Ottobre 2018: la tempesta Vaia.

UniversitĂ degli studi di Udine Corso di laurea in Lingue e Letterature Straniere

TESI DI LAUREA

Ottobre 2018: la tempesta Vaia

Relatore

Laureanda

prof. Mauro Pascolini

Elsa Bornacin

Anno Accademico 2018/2019

Alla mia regione: il Veneto

INDICE

INTRODUZIONE

5

1. LA REGIONE VENETO

7

1.1 Un inquadramento geografico

7

1.2 La bandiera del Veneto

9

1.3 Le Dolomiti Patrimonio Mondiale Unesco

10

1.4 Il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi

14

1.5 Flora e fauna

16

1.6 Le foreste dei violini: la Val di Fiemme e la Val Saisera

17

2. UNO SGUARDO SUL PASSATO

19

2.1 I danni lasciati dalla prima guerra mondiale

19

2.2 L’alluvione del 1966

27

2.3 La Commissione De Marchi

33

2.4 Un caso particolare: gli schianti nelle foreste del Trentino

35

2.5 La situazione idrogeologica in Veneto a 50 anni dall’alluvione

38

3. IL BOSCO: PATRIMONIO NATURALE DOLOMITICO

41

3.1 Definizione di bosco

41

3.2 La definizione giuridica nella Regione Veneto

43

3.3 Il bosco nella montagna veneta

44

3.3.1 Il bosco di conifere

44

3.3.2 L’abete rosso: il protagonista della tempesta Vaia

46

3.4 Ruolo e gestione del bosco

48

3.5 Il patrimonio boschivo prima di Vaia

49

3.6 Usi civici nell’Altopiano di Asiago

52

1

4. LA TEMPESTA VAIA

55

4.1 Il cambiamento climatico

55

4.2 Greta Thunberg e la lotta contro il cambiamento climatico

57

4.3 Vaia: una premessa

61

4.4 Inquadramento generale dell’evento

64

4.5 Gli effetti sull’idrografia

69

4.5.1 Il bacino del fiume Adige

70

4.5.2 Il bacino del fiume Bacchiglione

70

4.5.3 Il bacino del fiume Brenta

71

4.5.4 Il bacino del fiume Piave

72

4.5.5 Il bacino del fiume Livenza

73

4.5.6 Il bacino del fiume Tagliamento

73

5. LE CONSEGUENZE DELLA TEMPESTA VAIA E IL POST EMERGENZA 75 5.1 Il passaggio di Vaia nella Regione Veneto

75

5.2 La fase dell’emergenza

79

5.3 La stima dei danni e il post emergenza

94

5.4 Il convegno di Belluno

100

5.4.1 La superficie boschiva distrutta da Vaia

101

5.4.2 La gestione forestale per gli schianti

104

5.4.3 Il rischio fitopatologico

108

5.4.4 Il mercato del legname

109

5.4.5 L’aspetto paesaggistico – naturalistico

111

5.5 Achille come Greta, gli occhi dell’innocenza di fronte alle tragedie 6. LA RISPOSTA DELLE ISTITUZIONI

112 115

6.1 La conferenza stampa

115

6.2 Intervento della Croce Rossa

118

6.3 Intervento della Regione Veneto

119

2

CONCLUSIONI

121

SUMMARY

125

BIBLIOGRAFIA

135

SITOGRAFIA

141

VIDEOGRAFIA

143

ALTRA DOCUMENTAZIONE

143

RINGRAZIAMENTI

145

3

4

INTRODUZIONE

‹‹Le Alpi, oltre a costituire il confine terrestre dell’Italia, ne sono una parte importantissima, che, per l’asperità delle forme, l’altitudine, le foreste e la varietà dei paesaggi, la facile transitabilità, le attrattive turistiche e le complesse vicende storiche, tutti gli Italiani aspirano a visitare per passarvi più o meno lunghi soggiorni. La loro conoscenza è un’esigenza avvertita da tutti gli uomini di cultura››.1 Voglio aprire questa mia introduzione riportando questa citazione particolare perché proprio nelle Alpi, e più specificatamente nell’area dolomitica, è passata, per la prima volta, nel mese di ottobre 2018 una tempesta dai tratti paragonabili ad un ciclone: la tempesta Vaia, che sarà protagonista di questa mia tesi di laurea, tempesta che ha distrutto il patrimonio boschivo di questi luoghi provocando 8 milioni di mc schiantati al suolo.

Le motivazioni che mi hanno spinto ad approfondire tale tema sono duplici: primo l’interesse personale per la natura e per tutti gli elementi che la compongono, anche se non rientrante tra le tematiche e i contenuti del mio percorso di studi, e secondo l’amore che nutro per il territorio in cui sono nata, la regione Veneto, territorio che può vantare, tra le molte, due grandi bellezze invidiate in tutto il mondo: Venezia e le Dolomiti.

L’obiettivo di questa mia tesi di laurea è perciò quello di fornire un’analisi generale del fenomeno proponendo un percorso del prima, del durante e del post emergenziale.

La tesi è articolata in sei capitoli: il primo capitolo presenta un’introduzione generale alla regione Veneto e alle Dolomiti; il secondo capitolo invece propone un background storico diviso in due parti, nella prima si riportano i danni lasciati dalla Grande Guerra al patrimonio boschivo dolomitico, mentre nella seconda si ricorda la famosa alluvione del 1966, altro evento catastrofico che ha colpito questa regione. In particolare in questa seconda parte si scoprirà il “fratello più vecchio di Vaia”.

1

Ruocco D., a cura di, Le Alpi barriera naturale, individualità umana, frontiera politica, Bologna, Patron Editore, 1990.

5

Nel terzo capitolo si descrive il patrimonio boschivo presente prima del passaggio di Vaia, un patrimonio di oltre un secolo e costituito in prevalenza dalla specie vegetale che tutti conosciamo essere come “l’albero di Natale”, ovvero l’abete rosso. Nel quarto capitolo viene presa in esame una delle cause che, secondo gli scienziati, potrebbe aver scatenato questo fenomeno: il cambiamento climatico.

Poi nel successivo capitolo la tempesta è analizzata in due parti: nella prima il fenomeno dal punto di vista meteorologico, mentre nella seconda viene approfondito il post emergenza. Infine, nel sesto e ultimo capitolo ho inserito le interviste rilasciate dalle Istituzioni che sono state protagoniste sul campo in quei giorni.

Per sviluppare questa tesi è stata condotta una ricerca divisa in più fasi: la prima è stata quella di partecipare al primo convegno su Vaia a livello nazionale svoltosi a Belluno dove più attori si sono ritrovati attorno ad un tavolo per discutere dell’evento. La seconda fase si è svolta con ricerche d’archivio e presso le biblioteche del territorio, infine è stato fondamentale scendere sul campo e contattare chi si è occupato di Vaia a livello istituzionale e scientifico.

Prima di passare perciò a parlare della tempesta Vaia, farò un breve cenno alla conclusione a cui sono giunta e che espongo approfonditamente nella parte dedicata alle conclusioni: posso dire che le ricerche finora svolte sul fenomeno Vaia mi hanno fatto capire come le conseguenze che ha lasciato in seguito al suo passaggio saranno oggetto di studi scientifici per moltissimi anni alla ricerca delle soluzioni più ottimali per il ripristino del patrimonio e del paesaggio, bene condiviso delle popolazioni che vivono o che frequentano i territori drammaticamente colpiti.

6

1. LA REGIONE VENETO

1.1 Un inquadramento geografico La Regione Veneto è una delle 20 regioni italiane, situata nella parte orientale dell’Italia settentrionale e giuridicamente è una regione a statuto ordinario. Il Veneto, con i suoi 4.905.037 abitanti2, è la quinta tra le più popolate regioni d'Italia. Confina a nord con l'Austria, a nord-ovest con il Trentino-Alto Adige, a sud con l'Emilia-Romagna, a sud-ovest con la Lombardia, a est con il Friuli-Venezia Giulia e a sud-est con il mare Adriatico nel Golfo di Venezia. Insieme con il Trentino-Alto Adige e il Friuli-Venezia Giulia, il Veneto costituisce la macroarea del Triveneto o delle Tre Venezie.

Il Veneto è inoltre suddiviso in sette province: Belluno, Treviso, Vicenza, Verona, Padova, Rovigo e Venezia che è anche la capitale storica e il capoluogo amministrativo, con un totale di 563 comuni.

Con una superficie di circa 18.345 km2, il Veneto costituisce l'ottava regione italiana per superficie. Essa comprende una vastissima varietà di forme paesaggistiche: dalla fascia costiera che è bagnata dal Mar Adriatico fino alla parte più settentrionale delle Dolomiti, passando per la pianura veneto-friulana.

Il Veneto è attraversato da alcuni tra i più importanti fiumi italiani quali il Po (che interessa la regione solo nel suo tratto inferiore, sfociando direttamente nel Mar Adriatico), l'Adige (secondo fiume d'Italia per lunghezza, il cui corso superiore scorre nel Trentino Alto Adige), il Brenta, il Bacchiglione, il Livenza, il Piave, il Mincio, il Sile e il Tagliamento.

Confina, inoltre, per la parte orientale, con il più grande lago italiano: il Lago di Garda.

Il punto più a settentrione è Cima Vanscuro (2678 m, al confine con l'Austria, ivi denominato Pfannspitze) e il punto più meridionale è costituito dalla Punta di Bacucco3, 2

Dato aggiornato al 1 gennaio 2019 dall’Istat, sulla base di una stima nell’arco del 2018, consultabile al link http://dati.istat.it/Index.aspx?QueryId=18549.

3 Bacucco è una spiaggia selvaggia e incontaminata. È situata, tra canneti e lagune, alle bocche del Po di Goro e di Gnocca, sulla punta meridionale del Parco regionale del Delta del Po, in Comune di Ariano nel Polesine. È il punto più meridionale del Delta del Po. Tra la folta vegetazione si erge il faro del Bacucco che

7

situata nell'arenile del Delta del Po. La zona del Delta del Po è il territorio più giovane d’Italia, la sua parte terminale non ha più di 150anni4 ed è in continua formazione.

La vetta più alta della regione è la Marmolada (3343 m) situata in Provincia di Belluno al confine con il Trentino-Alto Adige. Non è un caso che molte delle montagne del Veneto rientrino nell’elenco del Patrimonio dell’Unesco: Marmolada, Antelao, Cristallo, Tre Cime di Lavaredo, Pelmo, Tofane, Civetta e molte altre che rendono questa regione famosa in tutto il mondo. Un altro elemento geografico caratterizzante il territorio veneto è il bacino idrografico del Piave quasi interamente racchiuso entro i confini della regione.

Il suo territorio è morfologicamente molto vario, presentando diversi paesaggi quali: mare, montagna, collina, pianura, zone termali, laghi e parchi naturali. Non a caso il Veneto è denominato “una regione dai mille volti". E’ la regione italiana con la maggior percentuale di territorio pianeggiante (57%), ma ha anche estese zone montuose (29,1%) e, in minor misura, collinari (14,5%).

I confini terrestri sono individuati da elementi naturali di tipo idrografico (Po, Tagliamento, Livenza), ma anche di tipo orografico (come ad esempio i contrafforti a nord dell'altopiano di Asiago, o il monte Baldo).

Tipico della costa veneta è il paesaggio lagunare dove sorge una fra le città più belle al mondo, Venezia, visitata ogni anno da milioni di turisti italiani e stranieri. Le coste della regione si estendono per quasi 150 km e la loro caratteristica è di essere basse e sabbiose.

Ad attrarre il turismo in questi luoghi è il paesaggio incontaminato. Secondo i dati Eurostat il Veneto è la 6ª regione più visitata in Europa e la prima in Italia, con 19,2 milioni di arrivi e 69,2 di presenze turistiche nel 20175. Il terziario si basa soprattutto sul turismo interessato alle città monumentali quali Venezia, Verona, Padova, e Vicenza, per citarne alcune, alle località montane come Cortina d’Ampezzo, Pieve di Cadore, Asiago, gli Altopiani di Tonezza e dei Sette Comuni, alle stazioni balneari tra le quali vanno citate Bibione, Caorle, Jesolo, Lido di Jesolo, Lido di Venezia, Sottomarina, Cavallino, e in questi ultimi anni sono in ripresa anche ai centri termali come Abano Terme, Montegrotto Terme e Recoaro Terme, grazie alla presenza di acque termali dalle preziose proprietà rappresenta un punto di riferimento fondamentale per i pescatori del posto.

4 Informazioni tratte dal documentario di Alberto Angela: Le meraviglie del Veneto – Puntata Dal Garda alla Riviera del Brenta (Puntata del 16.4.2016).

5 Rapporto statistico 2018. PDF reperibile al sito: http://statistica.regione.veneto.it/Pubblicazioni/RapportoStatistico2018.

8

terapeutiche.

La

sponda

orientale

del lago

di

Garda

offre

escursioni

in

mete come Peschiera del Garda, Torri del Benaco e altri centri turistici.

1.2 La bandiera del Veneto

La bandiera del Veneto trae origine da quella della Serenissima Repubblica di Venezia, in uso come bandiera ufficiale della città di Venezia. La bandiera è l'unica al mondo che contiene la scritta pax, pace. L'elemento principale della bandiera è il Leone di San Marco simbolo della Repubblica veneta, e rappresentazione simbolica dell'Evangelista San Marco, che fu adottato come santo patrono della città e della Repubblica. Il leone con il libro aperto rappresenta sapienza e pace ed è ritenuto il simbolo della sovranità della Regione.

Nella bandiera è rappresentato anche il territorio veneto, troviamo: il mare (simbolo del mar Adriatico); la pianura (simbolo della pianura Padana); i monti (simbolo delle Alpi Venete). Le sei frange corrispondevano ai sei sestieri di Venezia, ovvero i sei quartieri in cui era divisa. Oggi le frange sono diventate sette, come i capoluoghi di Provincia, dal basso verso l'alto in ordine: Belluno, Padova, Rovigo, Treviso, Venezia, Verona, Vicenza.

Queste code possono essere unite oppure libere, come accade per la bandiera di Venezia.

La bandiera è stata adottata con la Legge Regionale del 20 maggio 1975, n. 56 e modificata con la Legge Regionale del 22 febbraio 1999 che ha cancellato la scritta "Regione del Veneto".

9

Il gonfalone della Regione di cui al bozzetto allegato B) che forma parte integrante della presente legge è di colore rosso pompeiano; esso presenta al centro lo stemma di cui all’articolo precedente e termina con sette fiamme, che portano ciascuna, nella parte mediana lo stemma di una delle città capoluogo di provincia della Regione. La bandiera è costituita dagli stessi elementi di cui al comma precedente con lo stemma ruotato di 90 gradi. All’innesto del puntale sull’asta del gonfalone e della bandiera è annodato un nastro tricolore, verde, bianco, rosso.6

1.3 Le Dolomiti Patrimonio Mondiale Unesco

Fig. 1.1 – I nove sistemi dolomitici che costituiscono il Bene Patrimonio UNESCO Fonte: http://www.dolomitiunesco.info

A nord il confine naturale è formato da creste montuose, che però non si allineano in un'unica catena, ma formano un arcipelago di montagne: una serie di massicci diversi, separati da valli.

Le Dolomiti, anche dette “Monti Pallidi”7, riconosciute come Patrimonio Mondiale UNESCO sono un insieme di gruppi montuosi delle Alpi Orientali italiane, a sud della catena principale alpina e sono ricomprese nelle regioni Veneto, Trentino-Alto Adige e Friuli, e nelle cinque province di Belluno, Bolzano, Trento, Udine e Pordenone. Sviluppate 6

Legge Regionale 20 maggio 1975, n. 56.

7

La denominazione Monti Pallidi si rifà alla leggenda di un prodigioso incantesimo. Leggenda dell’Alto Adige – I Monti Pallidi al link: https://www.altoadige-suedtirol.it/arte_storia/leggende/alto_adige/monti_pallidi.php.

10

su un’area di 142.000 ettari, sono composte da nove sistemi montuosi che presentano una serie di paesaggi unici al mondo: (1) Pelmo e Croda da Lago, (2) Massiccio della Marmolada, (3) Pale di San Martino, Pale di San Lucano, Dolomiti Bellunesi, Vette Feltrine, (4) Dolomiti Friulane e d’Oltre Piave, (5) Dolomiti settentrionali, (6) Puez-Odle (7) Sciliar-Catinaccio e Latemar (8) Bletterbach, (9) Dolomiti di Brenta. Inoltre, troviamo 85 mila ettari aggiunti chiamati “aree cuscinetto” per proteggere l’integrità di ogni gruppo.

L’UNESCO li considera però in modo unitario.

Le Dolomiti hanno avuto origine nel triassico circa 280 milioni di anni fa. Quest’area geografica era interessata da un’imponente attività vulcanica: quando questi grandi vulcani esaurirono la loro attività, lasciarono un vasto disteso territorio desertico solcato da grandi fiumi. Questi fiumi depositavano ed erodevano lo strato

roccioso costituito

prevalentemente da queste rocce vulcaniche, dando vita così ad un piano alluvionale.

In seguito, si crearono mari caldi e poco profondi. Sul fondo dei mari si sono andati ad accumulare centinaia di metri di sedimento, conchiglie, coralli e alghe, con latitudine e longitudine diverse dall’attuale, che si sono poi trasformati in roccia. Il successivo scontro tra la placca europea e la placca africana (orogenesi alpina) ha fatto emergere le rocce innalzandole a oltre 3000 metri sopra il livello del mare.

Per la loro composizione, sono note a livello internazionale e nell’immaginario comune, come le montagne “di corallo” o le montagne “nate dal mare”. Dai fossili rinvenuti, i geologi sono arrivati alla conclusione che per milioni di anni la flora di queste zone era composta di conifere e felci.

Le Dolomiti sono in continua evoluzione, questo processo non si è ancora fermato, infatti, le Alpi (come anche i Pirenei e l’Himalaya, tutte montagne giovani) continuano a crescere per via dell'orogenesi alpina, però la parte orientale (quindi le Dolomiti, ma anche la fascia alpina friulana) si sta sollevando più rapidamente. Ciò avviene in tempi geologici e quindi in modo quasi impercettibile per noi e questo processo viene "contrastato" dall'erosione da parte degli agenti atmosferici. A conferma di ciò, si ricorda la data del 30 settembre 2013, quando una frana di 1000 metri cubi si è staccata dal Gruppo del Sorapis a 3000 metri di altezza nelle Dolomiti Ampezzane8.

8

Notizia reperibile online, nel sito di Dolomiti Unesco al seguente link: https://www.dolomitiunesco.it/eventi-e-news/frana-nel-gruppo-del-sorapiss/.

11

La prima denominazione geografica del termine "Dolomiti" comparve nel 1837 in una guida edita a Londra, per descrivere una regione montuosa comprendente le valli di Fassa, Gardena, Badia, la val Pusteria e le Alpi venete. Il termine fu attribuito dal nome del suo scopritore, Déodat Guy Silvain Tancrède Gratet de Dolomieu, un geologo francese cui si attribuì la denominazione di “Dolomitè” alla roccia rosata, battezzata poi “dolomia” e proprio “Dolomiti” al luogo dove fu scoperta.

Nel 1864 fu pubblicato per merito di due naturalisti inglesi, J. Gilbert, pittore e G.C. Churchill, botanico, il volume “The Dolomite Mountains”. Il libro racconta i loro viaggi compiuti con le rispettive mogli attorno alle valli dolomitiche. Con questo volume il termine fu introdotto a livello europeo9.

Da quel momento cominciò l’assalto alle cime inviolate di queste montagne. Nel 1857 il naturalista e alpinista Sir John Ball scalò una delle grandi cime dolomitiche, il Pelmo, dando il via a una nuova epoca, quella della conquista delle Dolomiti. Diede così avvio all’alpinismo dolomitico. Egli fu anche la prima guida alpina, nel 1868 pubblicò il volume “A guide to the Eastern Alps”.

Dopo di lui, molti si cimentarono in grandi imprese. Famoso fu anche un alpinista italiano, Tita Piaz, chiamato "il diavolo delle Dolomiti" per l'arditezza di molte sue imprese. Il colpo d’ala, compiuto nell’estate del 1900 in solitaria, salendo la fessura nord-est della Punta Emma, fu la sua grande impresa che raggiunse livelli all’avanguardia nel mondo dell’alpinismo. Piaz aprì una cinquantina di vie nuove, tra cui ben 32 sulle montagne di Fassa, 16 sulle Dolomiti orientali e 2 nel Kaisergebirge. Svolse anch’egli l’attività di guida alpina, accompagnando anche personaggi illustri come il Re Alberto I del Belgio, nei primi anni del Novecento10.

Le Dolomiti non furono solo d’ispirazione al mondo scientifico, geografico e alpinistico, ma anche a molti fotografi, pittori, letterari e poeti. Ci venne Eleonora Duse, negli anni ’20 del Novecento ed Ernest Hemingway, dopo la Seconda Guerra Mondiale, con la sua amica e traduttrice Fernanda Pivano. Goffredo Parise frequentò Cortina. Giosuè Carducci amava il Cadore, tanto che gli dedicò un’ode11, e Dino Buzzati che amava trascorrere il suo tempo

9

Tratto dall’articolo 1864: la scoperta delle Dolomiti - Repubblica.it al link: http://www.repubblica.it/cultura/2014/02/16/news/la_scoperta_delle_dolomiti-78735025/.

10 Tratto dal sito online, al link https://ilmontanaro.jimdo.com/grandi-alpinisti/tita-piaz/.

11 Cadore, 1892: “Sei grande. Eterno co ‘l sole l’iride de’ tuoi colori consola gli uomini…”

12

libero nella villa di famiglia, Villa San Pellegrino, poco fuori Belluno12.

Tra gli scrittori contemporanei che si ispirano alle montagne dolomitiche, troviamo Mauro Corona, uno dei più amati dal pubblico, profondamente legato al suo paese, Erto, vicino alla diga del Vajont. Oltre che scrittore, Mauro Corona è l’alpinista che ha scalato più volte il Campanile della Val Montanaia, ben 214 volte13.

Grazie al loro straordinario valore paesaggistico e naturalistico, le Dolomiti sono state inserite il 26 giugno 2009 nella World Heritage List, da parte del Comitato Esecutivo della Convenzione sul patrimonio materiale dell'umanità dell'UNESCO riunita a Siviglia per la 33esima sessione. Così recita la “Dichiarazione di Eccezionale Valore Universale”: I nove sistemi montuosi che compongono le Dolomiti Patrimonio dell’Umanità comprendono una serie di paesaggi montani unici al mondo e di eccezionale bellezza naturale. Le loro cime, spettacolarmente verticali e pallide, presentano una varietà di forme scultoree straordinarie a livello mondiale. Queste montagne possiedono inoltre un complesso di valori di importanza internazionale per le scienze della Terra. La quantità e la concentrazione di formazioni carbonatiche estremamente varie è straordinaria nel mondo, e contemporaneamente la geologia, esposta in modo superbo, fornisce uno spaccato della vita marina nel periodo Triassico, all’indomani della più grande estinzione mai ricordata nella storia della vita sulla Terra. I paesaggi sublimi, monumentali e carichi di colorazioni delle Dolomiti hanno da sempre attirato una moltitudine di viaggiatori e sono stati fonte di innumerevoli interpretazioni scientifiche ed artistiche dei loro valori.14

Due sono i criteri considerati nell’iscrizione delle Dolomiti a patrimonio dell’Umanità: il settimo e l’ottavo, rappresentanti la bellezza e il valore scientifico. Si tratta di elementi che solo in pochissimi casi sono stati sinora riconosciuti. Il settimo si riferisce all’alto valore estetico paesaggistico del bene, l’ottavo a quello geologico e geomorfologico.

Per entrare nella lista dei beni protetti dall’UNESCO, bastava un criterio soltanto per l’accoglimento della candidatura. Le Dolomiti sono state riconosciute per tre caratteristiche fondamentali: i fenomeni naturali superlativi, la bellezza naturale, l’unicità paesaggistica e infine per le caratteristiche e i processi geologici e morfologici.

12

Camanni E., a cura di, Dino Buzzati, Le montagne di vetro, Torino, CDA & VIVALDA, 1989.

Informazioni tratte grazie al contributo della Fondazione Dolomiti Unesco, con il video in tre puntate trasmesso da RaiStoria “Storie delle Dolomiti”. Video reperibile al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=ZUX-EpgtUHM. 14 Dichiarazione di eccezionale valore universale, Comitato Patrimonio Mondiale UNESCO - Siviglia 26.06.2009.

13

13

1.4 Il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi Le Alpi sono una delle principali eco regioni del mondo e le Dolomiti sono state individuate come una delle aree prioritarie da tutelare, per il loro elevato tasso di biodiversità. I parchi hanno quindi nelle Dolomiti un compito fondamentale: conservare la natura per proteggere l’uomo15. La Regione Veneto è ricca di Parchi e Aree naturali protette che costituiscono il “Sistema Parchi del Veneto”. Vi si trovano cinque Parchi Regionali, un Parco Nazionale, sei Riserve Naturali Regionali, 14 Riserve Naturali Statali, due Zone Umide di importanza internazionale, nove Foreste Demaniali Regionali e diversi Parchi e Riserve Regionali di Interesse Locale16.

Tra le aree naturali protette del Veneto rientra anche il “Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi”, istituito nel 1988. L’esigenza di tutelare le Dolomiti è sempre stata sentita dagli amanti della montagna, tanto che per opera di alcuni soci del CAI di Belluno (Piero Rossi, Virginio Rotelli, Giuseppe Damos e Giuliano Dal Mas) nasce l’idea del parco, e costoro furono considerati successivamente i suoi “padri fondatori”.

Del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi si era iniziato a parlare negli anni ’70, ma solo nel 1988 viene prevista l'istituzione formale del Parco17 che si concretizzò il 20 aprile 1990 con il provvedimento istitutivo del Ministero dell'Ambiente18 il quale definiva le seguenti finalità per il nuovo parco nazionale: -

tutelare i valori naturalistici, storici, paesaggistici ed ambientali e conservare i valori bio-genetici della flora, della fauna e degli aspetti geomorfologici;

-

migliorare le condizioni di vita degli abitanti interessati;

-

promuovere la ricerca scientifica e l'educazione ambientale, tramite la divulgazione della cultura naturalistica;

-

ripristinare le attività agro-silvo-pastorali.

Il 12 luglio 1993 viene nominato l'Ente Parco gestore e il 1 gennaio 1994 inizia ad essere operativo.

15

Spiazzi A. M., a cura di, Belluno. Nel regno delle Dolomiti, Viaggio nelle Venezie, Biblos, 2011, p. 346.

Informazioni tratte dal Sito Istituzionale della Regione Veneto, online al link: http://www.parchiveneto.it/pages/i-parchi-del-veneto.

17 Legge 11 marzo 1988, n. 67, articolo 18 in materia di "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1988)".

18 Decreto ministeriale 20 aprile 1990, in materia di "Istituzione del Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi".

16

14

Il Parco territorialmente si sviluppa tra una quota minima di 412 m ed una massima di 2.565 m includendo una grande varietà di ambienti. Inizialmente la superficie del parco si estendeva su 15.030,22 ettari19, interamente compresi nella provincia di Belluno, tra i fiumi Cismon ad ovest e Piave ad est, esteso a nord verso il bacino del Maè e a sud nel basso Agordino.

Nel tempo il numero degli ettari è gradualmente aumentato. Più di 18.000 sono coperti da boschi (quasi il 60% del Parco), prati e pascoli occupano il 12% della superficie complessiva (3.800 ettari), mentre gli ambienti rocciosi occupano oltre un quarto dell'area del Parco (8.700 ettari)20.

All’interno del Parco l’elemento acqua è uno dei fattori caratterizzanti: corsi d'acqua e laghi interessano l'1% del Parco (oltre 400 ettari), numerose sono le sorgenti che affiorano nei boschi. Il territorio del Parco è attraversato poi da diversi corsi d'acqua (i principali: Cordevole, Mis e Caorame).

Nel Parco inoltre sono presenti due bacini lacustri: il lago della Stua, in Val di Canzoi (Comune di Cesiomaggiore), e il lago del Mis, nell'omonima valle (Comune di Sospirolo).

Si tratta d’invasi artificiali realizzati a scopo idroelettrico e costituiscono importanti elementi del paesaggio, soprattutto il lago del Mis che si sviluppa per circa 4 km lungo la valle.

Di notevole interesse sono inoltre i prati paludosi presenti in alcune zone del Parco quali la Conca dei Laghetti presso Erera, il Pian de Palùi in Val Pramper e la Conca di Palughèt nella Foresta di Caiada. Queste zone umide sono rarissime nel territorio del Parco e necessitano quindi di particolare protezione e tutela.

All'interno del parco nazionale sono inclusi 15 comuni: Belluno, Cesiomaggiore, Feltre, Gosaldo, La Valle Agordina, Longarone, Pedavena, Ponte nelle Alpi, Rivamonte, San Gregorio nelle Alpi, Santa Giustina (Italia), Sedico, Sospirolo, Sovramonte, Val di Zoldo.

Nel 2009 insieme ad altri parchi compresi nell’area dolomitica è entrato a far parte del Patrimonio Mondiale UNESCO.

19

Elenco ufficiale delle aree protette (EUAP) 6º Aggiornamento approvato il 27 aprile 2010 e pubblicato nel Supplemento ordinario n. 115 alla Gazzetta Ufficiale n. 125 del 31 maggio 2010.

20 Informazioni tratte dal sito Istituzionale del Parco, al link http://www.dolomitipark.it/it/page.php?id=1227.

15

1.5 Flora e fauna Nel Parco si registrano dati d’eccellenza: 1764 specie di piante (in rapporto a 5599 piante dalle Alpi a Lampedusa), 138 specie di uccelli, 134 specie di molluschi, 96 specie di farfalle diurne21.

Per quanto concerne la fauna, tra le specie più importanti22 e rappresentate vi sono: la famiglia dei mammiferi (camoscio, capriolo, cervo, stambecco, muflone, 11 specie di pipistrelli e poi volpi e marmotte, tassi e scoiattoli23, ermellini e martore). Tra i carnivori sono segnalati orso, lince e lupo – segnale della buona qualità dell’ambiente - e, dal 2014, è stata rilevata la presenza del gatto selvatico.

Nella famiglia degli uccelli (picchio nero, upupa, picchio muraiolo, allocco, gufo reale, astore,

cince,

civetta

capogrosso,

civetta

nana, corvidi,

coturnice, fagiano

di

monte, francolino di monte -specie a rischio di estinzione - gallo cedrone, gheppio, pernice bianca, re di quaglie, aquila reale, merlo dal collare, culbianco, codirosso spazzacamino, fringuello alpino - anch'esso raro); per la famiglia dei rettili e degli anfibi (orbettino, ramarro, lucertola muraiola, lucertola vivipara, vipera dal corno, tritone alpino, tritone crestato italiano, tritone punteggiato meridionale, salamandra pezzata, salamandra nera o alpina, ululone dal ventre giallo, rospo comune, rana montana, rospo smeraldino, raganella italiana, rana agile, rana dei fossi), per la famiglia degli insetti invece si stima dalle 3 alle 4 mila specie diverse presenti nel parco, di cui oggi classificate circa 1500. Tra queste ci sono 106 specie diverse di farfalle diurne, oltre 600 tipi diversi di farfalle notturne, 27 specie di cavallette e 13 di libellule. Tra i coleotteri si segnalano molte specie endemiche ed elementi in via di rarefazione, come la Rosalia alpina: coleottero nero e azzurro che vive nei vecchi boschi di faggio.

La flora24 invece è composta da una grande ricchezza di piante montane (aconito antora, alisso dell’obir, androsace appenninica, astragalo spinoso, bonarota gialla, bupleuro delle rocce, campanula di moretti, coclearia alpina, cortusa di mattioli, costolina di facchini, dafne alpina, dafne odorosa, epipogio, erba storna di kerner, felce penna di struzzo, festuca delle dolomiti meridionali, garofano di sternberg, genziana a foglie acute, geranio 21

Spiazzi A. M., a cura di, Belluno. Nel regno delle Dolomiti, Viaggio nelle Venezie, Biblos, 2011, p. 18.

Informazioni tratte dal sito Istituzionale del Parco, al link http://www.dolomitipark.it/it/page.php?id=105.

23 Lo scoiattolo rosso è diventato, dal 2015, nuovo brand della località di Cortina d’Ampezzo. Inoltre, gli Scoiattoli di Cortina, dal 1939 sono un gruppo di arrampicatori non professionisti del luogo, famosi in tutto il mondo.

24 Informazioni tratte dal sito Istituzionale del Parco, al link http://www.dolomitipark.it/it/flora.php.

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argenteo, giaggiolo del monte cengio, giglio della carniola, giglio di monte, giglio dorato, giglio martagone, giglio rosso, listera cordata, mutellina lucida, nigritella rossa, papavero alpino, pianella della madonna, primula orecchia d’orso, primula tirolese, ranuncolo alpestre, ranuncolo di seguier, raponzolo di roccia, sassifraga aranciata, sassifraga di burser, semprevivo delle dolomiti, speronella alpina, spirea cuneata, stella alpina, tozzia, trifoglio norico, veratro nero). Vi sono anche boschi (boschi submontani, faggete, pinete, boschi di abeti, lariceti, arbusteti d’alta quota), pascoli e immensi prati.

1.6 Le foreste dei violini: la Val di Fiemme e la Val Saisera La Val di Fiemme è una delle principali valli dolomitiche ed è situata nel Trentino orientale. La valle, insieme alla Val di Fassa e alla Val di Cembra, costituisce il bacino idrografico del torrente Avisio, affluente di sinistra del fiume Adige. L'intera Val di Fiemme può essere definita come un vero e proprio parco, grazie alla vastissima estensione di boschi caratterizzati soprattutto dall'abete rosso. I boschi della Val di Fiemme appartengono quasi esclusivamente ai Comuni e alla "Magnifica Comunità di Fiemme", una vicinia il cui territorio si estende, oltre che propriamente in Val di Fiemme, anche in una parte della Val di Fassa e dell'Alto Adige. Comprende 11 comuni: Anterivo, Capriana, Valfloriana, Castello-Molina di Fiemme, Daiano, Carano, Varena, Cavalese, Panchià, Tesero, Predazzo, Ziano di Fiemme.

La Val Saisera invece è una valle delle Alpi Giulie. Situata in comune di Malborghetto Valbruna, prende il nome dal fiume Saisera che la attraversa in direzione nord – sud. È considerata la più grande foresta demaniale d'Italia. Proprio per questo rappresenta una delle aree naturalistiche più preziose.

La Val Saisera, come anche la Val di Fiemme, entrambe situate alle pendici delle Dolomiti, sono caratterizzate dall’abete rosso, in particolare quello plurisecolare. Questo tipo di legno è di una qualità molto pregiata perché particolarmente elastico, trasmette meglio il suono e i suoi canali linfatici sono come minuscole canne d'organo che creano risonanza. Per questo motivo il legno è chiamato “di risonanza”, ed è particolarmente indicato per la costruzione degli strumenti musicali a corda.

Queste due valli sono chiamate le “foreste dei violini” o “foreste di Stradivari” perché nascondono l’antico segreto della fabbricazione dei violini. La leggenda racconta che

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maestri liutai, tra cui il famoso Antonio Stradivari (il creatore dei violini, che oggi valgono milioni di euro) si recassero fin qui da Cremona per acquistare i legni più pregiati e poi trasformarli in strumenti musicali perfetti. Sembra che fosse proprio lo stesso Stradivari in persona ad aggirarsi per la Val di Fiemme alla ricerca degli alberi più idonei alla costruzione dei suoi violini, che utilizzava per le fasce, il manico e la tavola.

Queste due valli sono state toccate e distrutte dal passaggio della tempesta Vaia nel mese di ottobre dell’anno scorso. Come scrive il sole 24 ore, in un articolo pubblicato il giorno 3 novembre 2018, i tecnici dell’ufficio foreste della Provincia autonoma di Trento dichiarano «in poche ore il vento ha abbattuto un numero di alberi superiore a quanti ne possano tagliare tutti i boscaioli del Trentino in tre anni: ben un milione e mezzo di metri cubi di legname. Raffiche fino a 120 km/h hanno sollevato gli alberi e sradicato le radici». Paolo Kovac, tecnico della Forestale e responsabile di quella parte del parco nella Val di Fiemme, dichiara nell’intervista che «un quinto degli abeti rossi è stato abbattuto dal vento.

