Attraversare il grande fiume

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Attraversare il Grande Fiume

Casa dei Pontieri

Museo Dino Gialdini

Comune di Boretto


Attraversare il Grande Fiume Anticamente il Po, come tutti i grandi fiumi, era venerato e temuto: la sua lunghezza, le sue rive evanescenti, il suo impeto e la sua violenza, furono tali da ostacolare l'insediamento ed il transito e non ultima, la posizione geografica, lo rese baricentro di molte attività, azioni e storie umane. Lo stesso scorrere era una sorta di anabasi che coinvolgeva tutti coloro che ne ebbero contatto tanto che, insieme ad altri fiumi dell'antichità, ebbe un appellativo antropomorfo divino: Eridano. L'attraversamento del Po, fino alla metà del ventesimo secolo, costituisce un “rito di passaggio”. Storico elemento di confine, il grande fiume rappresenta psicologicamente e fisicamente una cesura nel territorio della pianura, delinea chiaramente un “al di là” e un “al di qua”, rinforza sensi di identità territoriale e, in parallelo, rivalità fra le opposte sponde. Le pratiche difficoltà del transito del fiume, in un'epoca che ancora non conosceva i moderni ponti di cemento, assicuravano una concreta percezione della distanza fisica e spirituale fra le due sponde. I transiti davano allora origine di volta in volta a sentimenti e sensazioni che caratterizzavano un momento delicato e rilevante: apprensione psicologica, stanchezza fisica, diminuzione dei ritmi di movimento, soddisfazione nel passare un ostacolo, senso dello scampato pericolo e così via. Solo con l'unità d'Italia, grazie anche al progresso tecnologico, è stato possibile tentare di gettare un ponte stabile sul Po nel tratto che va da Piacenza al mare, definito da Giovannino Guareschi l'unico degno di essere considerato “Grande Fiume”. Sono stati inoltre necessari interventi plurisecolari per domare la forza delle acque che da sempre spagliavano libere nelle campagne. L'alveo maestro o di magra, solo in tempi non tanto lontani, è stato regolamentato con passi e traghetti per favorire la navigazione e la costante localizzazione dei “porti”. Con l'unità d'Italia il Po diventa un unico fiume, mirabile sogno di Napoleone, senza barriere daziali, senza “passa-porti” alle frontiere rivali o lungo il suo percorso. Sorsero i primi ponti galleggianti stradali, non più di guerra ma civili, che garantivano, nonostante la precarietà dovuta agli “umori” del Grande Fiume, una facile comunione tra le sponde. Superano con un ponte di chiatte non era cosa semplice: significava coglierne gli umori mutevoli, seguirne le volitive ed imprevedibili reazioni, assecondarne le flessuosità quasi corporee. Gli stessi ponti si spostavano anch'essi lungo il suo corso rincorrendo talvolta isolotti, utili a compiere il grande balzo nei luoghi di maggior larghezza dell'alveo e contrastando la corrente con l'inarcamento della lunga centina formata dalle chiatte. Dalla relazione parlamentare del 1902 concernente la Navigazione sul Po sappiamo che tra Torino ed il mare si trovavano 16 ponti fissi e 15 in chiatte. Fra i primi solo quello di Cremona, costruito nel 1893, era stradale e si trovava nei 380 chilometri fra Pavia ed il mare. Nell'arco di poco più d'un secolo scompariranno passi, traghetti, ponti volanti e di chiatte, barcaioli imbroglioni, contrabbandieri e grassatori. Saranno abolite le barriere statuali e fisiche e verranno regolamentati ben ventotto attraversamenti, di cui sei ferroviari e tre autostradali. Nonostante questo “limes” d'acqua sia stato addomesticato, si avverte ancora la sua centralità nelle vicende italiane. Fin verso la fine degli anni sessanta del Novecento, il viaggiatore che si apprestava a varcare il Po su un ponte di barche, vedendo la lunga fila di chiatte unite fra loro che si abbassavano fino a riposare su isolotti sabbiosi oppure si alzavano contrastando le rabbiose piene, non poteva non rendere omaggio alla fantasia dell'uomo e al suo ingegno tecnologico. Il pensiero del colto correva anche a gesta storiche: le guerre annibaliche, le armate imperiali e le rare attraversate del grande fiume immobilizzato dal ghiaccio. Già nell'alto medioevo la viabilità nella bassa pianura risente del dissesto idrogeologico ed il grande fiume assume il ruolo di direttrice del traffico, quindi la navigazione, favorita rispetto alla viabilità rotabile, prevale e, il varcare il Po, assume più il connotato di percorrenza grazie alla presenza di numerosi porti su entrambe le rive. Una diversa cultura si insinua in un quadro ambientale più “naturale” e certamente connaturato al potere emergente delle nuove popolazioni precipuamente dedite alla caccia, alla pesca e all'allevamento brado, piuttosto che all'agricoltura, fenomeno ben puntualizzato da Vito Fumagalli, Il Po, ancora più che nell'antichità, diventa asta navigabile privilegiata, barriera e frontiera contesa, il cui possesso politico e militare era considerato primario per il controllo di tutta l'Italia.

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Attraversare il Grande Fiume

Nella Tabula Peutingeriana, che riporta gli itinerari del IV sec. d.C., è segnalato il corso del Po e la viabilità primaria.

Il Po, gli insediamenti e la viabilità di età romana.

Il Po

Pontelagoscuro nella carta del ferrarese del 1814.

Plinio il Vecchio così definisce l'Emilia-Romagna: “octava regio determinatur Arimino, Pado, Appennino”. Da sempre il Po ha costituito una delle principali caratteristiche di questo territorio quale “limes” ed importante via di comunicazione sia per il trasporto di merci che di uomini. Polibio ricorda come il Po fosse navigabile per circa 2000 stadi, cioè per circa 400 km, a partire dall'antica foce di Volano. Nel tardoantico il trasporto lungo le vie d'acqua diventa primario. Questo è dovuto anche alla crisi demografica ed economica tardo imperiale che provoca una diminuzione nella efficienza della rete stradale romana, favorendo la navigazione. Strabone testimonia che il percorso PiacenzaRavenna lungo il Po era di due giorni e due notti di navigazione. La Tabula Peutingeriana, mappa stradale dell'Impero romano risalente al IV secolo d.C. giunta a noi in una copia compilata nel XIII secolo, indica un itinerario Hostilia-Ravenna per Padum. Più specifiche appaiono le attestazioni che abbiamo a questo proposito dalle fonti letterarie sin dal V secolo. Sidonio Apollinare, in una lettera in cui racconta il suo viaggio dalla Gallia a Roma , ricorda di aver effettuato il tratto Pavia-Ravenna scendendo lungo il Ticino ed il Po su di una nave cursoria e che a Brescello avveniva il cambio tra i rematori emiliani e veneti.

“Teti a Oceano partorì i fiumi turbinosi: Nilo e Alfeo e Eridano dai gorghi profondi,..” Esiodo,Teogonia,337-338 “In vortici rabbiosi, travolgendo le selve, straripa Eridano il re dei fiumi e per tutti i campi trascina con le stalle gli animali.” Virgilio,Georgiche,I,481-483 “…e l'Eridano,corna dorate e testa di toro, che più violento di ogni altro fiume corre lungo la fertile pianura sino al mare purpureo.” Virgilio,Georgiche, IV, 371-374 Il Po tra Brescello e Guastalla nella carte del Ducato di Modena e Reggio (1821).

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Attraversare il Grande Fiume

Bassorilievo mesopotamico che raffigura il nuoto con l'ausilio di un otre ed un carro da guerra traghettato da una barca.

Il Nuoto con Otri

Nuotatori assiri con otri.

In Mesopotamia, ove la navigazione era principalmente di tipo fluviale, l'uso dell'otre come galleggiante è testimoniato tanto presso le armate assiro-babilonesi quanto presso le falangi macedoni di Alessandro Magno. Un bassorilievo assiro dell'inizio del IX sec. a.C. ritrae dei soldati in atto di eludere i nemici con una fuga a nuoto nel fiume grazie ad un otre assicurato al petto che fornisce loro aria attraverso un tubo tenuto fra le labbra. Un secondo bassorilievo, pressoché coevo, proveniente dal palazzo di Nimrud e conservato al British Museum, documenta l'uso dell'otre come galleggiante: vi sono rappresentati alcuni soldati che gonfiano gli otri sulla sponda ed altri che nuotano aggrappandosi ad essi; nella scena si notano inoltre altri soldati mentre pongono carri da guerra su barche tozze e cavalli che attraversano il fiume a nuoto.

Soldati assiri sfuggono al nemico nuotando con l'ausilio di un otre.

“Se i fiumi gli (Giulio Cesare) sbarravano la strada, li attraversava a nuoto o galleggiando su otri gonfiati.” Svetonio,Cesare, I, 57.

Il bassorilievo assiro-babilonese della prima metà dell'VIII sec. a.C. raffigura l'attraversamento di un fiume da parte di un esercito. Si osservano soldati che nuotano sorretti da otri gonfiati, cavalli e barche che trasportano carri da guerra (British Museum).

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Attraversare il Grande Fiume

Il guado in una tela del Domenichino.

Il Guado

San Cristoforo in una tavola di Conrad Witz.

