «terreno infido che sta in mezzo fra le istituzioni e la mentalità»39. Benché infido, quel terreno Arnaldi continuò a esplorarlo e probabilmente non avrebbe potuto fare altrimenti perché, in realtà, in questo andare e tornare dal comune debole al comune forte, dal comune di Genova che autentificava a posteriori Caffaro al comune di padova che proclamava autentica la cronaca di rolandino, l’unica cosa certa era che quel comune aveva avuto bisogno in modo protratto e costante degli intellettuali. in questo, credo, si può cogliere una specifica e, se si vuole, programmatica volontà di Arnaldi nel collegare le sue ricerche sui cronisti comunali a quelle meno occasionali sul papato e roma nell’alto medioevo e ancora oltre ai suoi interessi più attuali sui rapporti tra intellettuali e stato. Questa volontà avrebbe permesso di inserire i testi di figure minori come i cronisti comunali che andava studiando in un contesto più ampio e a lui più caro, quello della relazione tra cultura e potere. 5. Gli intellettuali e «l’anchilosi» delle classi dirigenti Giungo così infine alla terza delle trasformazioni della politica comunale, anch’essa come le due precedenti suggerita ad Arnaldi, anzi, per così dire, imposta, dal lavoro su una fonte e anch’essa, tuttavia, orientata dalla contemporanea rilettura di uno storico. in questo caso la fonte è la Cronica delle cose occorrenti nei tempi suoi di dino Compagni, ripresa in occasione della stesura della voce «dino Compagni» del Dizionario Biografico degli Italiani (pubblicata nel 1983), inizio di una ricerca che lo avrebbe portato alla scrittura di un saggio pensato come editio maior della voce stessa40. la lettura sistematica di dino riporta Arnaldi agli anni della sua formazione da storico, facendolo tornare a riflettere su uno di quelli che considerava tra i suoi maestri più importanti: Federico Chabod. dal 1980 al 1982, sol-

39 Ibid., p. 33. 40 il saggio Dino Compagni cronista e militante «popolano», originariamente apparso su

«la Cultura», 21 (1983), pp. 37-82 e ora accolto in Arnaldi, Cronache e Cronisti cit., pp. 545-594, spiega alla prima nota questa sua origine.


09Milani_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 99

ArnAldi E lA politiCA CoMunAlE

99

lecitato da alcuni interventi di Gennaro Sasso in occasione del ventennale della morte di Chabod, Arnaldi riprende due vecchi scritti relativi a Chabod e soprattutto scrive un’importante relazione relativa agli scritti medievali del maestro che presenta al convegno Federico Chabod e la «nuova storiografia italiana» (1919-1950)41. in quel saggio Arnaldi rievoca il legame di discepolato dell’autore degli studi su Machiavelli e su Carlo V con nicola ottokar nella prima fase della sua formazione, quando Chabod aveva studiato la trasformazione dal comune alla signoria secondo una prospettiva che, per così dire, metteva insieme i due cambiamenti della politica comunale su cui Arnaldi si era interrogato fino a quel momento. retrospettivamente, la rilettura dello Chabod «storico delle signorie» permette ad Arnaldi di tornare tanto sul passaggio a uno stato regionale basato sulle clientele, quanto sull’acquisizione da parte del comune di una statualità per così dire più matura e autonoma inquadrando questi due cambiamenti in un terzo più grande processo che Artifoni recentemente ha sintetizzato come l’«inaridimento dei ceti dirigenti tra due e trecento, il loro distacco dalle dinamiche sociali e il loro ridursi a “casta speciale”»42. negli anni ottanta, tuttavia, riprendere in mano questi discorsi significava confrontarsi con una riattivazione dell’interesse per la società e la politica comunale, con la ripresa e la canonizzazione della polemica tra interpretazione di classe dei conflitti comunali di matrice salveminiana e intepretazione di stampo elitista proposta da ottokar43. 41 i tre testi sono ora ripubblicati in ArnAldi, Conoscenza storica cit., pp. 291-357 con riferimenti alle sedi originarie. 42 E. ArtiFoni, Recensione a Girolamo Arnaldi, Conoscenza storica e mestiere di storico cit., «l’indice dei libri del mese», 28 (2011), p. 18. ArnAldi, Conoscenza storica cit., p. 293: «dall’esperienza dei suoi tempi, filtrata attraverso l’insegnamento crociano, Chabod derivò una sostanziale sfiducia nelle formule politiche e nelle ideologie, che è un po’ all’origine di un intero settore dei suoi interessi storiografici. tipica, sotto questo riguardo, la posizione apparsa nel 1925. Contro la tendenza a individuare con nettezza partiti cittadini che lottano fra loro con coerenza di atteggiamenti e di programmi Chabod faceva valere l’esigenza di sfumature e di temperamenti, e, per quanto riguarda il problema del passaggio dal Comune alla Signoria, invitava a mettere l’accento, più che sulle formulazioni giuridiche, sull’anchilosi intervenuta nel ricambio delle classi dirigenti comunali. il perdurare, attraverso mutamenti di governo e di regime, dei nomi di poche famiglie in alcune magistrature-chiave, e quindi l’avvio alla formazione di un ceto di burocrati, gli apparirà sempre più un fatto di fondamentale importanza per la genesi dello stato moderno». 43 Ibid., p. 326 nota 42 (all’articolo scritto per il convegno chabodiano del 1983): «È, appunto, studiando di recente la Cronica del Compagni che mi è accaduto di tornare ancora una volta a meditare sulla polemica ottokar-Salvemini, che è stata comunque di importanza fondamentale per la storiografia italiana di questo secolo».


09Milani_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 100

100

GiuliAno MilAni

la ripresa sistematica dello studio dei comuni da parte di una nuova generazione di storici, infatti, da un lato, permette di chiarire le premesse storiografiche dell’una e dell’altra posizione44, dall’altro di trovare nuovi argomenti per l’una e per l’altra tesi come mostrano sul fronte diciamo “salveminiano”, i lavori degli allievi di Elio Conti (Sergio raveggi tra tutti)45 e su quello “ottokariano” i molti contributi stranieri di quel periodo46. Arnaldi guarda ai primi con grande interesse, ai secondi con una certa condiscendenza e, come al solito, trova una sua strada. Sulla base di una scoperta quasi codicologica, il fatto che nella copia di Il comune di Firenze posseduta da Federico Chabod le pagine del capitolo relativo al biennio rivoluzionario di Giano della Bella (1293-1295) erano rimaste intonse e dunque erano state ignorate dallo storico aostano, Arnaldi costruisce un’interpretazione del caso fiorentino che presenta un valore ben più ampio. il processo di «anchilosi» dei ceti dirigenti che Chabod aveva identificato sulla base di molti altri casi non poteva essere né prova, come per gli elitisti (i nuovi più che i vecchi), del carattere eternamente oligarchico del comune perché si era accompagnato a un movimento sociale davvero di classe, a una rivoluzione violenta, a uno stato di emergenza che ceti esclusi dal potere avevano provocato e alimentato. E tuttavia quella rivoluzione non aveva avuto alcun carattere trionfale o progressivo come pareva, pur con alcuni distinguo, ai neo-salveminiani, ma piuttosto, anche nel suo fallimento, aveva agito da fenomeno epocale, ancora una volta − come era avvenuto con la signoria ezzeliniana per Gerardo Maurisio o per il moderato regime di «popolo» padovano per rolandino − da “reagente” per i contemporanei che, ognuno con i suoi mezzi, erano stati costretti a confrontarcisi, rivedendo, adattando o talvolta conservando le proprie posizioni: dino Compagni come dante. del dante di Arnaldi tratta in questa sede Giorgio inglese e non è mia intenzione sottrarre materia al suo intervento, ma è necessario spenderci qualche parola. in dante l’Arnaldi degli anni ottanta-novanta trova un punto di vista che tiene insieme molti tra gli interessi che sino a quel 44 E. ArtiFoni, Salvemini e il Medioevo. Storici italiani fra Otto e Novecento, napoli 1990; M. VAllErAni, La città e le sue istituzioni. Ceti dirigenti, oligarchia e politica nella storiografia medievale, «Annali dell’istituto storico italo-germanico in trento», 20 (1994), pp. 165-230. 45 S. rAVEGGi - M. tArASSi - p. pArEnti, Ghibellini, Guelfi e Popolo grasso. I detentori del potere politico a Firenze nella seconda metà del Dugento, Firenze 1978. 46 obbligato il rimando a ph. JonES, Economia e società nell’Italia medievale: il mito della borghesia, in Storia d’Italia, Annali, i, torino 1978, pp. 185-372, ora in JonES, Economia e società nell’Italia medievale, torino 1980, pp. 3-189.


09Milani_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 101

ArnAldi E lA politiCA CoMunAlE

101

momento aveva manifestato per la politica tardo-comunale o proto-signorile e per le sue premesse sociali e culturali. dante – che in precedenza Arnaldi aveva studiato solo come autore che aveva sottoposto una sua opera alla legittimazione pubblica di un comune signorile (la Quaestio de aquis et terris letta a Verona) – gli permette di tornare sulle sue riflessioni precedenti. da un lato, lo porta a studiare un’altra regione, la romagna, in cui le città erano passate da un orizzonte locale e comunale a una dimensione signorile e regionale. dall’altro, gli consente di registrare le reazioni di un cittadino all’anchilosi dei ceti dirigenti di stampo chabodiano, che tuttavia a questo punto per Arnaldi deve includere il fatto epocale del biennio “rivoluzionario” di Giano della Bella. Ma soprattutto dante diviene il filtro per guardare quel rapporto tra intellettuali e istituzioni che Arnaldi aveva cercato tanto nell’alto medioevo del potere papale, quanto nel basso medioevo del potere comunale. in dante, direi quasi più che in tutti gli altri oggetti delle sue indagini, Arnaldi trova un intellettuale «comunale» che come quelli altomedievali che aveva letto e come quelli contemporanei che aveva frequentato non si era limitato a testimoniare un processo storico, ma leggendolo, interpretandolo, giudicandolo, se ne era fatto protagonista. 6. Conclusioni: la politica degli intellettuali dante ha vissuto la crisi della civiltà comunale italiana, uno dei nodi della nostra storia. ne è stato testimone e ha pagato di persona. i suoi giudizi etico-politici, filtrati attraverso la cultura dell’Europa del tempo vengono spesso tacciati di conservatorismo. dante non avrebbe capito ciò che di nuovo stava maturando sotto i suoi occhi: sono molti a ripetere questo luogo comune. può darsi che non abbia visto tutto quello che stava accadendo: ma il suo sguardo andava nel fondo delle cose al di là delle apparenze ingannevoli. Chi studia oggi la storia delle nostre città nei secoli xiii e xiV ha molto da imparare da dante47.

Queste parole di un breve articolo apparso sul Tempo del 1985 mostrano bene quale fosse il modo in cui Arnaldi vedesse il ruolo degli intellettuali rispetto alla politica comunale e più in generale medievale. non credo che pensasse che questo ruolo fosse stato intrinsecamente diverso nella roma del secolo ix e in fondo anche nell’italia del xx. in questa fiducia nell’unità della storia pesava, credo, il suo rifiuto per ogni storia delle men47

ArnAldi, Pagine quotidiane cit., p. 183.


09Milani_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 102

102

GiuliAno MilAni

talità volta a ingabbiare gli uomini di una certa epoca in schemi di conoscenza preordinati e invalicabili48. il suo sforzo fu al contrario continuamente teso a comprendere − spesso con benevolenza, ma sempre esprimendo un giudizio netto − come gli uomini del passato avessero impiegato gli strumenti che avevano a disposizione, a loro volta necessariamente frutto di una tradizione ereditata, per «vedere ciò che stava accadendo» e per intervenire prendendo posizione su specifici problemi. la politica comunale, come ogni altra politica, era, per Arnaldi, il frutto di questa osservazione e di questo intervento autonomo di singoli individui e non − in questo, a mio modo di vedere risiede il tratto più caratteristico del suo conservatorismo − un lavoro di interpretazione e di indirizzo di una presunta volontà collettiva. Gennaro Sasso ha scritto che Arnaldi la politica «non l’amava affatto e desiderava che si risolvesse e sparisse nelle soluzioni virtuosamente date ai problemi che si era trovata davanti»49. Seguendo questa suggestione si potrebbe affermare che nella visione di Arnaldi agli intellettuali antichi e moderni spettava il ruolo di elaborare virtuosamente le soluzioni politiche, riuscendo − si potrebbe aggiungere − a coniugare l’etica con la fattibilità, realizzando la giustizia (che per lui prevedeva anche, nelle molte circostanze in cui si erano manifestate, evitare «minacce giacobine»), ma usando in modo avveduto le forze sociali e culturali esistenti. Secondo Arnaldi, nei comuni questo compito erano stati capaci di realizzarlo, finché era stato possibile, quanti avevano contribuito prima a fare del governo cittadino un organismo capace di supplire sempre meglio al vuoto di potere che in italia si era creato nel pieno medioevo, poi ad arginare le forze che dall’interno e dall’esterno lo minacciavano. nella sua visione alcuni, come Caffaro o rolandino, tutto sommato, ci erano riusciti, altri, come dante o dino, no, ma avevano comunque colto alcuni aspetti del problema ed erano stati capaci di testimoniarlo. per questo, ai suoi occhi, non costituivano un oggetto di studio meno degno di attenzione.

48 il rifiuto per la storia della mentalità si trova già nell’introduzione a ArnAldi, Studi sui cronisti cit., pp. Viii-ix. 49 G. SASSo, Ricordi di Gilmo Arnaldi, in ArnAldi, Pagine quotidiane cit., pp. 5-25: 21-22.


10Inglese_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 103

GIORGIO INGLESE GIROLAMO ARNALDI: GLI STUDI DANTESCHI

Gli studi dedicati al Poeta da Gilmo Arnaldi si inseriscono brillantemente nella corrente del dantismo medievistico animata da maestri come Morghen, Frugoni, Manselli, Capitani – una corrente di cui ho già avuto occasione di segnalare i grandi meriti, nella efficace convergenza tra metodo storico-filologico, aderenza al contesto e respiro culturale. Bisogna aggiungere a tali caratteristiche, con particolare ma non esclusivo riferimento ad Arnaldi, la qualità del rigore disciplinare e dell’estremo rispetto per i risultati conseguiti negli altri “rami” della famiglia dantistica, anzitutto nell’ambito propriamente filologico-letterario. La presenza costante del Poeta alla mente di Arnaldi è facilmente documentabile, fin dagli accenni che si reperiscono negli ormai classici Studi sui cronisti della Marca Trevigiana nell’età di Ezzelino da Romano1. Con puntualità e discrezione, Arnaldi coglieva interessanti riscontri fra il Rolandino dei Cronica e Dante, utili in entrambe le direzioni; il passo del De vulgari eloquentia sulle compilazioni storiche o pseudostoriche in volgare d’oil (I x 2), e la battuta di Guido Guinizzelli sulle «prose di romanzi» in Pg XXVI 118 traggono qualche lume dal prologo rolandiniano, là dove il cronista paragona la propria prosa latina al «vulgare quod dirimatum vulgo dicimus et romanum» («Se non mi inganno – annota Arnaldi2 – il passo di Rolandino gioca a favore della tesi avanzata [a proposito di Pg XXVI 118] da G. Paris», ossia a sfavore di quella avanzata da S. Santangelo). Si segnala anche, per l’essenziale precisione, la nota, pp. 149150, che confronta Rolandino a Boncompagno e accompagna la formula dell’Italia «domina provinciarum» (che giunge fino a Pg VI 78).

1

G. ARNALDI, Studi sui cronisti della Marca Trevigiana nell’età di Ezzelino da Romano, Roma 1963 (Studi Storici, fasc. 48-50), rist. anast. ivi 1998, con postfazione di M. ZABBIA. 2 Ibid., p. 146.


10Inglese_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 104

104

GIORGIO INGLESE

Con ampiezza di respiro, Arnaldi ha affrontato nodi importanti di critica dantesca, correlati – come è naturale – a grandi temi della medievistica. Ricordo anzitutto gli interventi relativi ai soggiorni del Poeta a Verona e quelli che hanno per oggetto la polemica dantesca nei riguardi della Casa reale di Francia, nei suoi vari rami e dominii. Al primo argomento è dedicato un gruppo di “voci” scritte per l’Enciclopedia Dantesca Treccani, apparsa negli anni 1970-78: Della Scala; Della Scala, Cangrande; Verona3. Arnaldi nota l’eccezionale attenzione di Dante per l’esperienza scaligera: non consumata (come in altri casi affini) in breve lasso di tempo e tradotta subito in una sentenza definitiva, questa fu «punto di riferimento costante» durante l’intero periodo dell’esilio, come rivela la marcata evoluzione del giudizio nelle varie fasi. Dal tempo del Convivio a quello del Purgatorio non muta la valutazione negativa dei signori veronesi – in concreto, di Alberto, m. 1301, e di Alboino, che resse la città dal 1304 al 1311. Su Alboino grava lo sprezzante paragone con Guido da Castello siglato in Cv IV xvi 6 (ma si rammenti che il trattato non ebbe alcuna circolazione in vita dell’Autore); in Pg XVIII sono aspramente rimproverati Alberto e il figlio naturale Giuseppe (come esempi di intromissione dell’autorità civile nella vita ecclesiastica), e, ciò che più conta, gli Scaligeri sono di certo implicati, pure se non nominati, nella drastica condanna etico-politica della Marca, pronunciata da Marco il lombardo in Pg XVI. L’episodio scaligero di Pd XVII assume quindi il senso di una vera e propria retractatio. Ma il nuovo atteggiamento è già chiaro all’altezza di Pd IX, con la maledizione dei padovani per bocca di Cunizza da Romano (pseudoprofezia della vittoria di Cangrande, 17 settembre 1314). Proprio in funzione di Cangrande – osserva Arnaldi – la Marca Trevigiana è scelta da Dante come terzo esempio di disordine terreno, accanto al regno angioino4 e alla Curia romana: ma è il solo esempio cui il “futuro” della visione assicuri una redenzione già avviata grazie a Cangrande. Riguardo alla incerta identificazione del gran Lombardo (Pd XVII 70) cui toccherà di offrire il “primo ostello” all’esule immerito, Arnaldi opta decisamente per Bartolomeo, e quindi per un primo soggiorno di Dante a Verona tra la primavera 1303 e il marzo 1304. Non potendo comunque cassare il giudizio cumulativo pronunciato nel Purgatorio, nella terza cantica Dante fa in modo che esso si concentri sullo scaligero regnante nell’anno della visione, cioè Alboino, mentre Bartolomeo viene «retrospettivamente aggregato al 3 Della Scala, in Enciclopedia Dantesca, Roma 1970, I, pp. 351-354; Della Scala, Cangrande, ibid., I, pp. 356-359; Verona, ibid., V, pp. 973-977. 4 Altro oggetto, come si è detto e come si vedrà, dell’interesse arnaldiano.


10Inglese_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 105

GLI STUDI DANTESCHI

105

gruppo dei ‘tre vecchi’ di Pg XVI che soli partecipano delle virtù dei tempi andati». (Mi permetto di aggiungere, come chiosa personale, che il profilo così tracciato da Arnaldi conforta l’ipotesi che separa il completamento del Purgatorio, dopo la battaglia di Montecatini, 29 agosto 1315, dall’inizio del soggiorno presso Cangrande, da porsi quindi nel 1316, all’incirca in coincidenza col trasferimento di Uguccione della Faggiola a Verona. Arnaldi si atteneva invece alla cronologia di Petrocchi, che situa Dante presso Cangrande fin dal 1312/13). In Pd XVII il ritratto di Cangrande esorbita palesemente dai limiti di un ringraziamento per l’ospitalità ricevuta e si sviluppa in una profezia propriamente “scaligera”, post eventum e poi addirittura ante eventum (quindi ovviamente generica), una profezia tanto impegnativa, nella formulazione, da poter suggerire un confronto con quelle relative al veltro (If I) e al misterioso 515 di Pg XXXIII. Con una sicurezza metodologica, che va sottolineata, Arnaldi nega che la chiave per l’interpretazione di Pd XVII 76 ss. possa «attendersi … da una più approfondita conoscenza delle sue [= di Cangrande] imprese e… attività di governo». Giustamente cauto nel registrare l’eco di If I 103 in Pd XVII 84 (percepita a suo tempo da Contini), Arnaldi coglie piuttosto una significativa congruenza tra le faville di cui scintillerà la virtù di Cangrande e la facella ezzeliniana di Pg IX 29: il Cangrande dantesco sarà anche un «nuovo Ezzelino, spogliato dei connotati demoniaci» che i polemisti guelfi traslavano dal vero Ezzelino al signore di Verona. Solo entro questi limiti l’accenno alle cose incredibili che di Cangrande si daranno a vedere in futuro può accostarsi, per l’intonazione e il senso “politico” generale, ai precedenti annunzi di figure liberatrici. Arnaldi ferma l’attenzione sui vv. 89-90: «per lui fia trasmutata molta gente, | cambiando condizion ricchi e mendici» – che raffronta opportunamente al discorso di If VII 79 ss. sulla Fortuna (ministra di Dio, e «aspra pedagoga» agli uomini circa la vanità dei beni mondani). La constatazione dei numerosi mutamenti nelle fortune familiari e individuali in qualche modo conseguenti all’affermazione del dominio scaligero su Verona può aver indotto Dante ad attribuire a Cangrande, quale strumento provvidenziale, «il merito di quel rapido e frequente ‘trasmutamento’ di genti che in realtà apparteneva solo alla dinamica sociale messa in moto dal regime signorile». Lo studio dei canti di Cacciaguida portava Arnaldi al tema della “nobiltà” in Dante, tornato di recente alla ribalta: La nobiltà di Dante e Cacciaguida, ovvero la provvidenzialità della mobilità sociale5. Al riguardo, 5

G. ARNALDI, La nobiltà di Dante e Cacciaguida, ovvero la provvidenzialità della mobilità sociale, «La Cultura», 41 (2003), pp. 203-215.


10Inglese_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 106

106

GIORGIO INGLESE

Arnaldi metteva a fuoco vari aspetti della storia familiare dantesca, con risultati che sono oggi generalmente condivisi: la proprietà fondiaria del padre di Dante «non aveva nulla da spartire con il mondo della feudalità»; l’adoubement cavalleresco fantasiosamente attribuito a Cacciaguida non avrebbe comportato, di per sé, l’automatico riconoscimento di una qualità nobiliare ai discendenti (ma il Poeta poteva ignorare questo elemento normativo); il concetto di “piccola nobiltà”, spesso attribuita agli Alighieri, non ha fondamento, così come non si dà coincidenza fra “nobile” e “magnate” (su questo, Arnaldi aveva presente un importante contributo di Mario Sanfilippo, Dante nobile?6). Nell’interpretazione di Pd XVI 1 («poca nostra nobiltà di sangue»), a tutt’oggi la critica tende a sopravvalutare il “riconoscimento” che qui il Poeta concederebbe alla nobiltà di schiatta; Arnaldi si mostrava giustamente cauto, osservando che in quelle terzine Dante viene ad ammettere che «l’appartenenza a una determinata stirpe […] concorre in qualche misura a nobilitare un singolo», ma solo per aggiungere subito che tale pregio «era da considerarsi sempre a rischio […]» nell’esercizio personale della virtù. Nel seguito del discorso di Cacciaguida, Arnaldi distingue bene la condanna della “mobilità sociale” che ha guastato il Comune («la confusion delle persone») dalla attribuzione alla Fortuna-Provvidenza dei mutamenti susseguitisi nella storia delle famiglie fiorentine. Sul motivo della Fortuna il discorso arnaldiano si riannoda così a quanto già osservato a proposito di Cangrande, mentre il tema del sangue ci porta a un altro rilevantissimo contributo dantesco di Arnaldi. Il saggio intitolato La maledizione del sangue e la virtù delle stelle. Angioini e Capetingi nella “Commedia” di Dante7, riprende, con larghi approfondimenti e notevoli rettifiche, la voce Capetingi, dell’Enciclopedia Dantesca8. Come si sa, l’incontro celeste fra Dante e l’anima di Carlo Martello d’Angiò (Pd VIII) ne replica uno terreno verificatosi nel 1294 (in base a convincente documentazione, Arnaldi suggerisce di situarlo in un contesto culturale – lo studio domenicano di Santa Maria Novella – piuttosto che politico-diplomatico). Rammentando l’amicizia che nacque in quella occasione, lo spirito dice che, se fosse vissuto più a lungo, avrebbe dato al Poeta prove concrete della sua benevolenza. In che modo? Arnaldi 6

191.

M. SANFILIPPO, Dante nobile?, «Problemi», 63 (1982), pp. 89-96; 64 (1983), pp. 190-

7 G. ARNALDI, La maledizione del sangue e la virtù delle stelle. Angioini e Capetingi nella “Commedia” di Dante, «La Cultura», 30 (1992), pp. 47-74, 185-216. 8 Capetingi, in Enciclopedia Dantesca cit., I, pp. 815-817.


10Inglese_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 107

GLI STUDI DANTESCHI

107

tenta una risposta, a partire da un giudizio innovativo e penetrante sull’esilio di Dante: un “doppio esilio”, perché alla esclusione da Firenze (gennaio 1302) seguì in breve giro di anni la separazione del Poeta dalla compagnia dei Bianchi «che costituivano pure essi, in senso proprio, una città – la “città di fuori” che si preparava a tornare a essere la “città di dentro”» alla prima occasione. Soltanto questo “secondo esilio” – osserva Arnaldi – fa di Dante un vero apolide, e lo spinge a cercare un rapporto organico con una corte signorile, titolata in qualche misura ad assumersi la funzione già assolta dalla corte regale di Sicilia. Se di tale corte la Verona di Cangrande parve al Poeta una plausibile incarnazione, il giovane principe del canto VIII ne è forse un simbolo anticipatorio, concepito in marcato contrasto con la realtà della corte angioina di Napoli. Dopo aver prospettato una acuta rilettura del v. 93 («com’esser può di dolce seme amaro», ‘come può una natura amara essere seme di una dolce’), che ho assunto nel mio commento al poema9, Arnaldi retrocede al settimo del Purgatorio, alla valletta dei prìncipi negligenti, e raggiunge il tema principale del suo studio: il giudizio severissimo del Poeta sul “sangue reale” di Francia, nella cui genealogia sembra che ogni generazione operi peggio della precedente (Carlo Martello sarebbe la luminosa e sfortunata eccezione). Dante – scrive Arnaldi – era «ossessionato dal pensiero degli Angioini», quasi per reazione al sentimento tradizionale nel suo stesso «substrato familiare, guelfo fiorentino». Una volta definita la dottrina dell’Impero universale, si imponeva anche un confronto tra le modalità di elezione del Monarca (da parte dello Spirito Santo, per bocca dei prìncipi elettori) e il meccanismo successorio tipico dei regni particolari. Nella sua netta opposizione al regno di Francia – «il regno… più particolare di tutti, in quanto si autocompiaceva di esserlo» – Dante si trova dunque a dover compensare l’infelice bilancio della più recente tradizione imperiale (tra Federico II ed Enrico) con una condanna argomentata e senza appello della dinastia (o meglio: delle dinastie) d’Oltralpe. Il luogo deputato a tale condanna è il canto XX del Purgatorio; la voce che la pronuncia è addirittura quella di Ugo Capeto, «la radice della mala pianta | che la terra cristiana tutta aduggia». Arnaldi svolge analiticamente il confronto tra la figura storica del Capeto e il personaggio dantesco, costruito con materiale leggendario opportunamente selezionato per fare del «figlio di un beccaio» l’iniziatore di una stirpe corrosa dalla cupidigia. È impossibile dar conto delle numerose precisazioni di cui è ricco il commento arnaldiano al canto; ma almeno si rilevi la ben argo-

9

Roma 2016.


10Inglese_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 108

108

GIORGIO INGLESE

mentata identificazione della gran dota provenzale (v. 61) con quella recata dalla contessina Beatrice a Carlo d’Angiò. Non va trascurato nemmeno l’illuminante parallelo fra la descrizione dell’espansionismo capetingio e quella, per bocca di Cacciaguida, delle infauste conquiste fiorentine: il parallelo fissa una «figura strutturale», l’azione diabolica della cupidigia contro l’ordine – veramente sacrato – della Monarchia. In conclusione, Arnaldi torna a Carlo Martello e alla sua lezione (8.94-148) sulla diversità delle umane indoli, voluta dalla Provvidenza per garantire la necessaria complessità sociale; quale caso particolare, vi riappare la negazione della nobiltà di sangue («e vien Quirino | da sì vil padre che si rende a Marte»), forte tema dantesco che giunge così a ricomporsi con la critica dell’ideologia dinastica del sang royal. Fra gli altri spunti di critica dantesca che si legano al nome di Arnaldi, non posso non ricordare la giudiziosa critica della tradizionale, ma superficiale, assimilazione fra i “sesti canti” del Poema, “sesti canti” di cui è invece opportuno misurare le differenze. Nello studio sul Canto di Giustiniano10 Arnaldi rettifica lo schema interpretativo prevalente, mostrando come il discorso dell’Imperatore, a proposito del conflitto guelfo-ghibellino, vada letto «senza ombra di dubbio in riferimento alla situazione italiana». Il lungo compendio di storia romana («a tratti impoetico e tedioso») ha lo scopo di confermare solennemente la funzione salvifico-provvidenziale dell’impero di Roma, e così di innalzare l’Aquila scaligera, come pubblico segno, in faccia a chi le si oppone (anzitutto il re angioino di Napoli) e a chi vorrebbe pervertirla a simbolo di fazione (le varie consorterie “ghibelline”). Nel Canto di Ciacco (lettura di If VI)11, si rileva invece come l’episodio di cui è protagonista il “goloso” fiorentino metta a fuoco, in «sintesi compendiosissima», solo un «momento particolare della storia della città, la ventina di mesi intercorsi fra calendimaggio del 1300 e il gennaio del 1302». Soffermandosi sui vv. 65-66, sulla profezia che la parte cerchiesca («selvaggia») caccerà l’altra, osserva che «in nessun momento si può dire che abbia avuto luogo una ‘cacciata’ dei Neri, […] nel senso in cui si può invece parlare di una ‘cacciata’ dei Bianchi» dopo l’8 novembre 1301 (di cui, si noti, la profezia tace). I Bianchi colpirono gli avversari con «bandi isolati (Corso Donati) […] o di piccoli gruppi (i congiurati Neri di Santa

10 11

G. ARNALDI, Il Canto di Giustiniano, «La Cultura», 40 (2002), pp. 211-220. G. ARNALDI, Ultra terminum vagari. Scritti in onore di Carl Nylander, cur. B. Magnusson et al., Roma 1997, pp. 9-17.