L’età media degli alberi era di 130 anni e quindi si può capire quanto tempo ci vorrà per ricostituire il patrimonio».25 Lo stesso giorno, Franco Polo, rappresentante per il Friuli Venezia Giulia dell’Aigae, Guide ambientali escursionistiche, ha specificato che la foresta della Val Saisera «è stata devastata per metà e che questo comporterà il rischio di un possibile pericolo idrogeologico. Infatti, quando nevicherà, in assenza di bosco, la neve più facilmente scivolerà verso il basso. Il danno al patrimonio naturale è pesante con ferite che non si rimargineranno subito»26. Tre ore dopo, però, il sindaco di Malborghetto Valbruna, Boris Preschern, smentisce la notizia, dichiarando invece che «Da sopralluoghi effettuati in data odierna nella parte di foresta dove crescono gli alberi di risonanza non si riportano danni di rilievo causati dal vento al bosco. La tempesta ha invece fatto molti danni al bosco di fondovalle, lungo la strada, sito dove il legno degli alberi non è però impiegato nella costruzione di strumenti musicali».27

25

Articolo tratto da Il sole 24 ore, Maltempo distrutte anche le foreste di Stradivari, online al link: https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-11-02/maltempo-distrutta-foresta-stradivari-183926.shtml?uuid=AE0K78ZG 26 Articolo tratto da Udinetoday, Maltempo, devastata la foresta millenaria dei violini in Val Saisera, online al link: http://www.udinetoday.it/cronaca/maltempo-friuli-danni-abeti-rossi-val-saisera-foresta-violini.html.

27 Articolo tratto da Udinetoday, Maltempo, danni solamente al fondovalle, non agli alberi di risonanza, online al link http://www.udinetoday.it/cronaca/maltempo-danni-solamente-al-fondovalle-non-agli-alberi-dirisonanza.html.

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2 . UNO SGUARDO SUL PASSATO

Dopo aver introdotto nel primo capitolo i luoghi protagonisti, loro malgrado, della tempesta Vaia, di cui si tratterà in modo approfondito nei prossimi capitoli, qui si intende ripercorrere gli eventi accaduti in questi stessi luoghi, per capire come la regione Veneto, e in particolar modo la fascia montana del Bellunese, sia purtroppo da secoli martoriata.

Comincerò perciò parlando del primo conflitto mondiale che ha visto, fra le molte battaglie, anche le nostre montagne protagoniste e i danni lasciati dalla guerra.

Successivamente ricorderò un fatto che forse nessun cittadino veneto, della vecchia generazione, potrà dimenticare, ovvero l’alluvione del 1966, che ha visto colpita non soltanto la pianura e le città del basso Veneto, ma ancora la provincia di Belluno.

2.1 I danni lasciati dalla prima guerra mondiale Il primo conflitto mondiale, chiamato anche Grande Guerra, viene studiato sui banchi di scuola, guardando al significato che ha assunto per la storia italiana. Viene raccontato di come inizialmente l’Italia si mantenne neutrale, per dieci mesi dall’inizio del conflitto, siglando con Germania e Austria - Ungheria, il patto della Triplice Alleanza. A conclusione delle trattative l’Italia, all’epoca Regno d’Italia, abbandona il patto e il 23 maggio 1915 dichiara guerra all’Austria – Ungheria. Le operazioni belliche si avviarono soltanto però dal giorno dopo.

Il primo colpo di cannone da parte delle truppe italiane, che sanciva l’entrata in guerra dell’Italia contro l’Impero Austro-Ungarico, venne sparato il 24 maggio del 1915 alle ore 3:55, dal Forte Verena28, a 2000 metri di quota. Il Forte si trovava a difesa del confine italiano a 2.019 metri di altitudine. Oggi si trova lungo la linea di confine che attualmente 28

La sua costruzione, insieme con i Forti Corbin, Campolongo e Lisser iniziò 9 anni prima della guerra, nel 1906. Era un sistema che doveva contrapporre lo sbarramento austriaco che andava da Folgaria allo Spitz Verle passando per Sommo Alto, Luserna, Vezzena e Busa Verle. Cfr. Zovi D., I boschi dell’Altopiano di Asiago, una storia di ricostruzione e rinascita, in l’Italia Forestale e Montana, LXXI – 5/2016.

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si colloca tra le provincie di Vicenza e di Trento, esattamente nel territorio comunale di Roana, che si affaccia sulla Val d’Assa, una delle sette valli dell’Altopiano 29. Siamo perciò in piena regione Veneto. Da qui, dalla fascia alpina tutto ebbe inizio e il primo conflitto mondiale mutò il volto delle montagne venete, trasformandone il paesaggio. Il fronte italiano correva lungo tutto l’arco delle Alpi orientali, dal Passo dello Stelvio a ovest fino alla foce dell’Isonzo a est. La 1a armata doveva coprire con compito difensivo, la fascia del Trentino, mentre la 4a armata doveva agire sulle Dolomiti.

L’Altopiano venne scelto per la sua importanza strategica, infatti il forte era in una posizione geografica che non permetteva all’esercito austroungarico di oltrepassare i confini italiani e così di raggiungere prima la pianura veneta e poi Milano. Da lì infatti era possibile avere una visuale completa del territorio e contrastare l’avanzata del nemico.

In totale furono 1250 giorni di guerra, dal 24 maggio 1915 al 4 novembre 1918. 41 mesi di guerra interminabile e costante, tre anni e mezzo di coinvolgimento in un conflitto che ha segnato profondamente il territorio e le vite di chi ci viveva. Caddero in battaglia sul fronte italiano più di un milione di soldati, tra inglesi, francesi, austroungarici e italiani. Si racconta che, durante la prima guerra mondiale, ci siano stati più morti per il freddo, per la montagna, che per la guerra.

Questo fronte fu caratterizzato soprattutto dalle difficoltà legate al clima, alla neve e alle complicanze di approvvigionamento di entrambi gli eserciti; le condizioni di vita dei soldati in questi luoghi, a più di 2.000 metri di quota furono le più difficili di tutta la guerra, dovettero lottare contro le valanghe, le tormente di neve, l’ipotermia causate dalle temperature che scendevano sotto lo zero.

La zona maggiormente interessata dalla Grande Guerra, prima della disfatta italiana a Caporetto, fu quindi l’Altopiano dei Sette Comuni, più noto come l’Altopiano di Asiago. È un vasto altopiano, un quadrilatero di 850 km quadrati, che si trova sulle Prealpi Vicentine, nella parte settentrionale della provincia di Vicenza. Si tratta di sette piccoli comuni di cui Asiago è il principale. A questi sette comuni, alla fine del Settecento ne venne aggiunto un ottavo: Conco. Asiago è la cittadina più grande: un comune composto da 6.44130 abitanti che lega il suo nome ad un prodotto caseario noto in tutto il mondo, il formaggio di 29

Puntata di Linea Verde, Il Centenario della Grande Guerra: l’Altopiano di Asiago, andata in onda il 13 aprile 2018, dove lo stesso Daniele Zovi viene intervistato.

30 Dato Istat, dal sito web ufficiale dell’Istat, al seguente link: http://dati.istat.it/Index.aspx?QueryId=18549.

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Asiago. E’ inoltre una località nota per il turismo invernale (in particolare lo sci nordico) e il turismo estivo (escursionismo, mountain bike).

Il suo primo nome fu Sleghe che in lingua cimbra significa “taglio di bosco”. La forma cimbra Sleghe dovrebbe esserne un adattamento (Aselago → Selago → Slago → Slege) e non ha quindi fondamento la paraetimologia che vorrebbe il toponimo derivato dal tedesco (Holz)schläge "taglio di boschi", con riferimento all'attività dei coloni bavaresi31.

Con i suoi 4.560 ettari rappresenta una delle proprietà forestali più grandi in Italia32. Un detto popolare dice che “Sull’Altopiano ci sono 4 mesi di gelo e 8 d’inverno”. Una particolarità del comune di Asiago è l’unica frazione chiamata Sasso, collegata con il fiume Brenta, in prossimità del comune di Valstagna. Qui si trova la più lunga scalinata al mondo aperta al pubblico con 4.444 gradini, detta la Calà del Sasso33.

In queste zone si sono scatenate battaglie che portano nomi famosi come la Strafexpedition34, nota anche come la “Battaglia degli Altipiani”, del maggio-giugno del 1916, in cui l’esercito italiano perse il Forte Verena che venne occupato dalle truppe austro – ungariche per tutto il resto del conflitto, la “Battaglia dell’Ortigara”, dal nome dell’omonimo monte, del giugno del 1917, in cui l’esercito italiano subì pesanti perdite, ma pure sull’Altipiano ebbe riflessi anche la “Battaglia di Caporetto”, del novembre 1917 quando l’esercito italiano cominciò la ritirata prima sul corso del fiume Tagliamento, e poi fino alla riva meridionale del Piave, subendo una grave disfatta, e infine quella del “Solstizio”, del giugno del 1918, estremo tentativo, dopo la riorganizzazione dell’esercito italiano e il cambio di guida dal generale Cadorna al generale Diaz, dell’esercito austro – ungarico di sfondare definitivamente a ovest del monte Grappa le difese italiane e scendere nella pianura vicentina.

31

Pellegrini G.B., Toponomastica italiana. 10.000 nomi di città, paesi, frazioni, regioni, contrade, monti spiegati nella loro origine e storia, Milano, Hoepli, 1990, pp. 408-410.

32 Vedi nota n. 29.

33 Il percorso è affiancato da una cunetta realizzata in pietra calcarea: un tempo veniva utilizzata per trasportare a valle il legname dell'Altopiano. I tronchi, grazie al fiume Brenta, erano fluitati fino a Venezia dove venivano usati nell'Arsenale per la costruzione di imbarcazioni. (Puntata di Alberto Angela, Le meraviglie del Veneto: dalla laguna alle Dolomiti – Ulisse: il piacere della scoperta, andato in onda il 23.04.2016 da Rai1).

34 Non è noto alcun documento storico austriaco che riporti il termine Strafexpedition; esso, chiaro riferimento ad un supposto atteggiamento austro-ungarico, si diffuse tra gli ufficiali italiani al fronte già durante gli scontri, forse anche per poterne far uso in termini sarcastici in caso di fallimento dell'offensiva.

(Acerbi E., Strafexpedition, Valdagno, Gino Rossato Editore, 2007, p. 11.

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Le truppe italiane però ressero all’azione e costrinsero le truppe austro – ungariche alla ritirata. Il 30 ottobre i reparti italiani entrarono a Vittorio Veneto e il 3 novembre da un lato a Trento, dall’altro sbarcarono a Trieste costringendo così l’armata austro – ungarica alla ritirata generale lungo tutto il fronte. Quello stesso giorno a Villa Giusti, a Padova, venne firmato l’armistizio tra i due eserciti.

Nel novembre 1918 questi luoghi si ritrovarono a fare la conta dei danni causati dal conflitto mondiale. La guerra non colpì soltanto la struttura sociale, causando decine di migliaia di morti, con la distruzione di interi paesi e il conseguente allontanamento della popolazione residente verso la valle, ma anche la struttura economica, con la distruzione delle risorse ambientali e la devastazione dei boschi. Quest’ultimo aspetto è fondamentale per analizzare l’importanza del conflitto all’interno della “storia” della montagna italiana.

I boschi erano molto diversi da come lo sono oggi. L’abbondanza di boschi sull’arco alpino e la ricchezza, anche in termini economici, che essi generavano, fu il motivo che spinse i primi popoli a colonizzare questo territorio. Il bosco garantì “l’Economia dell’Altipiano”: prima della Grande Guerra, i comuni dell’Altopiano non pagavano le tasse, perché erano sufficientemente ricchi in seguito alla vendita del legname. I boschi ricoprivano oltre la metà della superficie censita dal catasto, per un’estensione di 22.860 ettari. Questi erano classificati ad alto fusto per 18.660 ettari, con abete rosso, abete bianco e larice, e a ceduo per 4.200 ettari, quasi tutti di faggio. La proprietà era per lo più comunale, 17.000 ettari di alto fusto, mentre solo 1.800 erano privati.

I danni della guerra nel 1919 vengono così riassunti: - 4.680 ettari di ottimi boschi di abete completamente rasi al suolo; - 3.781 ettari quasi distrutti; - 5.399 ettari danneggiati; - 2.860 ettari rimasti indenni.

Le percentuali dimostrano ancora meglio il danno della Grande Guerra in queste zone: - il 35% dei boschi era sparito, inghiottito dalla guerra, - il 50% fortemente danneggiato, - il 15% restò indenne35.

35

Cavalli R., Tondello M., Bergomi L. Z., Danni da eventi bellici nei boschi di un’area dell’altopiano dei Sette Comuni, (Vicenza), da L’Italia Forestale e Montana, Accademia Italiana di Scienze Forestali, 2010 – 1/03.

22

I boschi che rimasero in piedi riuscirono a fornire una quantità di legname pari appena al 12% di quella che si ricavava prima del conflitto. Anche per i proprietari privati le cose andarono malissimo: si stimò il completo abbattimento di 827 ettari e il forte danneggiamento di altri 800. Si calcola che la loro produzione si fosse ridotta al 5%36.

L’impatto della guerra sui boschi fu devastante soprattutto a causa della prolungata presenza militare. Il patrimonio forestale fu soggetto sia a danni derivanti dalle armi da fuoco impiegate nei combattimenti, sia a quelli dovuti allo sfruttamento richiesto dalle necessità logistiche degli eserciti contrapposti, enormi quantità di legname vennero utilizzate al fronte per la costruzione delle opere difensive37. I pesanti interventi di guerra furono in zone principalmente ricoperte da boschi, e quelli più vicini al fronte furono i più tartassati: bisognava tagliare a raso pezzi di foresta per tracciare nuovi sentieri, abbattere alberi per far spazio alle batterie, recuperare legname per i ricoveri.

Il rafforzamento delle linee, condotto nella primavera del 1917, si tradusse in un processo di abbattimento “sfrenato” che alterò gli equilibri idrogeologici e compromise il rinnovamento delle risorse forestali; la stessa macchina logistica contribuì al diradamento boschivo, perché, una volta impiantate le segherie militari, i comandi le volevano continuamente in attività38.

Ai danneggiamenti delle truppe italiane, si unirono quelli degli invasori: secondo una prima indagine effettuata nel marzo 1919 gli austro-tedeschi avrebbero arrecato danni al patrimonio forestale per un valore di circa 14.520.000 lire39.

Naturalmente, non furono solo le accette e le seghe a spezzare gli alberi e i cespugli, ci pensarono anche altri strumenti bellici, talvolta più aggressivi: il bombardamento, il mitragliamento, il gas, il fuoco, il filo spinato (avvolto e fissato con chiodi attorno ai tronchi: “strozzati” si disse allora); le baionette, i coltelli.

Ai danni delle bombe, si sommarono poi gli attacchi degli insetti, che si espansero su 14.000 ettari di bosco, attaccando alberi sani e piante ormai morenti o fortemente debilitate, decretandone la fine. Gli interventi di risanamento furono immediati e 36

Zovi D., I boschi dell’Altopiano di Asiago, una storia di ricostruzione e rinascita, l’Italia Forestale e Montana, LXXI – 5/2016.

37 Vedi nota 35.

38 Ermacora M., Lo sfruttamento delle risorse forestali in Italia, in Venetica 20/2009.

39 Acs. Reale commissione inchiesta sulla violazione del diritto delle genti, b.16, Danni agli immobili, fasc.

189, Boschi e foreste. Nel 1927 si calcolò che gli invasori avevano arrecato danni ai soli boschi comunali per un valore di 2.917.655 lire (prezzi antebellici). Il segretario nazionale per la montagna, Roma, Grafia, 1927, p. 27.

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comportarono il taglio a raso di quasi 300.000 abeti rossi, la specie più colpita dall’Ips typographus40, e di altri 90.000 impiegati come alberi esca per catturare il parassita. Il successo dell’operazione, che si concluse già alla fine del 1922, fu reso possibile da un intervento statale straordinario che prevedeva un investimento di due milioni di lire41.

Testimoni silenziosi di questa guerra furono proprio i boschi dell’Altopiano, i soggetti più colpiti nel corso del conflitto: il bosco si doveva attraversare per attaccare, costituiva un ostacolo naturale e limitava la mobilità, permetteva di nascondersi, vanificava i bombardamenti, presentava insidie e sorprese, poteva essere un luogo di attesa e di rifugio, nel bosco ci si poteva insediare, ed esso forniva risorse vegetali e animali. Per tutte queste sue virtù, la guerra lo inglobò e se lo mangiò. Fu la prima volta nella storia di quei luoghi.

Tutto il territorio fu sconvolto, distrutto, devastato e bruciato. I danni da guerra nel 1919 vennero così riassunti: i Sette Comuni dell’altopiano calcolarono di aver perduto 931.000 metri cubi di legname, pari al 45% dell’intero capitale legnoso42.

Dagli anni ’20, più precisamente nel 1921, nel Veneto, e in particolare in tutto l’Altipiano, inizia un’altra importantissima battaglia: la ricostruzione del paesaggio, del patrimonio forestale. Questo periodo venne ricordato dalla “storia” della montagna italiana come la più grande e più importante ricostruzione di boschi nella storia d’Italia e d’Europa43. Non si riuscì a recuperare tutta questa massa di legname in poco tempo, perché durante la guerra era andato distrutto il 60% della superficie dell’Altopiano. Tuttavia quelle zone divennero un vero e proprio vivaio perché furono ripiantati 10 milioni di alberi di abete rosso, proveniente per lo più dal Trentino e precisamente dalla Val di Fiemme.

Se prima della guerra in queste zone dominavano l’abete bianco e il faggio, ora la scelta ricade sull’abete rosso, specie che si adatta a terreni difficili e ha un’alta percentuale di successo, è l’albero più resistente, più reattivo, e colonizza velocemente i nuovi territori, al contrario dei primi che presentano difficoltà sia nell’allevamento che nell’attecchimento.

Intanto la natura fece la sua parte, le piante sopravvissute disseminano e i semi trovano terreno smosso e grande quantità di luce, due fattori favorevoli al loro attecchimento. Il 40

Lo stesso insetto che ritroveremo poi nel paragrafo dedicato agli schianti in Val Cadino e nei capitoli dedicati a Vaia e di cui si parlerà ampiamente.

41 Vedi nota n. 36.

42 Leoni D., La guerra verticale (uomini, animali e macchine sul fronte di montagna 1915-1918), Torino Einaudi, 2015.

43 Informazioni tratte dalla spiegazione del dott. Emanuele Pernechele, funzionario della Regione Veneto, della Direzione Agroambiente, Caccia e Pesca che ringrazio per il prezioso aiuto e materiale fornitomi.

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risultato è che molti degli attuali boschi conservano l’impianto geometrico di allora, piuttosto diverso da quello delle formazioni forestali di origine naturale44.

Quello di piantare o ripiantare un bosco con piantine prodotte in vivaio è senza dubbio un’operazione artificiosa, tuttavia la costanza con cui si persegue l’obiettivo di restituire all’Altopiano i suoi boschi dà i frutti sperati, e già nel 1933 si può ritenere ricostituita l’intera superficie forestale esistente prima della guerra.

Il bosco da allora è rinato ma al tempo stesso cambiato, è un bosco ripiantato, ricostruito45.

In questi anni vengono svolti anche i primi studi scientifici volti ad accertare le reali caratteristiche dei boschi cadorini. Come già affermato precedentemente, si tende ad ammettere che la composizione dei boschi è stata fortemente condizionata dalla preferenza commercialmente accordata dell’abete rosso. La superficie devastata ricopriva un terzo del paese e la superficie agraria coltivata si era ridotta fortemente. Durante la guerra – soprattutto per le esigenze militari – e nell’immediato dopoguerra vi era stato certamente un eccessivo sfruttamento del bosco, che era stato utilizzato al di sopra delle proprie capacità produttive.

Anche il Trentino aveva riportato pesanti danni di guerra, in questa regione un momento importante riguarda i rimboschimenti. Fin dal 1923 la Sezione Danni di guerra dell’ex Ispettorato forestale di Trento aveva ottenuto dai comuni la direzione dei lavori di rimboschimento. Per ripristinare i danni di guerra furono eseguiti lavori in 97 comuni, dal 1923 al 1928, e in altri 37 nel 1929. Furono messe a dimora 1.102.000 piantine di abete rosso, larice, pino nero, ma restavano ancora da completare lavori in altri 50 comuni.

Vennero inoltre rimboschite altre zone di proprietà comunale, per rimediare alle utilizzazioni dovute ai tagli straordinari eseguiti negli anni dell’immediato dopoguerra.

Oltre a questa azione pubblica anche i privati portarono avanti dei rimboschimenti, di entità più modesta, ma sempre privilegiando le resinose.

I rimboschimenti stavano quindi incidendo in modo importante nel modificare la proporzione fra latifoglie e conifere, tanto che fra gli stessi forestali non mancavano voci di perplessità, per il rapido cambiamento che questo tipo di scelta apportava ai boschi della provincia.

44 45

Vedi nota n. 29.

Vedi nota n. 36.

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In conseguenza della guerra e della situazione creatasi nel mercato del legname erano stati fatti tagli piuttosto intensi. Il miraggio dei facili guadagni dovuti alla ricostruzione postbellica aveva fatto sì che i tagli venissero assunti anche da ditte improvvisate, poi assorbite da quelle più grandi. Il crollo dei prezzi come prima conseguenza fece sì che le grosse quantità di legname accumulate rimanessero invendute. La situazione era grave un po’ dovunque: in Trentino, come in altre zone, i comuni avevano messo in vendita legname che non trovava acquirenti, e quindi le amministrazioni si trovavano senza introiti per far fronte alle esigenze dei bilanci. I comuni stessi avevano anticipato le spese di utilizzazione, senza però riuscire a vendere il legname e recuperare tali spese46.

L’anno scorso, nel 2018, si è rievocato il centenario della fine della prima guerra mondiale combattuta sull’Altopiano di Asiago. I segni della guerra vengono raccontati dopo un secolo d’età da abeti che non hanno finito di restituire pallottole italiane e austriache, frammenti di proiettili conficcati nel legno. Dal punto di vista economico, quindi, i Comuni dell’Altopiano stanno pagando ancora oggi i danni della Grande Guerra, perché spesso ci si accorge della presenza di pezzi metallici nel tronco solo in segheria e pertanto la vendita dei lotti di legname cala di prezzo, perché estrarre questi pezzi metallici, per chi lo lavora, ha un costo abbastanza sostenuto47.

Ci sono voluti 100 anni, ma l’Italia ha visto la rinascita di una grande foresta dopo le immani distruzioni della Grande Guerra. Sono perciò alberi secolari, di circa 100 anni, sono piante coetanee, monoculturali al 95% formate da abeti rossi (in minima parte anche cedro, faggio e larice), ma sono boschi artificiali, già indeboliti rispetto a quelli naturali.

In seguito al ricordo del Centenario della Grande Guerra la città di Belluno è stata invasa da una fame di testimonianza, per non dimenticare e per onorare la memoria di chi ha combattuto sacrificando la propria vita. Questo soprattutto da parte anche dell’editoria, sempre alla ricerca di storie, di aneddoti, di testimonianze per catturare l’attenzione del lettore, storie che altrimenti sarebbero state dimenticate in qualche cassetto o in qualche baule di vecchie soffitte. Storie che sono per lo più fonti orali, epistolari, diari, sia di gente comune, come vicende minimali e vicende legate agli avvenimenti della Grande Guerra48.

46

Agnoletti M., Storia del bosco, il paesaggio forestale italiano, (Cap. 5: I boschi del legname nelle Alpi orientali), Bari. Editori Laterza, 2019.

47 Vedi nota n. 29.

48 Informazioni tratte dalla spiegazione fornitami dal dott. Roberto Bragaggia, bibliotecario presso la Biblioteca del Consiglio Regionale del Veneto, con sede a Venezia.

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Se nei primi anni del Novecento le montagne venete furono martoriate dalle battaglie combattute durante tutta la Grande Guerra, nella seconda metà del Novecento un altro evento sconvolgerà il loro paesaggio.

2.2 L’alluvione del 1966 Nell’anno 2016 venivano ricordati i 50 anni trascorsi dall’alluvione che colpì, nei primi giorni di novembre, diverse aree del territorio nazionale. Le regioni più colpite furono quelle del Nord-Est (Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia) e del Centro (Toscana, Emilia Romagna e Umbria). In quegli anni non era uso parlare di termini come “cambiamenti climatici” o “bombe d’acqua”, anche se accadevano eventi estremi come quelli attuali.

Prima però di approfondire le cause e le conseguenze dell’alluvione ricordata come la famosa alluvione del ‘66, vorrei soffermarmi brevemente su alcuni termini tecnici che meglio aiutano a comprendere il racconto successivo.

In tempi antichi, la parola “alluvione” veniva usata nella lingua italiana prevalentemente per indicare un accumulo di sedimenti (che possono essere frammenti di rocce o detriti biologici) trasportati dal fiume al di fuori degli argini in seguito ad un’esondazione 49. La deposizione avviene in modo non omogeneo e discontinuo. In principio, il termine era poco utilizzato nella lingua comune, per il significato prevalentemente tecnico – giuridico assunto nei secoli.

Nel Settecento i progettisti idraulici fanno un uso del termine ancora vicino a quello originale. Solo nel corso dell’Ottocento alluvione diventa sinonimo di inondazione, modificando il significato originario nell’uso che ha ancora oggi, infatti con la graduale trasformazione del significato originario, il processo di sedimentazione delle acque non è più la causa, ma diventa la conseguenza dell’alluvione50.

Una inondazione è un fenomeno naturale riguardante lo straripamento dei corsi d’acqua dal loro letto o bacino usuale, in maniera violenta o devastante, con conseguente allagamento 49

In idrologia, il termine esondazione indica lo straripamento, ossia il traboccare, da un corso naturale, di acque sovrabbondanti che fuoriescono dagli argini o dalle rive di un fiume o un torrente. Essa avviene per tracimazione o rottura degli argini stessi. (Tratto da: Voce esondazione, in Treccani.it – Enciclopedie online, Istituto dell’Enciclopedia Italiana).

50 Informazioni tratte dal link: http://idraulica.beic.it/glossario-it/alluvione/.

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in tempi brevi (da ore a giorni) dell’area definita51.

Per rimanere in ambito linguistico, si può affermare che mentre in lingua italiana per ogni termine usato si possono associare molti sinonimi, in lingua inglese invece, esiste un unico termine per indicare inondazioni e alluvioni: flood.

Una particolarità da segnalare sono i casi di due città italiane che vedono questo fenomeno presentarsi puntualmente in molti periodi dell’anno: una è proprio Venezia. La città nota non soltanto per il turismo, ma anche per il fenomeno dell'acqua alta 52. L’altra è la città di Como, città sviluppata sulle rive di un lago e perciò soggetta a piccole inondazioni per straripamento delle acque. Per ovviare a questi problemi, e salvaguardare le città da questo fenomeno, sono stati studiati dei sistemi di dighe e canali lungo le coste e attorno alle città.

Questo tipo di interventi, tramite la costruzione di dighe, vedremo successivamente essere stati elaborati dalla Commissione De Marchi negli anni ’60 del secolo scorso.

Queste vengono costruite per garantire delle riserve d'acqua o per la generazione di energia idroelettrica. Sfortunatamente, contenendo grandi quantità d'acqua, le dighe possono creare inondazioni maggiori (o alluvioni) nel caso dovessero cedere. A tal proposito, non si possono non ricordare il più grande disastro italiano che fu il Vajont (anche se nello specifico caso non fu la diga a cedere), disastro ambientale successo il 9 ottobre 1963, che vide la morte di 1917 persone e il progetto Mose (Modulo Sperimentale Elettromeccanico), progetto tuttora in via di realizzazione finalizzato alla costruzione di una paratia mobile in difesa della città di Venezia, in grado di isolare temporaneamente la laguna dal Mare Adriatico durante gli eventi di alta marea.

Per l’Italia questo tipo di calamità non era nuovo, infatti ricordiamo nel dicembre 1870 la piena del Tevere che comportò l’allagamento della città di Roma e il 1951 la piena del Po e l’allagamento del Polesine53.

Ma cosa successe in sintesi il 4 novembre 1966, esattamente tre anni dopo questo disastro?

Il 4 novembre di quell’anno, in Italia veniva festeggiata la festa dell’Unità nazionale e delle Forze armate, un tempo molto sentita e oggi meno nota e ricordata, tanto da non essere neppure segnata nel calendario. Festa istituita nel 1919 e durata fino al 1976, anno della sua abolizione. II 4 novembre viene ricordato l’armistizio di Villa Giusti del 1918, 51

Voce inondazione, in Treccani.it – Enciclopedie online, Istituto dell’Enciclopedia Italiana.

Fenomeno provocato dall'effetto combinato dell’alta marea e della bassa pressione atmosferica.

53 D’Alpaos L., Un giorno, ospite inatteso, arrivò l’alluvione. Ricordi di un ingegnere su una battaglia perduta 1966 – 2016, Belluno, Fondazione Giovanni Angelini, 2016.

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che abbiamo ricordato precedentemente, col quale si fa coincidere convenzionalmente in Italia la fine della Prima guerra mondiale.

Erano i primi giorni di inizio novembre, e nel nord – est e nel Centro d’Italia, vi fu il passaggio di una perturbazione invernale formatasi dall’insieme di alcune condizioni meteorologiche particolari. Il forte vento di scirocco fece innalzare le temperature nei giorni dal 3 al 6 novembre (attorno ai 20° in pianura) provocando parziale scioglimento del manto nevoso già presente in Trentino Alto Adige e in alto Veneto fino a quote di 8001000 metri.

Fattori come il vento di scirocco e lo scioglimento del manto nevoso furono accompagnate da un altro elemento che peggiorò ulteriormente la situazione: le piogge fitte e intense. In quei giorni la pioggia continuò senza sosta per circa 36 ore. Prima le masse nuvolose persero la maggior parte della loro umidità, trasformata in pioggia, sulle prime zone investite (alto udinese ed alto bellunese), giungendo poi sul Trentino Alto Adige relativamente più esaurite.

Le precipitazioni interessarono i bacini dal Tagliamento all’Adige, ad eccezione dell’Isonzo e dell’alto bacino dell’Adige. I massimi valori delle precipitazioni si sono verificati sulle aree poste lungo la linea Tarvisio ‐ Lago di Garda, linea che corrisponde al presentarsi della grande orografia alpina: si registrarono accumuli in meno di 48 ore di oltre 500 mm sulle Prealpi Venete e di oltre 700 mm su quelle Friulane, nella zona dell’Alpago caddero 600 mm di pioggia in 36 ore, registrati alla stazione pluviografica di Santa Croce del Lago. Nella durata di 40 ore sono affluiti sulle tre Venezie quasi 4 miliardi di metri cubi d’acqua, ossia poco meno di 1/10 di quanto affluisce mediamente ogni anno54. Il valore massimo venne registrato in Val Cellina (711 mm)55.

Tutto ciò provocò l’ingrossamento dei fiumi e l’alta marea, ostacolando il regolare deflusso nel mare. Il risultato fu dunque l'intero nord-est dell'Italia colpito da una delle più grandi alluvioni mai verificatesi nell'Europa meridionale. Si produsse un vero e proprio collasso in diversi punti della pianura veneto-friulana.

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Tratto dall’articolo di Da Deppo L., L’alluvione del 3-4 novembre 1966 nelle Tre Venezie, Considerazioni (malinconiche) dopo 50 anni, scaricabile in versione PDF al seguente link: https://www.collegioingegnerivenezia.it/images/relazione.dadeppo.compressa.pdf.

55 Dato estrapolato dall’articolo, Trento è un’isola/18 morti nelle valli, consultabile al seguente link: https://www.quov.it/it/trento-%C3%A8-un%E2%80%99isola-18-morti-nelle-val.

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Le esondazioni dei fiumi veneti interessarono 117.000 ettari56 (escluse le zone interessate da mareggiata), così suddivisi per provincia: Vicenza 7.000, Padova 21.000, Venezia 57.000, Treviso 32.000. Vanno aggiunti inoltre 13.000 ettari per la provincia di Venezia e 7.000 per la provincia di Rovigo, sommersi dall’acqua marina per effetto della mareggiata57.

Alcuni territori, a monte, furono allagati esclusivamente dall’acqua fuoriuscita dagli argini fluviali, mentre in prossimità dei litorali e delle lagune, dall’acqua marina. A Venezia venne raggiunto il picco massimo di alta marea di 1,94 metri sopra il livello del mare, la durata fu altrettanto eccezionale con circa 11 ore sopra ad 1,50 metri. La laguna di Caorle, ad esempio, fu invasa sia dalle acque della marea, che dalle acque dei fiumi Livenza e Lemene. Un dato significativo furono le portate idriche dell’Adige58 e del Piave, il fiume che creò i maggiori danni.

Nelle regioni settentrionali59i morti furono 87, in 9 province (6 a Bolzano, 26 a Trento, 26 a Belluno, 2 a Treviso, 3 a Venezia, 5 a Vicenza, 14 a Udine, 4 a Pordenone e 1 a Brescia), nel Veneto si contarono 36 morti, e per il Friuli va ricordata la scomparsa del sindaco di Forni Avoltri all’epoca, Riccardo Romanin60. Gli sfollati furono oltre 42.000 (25.800 in Veneto, 15.800 in Friuli-Venezia Giulia, 800 in Emilia-Romagna e oltre 400 in TrentinoAlto Adige).

In Pianura Padana e nella Pianura Veneta furono inondati almeno 137 kmq di territorio, e furono riportati danni in almeno 209 Comuni. Nella zona montana i danni furono provocati direttamente dalla rovinosa potenza di torrenti e fiumi ingrossati all’inverosimile (il Piave e i suoi affluenti). Fu coinvolta tutta la vallata bellunese: dal Comelico al Cadore, dallo Zoldano al Longaronese, dal Feltrino all’Agordino. Quest’ultima fu la più colpita: i centri abitati da Agordo a Cencenighe, da Alleghe a Caprile e a Falcade. La valle rimase isolata per giorni. Il Lago di Santa Croce esondò.

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Dato tratto dall’articolo, A 50 anni dall’alluvione l’acqua fa ancora paura, nel sito dell’Università di Padova al seguente link: https://ilbolive.unipd.it/it/50-anni-alluvione-acqua-fa-ancora-paura.

57 Informazioni tratte dal link: http://www.ilfiumemarzenego.it/i-grandi-allagamenti-del-marzenego/2/#_ftn9.

58 L’Adige colpì duramente la città di Trento ma risparmiò Verona grazie allo scolmatore Adige - Garda e al bacino di Santa Giustina che in quell’occasione invasò oltre il massimo livello di invaso. Il più elevato contributo alla piena dell’Adige venne dal torrente Avisio il cui bacino fu interessato da accumuli di 200-300 mm di pioggia in 48 ore. Nelle altre aree del bacino del fiume Adige i contribuiti pluviometrici non furono eccezionali.

Tratto da: http://www.meteo4.com/mt/index.php/associazione-mainmenu-97/didatticamainmenu-48/638-alluvione-del-1966-sintesi-meteorologica.

59 Informazioni tratte dal link: http://polaris.irpi.cnr.it/novembre-1966/.

60 Informazioni tratte dal link: https://necrologie.messaggeroveneto.gelocal.it/news/41801.

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Solo in Provincia di Belluno furono danneggiati o distrutti 4300 edifici, 528 ponti e 1.346 strade e con purtroppo alcune vittime. Molti ponti vennero travolti e sparirono. La maggior parte della viabilità fu interrotta in molti punti. In molte zone, nella parte bassa, l’acqua raggiunse profondità notevoli, anche di 4-5 metri. In certe zone dell’area di bonifica del basso Piave l’acqua restò per ben 45 giorni. Nelle zone a monte l’acqua stazionò per breve periodo, mentre più a valle, in prossimità delle foci, l’acqua ristagnò per giorni e settimane, depositando uno strato quasi continuo di materiali limosi61.

Giuseppe Sorge, giornalista pubblicista e ricercatore di storia locale, in una sua inchiesta post alluvione “Il territorio veneto a 40 anni dalla alluvione del novembre 1966” così scrive: «E’ stato un evento assolutamente fuori del comune, in particolare per i bacini veneti e per il bacino dell’Arno». In un altro articolo dedicato all’alluvione “I giorni dell’Alluvione del 4 novembre 1966”, così racconta: Ad un primo bilancio al Parlamento, dapprima il ministro Taviani alla camera, il 7 novembre, quindi il presidente del Consiglio Aldo Moro al Senato, l’11 novembre, tracciavano i dati sempre più precari, provvisori, non definitivi del disastro che aveva colpito l’Italia con la incredibile guerra scatenata dalla natura contro l’uomo. I morti sono 96, i dispersi 14, così registrati: a Firenze 29, a Trento 21, a Brescia 2, a Treviso 3, 1 a Bologna, 2 a Pordenone, 3 a Vicenza, 21 morti e 4 dispersi a Belluno, 7 morti e 5 dispersi a Udine, 2 morti a Modena, 2 a Venezia, 2 a Pisa, 2 dispersi a Grosseto. Altre cifre significative: 754 comuni colpiti, 800 mila ettari danneggiati di cui 310 allagati, 5000 chilometri di strade rurali da riparare, 12 mila fabbricati danneggiati, 24 mila ettari di piantagioni distrutte, 50 mila capi di bestiame bovino, suino ed ovino distrutti, 16 mila macchine agricole danneggiate o distrutte. Rottura di argini, interramento di canali irrigui e corsi d’acqua, danni alle opere di bonifica montana. Seriamente colpito il patrimonio artistico di Firenze: 600 opere depositate in locali di fortuna della Galleria degli Uffizi danneggiate dalle acque in modo gravissimo. Danni al patrimonio bibliografico, artistico, scientifico62.