Presso molti popoli antichi l'acqua ha rappresentato in ogni tempo un tema mitologico primario, possedendo essa una particolare valenza sacra in quanto considerata principio essenziale della creazione. Passare 'sopra' ad un fiume o addirittura dividerlo, segnarlo o trattenerlo con pavimentazioni, argini e dighe costituisce dichiaratamente un atto che, in contrapposizione con lo stesso ordine naturale, offende la sacralità dell'acqua: nell'attraversarla si cerca perciò di placare la divinità o il genius loci con offerte e riti propiziatori capaci di procurarne il favore. Nell'iconografia religiosa è San Cristoforo, protettore dei guadi e dei pellegrini, che compie il guado purificatorio e salvifico.

Il guado del Taro presso Fornovo nella cartografia dell'I.G.M. di fine '800.

"Né mai dei fiumi immortali l'acque scorrenti a piedi tu passa prima d'aver pregato rivolto ai bei gorghi con le mani lavate nell'acqua gradevole e chiara. Chi un fiume attraversa o per malizia o nelle mani non puro contro di lui gli dei prendon vendetta e più tardi gli mandano pene." Esiodo, Consigli a Perse, II

Il guado del Taro presso Gajano nella cartografia dell'I.G.M. di fine '800.

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Attraversare il Grande Fiume

Gli artisti d'ambito bolognese dimostrano una notevole dimestichezza nella rappresentazione di scene fluviali: il Guercino, in particolare, raffigura nuotatori e barche fluviali tipiche dell'area

Il Passo

I passi fluviali erano garantiti, anche sulla via Emilia, da piccole imbarcazioni come questa raffigurata sulla Secchia presso Rubiera.

Per il servizio regolare e l'uso collettivo, lungo tutta l'asta del Po, e a intervalli abbastanza brevi, si trovavano i “passi”, semplici servizi di barche, che collegavano le due sponde nei luoghi di maggior importanza insediativa e viaria. Il traghetto più semplice viene chiamato “Passo con barca”, nella simbologia convenzionale della cartografia geodetica militare dei primi decenni dell'Ottocento. Lo troviamo su tutti i fiumi della bassa: si tratta di una semplice barca che trasportava persone e merci da una sponda all'altra e che comunque doveva essere regolata ai fini daziali e di sicurezza. La documentazione storica ci mostra una normale barca oppure uno scafo largo a fondo piatto con due pianali incernierati a poppa ed a prua per l'attracco. Numerosi erano anche i passi sui maggiori fiumi della nostra regione.

Il disegno del Guercino raffigura un barcaiolo probabilmente presso un passo fluviale.

“Ci imbarcammo alla foce dell'Enza (presso Brescello) e percorremmo 3 miglia sul fiume (Po) in mezz'ora. Le acque erano basse: tutte le nostre carrozze e tutti i nostri cavalli stavano in una stessa barca che faceva acqua da tutte le parti, e ne uscimmo con gioia”. Anne Claude Philippe De Caylus, 1714

Carta dei ponti di chiatte, dei ponti volanti, dei traghetti e passi sul Po da Pavia al mare agli inizi dell'800.

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Attraversare il Grande Fiume

Dante e Virgilio sulla barca di Caronte nel quadro di Eugene Delacroix.

I Passi

Passo fluviale presso un ponte di Annibale Carracci.

L'acqua traccia anche il confine tra la vita e la morte, tra la creazione ed il nulla; gli antichi, infatti, ritenevano che fiumi, mari, sorgenti, laghi fossero luoghi di passaggio per l'aldilà. Ciò spiega la frequenza nel mito di un topos come quello del fiume sotterraneo. Il più celebre, l'Acheronte, circonda ampiamente l'Averno, inaccessibile ai viventi e segna il limite tra regno dei vivi ed aldilà verso cui le anime vengono condotte dal traghettatore Caronte.

“Traghettare orrendo, guarda quest'acque ed il fiume/ Caronte, irto, pauroso…./Da solo spinge col palo la barca e le vele governa,/ dentro il suo livido scafo i corpi trasporta,/…” Virgilio, Eneide, VI,298-303

Scena fluviale di Giambattista Viola.

“Ed ecco verso noi venir per nave/ un vecchio,bianco per antico pelo,/ gridando: Guai a voi,anime prave!/ Non isperate mai veder lo cielo:/ i' vegno per menarvi a l'altra riva/ ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo.” Dante, Inferno, III, 82-87

La fuga in Egitto di Annibale Carracci.

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Le Zattere

Particolare di una zattera sorretta da otri gonfiati che trasporta materiale edilizio in un bassorilievo della prima metà dell'VIII sec. a.C. proveniente da Ninive (British Museum). Il sigillo etrusco della prima metà del V sec. a.C. raffigura la navigazione di Ercole su di una zattera sorretta da anfore.

Le zattere costituirono i mezzi più antichi per attraversare i grandi fiumi. Già nell'Odissea la zattera di Ulisse, pur essendo stata assemblata in soli quattro giorni, appare una struttura di galleggiamento assai articolata e complessa. I metodi costruttivi appaiono singolari, come nelle zattere ricavate da pelli delle tende militari, imbottite di fieno e cucite. Non mancano tuttavia in età antica, soprattutto in Mesopotamia, anche zattere con piano di galleggiamento costituito di soli otri assemblati.

Varie tipologie di zattere utilizzate sia per il trasporto che per il passo dei fiumi padani (da M. Bonino).

Zattera di fascine di canapa nella bassa reggiana.

“Trovarono letti nelle tenute vicine e ne posero ciascuno su due otri ( ce n'erano in abbondanza nei campi coltivati a vite) … si posero ciascuno su di un letto … cercando di evitare le ondate alte del fiume (Eufrate) che si facevano incontro…” Ammiano Marcellino, Storie, XXX,1,9

Una zattera in un canale presso Bagnacavallo agli inizi del '900 (da M. Bonino).

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Attraversare il Grande Fiume

Mosaico che raffigura due traghetti a fune lungo il Giordano presso Gerico conservato nella Chiesa, detta della Carta, a Madaba in Giordania, datato alla seconda metà del VI sec. d.C.

Il Traghetto

Traghetto sul Taro presso Grugno di Fontanellato nella cartografia militare della fine Ottocento.

Il traghetto è considerato quasi sempre un accostamento di due di scafi legati assieme, con soprastante pianale per caricare persone, carri ed animali, la cui navigazione è controllata da remi o da timoni-derive. Quelli fissi usano la tecnica della fune se la larghezza del fiume non risulta eccessiva; tale metodologia è conosciuta sin dall'antichità e consiste nel far scorrere l'imbarcazione lungo un canapo teso tra le sponde talvolta grazie ad un argano e trattenuto dall'albero, utilizzando un timone-deriva che sfrutta la forza della corrente.

“Fiume, che hai le rive fangose ricoperte di canne, corro dalla mia signora; arresta per un poco le acque. Non hai ponti, né una barca che senza spinta di remi porti sull'altra riva seguendo il tratto d'una fune.” Ovidio, Amores, III ,VI, 1-4 Il disegno di Leonardo da Vinci raffigura in dettaglio un traghetto a fune presso Villa Melzi sull'Adda (Coll. Windsor).

Traghetto a fune dei primi Novecento sul Reno (foto A. Pezzoli ).

Traghetto sul Reno presso Molinella dalla cartografia I.G.M. di fine '800.

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Traghetto e pedagna sul Panaro presso Solara di Bomporto in un immagine degli inizi del Novecento.

Il Traghetto

Traghetto a Co-Trebbia nella cartografia I.G.M. di fine '800.

La chiatta in ambito padano designa quasi esclusivamente l'insieme di due imbarcazioni congiunte da un pontile ligneo tale da costituire un traghetto, oppure parte di un lungo ponte carrabile, ottenuto con una sequenza di molte chiatte. L'etimo proviene dalla voce meridionale “chiatta”, dal plattus latino, cioè da “piatto”.

“Gli Elvezi, … , cercarono di passare il fiume per mezzo di barconi uniti insieme e di zattere, costruite in gran numero, e tentando il guado dove il Rodano era meno profondo.” Giulio Cesare, La Guerra Gallica, I, 8 Traghetto sul Po presso Serravalle.

Piccolo traghetto presso Guastalla.

Traghetto al porto di Stagno presso Roccabianca nella cartografia I.G.M. di fine '800.

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Il traghetto sul Po presso Felonica.

Il Traghetto

Traghetto di Felonica nella cartografia I.G.M. di fine '800.

I traghetti sul Po, costituiti da due scafi uniti da un ampio pianale, erano governati da “timoni-deriva” laterali, posti sia a poppa che a prua sulle opposte fiancate delle imbarcazioni. Ancor oggi si può provare l'emozione del traghetto, sia pur motorizzato.

Traghetto a Sant'Alberto di Ravenna.

Presso Crespino sul Po si trova tuttora un servizio di traghetto.

Traghetto di Crespino nella cartografia I.G.M. di fine '800.

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Il ponte volante a Borgoforte in un disegno del 1533 (A.S. Mn).

Il Ponte Volante

Il ponte volante di Borgoforte in un particolare tratto da un disegno del 1712 (Bibl. Com. Mn).