10Inglese_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 109

GLI STUDI DANTESCHI

109

Trinita) o [con] invio forzato al confino». Il fatto è che Dante, con singolare capacità di immedesimazione, attribuisce a Ciacco, «per motivi generazionali», una lettura degli avvenimenti influenzata dal ricordo degli avvenimenti del 1248-67: la sequenza di “cacciate” che, nel canto decimo, verrà rinarrata nel dialogo fra il protagonista e Farinata. A proposito della condanna eterna, denunziata da Ciacco, di alcuni fiorentini che, pure, «a ben far poser gli ingegni», Arnaldi fissa con esemplare chiarezza un criterio di lettura valido per l’intero Poema: «il nodo […] sta tutto nell’apprezzamento senza riserve e, al tempo stesso, nel crudo ridimensionamento del valore delle virtù civiche rispetto ai metri di giudizio che […] riflettono il punto di vista di Dio». Siffatto dualismo, per quanto talora sconcertante, va accettato senza correre a fallaci tentativi di ‘integrazione’ fra giudizio politico (persino etico-politico) e situazioni morali personali. Concludo questa sommaria e troppo veloce disamina ricordando un saggio veramente esemplare dello “stile” critico arnaldiano, come raffinatissima capacità di situare il testo letterario entro precise, ma non costrittive, coordinate storiche. La Romagna di Dante fra presente e passato, prossimo e remoto12 è una lettura di If XXVII e della sezione “romagnola” di Pg XIV. Arnaldi chiarisce lo sfondo storico del dittico dantesco, che non è caratterizzato dal dualismo guelfi/ghibellini. Dopo la vittoria pontificia del 1283 «città sedicenti ghibelline e città sedicenti guelfe volevano solo conservare […] quanto più era possibile delle loro passate autonomie, in contrapposizione obbligata al governo papale». In tale quadro, Maghinardo Pagani fallisce nel ben più ambizioso disegno di creare una signoria sovracittadina (Forlì, Faenza, Imola) che fosse in qualche misura erede della lega ghibellina di Guido da Montefeltro. «Sotto un’angolatura notevolmente diversa» si presenta la regione nella spietata invettiva di Guido del Duca (Pg XIV) sulla degenerazione del “mondo” aristocratico romagnolo nella seconda metà del sec. XIII, col venir meno dell’ordine federiciano. Attento soprattutto ai destini delle stirpi signorili, il quadro è solo in parte sovrapponibile a quello disegnato nella prima cantica (ma, per es., il giudizio su Maghinardo è ancora più aspro). L’evocazione del “buon tempo antico”, in cui la Romagna era culla di virtù cavalleresche, va a connettersi piuttosto con la ricorrente polemica del Poeta contro le pretese nobiliari del “sangue” (e non con le dinamiche di Fortuna delineate da Cacciaguida a proposito delle grandi famiglie fiorentine). 12 G. ARNALDI, La Romagna di Dante fra presente e passato, prossimo e remoto, «La Cultura», 33 (1995), pp. 341-382.


10Inglese_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 110

110

GIORGIO INGLESE

Quanto all’episodio di cui è personale protagonista Guido da Montefeltro, culminante nell’estremo inganno (e autoinganno) della sua volpina carriera – il consiglio frodolento chiestogli e ottenuto da Bonifacio VIII – Arnaldi esclude che si tratti di un’invenzione del Poeta («a prima vista, assurdo solo il pensarlo»), riconoscendovi meglio «una diceria messa in giro per diffamare un personaggio […] rimasto scomodo e ingombrante per molti». Il profilo diabolico con cui è disegnata la parte del Caetani parrebbe, invece, una fioritura dantesca – intesa non tanto ad attenuare il peccato di Guido, quanto a contenere gli effetti politici della diceria infamando anche colui che del peccato era stato provocatore. A questo punto, Arnaldi chiama in causa il Chronicon di fra Elemosina, composto negli anni Trenta, un capitolo del quale narra De obitu fratris Guidonis et sepultura: vi si dichiara che Guido voleva trasferirsi in Terrasanta (ma morì ad Ancona, prima di imbarcarsi) per sottrarsi alla frequente richiesta di consilia da parte di uomini faziosi, non volendo né compiere atti contro la coscienza, né amicos turbare antiquos, offendere gli antichi compagni ghibellini. Il racconto appare in evidente contrapposto alla dicerìa diffamatoria, ma non reca echi sicuri della versione dantesca.


11Frova_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 111

CARLA FROVA GIROLAMO ARNALDI E LA RIFORMA DEI PROGRAMMI DI STORIA NELLA SCUOLA SECONDARIA

Oggetto di queste note è l’attività che Arnaldi svolse a partire dal 1988 come componente delle commissioni ministeriali incaricate di elaborare i progetti di riordino dell’insegnamento primario e secondario: una manifestazione significativa del suo impegno civile e della sua passione politica che, come sottolineano molti dei contributi presentati a questo convegno, in lui convissero coerentemente con il lavoro di storico. Seguirò Arnaldi mentre prende parte ai lavori delle commissioni, ripercorrendo le tappe salienti del processo di riforma nel periodo in cui egli vi partecipò in prima persona. Noto però preliminarmente che l’interesse per la riforma della scuola di base e secondaria non è stato in lui episodico e risale a molti anni prima della sua partecipazione a questa attività di consulenza. Esso era inoltre per lui naturalmente connesso con l’attenzione alle vicende universitarie. Riforma della scuola e riforma dell’università sono sempre stati ai suoi occhi momenti di un unico, necessario processo di rinnovamento del sistema di istruzione italiano, che a suo avviso avrebbe dovuto seguire nei tempi di realizzazione la cronologia naturale del percorso formativo. Già in un intervento del 1975 osservava infatti: «Non è ancora ben chiaro per quali ragioni, varata la scuola dell’obbligo1, i pianificatori del centrosinistra avessero deciso di mettere subito in cantiere la riforma universitaria e non, per esempio, della scuola media superiore. Per non parlare della scuola

1 Si riferisce ovviamente alla legge 31 dicembre 1962 n. 1859 sull’istituzione e l’ordinamento della scuola secondaria di primo grado che, promulgata durante il IV governo Fanfani, ministro della Pubblica Istruzione Luigi Gui, dava finalmente attuazione all’articolo 34 della Costituzione, rendendo effettivo l’obbligo di assicurare a tutti i cittadini un ciclo di istruzione di almeno otto anni. L’avvio a regime della riforma si ebbe con l’anno scolastico 1963/64.


11Frova_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 112

112

CARLA FROVA

materna, che era ancora tutta da fare»2. L’anno in cui furono redatte queste note, come detto il 1975, non è stato un anno qualunque nella storia della scuola italiana. Fu il primo anno di applicazione dei “decreti delegati”, emanati nel maggio dell’anno precedente in applicazione della legge 30 luglio 1973 n. 477 contenente norme sullo stato giuridico della scuola3. In particolare i DPR nn. 416 e 419 furono giustamente percepiti come una svolta epocale, suscitando moltissime aspettative e grandi discussioni: il primo riguardava gli organi collegiali, che si aprivano alle rappresentanze delle famiglie e degli studenti, il secondo la sperimentazione educativa e l’aggiornamento culturale e professionale degli insegnanti4. Arnaldi partecipò al dibattito che su questi temi promosse, con convegni e pubblicazioni, il partito repubblicano: proprio nel 1975 è fra gli autori di un volume curato da Ludovico Gatto che presenta le proposte del partito per il rinnovamento della scuola a tutti i livelli5. Altri suoi interventi seguiranno nel 19776, nel 19807 e oltre; da segnalare anche la collaborazione che Arnaldi ebbe, a partire dal 1978, con la rivista «Tuttoscuola»8. 2 ARNALDI, Le libertà universitarie e la polizia negli Atenei, «L’Europa / L’Università (Supplemento sull’istruzione superiore e la ricerca)», 15 febbraio 1975, rist. in ARNALDI, Pagine quotidiane, cur. M. MIGLIO - S. SANSONE, Roma 2017, pp. 494-495: 494. 3 Il lungo cammino della legge 477 si era iniziato con la presentazione alla Camera di un disegno di legge il 29 settembre 1970, ed era proseguito con i ministri Misasi e Scalfaro, per concludersi durante il ministero di Franco Maria Malfatti, che resse la Pubblica Istruzione per un periodo abbastanza lungo, dal 1973 al 1978, sotto i governi Rumor IV e V, Moro IV e V, Andreotti III. 4 Tra le norme contenute dal decreto 419 dovevano risultare particolarmente rispondenti alla sensibilità di Arnaldi quelle che, indicando gli istituti preposti all’aggiornamento degli insegnanti (IRRSAE), stabilivano che, per l’attuazione dei loro compiti, questi dovessero avvalersi «in via prioritaria della collaborazione di cattedre e di istituti universitari». Anche per questo specifico aspetto, il clima di quegli anni è ben testimoniato da una ricca pubblicistica: mi limito a segnalare il volume, frutto di un convegno tenutosi nel 1978 a Salerno, Università e formazione continua degli insegnanti, cur. C. PONTECORVO, Firenze 1979. 5 G. ARNALDI - A. BICH - L. CALOGERO [LA MALFA] - G. CAPUTO - A. FRANCHINI - E. SERRAVALLE, Una scuola di nuovo modello, Roma [1975]. Cfr. il bel contributo di L. LA MALFA, I repubblicani e la scuola: la “fase di Sisifo”, «Annali della Fondazione Ugo La Malfa. Storia e Politica», 27 (2012), pp. 279-295: 287: «Il titolo – con il richiamo all’“esercito di nuovo modello” (new model army) creato da Cromwell nella rivoluzione puritana del 1640 – voleva significare l’impegno ideale dei repubblicani al rinnovamento della scuola nella sua interezza: non soltanto quindi negli ordinamenti e nei contenuti ma anche nel forte afflato ideale che avrebbe dovuto animare la formazione delle nuove generazioni». 6 ARNALDI, Sul nuovo programma di storia, «Annali della Pubblica Istruzione», 25/3 (1977), pp. 288-291. 7 ARNALDI, La scuola tra abbinamenti vecchi e nuovi, in Quale cultura per la nuova scuola secondaria, a cura di C. PONTECORVO, Firenze 1980, pp. 147-165. 8 La rivista era stata fondata nel 1975 da Alfredo Vinciguerra. Ringrazio Andrea Verardi per questa e altre utili segnalazioni che mi ha gentilmente trasmesso, corredate dai suoi appunti.


11Frova_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 113

LA RIFORMA DEI PROGRAMMI DI STORIA

113

Ma gli anni di cui parlerò sono quelli che vanno all’incirca dal 1988 al 2000. Poiché una delle esigenze che emersero con più evidenza in quel periodo fu quella dell’estensione dell’obbligo scolastico da 8 a 10 anni, il che richiamava l’attenzione in particolare sul primo biennio delle superiori, ricordo come antefatto soltanto il progetto presentato nel 1985 dalla democristiana Franca Falcucci, allora ministro della Pubblica Istruzione nel primo governo Craxi: il progetto prevedeva per il biennio un’ampia quota di materie comuni, 26 ore settimanali su 36: tra queste c’era naturalmente la storia. Il progetto non fu attuato, ma aprì una discussione che risulterà centrale nella successiva stagione di riforme e che, in un contesto del tutto mutato, è attuale ancora oggi9. Nel febbraio 1988 il democristiano Giovanni Galloni, ministro della Pubblica Istruzione nel governo Goria, affidò a una Commissione di esperti l’elaborazione di un organico progetto di riforma; la Commissione fu confermata durante il VI governo Andreotti dal ministro Sergio Mattarella, e nel 1990, durante lo stesso governo, ricostituita dal nuovo ministro Gerardo Bianco. Nella Commissione Brocca, così chiamata dal nome del sottosegretario che la presiedette per tutta la durata dei lavori, Arnaldi fu constantemente presente, nella prima e nella seconda fase, con l’incarico di coordinare il gruppo degli storici. Gli anni dal 1988 al 1991 (anno in cui la riforma fu presentata da Riccardo Misasi, ministro nel governo Andreotti VII) sono il periodo del suo maggior impegno instituzionale sui temi della riforma scolastica10. Fino al 2000, quando fu inserito, in seconda battuta come vedremo, nella Commissione nominata da Tullio de Mauro, Arnaldi non ebbe più incarichi ministeriali in questo campo, ma per tutto il decennio continuò a

9 G. DI PIETRO, Da strumento ideologico a disciplina formativa. I programmi di storia nell’Italia contemporanea, Milano 1991, pp. 137-153, cit. da L. CAJANI, I recenti programmi di storia per la scuola italiana, «Laboratorio dell’ISPF», 11 (2014), p. 4 nota 15: on line https://doaj.org/article/a6276d11276948a1ab6a9af4ac9dd1e3 (ultima consultazione 20 agosto 2017). Il collegamento tra le iniziative del ministero Falcucci e l’avvio del processo di riforma a partire dagli anni ’90 è sottolineato da G. RICUPERATI, A proposito di “Whose history?” e di uso pubblico della storia. Lo scontro sui piani di studio negli Stati Uniti (e in Italia), «Rivista Storica Italiana», 115 (2003), pp. 753-779. 10 Per i contenuti delle proposte elaborate dalla Commissione v. Piani di studio della scuola secondaria superiore e programmi dei trienni. Le proposte della Commissione Brocca; Appendice ai Piani di studio della scuola secondaria superiore e programmi dei trienni, 3 voll., Firenze 1990 (Studi e documenti degli Annali della Pubblica Istruzione, 56, 60, 61); alle pp. VII-XX il ministro Misasi e il sottosegretario Beniamino Brocca tracciano brevemente la storia dei lavori della Commissione ed enunciano i principi che ispirano la proposta di riforma.


11Frova_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 114

114

CARLA FROVA

seguire con passione il dibattito sulla riforma. La riflessione sui risultati delle proposte della Commissione Brocca era tra l’altro tenuta viva dal fatto che dal 1990 la riforma era applicata in via sperimentale. Una data importante in quel periodo è poi il 1993, quando si avvia la libera circolazione in Europa dei titoli di studio e delle competenze: l’orizzonte europeo, che era stato da sempre per Arnaldi il naturale punto di riferimento del suo lavoro di storico e del suo impegno di cittadino, diventava da allora anche il quadro entro il quale occorreva ripensare i curricula formativi della scuola di base e secondaria11. Non mi soffermo sulla fase delle riforme elaborate durante i governi Prodi II, D’Alema I e II per iniziativa del ministro della Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer (1996-2000), che pure non si potrebbero trascurare in una trattazione completa delle trasformazioni subite dai programmi scolastici negli ultimi decenni. Per quanto riguarda la continuità con la fase precedente, all’epoca le soluzioni indicate da Berlinguer furono oggetto di critiche contrastanti: chi vi scorgeva un’eccessiva dipendenza dalle proposte della Commissione Brocca, chi al contrario un’attitudine a non tenerle nella dovuta considerazione. Anche oggi il giudizio su questo punto non può che essere sfumato. Il documento che, come vedremo, rappresenterà il risultato di questa stagione politica, la Legge quadro in materia di riordino dei cicli dell’istruzione del 10 febbraio 2000 n. 30, mostra, accanto a innegabili innovazioni, diversi tratti di continuità con la lunga riflessione precedente sulla riforma, nella quale rientra anche l’esperienza della Commissione Brocca12. In ogni caso, Arnaldi non faceva parte della Commissione dei saggi, dai cui lavori la legge scaturì e che era stata quasi completamente rinnovata rispetto al precedente organismo consulente13. Continuava tuttavia a intervenire nel dibattito pubblico sui temi che aveva 11 All’impegnativa svolta annunciata nel 1993 fa espresso riferimento il ministro Misasi

proprio all’inizio della presentazione del progetto elaborato dalla Commissione Brocca: «Il progetto costituisce un concreto passo avanti verso il rinnovamento strutturale e programmatico auspicato da molti anni e divenuto particolarmente urgente in vista della libera circolazione in Europa dei titoli di studio e delle competenze prevista dalla CEE a partire dal prossimo 1993». Ibid., I, p. VII. 12 Cfr. CAJANI, I recenti programmi di storia cit., pp. 4-5, cui rimando per notizie più particolareggiate e rinvii alla bibliografia. 13 Entrambe le commissioni erano formate da circa quaranta membri: solo 3 della Commissione Brocca furono di nuovo tra i saggi della Commissione Berlinguer (Evandro Agazzi, Tullio De Mauro e Umberto Margiotta): cfr. Piani di studio della scuola secondaria superiore cit., II, pp. 1073-1074, e Le conoscenze fondamentali per l’apprendimento dei giovani nella scuola italiana nei prossimi decenni. I materiali della Commissione dei Saggi, Firenze 1997 (Studi e documenti degli Annali della Pubblica Istruzione, 78), pp. 2-3.


11Frova_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 115

LA RIFORMA DEI PROGRAMMI DI STORIA

115

affrontato come componente della Commissione Brocca. In un articolo del settembre 1996 sul «Messaggero» scriveva su quella che Antonio Brusa ha chiamato «battaglia del curriculo»14, e in particolare sulla vexata quaestio della distribuzione della materia storica nel primo biennio delle superiori, ribadendo le posizioni della Commissione: meglio distribuire l’intera materia sui cinque anni del secondo ciclo, anche se questo non consente di far studiare la storia contemporanea a chi esce dalla scuola dopo il primo biennio15. Ritornava sulla questione scrivendo per lo stesso giornale nel marzo 199716. Nel frattempo era uscito un primo importante documento del nuovo ministero, che stabiliva Modifiche delle disposizioni relative alla suddivisione annuale del programma di storia (DM 4 novembre 1996 n. 682). L’idea di dedicare un intero anno allo studio del Novecento era stato uno dei punti qualificanti della posizione assunta, dopo lunghi dibattiti, dalla Commissione Brocca. Rispetto questa esigenza, il decreto 682 e poi gli esperti della Commissione nominata da Berlinguer si pongono in linea di continuità: ma non si può non rilevare che il maggior spazio dedicato alla storia contemporanea assume un significato molto diverso se collocato nel contesto di una normativa che preveda l’estensione dell’obbligo al biennio o che invece mantenga l’obbligo solo fino alla terza media, lasciando aperta per gli anni successivi la possibilità di scelte differenziate. Nell’articolo del settembre 1996, scritto quando il prolungamento dell’obbligo gli sembrava imminente, Arnaldi dichiarava di privilegiare una distribuzione della materia che salvaguardasse l’unità dei percorsi quinquennali; non si nascondeva che in questo modo gli studenti in uscita dalla scuola dopo il biennio non avrebbero avuto modo di affrontare i periodi storici più recenti, ma riteneva che fosse sufficiente «per riparare, fare più spazio alla storia contemporanea nel programma della secondaria inferiore, e, soprattutto, adoperarsi a che il programma per il biennio della superiore abbia

14 A. BRUSA, La battaglia del curriculo, on line http://www.italia-liberazione.it/novecento/battbrusa.htm (ultima consultazione 20 agosto 2017). 15 ARNALDI, Il Novecento?Va insegnato anche nel “nuovo” biennio. Idee. Latino, greco, storia: alcune proposte in vista della riforma della scuola secondaria superiore, «Il Messaggero», 6 settembre 1996, rist. in Pagine quotidiane cit., pp. 696-700. Rispetto alle esigenze di chi non seguirà l’intero ciclo di cinque anni, Arnaldi sostiene che «occorrerà, per riparare, fare più spazio alla storia contemporanea nel programma della secondaria inferiore. E, soprattutto, adoperarsi a che il programma per il biennio della superiore abbia un forte valore formativo, anche se i contenuti concernono età remote dalla nostra». 16 ARNALDI, Uno storico spiega l’evoluzione dei programmi nelle scuole. Ecco perché abbiamo scelto di insegnare il Ventesimo secolo, «Il Messaggero», 9 marzo 1997, rist. in Pagine quotidiane cit., pp. 701-704.


11Frova_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 116

116

CARLA FROVA

un forte valore formativo, anche se i contenuti concernono età remote dalla nostra»17. Il decreto di Berlinguer del novembre successivo si limitava a intervenire sullo status quo, senza far riferimento all’estensione dell’obbligo: in un contesto che non prevedeva il biennio unico, ma manteneva percorsi distinti e di durata variabile dopo la terza media, il fatto che nell’ultimo anno di ciascuno di essi l’insegnamento della storia vertesse interamente sul Novecento era certamente un’innovazione rilevante, ma creava qualche problema in meno. Nell’articolo del marzo 1997, mentre sottolineava che il decreto, con l’assegnare nuova importanza alla storia contemporanea, faceva propria un’indicazione della Commissione Brocca, Arnaldi spostava il tiro in modo deciso rispetto alle riflessioni di qualche mese prima (anche se bisogna tener conto delle inevitabili semplificazioni che comporta l’intervento su un quotidiano): si concentrava infatti unicamente sulla «suddivisione proposta per il quinquennio, la sola di cui valga la pena di discutere»18. Non ho trovato testimonianze di reazioni puntuali di Arnaldi ai successivi sviluppi della riforma scolastica durante il ministero Berlinguer, che che, come anticipato, ebbe il documento conclusivo nella Legge quadro di riordino dei cicli scolastici (10 febbraio 2000 n. 30)19. Il 25 aprile 2000, con il II governo Amato, a Berlinguer succede Tullio De Mauro. Una commissione di esperti da lui nominata per dare attuazione alla legge 30 lavora nell’estate di quell’anno a definire l’articolazione dei cicli nel biennio e nella scuola superiore. In una seconda fase, a partire dal gennaio 2001, la commissione De Mauro si occuperà dei programmi per la scuola elementare20. Il 28 febbraio 2001 fu reso pubblico uno schema di decreto in materia, che, benché non contenesse ancora le indicazioni relative ai curricula della scuola secondaria, rappresentò un importante risultato dei lavori della Commissione: nelle intenzioni del ministro, il documen-

17 18 19

ARNALDI, Il Novecento? cit. ARNALDI, Uno storico spiega l’evoluzione dei programmi cit. Questo documento, e la maggior parte di quelli che avremo occasione di citare in seguito, si può consultare on line nel dossier La riforma dei cicli e la storia, a cura della SISSCO, di cui v. l’indice in http://www.sissco.it/articoli/la-storia-contemporanea-nelle-scuole-superiori-1345/la-riforma-dei-cicli-e-la-storia-1346/. In particolare per la Legge quadro di riordino dei cicli scolastici: http://www.sissco.it/articoli/la-storia-contemporanea-nellescuole-superiori-1345/la-riforma-dei-cicli-e-la-storia-1346/la-legge-quadro-di-riordino-deicicli-scolastici-1362/ (ultima consultazione 20 agosto 2017). 20 La Commissione di studio per l’attuazione della Legge n. 30/2000 Riordino dei cicli, convocata per la prima volta in seduta plenaria il 27 giugno 2000, giunse, con successivi incrementi nel tempo, a comprendere più di 300 membri. I documenti da essa prodotti si possono consultare nel dossier La riforma dei cicli cit.


11Frova_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 117

LA RIFORMA DEI PROGRAMMI DI STORIA

117

to avrebbe dovuto avviare una «fase di colloquio e confronto […] produttiva per tutta la scuola e la società italiana»21. In effetti, nei giorni e nei mesi successivi le reazioni, favorevoli e contrarie, non mancarono, come diremo subito, limitando ovviamente l’attenzione a quelle che videro coinvolto Arnaldi. Circa gli effetti a lungo termine, occorre invece rilevare che l’auspicio di De Mauro era destinato a non avere alcun seguito: l’inizio dei governi Berlusconi a seguito delle elezioni del 13 maggio 2001 segnano indiscutibilmente una cesura radicale nel processo di riforma quale si era fino ad allora sviluppato22. Per quanto riguarda i contenuti, aspetto qualificante della proposta relativa alla storia fu allora l’insistenza sulla necessità di aprire i programmi alla world history, superando la tradizionale prospettiva eurocentrica. Così nel sesto anno, in cui si prevedeva di affrontare un ambito cronologico esteso dalla civiltà greca alla fine del medioevo, allo studio dell’Europa medievale e del Cristianesimo si affiancava quello degli imperi euroasiatici, dell’espansione araba, dell’impero mongolo, dell’Africa subsahariana (con precisazioni anche specifiche: migrazione bantu, sviluppo degli stati), degli imperi maya, azteco, inca, della colonizzazione dell’Oceania. Mi sono un po’ soffermata su questo punto perché è proprio sul tema della world history, con l’inevitabile corollario di quello dell’identità europea, che sviluppò subito un acceso dibattito, cui Arnaldi non mancò di dare il suo contributo. Un altro punto contestato riguardava l’eterna questione della suddivisione della materia nel corso degli anni e della scansione cronologica dei curricula: su di esso ho già detto qualche cosa, e non mi dilungo ulteriormente, riservandomi di precisare in seguito solo quanto è necessario a comprendere le prese di posizione di Arnaldi. Molto rappresentativo della vastità del dissenso suscitato dalla proposta De Mauro nel mondo accademico (per i docenti della scuola secondaria bisognerebbe fare un discorso a parte) fu il documento sottoscritto nel 21 Lettera del Ministro della Pubblica Istruzione Tullio De Mauro alle scuole, on line http://www.sissco.it/articoli/la-storia-contemporanea-nelle-scuole-superiori-1345/la-riforma-dei-cicli-e-la-storia-1346/lettera-del-ministro-della-pubblica-istruzione-tullio-demauro-alle-scuole-1369/ (ultima consultazione 20 agosto 2017). 22 Per le fasi successive, durante i ministeri Moratti, Fioroni, Gelmini e Profumo, v. ancora CAJANI, I recenti programmi di storia cit, pp. 13-25, che in sede di conclusioni afferma: «Nel fare il bilancio di questo lungo e accidentato percorso di riforma la prima considerazione è che la forte spinta innovatrice della commissione De Mauro è stata sostanzialmente bloccata». Al di là di questa cesura, durante il ministero Moratti, constata altrove lo stesso Cajani, si assiste parallelamente a un preccupante silenzio dello stesso dibattito pubblico sui temi della riforma della scuola: CAJANI, L’insegnamento della storia in mezzo al guado: alcune puntualizzazioni sul dibattito italiano, «Società e storia», 103 (2004), pp. 137-143: 137.


11Frova_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 118

118

CARLA FROVA

febbraio 2001 da Arnaldi insieme con altri storici italiani di diversa specializzazione e diverso orientamento politico e noto come Manifesto dei 3323. Per quanto riguarda la composizione del gruppo, data per scontata l’assenza di persone esterne all’università, quasi nessuna sovrapposizione è comunque possibile con gli esperti presenti nella Commissione Brocca24. Il documento, conciso ma radicale, attaccava proprio quelli che abbiamo accennato essere i capisaldi del riodino dei programmi di storia progettato da De Mauro: articolazione dei cicli e word history. Per quanto riguarda il primo punto, i firmatari disegnavano due cicli scolastici, in ciascuno dei quali lo studio della storia si sarebbe dovuto sviluppare lungo un percorso cronologicamente completo, dalla preistoria all’età contemporanea: il primo avrebbe dovuto coincidere «con gli ultimi anni della scuola di base (dal terzo al settimo anno), il secondo con l’intero quinquennio del secondo ciclo», nel quale dunque si sarebbe dovuto riprendere lo studio della storia dalle origini al Novecento. Di fronte alla possibile obiezione che ciò implicasse il rischio della ripetitività, i firmatari argomentavano che esso non esisteva: considerate le esigenze e le caratteristiche cognitive delle diverse età, «nel primo ciclo si dovrà puntare all’acquisizione degli strumenti concettuali e delle coordinate cronologiche, mentre nel secondo si approfondirà il carattere problematico della storia, ripercorrendo le vicende dall’antico al contemporaneo e riservando l’ultimo anno allo studio del Novecento». Una posizione, secondo gli avversari, che trascurava in modo inaccettabile la specificità del biennio e le esigenze degli studenti destinati a concludere con esso il proprio percorso scolastico, a proposito dei quali il documento così si esprimeva: «Per le esigenze degli studenti che non proseguono nello studio oltre i limiti dell’obbligo, passando al canale della formazione professionale, sarà necessario evidentemente trovare soluzioni particolari, che non sconvolgano l’organizzazione complessiva dell’inse23 Come precisa CAJANI, I recenti programmi di storia cit., p. 9 nota 27, il testo uscì a stampa sul «Corriere della sera», 25 febbraio 2001 e di nuovo su «LineaTempo», 1 (2001), p. 105. On line http://www.storiairreer.it/sito_vecchio/Materiali/Manifesto33.htm (ultima consultazione 20 agosto 2017). 24 Ecco l’elenco dei 33: Gaetano Arfè, Girolamo Arnaldi, Francesco Barbagallo, Giuseppe Barone, Giovanni Belardelli, Luciano Canfora, Giorgio Chittolini, Giorgio Cracco, Franco Della Peruta, Mario Del Treppo, Angelo d’Orsi, Massimo Firpo, Giuseppe Galasso, Ernesto Galli della Loggia, Carlo Ghisalberti, Aurelio Lepre, Paolo Macry, Francesco Malgeri, Luigi Masella, Francesco Perfetti, Giuliano Procacci, Paolo Prodi, Gabriella Rossetti, Alfonso Scirocco, Giuseppe Sergi, Marco Tangheroni, Nicola Tranfaglia, Francesco Traniello, Gian Maria Varanini, Pasquale Villani, Rosario Villari, Cinzio Violante, Giovanni Vitolo. Oltre ad Arnaldi, aveva partecipato ai lavori della commissione, in qualità di esperto per il gruppo disciplinare di storia, solo Giuseppe Barone.


11Frova_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 119

LA RIFORMA DEI PROGRAMMI DI STORIA

119

gnamento della storia»25. Quanto al secondo punto, l’ambizione di aprire ai nuovi studenti uno scenario di storia mondiale, il manifesto richiamava la necessità di «evitare il rischio che la pur necessaria visione mondiale dello sviluppo storico pregiudichi la piena valorizzazione dell’identità culturale italiana ed europea, e appiattisca la diversità di valori e di conquiste civili». Si può aggiungere che, con la scelta del titolo che vollero attribuire al Manifesto, i firmatari diedero a questa presa di posizione ulteriore evidenza, assegnando ad essa il compito di riassumere in qualche modo il loro punto di vista sulla funzione dell’insegnamento della storia nella scuola. A distanza di tempo e, se si osserva lo spazio che il tema, e le parole stesse che lo evocano, hanno assunto nel discorso pubblico e persino nella sfera privata delle emozioni, un titolo come Insegnamento della storia e identità europea non resta certo inosservato. Conformemente al suo carattere, e anche ai suoi gusti, Arnaldi non si sottrasse all’impegno di tradurre le rapide affermazioni del Manifesto in un progetto organico, del resto sollecitato a ciò dallo stesso ministro De Mauro, a sua volta sensibile al sostegno che da varie parti era venuto alle opinioni espresse dai 33. De Mauro – dice Giovanni Vitolo – «ha riconosciuto la necessità di rafforzare la presenza degli storici nella “Commissione dei saggi” incaricata del riordino dei cicli scolastici, inserendovi me, Girolamo Arnaldi e Massimo Firpo, e invitandoci a presentargli un progetto organico, da affiancare a quello da noi contestato»26. L’invito fu prontamente accolto e produsse un documento intitolato Progetto per l’insegnamento della storia nella scuola di base e in quella superiore. I nove curatori furono, oltre ad Arnaldi, Firpo e Vitolo (che si assunse il compito della stesura del testo), Dario Antiseri (con funzioni di coordinatore), Piero Bevilacqua, Cosimo Damiano Fonseca, Paolo Prodi,

25 Non sfugge la consonanza delle opinioni formulate da questo documento collettivo con quelle espresse a titolo individuale da Arnaldi nei suoi scritti degli anni di Berlinguer: v. sopra, testo corrispondente alle note 14-18. Tali opinioni sono introdotte nel Manifesto dalle parole: «Riteniamo […] di dover sottolineare ancora una volta», che si applicano perfettamente ad Arnaldi, anche se non a lui soltanto. 26 Così Vitolo in una lettera fatta circolare in rete nel marzo 2001, nella quale informa i colleghi degli sviluppi successivi alla pubblicazione del Manifesto dei 33, on line http://www.sissco.it/articoli/la-storia-contemporanea-nelle-scuole-superiori-1345/la-riforma-dei-cicli-e-la-storia-1346/insegnamento-della-storia-1398/ (ultimo accesso 25 agosto 2017). Sulla vicenda abbiamo la testimonianza dello stesso De Mauro, il quale, ripercorrendo le vicende della riforma, ricorda il suo incontro con Arnaldi e con gli altri storici che esprimevano critiche al suo progetto: T. DE MAURO, La cultura degli Italiani, a cura di F. ERBANI, Roma - Bari 2004, 20092, p. 121.