Molte borgate furono completamente distrutte, vedi le case di California, nella zona di Gosaldo, oggi diventato borgo fantasma63. Una parte degli abitanti furono costretti ad abbandonare la montagna alla ricerca di una nuova vita. Bepi Zanfron, un noto fotografo

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Vedi nota n. 53.

Sorge G., Il territorio veneto a 40 anni dalla alluvione del 4 novembre 1966, dal volume Il Veneto sommerso, Venetica 1/2007, Cierre Edizioni.

63 Frazione in Provincia di Belluno, che contava 150 persone, totalmente distrutta dall’alluvione. Un tempo era centro di ritrovo dei giovani, presso la sala da ballo o nel bar dell’albergo. Non ci furono vittime, perché la popolazione venne avvertita per tempo. Successivamente, venne abbandonata perché impossibile il recupero dell'insediamento originale. California oggi fa parte del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, perché come borgo fantasma è ormai coperto dal bosco. (Tratto da: 8 gennaio 1967 – Assemblea degli abitanti di California, il paese distrutto dall’acqua e dalle frane. Archivio d’epoca di Tina Merlin, consultabile al seguente link: https://web.archive.org/web/20071010153003/http://www.tinamerlin.it/Pubblicazioni/Emigrazion_611.aspx).

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bellunese, fu testimone silenzioso con la sua macchina fotografica di quei giorni ed è grazie a lui che possiamo toccare con mano i ricordi di quel periodo.

In Toscana, la piena dell'Arno raggiunge Firenze passando alla storia come “l'alluvione di Firenze”.

Lo stesso giorno saranno alluvionate anche Grosseto e Pontedera. In Toscana si contarono 47 morti, centinaia di feriti e 46.000 tra sfollati e senzatetto concentrati principalmente nella città di Firenze. Anche il Friuli fu gravemente danneggiato con l’alluvione del 1966.

Esondazioni disastrose si verificarono un po’ ovunque, dall’Isonzo al Tagliamento.

Nei dieci anni successivi all’alluvione, lo Stato ha speso oltre 10 miliardi di lire, la cifra più elevata per rimediare ai danni prodotti da un evento idrogeologico di così ampia portata64.

A completamento di questa narrazione dell’evento si riporta una significativa testimonianza di chi ha vissuto in prima persona quei tragici avvenimenti, prendendola dal “libro di bordo” di un segretario comunale: 4 novembre 1966: Tempo fin dal mattino atmosfera cupa come segnata da minacciosi eventi. Ieri neve. Nella notte sopraggiunge una pioggia intensa che cancella ogni traccia di neve. Questa mattina alluvione. [ore] 7:50: Tutta la neve caduta nella notte è scomparsa. Piove fitto ed intenso da ore. Tutto il pendio della montagna verso Coldemies sembra come graffiato. Il lago è una lastra di verde cupo. [ore] 9:00: L’acqua sta invadendo il piano terra dell’albergo e delle case contigue. Sindaco: famigliari ed alcuni vicini stanno cercando di salvare ai piani superiori mobili: arredi: soprattutto commestibili. Il peggio deve ancora venire. Il sindaco mi invita a rientrare ad Alleghe. La situazione appare seria. Come altre volte dopo il Vajont: il comune diventa per tutti punto di riferimento e di coordinamento per la comunità.” [ore] 10:30: 65 Il livello del lago comincia ad alzarsi. Caprile: pericolo di frana sopra abitato di Rudatos .

Il racconto prosegue scansionato di ora in ora fino al giorno 7 novembre 1966. Oggi questo lavoro viene effettuato dalla sede di Coordinamento territoriale della Protezione Civile più vicina ai luoghi dell’emergenza.

64

Vedi nota n. 59.

Sorge G., I giorni della Alluvione del 4 novembre 1966: Montagna e pianura, da Dolomiti 5/2016, pp. 629.

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2.3 La Commissione De Marchi Dopo i grandi eventi alluvionali che nel novembre 1966 colpirono principalmente il Veneto e la Toscana, lo Stato reagì in modo significativo. 20 giorni dopo l’alluvione, congiuntamente dal Ministero dei lavori pubblici e dal Ministero per l’agricoltura e foreste, venne nominata una Commissione Interministeriale, che fu istituita un anno dopo, nel luglio 1967, detta Commissione De Marchi dal nome del suo Presidente, Giulio De Marchi, il più insigne degli studiosi italiani e professore di Idraulica al Politecnico di Milano. Il 30 gennaio di quest’anno è ricorso il cinquantesimo anniversario di tale importante atto.

Tale Commissione ebbe il compito di «esaminare i problemi tecnici, economici, legislativi, e amministrativi al fine di proseguire e intensificare gli interventi necessari per la generale sistemazione idraulica e di difesa del suolo sulla base di una completa programmazione»66.

I lavori furono conclusi nel marzo 197067, con la consegna della Relazione Generale, quando si stava costituendo l’ordinamento regionale: 5 tomi, 75 volumi, 5.000 pagine redatte in 2 anni, di documenti ancora oggi attuali, dove viene evidenziata quanto sia grave la situazione idraulica nel nostro paese, avendo il coraggio di indicarli in maniera perentoria «se si vuole avere una maggiore sicurezza in Italia vanno fatte queste opere»68.

Nella presentazione dei lavori della commissione da lui presieduta, il prof. De Marchi così scriveva: «Senza voler escludere che qualche lacuna sia rimasta e qualche particolare sia sfuggito all’esame condotto nel corso di oltre tre anni (includendo i lavori della Commissione ministeriale), ritengo tuttavia di poter affermare che pochi esempi esistono di un lavoro di pari ampiezza e condotto con altrettanto impegno da parte di un organo consultivo come è quello che ho avuto l’onore di presiedere» e poi, rivolto alle future generazioni di tecnici, quasi a volersi scusare: « […] in ogni caso non temete, perché comunque nel campo della difesa idraulica e della difesa del suolo ci sarà lavoro anche per voi […]»69.

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Informazioni tratte dal link: http://www.gii-idraulica.net/30-gennaio-1969-2019-mezzo-secolo-dai-lavoridella-commissione-de-marchi-aversa-ce.

67 Gli atti originali possono essere consultati o scaricati in pdf dal sito https://www.censu.it/attivita/atti-dellacommissione-de-marchi-1970/. Ristampa anastatica digitale a cura del CeNSU – Centro Nazionale di Studi Urbanistici.

68 Tratto dall’articolo di Sorge G., Il territorio veneto a 40 anni dalla alluvione del 4 novembre 1966, dal volume il Veneto sommerso, Venetica 1/2007, Cierre Edizioni.

69 Citazioni tratte dalla presentazione del professor Luigi D’Alpaos, La gestione dell’emergenza idraulica, dagli stati d’allarme alle alluvioni, tenuta a Venezia il 21.3.2014 presso Istituto Veneto SS.LL.AA,

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La Relazione De Marchi fissa la situazione, le origini, le cause, anche umane, di rischio e dissesto dell’intero territorio nazionale, bacino per bacino. Che cosa concluse la Commissione De Marchi? Arrivò ad affermare che non era più possibile continuare nel campo delle opere di protezione idraulica, come si era fatto finora, ma bisognava intraprendere un’altra direzione. Di fronte alla grave insufficienza degli alvei di pianura rispetto alle massime piene che si potevano verificare, non bisognava solo adeguarli, ma cercare di ridurre prima, a monte, le massime portate probabili a limiti compatibili con la capacità degli argini a valle. La Commissione riconobbe anche che era improponibile pensare di utilizzare i serbatoi già esistenti per il compito di difesa dalle piene, perché queste strutture purtroppo furono costruite pensando solo al profitto, e non al carattere di difesa dalle piene del territorio.

Successivamente alle conclusioni della Commissione De Marchi (1974) gli amministratori avrebbero dovuto far predisporre un piano per realizzare, in tempi ragionevoli, gli interventi indicati dalla Commissione stessa, e non solo, seguendo i criteri esposti nella premessa della Relazione. Di tutti i serbatoi progettati dalla Commissione, l’unico che è stato realizzato è l’invaso a uso promiscuo di Ravedis, un serbatoio tenuto con una diga che chiude praticamente il torrente Cellina quasi all’uscita dal suo bacino montano, creando un invaso di quasi 25 milioni di metri cubi.

Nei vent’anni successivi alla Commissione De Marchi furono condotti molti studi di approfondimento. Ad esempio i fiumi Livenza e Piave sono oggetto di grandi approfondimenti70 che però portano a confermare la validità delle indicazioni fornite dalla Commissione De Marchi. L’istituzione dell’ordinamento Regionale (1970) e il passaggio delle competenze di difesa del territorio dallo Stato alle Regioni, insieme con la Legge n.183 del 18 maggio 1989, “Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo”, hanno di fatto sospeso per lungo tempo ogni decisione. Con il passare del tempo molte delle opere, in particolare le dighe, previste dalla Commissione De Marchi sono risultate non più fattibili perché parte delle aree interessate dagli interventi erano state

Accademia Nazionale dei Lincei, in occasione della giornata mondiale dell’acqua, scaricabile in versione PDF al seguente link: https://www.istitutoveneto.org/pdf/Gestione_Emergenze_Idriche.pdf.

70 Informazioni tratte dal Convegno tenuto dal Professor Luigi D’Alpaos, presso la sede dell'Ordine degli Ingegneri della Provincia di Venezia in occasione della presentazione del suo nuovo libro “Un giorno, ospite inatteso, arrivò l’alluvione – ricordi di un ingegnere su una battaglia perduta – 1966-2016”, consultabile al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=u6DX6SVLb3A.

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nel frattempo, forse non a caso, urbanizzate o destinate ad altre infrastrutture 71. La popolazione di allora, sia nell’Agordino che a Motta di Livenza, a Venezia e a Firenze, si è rimboccata le maniche e ha operato in prima linea nel post emergenza. Altrettanto si è fatto 10 anni dopo, in Friuli.

Alcuni passi avanti cominciano ad intravedersi oggi, anche se la cosa che dovrebbe attirare l’attenzione delle autorità è che se si verificasse un’alluvione come quella del 1966, porterebbe a conseguenze ancor più gravi.

2.4 Un caso particolare: gli schianti nelle foreste del Trentino Le mie ricerche per la stesura di questo capitolo, mi hanno portato a scoprire, presso la Biblioteca del Consiglio Regionale del Veneto con sede a Venezia, un articolo “Un aspetto poco noto dell’alluvione del 1966: l’abbattimento delle foreste da parte del vento” contenuto nel volume “Le calamità naturali nelle Alpi” a cura dell’Istituto di Geografia dell’Università di Pisa, che riporta gli Atti del XXI Congresso Geografico Italiano del 1971, il cui autore è Giorgio Zanon. Egli racconta un aspetto poco noto alle cronache avvenuto durante l’alluvione del 1966.

Parlando di questo fenomeno, quello che spesso viene ricordato e analizzato, è l’aspetto legato alla piena dei fiumi e all’inondazione avvenuta in molte parti del territorio italiano, che ha assunto un carattere veramente disastroso. Quello che invece mi ha colpito, leggendo l’articolo, è quello che è accaduto in quelle stesse ore, nella regione del Trentino Alto Adige, e precisamente nel bacino del Rio Cadino, nel Distretto forestale di Cavalese: gli abbattimenti (detti anche, in termini forestali “schianti”) nelle aree boschive da parte del vento. Un fenomeno molto simile alla tempesta Vaia, di cui parlerò ampiamente in seguito.

Pertanto questo genere di calamità non deve stupirci, perché non è da considerarsi eccezionale.

Il ciclone, o meglio la tromba d’aria del 4 novembre 1966, colpì la Val Cadino, soprattutto nella parte meridionale della foresta demaniale, distruggendo una superficie di circa 130 ettari, provocando la perdita di quasi 100.000 metri cubi di legname, pari al 27% della 71

Tratto da articolo, L’alluvione del 3-4 novembre 1966 nelle Tre Venezie, Considerazioni (malinconiche) dopo 50 anni, Luigi Da Deppo, scaricabile in versione PDF al seguente link: https://www.collegioingegnerivenezia.it/images/relazione.dadeppo.compressa.pdf.

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massa totale e alla perdita di 22 annate del prodotto previsto dal piano economico. Danni furono arrecati anche alla Magnifica Comunità di Fiemme: 58.000 metri cubi, pari al 9% del capitale legnoso e ad 8 anni di ripresa. Ulteriori danni, ma minori, a Longo-Liebenstein 14.000 metri cubi, Comune di Fornace 9.334 metri cubi, ecc. L’immagine che la Val Cadino presentava il 5 novembre era desolante: intere porzioni di pendici erano completamente denudate. Il lago di Stramentizzo era totalmente coperto dai tronchi degli alberi abbattuti.

Gravissimi furono anche i danni alle infrastrutture lungo il Rio Cadino dove furono portati via o parzialmente distrutti ponti, caseggiati, briglie e strade. Per recuperare tutto il legname caduto e sradicato ci volle più di un anno di intenso lavoro. Dopo il censimento dei danni si iniziarono immediatamente le operazioni di rimboschimento delle zone più colpite, per evitare e prevenire ulteriori conseguenze causate dall'erosione. Per un recupero immediato della vegetazione forestale, nel periodo 1968-1971 furono piantate più di 150.000 piante, quasi tutte di abete rosso.

Di questa calamità se ne è occupato in una tesi di laurea inedita lo studente R. Tomasetti, dal titolo “Danni arrecati dall’uragano del 4 novembre 1966 nella foresta demaniale di Cadino. Prova sperimentale di rimboschimento”, presso l’Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Scienze Agrarie e Forestali.

In un altro articolo tratto dal notiziario “La Comunità di Fiemme” dell’agosto 2016 l’autore Mario Felicetti racconta il post disastro: I maggiori danni si verificarono in Val Cadino, a Predazzo, Panchià (dove venne travolto il ponte sul rio Bianco, letteralmente distrutto), Cavalese, Capriana e Valfloriana.» e ancora «Il 12 dicembre successivo, in una riunione convocata dal presidente Vinante nella sede della Comunità, presenti il Comitato Enti Rivieraschi del rio Cadino, il dottor Donato Nardin, amministratore delle foreste demaniali di Cadino, il sindaco di Castello/Molina Giacinto Ventura, accompagnato dall’assessore alle foreste Leone Bosin, ed il Regolano del Feudo di Rucadin Vittorio Cavada, si concordava lo svolgimento delle operazioni necessarie per la raccolta del legname alluvionato sul rio Cadino, dalla foce fino al Ponte Stue, dopo la costruzione di due ponti provvisori in legno sull’Avisio e sullo stesso rio Cadino e la sistemazione delle strade di accesso al legname. Decisivo a questo punto l’intervento del Presidente della Provincia Bruno Kessler che, in una riunione a Molina di Fiemme (come ricorda Donato Nardin nell’intervista che segue) autorizzò subito i lavori di sgombero della strada interrotta dalle frane e dagli smottamenti.» e ancora «In una riunione del 31 gennaio 1967 con i sindaci di Predazzo, Ziano, Panchià, Tesero, Cavalese e Castello/Molina, il presidente Vinante comunicava che era già stata portata a termine l’operazione di recupero e di allestimento del legname tondo lungo l’asta dell’Avisio. Rimaneva ovviamente il grosso problema del ripristino della viabilità forestale, condizionato, soprattutto per i Comuni, dalla carenza di fondi.»

Dalla testimonianza oculare dell’evento, il geometra Tullio Boninsegna di Predazzo che allora era tecnico presso l’Ufficio Forestale della Magnifica racconta: «In totale si può calcolare l’abbattimento di circa 60/70.000 metri cubi di legname, praticamente due riprese annue

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abbondanti. La situazione peggiore è stata quella della Val Cadino, ma anche altrove si sono registrati danni consistenti.» e ancora «Fondamentale è stato il lavoro di ripristino almeno di un minimo di viabilità forestale, in modo da consentire il recupero più rapido possibile del legname abbattuto ed impedire quindi il suo deterioramento, anche perché il suo valore era molto alto.» e ancora «Gli alberi abbattuti sono stati recuperati e portati presso le segherie di Ziano, Predazzo e Molina per la fase di lavorazione e quindi per la vendita. Allora l’esbosco avveniva mediante l’uso di carri, quindi le strade erano abbastanza strette, rispetto a quelle molto più ampie dei nostri tempi, quando sono percorse da mezzi pesanti e conseguentemente il recupero è molto più veloce72

Un'altra testimonianza la rievoca il dott. Donato “Tello” Nardin, che dal 1955 al 1970 è stato amministratore delle foreste demaniali della Val Cadino, oltre che di Paneveggio, Caoria e San Martino, e che successivamente, per 20 anni, fino all’età della pensione, è stato dirigente presso i Bacini Montani: «Da quel momento, avvertendo la gravità della situazione, decisi di concentrarmi su Cadino, lasciando perdere tutto il resto del territorio di competenza, visto che questa sarebbe risultata una delle aree più colpite in assoluto, con circa 200.000 metri cubi di legname abbattuto, oltre 90.000 di proprietà del Demanio, gli altri della Magnifica Comunità di Fiemme, del Baron Longo e del Comune di Castello/Molina»73.

Dopo l’alluvione, il problema più grande riguardava il recupero del legname schiantato in Val Cadino. Venne chiamata “Operazione Cadino”. Il dottor Donato Nardin dichiara: «Quando giunse il mio turno di prendere la parola, esposi la drammatica situazione della Val Cadino ed il reale pericolo di infestazione da bostrico (bècherlo) che tutti i boschi, non solo quelli del Demanio, avrebbero corso se non fosse stato possibile provvedere rapidamente alla raccolta degli schianti. Da qui la assoluta necessità di cominciare i lavori di recupero già all’inizio della primavera»74.

Tutta l’area alluvionata della Val Cadino venne sistemata in un paio di anni. Nei sette anni successivi venne anche completata l’opera di rimboschimento.

Personalmente quanto accaduto in Veneto e in Friuli Venezia Giulia, nel novembre del ‘66, ma specialmente in Trentino Alto Adige, con l’abbattimento delle Foreste della Val Cadino mi sembra similare a quello avvenuto nel periodo ottobre – novembre dell’anno scorso, nel 2018, nel Cadore, nell’Altopiano e nella Val di Fiemme, perché molto simile a Vaia. Il

72

Felicetti M., Quando la furia delle acque si scatenò anche in Valle di Fiemme, in “La Comunità di Fiemme” agosto 2016 n.2.

73 Ibidem.

74 Ivbidem.

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lago di Stramentizzo coperto da tronchi di allora, è la stessa immagine del lago di Alleghe e del lago di Barcis di oggi.

2.5 La situazione idrogeologica in Veneto a 50 anni dall’alluvione Il professor Luigi D'Alpaos, massimo conoscitore delle criticità idrauliche del Veneto, nella sua recente fatica letteraria intitolata: "Un giorno, ospite inatteso, arrivò l’alluvione.

Ricordi di un ingegnere su una battaglia perduta. 1966 – 2016" racconta l'alluvione del 1966 nel cinquantesimo anniversario dall’evento. Assistente dopo la laurea del prof.

Ghetti, all’epoca svolgeva delle attività per via della Commissione De Marchi; oggi è professore emerito presso l’Università di Padova ed è una delle massime autorità in materia di ingegneria idraulica.

Il testo è scritto non solo per i suoi allievi, ma per i tanti veneti che hanno dovuto subire l’alluvione e che ne sono stati colpiti. Egli rende testimonianza dei fatti del passato, avendoli vissuti in prima persona, perché quando avvenne la piena, egli si trovava a casa, nel suo paese, in Alpago.

Egli racconta che il titolo del libro è sarcastico, perché quando arrivano eventi alluvionali come questo sono, ancora oggi, sempre “inattesi”.

Il Veneto è un territorio che dal punto di vista idraulico è molto complesso. Tutti i fiumi veneti hanno comportato disastri. Non solo i fiumi furono arginati in pianura, ma la piena fu anche un disastro per il Bellunese.

Il professore racconta che nella zona del Ponte dell’Alemagna morì il medico di Longarone che tre anni prima si salvò dalle acque del Vajont, ebbe la sfortuna di trovarsi a passare sopra il ponte con la sua macchina e fu travolto dall’acqua.

Nella Val Zoldana devastata da questa piena, in seguito ai torrenti disalveati, venne lasciata una gran quantità di materiale nei paesi.

La gente di montagna cercò subito di reagire: quello che rimaneva dopo il disastro era ripulire le strade dal materiale portato dall’acqua.

Il libro parla dei fiumi Piave, Brenta – Bacchiglione, Livenza, Tagliamento e Adige; un capitolo è dedicato alla montagna abbandonata, ossia alla montagna bellunese, attraverso le fotografie di Bepi Zanfron, con riferimenti importanti anche alla tragedia del Vajont. Il suo

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messaggio è verso i governanti, che generalmente sottovalutano questi fatti e non avviano politiche adeguate nel campo della difesa del suolo.

Un altro autore che si è occupato della situazione idrogeologica del Veneto è Giuseppe Sorge, già citato precedentemente. In una sua inchiesta post alluvione “Il territorio veneto a 40 anni dalla alluvione del novembre 1966” così scrive: Secondo la fonte citata le aree di dissesto grave rappresentano una percentuale superiore all’8%. I movimenti franosi in atto in Italia sono numerosissimi e assai di frequente collocati in posizioni strategiche. Solo nella provincia di Belluno ne risultano censiti 4000. Sono dati ufficiali. Ma in una tavola rotonda dell’ottobre 2006, a Belluno, sulle tematiche delle aree a rischio un illustre geologo ha precisato che a quel dato vanno aggiunti, solo nella provincia di Belluno, altri 3500/4000 casi dei quali fornisce le posizioni catastali. […] Sempre nel bellunese, esistono anche frane o movimenti che non si vedono, alludendo ad una situazione assai più diffusa di stabilità precaria di numerosi pendii oltre quelli censiti o apparentemente indenni da rischio. Cronache recenti evidenziano come in Italia sono sufficienti tre giorni di pioggia per causare straripamenti di piccoli fiumi, determinare lo sfollamento di decine di persone e l’inondazione di più comuni costretti a dichiarare lo stato di calamità naturale. […] Nel Veneto siamo ad una percentuale molto alta di territorio che è soggetto a fenomeni di carattere idraulico o geologico che possono essere pericolosi, molto pericolosi o comunque causare gravi danni. La situazione non si può più ignorare: il PAI, cioè Piano di Assetto Idrogeologico e il piano stralcio del Piano di Bacino, di competenza delle Autorità di Bacino sono strumenti che non si possono più disapplicare. Il PAI ha costretto a dichiarare quali sono le situazioni di sofferenza e di rischio ed a porvi rimedio con interventi strutturali generali75.

In seguito all’alluvione del 1966, Anas strade si è occupata degli interventi di ripristino76.

In particolare furono eseguiti: - lavori di costruzione della variante presso Gosaldo nel quadro dei lavori di ripristino definitivo dei tratti della ss. 347 (del Passo Cereda e del Passo Duran) danneggiata dalle alluvioni - lavori di costruzione dei ponti Sardellade e Merendera sul torrente Frison e sistemazione e adeguamento della sede stradale fra Ponte Nuovo e Forcella Lavardet - lavori di costruzione di un nuovo Ponte sul Fiume Piave in località San Felice. L’Ingegnere addetto dichiara che c’è bisogno di un ponte nuovo, e del rafforzamento delle barriere di difesa e del terreno. I lavori sono datati negli anni ‘80

75

Sorge G., Il territorio veneto a 40 anni dalla alluvione del 4 novembre 1966, dal volume Il Veneto sommerso, Venetica 1/2007, Cierre Edizioni.

76 Questo paragrafo è potuto nascere grazie all’ospitalità che mi è stata concessa da Anas strade, distretto territoriale del Nord – Est, dove ho potuto consultare i fascicoli storici degli archivi di Belluno e di Bolzano.

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- lavori di costruzione della Variante esterna all’abitato di Agordo.

Sistemazione della parte idraulica presso il Torrente Missaga. Costruzione di nuovi viadotti - lavori di costruzione della Variante esterna all’abitato di Agordo.

Sistemazione della parte idraulica presso il Torrente Rova.

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3. IL BOSCO: PATRIMONIO NATURALE DOLOMITICO

Il luogo dove ha colpito la tempesta Vaia, protagonista di questa mia tesi di laurea, è il bosco. In particolare, il tipo di bosco che ha avuto più danni dal passaggio della tempesta è stato quello della famiglia di conifere formato dall’abete rosso, per cui risulta utile fornire una definizione giuridica di bosco, per poi descrivere la famiglia delle conifere focalizzando l’attenzione su un particolare tipo di conifera, ovvero proprio l’abete rosso.

Infine si cercherà in maniera esemplificativa di illustrare quali sono le funzioni di un bosco e perché sono importanti nell’analisi del post – emergenza.

3.1 Definizione di bosco Alessandro Cerofolini, primo dirigente del Corpo forestale dello Stato, Direttore della Divisione XV dell’Ispettorato Generale nel suo articolo “La definizione giuridica di bosco nell’ordinamento italiano” cerca di far luce su questo tema, chiarendo le idee sulla definizione di bosco.

Definire un bosco e darne una definizione giuridica è sempre stato complesso e difficoltoso, tanto che le leggi forestali del 1877 e del 1923 si occupavano del bosco, senza mai darne una definizione, normativamente parlando.

In seguito, la giurisprudenza e altri soggetti istituzionali hanno tentato di darne una propria.

Le più interessanti sono state date dalla Corte di Cassazione, dal FAO, dall’ISTAT, dall’Accademia Italiana di Scienze Forestali e dall’Inventario Forestale Nazionale Italiano del 1985.

Secondo la Corte di Cassazione (1993): Il concetto di bosco deve essere riguardato come patrimonio naturale con una propria individualità, un ecosistema completo, comprendente tutte le componenti quali suolo e sottosuolo, acque superficiali e sotterranee, aria, clima e microclima, formazioni vegetali (non solo alberi di alto fusto di una o più specie arboree, ma anche erbe e sottobosco), fauna, microfauna, nelle loro reciproche profonde interrelazioni, e quindi, non solo l’aspetto estetico

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77

paesaggistico di più immediata percezione del comune sentimento »

.

La Global Forest Resources Assesment (FAO – FRA) (2000) invece propone una definizione più articolata: Un territorio con copertura arborea superiore al 10%, su un’estensione maggiore di mezzo ettaro e con alberi alti, a maturità, almeno 5 metri. Può trattarsi di formazioni arboree chiuse o aperte, di soprassuoli forestali giovani o di aree temporaneamente scoperte di alberi per cause naturali o per l’intervento dell’uomo, ma suscettibile di ricopertura a breve termine. Sono, inoltre, inclusi nelle aree boscate i vivai forestali, le strade forestali, le fasce tagliafuoco, le piccole radure, le barriere frangivento, le foreste delle aree naturali protette, le fasce boscate, purché maggiori di mezzo ettaro e larghe più di 20 metri, gli alberi da gomma, le sugherete, i vivai per gli alberi di Natale, le piantagioni di alberi per la produzione di legno. Sono esclusi dalla definizione di bosco i territori usati prevalentemente per le pratiche agricole, come le piantagioni di alberi da frutto78.

L’ISTAT, l’Istituto italiano centrale di statistica, ne dà una interpretazione più speditiva e più utile per la raccolta dei dati statistici: Superficie forestale boscata quella rappresentata da una superficie di terreno non inferiore a mezzo ettaro, in cui sono presenti piante forestali legnose, arboree e/o arbustive, che producono legno, o altri prodotti forestali, determinanti, a maturità, un’area d’insidenza di almeno il 50 per cento della superficie e suscettibili di avere un ruolo indiretto sul clima e sul regime delle acque79.

L’Accademia di Scienze forestali così si esprime: Terreni sui quali esista, o venga comunque a costituirsi, per via naturale o artificiale, un popolamento di specie legnose forestali arboree o arbustive, a qualunque stadio di sviluppo si trovino, dalle quali si possono trarre, come principale utilità prodotti comunemente ritenuti forestali, anche se non legnosi, nonché benefici di natura ambientale riferibili particolarmente alla protezione del suolo ed al miglioramento della qualità della vita. Sono, altresì, da considerare boschi gli appezzamenti di terreno che siano rimasti temporaneamente privi di copertura forestale e nei quali il soprassuolo sia in attesa o in corso di rinnovazione o di ricostituzione80.

Infine l’Inventario Forestale Nazionale Italiano (1985) propone una articolata e dettagliata definizione: Un terreno di almeno 2.000 metri quadrati, coperto per almeno il 20% di alberi o arbusti; se l’appezzamento boscato è di forma allungata la larghezza minima deve essere di 20 metri. Tale terreno è definibile bosco anche se si trova temporaneamente privo di copertura arborea per cause accidentali o in seguito a utilizzazione periodica”.

A chiarire i dubbi in materia di definizione di bosco e di arboricoltura da legno è intervenuto il legislatore statale con il decreto legislativo 227/2001, modificato successivamente dall’articolo 77

Cerofolini A., La definizione giuridica di bosco nell’ordinamento italiano, da L’Italia Forestale e Montana, 69 (1), 2014, pp. 37-45.

78 Ibidem.

79 Ibidem.

80 Ibidem.

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26 della legge 4/2012, n. 35, recante disposizioni integrative sulla nozione di bosco. Il legislatore nazionale, a differenza del mondo scientifico, ha equiparato i termini bosco, foresta e selva. Successivamente, però, anziché stabilire una definizione per tutto il territorio nazionale, il legislatore lascia, con un provvedimento, alle singole regioni l’esatto concetto giuridico. Questo spiega perché in Italia ci sono diverse definizioni per indicare lo stesso bene giuridico. Per evitare troppe diversità tra una regione e l’altra, il legislatore introduce nel decreto delle norme di salvaguardia valide su tutto il territorio nazionale. Il legislatore stabilisce che fino all’emanazione delle leggi regionali e dove non diversamente già definito dalle regioni stesse, si considera: “Bosco i terreni coperti da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella arbustiva di origine naturale o artificiale, in qualsiasi stadio di sviluppo, i castagneti, le sugherete e la macchia mediterranea, ed esclusi i giardini pubblici e privati, le alberature stradali, i castagneti da frutto in attualità di coltura e gli impianti di frutticoltura e d’arboricoltura da legno, ivi comprese le formazioni forestali di origine artificiale realizzate su terreni agricoli a seguito dell’adesione a misure agro ambientali promosse nell’ambito delle politiche di sviluppo rurale dell’Unione europea, una volta scaduti i vincoli, i terrazzamenti, i paesaggi agrari e pastorali storici coinvolti da processi di forestazione, naturale o artificiale, oggetto di recupero a fini produttivi. Tali formazioni vegetali ed i terreni su cui essi sorgono devono avere estensione non inferiore a 2.000 metri quadrati e larghezza media non inferiore a 20 metri e copertura non inferiore al 20%, con misurazione effettuata dalla base esterna dei fusti. Sono, altresì, assimilati a bosco i fondi gravati dall’obbligo di rimboschimento per la difesa idrogeologica del territorio, qualità dell’aria, salvaguardia del patrimonio idrico, conservazione della biodiversità, protezione del paesaggio e dell’ambiente in generale nonché le radure e tutte le altre superfici d’estensione inferiore a 2.000 metri quadri che interrompono la continuità del bosco, non identificabili come pascoli, prati o pascoli arborati81.

3.2 La definizione giuridica nella Regione Veneto L’ultima Regione a discutere in materia è stata il Veneto, con la delibera della giunta regionale per la legge regionale 3/2013 che ha disposto che per la definizione di bosco si faccia riferimento al decreto legislativo statale 227/2001. In seguito, la Regione Veneto, oltre ad essersi allineata alla definizione statale, insieme con altre Regioni, ha anche stabilito che cosa non si considera bosco. Non può venire considerato bosco: i parchi cittadini, i giardini e le aree verdi attrezzate, le colture di alberi di Natale di età media inferiore ad anni 30, i filari ed i viali di piante arboree, i frutteti, le colture legnose purché insistenti su terreni esclusi da vincolo idrogeologico, i terreni abbandonati, le tartufaie coltivate di origine artificiale, i prati e i pascoli arborati.

Per quanto riguarda perciò l’attuazione del codice civile e del codice penale in materia, per il concetto giuridico di bosco, la Regione Veneto si rifà al legislatore statale, in quanto non sono ancora conseguiti i decreti attuativi e quindi ad oggi non è stato ancora possibile adeguare la norma regionale.

81

Cerofolini A., La definizione giuridica di bosco nell’ordinamento italiano, da L’Italia Forestale e Montana, 69 (1), 2014, pp. 37-45.

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3.3 Il bosco nella montagna veneta Il volume di Mario Agnoletti “Storia del bosco. Il paesaggio forestale italiano” ripercorre quella che è la storia dei boschi italiani, da nord a sud, sottolineando come i boschi delle Alpi orientali siano dal XIII secolo ad oggi una inesauribile risorsa di legname da costruzione e da brucio.

I boschi sono spesso presentati come parte integrante della naturalità dell’ambiente di questa parte delle Dolomiti, ma in realtà la composizione delle specie e la loro struttura sono state influenzate in modo determinante dall’uomo nel corso dei secoli. In particolare, la storia dei boschi del Cadore dimostra che in realtà i boschi non sono mai stati distrutti e soprattutto che tali boschi non hanno ad oggi una struttura definibile come naturale, ma sono il risultato di molti secoli di utilizzazioni forestali operate per sostenere le popolazioni locali e le attività commerciali di Venezia.

I boschi più importanti presenti in quest’area erano una volta le faggete e le conifere (abete bianco e abete rosso). Le proporzioni fra queste specie sono state profondamente modificate dall’opera dell’uomo nel corso del tempo: la scelta di riduzione di alcune specie a favore di altre non era però solo legata al commercio. La scomparsa del faggio ad esempio, o comunque la sua attuale limitatissima estensione, non è da ascriversi solamente all’industria del legname. Questa specie è stata invece sottoposta ad un intenso uso da parte delle popolazioni locali che lo hanno sempre preferito come legna da ardere e per la fabbricazione di oggetti di uso domestico, senza che parallelamente si pensasse a favorire il suo rinnovamento. Questo anche a scapito dell’abete bianco, che viene considerato inferiore dal punto di vista tecnologico.

3.3.1 Il bosco di conifere Il paesaggio montano a cui facciamo riferimento è il paesaggio alpino, in particolare quello dolomitico. In questa area, ma pure su tutto l’arco alpino, i boschi di conifere assumono un ruolo fondamentale. Le diverse specie che lo costituiscono -pino silvestre, pino nero, pino uncinato, abete rosso, abete bianco, larice, pino cembro- variano in base alla presenza di fattori diversi che possono essere il clima, le precipitazioni, il tipo di terreno e le temperature che salgono o scendono in base alla quota.

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In alcuni casi i boschi sono costituiti da conifere sempreverdi, mentre in altri vi è una mescolanza di conifere e latifoglie sempreverdi quali il castagno, il faggio e il tiglio.

Pertanto, mentre nella fascia che va dalla pianura ai primi versanti (al di sotto dei 1200 – 1000 metri) troviamo la presenza di boschi misti di latifoglie con la presenza di quercia (rovere, roverella), betulla, nocciolo, castagno, frassino, acero di monte, ornello, salice e ontano (nelle zone di fondovalle, zone ricche di acqua) in cui il faggio “fa da padrone”, man mano che si sale di quota, invece, nella fascia montana, i boschi di latifoglie lasciano il posto ai boschi di conifere (abete bianco, abete rosso, pino silvestre, larice e pino mugo82), questo perché mentre le latifoglie preferiscono climi oceanici, con precipitazioni abbondanti e disponibilità idrica elevata del suolo, le conifere sono più competitive a quote maggiori.

In Europa possiamo trovarle nelle Alpi, nei Carpazi, nei rilievi settentrionali della Gran Bretagna, nelle Highlands, e nel versante artico delle Alpi Scandinave dove l’inverno è particolarmente rigido. Nelle Dolomiti sono presenti anche diffusi arbusteti di mirtillo, erica, e rododendro alpino.

Venendo in specifico alle conifere situate sulle Dolomiti si ha le seguente distribuzione delle diverse specie. Nella fascia intermedia possiamo trovare l’abete bianco, che, mentre in alcune zone viene accompagnato da un suo simile, l’abete rosso, in altre invece si confonde con il faggio. L’abete bianco è in generale simile per habitat all’abete rosso e al faggio, anche se per alcune sue caratteristiche, si colloca in una posizione intermedia tra il faggio stesso e l’abete rosso.

Più si sale ad alta quota e più fa la sua comparsa una conifera particolare, il larice, unica conifera autoctona e albero più rappresentativo nel paesaggio alpino. Grazie alla sua adattabilità riesce a sopravvivere in ambienti difficili, perché meglio sopporta la copertura nevosa e le basse temperature. In particolare, nelle Alpi occidentali, il larice risulta sopravvivere meglio in zone dove per motivi storici è stato invece piantato l’abete rosso.