Per attraversare un fiume molto ampio fu inventato un sistema ingegnoso, di cui non conosciamo l'origine ne la diffusione e le prime attestazioni risalgono agli inizi del '500. Si tratta del ponte volante, suggestivo nome per descrivere l'arco che la chiatta del traghetto compie nel varcare il fiume a mo' di pendolo, denominato in inglese vengono chiamati “swing bridge” o “pendulum ferry”, in cui il numero di barche è proporzionale alla larghezza del fiume. Due grandi scafi reggono un pontile, i due alti alberi verso prua sono legati alla sommità da due traverse che formano un'asola stretta e rettangolare nella quale scorre il canapo che, a monte del fiume, è legato ad una serie di piccole imbarcazioni delle quali quella di testa è saldamente ancorata in mezzo al fiume; la fune è avvolta, verso poppa, ad un argano centrale che la tiene in tensione. La tecnica di passaggio del fiume è molto semplice e si basa sulla forza della corrente utilizzando i timoni degli scafi come derive, che a seconda della direzione di manovra spingono il traghetto verso una riva oppure l'altra. Ponte volante a Borgoforte in una carta dei primi '800.

“… varcassimo il Po sopra un catafalco posto sopra due barche con una loggietta, condotto con una lunga fune appoggiata in diversi lochi sopra alcune barchetelle poste per ordine nel fiume.” Michel de Montaigne, Viaggio in Italia, 1581

Ponte di chiatte a Borgoforte.

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I Ponti Volanti

Il disegno del 4 aprile 1667 raffigura le fortificazioni fluviali realizzate contro i mantovani di fronte a Brescello. A valle dello sbarramento di barche con catena si trova un ponte volante (A.S. Mo).

La tecnica costruttiva di un “pont volant” è chiaramente comprensibile in questa incisione dell'Encyclopedie.

Il settecentesco progetto delle fortificazioni di Stellata presso Bondeno, mostra un ponte volante sul Po (Bibl. Ariostea Fe).

Il numero di barche necessarie, e quindi il raggio dell'arco di cerchio che doveva compiere il traghetto, era proporzionale alla larghezza del fiume: tre sono presenti sulla Secchia a Bondanello, quattro a Borgoforte, cinque a Brescello ed a Stellata e sette a Pontelagoscuro. Questo tipo di “ponte” è indicato solo nelle legende della cartografia austriaca e del regno sardo, stampate tra il 1828 ed il 1853. In questa cartografia, attenta a qualsiasi necessità militare riguardante il trasferimento di truppe e l’attraversamento di fiumi, compaiono ben nove ponti volanti nel tratto dal Ticino al mare.

“Passammo l'Adige a destra su di un traghetto formato da due barconi della portata di quindici o venti cavalli, assicurato ad un canapo fissato nell'acqua a più di cinquecento passi, per tener il quale fuori acqua, ci sono molte piccole barche lungo il canapo che, per mezzo di piccole forche, lo tengono sospeso in aria.” Michel de Montaigne, Viaggio in Italia, 1580

Il ponte volante di Pontelagoscuro in un disegno del porto dell'inizio del Settecento.

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Traino di una imbarcazione sul Po presso Piacenza agli inizi del '900.

L'Alzaia

L'alzaia in una miniatura bolognese del '400.

Fino a tempi non tanto lontani, l'unico modo per risalire il corso dei fiumi con barche, fu la tecnica dell'azaia, cioè del traino con fune. Il remo costituiva la deriva per evitare di urtare le sponde del fiume ed il natante era trascinato da terra lungo la restara o strada sull'argine, da uomini, cavalli o buoi. Orazio descrive un viaggio che egli effettuò di notte attraverso le paludi Pontine su di una barca trainata da terra da una mula per abbreviare il percorso. Procopio di Cesarea ricorda come dal porto di Roma, sbarcato il carico, questo veniva messo su chiatte trainate lungo il Tevere da buoi alla stessa stregua dei carri. Alaggio lungo l'alzaia di una barca oneraria tardo romana (Museo Calvet Avignone).

“… barcaruoli gente del diavolo per il più, infedeli, bestemmiatori, ubriachi, spergiuri, … e senza vergogna d'alcuna sorte, ai quali meglio starebbe, tirar l'alzana, che ai cavalli da nolo …” Tommaso Garzoni, La PiazzaUniversale, 1589

Traino con cavallo sul navile bolognese presso Bentivoglio agli inizi del'900.

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I Ponti Persiani

Il territorio mesopotamico era attraversato da grandi fiumi come il Tigri e l'Eufrate dai quali derivavano numerosi canali per l'irrigazione ed il trasporto. La cultura fluviale era già all'apice verso il nono secolo a.C., ai tempi della mitica Semiramide e, pertanto, le campagne persiane di Dario e Serse verso il continente europeo erano favorite dalla capacità di costruire ponti galleggianti di notevole lunghezza come quelli sul Bosforo e sui Dardanelli agli inizi del quinto secolo a.C. Mappa con la localizzazione dei ponti di barche costruiti rispettivamente da Serse sull'Ellesponto e da Dario sul Bosforo (da V. Galliazzo).

Ricostruzione ipotetica dei due ponti costruiti da Serse sull'Ellesponto, descritti da Erodoto (da V. Galliazzo).

“… provvidero a costruire i ponti nel modo seguente: unite insieme penteconteri e triremi, per quello verso il Ponto Eusino 360 per l'altro 314, … dopo aver unito le navi gettarono ancore lunghissime … Lasciarono come passaggio una apertura fra le penteconteri in tre punti … fatto ciò tesero da terra le gomene, attorcigliandole ad argani di legno … in ciascuno dei due ponti due di leucolino e quattro di papiro … segati dei tronchi d'albero … posti uno accanto all'altro di nuovo li legarono assieme. Dopo aver fatto questo vi misero sopra delle fascine … vi posero sopra della terra, e calcata con forza anche la terra tirarono un parapetto di qua e di là del ponte …” Erodoto, Storie, VI, 36 “… decisero (gli Ioni) … di tagliare sì del ponte (sul Danubio) le parti che erano verso gli Sciti, ma di tagliarne tanto quanto giunga un tiro d'arco, … Dario ... ordinò chiamasse Isteo di Mileto … (che fornì) tutte le navi per traghettare l'esercito e ristabilì il ponte.” Erodoto, Storie, IV, 139-141 Il bassorilievo bronzeo assiro-babilonese della seconda metà del IX sec. a.C. rappresenta forse la prima raffigurazione di un ponte di barche sul quale transitano cavalli e carri da guerra.

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I Ponti Romani La Colonna Traiana

Alcuni bassorilievi della Colonna Traiana illustrano in modo puntuale e realistico i numerosi ponti costruiti, per lo più sul Danubio, durante le campagne daciche verso la fine del II sec. d.C.

Monumento funeraria ravennate del fabbro navale romano Longidieno (Museo Naz. Arch. Ravenna).

“… il metodo romano di costruire ponti di barche è il più rapido che io conosca, e lo descriverò qui, se non altro perché interessante. Ad un comando le barche sono fatte scendere con la corrente, con la poppa in avanti, la direzione è governata da una barca a remi che le manovra in posizione. Quando sono posizionate, dei cesti piramidali di vimini ripieni di sassi vengono affondati per trattenerle. Appena una imbarcazione viene ancorata, un'altra viene accostata con la prua verso la corrente ad una distanza sufficiente per assicurare una forte base per le soprastrutture; poi delle travi sono rapidamente appoggiate di traverso tra una imbarcazione e l'altra con sopra un tavolato per rendere rigida la struttura.” Arriano, Anabasi di Alessandro, V, 7

Alcuni dei numerosi ponti gettati sul Danubio durante le battaglie daciche agli inizi del II sec. a. C. raffigurati sulla Colonna Traiana. Il dettaglio grafico dei bassorilievi della Colonna mette in evidenza l'alta tecnologia costruttiva raggiunta dai Romani nella costruzione di ponti sui grandi fiumi.

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Attraversare il I Ponti Romani La Colonna Aureliana Grande Fiume

Particolare del ponte di Arles sul Rodano, costruito verso la fine del V secolo, in cui è precisata la tecnica costruttiva dell'impalcato ligneo (da V. Galliazzo). Bassorilievi tratti dalla colonna Aureliana che rappresentano le testate di ponti costruiti durante le campagne daciche.

Anche sulla Colonna Aureliana sono raffigurati numerosi ponti. Notevole è una scena che ritrae il trasporto di una barca stipata di armi, lance, scudi e loriche su un carro pesante, trainato da buoi e fornito di ruote di legno massiccio. Si tratta della prima immagine di un natante al seguito d'un esercito utilizzato per la costruzione di un ponte. Un carro più leggero, a ruote con raggi e trainato da muli, contiene invece del materiale imballato, forse tende per l'accampamento ed altro materiale annonario.

Un bassorilievo della Colonna Aureliana raffigura un carro che trasporta una barca, spesso utilizzata sia per la costruzione di ponti natanti che per il trasporto di loriche, scudi ed armamenti

Assonometria del ponte di Arles alle cui estremità si evidenziano gli archi onorari, presenti anche nei bassorilievi delle colonne Traiana ed Aureliana

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Attraversare il Grande Fiume

Scafo monossile lungo circa 10,30 metri, rinvenuto nell'agosto del 2001 presso il ponte BorettoViadana.

Barche Monossili

L'imponente monossile, non conservato, rinvenuto presso Massafiscaglia nel 1921.

I monossili, prime forme di imbarcazione costruite dall'uomo a partire dalla preistoria scavando in vario modo il tronco di un grosso albero, erano noti in età romana con il nome di trabariae ovvero, più frequentemente, di lintres. Numerosi esemplari sono stati scoperti in area padana a partire dagli anni Venti. Il ritrovamento più recente è quello del manufatto messo in luce a Boretto, presso la riva vicino al ponte stradale durante la siccità del 2001, lungo ben 10,30 e databile al VI sec. Presenta nella parte alta di una delle fiancate una serie di fori che potrebbero far pensare al congiungimento con un altro scafo per formare un pontone o una chiatta.