11Frova_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 120

120

CARLA FROVA

Marco Tangheroni e Nicola Tranfaglia27. Arnaldi fu quindi inserito, con Firpo e Vitolo, nella Commissione nominata da De Mauro, e inoltre il ministro si impegnò a trasmettere al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione il loro progetto, a integrazione del progetto complessivo. Così un testo che, sia pur animato da spirito di collaborazione, era nato in evidente contrapposizione con le proposte “ministeriali” diviene in qualche misura la seconda importante testimonianza, accanto alla documentazione relativa ai lavori della Commissione Brocca e a distanza di circa un decennio dalla conclusione di quelli, della partecipazione di Arnaldi a organismi ministeriali di progettazione della riforma dell’insegnamento storico nella scuola. Che proprio la presenza attiva di Arnaldi in due momenti chiave di questo lungo processo rappresenti un importante elemento di continuità è suggerito ancora dalla testimonianza di Giovanni Vitolo, il quale ricorda che nella stesura del Progetto del 2001 «si rivelò molto prezioso il materiale raccolto da Girolamo Arnaldi al tempo della Commissione Brocca»28. Il documento riporta riflessioni teoriche e indicazioni pratiche che non è qui possibile esaminare analiticamente. Impossibile anche ripercorrere in maniera esauriente il dibattito che ne seguì, prolungandosi poi nel tempo. Del resto la storia delle discussioni che accompagnarono i vari tentativi di riforma a partire dagli anni ’90 del secolo scorso è stata e continua ad essere materia di ricerca e di riflessione per studiosi specializzati, molti dei quali hanno partecipato in prima persona alle vicende che sottopongono al vaglio dell’analisi scientifica. Non posso che rimandare ai loro lavori29. Da parte mia, sarebbe impossibile anche solo dare conto in maniera ordinata, senza alcuna originalità e unicamente sulla base bibliografica, dell’eco che le opinioni sostenute da Arnaldi e dagli altri estensori del Progetto del 2000

27 Progetto per l’insegnamento della storia nella scuola di base e in quella superiore, on line http://www.sissco.it/articoli/la-storia-contemporanea-nelle-scuole-superiori-1345/lariforma-dei-cicli-e-la-storia-1346/progetto-per-linsegnamento-della-storia-nella-scuola-dibase-e-in-quella-superiore-1399/ (ultima consultazione 25 agosto 2017): qui i curatori risultano solo sei, mancando i nomi di Antiseri, Prodi e Tangheroni. Per la composizione del gruppo G. VITOLO, Non è di nuovo la solita storia, «Società e storia», 102 (2003), pp. 815822. Solo Bevilacqua e Fonseca non erano tra i firmatari del Manifesto dei 33. 28 VITOLO, Non è di nuovo la solita storia cit. 29 Alcuni sono già stati o saranno citati in queste note. Mi limito ad aggiungere, tra gli scritti prodotti nel corso del processo che stiamo esaminando: G. DI PIETRO, Da strumento ideologico a disciplina formativa. I programmi di storia nell’Italia contemporanea, Milano 1991; P. BEVILACQUA, Sull’utilità della storia per l’avvenire delle nostre scuole, Roma 1997, 20032; ANT. BRUSA - ANNA BRUSA - M. CECALUPO, La terra abitata dagli uomini, Bari 2000, 20032; I. MATTOZZI, Pensare la nuova storia da insegnare, «Società e storia», 98 (2002), pp. 787-814. Interventi a caldo, di natura più effimera e quindi difficili da recuperare (articoli


11Frova_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 121

LA RIFORMA DEI PROGRAMMI DI STORIA

121

ebbero nel dibattito culturale e politico di quegli anni30. Mi limito ad alcuni brevissimi appunti. Le osservazioni sul documento si concentrarono su alcuni temi: in particolare, ancora, sull’articolazione dei cicli e sulla world history. Su questi punti, come si è detto, già il Manifesto dei 33 esprimeva convinzioni molto nette, che qui vengono argomentate con molta maggior finezza e ampiezza, ma sostanzialmente ribadite. Per quanto concerne il primo punto, mi sembra che da quanto detto sin qui siano già emerse le linee essenziali, e anche le criticità, della posizione di Arnaldi, che nel Progetto del 2001 è sostanzialmente ribadita. Alla domanda sulle coordinate spaziali nelle quali è opportuno inserire l’insegnamento della storia nella scuola, il documento risponde che «velleitaria è la pretesa di estendere lo studio ad una dimensione mondiale, per far sì che la storia d’Europa e quella degli altri continenti siano poste sullo stesso piano». Fin dalla scuola di base, invece, il bambino deve essere «guidato a riconoscere le sue radici, la sua identità culturale». Deve quindi conoscere la storia d’Europa. Inoltre, in un contesto multietnico come quello attuale, «è importante che egli sia messo in grado di conoscere, e perciò di apprezzare, i valori delle civiltà di cui è portatore il compagno di banco, non italiano». Ma in questa apertura è necessaria una selezione dei contenuti. «Non tutto il passato ha per noi lo stesso peso né si può far storia prescindendo da un “punto di vista”: privilegiare gli argomenti che permettono di spiegare l’origine e lo sviluppo della nostra peculiare tradizione europea offre elementi indispensabili per la coscienza della propria identità»31. Questa interpretazio-

di giornale, lettere circolari, ecc.) sono utilmente raccolti nel dossier della SISSCO La riforma dei cicli e la storia cit. Per seguire in particolare il dibattito che si svolse tra gli insegnanti della scuola e in ambienti a loro collegati è utile il recente volume di B. SFERRA, La storia senza frontiere. Per una didattica interculturale della storia, Roma 2016. Una riflessione che ripercorre a distanza quella stagione di riforme è proposta da M.P. DONATO, L’insegnamento della storia, la riforma perenne della scuola e un passato che non passa, «Laboratorio dell’ISPF», 11 (2014), on line http://www.ispf-lab.cnr.it/2014_204.pdf (ultima cosultazione 25 agosto 2017). 30 Un’utile raccolta di alcuni importanti contributi di discussione sul Progetto si può trovare ancora una volta nel dossier pubblicato on line nel sito della SISSCO La riforma dei cicli e la storia cit. 31 Progetto per l’insegnamento della storia cit., § Metodo e contenuto. Nell’esemplificare l’applicazione del loro criterio di selezione gli autori del documento prendono esplicitamente di mira i diversi criteri che presiedevano alle indicazioni della Commissione De Mauro (cfr. sopra, p. 117): «invece che dedicare lo stesso numero di pagine ai bantu, agli aborigeni australiani e ai popoli del medio Oriente, sarà meglio soffermarsi di più sulla civiltà, la cultura, la religione, di quelle popolazioni di cui lo studente ha ormai conoscenza diretta nell’ambito della scuola e della città in cui vive».


11Frova_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 122

122

CARLA FROVA

ne della “storia globale” sucitò reazioni molto vivaci. Tra gli interventi decisamente critici ricordo quelli di Luigi Cajani (2004)32 e di Tommaso Detti (2007)33; più sfumate le obiezioni che furono mosse in vari scritti da Giuseppe Ricuperati34. Ma il Progetto di Arnaldi e dei suoi colleghi affrontava anche altri temi importanti, che a mio avviso il dibattito lasciò all’epoca un po’ in ombra. Ribadiva (riflettendo con ciò un orientamento che non è difficile riconoscere come peculiare di Arnaldi) il primato dei contenuti sul metodo nella sequenza temporale della proposta didattica: «Il contenuto non è assolutamente secondario o peggio irrilevante, al contrario è la ragion d’essere del metodo». Non si devono dare astratte indicazioni sulla natura della conoscenza storica, né sulle procedure che la rendono possibile: solo l’osservazione della realtà del passato può suggerire agli alunni domande, suscitare curiosità e interesse, insomma favorire quelle attitudini intellettuali e psicologiche che sono «precondizioni per qualsiasi processo di apprendimento». La presa di coscienza del metodo avviene contestualmente, ma, in una sequenza ideale, successivamente allo studio dei contenuti, che deve essere in atto nel momento in cui l’attenzione del discente viene richiamata su questioni metodologiche35.

32 33

CAJANI, I recenti programmi di storia cit., pp. 9-11. Intervenendo nel giugno 2004 al convegno bolognese dedicato a L’insegnamento della storia nei licei: riflessioni della comunità degli storici sui nuovi programmi ministeriali, Detti si soffermava sulla metafora della ricerca delle radici indicata come obbiettivo dell’insegnamento della storia nella scuola di base da Arnaldi e dagli altri estensori del Progetto, per dissentire da questo uso della storia in senso identitario, tanto più che - osservava in conclusione - «l’identità storica perorata dagli autori è sostanzialmente nazionalistica e tale rimane anche quando viene dilatata nella prospettiva della costruzione dell’identità europea»: T. DETTI, Per una prospettiva di storia globale, on line http://www.sissco.it/ download/attivita/Detti.pdf (ultima consultazione 1 settembre 2017). 34 Dei numerosi interventi di questo autore, molti dei quali ripresi nel fondamentale volume G. RICUPERATI, Apologia di un mestiere difficile. Problemi, insegnamenti e reponsabilità della storia, Roma - Bari 2005, cito in particolare RICUPERATI, Uso pubblico della storia e insegnamento. Sull’utilità e sull’abuso di un concetto banalizzato, «Rivista storica italiana», 113 (2001), pp. 703-745 e RICUPERATI, A proposito di “whose history” cit. Nel primo lavoro Ricuperati cita espressamente l’attività di Arnaldi nella Commissione Brocca e durante il ministero De Mauro; nel secondo lamenta che «il Centro sinistra non abbia tenuto conto dell’unica grande esperienza democratica di scrittura dei programmi che è stata quella della Commissione Brocca», anche se riconosce che questa «ha dato luogo a una progettazione fin troppo perentoria e prescrittiva». Recenti utili spunti di riflessione sul tema in C. CHARLE, Storia globale e storia nazionale tra ricerca e didattica, on line http://www. ispf-lab.cnr.it/2014_206.pdf. 35 Progetto per l’insegnamento della storia cit., § Metodo e contenuto.


11Frova_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 123

LA RIFORMA DEI PROGRAMMI DI STORIA

123

Ragionando poi sui contenuti, gli estensori del documento si chiedono: è possibile studiare tutta la storia, dalle origini ai giorni nostri?. Per quanto riguarda la coordinata temporale, essi sono convinti che «non si può eliminare il criterio della successione cronologica, se non eliminando la storia stessa»36. Dichiarano quindi di non essere disposti ad accettare una didattica che rinunci a seguire come principio ordinatore il continuum storico, per privilegiare un’articolazione in moduli: non prendendo per la verità in considerazione le varie declinazioni che nel corso di un dibattito in quegli anni molto intenso aveva assunto il concetto di modulo, le due strategie sembrano loro del tutto inconciliabili. E infine: quale storia? Su questo punto bisogna riconoscere che il documento appare un po’ troppo sintetico nel fornire indicazioni operative, per le quali si limita ad affermare: «il metodo didatticamente più efficace appare quello basato su un’organica connessione tra il tradizionale metodo narrativo e gli strumenti forniti da discipline quali la geografia e le scienze sociali»37. Credo di poter dire che, rivolgendosi a studenti della scuola di base o secondaria, e avendo sempre ben presente l’esigenza di presentare i contenuti in una sequenza coerente e continua, Arnaldi avrebbe scelto con maggior chiarezza di ancorare la narrazione al filo delle vicende politico istituzionali. Da questo punto di vista, è forse utile osservarlo all’opera come coordinatore del programma televisivo La straordinaria storia dell’Italia: una situazione per certi versi comparabile a quella nella quale lo vediamo qui impegnato, dal momento che in entrambi i casi il suo compito era anzitutto quello del mediatore fra la cultura dello storico accademico e quella dei non professionisti della disciplina38. C’era in quella serie televisiva una grandissima attenzione a una molteplicità di fenomeni non riconducibili alla dimensione storico-politica, che venivano presentati sotto l’etichetta vita quotidiana39. Alla vita quotidiana era desti36 37 38

Ibid., § Criteri di selezione dei contenuti. Ibid. Si trattò di una grande produzione della RAI, trasmessa in 12 puntate nel 1985. In una dichiarazione riportata da D. BRANCATI, La straordinaria storia d’Italia raccontata in TV, «La Repubblica», 26 febbraio 1985, Arnaldi parla del notevole impegno che gli è costato «adattare alle esigenze di un grande ascolto la storia dell’Italia medievale, policentrica e diversa da quella degli altri paesi». In generale sull’impegno di Arnaldi nel trasmettere ai non addetti ai lavori i risultati del suo lavoro di storico v. M. MIGLIO, Girolamo Arnaldi, storico “nuovo” del Novecento, in ARNALDI, Pagine quotidiane cit., pp. 53-65: 60-61. 39 Ricordo che la definizione non soddisfaceva Arnaldi, il quale concordava con me che sarebbe stato meglio un titolo come Antiquitates, ben più accreditato dalla tradizione storiografica e dalla denominazione delle cattedre negli organici universitari (ma ovviamente improponibile in quel contesto).


11Frova_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 124

124

CARLA FROVA

nata una parte del programma collocata un po’ “in secondo piano”, nella quale un bravissimo Umberto Broccoli intervistava storici, spesso giovani, di diversi interessi e specializzazioni. Il compito che risultava più importante, quello di accompagnare gli spettatori lungo il continuum storico, era riservato ad Arnaldi e a pochi grandi maestri, che lo svolgevano proponendo una narrazione nella quale la materia era fornita principalmente dalla storia politica e istituzionale. Essa, come ha ricordato Gennaro Sasso evocando molto persuasivamente il magistero di Pontieri, mantiene la sua centralità e la sua importanza anche quando Arnaldi lascia i panni del “divulgatore” e si applica al suo lavoro di studioso, anche se certo uno studioso fra i più avvertiti della pluridimensionalità e della complessità della realtà storica40. E su questo possiamo ritornare al Progetto del 2001, proprio in quel punto in cui si cerca di dare una risposta alla domanda: quale storia? Se la risposta, per quanto concerne le indicazioni operative, ci è sembrata un po’ troppo sintetica per risultare sufficientemente chiara, non mancano certo di chiarezza le affermazioni che la introducono. Si riconosce che non è possibile parlare del passato solo in termini di storia politica o di storia degli eventi, ma si ribadisce che solo riservando a questa storia una sorta di primato si può salvaguardare l’esigenza, che appare imprescindibile, dell’unità del percorso conoscitivo nel territorio di questa disciplina41. Le proposte del gruppo di cui faceva parte Arnaldi non influirono molto sulla formulazione definitiva del progetto De Mauro come appare nel decreto da lui firmato e che era quasi giunto alla fine dell’iter burocratico, quando, come già ricordato, le elezioni del 13 maggio 2001 portarono al governo la coalizione guidata da Silvio Berlusconi42. Il nuovo ministro della Pubblica Istruzione, Letizia Moratti, ritirò il decreto dalla Corte dei Conti, sciolse la Commissione De Mauro e ne nominò una nuova, avviando la sua riforma della scuola. In questa fase Arnaldi non ebbe più parte attiva nell’elaborazione dei progetti e, pur continuando a interessarsi della materia, cessò anche dall’intervenire in maniera significativa nel dibattito pubblico su questi temi. 40 41

V. in questo volume G. SASSO, Ricordi di Gilmo Arnaldi. Progetto per l’insegnamento della storia cit., § Una visione integrale del dato storico: «La complessità del dato storico rende inadeguato un approccio solo politico o di storia degli eventi. Altrettanto inaccettabile è però una riduzione economicistica o ecologica. Importante è invece salvaguardare la pluridimensionalità della realtà storica, rispettandone nel contempo l’unità, che si perderebbe in un approccio parziale (tipo storia dell’alimentazione, degli emarginati, ecc.). Al centro della storia sono comunque gli uomini e gli eventi, nei quali ultimi si intrecciano fattori umani (che non possono essere trascurati, come evidenzia, tra l’altro, l’utilità didattica dell’approccio biografico) e fattori sociali». 42 V. sopra, testo corrispondente a nota 20.


11Frova_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 125

LA RIFORMA DEI PROGRAMMI DI STORIA

125

Si potrebbe ragionare su quanto resta, nell’attuale assetto dell’insegnamento della storia nella scuola di base e nella secondaria, di quella stagione di proposte e di dibattiti. Mi limito a una notazione relativa a uno dei due punti che ho evidenziato come più controversi. Circa il tema delle funzioni identitarie dell’insegnamento della storia, si è verificato – come osserva Luigi Cajani – un fatto interessante: mentre il discorso sull’identità occupa sempre più spazio nel dibattito politico, nelle dinamiche sociali e nel senso comune, la tensione ideologica sembra essersi su questo punto in qualche modo smorzata nell’ambiente degli “addetti ai lavori”; dove appaiono ormai lontane sia le perorazioni a favore di un uso della storia a rafforzamento di identità di parte (in senso italocentrico o eurocentrico – e si tratta certo di due direzioni ben diverse); sia quelle di senso contrario43. Un’assenza che colpisce, anche se ovviamente si può osservare a livello teorico e diciamo così “ufficiale”: quello che accade nelle concrete esperienze e pratiche didattiche è tutt’altro discorso44. Non dico altro sugli esiti attuali della stagione delle riforme, poiché non è questo il tema di cui qui si tratta. Più utile forse, sempre per collocare in quel contesto l’esperienza di Arnaldi, considerarne alcune caratteristiche che da uno sguardo a distanza risaltano con particolare evidenza. Una prima osservazione: diversamente da quanto era accaduto negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta, segnati da un’intensa e spesso originale attività di sperimentazione nelle scuole, la fase del processo di riforma, cui partecipò Arnaldi, aveva avuto come motore principale l’iniziativa dei governi, operanti attraverso lo strumento delle commissioni di nomina ministeriale. In secondo luogo, come già si può vedere nel passaggio dalla prima alla seconda fase della Commissione Brocca, in questi organismi variò notevolmente, dall’uno all’altro governo, non tanto il colore politico dei membri (che tuttavia ebbe naturalmente un qualche rilievo), quanto l’equilibrio tra le diverse componenti: personalità politiche, rappresentanti di associazioni, professori universitari (a proposito dei quali si deve distinguere ulteriormente fra studiosi delle singole discipline storiche, geografiche, sociali, e pedagogisti), docenti dei vari ordini di scuole. Infine, per gli esperti delle diverse materie d’insegnamento, e fra questi forse in modo più evidente proprio per gli storici (oltre che per i cultori delle scienze della natura) questa fu un’occasione importante per riflettere sul signi-

43 44

CAJANI, I recenti programmi di storia cit., p. 25. Per una testimonianza che viene appunto dall’interno della scuola rimando all’ampia trattazione di SFERRA La storia senza frontiere cit.


11Frova_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 126

126

CARLA FROVA

ficato civile e politico, sul valore sociale della loro disciplina, sulle modalità di comunicazione del loro sapere su larga scala; ma anche per confrontarsi su fondamentali questioni epistemologiche e di metodo. Arnaldi colse questa occasione con curiosità, con entusiasmo e con impegno (quest’ultimo misurabile anche sulla base del tempo riservato alle attività di partecipazione ai lavori delle commissioni e alla stesura dei progetti: molto tempo, soprattutto in alcuni periodi). Anche se quello di cui abbiamo parlato è un processo collettivo, nel quale lo specifico contributo di Arnaldi non si può sempre apprezzare con precisione, le osservazioni che abbiamo appena accennato circa le caratteristiche generali di quella stagione di riforme ci offrono qualche suggerimento. Il fatto che progetti di riforma si sviluppassero in modo così evidente come risultato dell’iniziativa del governo era importante per Arnaldi. Si è tanto parlato della sua passione politica, del suo impegno civile. Qui aggiungo solo una sua dichiarazione, in cui sottolinea l’efficacia che queste passioni hanno nel motivare la ricerca storica – non perché sia più di altre perspicua, ma perché compare proprio nel contesto di una riflessione sugli obiettivi della riforma della scuola: uno dei quali è «la graduale maturazione della coscienza che la ricostruzione del fatto storico è il risultato di un complesso di operazioni tecniche e scientifiche progredienti nel tempo ed attivate dagli interessi culturali e civili del ricercatore»45. Nel nostro caso, l’incarico ufficiale di cui era investito gli consentiva di orientare queste sue passioni in una direzione particolare, immergendosi nella materia affascinante governata dalla norma giuridica. Ciò significava per lui approfondire le sue conoscenze tecniche in fatto di legge, sperimentare per questa via nuove possibilità operative. Un percorso affascinante: egli era, lo si è più volte ricordato, curiosissimo, ed era un intellettuale che si poneva il problema di incidere sulla realtà. Del resto in quegli stessi anni metteva mano a un progetto quanto mai impegnativo di riforma dell’Istituto Storico per il medioevo e in generale di tutti gli istituti collegati alla Giunta centrale degli studi storici. Un’altra notazione: quando abbiamo parlato della composizione delle commissioni e dei gruppi all’interno dei quali egli affrontò i temi della riforma della scuola (confrontandosi su questioni politiche, sociali, educative, storiografiche) avremmo voluto dire di più sui personaggi che allora gli furono accanto. La partecipazione ai lavori della Commissione Brocca e poi alle vicende della riforma De Mauro fu uno dei molti modi in cui egli valorizzò la sua attitudine a una sociabilità di altissimo 45 ARNALDI, Il tortuoso sentiero delle fonti, «La vita scolastica», 11 (1988), pp. 10-12, rist. in Pagine quotidiane cit., pp. 701-704.


11Frova_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 127

LA RIFORMA DEI PROGRAMMI DI STORIA

127

livello. Sperimentava quotidianamente come idee e impulsi all’azione nascano nella solitudine dell’esercizio intellettuale, ma sapeva anche farli fiorire e coltivarli nella relazione con interlocutori scelti con cura. Quelli che ebbe vicino nell’esperienza di cui abbiamo rapidamente detto avevano (e parlo specialmente della prima fase dei lavori della Commissione Brocca) il pregio di formare un gruppo assai diversificato, per orientamenti politici e per professione: c’erano uomini politici, colleghi di università, insegnanti di scuola secondaria; alcuni erano suoi amici di lunga data, con altri strinse rapporti destinati a durare. Infine, per limitarci agli aspetti più propriamente attinenti al “mestiere di storico” che furono messi in gioco in quell’esperienza, è evidente che essa offrì ad Arnaldi l’occasione per riflettere e far riflettere i suoi interlocutori su alcuni punti fondamentali: “scientificità” della storia, rapporto tra storia universale e storie particolari, uso delle fonti, collaborazione con le altre discipline, peculiarità e costrizioni della narrazione come strumento di comunicazione dei contenuti storici. Mi piace concludere proprio su questo punto, per ribadire che anche la partecipazione alla commissione per la riforma della scuola secondaria fu per Arnaldi parte integrante del suo impegno di studioso di storia. Vale per lui quello che Giuseppe Ricuperati lascia intendere quando parla, a proposito dell’elaborazione dei nuovi programmi, di un’«avventura conoscitiva»: suggerendo che quell’esperienza deve essere studiata, indipendentemente dal giudizio che si voglia dare su alcuni o anche sull’insieme dei risultati, anche come momento della storia “interna” delle discipline chiamate in causa, poiché, insieme con la riflessione sugli usi pubblici (pedagogici, politici), implica l’attenzione ai fondamenti epistemologici, la discussione sui contenuti, la verifica dei metodi46.

46

G. RICUPERATI, La modernistica e l’insegnamento della storia fra università e scuola secondaria, in Storia moderna e società contemporanea. Atti della giornata di studio tenuta in occasione della I Assemblea annuale della SISEM (30-31 gennaio 2004 – Roma), Napoli 2004, pp. 41-76: 73.


11Frova_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:35 Pagina 128


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 129

JAKub KuJAwiÑSKi GiRoLAMo ARnALdi e LA SuA PoLoniA*

Premessa All’inizio avevo anch’io intenzione di mettere in rilievo, già nel titolo, il rapporto di Girolamo Arnaldi con la storiografia del mio paese, come hanno fatto Arnold esch e Jacques Verger per le loro patrie. degli storici e della storiografia polacca parlerò senz’altro, tuttavia sarebbe impossibile circoscrivere i rapporti di Gilmo con la Polonia alla sola dimensione professionale e accademica. Alcuni colleghi polacchi, con il tempo, divennero amici, mentre le origini polacche della moglie Sara diedero ai rapporti arnaldiano-polacchi, già ben saldi, un’impronta personale. Scriveva infatti in apertura di un suo piccolo libro dedicato «ai nostri amici argentini e polacchi»: «Fra le tante cose buone che mi sono venute da Sara c’è stata anche quella di avere costituito il tramite mediante il quale ho fatto anche un po’ miei i due paesi, nei quali, a parte l’italia, ha trascorso la sua vita: la Polonia, dove era nata e aveva passato la sua infanzia, e rimasta per lei fino alla fine la sua unica, vera patria». L’altro paese era l’Argentina. e dopo aver brevemente accennato agli inizi dei suoi contatti con la Polonia e al suo amico Aleksander Gieysztor, scriveva ancora: «Ma, con la venuta di Sara, i rapporti già esistenti [...] si consolidarono, si approfondirono, si moltiplicarono. Passarono presto dalla sfera della stima e della simpatia reciproche fra colleghi di lavoro a quella dell’affettività, ed estendendosi a mogli e figli, e agli amici degli amici». il libretto raccoglieva una serie di saggi, già pubblicati sui giornali, sulle attualità di entrambi i paesi ed era intitolato Le mie Argentina e Polonia1. incoraggiato dunque dalla formula * Ringrazio vivamente Lidia Capo per aver voluto leggere e correggere il testo finale. 1 G. ARnALdi, Le mie Argentina e Polonia, Selci 2002, passi citati dalle pp. 7s. (volume

stampato in tiratura limitata a 150 esemplari numerati fuori commercio). Ringrazio Karol Modzelewski e Małgorzata Goetz per avermi permesso la consultazione dell’esemplare loro dedicato.


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 130

130

JAKub KuJAwiÑSKi

coniata dallo stesso Gilmo ho deciso di intitolare il mio intervento Girolamo Arnaldi e la sua Polonia. Cercherò dunque di illustrare – basandomi su una conoscenza ancora molto frammentaria delle fonti2 e, anche per questo motivo, senza pretesa di esaustività –, alcune dimensioni dei rapporti di Gilmo con la Polonia. il mio discorso sarà organizzato intorno a tre nuclei: tempi, luoghi e occasioni d’incontro (il primo); temi di ricerca condivisi da Gilmo e dai suoi interlocutori polacchi nel periodo della più intensa collaborazione accademica negli anni Sessanta-ottanta (il secondo); dimensione personale e civile (il terzo). 1. i rapporti diretti di Arnaldi con la Polonia risalgono al 19583. nell’autunno egli fece il suo primo viaggio in Polonia, accompagnando suo

2

Le principali categorie delle fonti consultate sono le seguenti. 1. Gli scritti di Gilmo dedicati a o in qualche modo riguardanti gli argomenti polacchi, raccolti in ARnALdi, Le mie cit., e in ARnALdi, Pagine quotidiane, cur. M. MiGLio - S. SAnSone, Roma 2017. 2. Lasciti di alcuni dei suoi amici o collaboratori polacchi. di questo gruppo il più importante risulta il lascito del suo amico di più antica data, Aleksander Gieysztor, conservato presso l’Archivio dell’Accademia Polacca delle Scienze a Varsavia (Polska Akademia nauk Archiwum w warszawie) [d’ora in poi PAnAw], iii–352. di questo enorme lascito è ormai disponibile l’inventario a stampa: Spuœcizna Aleksandra Gieysztora (1916-1999) w zbiorach Archiwum Polskiej Akademii Nauk, cur. H. SzyMCzyK et al., warszawa 2016. del lascito di brygida Kürbis, conservato presso la sede di Poznañ dello stesso archivio (Polska Akademia nauk Archiwum w warszawie oddział w Poznaniu) [d’ora in poi PAnAP], P.iii–129, esiste soltanto un provvisorio elenco di consistenza che ha guidato il mio sondaggio. 3. Gli amici e colleghi di Gilmo, i professori Halina Manikowska, Adam Manikowski, Karol Modzelewski e Krzysztof Pomian, hanno voluto gentilmente condividere con me i loro ricordi. 4. nel corso del lavoro mi sono chiesto quanto i rapporti di singoli studiosi polacchi con Gilmo, le diverse inziative italo-polacche di cui Gilmo fu protagonista e soprattutto il suo schieramento in difesa dei diritti umani in Polonia sotto la legge marziale (dopo il 13 dicembre 1981) abbiano attirato l’attenzione dei servizi di sicurezza della Repubblica Popolare di Polonia. Con questa ottica ho effettuato dei sondaggi nei documenti prodotti dal Ministero degli interni, ora confluiti nell’Archivio dell’istituto della Memoria nazionale (Archiwum instytutu Pamiêci narodowej) [d’ora in poi AiPn] e dal Ministero degli Affari esteri e conservati nell’archivio ministeriale (warszawa, Archiwum Ministerstwa Spraw zagranicznych) [d’ora in poi AMSz] e da alcuni altri dicasteri del regime, conservati ora presso l’Archivio dei documenti moderni (warszawa, Archiwum Akt nowych) [d’ora in poi AAn]. Restano tuttora da consultare gli archivi delle istituzioni italiane cui Gilmo era legato nel periodo di intensi rapporti con i colleghi e amici polacchi: l’istituto Storico italiano per il Medio evo [d’ora in poi iSiMe], per primo, gli atenei di bologna e della Sapienza di Roma e, not least, le sue carte private. un primo tentativo di illustrare i rapporti di Gilmo con la Polonia è all’interno di un profilo che voleva essere possibilmente completo ed era destinato al lettore polacco: J. KuJAwiÑSKi, Girolamo Arnaldi (1929-2016), in Mediewiœci, iV, cur. J. StRzeLCzyK, Poznañ 2016, pp. 9-29: 16-19. 3 Prima di quell’anno Arnaldi avrebbe già potuto sentire e incontrare gli storici polacchi venuti al X Congresso internazionale di Scienze Storiche, svoltosi a Roma, 4-11 settem-


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 131

GiRoLAMo ARnALdi e LA SuA PoLoniA

131

padre, Francesco, che si recava a Cracovia al convegno internazionale dedicato ai dizionari del latino medievale4. nell’aprile dello stesso anno, alla Settimana di Spoleto, aveva fatto la conoscenza di Aleksander Gieysztor, allora direttore dell’istituto Storico dell’università di Varsavia5. Le conversazioni spoletine nonché il suo viaggio polacco sono state ricordate da Arnaldi nella lettera del 31 luglio 1959, in cui egli raccomandava a Gieysztor il suo amico giurista Leopoldo elia [fig. 1]. È la più antica delle quaranta lettere di Arnaldi indirizzate a Gieysztor e conservate nel lascito di quest’ultimo, testimoni di un proficuo rapporto professionale sviluppatosi presto in amicizia6. È proprio su invito di Gieysztor che Arnaldi, già professore all’università di bologna, si recò per la seconda volta in Polonia, per partecipare al convegno sul tema L’Éurope aux IXe–XIe siècles. Aux origines des États

bre 1955, ma non ne esistono ricordi. La delegazione polacca contava dieci studiosi, tra cui Kazimierz tymieniecki e Aleksander Gieysztor, che hanno presentato una comunicazione sulle origini dello stato e della società polacchi (si vedano il volume La Pologne au Xe Congrès International des Sciences Historiques à Rome, warszawa 1955, e la cronaca del congresso a cura di K. tyMienieCKi, «Roczniki Historyczne», 22 [1956], pp. 173-190). 4 Conférence internationale consacrée aux dictionnaires nationaux du latin médiéval. Cracovie 26-31 octobre 1958 (gli atti pubblicati in «Archivum Latinitatis Medii Aevi», 28/2 [1958]). 5 La V Settimana di studi, sul tema Città nel altomedioevo, si è svolta nei giorni 10-16 aprile del 1958. 6 PAnAw iii–352: 35 lettere sono conservate nel fasc. 1134, all’interno della corrispondenza ricevuta (Ar-Az), sotto il nome di Girolamo Arnaldi, cc. 53-94 (la foliazione ha subito nel corso dell’inventariazione delle modifiche che hanno reso alcuni numeri di incerta interpretazione, perciò citerò le lettere indicando le date espresse dal mittente). Si tratta sia di lettere vere e proprie che di brevi messaggi, telegrammi e cartoline. insieme alle lettere indirizzate a Gieysztor vi si trovano anche la lettera del 26 giugno 1966, probabilmente destinata a tadeusz Manteuffel, in cui Arnaldi annunciava all’“illustre Professore” di avergli spedito il dattiloscritto della relazione (in una lettera datata lo stesso giorno Arnaldi informava Gieysztor dello stesso fatto); la lettera del 27 maggio 1996, destinata al prof. bronisław nowak, rettore dell’università di Varsavia, nella quale Arnaldi si congratulava per il rinnovo del dottorato di Gieysztor. Altre cinque lettere, degli anni 1992-1998 e riguardanti il Repertorium Fontium Medii Aevii, sono conservate nel fascicolo 969, insieme agli altri documenti relativi alla collaborazione polacca al nuovo Potthast (cc. 135, 136, 140, 141, 144). Gieysztor non conservava invece in maniera sistematica minute o copie delle proprie lettere (è l’osservazione di P. wÊCowSKi, editore di un’ampia selezione della corrispondenza polacca di Gieysztor, Listy Aleksandra Gieysztora (wybór), in Aleksander Gieysztor. Człowiek i dzieło, cur. M. KoCzeRSKA - P. wÊCowSKi, warszawa 2016, p. 351). di quelle spedite ad Arnaldi ne conosco soltanto tre, tutte di carattere ufficiale: due conservate nel fasc. 1122 (Corrispondenza spedita A-b), cc. 43-45 (citate più avanti), l’altra, in cui Gieysztor si scusava per non poter partecipare alla riunione del comitato del Repertorium il 30 ottobre 1993, che si trova nel fasc. 969, cc. 137-138.