Se si considera, come in questo caso, l’influenza esercitata dall’uomo in questi luoghi, risulterà difficile sostenere l’esistenza di boschi naturali, risulterà più semplice invece parlare di “vegetazione potenziale” o di “boschi artificiali”.

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Il “pino mugo” legnoso, resistente a tutte le bufere, trattiene le nevi, protegge dalle valanghe, e fornisce una sostanza medicamentosa detta “olio di mugo”.

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Per trovare boschi di conifere completamente naturali, dobbiamo arrivare a quote superiori ai 1600 – 1700, dove in alcune zone vi sono boschi di lariceti puri e in altre invece il larice si accoppia con il pino cembro. A quote superiori ai 2000 metri abbiamo i cosiddetti “boschi di protezione”, i quali vista la loro elevata naturalità, da tempo non sono soggetti a utilizzazione. Gli abeti bianchi, gli abeti rossi e il pino mantengono gli aghi anche d’inverno mentre i larici sono caratterizzati dalla loro perdita in inverno.

Un'altra specie di conifera che si adatta a condizioni geomorfologiche molto difficili, assicurando una copertura vegetale e una protezione per quel territorio, è il pino. Le pinete, però, a differenza delle altre, non sono specie vegetali legate a determinate fasce altimetriche specifiche. Oltre al pino silvestre che dimostra capacità di adattamento alle situazioni estreme, anche il pino nero occupa molte zone della fascia pedemontana, dove prevalgono fattori naturali estremi. Se da un lato, il pino è una conifera che si adatta a ogni tipo di situazione, lo stesso non si può dire dal punto di vista gestionale, ovvero di protezione dalle valanghe. Questo infatti può aumentare, a parità di pendenza del versante, il rischio di distacco della neve.

3.3.2 L’abete rosso: il protagonista della tempesta Vaia L’abete rosso, chiamato anche Peccio comune (nome scientifico: picea abies, picea excelsa o picea vulgaris) è una conifera, appartenente alla famiglia delle pinaceae.

Ampiamente diffuso sulle Alpi, è considerata la conifera per eccellenza e la più estesa di tutto il continente europeo (in Europa viene chiamato Norway Spruce).

Per tradizione, si vuole che l’abete rosso venga ricollegato all’albero di Natale, per via del colore che è dovuto alla sua corteccia color bruno, ruggine, rossastro nelle piante giovani, per poi passare al violaceo scuro, bluastro negli alberi più vecchi. La corteccia si divide in placche rotondeggianti o quasi rettangolari (di circa 1–2 cm), dette “soldini”, ramificata fin dalla base.

Pianta alta mediamente 25 – 35 metri, ma in condizioni ottimali può raggiungere anche i 50 metri e occasionalmente anche i 60 metri d’altezza, con circonferenze medie del tronco, un solo fusto centrale legnoso, di 2 metri che in casi eccezionali può arrivare fino a 4,8 metri. Il tronco ha il compito di sostenere la pianta, inoltre collega le radici alle foglie trasportando sostanze nutritive. Il fusto legnoso lo distingue da altri alberi perché ha il

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tronco dritto colonnare, poco rastremato e slanciato molto alto. Cresce nella stagione primaverile e ogni anno all’interno del tronco si forma un anello di legno. Su di esso troveremo spesso delle gocce di resina, una sostanza vischiosa e profumata che serve alla pianta per difendersi da insetti e funghi. La resina fossilizzata si trasforma poi in ambra, un tipo di fossile molto ricercato e di costo elevato.

Essendo questa una specie che si differenzia in base all'altitudine, è caratterizzata da un certo polimorfismo: la chioma, infatti, può assumere una forma più espansa alle quote alpine più basse, mentre tende a divenire più stretta a forma conica a quote maggiori (per contenere i danni provocati dalla neve). Può essere anche a forma piramidale, perché dipende dalla ramificazione, in basso i rami sono più lunghi e man mano in alto si accorciano sempre di più fino a formare la punta conica.

Le foglie sono piccole e rigide, costituite da “aghi” appuntiti, a sezione quadrangolare, lunghe fino a circa 2,5 cm, inseriti su cuscinetti in rilievo posti tutti intorno al rametto, con tendenza a disporsi su un piano orizzontale, e persistono anche fino a 10 anni. Gli aghi sono dritti o incurvati verso l’alto. Sono formati da una sostanza viscosa avente la capacità di proteggere l’albero dalla mancanza di acqua in inverno, si proteggono dal gelo perché sono protetti da una spessa pellicola che impedisce all’acqua di evaporare. L’abete rosso non perde mai le foglie, in nessuna stagione, tanto da essere chiamato “sempreverde”, perché le foglie catturano attraverso la fotosintesi clorofilliana, ogni momento possibile di luce.

Le radici sono importantissime, nel mondo vegetale sono il primo stadio della vita originata da un seme duplice. Svolgono due funzioni principali: fondamentale quella di assicurare l’ancoraggio della pianta al suolo permettendo la trasmissione dell’acqua e dei nutrimenti organici minerali alla parte aerea della pianta stessa. In seguito si trasformano in radici fascicolate, che possono diventare lunghe, ruvide e di grandezza media.

E’ in grado di crescere su una varietà di habitat, sia asciutti, luoghi molto soleggiati, che su siti umidi. Predilige i terreni acidi e sciolti ma cresce anche su suoli ricchi di carbonati.

Raggiunge la sua migliore crescita su terreni profondi e nutrienti con un’unità fresca, ma anche su terreni ricchi di muffa, sabbiosi, pietrosi, ricchi di humus e terreni ricchi di argilla.

L’abete rosso mostra grande competitività rispetto alle altre specie, venendo spesso utilizzato per il rimboschimento, e in alcuni punti addirittura tende a sostituire l’abete

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bianco e il faggio, meno resistenti a certe temperature. Sulle Alpi è una specie tipica che trova le sue condizioni climatiche ottimali tra i 1200 e i 1800 m di altitudine, anche se in condizioni particolari può scendere fino a soli 600–800 m di altitudine. È un albero a crescita rapida. È tollerante all’ombra e non teme particolarmente il freddo, dal momento che cresce solo in climi nordici. Nel corso dei secoli la sua struttura si è ben adattata a resistere a climi molto rigidi. Anche la sua chioma si è sviluppata in modo che la neve possa facilmente scivolare. Le conifere infatti sono utili perché oltre a impedire le valanghe con le loro radici, rafforzano i terreni in pendio e li difendono dalle azioni delle piogge torrenziali.

3.4 Ruolo e gestione del bosco Il bosco è un ecosistema che ha avuto riconoscimento quale “risorsa naturale rinnovabile83 ad uso multiplo”, vale a dire sull’utilità che esso ha in un determinato contesto per l’uomo e la società. Le sue funzioni sono: - economico/produttivo: il legno, materia prima che viene usato dalle filiere della produzione del legno di abete rosso, larice, e abete bianco per innumerevoli destinazioni (dalla cellulosa per la carta, alla mobilia, alla legna da ardere). Il bosco è sfruttato anche per altri prodotti naturali quali funghi commestibili, frutti del sottobosco, uccelli e mammiferi cacciabili come selvaggina.

- naturalistico/vitale: il bosco serve per il mantenimento dell’ecosistema. Come ad esempio, la fauna ha bisogno del bosco per proteggersi o per mangiare, anche noi ne abbiamo bisogno perché ci fornisce l'ossigeno, svolgendo la funzione di polmone. Questa è probabilmente la funzione più importante per la quale i boschi sono mantenuti.

- protettivo: per il consolidamento naturale dei versanti, le radici degli alberi trattengono sia il terreno evitando frane e cedimenti che l'acqua evitando alluvioni a valle.

- ricreativo: il bosco viene scelto come luogo di soggiorno e di attività ricreative (passeggiate e relax).

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Il bosco continua a crescere e si rinnova da solo.

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Governare un bosco significa gestirlo attraverso forme selvicolturali diverse84. Le forme di governo tipiche sono due: governo a “ceduo” e governo a “fustaia”.

- ceduo: è un bosco tagliato periodicamente, che a seguito del taglio si rigenera tramite nuovi fusti originati da delle gemme (ricacci) presenti sulla ceppaia (tronco e radici che rimangono nel terreno dopo l’abbattimento della pianta), quindi una riproduzione vegetativa. Sono considerati cedui le querce sempreverdi e i boschi misti.

- fustaia: è un bosco che, una volta tagliato, si rinnova attraverso la nascita di nuove piantine nate dai semi degli alberi preesistenti o lasciati dopo il taglio, quindi una riproduzione per via sessuata. Le nuove piantine che riusciranno a formarsi daranno origine alle piante adulte. Sono considerate fustaie le conifere, come il larice, l’abete rosso, l’abete bianco, il faggio e il castagno.

I due tipi di bosco si distinguono facilmente, perché, mentre nel caso della fustaia il fusto della pianta è unico, nei cedui la ceppaia è costituita da numerosi fusti che si ramificano dalla base.

Il bosco a fustaia è più utilizzato nelle aree pubbliche dove è possibile procedere al taglio di lotti secondo le leggi dell’assestamento forestale. Nelle piccole proprietà, invece, la necessità di ottenere legname ogni anno spinge il proprietario del bosco alla gestione a ceduo. Inoltre, solitamente, dai cedui si ottiene soprattutto legna da ardere o, soprattutto nel caso del castagno, pali per i vigneti. Le fustaie invece forniscono legname da opera di ogni tipo. In Italia circa un terzo dei boschi sono fustaie e i due terzi cedui85.

3.5 Il patrimonio boschivo prima di Vaia Questo paragrafo voglio dedicarlo al dott. Elvio Bez86, guida boschiva ed ex dipendente per quanto concerne le foreste del Comune di Longarone. Egli scoprì a margine del suo comune un bosco simile a quello della Val di Fiemme, chiamato il bosco di Vedelei, sulla 84

Definizione ripresa dal seguente link: http://www.inachis.org/wordpress/?p=585.

Informazioni tratte dal sito Istituzionale del Comune di Massello: https://www.comune.massello.to.it/index.php?option=com_content&view=article&id=174:i-boschi-cedui-ele-fustaie&catid=53:fauna-e-flora&Itemid=175.

86 Ho avuto l’onore di conoscere Elvio Bez tramite il dott. Roberto Bragaggia della biblioteca del Consiglio Regionale del Veneto, che ringrazio per il tempo concessomi e per la spiegazione che mi ha fornito, dandomi così modo di sviluppare questo paragrafo.

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strada che porta verso Zoldo, dove trovò degli alberi particolari, ovvero degli abeti rossi “di risonanza”.

La sua scoperta si intreccia con la storia del liutaio Carlos Manuel Garfias Santiago, di Musile di Piave, che un giorno visitando il Vajont, sentì di dare un contributo a quei luoghi che avevano visto la perdita di quasi 2.000 persone in un disastro senza precedenti. Così contattò il Comune di Longarone, nell’autorità del Sindaco Roberto Padrin, che chiamò Elvio Bez ad accompagnare personalmente Carlos Garfias nei boschi della zona. Tra le tante piante, semplicemente battendo con il martello forestale, scelsero tre alberi di abete rosso maschio che rispondevano alle caratteristiche di risonanza per realizzare lo strumento a corde che il musicista aveva in mente. Successivamente i tronchi vennero trasportati presso la segheria di Fortogna dove vennero lasciati essiccare. Da questa collaborazione nacque un violino creato da un abete rosso del bosco di Vedelei donato alla comunità di Longarone per ricordare il Vajont.

Il bosco di Vedelei è il quarto bosco importante utilizzabile nella provincia di Belluno dopo quello di San Marco (nella località Somadida ad Auronzo di Cadore), quello di Cajada e il bosco del Cansiglio. Venezia aveva messo sotto tutela questi tre boschi che riteneva fondamentali per i suoi bisogni, in quanto il legname serviva per rifornire l’Arsenale.

Il primo, il bosco di S. Marco, veniva utilizzato per tagliare le piante che i veneziani in persona ritenevano ideali per realizzare le alberature delle galee, delle cocche da carico e dei galeoni da battaglia della Serenissima. Il secondo, il bosco del Cansiglio, uno dei più bei boschi d’Italia, è stato invece l’antica ”foresta da remo” della Serenissima, perché i suoi alberi, i fusti di faggio, erano censiti e tagliati soltanto per i cantieri navali di Venezia e in particolare erano utilizzati per costruire i remi delle navi veneziane. Infine, il bosco di Cajada è il bosco più suntuoso all’interno del Parco delle Dolomiti Bellunesi, bosco protetto dalla Serenissima che qui veniva a tagliare il legno che serviva alle sue navi.

Facendo un passo indietro, nel capitolo precedente dedicato allo sguardo storico, nella prima parte che riguarda i danni provocati dal primo conflitto mondiale, si è ricordato che negli anni ’20 del Novecento ci fu la più grande ripiantumazione non solo a livello nazionale, ma anche a livello europeo. Quella fu soltanto la prima, perché negli anni ’50 ce ne fu una seconda.

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Alla fine della seconda guerra mondiale, negli anni che andavano dal ’45 al ’60, la regione Veneto iniziò a riprendersi dalle devastazioni portate dal secondo conflitto mondiale. C’era bisogno di ricostruire, e c’era bisogno di legname. In quegli anni ci si accorse che la risorsa era stata depauperata, era stato tagliato più di quello che era stato stabilito dai piani economici, non solo per l’uso militare, quindi da parte degli eserciti che si rifornivano di legname per motivi logistici, ma anche da parte della popolazione che era corsa ai ripari utilizzando il legname come materiale per usi primari come lo scaldarsi.

Questo aveva portato l’abbandono graduale del territorio da parte della comunità locale montana, che basando la sua economia sulla lavorazione del legname, dovette addirittura emigrare nelle città di pianura, facendo cambio di rotta e trovando lavoro presso le grandi fabbriche. C’era un debito con il bosco che bisognava chiudere e gli amministratori locali di allora decisero di riappropriarsi del bosco di prima, ricoprendo le zone disboscate.

In tutte le provincie venne perciò ripiantato l’abete rosso, avendo così dei boschi monoculturali e di impianto artificiale. Venne stabilito un piano di assetto forestale. Il primo piano economico venne redatto da un professore di scienze forestali, Lucio Susmel con una particolarità, utilizzando cioè basi bioecologiche. È diviso in particelle e ciascun comune sa, dal piano, quanto legname bisogna di tagliare.

Secondo Daniele Zovi, nel secondo dopoguerra, è partito un altro tipo di sviluppo, quello turistico. Lo sviluppo del territorio deve essere legato a quelle che erano le tradizioni del posto: dobbiamo ricordarci che le popolazioni di questi luoghi hanno lavorato più di un secolo per ricostruire le ferite della guerra, per ricoltivare questi boschi che per crescere hanno bisogno di 150 anni; adesso c’è la possibilità di farli diventare un motore dello sviluppo locale. L’economia deve essere legata alla valorizzazione del bosco, che non può più subire solo qualche taglio ordinario, ma anche di tagli di valorizzazione.

I mutamenti economici e sociali hanno portato negli anni a trascurare progressivamente le risorse boschive. Il patrimonio boschivo che oggi ci ritroviamo perciò, e che è stato distrutto da Vaia, è quello che era stato ripiantato negli anni ’50. Essendo un impianto artificiale e monoculturale formato da abete rosso al 99%, con presenza di abete bianco, faggio e larice in minor misura, a causa del vento che soffiava a 200km/h e a causa del terreno poco ghiacciato (facendo un paragone con l’inverno del 1966, in cui c’era stata la

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presenza della neve e del ghiaccio), i boschi di abete rosso sono stati rasi al suolo 87, soprattutto quelli presenti nei pendii, anche le loro ceppaie, quelle che abitualmente trattengono le frane e i fanghi. Ciò potrebbe portare a dei dissesti idrogeologici in quelle zone.

Bisognerà poi far attenzione ad un altro fattore, all’attacco dell’Ips typographus o bostrico dell’abete rosso che con le prime piogge dell’inizio dell’estate troverà ambiente favorevole al suo sviluppo.

Secondo l’opinione di Elvio Bez, della tempesta Vaia se ne parlerà per anni e porterà delle conseguenze molto gravi. Adesso c’è bisogno di ricostruire, di ripiantare, di chiudere i buchi anche per salvaguardare l’ecosistema naturale.

3.6 Usi civici nell’Altopiano di Asiago Questo paragrafo si è potuto sviluppare grazie alla documentazione inviatami88 dal dott.

Emanuele Pernechele, Direzione Agroambiente, Caccia e Pesca della Regione Veneto, Ufficio di Asiago, Reggenza dei Sette Comuni.

Considerato che la maggior parte del bosco in Altopiano ricade sull'uso civico, l'aggiornamento a tutto il territorio regionale al 2015, è questa: sul totale dei 579 Comuni del Veneto, per 270 era stata accertata l’inesistenza di terreni ad uso civico già dal Commissario per la liquidazione degli usi civici, in applicazione alla L. 1766/1927. A dicembre 2015, per i rimanenti 309 Comuni, in applicazione della L.R. 31/1994, la situazione relativa all’accertamento delle terre ad uso civico è la seguente: - in 58 Comuni sono state completate le operazioni di riordino delle terre ad uso civico e tra questi 8 Comuni non presentano terreni soggetti a questo vincolo; - in 93 Comuni sono state attivate ma non ancora completate le operazioni di riordino delle terre ad uso civico; - 148 Comuni non hanno ancora promosso le operazioni di riordino delle terre ad uso civico; 87

L’abete rosso ha le radici che non vanno in profondità, ma crescono tenendosi in superficie, quindi molto più facili da rovesciare. Il signor Bez mi ricorda che i termini “schianto” e “spaccatura” sono diversi. Gli abeti rossi si schiantano, perché vengono fuori anche le radici, mentre alberi come ad esempio il larice sono più facili da spaccare.

88 Libretto Istituzionale in versione PDF “Usi civici e Regole in Regione del Veneto” scaricabile al seguente link: http://www.regione.veneto.it/web/economia-e-sviluppo-montano/usi_civici.

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- In 10 Comuni è stato effettuato l’aggiornamento catastale dei terreni elencati nei provvedimenti emessi dal Commissario per la liquidazione degli usi civici, in applicazione alla L. 1766/1927.

Inoltre risultano essere circa 71.000 gli ettari di terreni ad uso civico complessivamente accertati, ai sensi dell’art. 4 della L.R. 31/1994, nei 58 Comuni che hanno chiuso le operazioni di riordino e sono circa 470 gli ettari dei terreni sclassificati per trasformazioni che li hanno resi non più recuperabili all’uso civico. Infine sono circa 350 gli ettari di terreni ad uso civico oggetto di occupazioni che rientrano nel demanio civico.

Le terre collettive nel Veneto costituiscono un patrimonio agro-silvo-pastorale molto esteso, stimato complessivamente intorno ai 150.000 ettari, e situato in gran parte nei territori montani della provincia di Belluno e della provincia di Vicenza. Da sempre questi beni, rappresentati per lo più da pascoli e boschi, sono stati gestiti e goduti in forma collettiva per il soddisfacimento dei bisogni essenziali di vita delle popolazioni presenti sul territorio. Va rilevato inoltre che la conservazione delle terre collettive svolge una funzione di interesse pubblico generale irrinunciabile, costituita dalla salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio, funzione questa espressamente riconosciuta sia dalla normativa in materia che dalla giurisprudenza.

Le terre di uso civico sono costituite da terreni a destinazione agro-silvo-pastorale, inalienabili, indivisibili e inusucapibili, su cui vengono esercitati diritti di godimento essenziali (pascolo, erbatico, legnatico, ecc.) da parte dell’intera collettività residente nel territorio di riferimento. Numerosi sono ancora i Comuni nei quali devono essere accertate l'esistenza e la consistenza delle terre di uso civico.

Le terre di uso civico, una volta eseguite le operazioni di accertamento, vengono assegnate, ad una delle due seguenti categorie previste dall’art. 11 della L. 1766/1927: categoria a) terreni convenientemente utilizzabili come bosco o pascolo permanente; categoria b) terreni convenientemente utilizzabili per la coltura agraria.

Il diritto di uso civico è entrato nella giurisprudenza dal crollo dell’Impero Romano.

Successivamente Napoleone Bonaparte volle conservarlo per distruggere la nobiltà medievale. Durante la Repubblica di Venezia, poi, le terre a gestione collettiva erano rappresentate dalle seguenti tre categorie di beni: - Beni comunali: destinati al pascolo e bosco, concessi in usufrutto gratuito ed esenti dal pagamento delle imposte;

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- Beni comuni: in pieno possesso delle singole comunità, assimilati alle proprietà private; - Beni di giurisdizione feudale: terre attribuite al principe, ai feudatari o a vescovi portatori di concessioni sovrane, godute in forma collettiva dalle popolazioni.

Tutti questi beni erano vincolati alla destinazione agro-silvo-pastorale, inalienabili, indivisibili, inusucapibili.

Ma cos’è l’uso civico? L'uso civico è un diritto che spetta ai componenti di una collettività delimitata territorialmente di godere di terreni o beni immobili appartenenti alla collettività medesima (in modo indiviso) ovvero a terzi (privati). I beni di uso civico sono inalienabili, inusucapibili e soggetti al vincolo di destinazione agro-silvo-pastorale; il diritto di esercizio degli usi civici è imprescrittibile.

Proprio per questo motivo non possono essere cedute, vendute, divise e non possono cambiare proprietario con il passare del tempo. Sono vincolate dall’uso paesaggistico e regolate in generale dall’uso agro-silvo-pastorale. I territori sottoposti ad uso civico sono un patrimonio, non un capitale, le risorse naturali sono limitate, perciò il patrimonio va quindi conservato, tutelato e donato alle generazioni successive. Il territorio va sì sfruttato, ma va anche conservato e non ne va mutata la sua destinazione d’uso.

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4. LA TEMPESTA VAIA

4.1 Il cambiamento climatico Parlando della tempesta Vaia, non ci si può non riferire a un argomento di cui, in questo periodo, si sente discutere quotidianamente, anche attraverso i media: il cambiamento climatico. Secondo il “Glossario Dinamico per l’ambiente ed il paesaggio ISPRACATAP”89, per “cambiamento climatico” si intende ‹‹qualsiasi cambiamento di clima attribuito direttamente o indirettamente ad attività umane, il quale altera la composizione dell'atmosfera mondiale e si aggiunge alla variabilità naturale del clima osservata in periodi di tempo comparabili››.

Per variabilità naturale del clima si intende l’insieme delle condizioni medie atmosferiche (temperatura, umidità, vento, pressione, precipitazioni), mentre periodi di tempo comparabili sono solitamente periodi piuttosto lunghi, 30 anni.

Esempi di cambiamenti climatici sono la modifica del livello delle precipitazioni, il riscaldamento e il raffreddamento globale. Per la teoria del riscaldamento globale, attraverso l'uso di combustibili fossili l’uomo immette nell'atmosfera grandi quantità di CO2, metano e altri gas serra aumentando l'azione dell'effetto serra e generando un surriscaldamento climatico che aumenta la temperatura media globale della Terra. In questo momento la temperatura è al livello più alto nella storia: è aumentata la massima, la minima e il livello di umidità percepito. Nell’ultimo trentennio, nella regione alpina la temperatura media è aumentata di un grado centigrado. È un rischio che sta diventando reale giorno dopo giorno ed è destinato a provocare effetti di distruzione di ampia portata. Si pensa che più la terra si scalderà e più aumenteranno le evaporizzazioni, che avranno l’effetto di scaricare poi l’acqua sulla terra ad un’intensità doppia rispetto al normale. Questo, nel corso degli anni, avrà anche degli effetti catastrofici 89

Il glossario originale è scaricabile in formato PDF al seguente link: http://www.isprambiente.gov.it/files/pubblicazioni/manuali-lineeguida/mlg-78.1-2012-glossariodinamico.pdf.

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quali alluvioni, siccità, grandine, trombe d´aria, uragani. Se il pianeta Terra si surriscaldasse ancora, le conseguenze potrebbero essere: 90 - il livello dei mari tenderebbe a crescere, poiché l´acqua si espande quando aumenta la sua temperatura e gli oceani assorbono maggior calore della terra; - il livello dei mari aumenterebbe anche per effetto del disgelo delle calotte polari e del ghiaccio marino; - le città sulle coste verrebbero sommerse; - i luoghi in cui solitamente cadono molta pioggia e neve potrebbero diventare più caldi e aridi; - i laghi e i fiumi potrebbero prosciugarsi; - ci sarebbero periodi di siccità più lunghi e frequenti che renderebbero difficile la coltivazione; - ci sarebbe minore disponibilità di acqua per bere e lavarsi, ma anche per l´agricoltura e l´industria alimentare; - molte piante e specie animali si estinguerebbero; - gli uragani, i tornado e altre tempeste provocherebbero cambiamenti di temperatura e l´evaporazione dell´acqua sarebbe più intensa.

Il cambiamento climatico è stato uno degli aspetti toccati durante un convegno organizzato dalla Fondazione Giovanni Angelini presso il Teatro Comunale di Belluno l’8 febbraio 2019 che ha visto il confrontarsi di studiosi provenienti da vari ambiti scientifici con un unico comune denominatore, le conseguenze dopo il passaggio della tempesta Vaia. Nella sua presentazione “Le sfide dei cambiamenti climatici futuri per l’adattamento delle foreste colpite da Vaia”, G. Matteucci, membro del SISEF e CNR, ha parlato al pubblico di come la tempesta Vaia sia un possibile segnale del cambiamento climatico che sta avvenendo nel nostro pianeta.

Le misurazioni effettuate dopo l’anno 2000 dimostrano come gli ultimi 18 anni siano stati i più caldi della storia dell’uomo. Paragonando per esempio gli ultimi 3 anni: il 2016 ha visto un inverno caldo e una gelata tardiva a fine aprile quando la stagione della fogliazione era già avanti. Conseguenza: l’attività di crescita delle piante bloccata per più di 2 mesi. Nel 2017 si è avuta un’estate calda e di siccità, con molti incendi distruttivi, 90

Informazioni tratte dal seguente link: https://www.ekoenergy.org/it/extra/background-information/climatechange/.

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inoltre quell’estate è stata considerata la più calda dal 1800 (con 2.5 gradi in più di temperatura e il 40% in meno di pioggia). Nel 2018 infine è arrivata Vaia. Questo dimostra come eventi estremi di tipologia diversa stiano avvenendo sempre con più frequenza.

La sfida per il futuro è di ridurre le emissioni e proprio le foreste in questo potrebbero aiutare. Le piante, infatti, attraverso il processo della fotosintesi clorofilliana assorbono anidride carbonica nell’aria e rilasciano ossigeno. Come già spiegato nel capitolo precedente, uno dei ruoli del bosco è quello naturalistico/vitale perché serve per il mantenimento dell’intero ecosistema, compreso l’uomo che ne ha bisogno, poiché fornisce l’ossigeno necessario per vivere. Questo è uno dei ruoli per cui il bosco è mantenuto. Una delle conseguenze negative, per mano dell’uomo, è la deforestazione che riduce gradualmente la quantità di foreste presenti sul pianeta e così facendo anche l’ossigeno disponibile.

Il cambiamento climatico è diventato quindi negli ultimi anni una sfida globale. Le emissioni sono ovunque e riguardano tutti, senza alcuna distinzione. Anche la comunità scientifica internazionale è ormai d’accordo nell’affermare che i cambiamenti climatici siano una minaccia reale per le generazioni future. Affrontare i cambiamenti climatici e ridurne al minimo gli effetti è pertanto una priorità.

4.2 Greta Thunberg e la lotta contro il cambiamento climatico Mentre stavo dedicando questo capitolo alla descrizione della tempesta Vaia dal punto di vista meteorologico, destino ha voluto che proprio in quel periodo, si sentisse parlare molto, anche grazie alla diffusione dei media, di lotta contro il cambiamento climatico.

Proprio lui, il cambiamento climatico, che al convegno tenutosi a Belluno sulle conseguenze ambientali di Vaia, è stato definito essere la possibile causa di questa tempesta. In particolare, si è cominciato a parlare di lotta contro il cambiamento climatico, grazie ad una figura, peraltro giovanissima, che è riuscita a diffondere il suo slogan in tutto il mondo, addirittura a tenere un discorso alle grandi potenze mondiali. Si può dire che è una semplice bambina, ma il potere della sua innocenza sta smuovendo qualcosa nelle coscienze di milioni di persone, anche all’interno di grandi poteri.

Greta Eleonora Thunberg Ernman, nata in Svezia il 3 gennaio 2003, è una ragazza svedese di 16 anni, figlia di Malena Ernman, cantante d’opera e di Svante Thurnberg, attore. Il

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motivo che l’ha portata ad essere sotto i riflettori delle telecamere di tutto il mondo è la sua lotta per lo sviluppo sostenibile e per le sue manifestazioni regolari contro il cambiamento climatico tenute davanti al parlamento svedese, il Riksdag, a Stoccolma con lo slogan “Skolstrejk för klimatet” (sciopero scolastico per il clima)91.

Il suo diventare una persona popolare nasce il 20 agosto 2018, quando Greta, che frequentava il nono anno di una scuola di Stoccolma, ha deciso di non andare a scuola fino alle elezioni legislative del 9 settembre 2018, giorno in cui si rinnovava il Parlamento Svedese. È rimasta seduta davanti al parlamento del suo Paese ogni giorno durante l'orario scolastico.

Il motivo? Chiedere la riduzione delle emissioni di anidride carbonica al governo svedese.

La decisione era nata in seguito alle eccezionali ondate di calore e degli incendi del bosco che hanno colpito ettari di foreste svedesi durante l'estate a causa del riscaldamento globale. Per risvegliare la collettività, ogni giorno davanti al Parlamento distribuiva dei volantini con un messaggio ‹‹Lo sto facendo perché voi adulti diate importanza al mio futuro››.

I genitori della 15enne invece, le chiedono di tornare a scuola. Suo padre Svante dichiara ‹‹Greta ci ha costretti a cambiare le nostre vite. Non avevamo coscienza del clima.

Abbiamo iniziato a esaminarlo, a leggere tutti i libri, anche lei li ha letti. E ora ha un messaggio››. A 15 anni si è fatta ambasciatrice di una missione: aprire gli occhi al mondo sul problema del cambiamento climatico92.

Dopo le elezioni, ha continuato a manifestare ogni venerdì, lanciando così il movimento studentesco internazionale Fridays for Future.

A soli 16 anni Greta ha preso parte al World Economic Forum di Davos, spiegando come sia necessario agire in questo preciso momento, non tra un anno o tra qualche mese. La ragazza ha infatti spiegato all’uditorio, composto dagli uomini più importanti del pianeta, che si deve agire «come se la propria casa fosse in fiamme» e in sostanza si devono fare le cose velocemente, così da evitare che l’abitazione bruci per intero. A Davos non ha usato

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Informazioni tratte dall’articolo Chi è Greta Thunberg? La ragazza svedese che lotta per il clima, al link https://www.money.it/chi-e-Greta-Thunberg-vita-battaglie.

92 Informazioni tratte dall’articolo Greta, 15 anni, come il ministro francese: "Niente scuola: sciopero contro il riscaldamento globale" pubblicato su Repubblica.it, al link: https://www.repubblica.it/ambiente/2018/09/01/news/greta_15_anni_come_il_ministro_francese_sciopero_d a_scuola_contro_il_riscaldamento_globale_-205405713/.

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mezzi termini per descrivere l’importanza di agire nell’immediato e ha spiegato a tutti che vuole che le persone agiscano: ‹‹voglio che andiate nel panico››.

Il 4 dicembre 2018 Greta ha parlato alla COP24, vertice delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici tenutosi a Katowice, in Polonia. Si è presentata al suo discorso in nome di Climate Justice Now e ha aperto il suo intervento parlando del suo Paese. Greta, rivolgendosi ai leader mondiali riuniti, li ha rimproverati e ha spiegato loro così la gravità del problema: «Non siete abbastanza maturi da dire le cose come stanno. Lasciate persino questo fardello a noi bambini››. Ha continuato poi ‹‹Nel 2078 celebrerò il mio 75esimo compleanno. Se avrò figli, forse passeranno quel giorno con me. Forse mi chiederanno di voi. Forse chiederanno perché non avete fatto niente quando c’era ancora il tempo per agire. Dite di amare i vostri figli più di ogni altra cosa, invece rubate il loro futuro proprio davanti ai loro occhi».

Ha poi sostenuto senza timore: «Se è impossibile trovare soluzioni all'interno di questo sistema, allora dobbiamo cambiare sistema. Non siamo venuti qui per implorare i leader mondiali. Ci avete ignorato in passato e ci ignorerete di nuovo. Abbiamo finito le scuse e stiamo finendo il tempo. Siamo venuti qui per farvi sapere che il cambiamento sta arrivando che vi piaccia o no. Il vero potere appartiene alle persone. Grazie».93 Ispirati da Greta, nel novembre 2018 sono iniziati moltissimi scioperi scolastici. I primi sono stati in Australia, dove migliaia di studenti hanno seguito il rito del venerdì. A dicembre gli scioperi studenteschi sono proseguiti in almeno 270 città di paesi come Australia, Austria, Belgio, Italia, Canada, Paesi Bassi, Germania, Finlandia, Danimarca, Giappone, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti. Il 15 marzo 2019 si è tenuto lo sciopero mondiale per il futuro, una manifestazione pacifica contro le posizioni del governo riguardo al clima, al quale hanno partecipato moltissimi studenti in 1700 città in oltre 100 paesi del mondo, tra queste anche New York, Bruxelles, Sydney, Barcellona, Berlino, Parigi, Mosca e altre 100 città italiane (un milione di studenti solo in Italia).

Greta quel giorno è intervenuta alla manifestazione organizzata a Stoccolma ‹‹Scioperiamo perché noi abbiamo fatto i nostri compiti a casa e i politici no›› ha proseguito Greta ‹‹Siamo arrabbiati perché le generazioni più vecchie ci stanno rubando il futuro e non lo accetteremo più. Noi continueremo finché non faranno qualcosa, saremo pazienti 93

Discorso seguibile al video Ci state rubando il futuro – Greta Thunberg a Cop24, al link: https://www.youtube.com/watch?time_continue=198&v=B-R-yDQNj7o.

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perché è il nostro futuro ma se non faranno niente, dovremo fare qualcosa noi, e lo faremo». 94 Avendo smosso l’opinione pubblica, c’è chi si schiera con la bambina e chi le punta il dito contro, ma negli ultimi giorni Greta in un'intervista a Sky TG24 che è andata in onda martedì 16 aprile ha dichiarato: ‹‹Molte persone si sono concentrate su di me come persona, e non sulla crisi climatica. Questo distoglie l'attenzione dalla questione. Se le persone parlano di me, devono parlare anche del cambiamento climatico››95.

Il 9 aprile Mondadori ha pubblicato il libro di Greta “La nostra casa è in fiamme”. In questo testo la ragazza, insieme alla madre, il padre e la sorella, racconta in che modo si sia avvicinata alla causa dell’ambiente, della sua prima battaglia e dell’incredibile risonanza che la sua protesta ha avuto a livello mondiale.

Il 19 aprile Greta si è recata a Roma prima ospite del Senato della Repubblica e poi del Papa. In seguito ha scioperato in Piazza del Popolo con i giovani del FridaysforFuture Italia. Ospite della Presidente del Senato Elisabetta Casellati, in un seminario “Clima: il tempo cambia. E’ tempo di cambiare”. Con la sua forza di volontà, ha smosso anche le coscienze dei politici italiani. Il messaggio finale di Greta Thunberg è molto potente: ‹‹Il cambiamento sta arrivando e non potete farci niente. Le emissioni di gas serra devono fermarsi, questo è quanto. Dovremmo ragionare come chi ha costruito le cattedrali: partire dalle fondamenta. Notre Dame è andata a fuoco, ma in 24 ore sono stati raccolti molti fondi: basta solo decidere di fare una cosa per realizzarla, bisogna essere consapevoli. Non possiamo ritardare ulteriormente››96.

Greta ha poi voluto incontrare il Pontefice che l’ha esortata a proseguire la sua lotta in difesa del pianeta. Si è così recata in Piazza San Pietro dove ha potuto stringergli la mano: ‹‹ho ringraziato il Papa per la lotta per il clima e lui mi ha detto: Vai avanti Greta!››97.

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Informazioni tratte dall’articolo “Noi abbiamo fatto i compiti” la politica no, pubblicato su LaRegione.it, al link: https://www.laregione.ch/estero/estero/1355558/noi-abbiamo-fatto-i-compiti-la-politica-no.

95 Discorso seguibile dal sito video.sky, al link: https://video.sky.it/news/fluid/greta-non-parlate-di-me-madel-cambiamento-climatico/v503049.vid.

96 Informazioni tratte dall’articolo Il discorso di Greta Thunberg al Senato della Repubblica: finalmente si parla dei cambiamenti climatici, consultabile al link: https://www.lifegate.it/persone/news/greta-thunbergclima-senato.