“I predoni germanici navigano con imbarcazioni ricavate da un singolo albero; alcune di queste barche possono trasportare trenta persone”. Plinio, Storia Naturale, XVI, 203

Monossile rinvenuto in località La Capannina di Cremona nel dicembre 1986 (da S. Medas).

Due monossili di età romana rinvenuti nella Valle Isola di Comacchio (Museo Arch. Naz. Fe).

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Attraversare il Grande Fiume

La Trattatistica Rinascimentale

Ponte retto da cassoni galleggianti, portati sul luogo da un carretto disegnato dal Lorini.

Il disegno di Leonardo mostra un ponte natante incernierato e quindi apribile per consentire il passaggio delle imbarcazioni.

La trattatistica italiana ebbe una notevole supremazia nel fondare i principii del genio militare e delle fortificazioni e fu ampiamente diffusa nel Rinascimento. Durante le viarie guerre, gli ingegneri e gli architetti progredirono nella progettazione di numerose macchine ossidionali e nell'invenzione di nuove tecniche per la costruzione di ponti di chiatte. Il ponte natante è essenzialmente strumento militare ed interviene laddove i ponti fissi vengono distrutti o quando si rende necessario attraversare un fiume per motivi tattici in luoghi non provvisti di ponti. Il Lorini, nel suo trattato del 1609, propone un ponte di travi incatenate, steso da una sponda all'altra di un fiume per rotazione in direzione della corrente.

“… ponti leggerissimi e forti, et atti a portare facilissimamente, et cum quelli seguire, et alcuna volta fuggire li inimici … facili et comodi da levare et ponere ...” Leonardo da Vinci

Il pianale del ponte, proposto dal Collado nel suo trattato della fine del Cinquecento, è sorretto da botti, come si usava nell'antichità.

Lo schizzo di Leonardo da Vinci, oltre alla centinatura lignea di un ponte, raffigura un abbozzo di ponte di barche.

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Attraversare il Grande Fiume

Case e Fortezze Galleggianti

Un mulino sul Po agli inizi del ‘900 ricorda gli opifici natanti menzionati in documenti alto medievali. Un riquadro affrescato dei fregi parietali della fine del ‘500 nella Villa Dondini di Monte San Pietro, ritrae una sorta di Houseboat eretta su due barconi (foto R. Vlahov).

Indubbiamente anche la diffusione dei mulini natanti sul Po si deve alla tecnica efficace di congiungere più scafi, sia per la sicurezza di navigazione che per l'aumento notevole della portata. Il primo documento che li ricorda è un diploma del re longobardo Astolfo al vescovo di Modena attorno al 750. Nelle cronache Estensi dal 1309 in poi troviamo riferimenti sull’utilizzo dei “sandoni” per preparare chiatte idonee alla costruzione di ponti. Di particolare interesse è una sorta di “fortezza navigante” che venne elaborata e perfezionata lungo il Po. Durante uno dei tanti conflitti tra Venezia e la Lombardia si ricorda la sorpresa dei veneziani nel 1483, quando ad Ostiglia requisirono una imbarcazione simile inviata da Ludovico il Moro al Duca d'Este, suo alleato.

“E guardavano non senza stupore questa nave inviata a venezia: era infatti più forte e robusta delle navi turrite. Le navi turrite venete avevano infatti una costruzione sopra alla barca come una torre di due piani con bastioni e merli. Ma questa sopra due barche, alla distanza di due passi, aveva anche una torre coperta come una casa con finestre dove prendevano posizione i combattenti, di rovere e legname spesso ed un ponte, che sollevavano con catene, tramite il quale si andava da una nave all'altra. Pietro Cirneo, sec.XV

Ricostruzione ipotetica di una grande nave doppia incastellata, voluta da Ludovico il Moro nel 1483 (da M. Bonino).

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I Ponti di Guerra

La trattatistica italiana ebbe una notevole supremazia nel fondare i principii del genio militare e delle fortificazioni e fu ampiamente diffusa nel Rinascimento. Durante le viarie guerre, gli ingegneri e gli architetti progredirono nella progettazione di numerose macchine ossidionali e nell'invenzione di nuove tecniche per la costruzione di ponti di chiatte. Numerosi furono i condottieri italiani, oltre al Farnese, che si distinsero in operazioni belliche al servizio dei vari regnanti. Nell'opera di Flaminio Strada “De bello Belgico”, edita nel 1640-1647, alcune incisioni raffigurano il lungo ponte di barche costruito da Alessandro Farnese presso Anversa (Bibl. Com. Imola).

Le imprese di Alessandro Farnese, magistralmente ritratte sulla base del monumento realizzato da Francesco Mochi nel 1625, in piazza Cavalli a Piacenza, ricordano l'assedio di Anversa del 1584-85 quando il Farnese fece costruire, sulla Schelda presso Callao un lunghissimo ponte di chiatte protetto da barche armate. Il Mochi, nel realizzare il bassorilievo sul basamento del monumento, ebbe sicuramente come modello le tavole descrittive della battaglia nell'opera di Flaminio Strada “De Bello Belgico”. Le raffinate incisioni di questa trattazione apologetica ci mostrano con estrema chiarezza l'opera compiuta dagli ingegneri militari Barocci e Piatti su comando e suggerimento di Alessandro Farnese.

Il ponte era lungo complessivamente 2400 piedi (circa 720 ml) con due testate (“palatio” su palificate) che misuravano 900 (270 ml) e 200 piedi (60 ml) dotate di quattro “castella” armati con macchine da guerra ed il piano stradale era di 12 piedi (3,60 ml). Le barche “naves” che sorreggevano il pianale del ponte furono 32 e misuravano 66 piedi (19,80 ml) di lunghezza per 12 (3,60 ml) di larghezza; misura simile ai nostri burchi o bucintori. A monte e a valle si trovavano due schiere di 11 chiatte ciascuna, lunghe 1252 piedi (376,00 ml), con due ancoramenti per barca. E' interessante notare che gli scafi erano colmi di botti vuote per impedire e soprattutto rallentare l'affondamento in caso di attacco. Ogni chiatta, composta da tre scafi, saldamente congiunti da traverse lignee, presentava 14 lunghe aste appuntite rivolte verso l'esterno per impedire l'attacco nemico. L'intero complesso, una vera e propria fortificazione sul fiume, era difesa da 40 biremi. L'attacco al ponte fu effettuato con 17 barche incendiarie nel cui scafo vennero approntati dei veri e propri forni in laterizio per impedirne la combustione prima dell'impatto. Delle quattro che riuscirono a penetrare la difesa, solo una danneggiò il ponte. Il ponte sulla Schelda nel bassorilievo del monumento equestre di Alessandro Farnese opera del Mochi del 1625.

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I Ponti di Guerra

Presso Guastalla, città lungamente contesa durante la guerra di successione franco-ispanica, si trovava un lungo ponte di barche militare come mostrano questi disegni del 1734 e 1735. Il primo ponte era suddiviso in due tronchi di 183 e 74 barche, mentre il secondo, costituto da 179 “grandes barques” in un'unica tratta, era lungo circa 1018 metri (Bibl. Naz. Paris). Il ponte militare a Guastalla nella cartografia francese del 1745 (Bibl. Naz. Paris ).

La Francia ed i Savoia avevano già sperimentato ponti in chiatte durante la guerra di successione francoispanica del 1734. Nello stesso anno a Guastalla, nei pressi del lido attuale, dove, nel secolo scorso, fu eretto l'ultimo ponte natante, venne allestito un ponte militare che collegava le due sponde del Po interrotto da un isolotto sul fiume. I due tronchi erano costituiti da 257 battelli rispettivamente di 183 e 74 barche. La scomparsa dell’isolotto, inseguito all’inondazione del 1735, portò alla realizzazione di un ponte unico di 179 “grandes barques” per una lunghezza di 522 tese, cioè circa 1.018 ml. Il Po costituì una barriera spesso determinante per la riuscita di una battaglia o di una ritirata.

Ponte militare tra Guastalla e Dosolo, costruito dai francesi nell'agosto del 1702 (A.S. Pr).

Il ponte di Guastalla agli inizi del '900.

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I Ponti di Guerra

Il ponte a Piacenza nella carta del Ducato del 1821. Ponte di chiatte a Piacenza costruito durante le campagne napoleoniche in un'incisione acquerellata dei primi dell'Ottocento.

Il Corpo dei Pontieri diventa una specializzazione militare del genio già nel Settecento anche se troverà ampio risalto tra Otto e Novecento. Un forte impulso allo studio ed alle innovazioni dei ponti di chiatte si ebbe verso la fine del Settecento. Con la rivoluzione francese e le guerre napoleoniche fu aumentata la dimensione delle barche fino a circa undici metri di lunghezza ed il loro peso di circa due tonnellate.

Quadro con l'attraversamento del Po a Piacenza delle truppe austriache nel 1848 (Coll. Priv.)

Il ponte di chiatte di Piacenza, già stabile agli inizi del secolo XIX, in una cartolina della fine dell'Ottocento.