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 132

132

JAKub KuJAwiÑSKi

nationaux, svoltosi a Varsavia e a Poznañ nel settembre del 1965. Arnaldi vi presentò una conferenza dal titolo: Regnum Langobardorum – Regnum Italiae. Al ritorno in italia egli scrisse a Gieysztor: «il tempo che ho lasciato trascorrere prima di scriverLe questa lettera è in ragione inversa al desiderio che avevo di farmi vivo con Lei, appena tornato in italia, per esprimerLe tutta la mia riconoscenza per avermi dato modo di venire ancora una volta in Polonia, e questa volta non al seguito di un padre autorevole, ma in persona propria»7. il tema del convegno dominava nella corrispondenza dei mesi successivi. non credo di nuocere alla memoria di Arnaldi se cito le sue scuse e i dubbi espressi nella lettera del gennaio del 1966. il testo della conferenza doveva essere consegnato entro fine novembre dell’anno precedente e invece: «ho commesso» – scriveva Arnaldi – «l’errore di rifare da capo, allargandolo a dismisura [...] e adesso mi trovo nei guai. Mi consigli Lei sul da farsi». La situazione descritta dall’autore fa pensare alla sorte della conferenza di bassano che qualche anno prima aveva dato origine al primo libro di Arnaldi8. in questo caso, però, egli trovò una soluzione per contenere il proprio lavoro nei limiti di un articolo, consegnato a giugno del 1966 (e uscito negli atti nel 1968), mentre si riprometteva di approfondire e sviluppare quel tema durante il corso universitario a bologna nell’anno accademico a venire9. 7 La lettera dattiloscritta, con la firma di propria mano, sulla carta intestata dell’università di bologna, è datata al 26 settembre: manca l’anno ma il tenore non lascia dubbi che si tratti del 1965 (PAnAw, iii–352, fasc. 1134). oltre ai ringraziamenti Arnaldi esprimeva l’intenzione di mettere per iscritto le sue impressioni in un articolo da pubblicare su «il mondo» (negli indici della rivista non risulta però nessun testo di Arnaldi su un tema polacco: <http://www.centropannunzio.it/indice-mondo.asp> [l’ultima consultazione il 20 giugno 2017], probabilmente non fece in tempo a scriverlo perché la rivista chiuse nel 1966) e in un resoconto da scrivere per la «Rivista Storica italiana» (né cronaca del convegno, né recensione degli atti risultano nei fascicoli negli anni 1965-1970). il convegno e l’intervento di Arnaldi sono invece stati contestualizzati molti anni dopo da F. SiMoni, Il tema del Millennio e la problematica dello stato nazionale nella storiografia italiana, «Studi storici», 4 (2000), pp. 1083-1119. 8 Scriveva Arsenio Frugoni a Raoul Manselli il 21 settembre 1962: «Volume Ezzelino: poiché il lavoro di Arnaldi si ingrossa sempre più e d’altra parte è peccato strozzarlo, si sarebbe venuti a questa decisione (è evidente l’accordo con Morghen). il grosso lavoro di Arnaldi formerà un volume autonomo, mentre [per] il volume ezzeliniano egli ci dà il testo ovviamente arricchito in seguito al suo approfondimento del testo della relazione bassanese. naturalmente di questa modificazione il Prof. Morghen ne parlerà alla Sign.na Fasoli incontrandosi a Milano. Se anche la Fasoli approverà questa modificazione, come è prevedibile, il volume finalmente potrà uscire con improvvisa rapidità» (ed. M. MiGLio, Arsenio Frugoni, in Istituto Storico Italiano. 130 anni di storie, cur. F. deLLe donne - G. FRAnCeSConi, Roma 2013, pp. 111-132: 112s.). 9 Vedi le lettere del 23 gennaio e 26 giugno 1966 (PAnAw, iii–352, fasc. 1134) e il saggio pubblicato: G. ARnALdi, Regnum Langobardorum – Regnum italiae, in L’Europe


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 133

GiRoLAMo ARnALdi e LA SuA PoLoniA

133

nella lettera del 10 marzo 1973 Arnaldi chiedeva a Gieysztor informazioni sulle possibilità che si realizzasse il suo «progettato viaggio in Polonia». La visita si svolse a maggio dell’anno successivo. Venne insieme a sua moglie, Sara, questa volta senza impegni convegnistici. i signori Arnaldi arrivarono a Varsavia il 15 maggio e partirono da Cracovia il 2310. oltre queste due città, visitarono anche l’abbazia benedettina a tyniec, nei pressi di Cracovia11. due anni dopo Arnaldi si fece presente in Polonia, questa volta non di persona, ma con un saggio offerto a Gieysztor per il suo sessantesimo anniversario12. Ma già nel 1978 Arnaldi (che dal gennaio a settembre di quell’anno era directeur d’études associé presso la 4ème section de l’École Pratique des Hautes Études a Parigi) sarebbe tornato a visitare il paese per partecipare al congresso della Commission internationale d’Histoire ecclésiastique Comparée, che si tenne a Varsavia dal 25 giugno al 1 luglio 197813. Presto si presentò anche un’altra occasione convegnistica. aux IXe-XIe siècles. Aux origines des États nationaux. Actes du Colloque international tenu à Varsovie et Poznañ du 7 au 13 septembre, 1965, cur. t. MAnteuFFeL - A. GieySztoR, warszawa 1968, pp. 105-122. Arnaldi ringrazia Gieysztor per la copia del volume nella lettera del 4 marzo 1968 (PAnAw, iii–352, fasc. 1134). 10 i preparativi e lo stesso viaggio sono documentati, oltre che dalla citata lettera del 10 marzo 1973, dal telegramma spedito a Gieysztor l’11 maggio 1974, che annunziava l’arrivo a Varsavia il mercoledì seguente, cioè il 15, e la partenza da Cracovia il 23, e dalla lettera datata da Cracovia il 23, in cui Arnaldi descriveva gli ultimi due giorni e ringraziava Gieysztor (PAnAw, iii–352, fasc. 1134). 11 Arnaldi incluse poi il ricordo di quella visita nella sua postilla all’intervista a dom Jean Leclerq: «Raramente come in S. Girolamo in urbe ho avuta l’esperienza diretta della nobiltà dello spirito, della forza che sprigiona da un’élite degna di questo nome. Qualcosa di simile l’ho provato, ma solo per un paio d’ore, sempre in ambiente monastico, a tyniec, un monastero sulla riva destra della Vistola, a una decina di chilometri da Cracovia, dove Aleksander Gieysztor ha condotto in gita mia moglie e me nel 1974» (G. ARnALdi, Un monaco, uno storico, un monastero. Postilla a un’intervista a dom Jean Leclercq O.S.B., in ARnALdi, Conoscenza storica e mestiere di storico, napoli 2010, pp. 195-202: 201) 12 G. ARnALdi, Marchia trivisiana cum Venetiis: un’ipotesi per una ricerca di storia della storiografia comparata, in Cultus et cognitio. Studia z dziejów œredniowiecznej kultury, warszawa 1976, pp. 69-80. 13 il nome di Arnaldi è presente nei materiali dei servizi segreti che avevano sottoposto il congresso ad un’operazione di sorveglianza con criptonimo “Sobór”, ovvero “Concilio” (AiPn, bu 0999/134/1-2): nella lista dattiloscritta dei partecipanti provenienti dai paesi capitalistici (vol. 2, cc. 609-627: 625) e nel rapporto manoscritto fatto da un funzionario sulla base delle informazioni avute da un membro della segreteria del congresso, dove Arnaldi appare tra gli intervenuti alla seduta della sezione 2 il 26 giugno (vol. 2, p. 586). il suo nome manca invece negli elenchi di alberghi e di persone private presso cui alloggiavano i partecipanti (vol. 2, cc. 649-650, pp. 663-666, 668-671. nessuna sua communicazione è stata compresa nel libretto dei riassunti (C.i.H.e.C. Section ii. La vie religieuse des élites et des masses dans la chrétienté du XVe siècle – entre le moyen âge et l’epoque moderne. Congrès à Varsovie 25 Vi – 1 Vii 1978) [grafia originale]. L’effettiva presenza di Arnaldi non esce, per ora, confermata da altre fonti.


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 134

134

JAKub KuJAwiÑSKi

nel 1980 l’istituto Storico dell’università di Varsavia, il più antico dipartimento di storia negli atenei polacchi, celebrava il suo 50mo anniversario. il punto centrale del programma fu un convegno internazionale dedicato al ruolo svolto dalle università nelle società passate e contemporanee e su invito del direttore, Henryk Samsonowicz, Arnaldi doveva esserne uno dei relatori. Stando alla sua lettera a Gieysztor del 2 gennaio 1980, egli aveva accettato l’invito, ma per ragioni che non sono riuscito a conoscere, non potè venire14. dei diversi progetti di viaggi in Polonia dopo il crollo del regime comunista si realizzò soltanto una visita privata, dopo la morte della moglie15. tuttavia Arnaldi era presente in Polonia tramite i suoi lavori, fra i quali il libro L’Italia e i suoi invasori è stato tradotto in polacco nel 200916. nel corso di tutti quegli anni non mancarono le occasioni d’incontro in italia. i luoghi privilegiati erano due. Per primo Spoleto e le sue Settimane di studio, cui dal 1957 gli studiosi polacchi hanno frequentemente partecipato come relatori e borsisti17. il secondo è stato l’istituto Storico italiano per il Medio evo a Roma, soprattutto quale editore del Repertorium fontium historiae medii aevi (il nuovo Potthast). Alle annuali assemblee del Repertorium spesso ha partecipato Gieysztor, in quanto presidente del Comitato Polacco, accompagnato o sostituito da brygida Kürbis o da alcuni altri membri del comitato18. L’assemblea tenutasi nei giorni 3 e 4 14

La lettera è conservata nel lascito di Gieysztor (PAnAw, iii–352, fasc. 1134). Arnaldi non viene però menzionato tra i relatori nel resoconto del convegno in H. SAMSonowiCz - e. PotKowSKi, 50 lat Instytutu Historycznego Uniwersytetu Warszawskiego, «Kwartalnik Historyczny», 87/3-4 (1980), pp. 657-665, ora in Tradycje i Współczesnoœæ. Ksiêga pami¹tkowa Instytutu Historycznego Uniwersytetu Warszawskiego 1930-2005, cur. J. ŁuKASiewiCz et al., warszawa 2005, pp. 439-447: 445s. 15 Ricordi di Halina e Adam Manikowscy e di Karol Modzelewski, incerti però sull’anno preciso. 16 G. ARnALdi, Italia i najeŸdŸcy, introduzione di K. ModzeLewSKi, warszawa 2009; cfr. recensione del volume cur. e. JAStRzÊbowSKA, «Przegl¹d Historyczny», 101/2 (2010), pp. 257-263. Va anche menzionato il saggio G. ARnALdi, Considerazioni sulla storia del regno italico indipendente, «Quaestiones medii aevi novae», 5 (2000), pp. 21-28. 17 Cfr. A. G[ieySztoR], Prace nad wczesnym œredniowieczem we Włoszech, «Kwartalnik Historyczny», 64 (1957), pp. 296-297; Omaggio al Medioevo. I primi cinquant’anni del Centro italiano di studi sull’alto medioevo, Spoleto 2004, pp. 337-454. 18 La storia della collaborazione polacca al Repertorium meriterebbe uno studio a parte. Per quanto riguarda gli albori, l’adesione degli storici polacchi all’iniziativa fu uno dei frutti del X Congresso internazionale di Scienze Storiche (Roma, settembre 1955). Vi accenna A. GieySztoR, Prace nad reedycj¹ bibliografii Ÿródeł œredniowiecznych (Bibliotheca historica medii aevi) Potthasta, «Studia +ródłoznawcze», 1 (1957), pp. 324-326: 324 (nel taccuino di Gieysztor, membro della delegazione polacca, conservato nel suo lascito insieme agli altri materiali relativi al Congresso, si legge una breve nota «unione intern. degli istituti di Archeol. e Storia dell’arte in Roma [a linea] Potthast – Morghen»,


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 135

GiRoLAMo ARnALdi e LA SuA PoLoniA

135

novembre del 1962 sarebbe stata la prima a cui parteciparono sia Gieysztor e Kürbis sia Arnaldi (dal gennaio dell’anno precedente membro del Comitato italiano e dal gennaio del 1962 coinvolto nei lavori della redazione centrale)19. All’assemblea del 28 ottobre 1967, invece, il Comitato Polacco fu rappresentato da Kürbis, che veniva da Parigi, dove godeva allora di una borsa presso l’École Pratique des Hautes etudes (4ème section). Sulla strada per Roma Kürbis fece una visita all’università di bologna, su invito di Arnaldi; il giorno dopo firmava, insieme ad Arnaldi, Frugoni e Vercauteren una cartolina indirizzata a Gieysztor con questo messaggio (vergato dalla mano di Arnaldi): «un cordiale ricordo nel mezzo di una animata [animata sottolineato due volte] discussione all’assemblea del Repertorium [Repertorium sottolineato]»20.

PAnAw, iii–352, fasc. 756, c. 58). il comitato polacco, sotto la responsabilità di Gieysztor, fu costituito nei mesi successivi: Raffaello Morghen ne ringraziava tadeusz Manteuffel, direttore uscente dell’istituto Storico dell’università di Varsavia, nella lettera dell’11 maggio del 1956 (ivi, fasc. 968, c. 23; nello stesso fascicolo si trova un testo manoscritto, in francese, di cc. 7 non numerate, prodotto all’inizio della collaborazione, forse per l’assemblea del comitato scientifico nei giorni 4-5 ottobre 1956, cui già partecipava Gieysztor; verbale, ivi, cc. 61-86). Al più tardi nel gennaio del 1957 nei lavori del comitato fu coinvolta brygida Kürbis (ivi, cc. 96-98). oltre a Kürbis al primo comitato aderivano: zofia budkowa, Jadwiga Karwasiñska, Gerard Labuda e Jakub Sawicki (Komitet Repertorium Œredniowiecznych Ÿródeł historycznych, «Kwartalnik Historyczny», 64/1 (1957), pp. 235-236), nel 1958 giunsero Jacek Matuszewski e tadeusz Lewicki (A. GieySztoR, Repertorium œredniowiecznych Ÿródeł historycznych (nowy Potthast), «Studia +ródłoznawcze», 3 (1958), p. 330) e poco dopo Ryszard walczak (menzionato come editore delle voci già nel resoconto di A. GieySztoR - b. KüRbiS, Repertorium fontium historiae medii aevi, «Studia +ródłoznawcze», 9 (1964), p. 231; nel Repertorium il suo nome accompagna quelli di Gieysztor e Kürbis a partire dal vol. iV, 1976). 19 Le liste dei partecipanti sono conservate nel lascito di Gieysztor (PAnAw, iii–352, fasc. 969, cc. 37-40). nella lettera del 30 ottobre 1962 Morghen invitava Gieysztor a presiedere la riunione del 4 novembre (ivi, c. 34). delle informazioni sulle successive tappe del coinvolgimento di Arnaldi nel Repertorium (tratte da iSiMe, Archivio storico, Fondo Repertorium fontium historiae medii aevi, Comitato esecutivo, Carteggio generale, fasc. 302) sono debitore a Marzia Azzolini. 20 La cartolina è datata bologna-Roma, 27-28 ottobre, nel postscriptum in polacco Kürbis informava Gieysztor della sua gita a Ravenna e del “bell’incontro” (“piêkne spotkanie”) a bologna (PAnAw, iii–352, fasc. 1134). Quell’anno Kürbis aveva già visto Arnaldi a settembre in occasione del convegno Pavia capitale di Regno (Pavia 10-14 settembre). A Pavia, il 14, entrambi firmavano una cartolina, indirizzando a Gieysztor «un saluto cordiale dopo Castelseprio» (ivi). Cfr. il curriculum vitae della Kürbis allegato alla domanda per la borsa di partecipazione alla XVi Settimana di Spoleto (datata al 8 gennaio 1968) con l’elenco delle missioni in italia nel 1967 (PAnAP, P.iii–129, fasc. 130) e l’invito di A.M. Labrousse del 16 ottobre a ritirare il biglietto Parigi-Roma (via bologna), andata e ritorno (ivi, fasc. 108).


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 136

136

JAKub KuJAwiÑSKi

Alle Settimane e al Repertorium presto si aggiunsero altre occasioni. Quando Arnaldi divenne cattedratico alla Sapienza, invitò i suoi colleghi polacchi a fare lezioni e seminari agli studenti. Karol Modzelewski, allora ricercatore presso l’Accademia Polacca delle Scienze, per la prima volta visitò l’ateneo romano nel 1978, Krzysztof Pomian, dal 1973 ricercatore al CnRS francese, fu invitato nel 198621. un altro luogo d’incontro, sempre a Roma, fu l’Accademia Polacca in Vicolo doria, dove Gieysztor fu spesso conferenziere. Ancora a Roma, nel periodo difficile degli anni ottanta, nacque la Scuola Storica italo-Polacca, ideata da Gabriele de Rosa e da Arnaldi, per la parte italiana, Jerzy Kłoczowski e Gieysztor, per la parte polacca, con la forte volontà politica di garantire lo scambio scientifico tra la Polonia e l’occidente, messo a rischio in seguito al colpo di stato militare il 13 dicembre 198122. La Scuola fu fondata nel 1983 presso l’istituto Luigi Sturzo, di cui de Rosa era il direttore23. essa offriva borse di 18 mesi per giovani ricercatori polacchi in storia, archeologia, storia dell’arte e filologia – seguendo il modello degli istituti stranieri a Roma e rimediando alla debolezza strutturale del centro romano dell’Accademia Polacca delle scienze, che non disponeva di posti per ricercatori –, nonché borse di breve durata per i docenti. Le borse furono finanziate dal Ministero degli Affari esteri italiano, mentre l’istituto Sturzo, insieme ad alcuni enti ecclesiastici, quali l’istituto della cultura cristiana (instytut Kultury Chrzeœcijañskiej) e la Casa di accoglienza “Giovanni Paolo ii” in via Cassia, e ai rappresentanti della comunità polacca a Roma, provvedevano all’assistenza scientifica e sociale. La Scuola era diretta da un comitato direttivo composto dai direttori dell’istituto Sturzo e dell’École française de Rome e da un rappresentante di ciascuno dei due comitati scientifici, italiano e polacco. Arnaldi fu membro del comitato italiano per tutto il

21 22

Le date mi sono state fornite dagli stessi invitati. il ruolo di Arnaldi, al pari di quello di de Rosa, nella fondazione della Scuola è riconosciuto da Kłoczowski nel suo saggio autobiografico, originariamente pubblicato nel 2008: J. KŁoCzowSKi, Przestrzeñ wolnoœci na Katolickim Uniwersytecie Lubelskim w latach 1950-1989. Œwiadectwo walki, in M. SobieRAJ, Miêdzy oporem a lojalnoœci¹. Działania SB wobec KUL na przykładzie rozpracowania prof. Jerzego Kłoczowskiego, Lublin 2015, pp. 787-796: 793. L’individuazione dell’idea politica della Scuola si deve a Halina Manikowska (conversazione del 26 maggio 2017), che da Firenze seguì la nascita della Scuola. 23 il progetto per la formazione della Scuola fu approvato dal Consiglio di Amministrazione dell’istituto il 28 febbraio 1983: la decisione fu comunicata da de Rosa, insieme allo statuto, a Gieysztor nella lettera del 2 marzo dello stesso anno (PAnAw, iii–352, fasc. 713, cc. 16-19).


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 137

GiRoLAMo ARnALdi e LA SuA PoLoniA

137

periodo dell’esistenza della Scuola, offrendo il suo tutorato ai ricercatori di storia medievale24. bisogna sottolineare che la struttura rimaneva al di fuori degli accordi ufficiali di collaborazione scientifica tra la Repubblica Popolare di Polonia e l’italia, il che destava una certa preoccupazione al regime comunista25. La Scuola fu sospesa nel 1996 quando non si riuscì ad ottenere il contributo della Farnesina per il Vii biennio26. Si perdeva con essa un importante luogo d’incontro tra le storiografie italiana e polacca. negli stessi anni novanta i contatti personali erano invece agevolati dalla libertà e dalla crescente facilità di viaggiare. Gieysztor venne spesso in italia fino al 1998, cioè fino ai mesi immediatamente precedenti la sua malattia e morte. nel 1995 tenne su invito dell’unione internazionale degli istituti di archeologia, storia e storia dell’arte in Roma una conferenza sull’europa dell’anno 1000. L’evento ebbe luogo nella sede dell’Accademia dei Lincei il 15 novembre, e il testo fu poi pubblicato con l’introduzione di Arnaldi27. Più volte venne in italia anche Modzelewski, ora in

24 Alcuni documenti relativi alla Scuola si trovano nel lascito di Gieysztor (PAnAw, iii–352, fasc. 713, cc. 10-29). Arnaldi è menzionato come candidato a membro del comitato già nello statuto (ivi, c. 17); fu presente alla seduta del 5 novembre 1984, quando intervenne nel dibattitto sulla relazione del borsista Paweł t. dobrowolski (il verbale ivi, cc. 2023), e infine è menzionato come uno dei tre membri del comitato italiano nella lettera di Gieysztor a Kłoczowski del 15 gennaio 1993 (ivi, c. 26). il tema della Scuola appare anche nella corrispondenza tra Arnaldi e Gieysztor (per es. nella lettera di Arnaldi del 17 agosto 1987; PAnAw, iii–352, fasc. 1134). Cfr. un breve lineamento della storia della Scuola, basato sull’archivio del comitato polacco, depositato presso l’istituto dell’europa Centroorientale a Lublino, a cura di i. GoRAL, Szkoła historyczna włosko-polska w Rzymie – Scuola storica italo-polacca di Roma (miêdzynarodowy program stypendialny, 1983-1996), «Rocznik instytutu europy Œrodkowo-wschodniej», 8/1 (2010), pp. 155-163. L’idea di scrivere, insieme ad Andrea Verardi, una storia documentata della Scuola trova al momento un grave ostacolo nel riordinamento dell’archivio dell’istituto Sturzo. 25 Si vedano un breve rapporto sulla Scuola preparato dall’Ambasciata polacca a Roma per il Ministero degli Affari esteri nel marzo del 1984, nonché la corrispondenza tra il Ministero e l’ufficio per le Confessioni religiose negli anni 1984-85 (AAn, urz¹d do spraw wyznañ, 126/300, cc. 68-73). Cfr. SobieRAJ, Miêdzy oporem a lojalnoœci¹ cit., pp. 282s. 26 La gravità della situazione traspare dalla lettera di Krzysztof ¯aboklicki, allora direttore dell’Accademia Polacca di Roma, a Gieysztor del 30 ottobre 1996. A questa venivano allegate le lettere di ¯aboklicki a Kłoczowski (fotocopia, 29 ottobre) e di de Rosa a ¯aboklicki del 23 ottobre (PAnAw, iii–352, fasc. 702, cc. 17-19). Malgrado la sospensione, la Scuola viene tuttora menzionata nel Xiii Programma esecutivo della collaborazione culturale tra l’italia e la Polonia per gli anni 1999-2002, Allegato i. elenco delle collaborazioni in atto tra istituzioni: <http://www.esteri.it/mae/doc/4_28_67_81_91_89_115.pdf> (ultima consultazione il 10 giugno 2017). 27 A. GieySztoR, L’Europe nouvelle autour de l’an mil. La papauté, l’Empire et les «nouveaux venus», Roma 1997.


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 138

138

JAKub KuJAwiÑSKi

veste di professore dell’università di Varsavia, invitato a tenere seminari a La Sapienza28. All’Accademia Polacca invece, nel novembre del 2005 Arnaldi introduceva il dibattitto sul libro di Modzelewski sull’europa dei barbari. Sorvolo su altre sedi e occasioni convegnistiche, anche fuori Roma e fuori italia, dove Arnaldi incontrava i colleghi polacchi29, e su altre iniziative editoriali che lo videro collaborare con gli studiosi polacchi30, per passare al secondo punto e domandarsi quali fossero i punti di contatto tra gli studi sul medioevo in italia e in Polonia all’inizio della seconda metà del novecento, e in particolare, quali erano i temi e interessi che avrebbero accomunato Arnaldi e i suoi interlocutori polacchi in quel periodo. 28 Vedi il ricordo in K. ModzeLewSKi, Ricordo di Fiorella Simoni, in Medioevo e Romanticismo. Ricordo di Fiorella Simoni, cur. M. beeR - S. PoLiCA, Roma 2011, pp. 19-21: 19. 29 basti segnalarne alcune (nell’ordine cronologico). nel 1973 a Roma, al convegno Fonti medioevali e problematica storiografica, con cui l’iSiMe celebrava il suo 90o anniversario (22-27 ottobre), assistette Gieysztor che ne stese una cronaca per la rivista «Studia +ródłoznawcze», 20 (1976), pp. 281-282. nel 1977 a Venezia, in occasione del quinto seminario organizzato dalla Fondazione Giorgio Cini e dall’Accademia Polacca delle Scienze (Italia, Venezia e Polonia tra Medioevo e Età moderna, 7-10 novembre), Arnaldi incontrava una numerosa delegazione di studiosi polacchi, tra cui Kłoczowski e Kürbis (gli atti sono stati pubblicati con il titolo Italia, Venezia e Polonia tra Medio Evo e Età Moderna, cur. V. bRAnCA - S. GRACiotti, Firenze 1980; la cronaca del convegno è alle pp. 587-592; cfr. infra nota 57). nel 1988 Arnaldi ospitò presso l’iSiMe il convegno Le origini e lo sviluppo della cristianità slavo-bizantina: il battesimo del 988 nella lunga durata (2-6 maggio), indetto per iniziativa dell’istituto polacco di Cultura Cristiana. Gli atti sono stati poi accolti nella collana “nuovi studi storici” (17): Le origini e lo sviluppo della cristianità slavo-bizantina, cur. S.w. SwieRKoSz-LenARt, Roma 1992 (con un breve post-scriptum di Arnaldi all’introduzione). Al «congresso sulla Russia cristiana del nostro amico comune Kłoczowski» Arnaldi accennava a Gieysztor (entrambi facevano parte del comitato scientifico) nella lettera del 17 agosto 1987 (PAnAw, iii–352, fasc. 1134). La lettera di Arnaldi a Gieysztor del 2 ottobre 1995 (ivi), invece, si apriva con un «ricordo dei momenti sereni passati a Montréal» in occasione del Congresso del Comitato internazionale di Scienze Storiche, dell’agosto precedente. in una lettera scritta prima del congresso, datata al 19 luglio (ivi), Arnaldi annunciava a Gieysztor la vicina spedizione della copia dell’edizione provvisoria degli interventi da presentare a Montréal ad una tavola rotonda. L’edizione definitiva è poi apparsa come: Europa medievale e mondo bizantino. Contatti effettivi e possibilità di studi comparati. tavola rotonda del XViii Congresso del CiSH (Montréal, 29 agosto 1995), cur. G. ARnALdi - G. CAVALLo, Roma 1997 (nuovi Studi Storici, 40). nel 1998, infine, Arnaldi presiedeva la prima sessione del convegno Est e Ovest nella ristrutturazione europea del primo e del secondo millenio (15-16 aprile), cui partecipavano Gieysztor e Modzelewski (mi riferisco al dépliant con il programma conservato nel lascito di Gieysztor, PAnAw, iii–352, fasc. 702, c. 20). 30 oltre alla collaborazione più importante e più durevole, quella al Repertorium, di cui si è già detto, si può menzionare La storia della cultura veneta (diretta da Arnaldi e da Pastore Stocchi), per la quale Arnaldi invitò Krzysztof Pomian a scrivere due contributi: Antiquari e collezionisti (vol. 4/1, Dalla Controriforma alla fine della Repubblica. Il Seicento, Venezia 1983, pp. 493-547) e Antiquari, naturalisti, collezionisti (vol. 5/2, Dalla Controriforma alla fine della Repubblica. Il Settecento, Venezia 1986, pp. 1-70).