97 Informazioni tratte dall’articolo Stretta di mano tra Greta Thunberg e Papa Francesco in Vaticano: “Mi ha detto vai avanti”, consultabile al link: https://www.huffingtonpost.it/2019/04/17/una-stretta-di-mano-euno-sguardo-complice-tra-il-papa-e-greta-thunberg-la-giovane-attivista-e-in-vaticano_a_23713141/.

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Dopo la visita a Roma, proprio il 22 aprile, nella Giornata Internazionale della Terra, Greta si reca a Londra dove ha parlato a una folla di migliaia di persone radunate: ‹‹voi state facendo la differenza!››98.

L’obiettivo di Greta dunque è arrivare al 2030 invitando la popolazione e le grandi potenze a ridurre progressivamente, attraverso iniziative immediate e concrete, i consumi e le emissioni dannose di Co2, secondo i parametri definiti a livello globale.

4.3 Vaia: una premessa Anche se non è possibile dimostrare che i cambiamenti climatici in atto siano la causa di un singolo evento catastrofico, c’è il forte sospetto che Vaia sia stato uno di quei fenomeni atmosferici estremi che diversi studi correlano all’incremento della temperatura globale, prospettando un ulteriore aumento nei prossimi decenni. Non si può, infatti, stabilire un rapporto diretto tra cambiamenti climatici e singoli eventi meteorologici perché le scale temporali d’azione sono diverse: alcuni decenni per i primi e al massimo alcuni giorni per i secondi. Tuttavia, il singolo evento rappresenta un ulteriore dato che si aggiunge alla serie di quelli registrati negli anni precedenti, la cui frequenza e intensità è correlabile con i cambiamenti del clima.

Come sostenuto da alcuni esperti, è plausibile che l’intensità dell’evento di fine ottobre sia stata ulteriormente rinforzata dalla temperatura elevata del Mediterraneo (1-2 °C sopra media), mettendo in gioco una maggiore quantità di energia e di vapore acqueo. Un altro fattore, che potrebbe aver influito in modo indiretto, è una variazione della traiettoria della corrente a getto polare, causata dal riscaldamento dell’Artico, amplificato dallo scioglimento dei ghiacciai (riduzione dell’albedo)99.

La tempesta o ciclone mediterraneo “Vaia”, così chiamata dai meteorologi, ha colpito in un arco temporale molto ampio: dal 27 al 30 ottobre 2018. Come per tutti i particolari

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Informazioni tratte dall’articolo Greta Thunberg senza treccine durante il discorso sul clima a Londra, consultabile al link: https://www.ilmattino.it/primopiano/esteri/greta_thunberg_clima_discorso_treccine4444957.html.

99 Informazioni tratte dalla presentazione La furia del vento che ha danneggiato le foreste dell’arco alpino tenuta da Vinicio Carraro, presso il Centro Studi per l’Ambiente Alpino L. Susmel, di San Vito di Cadore in collaborazione con Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-forestali dell’Università degli Studi di Padova, scaricabile in versione PDF al link: http://intra.tesaf.unipd.it/cms/Sanvito/doc/CicloneVaia.pdf.

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fenomeni, anche questo ha assunto un nome identificativo rispetto agli altri. Il nome Vaia potrebbe essere stato dato in quanto deriva dal portoghese e significa “grido”100.

Per poterne capire meglio le condizioni meteorologiche, dobbiamo soffermarci sui termini “tempesta” e “ciclone”. Se prendiamo in mano un vocabolario e cerchiamo il primo termine “tempesta” troviamo che il suo significato è ‹‹violenta perturbazione atmosferica, di varia estensione e durata, caratterizzata da vento fortissimo e che differisce dal temporale per la mancanza di scariche elettriche atmosferiche››101.

Prendiamo poi il secondo termine “ciclone” che significa ‹‹Spostamento di masse d'aria che convergono verso un punto di pressione minima. Appartengono alla famiglia dei cicloni gli uragani, i tifoni, i tornado e le trombe d'aria››102.

Vaia è stata perciò una tempesta e un ciclone mediterraneo. Non è stata però né un uragano, né una tromba d’aria, perché non ci sono immagini né testimonianze che sia stato avvistato il cono della tromba d’aria. Il fatto che non si sia trattato né di trombe d'aria né di uragano non sminuisce la gravità dei danni e la singolarità dell'evento. Questo non significa però che venti di una certa potenza possano fare danni se dovessero toccare l’Europa.

Vaia è stata una tempesta ed un ciclone. Una tempesta che sembrava un terremoto ovvero un evento prevedibile, grazie all’ARPAV, Agenzia Regionale per la Prevenzione e la Protezione Ambientale del Veneto, che già il 24 ottobre mostrava delle previsioni metereologiche negative, che però nella sua portata e nella sua intensità è stata di fatto imprevedibile, tanto da essere stata un fenomeno che nell’area dolomitica accadeva per la prima volta.

Per rendersi conto davvero di cosa è stata Vaia e della sua potenza, basta andare sul canale Youtube e digitare l’“Opera Invisibile”103. Un minuto di registrazione estratto dall’installazione sonora, che riproduce ogni giorno per 4 minuti e 30 secondi il suono dell’uragano, collocata nel comune di Feltre dagli artisti Ida Harm e Roberto Mainardi, in 100

Voce Vaia, in Cambridge Dictionary, Cambridge University Press, consultabile al https://dictionary.cambridge.org/it/dizionario/portoghese-inglese/vaia.

101 Voce Tempesta, da Enciclopedia Italiana Treccani – vocabolario online, consultabile al http://www.treccani.it/vocabolario/tempesta/.

102 Voce Ciclone, da Dizionario della Lingua Italiana, il Sabatini Coletti, consultabile al seguente 0https://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/C/ciclone.shtml.

103 Registrazione ascoltabile nel canale Youtube, dal titolo L'opera invisibile, il suono dell'uragano giorno per quattro minuti a Feltre, al link: https://www.youtube.com/watch?v=SFGWU7gjQ48.

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link: link: link: ogni

occasione della rassegna culturale Naturae 2019 fatta di mostre, film e incontri. I rumori che si sentono sono quelli degli alberi sradicati dal vento, uno degli eventi più drammaticamente importanti che hanno caratterizzato l’uragano che ha colpito il Bellunese.

Fenomeni come questi sono tipici del periodo autunnale, durante il cambio di stagionalità e li ritroviamo nei mesi di ottobre – novembre, ma il Ciclone Vaia è stato un evento piuttosto raro, la sua particolarità infatti, non sono state le precipitazioni abbondanti (che rientravano nelle medie del periodo) bensì i venti davvero burrascosi e le mareggiate impressionanti sui mari Ligure e Tirreno.

Bisogna infine ricordare, che dopo l’evento del 1966, questa tempesta è stata una delle più rovinose e gravi degli ultimi anni per i suoi effetti. Tuttavia, in generale, per portate fluviali, gravità degli effetti, estensione dei territori disastrati e numero di vittime, è rimasto insuperato l'evento storico del 4 novembre 1966, pur molto simile per dinamiche meteorologiche e soprattutto per il vento tempestoso (i morti allora furono 106 in tutta Italia, di cui 70 nel solo Triveneto).

In quell'occasione però si era reduci da un ottobre particolarmente piovoso, e la violentissima perturbazione giunse su suoli già saturi d'acqua; inoltre, a differenza di oggi, con i mezzi e le conoscenze disponibili all'epoca, l'evento non fu previsto. Per fare un confronto, il 3-4 novembre 1966 la stazione di Barcis (Val Cellina, PN) ricevette 751 mm di pioggia in 48 ore, mentre stavolta nello stesso intervallo ha rilevato "solo" 384 mm. Gli oltre 800 mm misurati più in quota sulle alture della Carnia si riferiscono a una località (Malga Chiampiuz) che nel 1966 non era monitorata, e che all'epoca forse ricevette quantità d'acqua ancora più rilevanti.

Tuttavia in diverse zone tra Trentino-Alto Adige e Bellunese questa volta in due giorni è piovuto più che nel 1966, ad esempio a Trento (169 mm contro 156) o ad Agordo (469 mm contro 445)104.

104

Informazioni tratte dal sito Nimbus Web, Sito ufficiale della maggiore associazione italiana per lo studio di meteorologia, clima e ghiacciai, articolo 27-30 ottobre 2018: scirocco eccezionale, mareggiate e alluvioni in Italia con la tempesta "Vaia", a cura di Daniele Cat Berro, Valentina Acordon, Claudio Castellano, consultabile al link: http://www.nimbus.it/eventi/2018/181031TempestaVaia.htm.

63

4.4 Inquadramento generale dell’evento L’evento meteo dell’ottobre-novembre 2018 è stato caratterizzato da alcune condizioni particolari: forti raffiche di vento lineari, che in diversi punti del territorio sono risultate eccezionali (prossime a 200 km/h105); importanti quantitativi di pioggia (in Veneto sono caduti sino a 700 millimetri di pioggia tra il Bellunese e la Carnia occidentale, quasi interamente concentrati in tre giorni); e per la durata dell’evento, che hanno portato, in certi punti, alla saturazione dei depositi superficiali e quindi successivamente all’innesco di frane dovute all’instabilità dei versanti.

A generare questo forte vento sono stati due fattori concomitanti: il crollo della pressione sull'Italia occidentale106, che ha intensificato in modo significativo i forti venti di scirocco, e la morfologia del territorio. Infatti, le valli strette presenti nelle zone dolomitiche hanno incanalato e amplificato tutto, innescando venti di versante (fenomeno chiamato in meteorologia come “downslope winds”). Questo fenomeno avviene quando la massa d’aria, spinta violentemente sui rilievi montuosi, accelera ulteriormente, come l’acqua di un torrente che improvvisamente supera dei massi presenti in alveo107.

L’effetto sui boschi è stato devastante con alberi abbattuti e sradicati, a causa dei venti discendenti dai pendii: in quei giorni gli alberi si sono spezzati o sono stati sradicati in più modi, ciò è indice del fatto che il vento non proveniva da una sola direzione, ma che era caratterizzato da un fenomeno noto come “incrocio delle correnti”, che sono converse tutte nel feltrino e nel bellunese, abbattendosi con violenza.

Come poi già accennato nel paragrafo precedente, una delle cause che può aver portato al nascere del ciclone è stato l’aumento della temperatura del Mar Mediterraneo, che ha portato un deciso richiamo d’aria umida e mite, alimentando una circolazione anticiclonica che ha fatto rafforzare e insistere il flusso meridionale sulla nostra regione. Questo si è scontrato con una corrente d'aria fredda, proveniente da occidente che ha portato la neve a quote basse verso la Penisola Iberica, i rilievi del Marocco e dell'Algeria.

105

Dati ufficiosi però parlano anche di 200 km/h, confermati dai 200,2 km/h della stazione di monte Rest sulle Prealpi Carniche dell'OSMER - ARPA Friuli V.G. 106 Il ciclone mediterraneo "Vaia" è transitato nella serata del 29 ottobre sulle Alpi occidentali con un minimo, 980 hPA, uno dei più profondi di sempre. In quel momento, c’erano oltre 20 hPa di differenza di pressione fra le Alpi occidentali e quelle orientali, ciò dunque ha reso molto forte il vento di scirocco sull’Adriatico. (vedi nota 96).

107 Vedi nota 99.

64

Dal mix di masse d'aria così tanto diverse si è generata una tempesta, con un minimo di bassa pressione che in 12 ore si è portato dalle coste algerine al settore nord occidentale italiano108.

Come già detto in precedenza, nelle 24 ore prima, l’ARPAV, attraverso alcuni modelli matematici, raccoglieva dei dati e li elaborava109, annunciando previsioni meteo molto negative, una situazione critica pari a quella del ’66. Pertanto, il Centro Funzionale Decentrato della Regione Veneto (CFD) emetteva dei bollettini di criticità in cui veniva monitorato costantemente il territorio sotto il profilo degli eventi meteo e del rischio idrogeologico.

Le “Prescrizioni di Protezione Civile” indicavano apporti di pioggia sui 500 mm in 24 ore e possibili raffiche di vento. In base a questi bollettini, scatta l’allerta meteo in tutta la Regione e la Protezione Civile comincia a mettersi in moto. Viene attivato il modello organizzativo per la gestione dell’emergenza.

La prima risposta all’emergenza è a livello comunale, dove viene aperto il C.O.C. (Centro Operativo Comunale) composto dai Comuni a rischio: i sindaci e i loro collaboratori che li supportano. Il sindaco sul territorio è una figura fondamentale, perché apre l’emergenza e dispiega le risorse di volontariato presenti sul territorio comunale.

Il giorno 27 ottobre, dopo che le previsioni diventano ufficiali, con il Comunicato Stampa n. 1649 il Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia istituisce e convoca l’Unità di crisi speciale che viene coordinata dall’Assessore della Protezione Civile Gianpaolo Bottacin.

Le sue dichiarazioni: ‹‹I modelli previsionali attivi indicano la possibilità di forti accumuli d’acqua a terra, anche superiori a 300 millimetri per metro quadro, soprattutto per la giornata di lunedì. E’ già attiva la Sala Operativa Centrale della Protezione Civile regionale e sono preallertate tutte le strutture sul territorio. In caso di necessità, bisogna intervenire con immediatezza ed efficienza e ci siamo attrezzati per farlo››110.

108

Informazioni tratte dall’articolo Cronaca meteo e previsioni: il ciclone va via, ma nuove nubi nere all'orizzonte con nubifragi, consultabile al link: https://www.meteogiornale.it/notizia/53604-1-meteoestremo-dal-ciclone-mediterraneo-a-nuovo-peggioramento.

109 Questi dati possono avere un grado di incertezza sia spaziale che temporale, ma con modelli matematici vengono confrontati e vengono annunciati quelli risultati più idonei.

110 Comunicato stampa n° 1649 del 27/10/2018 da parte della Regione Veneto, reperibile al Sito Istituzionale della Regione Veneto: https://www.regione.veneto.it/web/guest/comunicati-stampa/dettagliocomunicati?_spp_detailId=3248480.

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Si legge in una nota, che il Prefetto, Francesco Esposito, ha richiesto a tutte le componenti del sistema provinciale di protezione civile nonché ai Sindaci, la massima attenzione e il costante monitoraggio della situazione, specie nei punti che, sulla base delle pianificazioni comunali di emergenza, sono maggiormente a rischio. Tenuto conto dello scenario previsto si consiglia alla popolazione di limitare, per quanto possibile, gli spostamenti, evitando quelli non strettamente necessari. Allo stesso tempo si sconsiglia di transitare o sostare in prossimità di corsi d’acqua, specie se di minori dimensioni, e comunque di non effettuare escursioni in zone non antropizzate. Il Prefetto ha poi chiesto ai Sindaci di diramare ulteriori informazioni e indicazioni alle rispettive comunità sulla base di altri eventuali fattori di rischio specifici di ciascun singolo territorio comunale e degli sviluppi della situazione. Ha inoltre chiesto ai Sindaci di valutare il rinvio delle manifestazioni pubbliche programmate durante il fine settimana. Per tenere costantemente monitorato l’evolversi dell’evento, e salvi eventuali ulteriori interventi che dovessero rendersi necessari, sono state convocate in Prefettura per sabato e domenica, alle ore 16, due riunioni di aggiornamento dell’Unità di Crisi.111

Il Prefetto perciò convoca l’Unità di Crisi per una prima riunione presso la Prefettura di Belluno, per organizzare e preparare il territorio per l’emergenza. In seguito, l’Unità di Crisi speciale viene prima convocata a Marghera. L’Unità rimarrà operativa fino a cessata emergenza.

24 ore prima perciò, la Regione insieme con il Prefetto interviene dalla Sala Operativa Regionale e istituisce il C.C.S. (Centro Coordinamento Soccorsi)112 che per la provincia di Belluno viene trovato presso la sede della Base Aeromobile dei Carabinieri di Belluno. Si riuniscono la Prefettura, le Forze dell’Ordine, gli Uffici Regionali, i Servizi Forestali, le Associazioni di Volontari, Veneto Strade, Enel, Anas, Gas (azienda BIM referente nella provincia di Belluno). All’interno del C.C.S. si trova la S.O.I (Sala Operativa Integrativa) dove verranno monitorate le richieste di intervento e la Sala Decisioni dove verranno decise le strategie da seguire per ognuno degli operatori che intervengono nel territorio.

24 ore prima è tutto pronto per l’emergenza. Anche grazie alle evacuazioni preventive su zone maggiormente a rischio e la chiusura delle scuole in tutto il territorio vengono evitate situazioni che sarebbero state maggiormente gravose per la popolazione113.

111

Informazioni tratte dal link: http://www.meteoweb.eu/2018/10/maltempo-veneto-belluno/1170577/.

Massimo organo di coordinamento delle attività di protezione civile in emergenza a livello provinciale, composto dai responsabili di tutte le strutture operative che operano sul territorio. I CCS individuano le strategie e gli interventi per superare l'emergenza anche attraverso il coordinamento dei COM - Centri operativi misti. Sono organizzati in funzioni di supporto. (Informazioni tratte dal sito ufficiale della Protezione Civile Nazionale, al link: http://www.protezionecivile.gov.it/pagine-servizio/dettaglio-contenutogenerico/-/asset_publisher/default/content/ccs-centro-coordinamento-soccorsi).

113 Informazioni avute dall’incontro con il Presidente della Protezione Civile della Provincia di Belluno, Carlo Zampieri, il giorno 26.04.2019, che ringrazio per il prezioso materiale ricevuto e per la spiegazione approfondita che mi ha fornito.

112

66

Fig. 4.1 - La nuvolosità intorno alla profonda depressione "Vaia", vista alle ore 20:25 di lunedì 29 ottobre 2018 dal satellite Meteosat-11 nel canale infrarosso.

(Fonte: Eumetsat, via Sat24.com)

Il passaggio di Vaia si è strutturato così in due fasi principali114 La prima, tra sabato 27 e domenica 28, segnata da correnti umide da libeccio e piogge intense sull'Appennino settentrionale e le zone montane dall'alto Piemonte fino alla Carnia.

L'intenso flusso meridionale ha provocato precipitazioni di insolita intensità sulle Dolomiti e sull'Alto Adige al confine con l'Austria (straordinari i 95 mm di domenica 27 a Vipiteno, e soprattutto i 299 mm di Sappada). In alcune fasi si verificano rovesci di forte intensità e locali temporali. Così entro la mezzanotte del 28 si erano già totalizzati oltre 300 mm di pioggia in molte zone dalle Prealpi bresciane all'alto Friuli, localmente in molte zone del Veneto oltre i 400mm115, con vistoso ingrossamento di fiumi come il Serio, il Sarca, l'Adige, il Brenta e il Piave, nonché primi danni e interruzioni stradali (es. colata detritica sull'Autostrada del Brennero poco a valle del passo).

114

Vedi nota 104.

Precipitazioni notevoli sulle zone montane e in particolare nel Bellunese, dove si arriva fino al massimo di ben 715.8 mm/96h registrato a Soffranco (val Zoldana, provincia di Belluno), che rappresenta il record assoluto per il Veneto.

115

67

Fig. 4.2 - Enorme differenza in meno di 700 km tra l'aria fredda sulla Francia (isoterma 0 °C sul Massiccio Centrale) e l'aria calda sull'Italia (circa +12 °C in Sardegna) (Fonte: modello GFS, da Wetterzentrale)

Fin da subito era stata diramata la criticità idrogeologica ed idraulica. Sulle Prealpi, in genere non cade neve. Sulle Dolomiti il limite delle nevicate nel giorno di sabato 27 ottobre è sui 2.200 – 2.500 m salvo risultare occasionalmente più basso, fino a 1.600 1.900 m, in mattinata. Nella domenica successiva, il 28 ottobre, il limite delle nevicate sale a quote maggiori, dai 2.400 ai 2.700 m. Nella serata di domenica, inoltre, si nota ovunque una netta attenuazione del vento che aveva soffiato maggiormente sulle Prealpi, mentre in pianura risultava essere più debole116.

La seconda fase, invece, dopo una pausa di poche ore provvidenziale per smaltire i deflussi a valle, si è sviluppata a partire da ovest al mattino di lunedì 29 ottobre con un impetuoso rinforzo dello scirocco e lo sviluppo di violente celle temporalesche autorigeneranti tra la Sardegna, il Mar Tirreno e il Mar Ligure all'approfondirsi della depressione "Vaia" poco a 116

Informazioni tratte dalla Relazione di eventi calamitosi occorsi tra ottobre e novembre 2018, del Dipartimento della Protezione Civile della Regione Veneto, gentilmente ricevuto dall’ing. Luca Soppelsa, Direttore della Protezione Civile e Polizia Locale per la Regione Veneto.

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ovest della Corsica. Nel pomeriggio-sera la tempesta di vento da sud-est si è estesa anche al bacino adriatico117, mentre piogge intense si rinnovavano sui suoli già saturi d'acqua di Alpi e Prealpi, stavolta anche del nord-ovest, dato il flusso più sud-orientale.

Tra la notte e il mattino di martedì 30 ottobre il vortice si è spostato sulla Svizzera, e poi sulla Germania nel pomeriggio, permettendo un'attenuazione dei venti e delle piogge sull'Italia, nonché l'ingresso di più fresche correnti da ponente. Nel pomeriggio, la ventilazione e i quantitativi di pioggia divengono assai meno significativi rispetto ai giorni precedenti.

Per quanto riguarda le raffiche di vento, molti valori risultano superiori ai 100 km/h sulle zone montane, non solo in quota ma anche in alcune valli, fino al massimo di 192 km/h che si registra sul Monte Cesen alle 18:23. Si tratta del valore più alto mai registrato negli ultimi 25 anni da una stazione ARPAV118.

4.5 Gli effetti sull’idrografia Nella prima fase, nella notte tra domenica 28 e lunedì 29 ottobre, a causa delle intense precipitazioni, si è avuta la piena dei fiumi dalla Lombardia al Triveneto.

Una prima onda di piena si è propagata dalle Alpi verso i fondovalle e le pianure venete tra pomeriggio e notte di domenica 28, seguita da una seconda - generalmente più significativa - tra la sera di lunedì 29 e martedì 30 ottobre, giornata che ha visto transitare le portate al colmo nei tratti di pianura di Adige, Bacchiglione, Brenta, Piave e Tagliamento.

Nel Bellunese il Cordevole, il Biois e l'alto Piave hanno superato i livelli del 7 ottobre 1998 e del 20 settembre 1999119.

Facendo un paragone, mentre nel 1966 aveva fortemente nevicato e questo aveva ulteriormente aggravato la situazione idrogeologica, in ottobre le nevicate erano rimaste a quote superiori ai 1.200 metri.

117

Il vento di Scirocco diventa fortissimo in quota specie sulle Prealpi, ma raggiunge con intensità assai notevoli anche molte località montane a quote più basse, tra cui in particolare alcune valli, dove solitamente l’intensità del vento raramente risulta elevata. Anche sulle zone costiere il vento diventa almeno localmente forte, i principali rinforzi raggiungono anche buona parte della pianura tanto che in questo caso la direzione si dispone da sud-est.

118 Vedi nota 116.

119 Vedi nota 104.

69

4.5.1 Il bacino del fiume Adige Per il bacino del fiume Adige la piena fluviale è risultata di notevole importanza. In particolare, a Verona, era stato sotto osservazione per due giorni perché a rischio esondazione.

Fig. 4.3 - Pioggia su Verona e provincia: l'Adige in Piena (Fonte: Foto di Mattia Renon - L'Adige a Verona)

Solo la diversione di parte delle portate nel lago di Garda (apertura galleria Adige - Garda) ha impedito conseguenze peggiori al tratto vallivo del corso dell’acqua. La stazione idrometrica di Trento ha registrato valori superiori alla massima piena del periodo 1986 – 2017 con un massimo di 5.54 m.

4.5.2 Il bacino del fiume Bacchiglione Per il bacino del fiume Bacchiglione la piena fluviale è risultata di modesta significatività con valori di picco superati praticamente in tutti gli anni di osservazione. Il 29 ottobre la piena è stata prevista per mezzanotte con un picco di 5.30 m a Ponte degli Angeli (Vicenza).

70

Fig. 4.4 – Attesa per la piena del fiume Bacchiglione (Fonte: http://www.meteoweb.eu/2018/10/maltempo-vicenza-bacchiglione/1172066/)

4.5.3 Il bacino del fiume Brenta Per il bacino del fiume Brenta la piena fluviale è risultata di notevole significatività. Infatti per la stazione idrometrica di Enego è stato superato il livello di massima piena registrato fino al corrente anno. Solo grazie alle regolazioni effettuate al serbatoio del Corlo sul torrente Cismon è stato possibile contenere la piena al di sotto delle massime storiche a valle.

Fig. 4.5 – Attesa per la piena del fiume Brenta alle ore 18:51 del 29 ottobre 2018 (Fonte: http://www.meteoweb.eu/2018/10/maltempo-piena-brenta/1172476/)

71

4.5.4 Il bacino del fiume Piave Per il bacino del fiume Piave la piena fluviale è risultata di eccezionale significatività con valori di picco superiori a quelli registrati nel periodo di osservazione.

Per tutte le stazioni idrometriche considerate si sono raggiunti e superati i livelli di massima piena registrati fino al corrente anno.

L’idrometro di Ponte Mas ha smesso di funzionare alle 21.30 del 29/10 alla quota di 13.27 m per asportazione dello strumento a seguito dell’onda che ha sommerso il ponte stradale.

Analogo problema ha avuto l’idrometro di Segusino che ha smesso di funzionare alle 21.30 del 29/10 alla quota di +5.09 m.

Figg. 4.6-7 - Lo straripamento del Piave presso Ponte di Piave (TV) il 30 ottobre 2018 (Fonte: Vigili del Fuoco)

72

4.5.5 Il bacino del fiume Livenza Per il bacino del fiume Livenza la piena fluviale è risultata assai significativa solo per il suo affluente Meduna: lo scarso contributo proveniente dalle sorgenti pedemontane del bacino, la laminazione operata dalla diga di Ravedis sul Cellina e la significativa dispersione nel materasso alluvionale, hanno consentito al corso d’acqua di laminare efficacemente la piena.

4.5.6 Il bacino del fiume Tagliamento Per il bacino del fiume Tagliamento la piena fluviale è risultata di notevole rilevanza con valori di picco superiori a quelli registrati nel più recente periodo di osservazione.

Solo in prossimità della foce non sono stati superati i livelli massimi storici grazie alla notevole dispersione operata dall’alveo nel poderoso materasso alluvionale (in secca all’inizio dell’evento).

Fig. 4.8 - Intorno alle 11.30 il fiume Tagliamento ha raggiunto il suo picco arrivando a toccare 8,60 metri. I cittadini hanno vissuto con particolare timore la piena del fiume, ricordando i danni provocati nel 1966. Scatti eseguiti con un drone dei danneggiamenti subiti a Latisana per l'ondata di maltempo 120

(Fonte: Foto Petrussi)

120

Immagini tratte dall’articolo La piena del Tagliamento vista dal drone a Latisana. Danni alle spiagge e strutture di Lignano, consultabili al link: https://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/foto-e-video/2018/10/30/fotogalleria/la-piena-del-tagliamentovista-dal-drone-a-latisana-danni-alle-spiagge-e-strutture-di-lignano-1.17407744.

73

74

5. LE CONSEGUENZE DELLA TEMPESTA VAIA E IL POST - EMERGENZA

5.1 Il passaggio di Vaia nella regione Veneto Le regioni più colpite sono state il Trentino Alto Adige, il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e la Lombardia, anche se in modo minore. Per quanto riguarda il Trentino Alto Adige si è già parlato nel primo capitolo, dei boschi della Val di Fiemme, duramente colpiti dal passaggio della tempesta Vaia. Mi soffermerò in particolare in questo capitolo sui danni, sia economici che naturalistici - paesaggistici arrecati alla regione Veneto.

Fig. 5.1 – Le aree colpite in Veneto (Fonte: Elaborazioni dell’Ufficio di Statistica della Regione del Veneto sui dati Regione Veneto)

In Veneto i comuni colpiti interamente o parzialmente dal maltempo di fine ottobre sono stati complessivamente 118, con una popolazione residente di 1.168.474 unità121. Le aree 121

La popolazione residente è riferita al 01/01/2018. (Informazioni tratte dalla Relazione di eventi calamitosi occorsi tra ottobre e novembre 2018, del Dipartimento della Protezione Civile della Regione Veneto,

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del territorio regionale maggiormente colpite hanno riguardato principalmente l’alto Bellunese con elevati livelli di criticità nell’Agordino, Comelico e parte del medio alto Cadore (lo Zoldano, il Feltrino, l’Alpago). Risultano comunque interessati da criticità dovute alle raffiche di vento e in maniera minore dai dissesti, anche il restante territorio di Belluno (complessivamente si sono registrati danni in tutti i comuni) e parte della provincia di Vicenza (Altopiano di Asiago e valli circostanti) per un totale di 32 comuni colpiti.

Fig. 5.2 – Mappa della percentuale di copertura forestale distrutta dalla Tempesta Vaia (Fonte: Geolab, Università di Firenze)

Fin dalle prime ore dopo l’evento si sono evidenziate numerose situazioni di eccezionale gravità che hanno richiesto l’adozione di immediati interventi di ripristino delle condizioni minime di sicurezza. Gli interventi immediatamente attivati hanno riguardato i seguenti comuni122: Provincia di Belluno: Agordo, Alleghe, Alpago, Auronzo di Cadore, Belluno, Canale d'Agordo, Cencenighe Agordino, Cesiomaggiore, Cibiana di Cadore, Comelico Superiore, Cortina d'Ampezzo, Falcade, Fonzaso, La Valle Agordina, Livinallongo del Col di Lana, gentilmente ricevuta dall’Ing. Luca Soppelsa, Direttore della Protezione Civile e Polizia Locale per la Regione Veneto).

122 Dipartimento della Protezione Civile della Regione Veneto, Relazione di eventi calamitosi occorsi tra ottobre e novembre 2018.

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Longarone, Lozzo di Cadore, Ospitale di Cadore, Perarolo di Cadore, Rivamonte, Rocca Pietore, S. Nicolò di Comelico, S. Pietro di Cadore, S. Stefano di Cadore, S. Tommaso Agordino, Sedico, Taibon Agordino, Val di Zoldo, Vallada Agordina, Voltago Agordino.

Provincia di Padova: Casalserugo, Limera, Noventa Padovana, Padova, Piazzola sul Brenta, Vigodarzere, Vigonovo.

Provincia di Treviso: Breda sul Piave, Cappella Maggiore, Casale sul Sile, Casier, Castelfranco Veneto, Cimadolmo, Cordignano, Fontanelle, Maserada sul Piave, Monfumo, Motta di Livenza, Oderzo, Paderno del Grappa, Portobuffolè, S. Pietro di Feletto, Sarmede, Silea, Treviso, Valdobbiadene.

Provincia di Venezia: Chioggia, Musile di Piave, Venezia.

Provincia di Verona: Dolcè, Verona.

Provincia di Vicenza: Recoaro Terme, Valdagno.

Buona parte dei fenomeni franosi rilevati risultarono di piccole dimensioni ma numerosi e distribuiti in larga parte del territorio bellunese. I fenomeni franosi manifestati sono: scivolamenti superficiali, colate e frane di tipo complesso. Gli elementi vulnerabili maggiormente interessati sono risultati i piccoli abitati e abitazioni o edifici isolati e la viabilità sia principale che secondaria. Le zone interessate dalle frane sono state: Rocca Pietore123: Sottoguda, Sorarù, Valbona, Palue, Val Livinel, Col di Rocca, Le Grazie, Ru de Pianaz.

Val di Zoldo: dissesti nel bacino di Ru delle Roe. Vallada Agordina: Val delle Roe (parte alta del bacino a monte degli abitati di Todesch e Andrich).

Perarolo di Cadore: diversi fenomeni di dissesto hanno interessato in particolare il T. Boite a monte dell’abitato e della frana della Busa del Cristo (hanno aumentato il rischio per l’abitato e del nodo idraulico).

Canale d’Agordo: varie aree in Val di Gares interessata da sovralluvionamento del T. Liera e numerose colate detritiche dei rii laterali, principalmente Gares, Palafachina, Pissolot, Nongaval, Noghere, frane in loc. Pisoliva e Fregona, dissesti lungo il T. Biois.

Taibon Agordino: Valle di San Lucano, sovralluvionamento del T. Bordina e T. Tegnas (alcune colate detritiche e potenziali cadute massi lungo la strada della Valle di San 123

Vedi foto riguardanti la frana alla fine di questo capitolo tratte dalla pagina Istituzionale dell’Assessore alla Protezione Civile e all’Ambiente della Regione Veneto Gianpaolo Bottacin.

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Lucano che porta Col di Frà).

Ospitale di Cadore: vecchio ponte ostruito sulla SS51; Gosaldo: dissesti diffusi sul territorio comunale e frane di Pette e Corde Mole; Cencenighe Agordino: dissesti di sponda sul T. Cordevole di cui almeno uno di grandi dimensioni in loc. Campo124.

Fig. 5.3 – Aree più colpite dal maltempo nella Provincia di Belluno (Fonte: Relazione Protezione Civile)

124

I dati riportati sono forniti dalle varie istituzioni operative nei territori quali la Direzione Operativa regionale composta dalle Unità dei Geni Civili e Forestali, dalla Provincia di Belluno, dai Consorzi di Bonifica, dalle Unione montane, dai Comuni ecc. Le segnalazioni sono state oggetto di revisione critica da parte della Direzione Difesa del Suolo confermando la vastità, l’entità e la drammaticità dei fenomeni occorsi con risvolti tragici in talune situazioni. I rilievi sui dissesti franosi operati dai tecnici regionali derivano principalmente dall’attività svolta dai geologi dell’Unità Geologia della Difesa del Suolo, con la collaborazione di ARPAV e Autorità di Distretto Alpi Orientali, tuttora in corso di svolgimento.

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Fig. 5.4 – Gli effetti delle frane (Fonte: Tpinews, https://www.tpi.it/2018/11/05/maltempo-belluno-danni/)

5.2 La fase dell’emergenza Nel capitolo precedente ho introdotto l’apertura del protocollo operativo per la gestione dell’emergenza da parte della Protezione Civile approvato con deliberazione della Giunta regionale n. 103 del 11.02.2013. 24 ore prima dell’emergenza, la Protezione Civile era pronta a livello Regionale, con la Sala Operativa Regionale perfettamente attiva125 (durante tutta l’emergenza è rimasta aperta per due intere settimane, dalle ore 19 del giorno 27 chiudendo ufficialmente il 16 novembre).

Le dichiarazioni del Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, sul lavoro dell’Unità di 125

La Sala Operativa Regionale assicura il collegamento con il Comitato Operativo riunito presso il Dipartimento della Protezione Civile, il collegamento con i Centri Coordinamento Soccorsi (C.C.S.) attivati sul territorio, il supporto del volontariato di protezione civile a favore dei territori colpiti dall’evento, il supporto dei dipendenti tecnici messi a disposizione dai Comuni non colpiti a favore degli uffici di quelli interessati dall’evento. La Sala Operativa è la prima che apre e l’ultima che chiude, fino a che sono attivi i C.O.C. [Informazioni avute grazie all’incontro con il Presidente della Protezione Civile della Provincia di Belluno, Carlo Zampieri, che ringrazio].

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Crisi126 da lui istituita con la deliberazione della Giunta regionale n. 135 del 27.10.2018, il cui coordinamento è stato seguito dall’Assessore Gianpaolo Bottacin, per fronteggiare l’ondata di maltempo ‹‹Siamo di fronte alle condizioni della tempesta perfetta, quelle, per capirci, che determinarono l’alluvione del 2010, ma abbiamo messo in moto una macchina che ritengo efficiente e collaudata››127.

Dal Comunicato stampa n°1657 inoltre sappiamo che: Sono quasi 16 mila i volontari potenzialmente mobilitabili dalla Protezione Civile regionale che, con l'Unità di crisi istituita ieri dal Presidente Zaia e coordinata dall'Assessore all'Ambiente, Gianpaolo Bottacin, sta affrontando l'emergenza maltempo sul Veneto. Al momento, nel solo bellunese, sono attivi oltre 250 volontari mentre sono stati messi in preallerta gruppi di tutto il Veneto, in modo particolare le unità formate per fronteggiare il rischio idrogeologico. Si tratta di gruppi particolarmente attrezzati con macchine movimento terra, imbarcazioni, gruppi elettrogeni e idrovore. Allertate anche tutte le unità subacquee. Lo comunica l'Unità di Crisi della Protezione Civile regionale.128

Alle 17:30 del giorno 28/ ottobre il Presidente della Regione Veneto chiede al Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, e al Capo del Dipartimento della Protezione Civile, Angelo Borrelli, di attivare la prevista procedura di mobilitazione nazionale. Viene così aperto anche l’ultimo livello del protocollo operativo che è il livello nazionale, con la dichiarazione di un vero stato di emergenza.

Il dott. Angelo Borrelli si reca in Veneto per seguire di persona le operazioni durante la fase dell’emergenza. Il Presidente della Regione Luca Zaia, insieme a lui, seguirà costantemente l’evolversi della situazione fin dalle prime ore. ‹‹Davvero un grazie all’ing.