"Al 7 Maggio noi arrivammo a Piacenza ... Io capiva, che bisognava subito effettuare l'impresa, per non dare il tempo al nemico di opporsi. Ma il Po, che non è minore del Reno per la sua larghezza e profondità del suo letto, è una barriera difficile a sormontare. Noi eravamo sprovveduti di mezzi per costruire un ponte; fu mestieri contentarsi delle barche che trovammo a Piacenza, e contorni ... Se io avessi avuto i materiali per un ponte, l'armata nemica era perduta.” Napoleone Bonaparte, 1797

Ponte di chiatte sull'Arda presso Castell'Arquato nella carta del Ducato del 1821.

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I Ponti dell'Encyclopedìe

Un forte impulso allo studio ed alle innovazioni dei ponti di chiatte si ebbe verso la fine del Settecento. L'equipaggiamento chiamato Gribeauval, visibile nelle tavole della Encyclopedìe, necessitava per il trasporto di una barca e del pianale con accessori e di due carri che richiedevano per il traino una pariglia di ben otto cavalli. Già nel Seicento i vari eserciti studiano tecniche diverse e sempre più rapide negli spostamenti e nel montaggio: diviene consuetudine costruire barche atte a realizzare ponti natanti per poter traghettare le

Le tavole dell'Encyclopedie realizzate tra il 1762 ed il 1772, presentano disegni costruttivi molto dettagliati dei ponti di barche.

I tedeschi usavano telai lignei rivestiti in pelle, gli olandesi la lamiera di ferro, i francesi telai rivestiti di lamiera di rame, i russi, nel '700, disponevano di un telaio ligneo smontabile rivestito di tele cerate o catramate, mentre gli americani produssero zattere con prua a punta e poppa piana che potevano essere accostate tra loro con telaio ligneo rivestito di rame. Nel 1739 il Regno di Sardegna si dotò di materiale pontieristico consistente in alcune barche di legno di due misure e di altre, con telaio ligneo, rivestite di cuoio oppure in lamiera di ferro o di rame.

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Attraversare il Le Barche Composite Grande Fiume

L'imbarcazione ripartita in tre sezioni è considerata invenzione cinquecentesca del colonnello Pompeo Floriani.

Un disegno di Giovan Battista Aleotti, realizzato per Alfonso II d’Este nei primi anni del ‘600, raffigura una barca che poteva essere suddivisa in tre parti per facilitarne il trasporto.

Lo spagnolo Luis Collado, nel trattato di pratica manuale d'artiglieria edito a Venezia nel 1586, parla di pontoni costituiti da più barche collegabili tra loro. Lo stesso Giovanni Battista Aleotti fece costruire per gli Estensi alcune barche divise in tre parti, illustrate nella sua opera sull'idrologia. Pier Paolo Floriani, nel 1630 circa, scrisse un trattato sulla “Difesa et offesa delle piazze …” In cui descrisse un ponte natante, inventato da suo padre il colonnello Pompeo Floriani, che utilizzava una barca ripartita in tre pezzi collegabili tra di loro.

“… (Alessandro) mandò avanti Efestione e Perdicca …, e ordinò loro di spingersi fino al fiume Indo e di costruirvi imbarcazioni … Siccome c'erano più fiumi da superare, essi congegnarono le barche in modo tale che potessero essere smontate e trasportate sui carri, e poi di nuovo ricostruite.” Curzio Rufo, VIII, X, 2-3

Scafi componibili modello Birago per il ponte militare Estense costruito nel 1848 presso Brescello.

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L'Equipaggiamento Birago

Equipaggiamento per ponte natante nei progetti del tenente colonnello Carlo Birago (1792-1845) dell'esercito austriaco, pubblicati a Vienna nel 1839.

L'equipaggiamento più diffuso fu comunque quello costruito dall'esercito austriaco su progetto del tenente colonnello Carlo Birago (1792-1845), introdotto verso la fine degli anni Trenta dell'800 e sperimentato a Vienna. Gli scafi erano di due tipi: uno aveva prua normale e poppa verticale, l'altro invece era un cassone parallelepipedo. La loro composizione permetteva di costruire vari tipi di natanti. Il Floriani, già nel 1630 circa, propose imbarcazioni simili. I cavalletti a due gambe, che consentivano la regolazione della banchina, furono realizzati in modo simile a quelli proposti dal Floriani. La tecnica di Birago, con la quale si potevano allestire ponti di vario genere, venne utilizzata con poche varianti fino alla prima guerra mondiale. Francesco IV, Duca di Modena, fece costruire nel 1838 un ponte Birago a Brescello.

Carro per il trasporto delle travi utili alla costruzione di un ponte militare (Coll. 2° Reg. Pont. Pc).

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Attraversare il Grande Fiume

Modello di carro con barca per ponte facente parte dell'equipaggiamento Cavalli dell'esercito sabaudo nei primi decenni dell'Ottocento (Museo dell'Artiglieria To).

Carico di due scafi da ponte su un carro agli inizi del Novecento.

Uno dei pochi esempi di barca in lamiera utilizzata durante il primo conflitto mondiale (Coll. 2° Reg. Pont. Pc).

Il Trasporto delle Barche

Carro per trasporto di barca proposta da Giuseppe Novi alla metà dell'Ottocento (Museo dell'Artiglieria To).

Negli stessi anni in cui operava il Birago, l'esercito sabaudo affinava le tecniche pontieristiche ad opera di Giovanni Cavalli, capitano d'artiglieria, il quale perfezionò una barca molto leggera lunga sei metri con la poppa a piano verticale che ne permetteva l'accoppiamento con un'altra. Nella scheda d'inventario di alcuni modelli di carri da ponte con relativo caricamento, conservata presso il Museo Nazionale dell'Artiglieria di Torino, si legge: “due barchettine, undici travicelli a cerniera, due travicelli per corte, cinquantun tavole, undici remi ferrati, due ancore a due morre, undici traverse ad otto rondelle, quattro crociere, otto ormeggi, un palo ferrato grande, due pali ferrati mezzani, un palo ferrato piccolo, un graffio a punta e gancio, un graffio a due ganci, due garitelle, due gomene, due battiterra, due gravine, due roncole, due picozze e due badili”. Questo equipaggiamento fu adottato dall'esercito sardo il 10 febbraio 1832. Tale sistema, avendo superato quello dell'austriaco Birago, si imponeva come il migliore d'Europa.

Carro per il trasporto di galleggianti e pianale, in un modello della metà dell'Ottocento (Museo dell'Artiglieria To).

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I Ponti Militari

Esercitazione dei pontieri a Torino presso il castello del Valentino nel 1836 (Museo dell'Arma del Genio Rm).

Modelli di barche per ponte su carri utilizzate a scopo militare fin dai primi dell'Ottocento (Museo dell'Arma del Genio Rm).

La prima compagnia pontieri piemontese, venne istituita nel 1816 ed utilizzò il materiale francese ereditato dalle sconfitte napoleoniche. La sede di questo reparto speciale era presso il castello del Valentino e le esercitazioni si svolgevano sul Po. Interessante a tale proposito è un raffigurazione pittorica, conservata presso il Museo Nazionale del Genio Militare in Roma, che illustra la costruzione con l'equipaggio ideato dal capitano Giovanni Cavalli, per Carlo Alberto, di fronte al castello del Valentino nel 1835. Alla base del dipinto, quasi una predella di un polittico medievale, si vede il lungo corteo di carri trainati da cavalli che trasportano i battelli ed il materiale per il pianale.

Modello di ponte galleggiante nel Sacrario del 2° Reg. Pontieri a Piacenza.

Rilievo della barca tipo Birago esposta nel cortile del 2° Reggimento Genio Pontieri di Piacenza (dis. P. Stanzani).

La barca Birago nel cortile della Caserma del Reggimento dei Pontieri a Piacenza.

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I Pontieri Militari

Passerella sull'Isonzo nel 1916 (Coll. 2° Reg. Pontieri Pc).

Esercitazione militare dei pontieri presso Boretto negli della guerra 1914-18.

Con la prima guerra mondiale si ebbero notevoli sviluppi nella tecnica dei ponti galleggianti. L’introduzione di mezzi corazzati, nonché le pesanti artiglierie, favorirono la specializzazione del Corpo dei Pontieri. Si continuò ad utilizzare il materiale ideato un secolo prima, nonostante la tendenza fosse quella di sostituire gli scafi in legno con quelli di lamiera o di ferro.

Ponte di barche costruito a Piacenza durante un'esercitazione del 4° Genio Pontieri agli inizi del Novecento.

Passaggio di truppe su un ponte militare durante la prima guerra mondiale (Coll. 2° Reg. Pont. Pc).

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I Ponti su Battelli Pneumatici

I galleggianti cilindrici in metallo, utilizzati già verso la fine dell’800, derivano sicuramente dagli antichi otri gonfiati. Negli Stati Uniti si usavano anche gommoni cilindrici legati fra loro, ma negli anni a cavallo tra le due guerre furono introdotti scafi in alluminio. I battelli pneumatici diffusi con l'uso del caucciù, permettendo un facile ed agevole trasporto, furono ampiamente utilizzati durante la seconda guerra mondiale.

“Duemila otri: pecore, capre, buoi e asini ce ne sono in abbondanza; si tratta di scorticarli e gonfiarne le pelli, e così avremo bell'e pronto ciò che serve per traghettare. Be', anche alcune corde, bastano quelle che si adoperano per le bestia da soma. Ecco, queste servono per unire gli otri tra loro e per attaccare una pietra ad ogni otre. Come un'ancora, così si possono calare in acqua; naturalmente si legano i due otri estremi alle due rive: e poi fascine e terra sopra! Non c'è pericolo di affogare; ogni otre tiene a galla due uomini, e non si scivola: le fascine e la terra lo impediscono”. Senofonte, Anabasi di Alessandro, III, V, 9-11 Passerella su battelli pneumatici negli anni Quaranta del '900.