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 139

GiRoLAMo ARnALdi e LA SuA PoLoniA

139

2. il cavallo di battaglia della medievistica polacca nei decenni immediatamente successivi alla ii guerra mondiale era senz’altro l’archeologia altomedievale, o meglio, il programma di studi interdisciplinari sulle origini dello stato polacco, che, pur concentrandosi sulla cultura materiale, includeva un vasto panorama di temi di storia sociale, economica e spirituale31. il programma, dal 1949 coordinato da una direzione centrale (e dal 1954 dall’istituto della Cultura Materiale dell’Accademia Polacca delle Scienze) fu generosamente finanziato dal regime comunista in vista delle celebrazioni del millennio della Polonia (1960-1966). Molto importanti furono gli scavi condotti in diversi siti altomedievali, paradossalmente facilitati dagli enormi danni portati dalla guerra, soprattutto nei più grandi centri urbani. i risultati hanno fatto notevole impressione sui partecipanti dei due convegni dedicati alle città medievali polacche (tenutisi a Parigi nel 1957 e in Polonia nel 1959), al punto che gli archeologi polacchi sono stati invitati da Gian Piero bognetti a scavare in italia, prima a torcello dal 1961, poi a Castelseprio, Capaccio Vecchia e Civita d’ogliara. Arnaldi non era estraneo né al fascino dell’archeologia medievale32 né a questa collaborazione. in occasione del convegno del 1965 visitò uno dei più importanti siti archeologici della Polonia dei Piast sull’isola del lago di Lednica (ostrów Lednicki), nei pressi di Gniezno [fig. 2]33. Quando l’anno successivo la RAi non riusciva ad ottenere dalla tivù polacca dei materiali per il documentario che voleva produrre sul Millennio polacco, Arnaldi chiese a Gieysztor se poteva portare alcune foto utili a questo scopo. Suggeriva le immagini del portale di bronzo di Gniezno, di «qualche pezzo archeologico della Polonia pagana», e materiali didattici come «qualche ricostruzione di castra», concludendo: «Ma perché continuare con questa enumerazione? Lei può giudicare meglio di chiunque altro che cosa interessa uno spettatore straniero di media cultura, per il quale la Polonia del Mille è un 31 Le premesse e i risultati furono comunicati in contemporanea anche al publico internazionale nelle pubblicazioni dei leader del programma, tra cui GieySztoR, Les origines de l’état polonais, in La Pologne au Xe Congrès cit., pp. 55-81, e GieySztoR, Società e cultura nell’alto medioevo polacco, wrocław-warszawa-Kraków 1965 (il libretto riproduce la conferenza tenuta il 5 novembre 1963 alla biblioteca dell’Accademia Polacca delle Scienze a Roma). 32 Si veda l’apprezzamento espresso in un saggio giornalistico a proposito delle controversie sull’origine della Rus’: G. ARnALdi, Il passo falso di Amalrik: una tesi sulla ‘Russia di Kiev’, «L’europa / idee e costume», 3-17 X 1975 (ora in ARnALdi, Pagine quotidiane cit., pp. 530-535: 534). 33 nel lascito di brygida Kürbis (PAnAP, P.iii–129, fasc. 83) si conserva una foto scattata in quella occasione (luogo e anno indicati da una nota vergata a matita sul verso; la stessa mano ha identificato due personaggi: “Gilmo Arnaldi” e “teresa w¹sowicz”).


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 140

140

JAKub KuJAwiÑSKi

continente sconosciuto!»34. in italia incontrava i membri delle spedizioni archeologiche polacche: il 2 maggio 1972, insieme a due di loro, eleonora e Stanisław tabaczyñscy (e a Giordano bruno: sic) spediva da Campo de’ Fiori i saluti a Gieysztor; il 10 marzo dell’anno successivo informava i due archeologi, tramite Gieysztor, dei preparativi per «una campagna di scavi veronese»35. tuttavia cercherei altrove gli interessi comuni di Arnaldi e degli storici polacchi suoi interlocutori. Arnaldi, sin dai suoi primi saggi, dimostrava una particolare attenzione per le cronache. La testimonianza di Leone Marsicano sull’epigrafe della torre di datto sul Garigliano l’indusse alla seguente osservazione: i cronisti medievali ci offrono talvolta delle strane sorprese, che, se non debbono indurci a capovolgere il comune giudizio per cui si insiste sulle deficienze del loro spirito critico e sulla scarsezza della loro informazione, dovrebbero invitarci ad usare maggiore cautela36.

L’ambiente dell’istituto e della Scuola storica, con cui egli entrò in rapporto ben prima di ricevere il mandato presso la Scuola, non poteva che raffinare il suo interesse per le fonti narrative. discuterne in questa sede, dopo che il metodo della medievistica romana di allora è stato messo in rilievo da Marino zabbia37, e dopo che, recentemente, l’approccio di Arnaldi alle fonti narrative è stato illustrato da Lidia Capo, sarebbe presuntuoso e mi porterebbe troppo fuori tema38. Mi limiterò a citare le 34 35

Lettera del 20 ottobre 1966 (PAnAw, iii–352, fasc. 1134). PAnAw, iii–352, fasc. 1134. Come mi ha gentilmente informato Paolo delogu, il progetto degli scavi italo-polacchi a Verona non è mai stato realizzato. Sulla storia degli scavi italo-polacchi vedi e. tAbACzyÑSKA - S. tAbACzyÑSKi, Archeologia polska w badaniach nad społeczeñstwem i kultur¹ œredniowiecznej Italii, in Studia nad etnogenez¹ Słowian i kultur¹ Europy wczesnoœredniowiecznej, ii, cur. G. LAbudA - S. tAbACzyÑSKi, wrocław 1988, pp. 161-177 e L. LeCieJewiCz, Italian-Polish researches into the origin of Venice, «Archaeologia Polona», 40 (2002), pp. 51-71. 36 G. ARnALdi, La torre di Datto sul Garigliano (Nota su di un’iscrizione del campanile del duomo di Gaeta), «Archivio Storico per le Province napoletane», n. ser., 32 (19501951), pp. 77-86: 81. 37 A. FenieLLo - M. zAbbiA, Vicende della Scuola nazionale di studi medievali, in Le scritture della storia. Pagine offerte dalla Scuola nazionale di studi medievali a Massimo Miglio, cur. F. deLLe donne - G. PeSiRi, Roma 2012, pp. 1-34: 17-19; cfr. F. tAteo, “Metodo storico” e storiografia letteraria, in Medioevo quante storie, cur. i. LoRi SAnFiLiPPo, Roma 2014, pp. 89-108: 100s. (a proposito di n. Cilento). 38 L. CAPo, Prefazione a G. ARnALdi, Cronache e cronisti dell’Italia comunale, Spoleto 2016, pp. Vii-XLiii, in particolare Xiii-XV e XXX-XLii. da parte mia ho delineato un profilo di Arnaldi quale studioso della storiografia medievale in KuJAwiÑSKi, Girolamo Arnaldi cit., pp. 19-29.


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 141

GiRoLAMo ARnALdi e LA SuA PoLoniA

141

parole di Raffaello Morghen e a ricordare due passi, tra i più significativi, tratti da saggi del giovane Arnaldi, per soffermarmi poi un po’ più a lungo sui paralleli studi polacchi. La frase di Morghen proviene dal necrologio di Paolo Lamma: Che una fonte narrativa non sia soltanto una raccolta di dati più o meno attendibili, ma una testimonianza autentica di atteggiamenti di spirito, di opinioni, di ideali, di sentimenti, di passioni, di tutto ciò che costituisce, in una parola, il tessuto intimo della vicenda umana, è cosa ovvia e accettata ed è canone metodologico affermato con successo anche in altre opere uscite dall’ambito della Scuola Storica nazionale di Studi 39 Medioevali .

dei due passi di Arnaldi (i corsivi sono miei), il primo riguarda l’Arnaldo da Brescia di Arsenio Frugoni (1954), senz’altro uno dei libri più emblematici di questo versante di studi. nel 1956 Arnaldi scriveva a suo proposito: La dimensione propria della storia della storiografia viene qui felicemente sostituita al procedimento assai semplicistico, per cui si presume di poter stabilire la veridicità di una fonte col confrontarne le singole notizie con notizie contenute in altre fonti, mentre è la fonte stessa a fornire, nel suo insieme, le indicazioni necessarie alla propria lettura ed utilizzazione, a suggerire le opportune cautele e ad offrire, in ultima analisi, la prova decisiva della propria attendibilità [...] il Frugoni non fa che enunciare un nuovo criterio di valutazione delle testimonianze, secondo il quale le singole notizie non vanno collocate senz’altro accanto a notizie di diversa provenienza, ma vanno apprezzate nell’ambito della fonte che le riporta40.

39 R. MoRGHen, Paolo Lamma (24 agosto 1915 - 17 aprile 1961), «Studi Medioevali», ser. iii, 2/1 (1961), pp. 397-401: 399. 40 G. ARnALdi, Europa medievale e medioevo italiano (1956), ora in ARnALdi, Conoscenza storica cit., pp. 1-37: 21. il procedimento da cui Frugoni (e dopo di lui Arnaldi) prendeva le distanze era definito il “metodo filologico-combinatorio” o la “tecnica combinatoria” (A. FRuGoni, Arnaldo da Brescia nelle fonti del XII secolo, Roma 1954, pp. Viis.). Pare che il concetto di “combinatorio” sia presto entrato nel linguaggio di Arnaldi. egli incluse la voce “metodo combinatorio” nel Glossario dei termini storiografici (in Gli stati e le civiltà. Enciclopedia monografica della storia, bologna 1961, p. 484, s.v.: «nella ricerca storica, è il metodo di chi procede giustapponendo meccanicamente singole notizie tratte da fonti diverse, senza avere un’idea dell’insieme»); molti anni dopo, apprezzava il lavoro di Giovanni Miccoli sulle fonti agiografiche francescane anche per aver «ciascuna studiata in se stessa senza il ricorso a tecniche combinatorie» (G. ARnALdi, Il principe e il povero, «il Messaggero/Cultura», 2 gennaio 1992, ora in ARnALdi, Pagine quotidiane cit., pp. 285289: 288).


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 142

142

JAKub KuJAwiÑSKi

il secondo viene da un excursus sul metodo premesso alla trattazione su Liutprando da Cremona nella conferenza spoletina nel 1969: Mezzi indispensabili per la conoscenza del passato medievale, è indubbio che le fonti narrative costituiscono anche un particolare aspetto di tale passato, e sono quindi di per sé un oggetto degno di studio. testimone volontario, più o meno attendibile, degli avvenimenti che racconta nella sua cronaca, il cronista infatti è anche sempre il testimone involontario di una sintassi, intesa come capacità (o incapacità) di dare un ordine e un senso al racconto; di una tradizione stilistica e letteraria; di un livello sociale e intellettuale (suo, e del gruppo cui appartiene); di un pubblico di lettori, dato che ne abbia uno [...]; di una concezione del tempo e della Provvidenza; di una modalità di diffusione delle notizie [...]; di una sensibilità, o insensibilità, per questo o quell’aspetto della realtà circostante; e di quanti altri strati più o meno profondi la curiosità senza limiti dei lettori moderni delle cronache medievali potrà sforzarsi di mettere in luce... da queste premesse [...] discendono due conseguenze: I) non è mai possibile separare del tutto l’utilizzazione di una cronaca come fonte dallo studio della cronaca in se stessa; ii) lo studio di una cronaca in se stessa non interessa solo lo storico della letteratura e della cultura (in senso stretto), ma anche lo storico della politica e della società41.

indicherei due caratteristiche principali del metodo di analisi delle fonti narrative promosso all’interno della Scuola: un approccio integrale e complesso ad ogni fonte, prima di utilizzarne le singole notizie (la prima); l’allargamento del valore della fonte a comprendere la dimensione soggettiva in quanto testimonianza delle opinioni, credenze, posizioni dell’autore o autori, e poi anche dei fenomeni testimoniati in maniera involontaria, ma ricavabili una volta che un testo è considerato fonte storica su se stesso (la seconda). L’originalità della strada intrapresa da Arnaldi consiste, a mio parere, nel fatto che l’approccio condiviso con i colleghi romani si è sviluppato nei suoi lavori in una storia della storiografia, medievale, ma non solo42. nello stesso tempo in Polonia, parallelamente alle campagne di scavi, si sono intensificati e rinnovati gli studi sulle non molte fonti narrative 41 G. ARnALdi, Liutprando e la storiografia contemporanea nell’Italia centro-settentrionale, in La storiografia altomedievale, Spoleto 1970 (XVii Settimana), ii, pp. 497-519: 501s. L’importanza che lo stesso autore assegnava a questo excursus è provata dalla sua intenzione, mai realizzata, di «riprenderlo e rifonderlo» in apertura alla raccolta dei saggi sui cronisti, come testimonia CAPo, Prefazione cit., p. iX, nota 7. 42 e ciò molto presto: si veda G. ARnALdi (con la collaborazione di G. SASSo), Il mestiere dello storico, in Gli stati e le civiltà cit., pp. 235-256, in particolare 238-242.


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 143

GiRoLAMo ARnALdi e LA SuA PoLoniA

143

dell’alto e pieno medioevo, in primis sulla storiografia e sull’agiografia43. Sin dai primi lavori della più importante esponente di questo versante, brygida Kürbis, già ricordata come collaboratrice al Repertorium, ritroviamo entrambe le caratteristiche dell’approccio dei medievisti ‘romani’. A proposito della prima cito un caveat dal suo libro dedicato alla Chronica Poloniae maioris del 1952, dove – dopo aver constatato una sproporzione nell’interesse scientifico tra fonti documentarie e narrative, diceva a proposito della seconda categoria: È inaccettabile trasportare le notizie contenute in una fonte narrativa al piano dei fatti storici immediatamente dopo l’indispensabile critica lessicografica e di erudizione, cioè senza aver considerato la struttura letteraria, il formulario retorico, la posizione storiografica, le tendenze ideologiche, insomma, tutto il cantiere del cronista che scriveva in circostanze particolari della sua epoca e del suo ambiente44.

A proposito del secondo punto si può citare un passo dall’introduzione al suo secondo libro del 1959, dedicato alle opere e alle collezioni storiografiche prodotte nei secoli Xiii e XiV nella regione della Polonia maior: Alla luce del postulato, fondato su premesse dialettiche, di meglio integrare le fonti nel processo storico, ogni monumento scritto ha un doppio significato: non solo trasmette i fatti, ma allo stesso tempo riflette, direttamente e al di fuori delle intenzioni dell’autore, le particolari circostanze storiche. una tale riflessione si coglie sia nel contenuto che nella forma letteraria, tutti e due sono indissolubilmente legati e si condizionano a vicenda45.

era un approccio condiviso anche da chi, come Gieysztor, frequentava piuttosto le fonti documentarie. infatti, già nel 1947, egli aveva scritto

43

Cfr. A. GieySztoR, Les origines de l’état polonais cit., p. 55; b. KüRbiS - J. LuCiÑSKi, Les éditions polonaises de sources médiévales entre 1945 et 1965, in La Pologne au XIIe Congrès International des Sciences Historiques à Vienne, warszawa 1965, pp. 203-227. 44 b. KüRbiS, Studia nad Kronik¹ wielkopolsk¹, Poznañ 1952, pp. 1s.: «niedopuszczalne jest wiêc przenoszenie informacji Ÿródła narracyjnego do szeregu ustaleñ faktograficznych bezpoœrednio po dokonaniu niezbêdnej, leksykograficznej krytyki erudycyjnej – bez uwzglêdnienia konstrukcji literackiej, formularza retorycznego, pogl¹dów historiograficznych, tendencji ideologicznych i w ogóle całego warsztatu twórczoœci kronikarza, pisz¹cego w specyficznych warunkach swej epoki i otoczenia». 45 b. KüRbiS, Dziejopisarstwo wielkopolskie XIII i XIV wieku, warszawa 1959, p. 8: «w œwietle postulowanego w myœl zało¿eñ dialektycznych œciœlejszego powi¹zania Ÿródła z procesem dziejowym wymowa ka¿dego zabytku pisanego jest dwojaka: jest on nie tylko


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 144

144

JAKub KuJAwiÑSKi

nell’introduzione ad un’antologia delle traduzioni polacche di alcune fonti narrative riguardanti le regioni di Slesia e di Pomerania: La disciplina storica moderna ormai da molto tempo si occupa dell’attendibilità delle relazioni cronachistiche al fine di ricostruire su queste basi i fatti storici. un altro approccio alle fonti narrative medievali è comunque possibile; anzi, bisogna sempre ricordarsi di un altro loro significato. esse sono infatti allo stesso tempo una testimonianza dello stile letterario, delle preferenze dei lettori, del gusto e delle esigenze intellettuali ed emotive dell’epoca. esse ci dicono non soltanto quello che i loro autori volevano raccontare dei propri tempi, ma permettono di cogliere il loro metodo, di interrogarsi sul raggio della loro influenza e di conoscere la cultura letteraria del medioevo46.

i primi lavori di Kürbis, circoscritti alle cronache di una sola regione, diedero presto origine ad un programma di studi sulla cultura storica della Polonia medievale che costituì il cantiere per la sua riflessione teoretica. Per quest’ultima ha coniato il termine “Ÿródłoznawstwo” (vicino alla “Quellenerkentniss” tedesca), con il quale designava un’esegesi più approfondita delle fonti, che andava oltre la tradizionale critica esterna e interna e, considerando la fonte un avvenimento storico, intendeva comprenderla e spiegarla nel suo proprio contesto sociale e intellettuale47. przekazicielem faktów, ale jednoczeœnie bezpoœrednim, mimo intencji autora odbiciem konkretnych okolicznoœci dziejowych. odbicie to odnajdujemy zarówno w treœci napisanej, jak i w formie literackiej – obie s¹ nierozerwalnie z sob¹ zwi¹zane i wzajemnie siê warunkuj¹». Su quest’ultimo punto Kürbis osservava che il genere letterario tradizionale può a priori determinare le tematiche di un’opera, ma talvolta i problemi attuali che tormentantano un intero ambiente sociale sono in grado di far scoppiare le forme convenzionali, come succedette nelle compilazioni annalistiche polacche a partire dal fine del Xiii secolo e nelle cronache di quell’epoca. in modo simile Arnaldi si poneva la domanda sulla capacità della forma tradizionale della cronachistica comunale a comprendere il fenomeno straordinario del governo ezzeliniano (G. ARnALdi, Studi sui cronisti della Marca Trevigiana nell’età di Ezzelino da Romano, Roma 1963, pp. iXs.). 46 A. GieySztoR, Œl¹sk i Pomorze w dziejopisarstwie polskim wieków œrednich, warszawa 1947, p. Vi: «nowo¿ytna historiografia para siê od doœæ dawna wyłuskiwaniem wiarygodnych przekazów kronikarskich i ustalaniem na ich podstawie faktów historycznych. Mo¿na jednak spojrzeæ na Ÿródła opisowe œredniowieczne inaczej, a nawet trzeba stale pamiêtaæ i o innym jeszcze ich znaczeniu. S¹ one mianowicie jednoczeœnie pami¹tk¹ stylu literackiego, upodobañ czytelniczych, smaku i potrzeb umysłowych i uczuciowych swego czasu. Mówi¹ nam bowiem nie tylko to, co chcieli zapisaæ o swej epoce ich autorzy, ale umo¿liwiaj¹ one siêgniêcie do ich warsztatu pisarskiego, zbadanie krêgu ich oddziaływania, poznania kultury literackiej wieków œrednich». 47 Quest’ultima formula è usata in b. KüRbiS, Studia nad Kronik¹ Wielkopolsk¹ cit., p. 2 («potrzeba wytłumaczenia pisarza w jego własnym œrodowisku społecznym i intelektual-


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 145

GiRoLAMo ARnALdi e LA SuA PoLoniA

145

Colpisce l’affinità delle dichiarazioni dei medievisti romani, tra cui Arnaldi, e dei loro contemporanei polacchi nonché la sintonia degli approcci. Si tratta di posizioni che si erano sviluppate indipendentemente (a causa, fra altro, di un reciproco isolamento negli anni della seconda guerra mondiale e immediatamente seguenti ad essa) e si sono incontrate già mature quando, a partire del 1955, i contatti furono ristabiliti. Così mi spiego la mancanza delle citazioni o riferimenti reciproci. Ma il tema doveva essere presente nelle conversazioni di Arnaldi con i colleghi polacchi, come egli stesso dice a proposito del suo soggiorno a Cracovia nel 197448. L’intensa collaborazione al Nuovo Potthast, sin dal 195649, è forse la migliore testimonianza di un “canone” profondamente condiviso tra Roma, Varsavia, Poznañ; e, in generale, di un clima più favorevole e più attento alle fonti narrative che si stava diffondendo nella medievistica europea nei decenni centrali del novecento. infatti, l’approccio appena illustrato non era un tratto specifico delle sole storiografie italiana e polacca. nym»). una prima definizione di “Ÿródłownawstwo” appare nel saggio dedicato alla cultura storica nella Polonia medievale (KüRbiS, Ze studiów nad kultur¹ historyczn¹ wieków œrednich w Polsce, «Studia +ródłoznawcze», 3 (1958), pp. 49-59: 49). Sul progetto della Kürbis vedi e. SKibiÑSKi, Projekt Ÿródłoznawstwa według Brygidy Kürbis, «Historia Slavorum occidentis» 1 (2) (2012), pp. 11-21. È interessante vedere come nello stesso tempo Kürbis spiegava quel concetto ai suoi interlocutori francesi in un discorso databile al 1958 e collegabile con la missione di ricerca di tre mesi concessale dal CnRS nel 1958 (il testo manoscritto è conservato in un quaderno tra i materiali non inventariati in PAnAP, P.iii–129, busta 32, riporto il testo come si legge, correggendo solo pochi errori di accentuazione o di genere): «en ce qui concerne les sources historiques on les considère non seulement comme témoins, c. à d. leur rôle intermédiaire entre les événement historiques et nous, les chercheurs, mais aussi comme faits historiques également, c. à d. reflétant le processus historique dans toute sa portée. en autres mots, l’analyse de la source historique envisage 1) premièrement la critique d’éruditions et littéraire et 2) deuxièmement le problème du milieu social et culturel, du moment historique où la source est née. [...] une telle interprétation des sources ajoute pour ainsi dire des faits historiques à l’histoire politique ou culturelle, des faits pas remarqués par nos anciens prédécesseurs [...] d’autant plus faut-il des efforts pour discerner la portée historique d’une transmission. on cherche alors à appliquer à l’interprétation de la source historique une méthode plus dynamique, une critique plus large qui surpasse dans beaucoup de points ce que nous enseignaient les manuels de méthode historique, surtout le manuel de bernheim, devenu classique et assimilé aux historiens polonais par Marceli Handelsman» (c. 6a r-v). 48 «oggi pomeriggio, rispettando il programma, sono stato ospite dei colleghi medievisti dell’università. Conoscono benissimo i miei lavori di storia della storiografia veneziana. Abbiamo parlato di długos [sic, si legga długosz J.K.] (ho in valigia, ricevuto in dono, il vol. iii, fresco di stampa) [si tratta dell’edizione dei libri 5-6 di Ioannis Dlugossii, Annales seu Cronicae incliti Regni Poloniae, Varsaviae 1973, J.K.] (Lettera a Gieysztor, Cracovia, il 23 maggio 1974, PAnAw, iii–352, fasc. 1134). Su questo viaggio vedi sopra. 49 Sugli inizi della collaborazione polacca al Repertorium vedi sopra, nota 18.


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 146

146

JAKub KuJAwiÑSKi

Già prima esso si riconosce in alcuni studi tedeschi sulla storiografia medievale, soprattutto in quelli di Johannes Spörl e Helmut beumann50; idee simili spuntano nella storiografia anglosassone (Vivian Hunter Galbraight51) e in quella francese (Jean-François Lemarignier52, per fiorire più tardi nell’opus di bernard Guenée53). Sarà il compito di future ricerche illustrare meglio lo sfondo su cui l’interesse per le fonti narrative, e in particolare per cronache, si rinnovava nei singoli ambienti storiografici e il ruolo degli stimoli reciproci54. Qui basti osservare che la stessa Kürbis 50 Si vedano, fra gli altri studi: J. SPöRL, Das mittelalterliche Geschichtsdenken als Forschungsaufgabe, «Historisches Jahrbuch», 53 (1933), pp. 281-304, H. beuMAnn, Widukind von Korvei. Untersuchungen zur Geschichtsschreibung und Ideengeschichte des 10. Jahrhunderts, weimar 1950. 51 V.H. GALbRAitH, Historical Research in Medieval England, London 1951 (the Creighton Lecture in History, 1949). 52 J.-F. LeMARiGnieR, Autour de la royauté française du IXe au XIIIe siècle, «bibliothèque de l’École des Chartes», 113 (1955), pp. 5-36: si vedano le considerazioni sulla continuation d’Aimoin del ms. Paris, bnF, lat. 12711 alle pp. 11-13 e Appendix (pp. 25-36), dove ricorre all’expertise di Jean Porcher per distinguerne tre parti e riflette sul metodo del compilatore storiografico. 53 Sull’impatto che i lavori di Arnaldi ebbero sugli studi di Guenée vedi il saggio di Jacques Verger nel presente volume. 54 nella medievistica polacca un “recupero” della soggettività delle fonti narrative si osserva nel primo dopoguerra, ad esempio, negli studi di Kazimierz tymieniecki sulle “légendes savantes” e, più in generale, sulle ideologie politiche elaborate nelle cronache medievali polacche (cfr. b. KüRbiS, Człowiek i kultura w perspektywie badawczej Kazimierza Tymienieckiego. Garœæ wsponieñ i refleksji, in Kazimierz Tymieniecki (1887-1968). Dorobek i miejsce w mediewistyce polskiej, cur. J. StRzeLCzyK, Poznañ 1990, pp. 99-112) e nel campo di storia delle idee nell’alto Medioevo occidentale (gli studi di Marian H. Serejski). L’interesse per la dimensione ideologica dei testi storici si trovò, nel secondo dopoguerra, in sintonia con le posizioni marxiste (cfr. SKibiÑSKi, Projekt Ÿródłoznawstwa cit., p. 14), che, a loro volta, spingevano a considerare una fonte parte immanente del “processo storico”. Su tale premessa Gerard Labuda formulava la sua definizione di fonte storica, quale «ogni avanzo psicofisico e sociale che per il fatto di essere prodotto del lavoro umano e di partecipare, allo stesso tempo, all’evoluzione di una società, acquisisce la capacità di riflettere quest’evoluzione» (G. LAbudA, Próba nowej systematyki i nowej interpretacji Ÿródeł historycznych, «Studia +ródłoznawcze», 1 (1957), pp. 3-52: 22; cfr. p. 43, dove, a proposito delle opere storiografiche, osserva che gli storici di solito le leggono come fonti delle notizie sugli avvenimenti, ma di rado le considerano come prodotti del processo storico che corrispondono ad una particolare tappa dell’evoluzione della coscienza sociale). un simile postulato di non isolare i testi storiografici dall’insieme dei processi storici e di cogliere la dinamica del pensiero storico fu essenziale nel progetto della storia generale della storiografia che Marian H. Serejski costruiva, non senza riferimenti crociani, a partire dal saggio Problematyka Historii Historiografii, in Pamiêtnik VII Powszechnego Zjazdu Historyków Polskich we Wrocławiu 19-22 wrzeœnia 1948, t. ii, z. 1, warszawa 1948, pp. 41-51. tutti e tre gli studiosi (tymieniecki, Labuda, Serejski) sono a vario titolo richiamati negli studi della Kürbis, che allo stesso tempo dimostrava una buona conoscenza degli studi tedeschi,


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 147

GiRoLAMo ARnALdi e LA SuA PoLoniA

147

vedeva i suoi lavori proprio in un contesto europeo e senza distinguere tra diverse storiografie nazionali notava un generale progresso metodologico. da borsista della XVii Settimana di Spoleto – quella dedicata alla storiografia altomedievale –, durante la quale aveva ascoltato la conferenza di Arnaldi e aveva fatto un lungo intervento sugli annali polacchi in seguito alla lezione di Ganshof, così concludeva la sua cronaca del convegno: Senza rinunciare ad una dettagliata critica erudita, secondo le migliori tradizioni del canone medievistico, gli studiosi europei hanno arricchito i loro studi sulla storiografia con i più raffinati metodi delle discipline filologiche [...], della storia della cultura intellettuale, della storia sociale e della mentalità. essi considerano la riflessione storica, che sia rozza o colta, come un dialogo deliberatamente istituito tra lo scrittore e il destinatario, in mezzo alle circostanze storiche e a proposito dei problemi i più essenziali di una società. Perciò la XVii Settimana, per averlo dimostrato, 55 si può tenere per una delle più importanti e più riuscite .

È soltanto un assaggio di una storia parallela delle storiografie italiana e polacca del novecento, ancora da scrivere. bisogna, infine, osservare, che la lunga e proficua collaborazione con gli studiosi polacchi, stimolando in Arnaldi l’interesse per la storiografia

compresi quelli di Spörl e di beumann. Alla monografia di quest’ultimo su Vidukindo dedicò un articolo di recensione (b. KüRbiS, Literaturoznawstwo a historiografia œredniowieczna, «Roczniki Historyczne», 20 (1951-52, apparso nel 1955), pp. 167-180: 167-177, in cui, riconoscendo l’importanza del lavoro, notava la mancata presa in considerazione dei condizionamenti ideologici e sociali delle posizioni del cronista, che beumann aveva cercato di caratterizzare soltanto a partire dalla lingua, dallo stile e dai riferimenti testuali. Recensendo invece, vent’anni dopo, una raccolta di studi di beumann (Ideengeschichtliche Studien zu Einhard und anderen Geschichtschreibern des früheren Mittelalters, darmstadt 1969) vi riconosceva il metodo di una più profonda analisi filologica storicizzante («Studia +ródłoznawcze», 16 (1971), p. 224). Cfr. le osservazioni fatte nel 1961 da Arsenio Frugoni sulla «costituzione per la filologia di un metodo storico» (A. Frugoni, La ricerca storica e le scienze ausiliarie, in Gli stati e le civiltà cit., pp. 257-314: 293). Forse proprio nel superamento dell’«antica separazione tra filologia e storia» (ancora Frugoni) a cavallo tra il XiX e il XX secolo sarebbe da cercare la vera base su cui nel pieno novecento si rinnovarono gli studi sulla storiografia medievale. 55 b. KüRbiS, Diciassettesima settimana di studio: La storiografia altomedievale, Spoleto, 10-16 aprile 1969, «Studia +ródłoznawcze», 15 (1971), p. 277-278: 278. Meno entusiasta era stato Gieysztor, che pure aveva partecipato alla Settimana (la sua cronaca in «Kwartalnik Historyczny», 77 (1970), pp. 271-273). Per il collega maggiore della Kürbis «troppo di rado si sentiva parlare della vita dei monumenti storiografici, delle loro funzioni nella formazione della coscienza sociale; troppo spesso l’orizzonte delle conferenze si limitava alla genesi di testi e al loro valore informativo, inteso come effettiva utilità per ricostruire singoli fatti».