Borrelli per essere immediatamente giunto sul territorio dopo la mia richiesta di attivazione – spiega Bottacin -; un’attenzione nei confronti del Veneto che va sottolineata visto che, pur sapendo che certamente la nostra situazione è la più critica, molte sono anche le altre realtà con diversi disagi sul territorio nazionale››129.

126

Ne fanno parte tutti gli Enti e le strutture anche solo ipoteticamente coinvolte in caso di eventuale, particolare crisi come, ad esempio, i Prefetti della regione, i Vigili del Fuoco, L’Anci e L’Upi (Comuni e Province), i Consorzi di Bonifica, l’Anas, Veneto Strade, l’Enel, Terna, il Centro Regionale Urgenza Emergenza della sanità, dirigenti e tecnici di tutte le Direzioni regionali interessate.

127 Comunicato stampa n°1652 del 28/10/2018 da parte della Regione Veneto, reperibile al Sito Istituzionale della Regione Veneto: http://www.regione.veneto.it/web/guest/comunicati-stampa/dettaglio-comunicati?_spp_detailId=3248599.

128 Comunicato stampa n°1657 del 28/10/2018 da parte della Regione Veneto, reperibile al Sito Istituzionale della Regione Veneto: https://www.regione.veneto.it/web/guest/comunicati-stampa/dettaglio-comunicati?_spp_detailId=3248635.

129 Informazioni tratte dal sito Istituzionale Veneto Ambiente News Assessorato Ambiente e Protezione Civile, al link: https://www.venetoambientenews.it/2018/11/01/anche-il-dipartimento-nazionale-in-soccorso-al-bellunese/.

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Dal mattino di sabato 27 ottobre e ininterrottamente, fino alla sera di lunedì 5 novembre 2018, è stato mantenuto il presidio h 24 presso la Sala Operativa del Centro Funzionale Decentrato del Veneto, per l’attività di monitoraggio e sorveglianza dell’evento in atto. Fin dalle prime ore gli operatori che lavorano all’interno della Sala Operativa su postazioni dedicate, cominciano a raccogliere le varie segnalazioni130 dal territorio che arrivavano da canali diversi, come quelli telefonici, web (Facebook, Whatsapp).

Per quanto riguarda i canali telefonici durante il passaggio della tempesta Vaia l’intero territorio bellunese è rimasto sprovvisto di energia elettrica e riscaldamento, è stato perciò indispensabile utilizzare le segnalazioni che arrivavano dal canale radio degli operatori presenti nelle zone a rischio.

I canali web durante l’emergenza sono stati fondamentali, ma a volte le segnalazioni erano incontrollate, per mancanza di informazione precise. In totale le richieste giunte da domenica saranno 1.400, di diverse tipologie come richieste di attivazione di idrovore, scantinati allagati, ecc. Inoltre, nel periodo di funzionamento dell’Unità di Crisi regionale, sono stati elaborati e diffusi comunicati stampa per aggiornare la cittadinanza sugli sviluppi della situazione.

All’interno del protocollo operativo per l’emergenza, la prima cosa fondamentale è l’apertura del C.O.C. da parte dei Sindaci. La funzione del C.O.C. è di avere un quadro complessivo, all’interno della sede, di quello che sta accadendo nel territorio. Se il C.O.C. non viene aperto, due potrebbero essere le cause: o non sta succedendo niente di grave o in quel comune sono tutti morti.

Sul territorio risultano essere state attivate alcune strutture di coordinamento e gestione dell’emergenza a livello provinciale. Il C.C.S. (Centro Coordinamento Soccorsi di Belluno)131 è composto dal Prefetto più il C.O.M. (Centro Operativo Misto) al fine di assicurare il più efficace coordinamento tra le strutture operative di protezione civile provinciali e comunali. I principali C.O.M. durante l’emergenza sono stati: Feltre, S. 130

Segnalazioni che man mano venivano registrate, controllate, protocollate e stampate a libretto. Le segnalazioni vengono registrate in base all’ordine progressivo, con: data, ora, comune che ha fatto la segnalazione, e la località più specifica. Più sono le segnalazioni, e più è alto il livello di emergenza.

(Informazioni avute grazie all’incontro con il Presidente della Protezione Civile della Provincia di Belluno, Carlo Zampieri, che ringrazio).

131 Compito del C.C.S. è di coordinare l’emergenza attraverso le informazioni a livello Provinciale: un rapporto costante con i diversi Centri Operativi sui territori comunali, con la Sala Operativa Regionale e con la Sala Situazione Italia del Dipartimento della protezione civile. Il C.C.S. ha chiuso il giorno 14 novembre.

(Informazioni avute grazie all’incontro con il Presidente della Protezione Civile della Provincia di Belluno),

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Stefano di Cadore, Agordo, Longarone Zoldo.

Fig. 5.5 – Il Presidente Luca Zaia e l’Assessore Bottacin monitorano costantemente la situazione all’interno della Sala Operativa in attesa di ulteriori aggiornamenti (Fonte: Pagina Istituzionale Gianpaolo Bottacin Assessore regionale del Veneto)

I volontari impegnati in quest’emergenza provenivano da Marche, Emilia Romagna, Lombardia e Piemonte oltre al resto dei volontari come Croce Rossa, Misericordia Italia (primo soccorso, attività assistenziali), V.A.P, A.N.A. (Associazione Nazionale Alpini). In totale sul territorio bellunese sono passati 3500 volontari.

Le principali attività di soccorso che si sono svolte sono state verso la popolazione e a favore del territorio, ad esempio zone in cui gli abitanti sono stati evacuati, anche se in minima parte. Alcune località sono state interessate da case scoperchiate quindi c’era la necessità di coperture, di lamiere provvisorie. Alcuni garage si erano riempiti di acqua quindi c’era la necessità di svuotarli prima che rovinassero l’arredamento all’interno.

L’evento meteorologico ha causato gravi danni alle infrastrutture viarie e dei servizi essenziali determinando notevoli disagi per l’utenza, e ha minato la sicurezza del territorio, danneggiando in modo grave il patrimonio privato e delle attività economiche. L’intera rete viaria provinciale del bellunese è stata pesantemente colpita, provocando grandi disagi e difficoltà ai soccorritori, spesso impossibilitati ad accedere ai propri mezzi, alle zone più colpite dagli eventi calamitosi.

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Ovunque sono stati adottati provvedimenti di chiusura al transito delle strade che solo progressivamente (dal 31 ottobre in poi) sono stati revocati in funzione degli interventi di ripristino da parte degli enti gestori. In molti casi, le chiusure sono state sostituite da altro tipo di limitazione al transito, legata al peso e alla tipologia dei mezzi, oppure attraverso l’istituzione di sensi unici alternati. Alcune strade sono state interrotte come la statale 203 nell’Agordino, dove vi sono stati diffusi smottamenti e colate detritiche che hanno interdetto l’accesso, dove però se n’è occupata principalmente Anas Strade.

Nel territorio del vicentino sono state impiegate132 dalla Polizia Stradale n. 15 pattuglie per n. 20 interventi di assistenza ai Vigili del Fuoco e vigilanza stradale; dall’Arma dei Carabinieri n. 12 pattuglie per la realizzazione di n. 12 interventi per attività di vigilanza e supporto ai Vigili del Fuoco; dai Carabinieri Forestali n. 10 pattuglie per la realizzazione di n. 20 interventi per attività di vigilanza e supporto ai Vigili del Fuoco.

Sono stati effettuati circa n. 615 interventi da 500 volontari di protezione civile coordinati dalla Provincia di Vicenza. Le azioni svolte dal volontariato sono state rivolte principalmente al supporto in Sala Operativa, al taglio alberi, allo sgombero delle strade, allo svuotamento di sottopassi allagati, all’evacuazione della popolazione, al trasporto di generatori di corrente.

Sono stati impegnati n. 22 operatori dell’A.R.I. - Associazione Radioamatori Italiana Sezione di Vicenza che hanno realizzato circa n. 300 interventi in 9 punti diversi della provincia, compresa la presenza continuativa all’interno della sala radio del C.C.S. Sono stati effettuati, a cura della Società Viabilità S.r.l., circa n. 30 interventi di ripristino e messa in sicurezza della rete viaria provinciale – consistenti, principalmente, nella rimozione di piante, pulizia del manto stradale da detriti e resti vegetali e ripristino delle infrastrutture danneggiate dalla caduta di alberi – che hanno coinvolto circa 20 strade provinciali.

Sono stati allestiti, a cura di TERNA S.p.A., 12 cantieri per interventi di ripristino provvisorio sulla linea elettrica Arsiero - Asiago, con impiego di circa 10 persone per 10 ore al giorno e, quindi, per complessive 1000 ore di lavoro nei primi dieci giorni di emergenza.

Sono stati installati, a cura di e-Distribuzione S.p.A., all’incirca 100 gruppi elettrogeni 132

Dipartimento della Protezione Civile della Regione Veneto, Relazione di eventi calamitosi occorsi tra ottobre e novembre 2018.

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nelle zone colpite da black-out, con impiego di circa 200 unità di personale e sono state svolte diverse centinaia di interventi di primo ripristino della linea di media tensione. In particolare: nel bellunese si sono verificate circa n. 130.000 utenze disalimentate; nel vicentino si sono verificate circa n. 20.000 utenze disalimentate e il black-out è durato dalle 8 fino alle 60 ore.

Nel bellunese, le reti idrica e fognaria sono state pesantemente colpite. Nel comune di Rocca Pietore, in particolare, è andata totalmente distrutta la conduttura acquedottistica che serviva buona parte del paese (circa 600 utenze). In tutta la provincia è stato consigliato di non utilizzare l’acqua a fini alimentari, se non previa bollitura mentre, nei casi di eccessiva torbidità, la raccomandazione è stata quella di non utilizzarla nemmeno per fini igienico sanitari. Per questo motivo, nei giorni di massima emergenza, si è proceduto con la distribuzione di acqua potabile attraverso l’impiego di autobotti e la distribuzione di bottiglie alla popolazione interessata (Agordino e Comelico).

Nei giorni successivi, in tutte le aree della montagna veneta maggiormente colpite, proseguirono senza sosta gli interventi di ripristino dei diversi servizi interrotti per far tornare la popolazione alla vita quotidiana.

Per quanto riguarda l’energia elettrica, l’Enel segnalava che c’erano ancora alcune centinaia di utenze disalimentate, che peraltro si ritiene possano essere riferite a seconde case, perché non sono giunte segnalazioni da parte degli utenti interessati. Qualora vi fossero state segnalazioni, si sarebbe intervenuti celermente con generatori da pochi Kilowattora.

E’ proseguita inoltre l’attivazione di nuovi tratti di linea, il che ha consentito di poter spegnere i generatori133. Sempre Enel, segnalava che, man mano che veniva riattivata la linea, i generatori venivano staccati, ma mantenuti in loco per evitare sorprese in caso di potenziali ulteriori rotture. I generatori sono capillarmente riforniti di carburante per il loro funzionamento.

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Sono stati installati 300 generatori di corrente elettrica, grazie all’impegno degli enti gestori.

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Fig. 5.6-7-8 - Immagini che ritraggono il Comune di Rocca Pietore dopo il maltempo (Fonte: Pagina Istituzionale Gianpaolo Bottacin Assessore regionale del Veneto)

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Fig. 5.9 - I serrai di Sottoguda colpiti dalla frana e dall’alluvione (Fonte: Pagina Istituzionale Gianpaolo Bottacin Assessore regionale del Veneto)

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Fig. 5.10-11 - Immagini che ritraggono i serrai di Sottoguda colpiti dalla frana (Fonte: Pagina Istituzionale Gianpaolo Bottacin Assessore regionale del Veneto)

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Per quanto riguarda gli approvvigionamenti idrici, la situazione era la seguente: nella parte non servita ancora da acquedotto nel Comune di Roccapietore sono in servizio tre autocisterne con ampia capacità di erogazione di acqua potabile; rimane ancora ostruita la tubazione da Sottoguda, sopra Caprile. I tecnici del BIM stanno lavorando incessantemente per ripulirla, ma ci vorrà ancora tempo. Alcune utenze di Sottoguda sono state comunque già rialimentate. Anche sulla telefonia si lavora senza sosta.

Fig. 5.12 – Tralicci dell’energia elettrica divelti con il passaggio di Vaia (Fonte: Pagina Istituzionale Gianpaolo Bottacin Assessore regionale del Veneto)

Complessivamente sono stati effettuati dal C.N.VV.F. n. 4.524 interventi di soccorso nella provincia di Belluno alla data del 30.11.2018 e n. 1.907 interventi nei rimanenti territori della regione alla data del 31.10.2018 (n. 300 interventi di soccorso tecnico urgente con impiego di n. 150 unità di personale e n. 60 mezzi operativi nel solo territorio della Provincia di Vicenza)134.

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Dipartimento della Protezione Civile della Regione Veneto, Relazione di eventi calamitosi occorsi tra ottobre e novembre 2018.

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Fig. 5.13 – Elicottero dell’Esercito Italiano alzato per il trasporto di generatori elettrici (Fonte: Pagina Istituzionale Gianpaolo Bottacin Assessore regionale del Veneto)

Nella provincia di Belluno il personale del Servizio Difesa del Suolo e Protezione Civile è intervenuto fin dall’inizio nella gestione dell’emergenza, condividendo le prime decisioni prese nelle riunioni convocate in Prefettura per delineare le strategie atte ad affrontare gli scenari prospettati dalle previsioni del C.F.D. A seguito dell’attivazione del C.C.S. e della sala operativa integrata a Belluno, presso la base elicotteri del 14° Raggruppamento Elicotteri dei Carabinieri, il personale del Servizio, coadiuvato da colleghi di altri Servizi provinciali, ha provveduto ad organizzare il funzionamento della stessa, garantendo la presenza di personale in regime h 24, dalla sera del 27 ottobre 2018, fino alla sua chiusura avvenuta il 10 novembre 2018.

In particolare in questo ambito è stata gestita la raccolta, registrazione e assegnazione delle richieste provenienti dai n. 4 C.O.M. e dai C.O.C. attivati sul territorio; sono state gestite, in collaborazione con la Regione, le funzioni di supporto di volontariato, di materiali e mezzi e per le telecomunicazioni.

Nell’ambito delle attività emergenziali, si è provveduto a coordinare l’impiego delle Organizzazioni di Volontariato territoriali provinciali, sulla base delle attivazioni effettuate dalla regione già a partire dal giorno 27.12.2018; organizzare la fornitura di generi alimentari di prima necessità per le popolazioni isolate; organizzare il trasporto e la distribuzione dei generatori elettrici e, in alcuni casi, i rifornimenti di carburante; acquistare il materiale necessario per ripristinare le coperture dei tetti divelti dalle raffiche

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di vento (teli, legname, ecc.); a individuare i tecnici geologi e organizzarne i sopralluoghi per le aree interessate da frane di competenza provinciale135.

Nel periodo dal 2.11.2018 al 14.11.2018, tecnici geologi della Difesa del Suolo, in collaborazione con personale tecnico di ARPAV e dell’Autorità di Distretto Alpi Orientali, hanno effettuato sopralluoghi al fine di accertare le condizioni di rischio presenti nei siti, valutare la possibile evoluzione del dissesto e sono stati informati i sindaci o loro delegati sugli esiti delle verifiche. Le tipologie di dissesto più frequentemente rilevate sono quelle riferibili a colate detritiche, sovralluvionamenti della rete idraulica secondaria, frane superficiali a sviluppo rapido e alcune frane profonde, che hanno interessato centri abitati o anche case sparse.

Per ciascun sito osservato, è stata redatta una scheda riassuntiva sulle caratteristiche del fenomeno esaminato, con indicazioni su possibili interventi di ripristino e messa in sicurezza, distinti in azioni prioritarie e a media scadenza. Complessivamente sono state redatte circa 90 schede di sopralluogo, per un totale di circa 100 dissesti rilevati. Le zone in cui è stata svolta l’attività sono l’Agordino, il Comelico, lo Zoldano e parte del Cadore mentre i Comuni maggiormente interessati sono Rocca Pietore, Alleghe, Gosaldo, Taibon Agordino, Canale d’Agordo, Perarolo, Val di Zoldo, Santo Stefano di Cadore, La Valle Agordina e Vallada Agordina.

Un caso particolare è quello della frana del Tessina che è ubicata in comune di Chies d’Alpago in provincia di Belluno. Si tratta di un fenomeno complesso che si sviluppa da quota 1200 circa, per una lunghezza di oltre 2 chilometri fino all’abitato di Lamosano posto a quota 650. È considerata la frana più grande dell’arco alpino136.

Durante la tempesta Vaia la frana si è rimessa in movimento tanto da far considerare l’evacuazione della frazione di Funes, circa 40 persone, ma la situazione è stata prontamente monitorata dalla Protezione Civile e dalla Regione Veneto.

In quei giorni, Nicola Casagli, professore ordinario di Geologia applicata presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Firenze, si è recato personalmente sul posto insieme ai tecnici del CNR per monitorare la frana. Le sue dichiarazioni: ‹‹L’Alpago è una conca in mezzo alle Prealpi bellunesi che digrada fino al lago di Santa 135

Dipartimento della Protezione Civile della Regione Veneto, Relazione di eventi calamitosi occorsi tra ottobre e novembre 2018.

136 Informazioni tratte dal link istituzionale della Regione Veneto https://cdn1.regione.veneto.it/alfstreamingservlet/streamer/resourceId/e9fe4277-4893-4d83-adf7-d07ec6cc2ef5/Frana%20del%20Tessina.

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Croce. È terra di frane. Lo stesso lago di Santa Croce non è altro che il risultato dello sbarramento del fondovalle causato dalla colossale frana di Fadalto.››137

Fig. 5.14 – Collage di immagini della frana di Tessina in Alpago (Fonte: Pagina Istituzionale Gianpaolo Bottacin assessore regionale del Veneto)

Il giorno 30 ottobre, subito dopo il passaggio di Vaia, esce il Comunicato stampa N° 1680 che così dichiara: Da quest’ondata di maltempo ne usciamo martoriati. Ma se non avessimo realizzato i lavori per il rafforzamento degli argini dei corsi d’acqua, che nel 2010 avevano fatto registrare 32 sfondamenti arginali, il bilancio poteva essere molto più grave. Abbiamo salvato vite”. Lo ha detto il presidente della Regione Luca Zaia presentando l’aggiornamento della situazione a seguito del maltempo che ha colpito il Veneto, insieme all’assessore regionale alla protezione civile Gianpaolo Bottacin e al capo del Dipartimento nazionale Angelo Borrelli, nella sede di Marghera in cui sta operando l’Unità di Crisi. “I modelli previsionali hanno funzionato – ha sottolineato Zaia – e per questo vanno ringraziati i tecnici che li hanno messi a punto, come vanno ringraziati tutti coloro che stanno lavorando per affrontare l’emergenza in queste ore. La provincia di Belluno, completamente isolata, ha subito tutto quello che si poteva avere: incendio boschivo, acqua, temporali, trombe d’aria, vento, frane. Sono caduti molti alberi e 122 mila utenze sono ancora senza energia elettrica. L’alluvione del 2010 è niente rispetto a quello che è accaduto in questi giorni nel bellunese. Ma anche le altre province venete sono in emergenza.

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Pagina Istituzionale Gianpaolo Bottacin assessore regionale del Veneto.

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Sembrava un’esagerazione quando abbiamo lanciato l’allarme e chiesto l’attivazione della protezione civile nazionale, ma la situazione ci fa dire che avevamo ragione. "I danni sono ingenti – ha fatto presente il presidente veneto – probabilmente si tratta di centinaia di milioni di euro. E’ presto per dirlo. Per l’alluvione del 2010 in un primo tempo la stima era di cento milioni di danni ma alla fine abbiamo cubato un miliardo. Lasciateci quantificare a bocce ferme. Ma per attivare l’intervento finanziario del governo chiediamo anche a cittadini, ai sindaci di raccogliere materiale fotografico per istruire il dossier. Tutto il Veneto è in stato di calamità e i danni vanno documentati bene”. “I dati pluviometrici – ha detto Zaia - sono i peggiori degli ultimi 100 anni. Peggio del '66. Abbiamo avuto un vittima, alla cui famiglia va il nostro cordoglio. Si registravano due dispersi ieri, ma uno è stato trovato. Il ponte di Bassano, che è un simbolo, ci preoccupava ma non sembrano esserci problemi. Ringraziamo le regioni che ci hanno mandato squadre di protezione civile. Penso sia un bel segnale. Il Veneto è sempre stato pronto a dare aiuto nelle emergenze e ora riceve il contraccambio. Un ringraziamento va anche alla protezione civile nazionale e all’esercito”. L’assessore Bottacin ha segnalato che il Piave ha toccato i 2500 mc. di acqua al secondo, il valore massimo che il fiume può accogliere. In alcune località sono stati sfiorati i 700 mm di pioggia, dato assolutamente eccezionale anche se confrontato con i risultati del '66. Tutti gli argini sono monitorati dalle squadre della protezione civile regionale che stanno operando anche sugli altri fronti, soprattutto nel bellunese. Ora sono in arrivo anche quelle delle altre regioni, dell’ANA e delle esercito. Per il consolidamento degli argini il Veneto ha speso 411 milioni e i risultati ora si vedono. Resta alto lo stato di attenzione perché nella giornata di giovedì sono attese altre precipitazioni. Il capo della protezione civile nazionale Borrelli ha confermato che si è trattato di un evento eccezionale a cui si era preparati. “Bene ha fatto il Veneto quindi – ha detto – a chiedere la mobilitazione in sede nazionale”. Dopo aver evidenziato l’importanza dei bacini di laminazione, Borrelli ha detto che occorre investire molto di più in prevenzione, operando scelte importanti, e intervenire anche sotto il profilo normativo per favorire la pulizia degli alvei dei corsi d’acqua.138

Il Presidente della Regione Veneto Luca Zaia e l’Assessore della Protezione Civile Gianpaolo Bottacin sono stati presenti h 24 all’interno della Sala Operativa durante tutta la fase dell’emergenza, ma si sono recati anche in visita ai luoghi martoriati durante tutto il post-emergenza, come comunicato dalla Regione Veneto il giorno 30/10/2018 con il Comunicato stampa n°1684: La situazione più difficile al momento è certamente quella bellunese, per questo ho inteso venirci in sopralluogo appena mi è stato possibile allontanarmi dalla Sala Operativa Regionale dalla quale ho seguito l'evolversi della situazione dell'intero Veneto nelle ultime settantadue ore". A dirlo l'assessore alla Protezione Civile Gianpaolo Bottacin che nel pomeriggio ha visitato prima il Comitato Coordinamento Soccorsi allestito presso l'aeroporto di Belluno, per poi proseguire il suo sopralluogo in Agordino, dove si è anche fermato presso la Comunità Montana per partecipare alla riunione dei sindaci della Vallata. "Stiamo dirottando molte forze in Agordino - ha spiegato Bottacin - tra cui anche la colonna mobile del Genio militare di Bologna, ma non stiamo nemmeno trascurando le altre realtà colpite dove sono arrivati diversi rinforzi dalle altre Regioni. Nei prossimi giorni comunque sarò anche in Cadore, in Comelico, nel Feltrino e in tutti i luoghi dove si sono state riscontrate problematiche per capire quali siano le reali necessità da qui in avanti››139.

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Comunicato stampa n°1680 del 30/10/2018 da parte della Regione Veneto, reperibile al Sito Istituzionale della Regione Veneto: https://www.regione.veneto.it/web/guest/comunicati-stampa/dettaglio-comunicati?_spp_detailId=3251413.

139 Comunicato stampa n°1684 del 30/10/2018 da parte della Regione Veneto, reperibile al Sito Istituzionale della Regione Veneto: http://ptrc.regione.veneto.it/web/guest/comunicati-stampa/dettaglio-comunicati?_spp_detailId=3251633.

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Fin dal primo momento dell’emergenza però, quello che ha caratterizzato i Veneti è stato l’impegno e la volontà nell’aiutare gli altri e nel risistemare il proprio territorio, tanto che il Governatore veneto ha dichiarato nel Comunicato stampa N° 1652 del 28/10/2018 ‹‹Ringrazio tutti gli enti, gli uomini e le donne, le strutture della Regione, i volontari, che si stanno prodigando con la ben nota abnegazione. Si chiama squadra. Speriamo di vincere anche questa partita››.

Con il Comunicato stampa N° 1746 del 6 novembre l’assessore Bottacin dichiara: ‹‹Un particolare ringraziamento però lo voglio fare davvero col cuore ai cittadini ‘eccezionali’ che si sono rimboccati le maniche, che non hanno chiesto nulla se non di dirci ‘non dimenticatevi di noi’ e hanno lavorato con dignità forza d’animo e di braccia e orgoglio. Un contatto umano, che pur nel dramma della situazione, mi ha arricchito dentro››, aggiungendo poi ‹‹Oggi inizia la fase più difficile, perché dopo l'emergenza bisogna avviare la ricostruzione.

La provincia di Belluno è stata l’epicentro, ma tutto il Veneto è stato colpito. L’obiettivo è rifar ripartire la normalità del quotidiano, a iniziare dalla stagione turistica. Arriveremo dappertutto, dalla montagna al mare, definendo, come durante la fase emergenziale, le priorità 140.

Nel ringraziare i tanti volontari e soccorritori che si sono dati da fare nella gestione della crisi, l’assessore Bottacin ha anche ricordato che non sarà un inverno facile: ‹‹I versanti delle nostre montagne sono cambiati in molti punti, presentando rischi e problematiche diverse da prima. Manteniamo l’allerta per intervenire subito in caso di necessità››.

Una vera e propria geografia rinnovata del territorio, che rischia di trarre in inganno anche i più esperti, conclude Nicola Dell’Acqua, direttore generale dell’ARPAV: ‹‹Chiediamo a tutti grande attenzione, una montagna che si credeva di conoscere come le proprie tasche può essere cambiata e l’incidente è dietro l’angolo››141.

E senza mai dimenticare che la devastazione, come ha detto il Capo Dipartimento della Protezione civile nazionale Borrelli, è stata ‹‹apocalittica›› e pertanto richiederà del tempo per un ripristino totale.

Venerdì 29 marzo 2019 si è svolta presso la Spes Arena di Belluno la cerimonia pubblica di ringraziamento ai 4.000 volontari della Protezione civile che hanno partecipato all’emergenza nei territori colpiti dalla tempesta Vaia. Oltre agli attestati, è stato consegnato loro uno specifico distintivo destinato a coloro che si sono attivati nelle 140

Comunicato stampa n°1746 del 6/11/2018 da parte della Regione Veneto, reperibile al Sito Istituzionale della Regione Veneto: http://www.regione.veneto.it/web/guest/comunicati-stampa/dettaglio-comunicati?_spp_detailId=3253837.

141 Informazioni tratte dall’articolo Il post emergenza durerà un paio d’anni “i bellunesi non saranno lasciati soli” da Corriere delle Alpi del 1/12/2018, pag. 1.

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emergenze del 2018 come segno tangibile del grazie della Regione.

Fig. 5.15 - Il Capo della Protezione civile nazionale Borrelli e l’assessore regionale Bottacin presenti alla cerimonia pubblica di ringraziamento ai volontari (Fonte: https://corrierealpi.gelocal.it/belluno/foto-e-video/2019/03/29/fotogalleria/l-abbraccio-della-regione-veneto-aivolontari-intervenuti-nella-tempesta-vaia-1.30143130)

5.3 La stima dei danni e il post emergenza La prima stima dei danni è stata di un miliardo di euro (importo destinato a crescere) ad integrazione della richiesta dello “Stato di emergenza”. La somma totale dei danni diretti successivamente è stata pari a € 1.536.658.333142. Il Governo fin da subito ha predisposto un decreto per un fondo di 525 milioni per le alluvioni e le calamità naturali. In totale a febbraio sono arrivati in Veneto 976 milioni per il ripristino delle aree danneggiate dalla tempesta Vaia e per mettere in sicurezza il dissesto idrogeologico.

Va anche tenuto conto che il fortissimo vento di scirocco ha, inoltre, causato intense mareggiate che hanno provocato diffuse erosioni degli arenili nella totalità delle coste venete e rilevanti danni alle opere e strutture di difesa a mare. L’evento ha generato, infine, un quantitativo enorme di materiale depositato, trasportato dalle piene dei corsi d’acqua che ha invaso le aree golenali ed i litorali143.

142

Dipartimento della Protezione Civile della Regione Veneto, Relazione di eventi calamitosi occorsi tra ottobre e novembre 2018.

143 Dipartimento della Protezione Civile della Regione Veneto, Relazione di eventi calamitosi occorsi tra ottobre e novembre 2018.

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Fig.5.16 - Il mare in tempesta a Lignano durante il maltempo (Fonte: foto di Stefano Gianfranco Pielich, www.udinetoday.it)

Fig. 5.17 – Acqua alta a Venezia (Fonte: http://www.dire.it/29-10-2018/258033)

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Fig. 5.18 – Tronco arrivato sulla spiaggia dell’Adriatico (Fonte: http://www.meteoweb.eu)

A quasi 200 giorni dall’eccezionale evento meteorologico, sono partiti i lavori per riportare la situazione il più possibile alla normalità.

A seguito degli eventi dell’ottobre 2018 gli scenari di rischio valanghivo (la neve che sciogliendosi cadrà a valle) e idrogeologico (con la stagione primaverile, le intense piogge saranno causa di molte frane) sono mutati144. Il post emergenza durerà infatti un paio d’anni.

Nella prima fase dell’emergenza ci saranno lavori di ripristino delle opere di sicurezza e prevenzione come le briglie e gli argini lungo i torrenti che dureranno secondo le prime stime uno o due anni.

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Nel mese di febbraio sono state consegnate a Belluno le mappature per la miglior gestione del rischio valanghivo ai Sindaci dei paesi colpiti da Vaia (comuni di Alleghe, Colle Santa Lucia, Livinallongo del Col di Lana, Rocca Pietore, San Tomaso Agordino, Sovramonte e Zoppè di Cadore). In quell’occasione l’Assessore Bottacin dichiara ‹‹Una perimetrazione molto importante per la sicurezza del territorio, un lavoro di dettaglio di oltre due mesi, che ha coinvolto in questa prima fase sette Comuni, ma che proseguirà con le altre realtà coinvolte dal monitoraggio››. (Informazioni tratte dall’articolo Presentate a Belluno le mappature per la miglior gestione del rischio valanghivo, al Sito Istituzionale: https://www.venetoambientenews.it/2019/02/22/presentate-a-belluno-le-mappature-per-la-miglior-gestionedel-rischio-valanghivo/).

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Il Presidente della Regione Veneto dichiara che: tra i lavori di ripristino dopo la tempesta Vaia di fine ottobre, stiamo operando anche lungo i corsi d’acqua delle zone devastate, con cantieri aperti ed opere idrauliche di emergenza e ripristino. Oltre ai danni a boschi e paesi, c’è anche un problema idrogeologico: vanno asportati la ghiaia e i detriti dai letti dei torrenti, rifatti gli argini e il corretto assetto dei fiumi.

145 Si lavora ininterrottamente, com’è nel dna dei veneti e delle genti di montagna!

Spiega Nicola Dell’Acqua, direttore generale dell’Arpav: ‹‹abbiamo tra le duecento e le trecento briglie lungo i nostri torrenti completamente intasate da detriti e vanno liberate in tempi brevi; è grazie ad esse che la montagna ha protetto la pianura, se ora sono intasate è perché hanno fatto il loro lavoro e ora vanno riportate allo stato pre-alluvione››146.

Nei boschi schiantati se dovessero esserci abbondanti precipitazioni nevose, ai 70 centimetri d’altezza scatterebbe l’evacuazione dei paesi e dei borghi.

Le principali criticità diffuse sono: 1. l’ammaloramento di migliaia di metri di guard rail dovuto sia alla caduta alberi che ai movimenti franosi (il cui ripristino per altro dovrebbe avvenire secondo le nuove normative con nuove opere per l’esecuzione o il rinforzo delle cordolature di bordo strada e di testa dei muri di sostegno di sottoscarpa); 2. lo snervamento di gran parte dei sistemi di ritenuta massi e dei paravalanghe, fondamentali per trattenere durante la stagione invernale e soprattutto in primavera l’abbondante materiale sciolto presente sui versanti che sarà impossibile rimuovere prima delle prossime precipitazioni nevose147.

Molti sono gli interventi che sono già stati attivati sul territorio: in totale sono oltre 215 cantieri, altri 350 cantieri partiranno entro l’estate. In particolare, uno dei cantieri è quello che riguarda il fiume Piave a Belluno nell’area Lambioi, attivato fin da subito per una spesa complessiva di 1,4 milioni di euro. Si tratta di tre interventi correlati tra il ponte della Vittoria e il ponte Bailey148: il primo è il rifacimento della soglia trasversale, che era stata divelta dalla violenza della piena; il secondo è la sistemazione della scogliera in sinistra orografica, che era stata aggirata dalle acque; il terzo è la sistemazione e il consolidamento 145

Pagina Istituzionale del Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia.

Vedi nota 144.

147 Informazioni tratte dalla Relazione di eventi calamitosi occorsi tra ottobre e novembre 2018, del Dipartimento della Protezione Civile della Regione Veneto, gentilmente ricevuta dall’Ing. Luca Soppelsa, Direttore della Protezione Civile e Polizia Locale per la Regione Veneto.

148 Comunicato stampa n°240 del 13/02/2019 da parte della Regione Veneto, reperibile al Sito Istituzionale della Regione Veneto: http://www.regione.veneto.it/web/guest/comunicati-stampa/dettaglio-comunicati?_spp_detailId=3286603.

146

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della base della fondazione del muro, che sostiene la strada comunale a monte del Ponte della Vittoria.

Infine, un ulteriore intervento secondario è il riempimento dell’argine a ridosso del muro, che era stato svuotato dalla piena.

Fig. 5.19 – Mappa del rischio frane in provincia di Belluno (Fonte: Corriere delle Alpi del 20 febbraio 2019 pag.20)

Al via inoltre i lavori di difesa idrogeologica in cinque località del Comune di Tambre (Belluno). Si tratta di interventi di manutenzione idraulica ubicati in cinque diverse località

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comunali, nello specifico a Viaz, valle di Tambruz, Pala, Comun e Borsoi149.

Fig. 5.20 – Mappa del rischio valanghivo in provincia di Belluno 150 (Fonte: L’Amico del Popolo del 7 marzo 2019 pag.6)

L’Assessore Bottacin è impegnato in prima persona con sopralluoghi nelle zone colpite dal maltempo per vedere le effettive necessità di intervento o come procedano i lavori di ricostruzione.

Il 12 marzo 2019 il Presidente della Repubblica Mattarella si è recato in visita a Belluno, sorvolando le zone colpite dalla tempesta Vaia. Riprendendo il discorso sul cambiamento 149

Informazioni tratte dall’articolo Al via lavori di difesa idrogeologica in cinque località del Comune di Tambre (BL) al Sito Istituzionale https://www.venetoambientenews.it/2019/02/18/al-via-lavori-di-difesaidrogeologica-in-cinque-localita-del-comune-di-tambre-bl/.

150 85 le aree che saranno tenute sotto monitoraggio dalla Regione.

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climatico e sull’azione di Greta Thunberg, il Capo dello Stato ha dichiarato: Siamo sull’orlo di una crisi climatica globale, per scongiurare la quale occorrono misure concordate a livello globale». «Mai come in occasione della tempesta Vaia - ha precisato Mattarella - è stato chiaro all’opinione pubblica italiana, che i mutamenti climatici in atto nel mondo comportano effetti pesanti anche sull’ambiente del nostro Paese e sulle condizioni di vita della nostra popolazione. Sentire parlare della desertificazione di ampie fasce delle terre africane o dei violenti tifoni nei Caraibi, sulla costa occidentale degli Stati Uniti o in Asia, appariva qualcosa di remoto, che non ci riguardava». Continua inoltre ‹‹il Veneto ha dato una 151 lezione di Protezione Civile a livello nazionale .

5.4 Il convegno di Belluno L’8 febbraio 2019, presso il Teatro Comunale di Belluno c’è stato un convegno, dal titolo “La tempesta Vaia: disastro o opportunità per le foreste del nord-est?”, che ha visto attori diversi attorno ad un tavolo discutere sul post-emergenza dopo la tempesta Vaia e sulla pianificazione degli interventi sul territorio in cui sono avvenuti gli schianti.

Il convegno, organizzato dalla Fondazione Angelini, dalla Sisef e dall’Università di Padova, ha registrato un’affluenza record, poco meno di 600 partecipanti, da ogni parte del Bellunese e d’Italia. Nell’occasione è stato presentato il “Rapporto sugli effetti della tempesta Vaia sulle foreste italiane”, con la presentazione dei dati sui boschi abbattuti e sui danni, coordinato dalla Direzione generale Foreste del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari, Forestali e del Turismo, in collaborazione con le Regioni Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia e le due Province autonome e realizzato per la parte scientifica dalla Sisef, la Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale.