Pedagna sull'Isonzo nel 1916 (Coll. 2° Reg. Pontieri Pc). Preparazione dei gommoni per un ponte alleato sul Po durante l'ultimo conflitto mondiale (Imperial War Museum - Arch. IBC).

Pedagna di battelli pneumatici delle forze alleate su di un fiume romagnolo (Imperial War Museum Arch. IBC).

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Un ponte di chiatte ed un ponte Bailey sul Reno nel ravennate costruito dagli Alleati nel 1945 (Imperial War Museum - Arch. IBC).

I Ponti di Guerra

Un ponte Bailey galleggiante sostituisce il ponte ferroviario distrutto sul Reno presso Traghetto di Molinella (Imperial War Museum - Arch. IBC).

Con l'avvento della seconda guerra, in particolare ad opera delle forze alleate anglo-americane, si inseriscono nello scenario italiano nuove e complesse strutture: barche e pianali in lamiera d'acciaio, gommoni gonfiabili, ed infine l'innovazione, già comunque conosciuta in modo simile da altri eserciti europei, del cosiddetto ponte “Bailey” dal nome dell'omonimo inventore inglese. Questo era costituito da leggeri tralicci in ferro, rapidamente componibile in moduli e facilmente trasportabile, quindi adatto ad attraversare in modo stabile fiumi di modeste dimensioni oppure, appoggiati su barconi, per formare chiatte e traghetti ed infine ponti natanti su fiumi della larghezza del Po.

Una chiatta traghetta un camion alleato sul Po (Imperial War Museum - Arch. IBC).

Una chiatta con una campata di ponte Bailey traghetta sul Po un mezzo corazzato alleato (Imperial War Museum - Arch. IBC).

Una colonna alleata attraversa il Po su un ponte di chiatte (Imperial War Museum - Arch. IBC).

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I Ponti Militari Moderni

Ancor oggi il ponte natante può essere di grande utilità in occasione di conflitti bellici o di emergenza civile. Il P.G.M. (ponte galleggiante motorizzato) in dotazione ai pontieri delle forze armate italiane consente il rapido trasporto ed impiego di chiatte semoventi per traghettare oppure per formare un ponte anche di grandi dimensioni.

Esercitazione sul Po con il P.G.M (ponte galleggiante motorizzato) in dotazione al 2° Reggimento Pontieri di Piacenza.

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Ponte militare sul Po degli anni Quaranta del Novecento (Coll. 2° Reg. Pont. Pc).

La Testata dei Ponti

Cavalletto regolabile proposto già verso la fine del '500 da Pompeo Floriani.

Un disegno nell'opera del Floriani raffigura un cavalletto molto interessante simile a quelli che verranno utilizzati nei secoli successivi. Le gambe sono costituite da due pali inclinati poggianti sul fondale e collegate tra loro da una trave sostenuta da un telaio a contrasto, che rende possibile il rapido innalzamento o l'abbassamento del piano del ponte a seconda dell'altezza dell'acqua. Egli propone inoltre l'uso di cavalletti muniti di suole simili a quelle impiegate nei ponti dell'800.

Sistemazione delle travi di sostegno del pianale durante la costruzione di una testata del ponte negli anni Quaranta del Novecento (Coll. 2° Reg. Pont. Pc).

Il ponte di Guastalla: si notano in primo piano i paranchi differenziali che regolano l'altezza della “ponticella”.

Cavalletto regolabile proposto già verso la fine del '500 da Pompeo Floriani.

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Ponte di chiatte lignee sul Po. La discesa al ponte detta “ponticella” è costruita secondo la tecnica dei blocchi di travi disposte a castello, modificabile a seconda del livello del fiume.

La Testata dei Ponti

La discesa di un ponte di barche detta “ponticella” in cui si evidenzia la tecnica dei blocchi di travi disposte a castello modificabile a seconda del livello del fiume.

A causa del dislivello con la “piarda” (quella parte d'alveo oltre la ripa dell'argine per buona parte dell'anno sopra al pelo d'acqua), veniva creata una testata chiamata “ponticella” per accedere dalla riva al ponte. Questa era formata da una successione di basamenti costituiti da travi disposte a castello che reggevano il piano carreggiabile in declinazione appoggiati a loro volta sulla prima, seconda e terza chiatta di testata che formavano l'invito al ponte stesso. Nel dopoguerra vennero costruite le testate in cemento molto più sicure e funzionali. Queste infatti erano dotate di robusti paranchi che consentivano di regolare l'altezza dei piani di aggancio alle rive in modo rapido e sicuro.

La testata recentemente restaurata a Viadana.

La costruzione della nuova testata del ponte di Boretto nel 1946.

La testata del ponte e la “Casa dei Pontieri” prima del recente restauro e dell'apertura del museo.

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I Pontieri Civili

Foto di gruppo dei pontieri di Boretto negli anni Trenta del secolo scorso. Un singolare “presentatarm”, con le ancore, effettuato dai pontieri (Coll. 2° Reg. Pont. Pc).

Solo con l'unità d'Italia che il Po diventa un unico fiume, mirabile sogno di Napoleone, senza barriere daziali, senza “passa-porti” alle frontiere “rivali” o lungo il suo percorso. Vengono costruiti i primi ponti galleggianti stradali, non più di guerra ma civili, che garantivano, nonostante la precarietà dovuta agli “umori” del Grande Fiume, una facile comunione tra le sponde. I pontieri ne erano custodi di giorno e di notte: governano le testate a seconda del livello del fiume, aprivano il varco necessario per il passaggio di grandi natanti, vigilavano sui pericolosi tronchi d'albero e sui blocchi di ghiaccio alla deriva che avrebbero potuto danneggiare le chiatte.

I pontieri di Boretto in una foto degli inizi degli anni Quaranta del Novecento. Tra loro il piccolo Romano Gialdini.

Foto di gruppo dei pontieri di Boretto fra i quali compaiono, oltre a Dino Gialdini, capo pontiere, l'Ing. Mario Prodi ed il Geom. Malagori dell'Amministrazione Provinciale di Reggio.

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Un chiatta staccata dal ponte di Boretto.

Le Manovre del Ponte

Il ponte di barche Boretto-Viadana in una rara immagine aerea scattata dall'I.G.M. il 2 ottobre 1934 (I.G.M. - Arch. IBC).

Le varie manovre di governo e di manutenzione del ponte venivano eseguite utilizzando un “salpancore” (ossia una imbarcazione fornita di un verricello centrale) che veniva manovrato a remi. Con questo mezzo si pulivano gli ancoraggi composti da una grande boa o da galleggianti cilindrici fissati con una catena a due prismi in cemento immersi nel letto del fiume. La boa a sua volta era collegata ad una fune in acciaio fissata al ponte. Vi erano ancoraggi a monte e a valle in egual misura. I secondi erano costituiti da ancore a quattro marre con catena fissata alla struttura delle chiatte.

Apertura del ponte di Boretto per il passaggio di un bucintoro agli inizi del Novecento.

Il salpancore a servizio del ponte di Boretto in una immagine degli inizi del Novecento.

Il ponte Boretto-Viadana nella cartografia I.G.M. levata nel 1893.

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Allestimento del pianale di un ponte militare negli anni Trenta del '900 (Coll. 2° Reg. Pontieri Pc).

L'Allestimento del Pianale

Ponte militare costruito dal Reggimento Pontieri sul Po (Coll. 2° Reg. Pont. Pc).

Dopo aver varato le nuove barche, i fabbri provvedevano alla costruzione della chiatta con la messa in opera delle putrelle NP20 saldate ad una serie di quattro putrelle NP22 che costituivano il telaio esterno posate ad un intervallo di 60 centimetri. L'orditura veniva poi completata con la saldatura di un ferro piatto dello spessore di tre centimetri e della larghezza di dieci in funzione di rompitratta tra i due spigoli formati dalle putrelle di contorno o perimetrali. Questo evitava le sollecitazioni dei pesi che avrebbero transitato sul ponte nel momento dell'apertura al traffico. Ai fabbri subentravano i carpentieri che costruivano l'impiantito formato da tavole in legno di larice dello spessore di 8 centimetri e della lunghezza di 6 metri. Il tavolato veniva tenuto assieme da un ferro ad “U” sistemato ai due estremi della pontata ed era anche dotato di occhielli atti a sostenere i piantoni dei parapetti che correvano lungo ogni chiatta.

Le fasi di allestimento del pianale di una chiatta.

Alcune chiatte appena varate presso la foce del Crostolo.

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Il cantiere di costruzione degli scafi in cemento delle chiatte alla foce del Crostolo presso Guastalla.

Foto di gruppo del 1929 delle maestranze presso i casseri dell'armatura per il getto delle chiatte.

Varo di una chiatta nuova alla foce del Crostolo.

Il Cantiere Navale

Una nuova chiatta sul Crostolo di fronte al cantiere.