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 148

148

JAKub KuJAwiÑSKi

moderna sul Medioevo polacco56 e alimentando in lui la curiosità per la cultura e per la storia contemporanea di Polonia (curiosità, e conoscenze, che trovarono espressione in vari articoli di giornale, su cui infra), non lo portò a fare del Medioevo polacco un tema di ricerca. non è che Arnaldi non sarebbe stato disposto ad allargare i suoi studi anche in quella direzione, come dimostra la conferenza dedicata a Polacchi a Venezia, e un padovano in Polonia nel secolo XIII, presentata al convegno italo-polacco a Venezia nel 1977 (è veramente un peccato che Arnaldi non l’abbia consegnata per la stampa nel volume degli atti)57. Lo sviluppo che nel caso di Arnaldi rimase piuttosto in potentia, è stato invece messo in atto da un’altra rappresentante della medievistica romana, Fiorella Simoni58, collaboratrice di Arnaldi nell’ateneo romano, dove incontrava i docenti polacchi

56 Alla metà degli anni Sessanta risalirebbe l’idea di Arnaldi, a quanto pare mai portata

in porto, di pubblicare in italia una raccolta di saggi di Gieysztor. Arnaldi ne scrive a Gieysztor, riferendosi evidentemente a qualche scambio precedente, nella lettera del 27 marzo [1965] (PAnAw, iii–352, fasc. 1134): «Per il Suo libro da pubblicare in italia, sono d’accordo sulla opportunità di rinunciare all’idea di tradurre il volume complessivo sul Medio evo polacco. una raccolta di saggi servirà certo meglio al mio scopo che è quello di far conoscere agli studiosi italiani i metodi della scuola storica polacca. Appena avrò avuto una risposta dagli editori che ho interpellati, Le scriverò ancora per metterci d’accordo sui dettagli». 57 Sul convegno vedi sopra, nota 29. il testo della relazione, non incluso negli atti, non è stato finora reperito, ma di quale padovano si trattasse è desumibile dalla copia dattilocritta della lettera scritta in italiano da Kürbis, datata al 26 febbraio 1978 (PAnAP, P.iii–129, fasc. 162). La mittente si rivolge al «Caro Professore e Collega» che, grazie al ricordo di sua «moglie Sara» nell’escatocollo, è senza dubbio identificabile con Arnaldi. Anche se la lettera non fa alcun cenno al convegno veneziano, la vicinanza temporale e il contenuto permettono di riferirla all’intervento di Arnaldi. infatti, Kürbis riassume quanto le era stato comunicato dal prof. zbigniew Perzanowski di Cracovia (l’originale ivi, datato al 13 gennaio 1978; la copia della lettera di Perzanowski si dice allegata alla lettera spedita ad Arnaldi) a proposito di alcuni documenti polacchi, tra cui la sentenza rilasciata nel 1238 da Salomone, canonico di Cracovia e arcidiacono di Sandomierz, e da uger, detto buzzacarinus, professore del diritto di Padova, e approvata da Sulislao (così Perzanowski intende un’aggiunta con il nome di Sulislao), canonico di Cracovia e studente a Padova che forse aveva chiamato buzzacarino in Polonia. Quest’ultimo sarebbe stato il “padovano in Polonia” trattato da Arnaldi. Sull’episodio vedi ora la voce di t. GRonowSKi, Sulisław, in Polski Słownik Biograficzny, 45/3, fasc. 183, warszawa-Kraków 2008, pp. 471-472. 58 Mi riferisco soprattutto ai tre saggi “polacchi”: Profezia e politica nella Polonia medievale: la Vita maior s. Stanislai, L’immagine di Stanislao di Cracovia nella produzione storico-letteraria tra XII e XIII secolo e La regalità dei primi Piasti tra memoria storica e leggenda, appartenti all’ultimo periodo dell’attività, prematuramente interrotta, della studiosa, usciti tra il 2002 e 2007 ed ora ripubblicati in F. SiMoni, Culture del medioevo europeo, cur. L. CAPo - C. FRoVA, Roma 2012, nn. 16-18. Cfr. A. FARA, L’Europa orientale negli studi di Fiorella Simoni, in Medioevo e Romanticismo cit., pp. 59-70.


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 149

GiRoLAMo ARnALdi e LA SuA PoLoniA

149

invitati59, e nella redazione centrale del Repertorium, dove già prima era responsabile delle voci polacche60. 3. i rapporti professionali che Arnaldi ebbe con gli storici polacchi ben presto acquistarono una dimensione più profonda. tra i primi e più cari amici polacchi era senz’altro Aleksander Gieysztor (1916-1999). Più vecchio di Arnaldi di tredici anni e nel 1958 già professore e direttore dell’istituto Storico dell’università a Varsavia, Gieysztor da “illustre e caro Professore” nelle prime lettere, divenne “caro collega e amico” negli anni Sessanta61; e a partire dagli anni Settanta nelle lettere private Arnaldi non si rivolgeva a lui se non con gli appellativi “carissimo amico”, “carissimo”, “carissimo Alessandro”. nel biglietto di auguri datato al natale del 1974 scriveva Arnaldi: «Penso spesso a te e ti considero parte di un’ideale facoltà universitaria, composta di amici che condividono la fede in alcuni valori essenziali sempre più calpestati nel mondo»62. Come risulta dai rinnovati inviti e precisi appuntamenti, Gieysztor più volte fu ospite a casa di

59 Come testimonia Karol Modzelewski, è stato proprio in occasione delle lezioni date alla Sapienza su invito di Arnaldi negli anni novanta che egli ha conosciuto Fiorella Simoni (K. ModzeLewSKi, Ricordo di Fiorella Simoni cit., p. 19). 60 Gieysztor esprimeva il grande apprezzamento della sua collaborazione nel resoconto dei lavori del Repertorium già alla metà degli anni Settanta: «w komitecie rzymskim na szczególne uznanie zasługuje współpraca z referentk¹ naszego działu dr Fiorelli [sic] Simoni balis-Crema» (A. GieySztoR, Repertorium fontium historiae medii aevi, «Studia +ródłoznawcze», 20 (1976), pp. 283-284: 283). 61 PAnAw, iii–352, fasc. 1134: “illustre e caro professore” (31 luglio 1959, 27 marzo 1965); Arnaldi apre la lettera spedita al rientro dal convegno in Polonia (26 settembre 1965) con “caro Amico”, ma si sente obbligato a scusarsi e aggiunge tra parentesi «mi permetta di rivolgermi a Lei con questo appellativo non accademico». nella seconda metà degli anni Sessanta Arnaldi esita tra appellativi riflettenti l’anzianità di Gieysztor: “illustre e caro professore” (4 marzo 1968), “Caro professore” (6 luglio 1967) e quelli esprimenti la parità dei colleghi: “illustre e caro collega” (20 ottobre 1966), “caro collega ed amico” (16 settembre 1968), “carissimo collega ed amico” (26 giugno 1966), “caro amico” (23 gennaio 1966; 20 marzo 1969). Se la consistenza della corripondenza ricevuta conservata nel lascito di Gieysztor può avere qualche significato, bisognerebbe constatare che i rapporti tra i due studiosi si consolidarono grazie al convegno in Polonia nel 1965, i cui preparativi, lo svolgimento e gli atti sono argomento di un proficuo scambio epistolare negli anni 1965-1968 (cfr. sopra). Precede queste lettere soltanto quella del 1959, che è la prima in assoluto. nello stesso senso andrebbe interpretata la lista dei suoi contatti all’estero che Gieysztor stese su richiesta dei servizi di sicurezza il 16 gennaio 1964. Ci si trovano i nomi di Raffaello Morghen, Giovanni Antonelli, Giuseppe ermini, Fulvio Crosara, Giorgio Cencetti, Giovanni Maver, Federigo Melis e Cinzio Violante, ma non di Arnaldi (AiPn bu 01168/126, cc. 51-52). 62 PAnAw, iii–352, fasc. 1134.


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 150

150

JAKub KuJAwiÑSKi

Arnaldi63. nel corso degli anni Settanta il cerchio di amici polacchi si allargò a includere altri studiosi, come Jerzy Kłoczowski (1924-2017), medievista specializzato in storia religiosa, docente all’università Cattolica di Lublino; bronisław Geremek (1932-2008), storico degli emarginati, formatosi a Varsavia e a Parigi, dove lo conobbe Arnaldi; Krzysztof Pomian (nato nel 1934), storico della filosofia, nel 1973 emigrato in Francia, dove due anni dopo fece conoscenza di Arnaldi64, e il più giovane di loro, Karol Modzelewski (classe 1937), storico e dissidente politico, che Arnaldi ha potuto conoscere soltanto durante il viaggio in Polonia nel 197465. i rapporti di amicizia stretti con un gruppo di studiosi polacchi operanti sia in Polonia che in diaspora presto portarono ad un interesse, e direi anche amicizia, verso il paese e la sua cultura, che nel frattempo si era rivelato il suolo patrio della moglie Sara. Quest’attenzione, a partire al più tardi dal 1981, travalicava una dimensione meramente personale, per assumere il carattere di un impegno civile. in seguito alla proclamazione della legge marziale in Polonia il 13 dicembre 1981, Arnaldi, insieme a Jacques Le Goff e Krzysztof Pomian, lanciò l’appello firmato da un gruppo di intellettuali europei e pubblicato, prima, il 21/22 dicembre, su «La Voce Repubblicana» e il giorno di natale su «Le Monde». i firmatari richiedevano «la liberazione immediata di tutti i detenuti» e s’impegnavano a rifiutare «ogni forma di collaborazione con organi alle dipendenze di un potere fondato sulla forza e sulla repressione», se le persecuzioni dei loro colleghi e amici polacchi fossero continuate66. Poco dopo, l’11 marzo del 1982, Arnaldi introdusse i lavori del convegno internazionale sul tema Cultura e

63 ivi, le lettere del 26 settembre 1965; 20 ottobre 1966; 6 luglio 1967; 4 marzo 1968; 16 settembre 1968; 20 marzo 1969; 3 agosto 1970; una lettera non datata scritta su un foglio intestato del CiSAM e della XiX Settimana (15-21 aprile 1971). 64 Come ricorda Krzysztof Pomian (lettera all’a. del 12 marzo 2017) l’occasione fu il convegno sul tema Les terreurs de l’an 2000 tenutosi a Jouy-en-Josas, 27-30 settembre del 1975, a cui entrambi parteciparono, Pomian in veste di relatore, Arnaldi in quella di uditore. A questo convegno Arnaldi dedicò poi due articoli: Il passato per il futuro, «il Giornale» (31 ottobre 1975), e La leggenda “progressista” dell’«oscuro Mille», «L’europa/idee e costume» (14-28 novembre 1975), ora ripubblicati in G. ARnALdi, Pagine quotidiane cit., pp. rispettivamente 409-415 e 90-99. 65 G. ARnALdi, Due medievisti a Danzica, in ARnALdi, Le mie Argentina e Polonia cit., pp. 59-64: 60, e Intervista a Karol Modzelewski, cur. P. GuGLieLMotti - G.M. VARAnini, «Reti Medievali Rivista», Xi (2010), 1 (gennaio-giugno), pp. 509-579: 525. 66 Gli intellettuali per la Polonia, «La Voce Repubblicana», Anno LXi, numero 157, nuova serie, 21-22 dicembre 1981, p. 1. All’appello è dedicato Il Punto nel numero 158 del 22/23 dicembre. La raccolta delle firme continuava nei giorni seguenti arrivando a 37 nomi nelle adesioni pubblicate nel numero del 5-6 gennaio del 1982 (Anno LXii, numero 2,


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 151

GiRoLAMo ARnALdi e LA SuA PoLoniA

151

politica in Polonia prima e dopo il colpo di Stato, voluto dal presidente del consiglio Giovanni Spadolini67. A partire da questo intervento, in una serie di articoli, o meglio saggi, pubblicati su «il Giornale» e «il Messaggero» negli anni ottanta e novanta, Arnaldi, si è fatto interprete delle attualità e della storia contemporanea della Polonia68. e ne era un interprete informa-

nuova Serie, p. 1). Cfr. il testo francese Plus de quatre mille scientifiques et intellectuels français demandent «de suspendre toute relation susceptible d’aider les auteurs, polonais ou non, du coup de force», «Le Monde», 25 dicembre 1981, p. 5. il numero di firme ammontò a 4150. Arnaldi aderì anche alla lettera aperta degli storici italiani a Henryk Jabłoñski, Presidente del Consiglio di Stato e professore di storia, del 21 gennaio 1982, nella quale oltre trecento firmatari chiedevano l’abolizione dello stato di guerra, il rilascio dei detenuti, facendo esplicitamente i nomi dei tre storici: władysław bartoszewski, bronisław Geremek e Karol Modzelewski. L’iniziativa, partita dall’ateneo fiorentino, è stata ricordata da Guido Vannini durante l’intervista a Karol Modzelewski (27 maggio 2014): Un caso di storia pubblica. Karol Modzelewski intervistato da Anna Benvenuti e Guido Vannini <https://www. youtube.com/ watch?v=cgm41tra_wQ> (a partire dal minuto 6.41; ultima consultazione il 10 giugno 2017; il filmato, del 2015, è corredato dalle foto dei documenti). Adam Manikowski, che svolgendo in quel tempo le sue ricerche a Firenze seguiva da vicino questa iniziativa, mi ha informato che Arnaldi aveva coordinato la raccolta di firme a Roma. La lettera, resa pubblica nei giornali, fu accompaganta dall’articolo di [A. MAniKowSKi], Cinque profili di storici polacchi, «Quaderni storici», 17/49 (1982), 1 (aprile), pp. 328-331, dove si offrivano i curricula vitae di cinque storici (oltre ai tre menzionati nella lettera, Jerzy Holzer e Jerzy Jedlicki) e i nomi di altri dieci, tutti internati. 67 G. ARnALdi, La cultura e politica a Varsavia prima e dopo il colpo di stato, in ARnALdi, Le mie Argentina e Polonia cit., pp. 49-57, pubblicato originariamente, insieme con gli altri interventi in Per la libertà della Polonia. Atti del Convegno su «Cultura e politica in Polonia prima e dopo il colpo di Stato» (Roma, 11 marzo 1982), Roma 1983 (ma 1984), pp. 13-21. il suo ruolo di ideatore e promotore di entrambe le iniziative mi è stato confermato da Krzysztof Pomian (lettera all’a. del 12 marzo 2017). 68 Si tratta dei seguenti articoli: Due medievisti a Danzica («il Giornale», 21 settembre 1982, ora in ARnALdi, Le mie Argentina e Polonia cit., pp. 59-64), Dopo la tavola rotonda del febbraio 1989 («il Giornale», 25 aprile 1989, ora in ARnALdi, Le mie Argentina e Polonia cit., pp. 65-70); Un cimitero polacco illustrato («il Giornale», 30 luglio 1989, ora in ARnALdi, Le mie Argentina e Polonia cit., pp. 71-76); L’Europa di là da venire di Krzysztof Pomian («il Messaggero», 30 agosto 1990, ora in ARnALdi, Le mie Argentina e Polonia cit., pp. 77-81); Le colpe e la fede di Jacek Kuroñ («il Messaggero», 3 dicembre 1990, ora in ARnALdi, Le mie Argentina e Polonia cit., pp. 83-87); La Polonia alle prese con la democrazia («il Messaggero», 19 febbraio 1996, ora in ARnALdi, Le mie Argentina e Polonia cit., pp. 89-92). A questi va accostata la Lettera a un soldato della libertà («La Repubblica – Mercurio/discussione», 27 gennaio 1990, ora in ARnALdi, Pagine quotidiane cit., pp. 646647) in cui Arnaldi rivolgeva a Karol [Modzelewski] una domanda sulle sorti del marxismo teoretico dopo la rivoluzione che si stava svolgendo nell’europa dell’est. un’attenzione alla Polonia e all’est europeo contemporanei traspare anche da alcuni articoli trattanti di fenomeni più generali o del passato remoto, ad esempio in Il passo falso di Amalrik: una tesi sulla ‘Russia di Kiev’ («L’europa / idee e costume», 3-17 ottobre 1975, ora in ARnALdi, Pagine quotidiane cit., pp. 530-535), L’imbroglio bulgaro («il Giornale», 7 gennaio 1983, ora in


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 152

152

JAKub KuJAwiÑSKi

tissimo. infatti, due dei suoi amici si trovavano in prima fila negli avvenimenti che avevano portato all’accordo dell’agosto 1980 e alla registrazione del sindacato di Solidarnoœæ – Modzelewski ne fu membro e portavoce, Geremek, uno dei consulenti esterni di wałêsa. Arnaldi commentando i mesi precedenti la legge marziale, si riferiva a quanto aveva saputo da Modzelewski, incontrato a Roma durante la visita della delegazione di Solidarnoœæ (13-19 gennaio 1981), e da Geremek, con cui parlò più volte nel novembre del 1981, sempre a Roma, dove Geremek, insieme a diversi altri storici polacchi, partecipava al convegno vaticano sulle Comuni origini cristiane delle nazioni europee (3-7 novembre). traspare nelle sue pagine il fascino esercitato su di lui dalla stretta collaborazione tra gli operai e gli intellettuali nel quadro di Solidarnoœæ e anche una specie di orgoglio che tra questi, oltre i giuristi, ci fossero illustri storici, come Geremek e Modzelewski; nonché il rispetto per la tenacia di chi, ormai internato, davanti alle proposte di lasciare per sempre il paese (e, aggiungeva Arnaldi, molte università italiane o francesi li avrebbero volentieri accolti) aveva deciso di rimanere in internamento69. Allo stesso tempo non gli sfuggivano le sfumature e le ombre: già nel gennaio del 1981 aveva colto delle differenze d’opinione e divisioni all’interno di Solidarnoœæ70. dopo l’internamento di entrambi (il 13 dicembre 1981) e l’arresto di Modzelewski (fino al 6 agosto 1984; Geremek fu rilasciato il 23 dicembre 1982, per essere poi arrestato dal maggio al luglio 198371), Arnaldi mantenne contatti con

ARnALdi, Pagine quotidiane cit., pp. 161-164), Guardate la storia: è proprio uno spettacolo («il Messaggero», 21 ottobre 1989, ora in ARnALdi, Pagine quotidiane cit., pp. 639-642) e Quando è il potere che si fa monaco («il Giornale», 11 dicembre 1989, ora in ARnALdi, Pagine quotidiane cit., pp. 643-646). una precoce (1961) testimonianza di tale attenzione verrebbe invece dal già citato Glossario dei termini storiografici (in Gli stati e le civiltà cit.) che contiene una serie di voci polacche (e slave) non scontate, come: “AK”, “AL” (p. 469), “Grody” (p. 501), “Krakusi” (p. 508), “Kral, Kralj, Krol” (p. 508), “Rada” (530), “zloty” (p. 544). Arnaldi svolgeva il suo impegno di commentatore anche tramite gli amici polacchi: ad es. già nel 1975 aveva invitato Pomian a scrivere per «L’europa» (28 novembre-12 dicembre 1975, pp. 15-16) l’articolo Dagli studenti di Varsavia agli operai di Danzica. La libertà d’espressione universitaria e le contraddizioni del regime polacco. 69 ARnALdi, La cultura cit., p. 57; ARnALdi, Due medievisti cit., pp. 59s. e 61. 70 Ibid., pp. 62s. 71 L’inchiesta contro Geremek fu aperta in seguito all’intervista rilasciata l’11 aprile a Franco Venturini a Varsavia e pubblicata il giorno dopo su «il tempo» (AiPn, bu 576/117/1-2). in una lettera mandata a Gieysztor, quale presidente dell’Accademia polacca delle Scienze, un gruppo di studiosi di torino (enrico Artifoni, Germana botto, Piermichele de Agostini, ugo Gherner, Paola Guglielmotti, Antonella Martina, Antonella tarpina) si dichiarò preoccupato dell’arresto ed espresse la speranza di una prossima scarcerazione di Geremek (la lettera e i firmatari sono menzionati nei rapporti del 9 e 20 giu-


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 153

GiRoLAMo ARnALdi e LA SuA PoLoniA

153

diversi altri amici e colleghi, come Gieysztor, che non era membro né del partito, né del sindacato, ma da presidente dell’Accademia Polacca delle scienze s’impegnava a mitigare la scissione che lacerava la società polacca. ovviamente, non erano argomenti da discutere epistolarmente (le lettere venivano lette dalla censura postale), ma Gieysztor, pur essendo sorvegliato dagli servizi di sicurezza, mantenne una relativa libertà di viaggiare e continuava a frequentare i convegni internazionali, tra cui le Settimane di Spoleto. All’inizio del 1989 proprio da Gieysztor Arnaldi ebbe notizie sulle negoziazioni della tavola rotonda, cui Gieysztor avrebbe partecipato. È, tra l’altro, significativo di una situazione ancora molto precaria il fatto che Arnaldi, su richiesta dell’interessato, nell’articolo uscito nell’aprile si riferisse a lui con le iniziali (A.G.). L’altro informatore sulle stesse vicende era Geremek, venuto in italia nel luglio del 1988, e poi nell’aprile del 1989, accompagnando wałêsa durante la sua visita in italia, subito dopo la legalizzazione di Solidarnoœæ72. emblematica della posizione di Arnaldi e dell’intrecciarsi delle diverse dimensioni dei suoi rapporti con la Polonia in quegli anni fu la XXX Settimana di Spoleto (15-21 aprile 1982). È un episodio assai noto e ormai più volte raccontato, anche al lettore italiano73, ma siccome ebbe come

gno 1983, stesi nel quadro dell’operazione di sorveglianza di Gieysztor da parte dei servizi di sicurezza, AiPn bu 0222/551, c. 292 e 302). 72 G. ARnALdi, Dopo la tavola rotonda cit. Ancora nel 1986 a Geremek non fu concesso di fare un viaggio a Parigi, perciò la sua conferenza su Marc Bloch, historien et résistant (uscita successivamente su «Annales. Économies, Sociétés, Civilisations», 41/5 [1986], pp. 1091-1105) fu letta a Parigi da Jacques Le Goff (l’episodio è ricordato da Geremek in Bronisław Geremek en diálogo con Juan Carlos Vidal, Madrid 1997, p. 39). A Modzelewski, invitato a insegnare all’École des Hautes Études e al Collège de France il passaporto di servizio fu rifiutato perfino nella primavera del 1989 (Intervista a Karol Modzelewski cit., p. 527). della visita di wałêsa esiste un interessante documentario dal titolo Œwiatło idzie z Gdañska, girato da un’agenzia televisiva indipendente Video Studio Gdañsk (1989) <https://www.youtube.com/watch?v=j4yn6Q2wP_g> (ultima consultazione il 10 giugno 2017). 73 oltre alle parole di Arnaldi citate sotto, si vedano la recente Intervista a Karol Modzelewski cit., p. 541, e F.M. CAtALuCCio, Introduzione. Alla ricerca dell’Europa perduta, in b. GeReMeK, Le radici comuni dell’Europa, Milano 1991, p. XiX, nota 33. non è invece precisa l’informazione (ivi, p. XiX), che durante la prigionia Modzelewski avrebbe scritto il libro dallo stesso titolo della relazione spoletina: il libro sull’Organizzazione economica dello stato dei Piast fu scritto dopo la seconda scarcerazione nel 1971 e pubblicato nel 1975; è stato invece il libro sui Contadini nella monarchia dei primi Piast a essere stato scritto durante l’internamento e poi arresto, negli anni 1981-1984, per essere pubblicato nel 1987 (sulle condizioni in cui nacquero i due libri vedi K. ModzeLewSKi, ZajeŸdzimy kobyłê historii. Wyznania poobijanego jeŸdŸca, warszawa 2013, pp. 128s., 194, 345s.).


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 154

154

JAKub KuJAwiÑSKi

protagonisti due storici polacchi, Karol Modzelewski e Aleksander Gieysztor, entrambi amici di Arnaldi, e Arnaldi stesso, non posso rinunciare a ripresentarlo in questa sede. ne abbiamo i ricordi di tutti e tre i protagonisti, complementari uno all’altro. La Settimana del 1982 era dedicata agli Slavi occidentali e il programma comprendeva conferenze di più relatori polacchi. La loro partecipazione però fu messa in forse dalla legge marziale, imposta il 13 dicembre del 1981, che comportava l’effettiva chiusura delle frontiere. Alla fine i borsisti e i relatori polacchi, con Gieysztor come capo della delegazione, poterono andare a Spoleto74, tutti tranne Modzelewski, che dalla stessa notte del colpo militare era detenuto in un campo di internamento, insieme ai compagni di Solidarnoœæ. Modzelewski, senza aver ricevuto le pubblicazioni che aveva richiesto, disponendo tuttavia di un suo recente libro e di una memoria fenomenale, e sollecitato da Gieysztor, scrisse nel campo la sua relazione dal titolo L’organizzazione dello stato polacco nei secoli X-XIII e la consegnò al comandante del campo perché fosse trasmessa a Gieysztor, allora presidente dell’Accademia Polacca delle Scienze. Modzelewski – come risulta dalla sua lettera spedita in marzo a Gieysztor e come esplicitamente racconta nelle sue memorie pubblicate recentemente –, temeva che il testo, scritto in italiano, fosse a lungo trattenuto dalle autorità del campo senza arrivare in tempo a Gieysztor e con lui alla Settimana. Perciò, previdentemente, lo scrisse in due copie e clandestinamente diede l’altra ad un giovane gesuita, confessore dei detenuti, il quale la consegnò a Gieysztor75. Fin qui Modzelewski. Come proseguisse la storia egli lo ha potuto sapere solo post factum e di seconda mano. ne parla invece Gieysztor, molto genericamente nella lettera spedita ancora da Spoleto al suo collega Gerard Labuda e in dettaglio in una intervista degli anni novanta: egli partì per l’italia con la copia clandestina, quella legale gli pervenne quando era già a Spoleto, tramite una borsista polacca, Maria dembiñska. il testo fu letto da Arnaldi, assistito da Lech Leciejewicz, che pronunciava i nomi propri o le parole tecniche in

dalla Polonia, oltre a Gieysztor, vennero, come relatori, Juliusz bardach, Kazimierz Godłowski e Lech Leciejewicz, più witold Hensel (senza relazione) e Maria dembiñska e teresa dunin-w¹sowicz come borsiste. Piotr Skubiszewski, anche lui relatore, venne da Poitiers. A Spoleto furono anche presenti altri studiosi polacchi che il 13 dicembre 1981 si trovavano all’estero con diverse borse di studio, tra cui Jacek banaszkiewicz da Gottinga, Maria Koczerska da Parigi e Halina Manikowska da Firenze (ringrazio Maria Koczerska e Halina Manikowska per i loro ricordi su quella Settimana del tutto particolare). 75 La lettera di Modzelewski, datata al 1 marzo 1982, è stata pubblicata da R. JARoCKi, Opowieœæ o Aleksandrze Gieysztorze, warszawa 2001, pp. 257s. Modzelewski ricorda l’episodio in K. ModzeLewSKi, ZajeŸdzimy kobyłê historii cit., pp. 344s. 74


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 155

GiRoLAMo ARnALdi e LA SuA PoLoniA

155

polacco76. ne abbiamo, infine, il ricordo dello stesso Arnaldi. nell’articolo scritto per «il Giornale» alcuni mesi dopo e dedicato ai suoi amici medievisti detenuti nei campi di isolamento, scriveva a proposito di Modzelewski: «Ho avuto l’onore di prestargli la mia voce, così debole in confronto alla sua, capace – mi assicurano – di dominare le assemblee più agitate. Appena ho cominciato a leggere, due studiosi della Germania orientale abbandonarono la sala in segno di tacita protesta. Confesso che non me ne rammaricai»77. La lettura pubblica della relazione di Modzelewski fu presa male dal regime78 e fu una delle premesse per sottoporre Gieysztor ad una sistematica sorveglianza dal maggio 198279. Sbaglierebbe chi volesse interpretare l’abbandono da parte di Arnaldi della scrittura pubblicistica sugli argomenti polacchi a partire della fine degli anni novanta come segno dello spegnersi del suo interesse per l’attualità del paese. egli non smise mai di manifestare un’attenzione particolare alla politica e alla cultura polacca di oggi e d’informarsene tramite i suoi amici polacchi, frequentando assiduamente gli eventi culturali presso l’istituto Polacco di Cultura e presso l’Accademia Polacca a Roma e leg76 La lettera è stata edita in wÊCowSKi, Listy Aleksandra Gieysztora cit., n. 123, p. 477. il ricordo di Gieysztor in JARoCKi, Opowieœæ o Aleksandrze Gieysztorze cit., p. 259. 77 ARnALdi, Due medievisti a Danzica cit., p. 64. negli atti della Settimana la nota aggiunta al titolo della relazione di Modzelewski diceva: «il prof. Modzelewski non è potuto intervenire ma ha inviato il testo della sua lezione, che è stato letto nella seduta» (Gli Slavi occidentali e meridionali nell’alto medioevo, Spoleto 1983 [XXX Settimana], p. 12). 78 L’episodio spoletino fu oggetto di un rapporto degli servizi di sicurezza, datato a Varsavia, l’8 maggio del 1982. il funzionario osservava che il fatto poteva suscitare «dei commenti ostili da parte di certi centri di diversione ideologica nell’ovest» (AiPn, bu 0222/551, c. 59; ed. in Spêtana Akademia. Polska Akademia Nauk w dokumentach władz PRL, i. Materiały Słu¿by Bezpieczeñstwa (1967-1987), cur. P. PLeSKot - t.P. RutKowSKi, warszawa 2009, n. 119, p. 341). 79 Si veda il rapporto fatto a Varsavia, il 17 maggio 1982 (AiPn, bu 0222/551, cc. 810; ed. Spêtana Akademia cit., i, n. 120, p. 342 s.). nessun’altra reazione a questo né agli altri atti di solidarietà compiuti da Arnaldi in seguito al 13 dicembre 1981 è venuta alla luce dal primo sondaggio dei documenti prodotti da: 1) Ministero degli Affari esteri, in particolare dal dipartimento iV, responsabile dell’europa occidentale (fondo Departament IV: 46/84, w. 1, wł. 0-22; 7/86, w. 1, wł. 22; 8/86, w. 3, wł. 22, wł. 023; 8/86, w. 12, og. 35, og. 50) e dall’Ambasciata polacca a Roma (dispacci ricevuti da Roma dal 13 dicembre 1981 fino a fine maggio 1982, fondo Zespół depesz, 23/84, w. 13, teczka 123; 26/84, w. 15, teczka 124); 2) Servizi di sicurezza incorporati nel Ministero dell’interno: AiPn bu, 0449/41/6 (dossier relativi ai politici polacchi e stranieri, 1974-89, dossier Giovanni Spadolini, cc. 189222), AiPn, bu 1368/9058 (fascicolo personale di Giovanni Spadolini), AiPn, bu 0204/517/1-3 (materiali prodotti nel quadro dell’operazione della sorveglianza di Krzysztof Pomian, interrotta nel 1975), AiPn, bu 2602/16605 e 2602/16606 (materiali vari relativi ai cittadini polacchi in italia e italiani in Polonia negli anni 1976-1981 e 1983-1985; 3) Corpo di Stato Maggiore dell’esercito Polacco (AiPn bu 2602/20028, cc. 166-197).