Ricollegandosi perciò al titolo del convegno, con la tempesta Vaia il mondo scientifico si è interrogato sul tema se questo sia stato un disastro che porterà effetti negativi oppure se sia un’opportunità per cercare di invertire la negatività e superare la crisi, reinvestendo. Da questa tavola rotonda è dunque nato un obiettivo: ricostruire il patrimonio boschivoforestale distrutto con l’aiuto determinante della ricerca. Una base di conoscenza scientifica per ripartire nel migliore dei modi152. Tutto questo in funzione di una visione 151

Informazioni tratte dall’articolo Mattarella in visita a Belluno sorvola i territori devastati dal maltempo «Sull'orlo di una catastrofe climatica» dal link dell’Adige.it, Quotidiano indipendente del Trentino Alto Adige: https://www.ladige.it/news/cronaca/2019/03/12/mattarella-visita-belluno-sorvola-territori-devastatimaltempo-sullorlo.

152 All’interno della Scuola di Dottorato dell’Università di Padova partirà ad aprile un gruppo di lavoro per giovani che lavorerà su queste tematiche per 3 anni, gli young scientists for Vaia. (Informazioni ricavate dall’intervento del prof. Davide Pettenella, presente al convegno di Belluno, del Dipartimento del Territorio e sistemi agroforestali dell’Università di Padova).

100

che si concluderà a maggio del 2020 all’interno di Rete Rurale Nazionale 2014-2020.

Un caso fortuito ha voluto che il 29 ottobre, mentre avveniva il passaggio di Vaia, tutti i forestali italiani fossero riuniti al IV Congresso Nazionale di Selvicoltura a Torino. Da lì è nata l’iniziativa di creare un tavolo di coordinamento su questo evento, un gruppo di lavoro coordinato dal Ministero delle Politiche agricole - Direzione Generale delle Foreste e dall’altro tutti gli attori del territorio. Gli attori coinvolti dovranno fare rete per dare un supporto tecnico al Ministero dell’Agricoltura e alle Regioni di appartenenza nelle politiche di attuazione di sviluppo rurale153.

Come si potrà comprendere, gli effetti di questa tempesta saranno percepiti anche fra molti anni. Cercherò ora di illustrare, sulla base delle relazioni presentate al convegno, gli aspetti fondamentali di questo evento che sono stati di due tipi: quello paesaggistico – naturalistico e quello economico.

5.4.1 La superficie boschiva distrutta da Vaia In Val di Fassa, di Fiemme, in Cadore, nell’Agordino e in altre zone il paesaggio è letteralmente cambiato. Drammatiche le immagini e video che mostrano interi boschi del Trentino Alto Adige, Veneto e Friuli Venezia Giulia rasi al suolo da venti impetuosi. I danni al patrimonio forestale sono stati provocati dagli schianti di alberi a seguito di venti ad alta intensità che hanno interessato una fascia trasversale all’intera zona montana del territorio Veneto.

In totale l’area boschiva interessata dal passaggio della tempesta Vaia è stata di 8 milioni di mc di legname schiantato al suolo (circa 3 milioni in regione Veneto, 1 milione in Trentino, qualche centinaio nella regione Friuli Venezia Giulia).

In Veneto sono inoltre presenti 130 siti protetti appartenenti alla Rete Natura 2000 che occupano oltre 414.000 ettari di territorio, ovvero il 22,5% del totale e una parte di questi ricadono nelle aree colpite dal maltempo.

153

All’interno del gruppo di lavoro porta il suo contributo anche l’Università di Firenze, in quanto già portatrice dell’esperienza della foresta di Vallombrosa nel 2015, dove con un evento simile sono stati abbattuti 2.000 ettari di foreste. Avevano già provveduto ad un lavoro di monitoraggio, restituendo poi i dati alla Regione Toscana. Questi risultati sono serviti poi al Tavolo Europeo, per una richiesta di fondi.

(Dall’intervento Vaia: impatto sulle foreste e sui servizi eco sistemici di G. Chirici, presente al convegno e membro del SISEF, dell’Università di Firenze).

101

Fig. 5.21 - Un bosco di abeti abbattuto dopo il passaggio della tempesta Vaia (Fonte: https://ilbolive.unipd.it/it/event/tempesta-vaia-disastro-opportunita-foreste-nordest)

Fig. 5.22 - Alberi abbattuti dalla tempesta Vaia sotto la neve (Fonte: foto di Claudio Massarutto, g.c.)

102

«Per quanto riguarda i danni alle foreste, ad oggi si stima che la tempesta Vaia abbia interessato 473 comuni, un territorio complessivo di 2.300.771 ettari» ha spiegato Gerardo Chirici dell’Università di Firenze, uno degli attori presenti al convegno di Belluno «La copertura forestale nell’area interessata è stimata in 1.366.544 ettari, pari a circa il 60% del totale dei 473 comuni interessati».

I boschi danneggiati sono prevalentemente costituiti da fustaie coetaneiformi di abete rosso, misto a larice e faggio, in parte frutto di imboschimenti eseguiti nel primo dopoguerra

(zone

in

provincia

di

Vicenza),

nonché

boschi

a

struttura

irregolare/disetaneiformi di abete rosso, misto a larice e abete bianco (zone in provincia di Belluno). I boschi non erano disordinati, ma regolati da una pianificazione forestale molto accurata, tanto che alcuni interventi sono certificati (PEFC)154 e alcune proprietà dispongono della doppia certificazione (FSC)155. Erano boschi dove c’era una pianificazione programmata con piani di gestione per i prossimi 10 anni. Piani che andranno rivisti, sia nelle zone danneggiate che nelle foreste vicine.

Per la distruzione forestale, inoltre, sono state individuate due classi di danno156: 1° classe: dal 30% all’80% di alberi abbattuti o irrimediabilmente compromessi, per un totale di 6.944 ettari – con incidenza media dello schianto del 50% della superficie; 2° classe: dall’80% al 100% di alberi abbattuti, per un totale di 5.283 ettari totalmente schiantati, per un totale complessivo di 12.227 ettari.

Si tratta in parte di boschi di proprietà pubblica (per circa il 60%) e in parte di proprietà privata, tanto collettiva (Regole e Comunioni familiari), quanto singola. La devastazione del patrimonio forestale ha registrato un danno quantificabile in € 508.747.000 correlabile al danno del patrimonio paesaggistico ambientale per € 121.186.178.

Come ha spiegato G. Chirici (SISEF) nel suo intervento “Vaia: impatto sulle foreste e sui 154

Il Programme for Endorsement of Forest Certification schemes cioè il Programma di Valutazione degli schemi di certificazione forestale, è un sistema di certificazione per la gestione sostenibile delle foreste. Il sistema PEFC permette di certificare: la sostenibilità della gestione dei boschi e la rintracciabilità dei prodotti legnosi e cartacei commercializzati e trasformati che provengono dai boschi certificati PEFC. 155 Il Forest Stewardship Council (o brevemente FSC) è un'ONG internazionale senza scopo di lucro. Il FSC ha dato vita ad un sistema di certificazione forestale riconosciuto a livello internazionale. La certificazione ha come scopo la corretta gestione forestale e la tracciabilità dei prodotti derivati. Il logo di FSC garantisce che il prodotto è stato realizzato con materie prime derivanti da foreste correttamente gestite secondo i principi dei due principali standard: gestione forestale e catena di custodia.

156 Le superfici forestali interessate sono state rilevate in via speditiva mediante sopralluoghi nelle località colpite, in attesa di poter acquisire più puntuali dati satellitari . (Vedi Dipartimento della Protezione Civile della Regione Veneto, Relazione di eventi calamitosi occorsi tra ottobre e novembre 2018).

103

servizi ecosistemici”, la mappatura dei singoli schianti è avvenuta grazie ad una piattaforma che utilizza le immagini da satellite: Copernicus. Questa è un’iniziativa dell’Agenzia Spaziale Europea e della Commissione Europea creata nel 2001 e finalizzata a fornire entro il 2021 la capacità all’Unione Europea di agire autonomamente nel settore della sicurezza e dell’ambiente tramite le rilevazioni satellitari in tempo reale. Il sistema lavora con un satellite chiamato “Sentinel”.

Nel periodo tra il 29 ottobre e il 29 gennaio il satellite ha restituito 4.000 ettari di foreste abbattute, copertura nuvolosa sempre permettendo (oltre il 50% dell’area non è coperta neanche da un’immagine senza nuvole). L’immagine viene acquisita ogni 5 giorni. Il grosso è già stato mappato, ma con la stagione migliore potrebbero esserci dei probabili aggiornamenti.

Il lavoro di mappatura e di creazione di cartografie è stato affidato ad Avepa (Agenzia Veneta per i pagamenti in agricoltura) che però dispone di immagini protette dal copyright e visibili solo agli operatori addetti.

Riassumendo, l’entità del danno ai boschi e alle foreste è tale che occorreranno decenni o secoli per riparare le ferite aperte dalla perdita di 25.000 ettari di bosco fra Asiago e Cortina e di oltre 1 milioni di metri cubi di alberi caduti in Trentino Alto Adige, pari al doppio del legname che abitualmente viene portato nelle segherie ogni anno.

5.4.2 La gestione forestale per gli schianti Come riportato nella seconda parte del convegno, negli interventi Considerazioni sui sistemi di utilizzazione del legname danneggiato di R. Cavalli e S. Grigolato dell’Università di Padova e Strategie di conservazione per la trasformazione tecnologica di M. Fioravanti dell’Università di Firenze e R. Zanuttini dell’Università di Torino, il passaggio della tempesta Vaia ha lasciato legname schiantato al suolo e danneggiato con criterio non ordinato, che ora bisogna pensare a ripulire e portare via dove è possibile.

E’ necessaria perciò una corretta pianificazione e gestione degli interventi. Interventi che non sono di tipo ordinario, e che non fanno parte della cosiddetta “pianificazione forestale programmata”.

Nella prima fase del post-emergenza, il ruolo dei tecnici forestali è determinante per la conoscenza del territorio. C’è da studiare la storia dei versanti colpiti, storie diverse sia

104

all’interno di uno stesso comprensorio, che all’interno della stessa valle o della stessa particella forestale.

Fig. 5.23 – Comuni nei quali sono stati rilevati schianti del bosco (Fonte: Relazione di eventi calamitosi occorsi tra ottobre e novembre 2018, del Dipartimento della Protezione Civile della Regione Veneto)

Le aree danneggiate sono su ampia estensione: ci sono aree facilmente gestibili dal punto di vista delle utilizzazioni e aree molto complesse per gli interventi 157. Ci sono state tipologie di danno diverse, con superfici forestali coinvolte le cui funzioni variano da produttive a protettive.

Le pendenze medie dei versanti colpiti possono arrivare fino all’80%, pendenze importanti dove la meccanizzazione e i nostri sistemi di utilizzazione trovano delle difficoltà ad 157

Sono utilizzazioni ad elevato rischio per la sicurezza e la salute degli operatori.

105

operare per una serie di fattori che variano dal tipo di ditta boschiva che opera fino all’accessibilità della rete infrastrutturale158.

Abbiamo tre tipologie di aree in cui bisogna intervenire: a) aree dove non è auspicabile lo sgombero (rischio valanghe, rischio ambientale, non utilizzazioni ma solo interventi minimi); b) aree dove lo sgombero è parziale (aree in cui conviene intervenire e aree dove è meglio lasciare il materiale a terra); aree dove lo sgombero è totale (utilizzazione completa delle superfici danneggiate).

Dalle prime stime, il 50% del materiale danneggiato risulta facilmente accessibile, mentre quasi 1/4 risulta estremamente difficile da raggiungere, e di conseguenza bisognerà attivare ragionamenti diversi in termini di prelievo o sgombero di queste aree. Vista la dimensione dell’evento, c’è la necessità da parte delle nostre ditte boschive tradizionali di collaborare con imprese straniere provenienti da Austria, Germania, Slovenia, Svizzera, ecc. che sono altamente specializzate in tecnologia per utilizzazioni da schianti per intervenire in sicurezza e in tempi rapidi per l’asportazione di lotti di grandi dimensioni.

Asportazione che genererà successivamente un’altra criticità in ambito logistico (di cui si parlava precedentemente): si dovrà tener conto di quale sarà la viabilità presente. Per esempio se si hanno 120 mc di utilizzazione, ciò implicherà che l’impresa ogni giorno genererà 3 o 4 autotreni di legname che dovranno percorrere la rete ordinaria e secondaria.

Basti pensare che sull’asse del Brennero, dove ci sono dei limiti nei trasporti (non sono consentite determinate tonnellate) gli autotreni non viaggeranno a pieno carico. Se poi dovessero esserci 7 o 8 autotreni al giorno che transitano sulla viabilità forestale, questa a livello infrastrutturale potrebbe anche cedere.

Collaborare con imprese straniere sarebbe poi da un lato un’occasione per crescere in esperienza e confrontarsi su sistemi di utilizzazioni diversi dai tradizionali, da un altro farebbe emergere alcuni problemi tra cui la lingua diversa dall’italiano. Raffaele Cavalli, dell’Università di Padova durante il convegno, parlando di sistemi di utilizzazione del legname danneggiato, ha portato l’esempio che sull’Altopiano di Asiago, su un lotto preciso, è stato difficile spiegare alla ditta di lasciare le ramaglie sulle piste. Il problema di comprensione della lingua in questi casi è fondamentale e bisognerebbe quindi coinvolgere nei cantieri anche i traduttori locali su sostegno delle Regioni.

158

Rete infrastrutturale che è diversa in termini di percorribilità (non solo quantità di strade, ma qualità).

106

Mentre nella pianificazione forestale programmata molto materiale che usciva dal cantiere andava direttamente in segheria, dopo Vaia c’è la creazione di siti di stoccaggio per la conservazione del legname. Nella seconda fase, perciò, l’obiettivo è di mantenere la qualità del legno nel tempo, non solo in termini economici, ma anche ambientali. Non esiste una strategia di conservazione che vada bene per tutti i contesti, ma si utilizzeranno strategie che di volta in volta dovranno essere contestualizzate.

Le strategie sono diverse e complementari: - Conservazione degli alberi in sito: una pianta abbattuta mantiene ancora una certa parte di radici collegate al suolo. Quella pianta continua la sua attività fisiologica.

- Essiccazione rapida all’aria: portare via l’acqua dal legno più rapidamente possibile. È uno stoccaggio molto semplice con dei costi bassi che permette di stoccare enormi quantitativi di legname. È adatto per le sole conifere. D’altro canto però il legno essiccato perde parte del suo valore ed è esposto a rischi quali l’attacco dei funghi e fessurazioni profonde dovute all’esposizione ai venti.

- Immersione: conservazione del legname in lago artificiale o naturale con bassi costi di esercizio. La conservazione avviene per periodi molto lunghi. D’altro canto potrebbe avere un impatto locale su flora e fauna acquatiche. Successiva difficoltà di recupero del legname (uso di piccoli natanti e personale addestrato).

- Aspersione/irrorazione: conservazione del legno su piazzale per periodi anche prolungati, con possibilità di utilizzare preservanti contro l’azzurramento. D’altro canto l’uso dell’acqua dei piazzali deve rispettare i limiti di legge per poter essere conferita in pubblica fognatura o depuratore.

- Conservazione in ambiente anossico: la catasta di legno viene coperta con teli di PVC. Si viene a creare una sorta di silos artificiale dove inizia un processo di fermentazione che in brevissimo tempo consuma tutto l’ossigeno che è all’interno e impedisce la sopravvivenza di organismi aerobici. Rispetto allo stoccaggio per aspersione non sono necessarie risorse idriche, né monitoraggi giornalieri e non vi è rischio di inquinamento.

Rischi per cui è fondamentale la conservazione: - Economici: a seguito di rottura da schianto il legname perde parte del suo valore.

Un danno che diventa importante se quel legno deve venire usato dalle segherie per fini strutturali. Con il passare del tempo il materiale si deteriorerebbe ulteriormente.

107

Conservare il legno schiantato quindi equivale a mantenerne il suo valore economico.

- Ambientali: il legno è una risorsa importante che non può essere abbandonata lì primo perché il nostro ambiente non se lo può permettere, avendo un valore ambientale alto, secondo perché verrebbe attaccato da funghi e soprattutto dal bostrico, la paura di molti forestali.

5.4.3 Il rischio fitopatologico Come già detto nel capitolo dedicato ai danni lasciati dalla Grande Guerra, la paura più grande da parte dei forestali successivamente alla caduta di alberi è un insetto: l’Ips typographus o bostrico dell’abete rosso.

Il bostrico tipografo è un insetto dell'ordine dei coleotteri e della famiglia dei curculionidi che si deposita sotto alla corteccia del legno. Scava poi delle gallerie e depone le uova.

Alla schiusa, la larva si nutre del legno, scavando ulteriori gallerie (sempre sotto la corteccia) che si diramano da quella di partenza, andando a formare un disegno caratteristico che dà al bostrico tipografo il suo nome. Una volta pronta, la larva viene depositata al termine della galleria: i giovani adulti, una volta cresciuti, continuano a nutrirsi del legno per un certo periodo, uscendo dalla corteccia tramite dei buchi larghi 2-3 mm. Si tratta di un parassita considerato molto pericoloso, che colpisce principalmente gli abeti rossi (Picea abies).

Normalmente, il bostrico tipografo attacca e si riproduce nel legno malato o già morto, ad esempio alberi caduti, ceppi o tronchi tagliati; durante un'infestazione colpisce invece anche gli alberi sani, e nei casi più gravi, o in concomitanza con altri tipi di danno preesistenti (come incendi, tempeste e guerre), questo insetto può portare alla morte intere foreste159.

La misura più efficace per combattere le infestazioni del bostrico tipografo è la rimozione degli alberi colpiti e di tutto il potenziale materiale riproduttivo (alberi deboli o caduti, tronchi con corteccia, ecc.) prima che la nuova generazione di adulti emerga dalla corteccia. Nella stagione invernale si trova nello stato adulto nelle cortecce o nel terreno, 159

Informazioni tratte dalla voce Ips typographus da Wikipedia, l’enciclopedia libera, al link: https://it.wikipedia.org/wiki/Ips_typographus.

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durante il periodo primaverile si attiva e si riproduce da una a tre generazioni.

Normalmente, questo insetto viene respinto dalla pianta forte attraverso la resina, mentre quando la pianta è indifesa gli insetti si possono moltiplicare da 1 a 100.

5.4.4 Il mercato del legname160 Se dovessimo guardare la tempesta Vaia dal punto di vista economico, potremmo sicuramente dire che è stata un disastro. Come ha detto il dottor N. Dell’Acqua, della Regione Veneto ‹‹È arrivata una guerra a cui nessuno di noi era preparato. È arrivata una guerra e noi non avevamo neanche il Ministero della Difesa››161.

Vaia ha colpito la filiera del legno, che già sentiva gli effetti della recessione (meno investimenti in edilizia, ridotta domanda di segati, aspettative negative degli operatori), e che a ottobre è stata ancor più enormemente penalizzata, tanto che il valore del legname che viene venduto oggi è minore rispetto a quello originario, causando così un danno non solo per tutta la filiera, ma anche per la parte pubblica.

Mentre prima di Vaia il legname veniva venduto a 70Euro/mc, dopo Vaia lo si piazza a 10Euro/mc. Il mercato del legno era già un mercato saturo. In 3 giorni è stato schiantato al suolo ciò che veniva tagliato in un anno. 8,5 milioni di MC è pari a 7 volte la quantità dei tronchi da sega in media lavorati dal settore italiano delle segherie.

Una quantità di materiale talmente elevata che la capacità di lavorazione industriale ha un numero molto contenuto di segherie in Veneto che difficilmente riusciranno ad avere un’elevata capacità di lavorazione di questo legname, per cui dovranno appoggiarsi ad altre segherie.

Sono così calati i prezzi di mercato e stanno aumentando le aste andate deserte, molte di più per i lotti in piedi che su strada (quest’ultimi hanno già avuto una spesa preventiva per la copertura dei costi di utilizzazione da parte dei Comuni).

Ci sono molte aste presenti, basti pensare che dal 2017 sono già state monitorate 1800 aste.

Non è solo materiale messo all’asta, ma materiale venduto in dimensione abbastanza significativa. Il dato preoccupante però oggi è che sono diminuite le ditte che partecipano alle aste.

160 161

Dall’intervento Il mercato del legname del prof. Davide Pettenella, dell’Università di Padova.

Il dott. N. Dell’Acqua è stato presente al convegno di Belluno come portavoce della Regione Veneto.

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Il prof. Pettenella riporta l’esempio dell’asta di Grigno, la più grande asta singola ad evento avvenuto mai realizzato in Italia: 276.000 mc di legname in 8 lotti, più del doppio di quello che ordinariamente veniva tagliato in regione Veneto, in una singola asta.

Secondo Pettenella, avremmo dovuto stoccare il materiale, utilizzarlo e metterlo nel mercato in tempi lunghi in modo tale da non far crollare i prezzi, valorizzando così le ditte locali (maggior continuità di lavoro) e assicurare maggior stabilità nel flusso delle rendite per i proprietari.

Qual è il danno economico allora? Le prime stime calcolano in 174 milioni di euro su 434 milioni totali il valore del danno determinato da questa offerta eccessiva sul mercato.

Maria Cristina D’Orlando, Presidente di Pefc Italia a proposito dichiara: Il danno è enorme per l’economia di tutto il settore i proprietari pubblici e privati con i boschi distrutti dovranno ora sostenere maggiori costi di taglio ed esbosco del legname, perdita di valore del legno, programmazione da rivedere, costi del ripristino. Anche lavorare in bosco, in queste condizioni, sarà più costoso (+30%) e pericoloso in zone dove la viabilità è stata compromessa dalle rovinose piogge associate alla tempesta. Inoltre la grande quantità di legname sul mercato ha innescato un’aspettativa di ribasso che sta condizionando tutti gli operatori della filiera e, per almeno 2-3 anni, si dovrà lavorare con volumi di legname 162 straordinari facendo investimenti importanti .

Come disse B. Hellrigl è stata una “martellata di Dio” in cui i vincitori sono le aziende che producono energia elettrica e termica (l’impiego di questo legname potrebbe essere in buona parte utilizzato come biomassa a fini energetici, una materia prima la cui lavorazione non crea però valore aggiunto), i consumatori di legna da ardere, le industrie dei pannelli, le industrie della carta, le imprese boschive e di trasporto, le industrie di imballaggi, le segherie; i perdenti invece la collettività (in particolare delle aree colpite e i proprietari forestali).

Ora bisogna aiutare il mercato del legname made in Italy a posizionarsi in modo competitivo nel mercato internazionale.

Ci sono alcuni decreti pronti che il governo vuole attuare per dare una mano alla filiera del legno come ad esempio abbassare l’IVA, una tassazione del 15% comprensiva del legno, dare un valore aggiunto al marchio di montagna e fare una spesa per la promozione del prodotto di montagna.

162

Informazioni tratte dall’articolo Una filiera virtuosa per il recupero del legno del post-Vaia, consultabile al link: https://www.milleunadonna.it/green/articoli/una-filiera-virtuosa-recupero-legno-post-vaia-00001/.

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5.4.5 L’aspetto paesaggistico – naturalistico Nell’area Dolomitica siamo in presenza di un patrimonio forestale importante dal punto di vista quantitativo e qualitativo che negli ultimi anni ha avuto un trend di crescita. Dopo Vaia si parla di un paesaggio che è stato distrutto, che è stato sconvolto. Un danno gravissimo che segnerà per anni il tessuto ambientale, paesaggistico, naturalistico dell’intero Cadore e non solo.

Serve una mentalità di tipo dinamico, di tipo evolutivo, non possiamo pensare che le foreste rimangano per secoli uguali a prima. Bisognerà attivare alcune strategie per arrivare alla soluzione finale, ovvero a ripristinare la naturalità, l’equilibrio dell’ecosistema, che consenta a quest’ultimo di ripristinarsi e di andare avanti. Tra tutti gli ecosistemi possibili, la foresta, essendo la più strutturata, è quella che ci dà più informazioni in assoluto: ci leggiamo la storia del passato, ci leggiamo il bosco di oggi, e come fa un forestale ci immaginiamo il bosco di domani.

Il bosco è troppo importante per la sua multifunzionalità, dobbiamo lasciare che la natura si ripristini da sola. I bellunesi sono stati bravi nell’emergenza, ma il concetto del bosco è un po’ diverso, vogliamo ricostruire subito, ma non possiamo avere la presunzione di riuscire a ripristinare esattamente quello che c’era prima, lasciamo invece che per il bosco si vada con più calma, studiando versante per versante. Mai si riuscirà a ripristinare la situazione preesistente. È un’occasione storica in cui si potrebbero utilizzare delle stazioni di monitoraggio per andare a capire cosa succede, per capire come funziona un ecosistema.

Una posizione che accomuna Daniele Zovi con il dott. Cesare Lasen è proprio la creazione di queste zone lasciate come monitoraggio per l’ecosistema. Nell’Altopiano di Asiago c’è il “bosco testimone”, una riserva naturale in località Clöise (parte del percorso storicoambientale Kaberlaba – Clöise), che da 20 anni è escluso da ogni forma di selvicoltura, anche in presenza di schianti, disseccamenti o eventi di deperimento e lasciato a libera evoluzione. Si vuole vedere la natura in azione. Cesare Lasen li chiama invece “boschi vetusti”, s’intende quei lembi di foresta che hanno caratteristiche di elevata naturalità grazie a particolari condizioni (localizzazione remota, peculiari situazioni amministrative ecc.) che li hanno preservati dall’uso intensivo almeno negli ultimi decenni.

Dove si formeranno le grandi aree di rinnovamento, sarà anche importante fare un controllo attraverso un attento monitoraggio, e in questo la ricerca scientifica potrà aiutare. È buon auspicio salvaguardare i valori, fare una distinzione tra valori paesaggistici e valori

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naturalistici, si tratta di aspetti collegati ma da tenere separati. Mentre il paesaggio può piacere o meno, ci sono dei fattori di carattere emotivo che dipendono dal momento, dalla stagionalità, dalle condizioni metereologiche, per quanto riguarda i valori naturalistici si parla di un patrimonio biologico che è fatto di organismi viventi importanti. Gli equilibri ecologici del sistema sono in evidente crisi, viviamo in un pianeta le cui risorse sono limitate. Questo significa indebitarsi con le generazioni future.

5.5 Achille come Greta, gli occhi dell’innocenza di fronte alle tragedie All’interno di questo capitolo, ho voluto parlare di Greta, un’attivista di soli 16 anni che con la sua battaglia contro il cambiamento climatico sta smuovendo le grandi nazioni in nome delle future generazioni. Vorrei ora soffermarmi su un altro protagonista, sempre un bambino, per far capire come i più sensibili alle grandi tragedie siano i più piccoli. I bambini, che con i loro gesti semplici e umili hanno il potere di smuovere le coscienze.

Il suo nome è Achille Marigo, un bambino veneto di 9 anni che vive a Mira. Subito dopo la tragedia, impressionato dalle immagini trasmesse dai media di boschi e vallate distrutte dalla tempesta Vaia, decide di esprimere la sua solidarietà attraverso uno dei modi più semplici che hanno i bambini per comunicare, e così, in mezzo alla corrispondenza che quotidianamente arriva ad Andrea De Bernardin, sindaco di Rocca Pietore, la cittadina più martoriata dal maltempo di fine ottobre, spunta una lettera, una busta diversa con un format non ufficiale rispetto alle altre. Il suo contenuto è il seguente: «Mi piace molto andare in montagna e siccome mi dispiace molto per quello che è accaduto, mi piacerebbe rivedere montagne con i boschi perché da grande mi piacerebbe entrare nel corpo forestale. Vi dono un aiuto con i miei risparmi. Cordiali saluti». Allegati, 5 euro.163 Lui, che con la passione grandissima per la montagna, ama il lupo, va a raccogliere i funghi con il nonno, sta imparando a riconoscere le tracce degli animali e le specie delle piante, voleva assolutamente dare una mano. ‹‹È la donazione più generosa e l'aiuto più bello perché arriva da un bambino dolcissimo 163

Informazioni tratte dall’articolo Belluno, a 9 anni scrive al sindaco: ‹‹Ecco i miei risparmi per aiutare la montagna ferita››, del Corriere del veneto online, al seguente link: https://corrieredelveneto.corriere.it/belluno/cronaca/18_novembre_13/belluno-bimbo-9-anni-scrive-sindacoecco-miei-risparmi-aiutare-montagna-8891bd06-e769-11e8-82a7-4ea97e720463.shtml.

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che ha dato forse tutto quello che aveva nel suo salvadanaio, conserviamo la lettera come un oracolo›› ha dichiarato il primo cittadino De Bernardin. ‹‹I bambini sono capaci di gesti semplici e straordinari e il tuo desiderio di entrare a far parte del corpo forestale ci inorgoglisce ed onora. Sei grande, piccolo Achille! Un abbraccio e grazie di cuore, anche a mamma e papà›› ha scritto invece il governatore del Veneto Luca Zaia164.

Fig. 5.24 – La lettera del piccolo Achille (Fonte: https://www.corriere.it/cronache/18_novembre_13/)

La storia di Achille mi è stata raccontata il giorno in cui ho conosciuto anche la guardia boschiva Elvio Bez e il famoso liutaio Carlos Garfias, di cui ho già raccontato la storia nel 164

Informazioni tratte dall’articolo “Ecco i miei risparmi per aiutare” la lettera del piccolo Achille per la montagna distrutta, del link: https://www.fanpage.it/ecco-i-miei-risparmi-per-aiutare-la-lettera-del-piccoloachille-per-la-montagna-distrutta/.

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capitolo precedente.

Tra i gesti di generosità arrivati nel bellunese nelle ore successive alla tragedia, non c’è stato però soltanto quello di Achille. Infine, come riporta l’Ansa, un’azienda vicentina, distributrice a livello nazionale di prodotti e attrezzature forestali, ha voluto donare ai vigili del fuoco 56 motoseghe, come contributo all’opera di soccorso che i pompieri hanno condotto per il maltempo che ha colpito il Veneto, devastando parte del patrimonio boschivo165.

Fig. 5.17 – Donazione delle motoseghe da parte della ditta vicentina Stiga (Fonte: Pagina Istituzionale Gianpaolo Bottacin Assessore regionale del Veneto)

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Informazioni tratte dall’articolo Azienda dona 56 motoseghe a pompieri, dal sito dell’Ansa.it Veneto, al seguente link: http://www.ansa.it/veneto/notizie/2018/11/12/azienda-dona-56-motoseghe-a-pompieri_5300fb00-dd84-4c248f78-802bc4fae58e.html.

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6. LA RISPOSTA DELLE ISTITUZIONI

6.1 La conferenza stampa Di seguito vengono riportate le dichiarazioni rilasciate da Luca Zaia Governatore della Regione Veneto – e nominato successivamente Commissario Delegato per gli interventi il giorno 16 novembre166 – durante la conferenza stampa167 tenuta il giorno 4 novembre 2018 presso il CSS Centro Coordinamento Soccorsi dell'Aeroporto di Belluno.

Fig. 6.1 – Conferenza stampa istituzionale del 4 novembre 2018 (da sinistra verso destra: ing. Luigi D'Angelo direttore generale emergenze del dipartimento nazionale della protezione civile, ing. Fabio Dattilo direttore interregionale dei vigili del fuoco, dott. Francesco Esposito prefetto di Belluno, sen.

Matteo Salvini Ministro dell'Interno, dott. Gianpaolo Bottacin assessore regionale all'ambiente e alla Protezione civile, Angelo Borrelli Capo Dipartimento della Protezione Civile).

(Fonte: http://www.affaritaliani.it/coffee/video/politica/maltempo-veneto/)

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Comunicato Stampa n° 1810 (link online sito Regione Veneto).

La conferenza stampa è visibile online al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=qvCDx5ZB7og&t=490s.

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In particolare il Governatore Zaia ha rilasciato una articolata e molto ricca dichiarazione utile a ricostruire come le istituzioni avevano conoscenza e prontezza della situazione.

In questi giorni abbiamo espresso la volontà di visitare le aree. Abbiamo organizzato un bel giro: abbiamo visto innanzitutto la Vall'Agordina, abbiamo visto Agordo, siamo stati a Rocca Pietore, abbiamo visto Serrai Sottoguda, abbiamo avuto modo di vedere il fango e i detriti arrivati nelle case e la devastazione, tra l'altro stavano ancora recuperando auto dalle macerie.

Abbiamo visto la devastazione che c'è stata in quel luogo di attrazione turistica sotto la Marmolada che è il nostro Canyon. Serrai sottoguda che oggi non esiste più che pian pianino dovremmo recuperare. Poi siamo stati in sorvolo, abbiamo visto tutta la parte delle altre località Colle Santa Lucia, Taibon, Lago di Alleghe (con i detriti), un po' tutte queste zone …

Siamo passati nel Cadore, anche lì in sorvolo siamo andati a vedere i danni soprattutto le parti franose in zona Cadore e infine in Comelico. In Comelico abbiamo fatto visita alla terra su due comuni: siamo stati a San Stefano di Cadore e San Pietro di Cadore e abbiamo visto appunto l'effetto della forza della natura di quel lunedi, su Santo Stefano con delle frane e San Pietro di Cadore con delle cadute arginali e quindi la messa in sicurezza necessaria della Strada Provinciale. Infine in volo siamo stati - e finisco il report perchè è giusto che si sappia: è dalle 8.30 di questa mattina che siamo in volo in giro per le montagna – siamo stati in Val Disdende a vedere gli schianti, quindi gli schianti della Val Disdende e il lago, quel lago che è diventato poi immagine iperdiffusa, (grazie anche per lo spazio che date alla tragedia del Veneto) quel lago che è pieno di tronchi, quel lago che era un lago con l'acqua smeralda, un'acqua assolutamente cristallina che oggi è pieno di tronchi e detriti. Quali sono gli esiti di questa tragedia? Stiamo parlando di quasi 100.000 ettari, li stiamo misurando alla perfezione avvalendoci tra l'altro del Sistema Copernicus, quindi con un modello che ci dia proprio la puntualità e la precisione nelle misurazioni. 100.000 ettari di bosco che se ne è andato. 100.000 ettari paesaggio che se ne è andato. 100.000 ettari di messa in sicurezza che dobbiam fare perchè li ci sono tronchi pericolanti da portar via, da smaltire, e poi ci sono ovviamente le ripiantumazioni. Le frane: le frane sono molte nei territori e i detriti arrivati a valle, frane importanti anche in alcuni casi. Almeno 100 km di strade (quando dico strade intendo viabilità comunale, provinciale e regionale) ammalorate, franate e scomparse, magari crollate lungo le aste del Piave, dei fiumi o del cordevole. Per le strade silvopastorali non vi so dire al momento quali sono quelle ammalorate e a quanto ammontano. E poi abitazioni, patrimonio privato delle abitazioni. Oggi in Val Disdende abbiamo visto una casa crollata dentro nel fiume e ancora abbiamo incontrato fra l'altro tanti cittadini, tanti uomini, tante donne con la pala in mano che spalavano ancora il fango. Quindi i danni delle frane, i danni dei boschi, i danni al patrimonio dei cittadini. Ricordo che l'esito di questa avversità atmosferica per noi ha significato 160.000 utenze elettriche da subito senza alcuna fornitura di energia, ha significato fino a ieri l'isolamento totale di queste comunità del segnale della telefonia mobile – non parliamo di quella fissa – ha significato per molte comunità, questa mattina abbiamo incontrato parecchi Sindaci, la perdita di parecchi acquedotti (ci sono alcune comunità che non hanno più l'acquedotto) e quindi arriveranno le autocisterne con l'acqua potabile, stanno arrivando/sono arrivati in alcune località i contabilizzatori, la verità è che però la devastazione è stata una devastazione forte. Borrelli ieri l'ha definita una scena apocalittica. Direi assolutamente che è una scena apocalittica e che merita per la nostra montagna veneta un piano, magari una frase abusata, però penso che oggi ci stia no, un vero e proprio piano Marshall della montagna. I romani dicevano che si ricostruisce non dalle macerie, ma si parte dalle ceneri. Noi siamo arrivati alle ceneri. Abbiamo due grandi gol, due grandi sfide: la prima è quella di ripristinare il patrimonio velocemente, la seconda di farlo talmente velocemente in modo da evitare che i cittadini scelgano di fare le valigie e andarsene dalla nostra montagna. Chiudo facendo un appello: un appello ai cittadini, intanto ringrazio perché moltissimi hanno già iniziato a mandarci gli screenshot o le foto via mail o le ricevute via mail delle donazioni, quindi chiedo a tutti di diffondere l'iban della Regione Veneto […] Ringrazio tutti quelli che hanno lavorato a iniziare ovviamente dalla Protezione Civile – il mio assessore – i volontari della Protezione Civile, dell'esercito, la Croce Rossa, la Prefettura di Belluno in questo caso, tutti i Vigili del

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Fuoco, la Protezione Civile Nazionale, gli alpini, i volontari, tutti quelli che ho dimenticato veramente grazie di cuore a tutti, grazie al mondo della comunicazione […] oggi sul terreno c'è una grande emergenza che è quella del Veneto. Chiedo ancora di esserci affianco e di sostenere questa nostra sfida. Ringrazio anche chi ha telefonato il Presidente Mattarella, che ieri ha chiamato esprimendo la sua vicinanza e dicendo che si tiene ora dopo ora costantemente aggiornato sulla vicenda del Veneto. Ringrazio il Presidente Vucic della Serbia, anche lui per esprimermi la solidarietà e la vicinanza (rapporto di amicizia con questa comunità), ringrazio i Padri, i frati della Comunità San Francesco di Assisi che hanno voluto scrivermi proprio stanotte, esprimere la loro vicinanza con una preghiera […] grazie al Ministro Salvini, grazie per essere qui, perché sentiamo il governo vicino, grazie.