Con l'avvento del cemento armato venne importata dall'Olanda la tecnica della costruzione di chiatte in cemento. Su una base di legno rialzata da terra di circa 50 centimetri, si stendeva un'orditura di tondini di ferro del diametro di otto millimetri, a doppia maglia cucita con filo di ferro ed a sua volta, sotto la stessa, veniva fissato un foglio di rete “gambarana” dalla maglia di un centimetro quadrato, infine veniva steso un’altro foglio di rete sull'orditura della maglia di tondino. A quest’ultima, che costituiva l'orditura di fondo, venivano fissati altri ferri che formavano le costole dei cinque compartimenti in cui era suddiviso il barcone. Questi travetti creavano il telaio di base atto a sopportare l'appoggio delle putrelle e delle solette di coperta che limitavano l'entrata dell'acqua piovana. Il tutto veniva poi inglobato nell'armatura lignea. La rete “gambarana” veniva sagomata per formare le pareti del barcone a doppio strato e, nella relativa intercapedine, veniva eseguito il getto. Disarmato lo scafo, la parete esterna veniva rinzaffata e tirata con uno speciale "sparaver" per chiudere perfettamente le eventuali porosità del getto.

Allestimento completo di una chiatta alla foce del Crostolo.

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L'Aggancio delle Chiatte

Sul ponte militare presso San Nicolò si notano gli staffoni che fissavano le travi al pianale. Disegni esecutivi del ghindamento a staffe proposto dal Geom. Azzolini dell'Amministrazione Provinciale di Reggio Emilia negli anni Quaranta del Novecento.

Inizialmente furono utilizzate grandi staffe per collegare fra loro le chiatte; queste trattenevano a mo' di morsetto le travi maestre del pianale. Una importante innovazione fu quella della “macchinetta” di aggancio realizzata su progetto del geometra Azzolini, brevettato dall'Amministrazione provinciale di Reggio Emilia. Questo sistema, tuttora visibile nel ponte sull'Oglio presso la sua confluenza nel Po, consisteva in una cerniera ad asole contrapposte che collegava le chiatte. L’inarcatura del ponte si comportava come una piattabanda e lo rafforzava contro la corrente. Questa si otteneva allargando a monte lo spessore in legno (chiamato “buraton”), inserito fra una congiunzione e l'altra delle chiatte, nel centro della “macchinetta”, e restringendolo a valle.

Il ponte di Santa Giulia sul Po di Gnocca.

La “macchinetta” che collega due chiatte sul ponte di Torre dell'Oglio.

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Gli Attraversamenti nella Cartografia

Legenda di ponti, passaggi e guadi tratta dalle cartografie del Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla (1828) e del Lombardo-Veneto (1833).

Passo presso Castelnovo Bocca d'Arda nella cartografia austriaca del 1833.

La cartografia preunitaria pone particolare attenzione nella segnalazione degli attraversamenti fluviali. I segni sono già convenzionali e notevole è il dettaglio nell'atlante topografico del 1841, dedicato da Paolo Burzio, architetto e ingegnere topografo del Regno Sardo, a Carlo Alberto di Savoia.. In questo, lo scafo con pontile è fissato ad una fune di stazionamento e traino che attraversa il fiume. Possiamo osservare la stessa attenzione nella cartografia ufficiale del Regno Sardo del 1853.

Simbologia di ponti, porti, passi e traghetti fluviali ideata da Paolo Burzio per la cartografia del Regno di Sardegna nel 1841.

Legenda idrografica e relativi modi di attraversamento dei fiumi nella cartografia del Regno di Sardegna del 1853.

Traghetto presso Stellata nella cartografia austriaca del 1851.

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Gli Attraversamenti nella Cartografia

Il ponte di chiatte di Piacenza, presso quello ferroviario, è indicato nella tavoletta dell'I.G.M. del 1889. Legenda dei passi, porti, traghetti e mulini natanti nelle tavolette I.G.M. di fine Ottocento.

L'esigenza del dettaglio o della distinzione tra i vari modi per attraversare un fiume viene meno già verso la fine dell'800. La cartografia dell'Istituto Geografico Militare segnala il “Porto, Chiatta, Scafa” e lo raffigura con una o due barche. L'ultima edizione risale agli anni Trenta del secolo scorso e distingue tra la portata inferiore o maggiore a 4 tonnellate, a seconda che il traghetto sia ad uno o due scafi.

Guadi, passi e ponti nella legenda della cartografia I.G.M. del Novecento.

Passo a Guastalla nella cartografia I.G.M. di fine '800.

Traghetto presso Castelnovo Bocca d'Arda nella cartografia I.G.M. di fine '800.

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Attraversare il Grande Fiume

I Ponti di Barche tra Otto e Novecento

Carta della dislocazione dei ponti di barche lungo il Po da Pavia al mare tra Otto e Novecento.

PONTE della BECCA Fu costruito nel 1865 alla confluenza del Ticino con il fiume Po, sulla strada che da Pavia porta a Stradella. Era lungo circa 700 metri, la larghezza del piano carreggiabile era di metri 5,60 ed era composto da 40 chiatte. Restò in funzione fino al 1912 anno in cui fu sostituito da un moderno ponte in ferro di tredici campate lunghe 80 metri cadauna e larghe metri 7, poggianti su pile in muratura con fondazioni pneumatiche. PONTE di PORTALBERA Si trovava a circa 15 chilometri a valle di Pavia. Collocato originariamente tra Portalbera e Sostegno, nel 1912 fu trasportato qualche chilometro a valle ed ancorato a rive più sicure tra Spessa ed Arena Po. Era lungo circa 800 metri ed era costruito in chiatte di legno, sostituite poi da altre in cemento. Restò in funzione fino al 1973.

Il ponte tra Spessa ed Arena Po restò in funzione fino al 1973 anno in cui fu realizzato un nuovo ponte in cemento armato.

Ponte di chiatte a Borgo Tosca agli inizi del Novecento.

PONTE di CASTEL SAN GIOVANNI Si trovava tra Bosco Tosca-Pievetta e Pieve Porto Morone, a 10 chilometri a valle del precedente. Anche questo ponte, costruito dopo il 1870, era formato da chiatte in legno, sostituite più tardi da quelle in cemento, come accadde per gli altri ponti. La chiatta centrale era mobile per permettere l'apertura del ponte al passaggio delle imbarcazioni. Agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso fu sostituito con un nuovo ponte in cemento armato.

Il ponte di chiatte di Castel San Giovanni in una foto aerea scattata il 15 giugno 1955 (I.G.M. Arch. IBC).

Casa dei Pontieri Museo Dino Gialdini Comune di Boretto


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I Ponti di Barche tra Otto e Novecento

Il ponte di chiatte di Casalmaggiore in una cartolina della fine dell'Ottocento.

Ponte di San Nazzaro-Caorso nella foto aerea dell'11 agosto 1955 (I.G.M. - Arch. IBC).

PONTE di PIACENZA Si trovava lungo la via Emilia, tra Piacenza e Codogno. Fu il primo ponte in chiatte costruito sul Po nel 1861 dopo l'unità d'Italia, in un punto strategico per la comunicazione tra Emilia e Lombardia. Era ubicato poco più a valle rispetto al ponte ferroviario ed era costituito da chiatte in legno fissate con pali. Tale sistema era pericoloso per la navigazione, poiché la chiatta che veniva spostata al passaggio delle imbarcazioni era posta proprio in linea con una pila di sostegno del ponte ferroviario. Restò in funzione fino al 1908, anno in cui fu costruito il ponte stradale, che poggiava su nove pile di sostegno in muratura ed aveva otto campate in ferro, ognuna di 76 metri di lunghezza.

PONTE di SAN NAZZARO Era posto tra Monticelli d'Ongina e Castelnovo Bocca d'Adda. Fu costruito nel 1930 con chiatte di cemento ed era posto poco più a monte di Isola Serafini. Fu bombardato e distrutto come gli altri ponti sul Po nel 1944, durante la seconda guerra mondiale, ma venne ricostruito subito dopo, e restò in funzione fino al 1970, anno in cui fu sostituito da un ponte in cemento armato.

Ponte di Casalmaggiore agli inizi del '900.

Il ponte di barche di Cremona nella tavoletta dell'I.G.M. del 1889.

PONTE di CREMONA Si trovava sulla strada tra Cremona e Castelvetro Piacentino. Fu costruito nel 1863 con chiatte in legno e fu il primo ponte ad essere sostituito, nel 1893, quando fu realizzato il ponte fisso con 14 pile di sostegno in muratura e 12 travate metalliche in ferro, sia per il traffico stradale stradale che ferroviario.

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I Ponti di Barche tra Otto e Novecento

Passaggio del Po a Casalmaggiore della principessa di Parma, moglie dell'arciduca d'Austria Giuseppe, il 13 settembre del 1760. Il ponte di chiatte di Casalmaggiore nella tavoletta dell'I.G.M. del 1888.

PONTE di CASALMAGGIORE Fu costruito nel 1863 tra Casalmaggiore e Colorno. Era lungo metri 595 e composto da 44 chiatte ciascuna formata da due barconi in legno sostituiti nel 1906 con altri in cemento retinato, più robusti e con minor problemi di manutenzione. Questi barconi erano lunghi metri 12,50 e larghi metri 4,10; sostenevano travi in ferro sulle quali era disposto il tavolato carreggiabile in legno di larice, alto centimetri 8 e largo metri 5,50. Le chiatte erano unite tra loro con travi in larice e staffe in ferro ed erano ancorate al fondo del fiume, a monte, con cavi d'acciaio e blocchi di cemento, mentre a valle con ancore. Cessò la propria attività nel 1965, anno in cui fu realizzato il nuovo ponte in cemento armato.

Il ponte di Casalmaggiore verso la fine dell'Ottocento.

Il ponte di Casalmaggiore agli inizi del '900.