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 156

156

JAKub KuJAwiÑSKi

gendo i libri polacchi tradotti in lingue occidentali; una curiosità di cui nell’ultimo decennio io stesso ho potuto essere più volte testimone. una naturale conseguenza dei rapporti pluriennali con gli studiosi polacchi fu, nel 1991, il conferimento dello status di membro straniero dell’Accademia Polacca delle Scienze, su proposta di Gieysztor80. in riconoscimento del suo impegno, non più soltanto scientifico, nel 2012 il Presidente della Repubblica bronisław Komorowski ha conferito a Girolamo Arnaldi la Croce di Commendatore con Placca dell’ordine al Merito della Repubblica della Polonia81. Ho già menzionato diversi atti della solidarietà che univa Gilmo e i suoi amici polacchi nelle difficoltà. La vicinanza reciproca nei momenti tristi è un’ulteriore cifra di questi rapporti. nel 1983 Gieysztor esprimeva a Gilmo il dolore per la scomparsa di Raffaello Morghen82. un anno dopo brygida Kürbis indirizzava a Gilmo un breve ma molto personale ricordo di Raoul Manselli, alla sua dipartita nel 198483. È stato poi Gilmo, nella lettera spedita a Gieysztor, a salutare Ryszard walczak, membro del comitato polacco del Repertorium, morto prematuramente nel 198984. Seguirono le

il documento della presentazione del candidato (del 4 marzo 1991), indirizzato ad Andrzej wyczañski, segretario della Facoltà i (classe di scienze umanistiche e sociali) dell’Accademia, firmato da Aleksander Gieysztor, metteva in rilievo, oltre al profilo scientifico e alle funzioni ricoperte da Arnaldi, i suoi meriti per aver agevolato la partecipazione degli studiosi polacchi ai convegni italiani, tra cui le Settimane di Spoleto, e per essere stato co-ideatore della Scuola italo-polacca (il documento è conservato presso il Gabinetto del Presidente dell’Accademia Polacca delle Scienza a Varsavia: ringrazio Małgorzata Andrzejewska-Ratajczyk per avermelo reso disponibile). Concludeva Gieysztor, nello stesso testo, che la sua proposta era appoggiata dal centro romano dell’Accademia. infine, per mezzo delle lettere, alla proposta hanno subito aderito Stanisław tabaczyñski, archeologo, Jerzy topolski, studioso della storia moderna e della metodologia (le loro lettere del, rispettivamente, 5 e 7 marzo, sono conservate insieme alla proposta), e di Gerard Labuda, medievista (lettera del 12 marzo, menzionata in wÊCowSKi, Listy Aleksandra Gieysztora cit., p. 479, nota 2 alla lettera n. 40 (124) in cui Gieysztor, il 4 marzo, chiedeva l’adesione di Labuda). nel lascito di Gieysztor (PAnAw, iii–352, fasc. 702, c. 21) si conserva il dattiloscritto del discorso fatto da Gieysztor nella sede dell’Ambasciata polacca a Roma in occasione della consegna dei diplomi ai neoeletti membri dell’Accademia: Arnaldi, Sante Graciotti, Riccardo Picchio e Michele Jamiolkowski. 81 Anche questa cerimonia ebbe luogo all’Ambasciata, l’11 luglio del 2012. 82 Minuta manoscritta della lettera in francese, datata luglio 1983, conservata nel lascito di Gieysztor (PAnAw, iii–352, fasc. 1122, c. 43). 83 La minuta della lettera in italiano e il dattiloscritto con firma autografa di Kürbis, quest’ultimo datato al 6 aprile 1985, si conservano nel lascito della studiosa (PAnAP, P.iii–129, fasc. rispettivamente 43 e 129). 84 Lettera dattiloscritta con firma autografa di Arnaldi, datata il 17 gennaio 1990, conservata nel lascito di Gieysztor (PAnAw, iii–352, fasc. 1134). tra la corrispondenza 80


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 157

GiRoLAMo ARnALdi e LA SuA PoLoniA

157

scomparse degli amici più cari, che Gilmo ricordò impegnandosi nell’organizzazione a Roma delle giornate loro dedicate: quella in memoria di Gieysztor, scomparso nel 1999, tenutasi all’Accademia polacca nel 200085; quella dedicata a bronisław Geremek, scomparso in un incidente stradale nel 2008, tenutasi presso l’Accademia dei Lincei l’anno successivo86. ora sono gli amici polacchi, medievisti e non, a sentire con dolore la mancanza del loro grande interlocutore, socio, amico.

spedita (ivi, fasc. 1122, cc. 44-45) si conservano la minuta manoscritta e il dattiloscritto della lettera in francese (datate entrambe il 18 dicembre 1989), con la quale Gieysztor informava Arnaldi della scomparsa di walczak e comunicava la decisione, presa d’intesa con Kürbis, di affidare la guida del comitato polacco del Repertorium a Roman Michałowski. 85 Aleksander Gieysztor 1916-1999, uomo e studioso. Atti della giornata di studio svoltasi all’Accademia polacca di Roma e all’istituto polacco di Roma il 15 maggio 2000, cur. K. ¯AboKLiCKi, Varsavia-Roma 2002 (Accademia Polacca delle Scienze. biblioteca e Centro di Studi a Roma, Conferenze 116); si vedano i riconoscimenti ad Arnaldi espressi da K. ¯aboklicki, p. 7, e da b. Geremek, p. 11. 86 e. CywiAK, L’Accademia dei Lincei ricorda l’europeista Geremek http://www.polonia-mon-amour.eu/2009/04/24/976/ (ultima consultazione il 10 giugno 2017).


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 158

158

JAKub KuJAwiÑSKi

Fig. 1 - Lettera di Girolamo Arnaldi ad Aleksander Gieysztor, 31 luglio 1959 (dal lascito di Aleksander Gieysztor in warszawa, Polska Akademia nauk Archiwum w warszawie, iii–352, fascicolo 1134)


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 159

GiRoLAMo ARnALdi e LA SuA PoLoniA

159

Fig. 2 - Girolamo Arnaldi a ostrów Lednicki in Polonia, settembre 1965 (dal lascito di brygida Kürbis in Poznañ, Polska Akademia nauk Archiwum w warszawie, oddział w Poznaniu, P.iii–129, fascicolo 83)


12Kujawinski_Nuovi Studi Storici 06/03/18 12:01 Pagina 160


13Verger_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:37 Pagina 161

Jacques Verger girolamo arnaldi e la storiografia francese

il tema dei rapporti tra girolamo arnaldi e la storiografia francese non è cosi facile da affrontare. da un lato, è ovvio che lui amava la francia, che era francofono e francofilo, un’atteggiamento che, per dire il vero, s’estendeva ad altri paesi, come la germania o la Polonia, e s’inseriva più genericamente nelle sue convinzioni europee, nel suo attaccamento ai valori della civiltà europea. e, per quanto ci tocca, è chiaro che conosceva perfettamente la storiografia francese, sia vecchia, sia recente, come lo dimostrerebbe uno spoglio delle sue note bibliografiche, anche se i suoi argomenti prediletti, come vedremo, non erano sempre quelli più studiati dagli storici francesi. e aggiungerei che era grande amico dei medievisti francesi più noti della sua età, come georges duby, Jacques le goff, Pierre toubert e andré Vauchez o Jean-marie martin. si devono anche ricordare le relazioni regolari che ha avuto girolamo arnaldi colle istituzioni scientifiche francesi, sia a roma – si pensa evidentemente all’École française della quale era un frequentatore abituale –, sia a Parigi dove fu professore invitato da Pierre toubert all’École pratique des Hautes Études alla fine degli anni ’70 e socio corrispondente (nel 1990) e poi socio straniero (nel 2000) dell’académie des inscriptions et Belles-lettres. non si devono tuttavia esagerare questi rapporti istituzionali colla francia. non partecipava regolarmente a convegni storici o incontri scientifici in francia, non è mai stato chiamato come membro di una commissione d’esame per una tesi di dottorato od una abilitazione, non è mai stato invitato, che io sappia, a tenere lezioni in una università francese. d’altronde, ha pubblicato pochi testi in francese e i suoi libri maggiori non sono stati tradotti in francese. in realtà, come già detto, aveva probabilmente, per ragioni diverse, lo stesso tipo di rapporti con altri paesi e tutto questo sarebbe da inserire nel quadro generale della sua coscienza civica che combinava un forte radicamento nella realtà politica, sociale, culturale italiana ed un’apertura europea sempre sveglia.


13Verger_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:37 Pagina 162

162

Jacques Verger

se rivolgiamo la nostra attenzione all’opera scientifica di girolamo arnaldi, abbiamo la stessa impressione un po’ ambigua. i temi principali delle sue ricerche (e dei suoi allievi) sono ben conosciuti, anche se manca fino a oggi un elenco completo delle sue pubblicazioni1: storia politica del regno d’italia nell’alto medio evo, storia della chiesa e specialmente del papato nell’alto medio evo, da gregorio magno a gregorio Vii, figure della cultura altomedievale in italia come anastasio Bibliotecario o liutprando, storia di roma, storia della cultura venetà e vicentina, storia della storiografia e della cronistica medievale, storia della scuola e delle università. si vede che, grosso modo, questi temi, benché abbastanza diversi, per non dire eclettici, non erano quelli che interessavano di più i medievisti francesi negli anni ’60/’70, i quali si preoccupavano maggiormente sia di storia economica o demografica, sia di storia delle mentalità, della religione popolare, delle eresie, delle rappresentazioni, ecc., temi che, per conto loro, avevano una certa risonanza in italia – basta pensare alle settimane di Prato organizzate da federigo melis, grande amico di Braudel, o ai lavori di raoul manselli nel campo della storia religiosa. invece, quelli di arnaldi s’inserivano piuttosto in una tradizione di erudizione diplomatica e filologica di ispirazione germanica o, semplicemente, italiana. Paradossalmente, si potrebbe anche suggerire che le cose sono andate alla rovescia e che sono gli interessi scientifici di girolamo arnaldi – la storia politica come storia del potere e della giustizia, la storia culturale come storia delle idee e dell’insegnamento, la storia della storiografia – che, negli anni successivi, hanno trovato o ritrovato diritto di cittadinanza tra gli storici francesi, coi lavori di Bernard guenée, Philippe contamine, Pierre toubert, andré Vauchez e dei loro discepoli. naturalmente, non intendo dire che per questo girolamo arnaldi avrebbe avuto un ruolo decisivo in questo nuovo orientamento della storiografia francese. molti altri fattori sono da tener presenti, in particolare l’influenza degli storici anglosassoni. ma si tratta ovviamente di una coincidenza non totalmente casuale. nel grande libro di Bernard guenée su Histoire et culture historique dans l’Occident médiéval (1a edizione nel 1980, 2a nel 1991)2, i lavori di girolamo arnaldi sui cronisti di Venezia e della marca trevigiana vengono

1 finora la più completa sembra essere quella del sito web <http://www.ri.opac. regesta-imperii.de, sub voce «arnaldi, girolamo», che elenca 167 titoli (ultima consultazione il 8 aprile 2017). 2 B. guenÉe, Histoire et culture historique dans l’Occident médiéval, Paris 19912 (collection historique).


13Verger_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:37 Pagina 163

girolamo arnaldi e la storiografia francese

163

ampiamente citati3. il volume di françois Bougard su La justice dans le royaume d’italie (Viiie-xie siècle) rimanda ad una problematica che potremmo dire arnaldiana4. ma la cultura storica e la concezione della storia di girolamo arnaldi non si riducevano all’aspetto erudito della sua opera scientifica. c’è anche una parte, allo stesso tempo più teorica e più personale della sua opera, che emerge soprattutto attraverso introduzioni, postfazioni, interventi congressuali o articoli di rivista, in particolare articoli pubblicati nella sua rivista prediletta, «la cultura. rivista di filosofia, letteratura, storia», con titoli significativi: «riflessioni», «considerazioni», ecc. non ho la pretesa di aver letto tutti questi testi, più o meno accessibili, ma è in alcuni di loro che ho trovato osservazioni interessanti per il nostro compito. l’ambiente intellettuale nel quale cominciò la sua formazione di storico fu naturalmente, soprattutto a napoli, quello dello storicismo crociano portato a roma da federico chabod. anche la critica marxista dell’idealismo di Benedetto croce, scoperta attraverso i Quaderni del carcere di gramsci, si riferiva a questa stessa prospettiva storicista5. arnaldi lamentava l’ignoranza delle tesi crociane da parte dei francesi ma, allo stesso tempo, scopriva l’«école des annales» che era, diceva, «dopo la seconda guerra mondiale, la scuola storiografica di maggiore risonanza internazionale» e che forniva un prezioso contrappeso allo storicismo allora prevalente in italia, come abbiamo appena visto6. È chiaro che in quegli anni ’50-’70, per lui come per tutti in italia e altrove all’estero, si identificava «scuola storiografica francese» con «école des annales» anche se, in realtà, già a questo momento altre correnti storiografiche, meno egemoniche, meno prevalenti, esistevano pure in francia.

3 specialmente g. arnaldi, Studi sui cronisti della Marca Trevigiana nell’età di Ezzelino da Romano, roma 1963 (studi storici, 48-50) ; arnaldi, Cronisti di Venezia e della Marca Trevigiana dalle origini alla fine del secolo xiii, in Storia della cultura veneta, 1, Dalle origini al Trecento, Vicenza 1976, pp. 387-423 ; arnaldi, i cronisti di Venezia e della Marca Trevigiana nel secolo xiV, in Storia della cultura veneta, 2, il Trecento, Vicenza 1976, pp. 272-337 ; arnaldi, Realtà e coscienza cittadine nella testimonianza degli storici e cronisti vicentini dei secoli xiii e xiV, in Storia di Vicenza, cur. arnaldi et al., 2, L’Età medievale, cur. g. cracco et al., Vicenza 1988, pp. 295-358. 4 f. Bougard, La justice dans le royaume d’italie de la fin du Viiie au début du xie siècle, rome 1995 (Bibliothèque des Écoles françaises d’athènes et de rome, 291). 5 Vedere g. arnaldi, impegno dello storico e libertà della memoria, in arnaldi et al., incontro con gli storici, roma-Bari 1986 (saggi tascabili laterza, 116), pp. 3-16 : 6-9. 6 ibid., p. 7.


13Verger_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:37 Pagina 164

164

Jacques Verger

un’altra corrente intellettuale francese degli anni ’50 a riguardo della quale arnaldi riconosceva un certo debito, almeno indiretto, era quella iniziata da teologi cattolici come i Padri chenu, de lubac o congar che promuovevano la cosiddetta «teologia del laicato» e aprivano la via al concilio Vaticano ii7. certo, arnaldi non era impegnato in questo movimento religioso come morghen o manselli, ma ha riconosciuto l’influenza che l’ecclesiologia di Padre congar ha avuto sulle sue riflessioni sulla chiesa e il papato altomedievali8. Per tornare all’«école des annales», arnaldi era cosciente delle sue debolezze. ironizzava sulla sua pretesa di rappresentare la «nuova storia» («la nouvelle histoire»)9 e di svelare «un autre moyen Âge» finora nascosto10. Più importante, era sospettoso di fronte al ricorso sistematico all’antropologia ed altre «scienze umane» che non esitava a qualificare «tediosissime»11 e probabilmente inutili perché vi mancano la precisione del documento autentico e il sapore concreto della vita che si manifesta attraverso il carattere unico, imprevedibile e irreversibile degli avvenimenti storici. d’altra parte, diffidava degli effetti negativi di questa pseudo scientificità sulla scrittura storica e invocava, come duby in francia, l’esigenza di una certa qualità letteraria del discorso storico12. teneva a questa dimensione retorica del nostro mestiere, come dimostra il suo stile, sempre elegante e sottile. malgrado queste riserve, con le quali molti studiosi francesi sarebbero oggi d’accordo, arnaldi riconosceva alla scuola storiografica francese il grande merito di aver restituito agli storici ciò che chiamava, riprendendo una formula di mario del treppo, «la libertà della memoria»13, cioè la possibilità di scappare alla «pericolosa tendenza a piegare la storia […] per dare risposta a problemi posti dal presente», caratteristica, secondo lui, di una certa storiografia italiana14.

7 8

ibid., p. 11. g. arnaldi, Congar et l’ecclésiologie du haut Moyen Âge, in Cardinal Yves Congar, 1904-1995. actes du colloque réuni à rome les 3-4 juin 1996, dir. par a. VaucHez, Paris 1999 (coll. «Histoire»), pp. 27-39. 9 sulla cosiddetta «nouvelle histoire», vedere i libri-manifesti Faire de l’histoire, dir. J. le goff - P. nora, 1, Nouveaux problèmes, 2, Nouvelles approches, 3, Nouveaux objets, Paris 1974 (Bibliothèque des histoires) e La nouvelle histoire, dir. J. le goff - r. cHartier - J. reVel, Paris 1978 (les encyclopédies du savoir moderne, 11). 10 secondo il titolo di J. le goff, Pour un autre Moyen Âge: temps, travail et culture en Occident: 18 essais, Paris 1977 (Bibliothèque des histoires). 11 arnaldi, impegno dello storico cit., p. 13. 12 ibid., p. 15. 13 ibid., p. 14. 14 ibid., p. 11.


13Verger_Nuovi Studi Storici 26/03/18 10:10 Pagina 165

girolamo arnaldi e la storiografia francese

165

Per girolamo arnaldi, come l’ha ripetuto parecchie volte, il modello insuperabile lasciato dall’«école française» era marc Bloch, il marc Bloch dei Rois thaumaturges e della Société féodale, «forse il più grande medievista del secolo XX»15. di marc Bloch, arnaldi ammirava l’attenzione accurata ai documenti originali, la distanza critica rispetto alle filosofie della storia, la visione complessiva del passato. non a caso, aveva scelto come titolo della raccolta di articoli uscita nel 2010 Conoscenza storica e mestiere di storico16, titolo che s’ispirava chiaramente a quello del libro postumo di marc Bloch, Apologie pour l’histoire ou métier d’historien17. ovviamente, ammirava in marc Bloch la simbiosi del rigore intellettuale dello storico professionale, la curiosità per le realtà contemporanee, l’impegno civico nella resistenza antifascista fino alla morte eroica. rispetto agli altri portavoci delle «annales», il giudizio di arnaldi era più ambiguo. di Braudel, per esempio, diceva in un articolo pubblicato in «la cultura» nel 2009 non solo che aveva scoperto negli anni ’50 La Méditerranée et le monde méditerranéen à l’époque de Philippe II e l’aveva ritenuto «forse il più bel libro di storia uscito dopo la seconda guerra mondiale», ma che, a tanti anni di distanza, ribadiva questo giudizio, sempre affascinato dalla facilità con la quale l’autore si muoveva nello spazio e nel tempo, dal tre al seicento, anche se contestava le periodizzazioni un po’ fluttuanti e indecise che Braudel proponeva per la storia dell’italia rinascimentale18. invece, si è dimostrato abbastanza severo per il Montaillou di emmanuel le roy-ladurie (1975)19 che gli sembrava il caso tipico di un lavoro di microstoria, pervaso dall’antropologia, certo brillante ma finalmente insignificante, che non ci rivela che una «storia immobile», trascurando la natura stessa del documento, sul quale si fonda, che non è un’inchiesta antropologica, ma un registro dell’inquisizione trecentesca20. e arnaldi sentiva la stessa diffidenza di fronte alle prove di storia comparata, per esempio sul feudalesimo. non è che il metodo comparatista sia

15 16

Ibid., p. 13. g. arnaldi, Conoscenza storica e mestiere di storico, Bologna 2010 (Pubblicazioni dell’istituto italiano di studi storici in napoli). 17 m. Bloch, Apologie pour l’histoire ou métier d’historien, 1ère éd. avec un appendice de l. feBvre, Paris 1949 (cahiers des annales, 3). 18 f. Braudel, La Méditerranée et le monde méditerranéen à l’époque de Philippe II, 1ère éd., Paris 1949; 2e éd. revue et augmentée, 2 voll., Paris 1966. 19 e. le roy ladurie, Montaillou, village occitan de 1294 à 1324, Paris 1975 (Bibliothèque des histoires). 20 arnaldi, Impegno dello storico cit., pp. 14-15.


13Verger_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:37 Pagina 166

166

Jacques Verger

per sé illegittimo, ma sboccava, secondo lui, su generalizzazioni troppo vaghe e poco significative21. non intendo dire con questo che girolamo arnaldi difendeva una concezione puramente erudita ed analitica della storia. È vero che, a differenza di altri medievisti, francesi o italiani, non ha mai prodotto grandi sintesi sulla storia o la civiltà medievale. ma non disprezzava questi tentativi e ne discuteva le tesi, se non con recensioni critiche (un genere che, mi sembra, praticava poco), almeno attraverso articoli, saggi e pubblicazioni di divulgazione di alta qualità per non parlare dei moltissimi articoli, sempre accurati, che ha regolarmente scritto su diversi giornali quotidiani22. aveva una mente allo stesso tempo analitica e sintetica, era «poliedrico e multiforme», come ha scritto amedeo feniello23. non mi pare che i rapporti tra girolamo arnaldi e la storiografia francese si debbano pensare solo in termini di influenza o di rifiuto, di imitazione o di critica: arnaldi era un uomo di grande cultura, lettore instancabile, dotato di una visione larga e esigente del «mestiere di storico», al servizio della quale metteva tutte le risorse accessibili, incluse, ma non solamente, quelle della storiografia francese. fedele ad una prassi erudita della ricerca storica, basata sull’esame critico dei documenti originali, combinava questa esigenza metodologica, in maniera esplicita o implicita, con una concezione ampia e articolata, nel tempo e nello spazio, del medio evo occidentale (e anche bizantino ed islamico)24. sospettoso, come ho già detto, di fronte al comparativismo e allo storicismo, sia marxista, sia idealistico, prudente nell’uso delle categorie astratte e degli strumenti teorici, non aderiva per questo ad un semplice empirismo. manteneva la necessità, nel discorso storico, di una costante andata-ritorno tra il passato e il presente, dall’età carolingia al novecento, non per imporre al passato in maniera anacronistica le categorie del presente, ma per capire meglio le realtà che ci circondano e che sono quelle dell’europa in via di costruzione. una delle conseguenze di ciò è naturalmente il dovere per lo storico di impegnarsi nella vita sociale e politica del

21 cfr. g. arnaldi, il feudalesimo e le “uniformità nella storia”, «studi medievali», ser. iii, 4 (1963), pp. 315-323. 22 ora raccolti in g. arnaldi, Pagine quotidiane, cur. m. miglio - s. sansone, roma 2017. 23 a. feniello, Medioevo sui giornali. Guida alla lettura, ibid., pp. 33-51: 33. 24 V. g. arnaldi, Orizzonti geografici del Medioevo, in Concetto, storia, miti e immagini del Medio Evo, cur. V. Branca, firenze 1973 (civiltà europea e civiltà veneziana, 7), pp. 311-324.


13Verger_Nuovi Studi Storici 26/03/18 10:10 Pagina 167

girolamo arnaldi e la storiografia francese

167

suo tempo e del suo paese. arnaldi ne era convinto e l’ha fatto personalmente. «continuo a credere», scriveva nel 1986, «che la funzione cui assolve lo storico sia una delle più alte funzioni conoscitive e morali, da potersi paragonare solo alla creazione artistica»25. a questo punto ritroviamo forse certi rapporti tra arnaldi e la storiografia francese. tra i concetti che in francia sono diventati di moda negli ultimi decenni, per ragioni diverse, politiche nel senso largo, ci sono quelli dell’identità e della memoria. si pensi tra l’altro all’ultimo libro, incompiuto, di Braudel, L’identité de la France (1986-87)26, o alla serie in 7 volumi diretta da Pierre nora, Les lieux de mémoire (1984-92)27. arnaldi s’interessò a questi libri e si riferì a loro in diversi articoli usciti tra il 1994 e il 200928. la sua idea era di verificare se questi concetti potevano essere operativi per uno storico italiano interessandosi alla storia del suo paese. esiste una – o delle – identità italiane? Quale potrebbe essere un «luogo di memoria» per l’italia, un paese cosi diviso da secoli che l’idea stessa delle divisioni dell’italia, della pluralità delle «italie», ne è forse uno dei più forti «luoghi di memoria», inteso come luogo comune dell’autocoscienza nazionale italiana? girolamo arnaldi non era per nulla nazionalista, era un uomo molto generoso e aperto ed un vero europeo. ma in quanto storico e cittadino, manteneva la storia d’italia al baricentro delle sue preoccupazioni. l’uso che faceva della storiografia francese – e di altre – non mirava a promuovere una «nouvelle histoire» alla quale non credeva, ma ad arrichire e a mettere in una prospettiva più larga e bilanciata, lontana delle tentazioni storiciste, aperta sugli orizzonti europei la storia dell’italia medievale.

25 26

arnaldi, Impegno dello storico, cit., pp. 5-6. f. Braudel, L’identité de la France, 1, Espace et histoire, 2, Les hommes et les choses (1), 3, Les hommes et les choses (2), Paris 1986-1987. 27 Les lieux de mémoire, dir. P. nora, 1, La République, 2/1, 2/2 , 2/3, La Nation, 3/1, 3/2, 3/3, Les France, Paris 1984-1992 (Bibliothèque illustrée des histoires). 28 g. arnaldi, Fernand Braudel: riflessioni retrospettive di un medievista italiano, «la cultura», 47/1 (2009), pp. 113-123, e arnaldi, Unité et divisions italiennes, «le débat», 78 (1994), pp. 29-38.


13Verger_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:37 Pagina 168


14Esch_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:37 Pagina 169

ARNOLD ESCH GIROLAMO ARNALDI E LA SCIENZA STORICA TEDESCA

Nel ricco scenario che è stato presentato su Girolamo Arnaldi, va inserito anche il rapporto con la scienza storica tedesca. Come i relatori che mi hanno preceduto, vorrei assumere come punto di partenza non solo i libri e gli atti, ma anche i rapporti personali che, con mio grande piacere, ho potuto intrattenere con lui fino agli ultimi tempi (per andare a trovarlo a casa sua, mi bastava semplicemente attraversare il Tevere). Lo divertiva l’idea che il suo cognome, Arnaldi, e il mio nome Arnold, dicessero la stessa cosa, avessero la stessa etimologia germanica, cioè: “Quello che governa, che comanda come un’aquila”. Prendendo le mosse dai suoi interessi di ricerca, era venuto in contatto inevitabilmente con la ricerca storica tedesca relativa alla storia altomedievale dell’Italia e del papato (che l’interesse della medievistica tedesca si sia spostato con maggior intensità sul tardo Medioevo, è un fatto più recente). Parlava molto di Percy Ernst Schramm, cosa che mi faceva molto piacere, dato che avevo conosciuto bene Schramm fin dai tempi di Göttingen: parlava di Schramm come persona (infatti l’aveva conosciuto a Napoli da Federico Chabod) e come autore delle sue opere, Kaiser, Rom und Renovatio, gli studi sulla Cathedra Petri, soprattutto dei Simboli del potere. Arnaldi era impressionato dalle proposte, per l’epoca innovative, per le quali si augurava una traduzione italiana: «un’attesa personale durata più di un cinquantennio», come diceva. È stata per Arnaldi una grande gioia che la traduzione sui simboli del potere di Federico II, alla fine sia stata pubblicata per iniziativa di Ortensio Zecchino, benemerito in materia di studi federiciani. La presentazione di questa traduzione fatta dallo stesso Arnaldi è datata «giugno 2015», quindi pochi mesi prima della sua morte e, per quanto ne so, è l’ultimo suo testo pubblicato. Abbiamo dialogato anche sulle caratteristiche della storiografia storica tedesca e di quella italiana (un istituto di ricerca all’estero è un osservatorio incomparabile: si guarda, primo, alla scienza del proprio paese dall’e-


14Esch_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:37 Pagina 170

170

ARNOLD ESCH

sterno e non sempre dall’interno; e, secondo, la si vede in paragone con le altre!): quindi le conversazioni con Gilmo sulle caratteristiche di entrambe le storiografie si svolgevano in parte anche in modo critico, critico ma mai malizioso, mai fazioso. Per esempio quelle sull’influsso massiccio da parte del positivismo, che la storiografia tedesca ha subito nel tardo Ottocento (anche quella italiana, ma molto di meno). Al posto della storiografia di impronta idealistica subentrava la scienza storica di impronta positivistica. E con tutto il rispetto per Paul Kehr bisogna dire che egli era l’arci-positivista. Dal Kehr un Gregorovius venne considerato romanziere, letterato, non storico. La storiografia tedesca perse parte del suo fascino idealistico e guadagnò in rigidità metodica ed efficienza organizzativa – un mutamento che Benedetto Croce osservò con critica attenzione. Nel nostro convegno su Gregorovius del 19911 Arnaldi si incaricò di recensire la parte riguardante l’alto Medioevo nella Storia della città di Roma («Gregorovius ripropone lo stesso processo [dall’impero romano al nuovo impero spirituale di Roma] demitizzandolo, nei termini e con l’afflato della grande storiografia romantica, di ispirazione idealistica»); mentre io mi occupai del tardo Medioevo. Non si trattava di esaltare Gregorovius, ma di rendergli giustizia. E Arnaldi gli rese giustizia. E naturalmente, in seguito, come presidente dell’Istituto storico italiano per il Medioevo, ha collaborato con la storiografia storica tedesca a livello di istituzioni: continua fu infatti la collaborazione dell’Istituto da lui diretto con i Monumenta Germaniae Historica e con l’Istituto Storico Germanico di Roma. Il rapporto fra l’Istituto storico italiano e i Monumenta era caratterizzato, inoltre, dalle buone relazioni fra i due presidenti, Arnaldi e Horst Fuhrmann, dove il reciproco interesse era legato anche all’attenzione condivisa per l’alto Medioevo (donazione di Costantino, gli inizi dello Stato della Chiesa, ed altro). La loro corrispondenza più antica che si trova nell’archivio dei Monumenta risale al 1972, quindi a molto tempo prima della presidenza di Arnaldi (per queste conoscenze a livello internazionale il Centro di Spoleto ha svolto un ruolo importante; del ruolo di Spoleto venni a sapere, quando ero studente a Göttingen, proprio da Schramm). La corrispondenza fra i due presidenti (le lettere di Arnaldi erano per lo più scritte a mano) riguardava la promozione di edizioni critiche e progetti comuni: i diplomi di Ludovico II furono editi a cura di Konrad Wanner2; 1 Il Convegno si tenne a Roma l’11-12 aprile 1991. Ferdinand Gregorovius und Italien. Eine kritische Würdigung, cur. A. ESCH - J. PETERSEN, Tübingen 1993 (Bibliothek des Deutschen Historischen Instituts in Rom, 78), relazione Arnaldi ivi, pp. 117-130. 2 Ludovici II Diplomata, ed. K.WANNER, Roma 1994 (Antiquitates, 3).