Il ponte di chiatte a Casalmaggiore in una foto aerea del 16 settembre 1955 (I.G.M. - Arch. IBC).

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Il ponte di chiatte Boretto-Viadana presso il nuovo ponte in cemento armato poco prima della sua dismissione.

I Ponti di Barche tra Otto e Novecento

Il ponte Viadana-Boretto in una cartoline degli anni Venti del '900.

PONTE di BORETTO-VIADANA Si trova tra Viadana e Boretto e fu costruito nel 1865. Lungo metri 840 e largo metri 5,60, era formato da 61 chiatte con barconi in legno, ricostruiti poi in cemento nel 1912. Bombardato e distrutto da aerei americani e inglesi il 13 luglio 1944, fu rifatto dopo la fine della guerra restando in attività fino al 20 luglio 1967, anno in cui fu aperto al traffico il ponte in cemento armato.

Il ponte di Boretto in una immagine degli anni Sessanta.

Boretto ed il ponte in una rara veduta aerea eseguita alla metà del Novecento (foto Vaiani - Arch. Bon. Bentivoglio-Enza).

Il ponte Viadana-Boretto in una cartoline degli anni Venti del '900.

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Attraversare il I Ponti di Barche tra I Ponti di Barche Otto e Novecento Grande Fiume tra Otto e Novecento

Foto aerea di Guastalla e del suo ponte scattata il primo ottobre del 1955 (I.G.M. Arch. IBC).

Il ponte di Guastalla in una cartolina negli anni Cinquanta del '900.

PONTE di GUASTALLA Si trovava tra Guastalla e Dosolo e fu costruito nel 1927 con barconi in cemento e rifatto nel 1952 dopo la distruzione bellica. Restò in esercizio fino al 1971, quando venne realizzato il ponte fisso in cemento armato.

Il passo del Po presso Guastalla nella tavoletta dell'I.G.M. del 1888.

Il ponte di Guastalla con le nuove chiatte chiuse dalle coperte in cemento per evitare l'entrata dell'acqua piovana.

Veduta del ponte di Guastalla e del lido sullo sfondo.

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I Ponti di Barche tra Otto e Novecento

Il ponte di chiatte presso Borgoforte agli inizi del Novecento. Il ponte di chiatte a San Benedetto Po poco prima della sua dismissione.

PONTE di BORGOFORTE Si trovava sulla strada statale della Cisa tra Borgoforte e Motteggiana poco più a valle del ponte ferroviario in ferro. Era lungo metri 272 ed era costituito da 23 chiatte, con un piano carreggiabile di metri 6,20. Fu utilizzato dal 1870 e cessò la sua attività nel 1965. PONTE di SAN NICOLÒ PO Si trovava tra San Nicolò e Portiolo. Fu realizzato nel 1945 dagli americani per scopi. Era largo appena tre metri ed era formato da barconi in legno che sorreggevano un piano carreggiabile in legno di larice. Dopo pochi anni di attività fu smantellato; al suo posto fu costruito il ponte di San Benedetto Po.

Il ponte di barche con equipaggiamento militare costruito verso la metà del Novecento presso San Nicolò di San Benedetto Po.

Il ponte presso San Benedetto Po in una cartolina di fine Ottocento.

PONTE di SAN BENEDETTO PO Si trovava sulla strada tra Mantova e Modena, tra Bagnolo San Vito e San Benedetto Po. Fu costruito nel 1893 con materiale derivante dalla demolizione del vecchio ponte di Cremona. Era formato da 23 chiatte, era lungo metri 278 ed aveva un piano carreggiabile largo metri 5,70.

Il ponte di San Benedetto Po ai primi del Novecento.

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Il ponte tra Revere e Ostiglia verso la fine dell'Ottocento.

I Ponti di Barche tra Otto e Novecento

Il ponte tra Revere e Ostiglia in una cartolina di fine Ottocento.

PONTE tra REVERE e OSTIGLIA Venne realizzato in chiatte di legno nel 1875. Lungo metri 274 e largo metri 6,40, era composto da 24 chiatte; restò in funzione fino al 1930 quando fu costruito l'attuale ponte stradale su piloni in muratura e travate metalliche a fianco del ponte ferroviario. Il ponte in cemento armato è da anni in costruzione, ma non è ancora stato completato. PONTE di SERMIDE Si trovava tra Castelmassa e Sermide. In esercizio dal 1885, era lungo metri 562 e largo metri 5,80. Era composto da 46 chiatte in legno, sostituite più tardi da quelle in cemento retinato nel 1912. Cessò l'attività nel 1972 quando fu costruito il ponte in cemento armato.

Il ponte di chiatte di Massa Superiore in una cartolina degli inizi del Novecento.

Il ponte di Stellata di Bondeno nella foto aerea scattata il 22 luglio 1955 (I.G.M. Arch. IBC).

PONTE della STELLATA Si trovava tra Ficarolo e Stellata di Bondeno. Costruito nel 1905, era lungo metri 360 ed aveva 40 barconi, parte in cemento e parte in legno. Il ponte in cemento armato fu realizzato agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso.

Il ponte di barche in località Stellata di Bondeno agli inizi del Novecento.

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L'abitato di Pontelagoscuro, distrutto dai bombardamenti, ed i ponti militari provvisori nella foto aerea della R.A.F., scattata il 10 agosto 1945.

I Ponti di Barche tra Otto e Novecento

Il ponte di chiatte a Pontelagoscuro nella tavoletta dell'I.G.M. levata nel 1893.

PONTE di PONTELAGOSCURO Si trovava tra Ferrara e Santa Maria Maddalena. Fu costruito nel 1865 con chiatte in legno e smantellato nel 1912, anno in cui entrò in funzione il ponte stradale in ferro su pile in muratura. PONTE di POLESELLA Si trovava tra Polesella e Ro Ferrarese. Fu costruito nel 1913 con materiale derivante dalla demolizione del vecchio ponte in chiatte di Pontelagoscuro, era composto da 40 barche in cemento e da 8 in legno. Lungo metri 298 e largo metri 5, restò in funzione fino al 1976, anno in cui fu aperto il ponte in cemento armato. PONTE di CORBOLA Si trovava sulla strada tra Adria e Codigoro. Fu costruito nel 1902 in chiatte e sostituito nel 1909 con un nuovo ponte fisso in ferro su piloni in muratura.

Il ponte di barche a Pontelagoscuro in una cartolina di fine Ottocento.

Il ponte di barche di Polesella agli inizi del Novecento.

Foto aerea del ponte di chiatte di Polesella scattata dall'I.G.M. nel 1937.

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I Ponti di Barche tra Otto e Novecento

Il ponte a Gorino Ferrarese-Gorino Veneto sul ramo del Po di Goro in una recente immagine.

Il ponte di chiatte di Torre dell'Oglio in una recente immagine.

PONTE di GORINO Si trova tra Gorino Ferrarese e Gorino Veneto, sul Po di Goro, ancor oggi esistente. Fu costruito nel 1976 con le chiatte in cemento del vecchio ponte di Polesella, è stato da poco restaurato. PONTE di SANTA GIULIA Si trova tra Gorino Sullam e Gnocchetta-Santa Giulia, sul Po di Gnocca. E' l'ultimo ponte in chiatte sul fiume, a pochi chilometri dal suo sbocco in mare, ancor oggi in esercizio: per attraversarlo occorre pagare un modesto pedaggio. Il ponte di chiatte in località Torre sull'Oglio presso la confluenza nel Po.

Ponti di chiatte tuttora esistente presso Santa Giulia sul Po di Gnocca.

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Attraversare il Grande Fiume L'iniziativa rientra nei molteplici interessi e nelle variegate competenze che l'Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna ha nel promuovere e divulgare ricerche atte a diffondere tematiche territoriali di grande rilevanza nell'ambito della tutela del territorio e legate alla valorizzazione di musei e raccolte locali nell'ampio sistema dei luoghi della cultura della Regione L'Istituto Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna, il Museo Casa dei Pontieri “Dino Gialdini” e il Comune di Boretto desiderano ringraziare tutti coloro che con suggerimenti, indicazioni, fornitura di materiale fotografico ed iconografico, hanno contribuito alla realizzazione di questa iniziativa. Ideazione e progettazione Sergio Venturi e Romano Gialdini Collaborazione alla realizzazione Beatrice Orsini Realizzazione grafica e allestimento Zeno Oriandi Catalogo Editoriale Sometti, Mantova Si ringrazia Enrico Manicardi (Presidente del Consiglio) e Franco Lucci (Ufficio Tecnico), Amministrazione Provinciale di Reggio nell'Emilia; Emilio Bertolini (Presidente) e Paola Benfatti, Consorzio di Bonifica Bentivoglio-Enza; Giuseppe Melia, A.R.N.I.; Gianni Dall'Asta (Presidente), Associazione degli Amici del Po; Gabriele Setti (Assessore), Comune di Revere; Marina Baruzzi, Biblioteca Comunale di Imola; Daniela Ferrari (Direttore), Archivio di Stato di Mantova; Gen. Sergio Damiani (Curatore), Raccolte dell'Istituto Storico e di Cultura dell'Arma del Genio in Roma; Col. Andrea Ghione (Comandante) e Cap. Claudio Faggioli, 2° Reggimento Genio Pontieri di Piacenza. Dell'Istituto Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna, si ringraziano per la collaborazione i colleghi: Isabella Fabbri, Fiamma Lenzi, Stefano Pezzoli, Paola Stanzani e Riccardo Vlahov.

Provincia di Reggio nell’Emilia

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