14Esch_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:37 Pagina 171

GIROLAMO ARNALDI E LA SCIENZA STORICA TEDESCA

171

il frammento del Registro di Federico II, un vecchio progetto editoriale dei Monumenta, fu ceduto al partner italiano: il materiale venne consegnato ad Arnaldi nel 1993 (Fuhrmann ad Arnaldi 3. 9. 1993), il Registro fu pubblicato in modo eccellente, sotto la successiva presidenza, da Cristina Carbonetti Vendittelli3. Oppure riguardava scambi di opinioni in merito a progetti di edizioni: Nicolò Jamsilla, Saba Malaspina – e sempre senza gelosie restrittive: «Ma non dovreste lasciarvi impressionare da questo progetto, perché non c’è niente di riservato», come scriveva Fuhrmann (22.7.1993), e Arnaldi la pensava allo stesso modo. Oppure l’impresa internazionale – ma coordinata dall’Istituto storico italiano – del Repertorium fontium medii aevi. Nell’Accademia Bavarese Fuhrmann presiedeva la commissione per il Repertorium fontium tedesco e per questo era particolarmente incline e predisposto alla cooperazione. In breve: una collaborazione a cui il successore Massimo Miglio, il quale ha potuto concludere il Repertorium, ha dato espressione, da parte sua, nel volume Stato della ricerca e prospettive della medievistica tedesca4. Ma anche lettere personali (una addirittura in latino), lettere in cui veniva esplicitamente riconosciuto l’importante ruolo di Arnaldi: «Lei è per noi un mediatore, rappresentante della nostra cultura comune di studiosi»; «Un medievista tedesco dev’essere legato all’italiano, altrimenti non conosce la propria storia (Fuhrmann a Arnaldi 21.12.1989, 23.3.1988, 26.1.1989). Arnaldi era socio corrispondente dei Monumenta e dell’Accademia Bavarese delle Scienze, Fuhrmann – «il principe dei medievisti tedeschi» (come scriveva Arnaldi sul Messaggero5) – socio straniero dell’Accademia dei Lincei. Fuhrmann ha preso la parola alla commemorazione di Ottorino Bertolini e ha scritto per l’Accademia Bavarese il necrologio di Raffaello Morghen, Arnaldi è andato a Bologna per la laurea honoris causa di Fuhrmann, e naturalmente si incontravano quando Fuhrmann si trovava a Roma. Quindi un bel legame di natura istituzionale e personale, di apprezzamento scientifico e simpatia umana. Lo stesso valeva per l’Istituto Storico Germanico. Non si aveva mai la sensazione che Arnaldi parlasse solo con l’istituzione che uno rappresenta3

Il Registro della Cancelleria di Federico II del 1239-1240, ed. C. CARBONETTI VENDITTELLI, Roma 2002 (Antiquitates, 19). 4 Stato della ricerca e prospettive della Medievistica tedesca (Roma 19-20 febbraio 2004), cur. M. MATHEUS - M. MIGLIO, Roma 2007 (Nuovi Studi storici, 71). 5 Un detective del Medioevo, «Messaggero» 14.7.1990, riedito in G. ARNALDI, Pagine quotidiane, cur. M. MIGLIO - S. SANSONE, Roma 2017, pp. 248-251: 250.


14Esch_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:37 Pagina 172

172

ARNOLD ESCH

va, ma con una persona. Fin da subito la bella accoglienza in occasione del centenario del nostro Istituto (1988), fin da subito un convegno comune su “Federico I Barbarossa e l’Italia”, insieme con l’Istituto Austriaco6. Quando, dopo la caduta del Muro, finalmente anche l’archivio dell’Accademia delle Scienze della DDR (l’ex Accademia Prussiana) fu reso accessibile e vennero alla luce le trascrizioni, a lungo ricercate, che Eduard Sthamer aveva eseguito dai Registri Angioini (distrutti durante la guerra per colpa dei tedeschi), oltre al direttore dell’Archivio di Stato di Napoli come diretto interessato, venne subito informato, naturalmente, anche Arnaldi, e io parlai con lui dei passi successivi da intraprendere (Esch a Arnaldi 18.10.1993). Com’è noto, questo materiale è stato poi rapidamente inserito nella “Ricostruzione Angioina”. Subito dopo ci fu l’Anno Federiciano, che ha riunito storici italiani e tedeschi in modo particolarmente intenso – e non solo gli studiosi: io prima non sapevo quanto profondamente fosse radicata nella cultura dell’Italia meridionale la figura di Federico II anche tra la gente comune: ne sono venuto a conoscenza attraverso Cosimo Damiano Fonseca, con il suo Istituto nel castello federiciano di Lagopesole (dove ha fatto apporre delle targhe in onore di Arthur Haseloff e di Eduard Sthamer). Ricordo un discorso ufficiale, allora, a Palermo, quando l’oratore disse: «A quell’epoca la politica europea si faceva da qui – e non da Berlino!» Arnaldi faceva parte del Comitato nazionale per le celebrazioni federiciane, e diede un aiuto prezioso – a me e a Norbert Kamp – in quell’anno con i suoi convegni e le iniziative locali. Nella sua qualità di coordinatore della Commissione scientifica di questo comitato assumeva la difesa delle iniziative locali (anche modeste) contro l’ironia a buon mercato di qualche giornalista (Messaggero 29.9.1994)7. Fu anche molto attivo, con altri colleghi di rango, nel Comitato direttivo dell’Enciclopedia Fridericiana della Treccani, e seguì con interesse l’edizione dei diplomata di Federico II (curata per i Monumenta da Walter Koch, nel frattempo progredita fino a circa la metà dei 2600 documenti). Fonseca ha già sottolineato l’importante ruolo di Arnaldi in quell’anno e le sue pubblicazioni federiciane8. Qui mi interrompo, per parlare di un tema in cui la scienza storica tedesca è sempre presente, ma è soltanto un elemento fra altri. 6 Federico Barbarossa I e l’Italia nell’ottocentesimo anniversario della sua morte. Atti del Convegno (Roma 24-26 maggio 1990), cur. I. LORI SANFILIPPO, «Bullettino dell’Istituto storico italiano e Archivio muratoriano», 96 (1990). 7 Federico val bene un volumetto, «Messaggero» 29.9.1994, riedito in ARNALDI, Pagine quotidiane cit., pp. 360-362 8 Si veda la relazione di C.D. Fonseca in questo volume.


14Esch_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:37 Pagina 173

GIROLAMO ARNALDI E LA SCIENZA STORICA TEDESCA

173

Infatti non posso parlare di Gilmo Arnaldi senza menzionare un aspetto che trovavo caratteristico della sua persona e che per noi studiosi stranieri era molto prezioso: il suo ruolo di mediatore tra le storiografie nazionali (per dirla in modo un po’ troppo ostentato; infatti lui svolgeva questo ruolo con discrezione, tatto e senza enfasi). Era consapevole di questo suo ruolo e aveva trovato delle belle parole sull’argomento nel volumetto Straniero a Roma? (a cura dell’Istituto Olandese)9, che tratta proprio dei problemi degli studiosi stranieri a Roma: sentimento di estraneità e legame d’elezione con il paese ospite. In questa occasione parlava a noi stranieri con la grande comprensione che gli era propria, chiamando in causa la sottile distinzione fra straniero e forestiero, che si trova solo nella lingua italiana, e raccontando il suo rapporto, all’inizio critico, con Roma, per poi arrivare al denominatore comune che percepiva fra tutti noi che tentiamo di comprendere Roma, in tutti i suoi aspetti. Corrispondeva quindi ad una precisa intenzione (e proprio a questa sua predisposizione a farci incontrare) il fatto che lui abbia fondato, insieme a Reinhard Elze e ad André Vauchez, il Circolo medievistico, per far incontrare non solo i direttori dei singoli istituti, ma anche gli studiosi più giovani. «Un’idea – scrive Arnaldi – nata dal fatto che mi resi conto di non aver mai conosciuto Pierre Toubert mentre attendeva alla stesura [del suo famoso libro Les structures du Latium médiéval] seduto magari accanto a me nella stessa biblioteca»10. E se ci si trovava in commissione con lui – commissioni scientifiche e politico-scientifiche – si coglieva questa propensione alla mediazione, a prescindere da tutte le critiche di cui era senz’altro capace. Malgrado l’alto rango istituzionale di Arnaldi, il suo era un ruolo di mediazione non solo nei confronti delle istituzioni, ma anche delle persone; un ruolo di mediazione non solo in senso scientifico (o politico-scientifico), ma anche sul piano personale. Era evidente che avesse un rapporto particolarmente stretto con le storiografie francese e polacca, ma faceva partecipare anche noialtri, ci faceva conoscere i colleghi francesi e polacchi, ci faceva incontrare (nella misura in cui era necessario: i direttori a Roma si conoscevano bene, e penso con affetto alle amicizie che nacquero allora). Vorrei citare un piccolo ricordo personale e, intenzionalmente, non legato a manifestazioni degli istituti: invitò l’indimenticato Padre Coste e me ad accompagnarlo a Latina (un

9 Straniero a Roma? 10 Ibid., p. 77.

Un tema sei pensieri, Roma 1996, pp. 65-86.


14Esch_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:37 Pagina 174

174

ARNOLD ESCH

incontro con amici del Partito Repubblicano, credo), per parlare della Via Appia nel suo tratto pontino: Jean Coste (tutto imbacuccato anche nel periodo estivo, lo conoscevate) dell’Appia nel Medioevo, io dell’Appia in epoca romana. Una giornata serena, appagante – e Arnaldi in seguito scrisse ancora alcune righe sull’argomento, perché non sapeva soltanto scrivere su un piano scientifico, ma anche per un pubblico più ampio. E, anche, sapeva fare da intermediario per favorire la conoscenza degli storici polacchi – e questo non era difficile per una persona come me che era cresciuta all’Università di Göttingen con le sue relazioni particolari con gli storici polacchi, e che era in contatto con l’Istituto storico tedesco di Varsavia. Una vicinanza agli storici polacchi iniziata già negli anni Cinquanta, che la gentile signora Sara magari aveva favorito e che in Gilmo si era rinsaldata grazie alla sua capacità di valutare la qualità scientifica. Quindi da Gilmo a Roma si incontravano gli storici polacchi (p. es. Karol Modzelewski) – e li si incontrava, prima del crollo del sistema sovietico, soprattutto nelle Settimane dell’Istituto Datini (cioè con Federigo Melis e Fernand Braudel): Aleksander Gieysztor a Prato mi parlava proprio di Arnaldi. Questa mediazione fra gli studiosi, fra gli italiani e gli stranieri, era per me, come ho già detto, un tratto peculiare di Arnaldi. E senza grandi chiacchiere sull’Europa: era europeista, eccome, ma senza parlare in continuazione dei «fondamenti comuni occidentali». E malgrado potesse essere duro nel giudizio sulle persone e assumesse posizioni nette e con passione (una volta mi disse che si sentiva sempre anche avvocato della sua terra, l’Italia), non divideva, non separava, ma favoriva l’incontro. Sento che è questo il suo lascito per noi, che, come ospiti in questa città incomparabile, ognuno a modo suo eppure all’interno di un legame collegiale o addirittura d’amicizia, cerchiamo di comprendere Roma e la sua storia.


15ParaviciniBagliani_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:38 Pagina 175

AGOSTINO PARAVICINI BAGLIANI GIROLAMO ARNALDI. DAL REPERTORIUM ALLA PAPESSA GIOVANNA

In circostanze come queste i ricordi personali interferiscono con gli elementi della biografia intellettuale della persona che si vuole ricordare. E questo spiega il titolo che ho voluto dare al mio breve intervento: Girolamo Arnaldi. Dal Repertorium alla Papessa Giovanna. Quando conobbi Gilmo Arnaldi per la prima volta all’Istituto fu proprio per problemi legati al Repertorio. Mi chiese delle precisazioni, cui avrei potuto dargli, facendo delle ricerche presso la Biblioteca Vaticana, dove ero appena stato assunto come Scrittore. Il Repertorio fu in quegli anni molto spesso al centro delle frequenti conversazioni che ho avuto con Gilmo Arnaldi a Piazza dell’Orologio, ed è anche per questo ricordo che ho accolto volentieri il suggerimento del Presidente dell’ISIME, Massimo Miglio, di riflettere sulle relazioni, storiografiche e istituzionali, di Gilmo Arnaldi con il Repertorio. L’ultima volta che vidi Arnaldi parlare in pubblico fu a Parigi, nel 2001, quando, in occasione della sua elezione a Membre associé étranger de l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres pronunciò un intervento sulla Papessa Giovanna. Tema sul quale tornerò. Il Repertorio dunque. Nel suo intervento al convegno organizzato il 9 novembre 2007 dall’Istituto Storico Italiano per il Medioevo, sotto la guida di Massimo Miglio, Gilmo Arnaldi ricorda, con un certo rammarico che si legge tra le righe, come egli avrebbe voluto partecipare alla redazione del Repertorio fin dall’aprile del 1953. Era arrivato a Roma da Napoli per prendere servizio all’Archivio di Stato. All’ISIME era allora in corso il congresso su La pubblicazione delle fonti del Medioevo europeo negli ultimi anni 70 anni. «Le cose non sono andate così», aggiunge, precisando che soltanto «dopo l’uscita del primo volume nel maggio del 1962» fu chiamato a presiedere il Comitato italiano, accanto «(ma in ovvio sottordine») ad Arsenio


15ParaviciniBagliani_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:38 Pagina 176

176

AGOSTINO PARAVICINI BAGLIANI

Frugoni»1. Fece parte del Comitato italiano fino al 1984, ossia fino alla pubblicazione del quinto volume del Repertorio, ma offrì la sua esperienza editoriale anche per la revisione finale prima della stampa del materiale dei volumi IV-VIII. Parlando del Repertorio – questo è per lo meno il ricordo che ne ho – Gilmo lasciava trasparire un interesse che non era di mero carattere erudito. Era come se si potesse parlare di passione. Ritrovo questa mia impressione di allora in due affermazioni nel suo intervento al Convegno del 2007, intervento che è forse l’occasione più importante in cui Arnaldi trattò pubblicamente delle sue relazioni con il Repertorio, ed è quindi una testimonianza da prendere in considerazione nei suoi vari risvolti. La prima affermazione fotografa un impegno di grande respiro di cui volle dar conto anche perché ne era giustamente orgoglioso: «Ho redatto molte voci italiane, le ho riviste tutte»2. La seconda, molto più lunga, documenta l’estremo rigore di questo suo impegno redazionale, puntiglioso come deve essere: «[...] la mia attività [...] è consistita soprattutto nella revisione finale prima della stampa del materiale dei volumi IV-VIII, dedicando una particolare attenzione ai cosiddetti “corpi 6”, cioé alle note redazionali in latino. Ho fatto il possibile per esprimere, senza giri di parole (ut ita dicam!) e con il ricorso sistematico a costrutti paratattici, quanto andava detto e, talora, anche qualcosa di superfluo, trascinato dal godimento di inventare un mio inelegante basic Latin, che facesse concorrenza al basic English, tanto di moda non solo fra gli scienziati ma anche fra gli “umanisti”»3.

Nessuno certo gli rimproverà che «Le mie revisioni hanno colpevolmente ritardato l’uscita di molti volumi, e di ciò chiedo oggi venia»4. In questo suo intervento, Girolamo Arnaldi si è inoltre chiesto ad alta voce perchè Raffaello Morghen avesse dato vita al Repertorio, ed è una domanda che incuriosisce soprattutto per il modo con cui è svolta l’argomentazione. Arnaldi si poneva questa domanda perché era persuaso che uno storico «impegnato» come Raffaello Morghen – «ultraconvinto» dell’«utilità della 1

G. ARNALDI, Il Repertorium dal 1981 al 2001, in Senza Confini. Il Repertorium fontium historiae Medii Aevi. Roma, 9 novembre 2007, cur. I. LORI SANFILIPPO, Roma 2008 (Nuovi Studi Storici, 78), pp. 53-59: 59. 2 Ibid., p. 59. 3 Ibid. 4 Ibid.


15ParaviciniBagliani_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:38 Pagina 177

DAL REPERTORIUM ALLA PAPESSA GIOVANNA

177

storia per la vita» e dell’inutilità, se non del «danno», arrecato alla vita dalla storia intesa come erudizione – avesse speso «tante energie, sue personali e dell’istituzione»5 che presiedeva, nel promuovere un’impresa che negli anni 1950 costituiva un po’ il modello a livello europeo e internazionale di impresa bibliografica, appunto nel senso della completezza e della erudizione – un modello da cui partì Claudio Leonardi, che fu il Segretario del “Nuovo Potthast” dal 1953 al 1969, per creare un decennio dopo Medioevo latino, ora giunto alla sua XXXVIII edizione. Perché dunque, si chiese Arnaldi, Morghen volle impegnarsi in un’impresa che, a prima vista, non sembra coincidere con la sua visione della storia? Un primo elemento di risposta gli viene offerto, come egli stesso dice, da Massimo Miglio, che lo informa che Morghen «era molto più dichiaratamente europeista di quello che io immaginassi»6. In questa prospettiva, secondo Arnaldi, fu l’Unione degli Istituti di archeologia, storia e storia dell’arte in Roma, presente a Roma fin dal 1946, a svolgere un ruolo determinante, se non altro perchè l’Unione rinviava simbolicamente a quella collaborazione tra studiosi e istituzioni storiche europee e internazionali sulla quale il Repertorio si fondava fin dall’inizio, concettualmente e istituzionalmente, malgrado le mille difficoltà insite in operazioni di questo tipo; l’Unione funse quindi, direttamente o indirettamente, come modello nella gestione e nella visione del Repertorio. Certamente per Morghen, afferma ancora Arnaldi, «il fatto che quegli Istituti [l’Unione] avessero scelto l’Istituto come sede per un’impresa prestigiosa come la redazione del “nuovo Potthast” fu certamente [...] un motivo di legittimo orgoglio»7. Non ho potuto leggere queste riflessioni se non andando con il ricordo agli anni in cui regolarmente, quasi ogni settimana, venivo all’Istituto per sbrigare le faccende dell’Unione, perché – e mi sembra un elemento a conferma di quanto Arnaldi disse nei confronti dell’Unione – Morghen aveva offerto all’Unione di tenere presso l’Istituto la sua segreteria. Posso anche aggiungere che fu Morghen a proporre all’allora Presidente dell’Unione di affidarmi l’incarico di Segretario generale dell’Unione, per sostituire Claudio Leonardi che aveva nel frattempo lasciato la Biblioteca Vaticana e Roma.

5 6 7

Ibid., p. 54. Ibid. Ibid., p. 55.


15ParaviciniBagliani_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:38 Pagina 178

178

AGOSTINO PARAVICINI BAGLIANI

Anche da Presidente dell’ISIME, Gilmo Arnaldi promosse il Repertorio, decidendo, ad esempio, di passare dalla tipografia Bardi, che aveva stampato i primi tre volumi e finito di stampare, nel dicembre 1976, il quarto, alla tipografia dell’Università Gregoriana, responsabile della pubblicazione del quinto volume nel 1984, e poi alla Pliniana di Città di Castello, che stampò il sesto nel 1991. Con un certo orgoglio, Arnaldi ricordò come il proemio del sesto volume, firmato da Reinhard Elze, allora Direttore dell’Istituto Storico Germanico di Roma e da Raffaello Morghen, Presidente dell’ISIME, portò la data, «per mio suggerimento», «V Idus Novembris 1989», «che è quella della caduta del muro di Berlino»8. Non mi sembra che questo breve inciso sia da considerare un dettaglio, anzi mi sembra proprio che questa testimoniaza rinvii – come la domanda che lo stesso Arnaldi si pose sul perchè Raffaello Morghen aveva dato vita al Repertorio – ad un elemento della personalità di Arnaldi, capace di legare un dettaglio, in questo caso redazionale, ad un’attenzione precisa, anche di natura simbolica, alla grande storia, un elemento di fondo, se fosse necessario ricordarlo, che traspare da ogni riga di quelle stupende Pagine quotidiane che raccolgono i suoi numerosi e stimolanti articoli apparsi su quotidiani9. Nel suo intervento del 2007, che costituisce la nostra guida per ricostruire le relazioni di Arnaldi con il Repertorio, ricorre, brevemente, anche il progetto «Medioevo Europeo», ideato nel 1992 da Ovidio Capitani, Claudio Leonardi e dallo stsso Arnaldi. Arnaldi ne ricorda le nobili intenzioni e la «fine pietosa», lasciando ad altra sede un giudizio più circostanziato, rinviando all’esauriente notizia che Isa Sanfilippo «sia pure con qualche comprensibile reticenza»10 ha dato al convegno del 200711. Si trattò di fatto di una occasione mancata per il ruolo di centralità che gli Istituti medievistici italiani avrebbero potuto svolgere in sede internazionale. Forse però i tempi non erano ancora maturi, soprattutto perché si era allora soltanto agli albori della rivoluzione tecnologica. Qualche anno fa alla Cost Action Middle Ages and Technologial Studies (2011-2015), promossa dalla Sismel, e condotta con l’aiuto di colleghi italiani e stranieri

8 Ibid., p. 57. 9 G. ARNALDI, Pagine quotidinane, cur. M. MIGLIO - S. SANSONE, Roma 2017. 10 Ibid., p. 58. 11 I. LORI SANFILIPPO, Breve storia del Repertorio, in Senza Confini. Il Repertorium fon-

tium historiae Medii Aevi cit., p. 24-48.


15ParaviciniBagliani_Nuovi Studi Storici 26/03/18 10:11 Pagina 179

DAL REPERTORIUM ALLA PAPESSA GIOVANNA

179

appartenenti a più di 25 paesi, abbiamo voluto dare il titolo Medioevo Europeo proprio a ricordo di quel tentativo brillante e prematuro del 1992, il cui obiettivo era quello di proseguire, come disse Arnaldi, «tra tre istituzioni medievistiche italiane extraunviersitarie»12, la collaborazione europea e internazionale promossa da Morghen con la nascita del Repertorio. Nel suo intervento del 2007, Gilmo Arnaldi concluse dicendo: «È probabile che, come sostengono alcuni miei amici, l’assidua collaborazione al Repertorio mi sia servita anche da alibi per non portare a termine lavori impegnativi, miei. Le cose non stanno così. Senza la collaborazione al Repertorio, se non altro i miei contributi su Cronache e cronisti dell’Italia comunale, la cui raccolta dovrebbe presto vedere la luce, valgano quel che valgano, non sarebbero mai stati scritti. Grazie, professor 13 Morghen!» .

Arnaldi avrebbe in quella occasione potuto anche ricordare numerosi altri scritti in cui la sua pluridecennale esperienza presso il Repertorio costituisce l’elemento di fondo che spiega non soltanto il suo interesse per le fonti cronachistiche, ma soprattutto, la sua straordinaria, direi quasi geniale, capacità di affrontare l’analisi di questo tipo di fonti per proporre soluzioni, ipotesi, argomentazioni e così via. In particolare, l’insigne studioso avrebbe potuto citare anche la sua ricerca sulla Papessa Giovanna, che fu pubblicata prima in francese, nel 2002, nei «Comptes-Rendus de l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres»14 a seguito di una sua conferenza data l’anno prima; poi in italiano, nel 2003, nel volume Ovidio Capitani. Quarant’anni per la storia medievale, a cura di Maria Consiglia De Matteis15. Arnaldi avrebbe potuto farlo perchè questo suo studio sulla Papessa Giovanna – che forse è rimasto un po’ in sordina nei confronti della sempre intensa produzione libraria su questa famosa leggenda e della sua produzione storiografica sul papato – riflette in modo perfetto il suo straordinario savoir faire in termini di analisi di fonti cronachistiche, attentissimo a mettere in scena i dettagli più nascosti, sulla base di una perfetta cono12 13 14

Ibid., p. 58. ARNALDI, Il Repertorium dal 1981 al 2001, p. 59. G. ARNALDI, Quelques nouveautés sur la papesse Jeanne dans la version de Martin le Polonais, «Compte-rendus. Académie des Inscriptions et Belles-Lettres», 4 (2002), pp. 1351-1373. 15 G. ARNALDI, Qualche novità sulla leggenda della papessa Giovanna nella versione di Martino Polono in Ovidio Capitani. Quarant’anni per la storia medioevale, cur. M.C. DE MATTEIS, Bologna 2003, pp. 105-122.


15ParaviciniBagliani_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:38 Pagina 180

180

AGOSTINO PARAVICINI BAGLIANI

scenza e della tradizione manoscritta e della tradizione testuale. Un savoir faire che va misurato al decennale sforzo redazionale per il Repertorio. Arnaldi inoltre avrebbe però potuto dire che il suo interesse per la Papessa Giovanna proveniva non soltanto dal suo amore per le cronache ma anche da quella profonda ammirazione e per Anastasio Bibliotecario e per il gesuita Arthur Lapôtre, di cui ci ha parlato André Vauchez. Arnaldi si era infatti chiesto come mai Martino Polono aveva potuto affermare che il «pontificato» della Papessa Giovanna, anzi meglio di Johannes, fosse da inserire cronologicamente dopo il pontificato di Leone IV. Iohannes avrebbe regnato due anni, sette mesi e quattro giorni, e, dopo la sua morte, ci sarebbe stata una vacanza di un mese. Iohannes «ha, insomma, un suo predecessore di cui si fa il nome e, dopo la morte di questo (17 luglio 855), trascorso un mese, un successore, di cui non si fa il nome (Benedetto III)»16. Arnaldi sa benissimo che «I dati cronologici sono incompatibili con la realtà delle cose: il successore, quello vero, di Leone IV, fu eletto già nel luglio 855 e consacrato il 29 settembre»17. Ma è qui il punto secondo Arnaldi: Martino Polono aveva bisogno di un periodo più lungo per dar credito all’esistenza del pontificato di Iohannes: «Il solo mese disponibile nel rispetto della cronologia non sarebbe stato infatti sufficiente a darle la consistenza desiderata»18. Ma perchè Martino Polono, che era peraltro uno storico del papato molto avvertito per quei tempi, può avanzare una durata del pontificato di Iohannes che non coincide con la realtà? Ed è qui che Arnaldi interviene con un’argomentazione significativa, della sua conoscenza del periodo e del suo savoir faire nell’ambito della ricerca storiografica medievale. Arnaldi ricorda anzitutto che «la vacanza fra la morte di Leone IV e l’elezione di Benedetto III durò solo un mese, ma fra l’elezione e la consacrazione di quest’ultimo di mesi ne trascorsero più di due. Durante questo intervallo si collocano i quattro giorni (21-24 settembre) in cui, dopo una fase preparatoria nella quale ebbe una parte decisiva l’imperatore Ludovico II, Benedetto dovette fare i conti con un antipapa: Anastasio Bibliotecario»19. Arnaldi poi ricorda che «solo quattro dei manoscritti del Liber pontificalis riportano per esteso la vita dei successori di Leone IV fino ad

16 17 18 19

Ibid., p. 113. Ibid. Ibid. Ibid., p. 114.


15ParaviciniBagliani_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:38 Pagina 181

DAL REPERTORIUM ALLA PAPESSA GIOVANNA

181

Adriano II; [ma] in uno di questi, proprio il più antico, la vita di Benedetto manca del tutto: [...] in un altro, l’episodio concernente Anastasio antipapa è stato soppresso»20. Queste lacune – che per Duchesne non possono essere lasciate al caso («il serait bien difficile d’attribuer ces lacunes à un pur effet du hasard»21) – vanno attribuite secondo Arnaldi ad «un ipotizzabile intervento censorio dello stesso Anastasio, che con quest’ultima sezione del Liber pontificalis ha avuto a che fare per la posizione che occupava in quei decenni nel palatium Lateranense»22. Insomma, Martino Polono ha sfruttato una lacuna cronologica per inserirvi il «pontificato» di Iohannes (ossia della Papessa Giovanna), questo subito dopo il pontificato di Leone IV, ossia in un periodo che coincideva con l’antipapa Anastasio. Arnaldi avrebbe forse potuto corroborare la sua argomentazione ricordando che Martino Polono produsse la sua Cronaca dei papi e degli imperatori quando era a Roma come penitenziere apostolico e avrebbe quindi avuto la possibilità – tutta da verificare – di consultare codici del Liber pontificalis. Mi permetto di ricordare soltanto questa argomentazione di Gilmo Arnaldi nel suo importante articolo sulla Papessa Giovanna, nel quale, mi pare, si incroci perfettamente la sua raffinata erudizione nel campo della storiografia medievale con quella sua passione per Anastasio Bibliotecario che fu forse il personaggio medievale che più ha studiato, ed anche ammirato, perchè la sua biografia condensava elementi complessi e diversi, anzi contraddittori.

20 Ibid., p. 114-115. 21 L. DUCHESNE, Le Liber pontificalis, 2 voll., Paris 1886-1892 (Bibliothèque des Écoles

françaises d’Athènes et de Rome, ser. II, [3]), I, p. VII; cit. ARNALDI, Qualche novità sulla leggenda della papessa Giovanna, p. 115. 22 Ibid., p. 115.


15ParaviciniBagliani_Nuovi Studi Storici 06/03/18 11:38 Pagina 182


16 Indice generale_Nuovi Sudi Storici 06/03/18 11:38 Pagina 183

INDICE GENERALE M. Miglio, Girolamo Arnaldi. 1929-2016 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Pag.

5

G. Ortalli, Un giovane professore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

»

13

G. Sasso, Ricordi di Gilmo Arnaldi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

»

19

G. Galasso, Ricordo di Gilmo Arnaldi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

»

37

M. Azzolini, Le carte dell’archivio di Girolamo Arnaldi . . . . . . . .

»

41

A. Vauchez, Girolamo Arnaldi, il papato e l’ecclesiologia dell’Alto Medioevo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

»

47

S. Gasparri, Girolamo Arnaldi altomedievista . . . . . . . . . . . . . . .

»

57

C.D. Fonseca, Lo “spazio federiciano” nella storiografia di Girolamo Arnaldi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

»

69

G. Milani, Arnaldi e la politica comunale . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

»

87

G. Inglese, Girolamo Arnaldi: gli studi danteschi . . . . . . . . . . . . .

»

103

C. Frova, Girolamo Arnaldi e la riforma dei programmi di storia nella scuola secondaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

»

111

J. Kujawiñski, Girolamo Arnaldi e la sua Polonia . . . . . . . . . . . . . .

»

129

J. Verger, Girolamo Arnaldi e la storiografia francese . . . . . . . . . . . .

»

161

A. Esch, Girolamo Arnaldi e la scienza storica tedesca . . . . . . . . . . .

»

169

A. Paravicini Bagliani, Girolamo Arnaldi. Dal Repertorium alla papessa Giovanna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

»

175


16 Indice generale_Nuovi Sudi Storici 06/03/18 11:38 Pagina 184


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.