La parola successivamente passa al Ministro dell’Interno Matteo Salvini: [...] Sono in contatto con il Presidente del Consiglio che unisce in un abbraccio il paese che soffre dal Veneto alla Sicilia. […] io non ho trovato gente rassegnata, gente che aspetta che accada qualcosa dall'alto e che provveda lo Stato, la sorte o il prossimo. Ho trovato gente che stava scavando da 3-4-5 giorni, non porto solo solidarietà […]. Penso che sia un’occasione per riflettere sicuramente sugli eventi naturali, e se il vento tira a 180 km/h e se il Piave rimbomba ovviamente puoi limitare i danni. […]. Quando si parlava di lasciar gestire la montagna alla gente di montagna […] questa è una riflessione che avremo il diritto e il dovere di fare perchè il bosco vive e se il bosco non lo curi, o se il greto del torrente o del fiume non lo draghi, evidentemente non è solo Madre Natura che si ribella […] ci sono comunità che si rimetteranno in piedi, ed economicamente parlando avranno bisogno di sostegno, perché non vogliamo che si spopolino, e questo vale sia per il Bellunese che per il resto del paese […]

Riprende poi il discorso il Governatore Zaia: La legge della Protezione Civile è chiara, l'autorità della Protezione Civile è rappresentata dalla Regione e dal suo Presidente, dopodiché quando ci sarà l'ordinanza a livello nazionale il ruolo commissariale passa tutto al Presidente della Regione […] abbiamo già l'esperienza del 2010, avevamo 235 comuni alluvionati, 10.040 famiglie e imprese sottoacqua. Lì si è applicato un modello federalista: il commissario ha fatto presentare le prime stime dei danni comune per comune, e lì subito abbiamo stanziato un primo 30% sulla parola, poi siamo andati a conguaglio fino al 75%. Per quanto riguarda gli schianti, i 100 mila ettari di abeti – il 99,9% sono abeti - dovranno avere una gestione innanzitutto rapida nell'esportazione, dovremmo cercare di capire se sul mercato, devo dire che delle aziende grosse, multinazionali si sono proposte per recuperare tutto il materiale, pagarlo e trasformarlo in prodotti industriali (che non riguardano cippato, non riguardano pannelli), nel rispetto della legge faremmo queste cose.

Alla fine dovremmo presentare un piano di gestione dei boschi, e qui coinvolgeremo l'Università di Padova, c'è il Professor Cavalli, che è il massimo esperto di selvicoltura, un lavoro dove ripiantumeremo. La mia idea è che la ripiantumazione dovrà essere un po' più ripiantumazione autoctona, quindi metterci sì abete, ma anche larice dove c'è ne' poco, metterci i ciliegi selvatici, i faggi in maniera tale che siano boschi molto più deformanti di quelli che abbiamo visto adesso. Questo è quello che accadrà.

Alla fine aggiunge che: Si è già attivato il Governo nella figura del Sottosegretario Borgonzoni, si è già attivata scrivendo due righe all'Unesco sulla partita dell'Unesco, stiamo parlando di montagne patrimonio dell'umanità. Il ministro Giorgetti ha già stanziato 1 milione di Euro per fare il Bosco del Centenario, faremo un museo perenne in un bosco nuovo creato per le scolaresche.

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6.2 Intervento della Croce Rossa Per poter capire quale ruolo avesse svolto la Croce Rossa in merito ai soccorsi durante la calamità, ho contattato il Comitato CRI della Sezione di Belluno. Qui di seguito è riportata l’intervista (in corsivo le domande) al suo presidente, il signor Fabio Zampieri.

Successivamente al passaggio del ciclone Vaia, come si è mossa la Croce Rossa nei territori della Provincia di Belluno?

L'attività di Croce Rossa di Belluno è stata la seguente: nell'immediatezza dell'allarme, la Croce Rossa Italia ha attivato le proprie strutture locali, regionali e nazionali.. Già la mattinata del 30 ottobre a pochissime ore dall'evento, era presente in loco una unità del Centro Operativo di Emergenza di Settimo Torinese, composto da sei specialisti in vari ambiti dell'emergenza, che hanno coordinato il lavoro di tutti i volontari arrivati da alcuni comitati del veneto e del Nord Italia. I comitati di Belluno e di Feltre, hanno fornito l'appoggio logistico con l'impiego massiccio delle proprie risorse umane e di materiali, compatibilmente con le dimensioni, piccole, dei due comitati. Le forze di CRI sono state indirizzate dal CCS Provinciale al Comune di Gosaldo, nell'Agordino, che presentava alcune frazioni isolate ed era privo di corrente elettrica.

Quali sono stati i principali soccorsi dati? (A livello di intervento) I volontari hanno provveduto ad aprire le strade liberandole dalle piante cadute e da alcuni smottamenti, riuscendo a raggiungere già in giornata due frazioni isolate per portare aiuto a comunità soprattutto di anziani rimasti isolati. E' stato fatto il censimento della popolazione presente e dei suoi bisogni, evacuato persone in difficoltà, fornito medicinali salvavita, bombole di ossigeno, installato generatori, installato ponti radio per le comunicazioni. Questa attività è proseguita per due o tre giorni, dopo in quali la CRI ha potuto dedicarsi alla propria attività di elezione che è la cura delle persone e dunque distribuzione di alimentari e medicinali, distribuzione di abiti, bombole di ossigeno, trasporto di persone impossibilitate a muoversi, assistenza sanitaria con ambulanza ai vigili del fuoco e soccorso alpino impegnati in attività a rischio, supporto al SUEM per l'assistenza sanitaria alla popolazione con due ambulanze sempre pronte a partire. I mezzi impiegati sono stati: un camion grande con ruspetta Bobcat, tre o quattro fuoristrada, tre ambulanze, due autovetture logistiche ed un camioncino.

Volontari: I comitati di Belluno e Feltre complessivamente una sessantina di persone più un'altra quarantina provenienti da altri comitati e dal COE di Settimo Torinese.

A livello umano, qual è stata la reazione della popolazione?

La popolazione locale ha reagito in maniera estremamente composta attivandosi autonomamente ben prima del sopraggiungere dei soccorsi. Gli aiuti sono stati tempestivi ed efficaci anche per il comportamento stesso della popolazione che ha agevolato in ogni modo il lavoro dei soccorritori, volontari e professionisti. Esemplare il Comune di Rocca Pietore, fra i più colpiti, che malgrado le indicibili difficoltà in cui si trovava, ha organizzato un punto di ristoro presso il proprio asilo presso cui tutti i volontari si potevano liberamente recare per mangiare un pasto caldo: la pasta più buona mai mangiata, condita con la riconoscenza e la voglia di ripartire subito. Straordinaria l'azione dei sindaci e delle autorità in generale, Prefetto in testa, che hanno provveduto a lanciare gli opportuni allarmi prima degli eventi, chiudendo uffici e scuole, ed evitando sicuramente così un numero di vittime che avrebbe potuto essere drammaticamente più elevato (analogo evento nel 1966, in qualche modo meno violento perché in assenza di vento, provocò 26 morti, questa volta "solo"3).

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6.3 Intervento della Regione Veneto Per quanto riguarda la conta dei danni effettuata dalla Regione Veneto in occasione del passaggio del Ciclone Vaia, in data 29/01/2019 ho contattato l'assessore regionale all'Ambiente e alla Protezione civile del Veneto Gianpaolo Bottacin. Si riportano di seguito, con le domande in corsivo, le risposte ottenute.

Dei 118 comuni che sono stati colpiti: Quali sono esattamente i comuni colpiti nella sola provincia di Belluno?

Tutti 64 i comuni della Provincia di Belluno.

In base alle previsioni meteorologiche, è stato chiesto, nei giorni antecedenti, lo stato di allerta?

In base alle previsioni meteo che facciamo noi, abbiamo attivato l’Unita’ di crisi regionale e abbiamo chiesto al dipartimento nazionale della Protezione civile lo “stato di mobilitazione nazionale”, come previsto dal codice di Protezione civile quando si preannunciano situazioni gravi (è stato fatto la domenica mattina).

Le comunicazioni (tra i comuni colpiti e la Regione) sono intercorse in modo corretto?

Assolutamente sì, viene portata come esempio di ottima gestione dell’emergenza a livello nazionale. In tal senso si sono espressi pubblicamente il prof. Giuseppe Maschio referente del corso di Ingegneria della sicurezza presso l’Università’ di Padova e membro della Commissione Grandi Rischi del dipartimento della Protezione Civile oltre al capo dipartimento della Protezione civile nazionale Angelo Borrelli e il direttore delle Emergenze dello stesso dipartimento Ing. Luigi D’angelo.

In Italia ci sono 4 livelli di governo (stato, regione, provincia e comune) con 4 figure istituzionali a cui e’ attribuita l’autorità’ di protezione civile (Presidente del Consiglio dei Ministri che si avvale del dipartimento nazionale della Protezione civile, Presidente della regione o suo delegato che coordina l’Unità di crisi, Prefetto che coordina il Comitato di coordinamento dei soccorsi a livello provinciale e Sindaco che coordina il Centro di coordinamento comunale). I rapporti della regione sono stati continui e costanti h24 verso il dipartimento nazionale della Protezione civile e verso le 7 prefetture del Veneto che abbiamo coordinato. A loro volta i prefetti hanno coordinato i sindaci delle rispettive province attraverso i CCS. In base alle previsioni meteo (emesse dalla regione attraverso il Centro funzionale decentrato e prodotte da ARPAV) la Regione già sabato 27 ottobre ha convocato l’Unità di crisi di cui fanno parte tutti i soggetti a vario titolo coinvolti nel sistema di Protezione civile (Vigili del fuoco, Prefetti, Forze dell’ordine, ULSS, ARPAV, Comuni, Province, Consorzi di bonifica, Trenitalia, RFI, Venetostrade, Anas, Autorita’ di distretto, Terna, Enel, ecc.) che poi sono stati coordinati da noi fino a fine emergenza. Eravamo quindi pronti all’evento già 48 ore prima.

1.5 miliardi di Euro è la stima del danno. I dati che sono stati censiti ad oggi (29/01/2019) sono dati definiti o potrebbero essere aggiornati nei prossimi mesi?

I danni sono stati censiti in base a autocertificazione dei vari soggetti e quindi potranno subire qualche

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piccolo aggiustamento, anche perché sono stati definiti in base a preventivi e non a consuntivi, come è facilmente intuibile.

A livello umano, in che modo le persone sono state colpite?

160.000 utenze senza energia elettrica, in alcuni casi per giorni, isolamento di interi paesi per alcuni giorni, acquedotti danneggiati con acqua assente o non potabile, case scoperchiate o inagibili, danni ai beni mobili oltre che immobili, senza luce (e quindi senza riscaldamento), senza strada e senza acqua significa grave disagio nell’accesso ai minimi servizi essenziali.

Numero di persone colpite?

Impossibile determinare una risposta univoca, alcuni cittadini sono stati più colpiti, altri meno.

Si va dalla morte fino alla semplice sospensione dell’energia elettrica per qualche minuto (che per esempio per una gelateria può anche significare migliaia di euro di danni).

Numero di persone decedute?

Tre: un automobilista investito da un albero, un cittadino caduto in un corso d’acqua e una cittadina colpita da un albero.

Ad oggi, ci sono persone che hanno dovuto lasciare le loro case o sono tutti rientrati?

Numero di persone sfollate?

Il picco massimo di persone sfollate è stato pari a quasi 500. Ad oggi sono quasi tutti rientrati.

Quale è stato il tipo di danno? (ad es. infrastrutturale, paesaggistico … ) Beni pubblici, beni privati, patrimonio culturale, patrimonio paesaggistico / ambientale, patrimonio forestale, servizi socio sanitari, reti stradali, reti ferroviarie, reti e infrastrutture idriche, reti gas, reti elettriche, reti di telecomunicazione, trasporti, impianti fognari, impianti di gestione rifiuti, infrastrutture di prevenzione, settore pesca (molluschicoltura e piscicoltura), attività agricole, attività economico industriali, attività commerciali, attività e servizi terziario.

Quali sono stati i danni più gravi?

In termini economici circa 500 milioni al patrimonio forestale, circa 350 milioni ad opere di difesa del suolo, circa 230 milioni alla viabilità.

A quanto ammontano i danni boschivi?

Vedi sopra.

La Regione ha già avviato interventi urgenti? Se sì, quali?

Opere idrauliche: le prime opere idrauliche sono già state attivate e in gran parte concluse. Solo per il bellunese si tratta di 57 cantieri per un ammontare di 25 milioni di euro. Viabilità: 115 cantieri per un importo di 35 milioni di euro. Ad oggi tutta la viabilità è stata ripristinata.

Pulizia boschi: 40 milioni di euro.

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CONCLUSIONI

Qualcosa sta cambiando, o è già cambiato. Questa è la sensazione che emerge dall’analisi generale del fenomeno accaduto ad ottobre. Mentre mi accingo a trarre le conclusioni di questa mia tesi di laurea, a causa di un maggio molto piovoso, e a causa del dissesto idrogeologico che gli schianti hanno creato nei versanti, nella zona dell’Alpago stanno accadendo molte frane: a 7 mesi dalla tempesta Vaia, la Regione Veneto insieme con l’assessore alla Protezione Civile Gianpaolo Bottacin, stanno monitorando la frana di Schiucaz, nel comune di Pieve d’Alpago. L’intero paese è stato evacuato e se la frana si mangerà l’abitato, non verrà più ricostruito nel posto di prima.

Parlando della tempesta Vaia, e approfondendo l’argomento, si può notare il rapporto particolare che c’è tra l’uomo e la natura: la natura crea e la natura distrugge, ed è talmente incontrollata che neppure l’uomo potrà essere in grado di modificarne le leggi. Come ha dichiarato Mauro Corona, scrittore e alpinista di Erto, uno dei sopravvissuti alla tragedia del Vajont, il 2 novembre sul suo profilo Facebook: ‹‹La terra s’è rivoltata, i boschi sono orizzontali, i tetti han preso il volo come rondini d’autunno, l’acqua, stanca di prigionia, è evasa, il vento, da invisibile è diventato solido e rotolava come un enorme masso impazzito. Ha sfasciato tutto››.

Si è spesso sentito parlare di uragani, di tempeste, che hanno toccato l’America e l’Europa, ma nessuno immaginava che fenomeni simili sarebbero potuto accadere sul nostro territorio. Nessuno immaginava che avrebbero potuto toccare “casa nostra”, fino a quel fatidico 30 ottobre, quando Vaia ha deciso di colpire i boschi e i borghi più belli di tutta l’area dolomitica, area che è sempre stata meta di turismo sia invernale che estivo per le eccellenze che hanno fatto iscrivere le Dolomiti a Patrimonio dell’Unesco. ‹‹Solitamente le zone interessate da eventi calamitosi non hanno la capacità, almeno inizialmente, di ristabilire autonomamente l’equilibrio territoriale e sociale messo in crisi dallo stress subito e quindi dipendono fortemente dagli aiuti esterni e dalle capacità

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organizzative e d’intervento dell’area che può raggiungere la scala regionale, nazionale o internazionale a seconda della gravità››168.

Durante i giorni dell’emergenza la Regione Veneto ha saputo proprio distinguersi per il suo “essersi rimboccata” le maniche da parte non solo dei cittadini che hanno collaborato attivamente, ma anche per la macchina “strutturale” messa in atto dalla Protezione Civile ben 24 ore prima del passaggio di Vaia, evitando così situazioni ancor più catastrofiche e successivamente, nei giorni immediati, ha saputo rialzarsi in piedi cominciando a risistemare i danni. Lo stesso Capo dello Stato ha dichiarato il modello della Protezione Civile veneto ‹‹modello di esempio a livello nazionale››.

Durante l’emergenza la Regione Veneto ha anche attivato un conto corrente con causale “Veneto in ginocchio per maltempo ottobre-novembre 2018” per creare risorse finanziarie da utilizzare in aiuto alle popolazioni colpite. Grazie alle donazioni fatte dai cittadini la raccolta fondi ha già sfiorato il milione di euro. I veneti per come hanno saputo gestire l’emergenza potrebbero portare l’esempio nel mondo.

Se da un lato sappiamo che alla natura “non si comanda”, dall’altro si deve dire però che la mano dell’uomo ha, in un certo senso, aumentato la gravità delle conseguenze. Come scriveva Dino Buzzati, cronista del Corriere della Sera, che si rifugiava sulle Dolomiti raccontando poi di questi luoghi nei suoi articoli, ‹‹Ricordiamoci che la natura sta diventando una autentica ricchezza. Di tale ricchezza le Dolomiti sono una miniera prodigiosa che il mondo sempre più ci invidierà. Ma se la si sfrutta ciecamente, per la smania di pomparne i soldi, un bel giorno non ne resterà una briciola. Sono montagne delicate, basta poco a deturparle, un giorno pagheremo il conto››169.

Lo sfruttamento della terra e delle sue risorse è diventato intenso in questi ultimi anni, tanto che l’uomo non può non essere considerato per propria natura “specie modificatrice dell’ambiente, delle specie, degli habitat e dei paesaggi, addirittura del clima”.

Se guardiamo per un minuto soltanto il paesaggio dolomitico, ci si accorge che ciò che vediamo di percentuale naturale ne è rimasta soltanto una minima parte. Le foreste che vediamo sono di solito il prodotto di rimboschimenti o di ricrescita di foreste tagliate. Le

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Pascolini M., Traumi territoriali e risposte della società, in Lombardi D., a cura di, Percorsi di Geografia Sociale, Daniela, Bologna, Patron, 2006, pp. 277-302.

169 Citazione tratta dal link: https://www.doppiozero.com/materiali/dino-buzzati-una-vita-tra-libri-emontagne.

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macchie di foresta naturale sono rare, ci sembrano naturali, ma in realtà sono frutto dell’intervento dell’uomo, quindi artificiali.

La tempesta Vaia, come ho più volte affermato in questo mio lavoro, è un indicatore del fatto che il cambiamento climatico stia diventando sempre più una vera e propria minaccia per l’uomo. Partendo anche solo localmente, a livello regionale, e poi estendendo il nostro sguardo a livello nazionale, internazionale e globale dovremmo porre l’attenzione sui segnali che la natura ci sta comunicando: solo qualche decennio fa in maniera lieve, per arrivare di recente a fenomeni così eclatanti e violenti.

La natura ci offre beni e servizi, dal cibo che mangiamo all’ossigeno che respiriamo, e se la sradichiamo perderemo le nostre possibilità di sopravvivenza.

Pensando quindi, anche su invito di Greta Thurnberg, alle generazioni future, il nostro dovere di cittadini e soprattutto di Istituzioni è quello di ripartire dal territorio, salvaguardandolo con politiche atte a premiare anche le “sue” eccellenze. Proprio in fatto di eccellenze, infatti, il Veneto non ha nulla da invidiare al resto del mondo.

Per concludere, quello che in questo momento è certo, per quanto concerne le conseguenze, è che gli esperti dicono che gli effetti post Vaia si vedranno tra molti anni.

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SUMMARY

The Veneto Region is one of the twenty Italian regions, located in the eastern part of northern Italy and identifies as the ordinary statute region. Its territory is morphologically very varied, with multiple forms such as cities of art, sea, mountains, spa centers, lakes and parks. It includes a vast variety of landscape forms: from the coastal strip that is bathed by the Adriatic Sea to the northernmost part of the Dolomites, passing through the VenetoFriuli plain. It is no coincidence that Veneto is called "a region of a thousand faces". To attract tourism in these places is the pristine landscape.

The tertiary sector is mainly based on tourism interested in the monumental cities (Venice, Verona, Padua, and Vicenza), the mountain towns (Cortina d'Ampezzo, Pieve di Cadore, Asiago, the Tonezza Highlands and the Seven Municipalities), the seaside resorts (Bibione, Caorle, Jesolo, Lido di Jesolo, Lido of Venice, Sottomarina, Cavallino), and in recent years, including spa centers such as Abano Terme, Montegrotto Terme and Recoaro Terme. Typical of the Venetian coast is the lagoon landscape where there is one of the most beautiful cities in the world, Venice, visited every year by thousands of Italian and foreign tourists.

This Region is also known for its beautiful mountains called "Dolomites". They are unique for their attractive landscapes combining natural elements as water, rock, wood, etc. The Dolomites, also called Pale Mountains, are a collection of mountain groups in the Italian Eastern Alps, south of the main Alpine chain. They include the regions of Veneto, Trentino-Alto Adige and Friuli, and the five provinces of Belluno, Bolzano, Trento, Udine and Pordenone. Developed over an area of 142,000 hectares, they are composed of nine mountain systems that present a series of landscapes that are unique in the world. Due to their composition, they are known internationally and in the common imagination, such as the "coral" mountains or the mountains "born from the sea". Although close to large urban centers and modern communication routes, paradoxically they are uninhabited and little known. The Dolomites are considered the model of all the Dolomite mountains in the

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world. Thanks to their extraordinary landscape and naturalistic value, the Dolomites were included on June 26th, 2009 in the list of World Heritage Sites, by the Executive Committee of the Convention on the material heritage of UNESCO humanity gathered in Seville for the 33rd session.

The Veneto Region is rich in parks and protected natural areas that make up the "Veneto Parks System". There are 5 Regional Parks, 1 National Park, 6 Regional Nature Reserves, 14 State Natural Reserves, 2 Wetlands of international importance, 9 Regional State Forests and various Regional Interest Parks and Reserves. Today called and recognized as "Dolomiti Bellunesi National Park", it is the only national park in the North-East of Italy, and for this reason it is one of the protected natural areas of Veneto. The Vette Feltrine are the main feature. The Belluno Dolomites National Park is a national park located in the province of Belluno, in northern Veneto, established in 1988. The park was declared a World Heritage Site by UNESCO in 2009. The need to protect the Dolomites has always been felt by mountain lovers, so much that the idea of park was born thanks to some members of the CAI of Belluno, Piero Rossi, Virginio Rotelli, Giuseppe Damos and Giuliano Dal Mas, later considered its "founding fathers". I had the honor of speaking with Giuliano who passionately told me about the park, also sending me some precious material. The Park records excellent data, 1764 species of plants, 138 species of birds, 134 species of molluscs, 96 species of diurnal butterflies.

On 28th October 2018 a particular metereological phenomenon called “Vaia� hit for the first time this dolomitic area. Vaia was a storm with a combination of a strong sirocco winds gusts exceeding 200 km h-1 (which can be compared to a very strong hurricane), and very relevant rainfalls. It caused the loss of 8.5 million cubic metres of standing trees in all the dolomitic area in just one day (Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Lombardia and only marginally Piemonte and Valle d’Aosta). With this winds speed it would be impossible to avoid or mitigate wind damages. The forests in these regions have been seriously damaged: amounted to about 42.500 ha, the same amount harvested in an entire year of silvicultural activity in all Italy, that alone produces 2/3 of all Italian timber. Over 60% of these forests are PEFC certified for their sustainable management. After 9 months, the entire woodland mountain landscape has changed.

Nobody was prepared for this singular event.

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In addition to the Veneto, two other areas seriously affected were Val di Fiemme and Val Saisera. Val di Fiemme is one of the main Dolomite valleys and is located in eastern Trentino. The woods of Val di Fiemme belong almost exclusively to the Municipalities and to the "Magnifica ComunitĂ di Fiemme", a neighborhood whose territory extends not only to Val di Fiemme, but also to parts of Val di Fassa and Alto Adige. Val Saisera is a valley in the Julian Alps. Located in the municipality of Malborghetto Valbruna, it takes its name from the Saisera river that crosses in a north-south direction. It is considered the largest national forest in Italy. Precisely for this reason it represents one of the most precious naturalistic areas. The Val Saisera, as well as the Val di Fiemme, both located on the slopes of the Dolomites, are characterized by the red spruce, in particular the red centuriesold one. This type of wood is particular for its very fine quality because it is particularly elastic, transmits sound better and its lymphatic channels are like tiny organ pipes that create resonance. For this reason, wood is called "resonance", and is particularly suitable for the construction of stringed musical instruments. These two valleys are called the "forests of violins" or "forests of Stradivari" because they hide the ancient secret of the manufacture of violins. The legend tells that luthier masters, including the famous Antonio Stradivari (the creator of the violins, which today are worth millions of euros) travelled here from Cremona to buy the finest woods and then turn them into perfect musical instruments. It seems that Stradivari himself was wandering around the Val di Fiemme in search of the most suitable trees for the construction of his violins, which he used for the bands, the handle and the table. These two valleys were touched and destroyed by the passage of the Vaia storm in October last year.

Such event is not unprecedented: a similar storm had occurred in the same regions in 1966.

This year is remembered in Italy as "the 1966 flood", the worst flood in the Italian history.

The event hit Regione Veneto and the city of Florence with the flood of the Arno river.

Speaking about the phenomenon, what is often remembered and analyzed is the aspect linked to the flooding of the rivers and the flooding that occurred in many parts of the Italian territory, which took on a truly disastrous character. Instead, what struck me, during my researches, is what happened in those same hours, in Trentino Alto Adige, and precisely in the Rio Cadino basin, in the Cavalese Forest District: the “crashes� (in forest terms) in wooded areas by the wind. A phenomenon very similar to the Vaia storm.

Therefore this kind of disaster should not surprise us, because it is not to be considered

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exceptional. The cyclon, or rather the whirlwind of November 4th, 1966, hit the Val Cadino, especially in the southern part of the state forest, destroying an area of about 130 hectares, causing the loss of nearly 100,000 cubic meters of timber, equal to 27 % of the total mass and to the loss of 22 vintages of the product foreseen by the economic plan. The image that the Val Cadino presented on November 5th was bleak: entire portions of slopes were completely bared. Lake Stramentizzo was totally covered by the trunks of fallen trees. It took more than a year of intensive work to recover all the fallen and uprooted timber. Personally what happened in Veneto and in Friuli Venezia Giulia, in November of '66, but especially in Trentino Alto Adige, with the falling of the Val Cadino Forests seems to me to be similar to the one that took place between October and November last year, in 2018, in Cadore, in the Altopiano di Asiago and in the Val di Fiemme, which I am taking into consideration in this thesis, because it is very similar to Vaia. As mentioned before, Lake Stramentizzo covered by trunks, is the same image as Lake Alleghe and Lake Barcis, as shown also by the photo taken.

After the major flood events that mainly affected Veneto and Tuscany in November 1966, the State reacted significantly. 20 days after the flood, an Inter-ministerial commission was appointed jointly by the Ministry of Public Works and the Ministry of Agriculture and Forests, which was established a year later, in July 1967, called “De Marchi Commission� by the name of its President, Giulio De Marchi. The works were completed in March 1970, with the delivery of the General Report: 5 acts, 75 volumes, 5,000 pages drawn up over 2 years, documents still feasible today, where it is highlighted the hydraulic situation in our country. Following the conclusions of the De Marchi Commission (1974) the administrators should have prepared a plan to implement, within a reasonable time, the interventions indicated by the Commission itself, and not only, following the criteria set out in the premise of the Report. Of all the reservoirs designed by the Commission, the only one that has been built is the dike of Ravedis, a reservoir held with a dam that practically closes the Cellina stream almost at the exit of its mountain basin, creating a reservoir of almost 25 million cubic meters. Over time, many of the works, particularly the dams, planned by the De Marchi Commission, were no longer feasible because part of the areas affected by the interventions had been in the meantime, perhaps not by chance, urbanized or destined for other infrastructures.

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Before the year '66 there was another great event that upset the Venetian mountain territory: the destruction of the Dolomite forests that took place during the First World War. This last aspect is fundamental to analyze the importance of the conflict within the "history" of the Italian mountains.

The woods were very different than they are today. The abundance of forests in the Alps and the wealth, even in economic terms, that they generated, was the reason that prompted the first peoples to colonize this territory. The forest guaranteed "the economy of the Altipiano". The percentages show even better the damage of the Great War in these areas: 35% of the woods had disappeared, swallowed up by the war, 50% strongly damaged, 15% remained undamaged. Silent witnesses of this war were the woods of the Altopiano, the subjects most affected during the conflict. It was the first time in the history of those places. The whole territory was upset, destroyed, devastated and burned. From the 1920s, more precisely in 1921, in Veneto, and in particular in the whole of the Altiplano, another very important battle began: the reconstruction of the landscape, of the forest heritage. This period was remembered by the "history" of the Italian mountain as the largest and most important reconstruction of forests in the history of Italy and Europe. The forest has since been reborn but at the same time changed, it is a replanted, rebuilt forest. In these years the first scientific studies are carried out aimed at ascertaining the real characteristics of the Cadore woods: there is a tendency to admit that the composition of the woods was strongly conditioned by the commercially agreed preference of the spruce. Spruce, also known as common Peccio (scientific name: picea abies, picea excelsa or picea vulgaris) is a conifer belonging to the pinaceae family. Widespread in the Alps, it is considered the conifer par excellence and the largest in the entire European continent (in Europe it is called Norway Spruce). Spruce shows great competitiveness compared to other species, being often used for reforestation, and in some places it even tends to replace white fir and beech, which are less resistant to certain temperatures. On the Alps it is a typical species that finds its optimal climatic conditions between 1200 and 1800 m of altitude, even if in particular conditions it can go down to only 600–800 m of altitude.

It is a fast growing tree. Conifers are in fact useful because in addition to preventing avalanches with their roots, they reinforce sloping lands and defend them from torrential rains. This is why this type of tree was used for reforestation. In all the provinces the spruce was replanted, thus having monocultural and artificial planting forests. The forest

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heritage that we find today therefore, and which was destroyed by Vaia, is what had been replanted in the 1950s. Being an artificial and monocultural plant formed from 99% spruce.

One of the causes that led the storm is the climate change. This was one of the aspect discussed in Belluno. In fact, at the invitation of my supervisor, on February the 8th 2019, I attended a national congress that was held in Belluno province in the heart of the damaged area to discuss the impact, management and response perspectives after the Vaia storm among the Italian scientific and civil community. The conference was organized by University of Padua – TESAF Department, Fondazione G. Angelini, Comune di Belluno, and SISEF – Italian Society of Silviculture and Forest Ecology. This was an important opportunity to have a first basis on which to build this work. Surely, the results will be reviewed, but in the meantime they gave to me an homogeneous picture about the phenomenon. We started talking about the fight against climate change, thanks to young figure, who managed to spread his slogan all over the world, even to give a speech to the great world powers. It can be said that she is a simple child, but the power of her innocence is stirring something in the minds of millions of people, even within great powers: Greta Thunberg. The reason that led her to be in the spotlight of television cameras all over the world is her struggle for sustainable development and for her regular anti-climate change demonstrations held before the Swedish parliament. At just 15 she became an ambassador for a mission: to open the eyes to the world on the problem of climate change. Inspired by Greta, many school strikes began in November 2018. The first were in Australia, where thousands of students followed the Friday ritual. In December, student strikes continued in at least 270 cities in countries such as Australia, Austria, Belgium, Italy, Canada, the Netherlands, Germany, Finland, Denmark, Japan, Switzerland, the United Kingdom and the United States. On March 15th, 2019 the world strike for the future was held, a peaceful demonstration against the government's climate positions, in which many students took part in 1700 cities in over 100 countries, including New York, Brussels, Sydney, Barcelona, Berlin, Paris, Moscow and 100 other Italian cities (one million students in Italy only). Greta's goal is therefore to arrive at 2030, inviting the population and the great powers to progressively reduce, through immediate and concrete initiatives, the harmful consumption and emissions of CO2, according to the parameters defined at global level.

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Although it is not possible to prove that the current climate changes are the causes of a single catastrophic event, there is a strong suspicion that Vaia was one of those extreme atmospheric phenomena that different studies correlate with the increase in global temperature, envisaging a further increase in the coming decades. The storm or Mediterranean cyclon "Vaia", so called by the meteorologists, hit in a very long time span: from 27th to 30th October 2018. As for all the particular phenomena, this also took on an identifying name compared to the others. The name Vaia may have been given as it derives from the Portuguese and means "cry". But it was neither a hurricane nor an air horn, because there are no images or evidence that the cone of the air horn has been sighted. The fact that this was neither air horns nor hurricane does not diminish the severity of the damage and the uniqueness of the event.

To really realize what Vaia was and its power, just go to the Youtube channel and type in the "Invisible Opera". A minute of recording taken from the sound installation, which reproduces the sound of the hurricane every day for 4 minutes and 30 seconds, placed in the municipality of Feltre by the artists Ida Harm and Roberto Mainardi, on the occasion of the Naturae 2019 cultural exhibition made up of exhibitions, movies and meetings. The noises that are heard are those of the trees uprooted by the wind, one of the most dramatically important events that characterized the hurricane that struck the Belluno area.

Phenomena like these are typical of the autumn period, during the change of seasonality and we find them in the months of October - November, but the Cyclon Vaia was a rather rare event, its peculiarity in fact, was not the abundant rainfall (which fell within the average of the period) but the really stormy winds and the impressive swells on the Ligurian and Tyrrhenian seas.

Finally, it must be remembered that after the 1966 event, this storm was one of the most ruinous and serious in recent years due to its effects.

In Veneto there were a total of 118 municipalities affected entirely or partially by bad weather at the end of October. The most affected areas of the regional territory mainly concerned the upper Belluno area with high levels of criticality in the Agordino, Comelico and part of the middle-high Cadore (the Zoldano, the Feltrino, the Alpago).

Thanks to the highly trained staff, 4 days before the whole area was already prepared and on alert.

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During the days of emergency the Veneto Region has been able to distinguish itself for its "having rolled up" the sleeves not only by the citizens who have actively collaborated, but also for the "structural" machine implemented by the Civil Protection 24 hours a day before the passage of Vaia, thus avoiding even more catastrophic situations and subsequently, in the immediate days, managing to get up again, starting to reorganize the damage restoration. The Head of State himself declared the model of the Venetian Civil Protection "an example model at the national level". The Venetians, as they were able to handle the emergency, could take the example in the world.

After the first impact to the damages and overcoming the emergency phase, it became clear that the two principal consequences of Vaia are both natural (damages of the forests and the sudden destruction of forest-related ecosystem services: as far as damage to forests is concerned, it is currently estimated that the Vaia storm involved 473 Municipalities, a total area of 2,300,771 hectares with 8.5 million cubic meters on the ground) and economical (the wood prices have collapsed in the last three months from 80-90 euros/m³ to 10-20 euros/m³ and the market is now saturated as the amount of damaged industrial round wood is 7 times more than the normal quantity of raw material processed by Italian sawmills in one year). In summary, the extent of damage to woods and forests is such that it will take decades or centuries to repair the wounds opened by the loss of 25,000 hectares of forest between Asiago and Corti-na and over 1 million cubic meters of trees fallen in Trentino Alto Adige, equal to twice the amount of wood that is usually brought to the sawmills each year.

On 12th March the President of the Republic Mattarella visited Belluno, flying over the areas hit by the Vaia storm.

The Vaia storm is an indication that climate change is increasingly becoming a real threat to humans. The situation is serious, from an economic, environmental and social point of view. In times of changing climatic condition – e.g. rises of temperature and decreasing precipitation rates – we need to plan interventions for the forests adaptation in the mediumlong term.

The storm Vaia (after the emergency management) and its consequences could be an opportunity of analysis and balance among institutions, the world of research and stakeholders – a “multi-actor collaboration” - to identify new and more appropriate strategies for future challenges to enhance the resilience of Italian forest stands.

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Thinking therefore, even at the invitation of Greta Thurnberg, to future generations, our duty as citizens and above all institutions is to start from the territory, safeguarding it with policies designed to reward even "its" excellences. Precisely in terms of excellence, in fact, Veneto has nothing to envy to the rest of the world.

To conclude, what at this moment is certain, as far as the consequences are concerned, is that the experts say that the post-Vaia effects will be seen in many years.

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SITOGRAFIA

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Il Bo Live, il magazine dell’Università di Padova, https://ilbolive.unipd.it/, ultima consultazione al link 18.04.2019.

Il giornale on line di Udine: www.udinetoday.it.

Pagina Istituzionale del Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia: https://www.facebook.com/zaiaufficiale/.

Pagina Istituzionale dell’Assessore alla Protezione Civile e all’Ambiente della Regione Veneto Gianpaolo Bottacin: https://www.facebook.com/Gianpaolo-Bottacin-assessore-regionale-delVeneto-28421502543/.

Piattaforma web Youtube: https://www.youtube.com.

Portale della Regione del Veneto: https://www.regione.veneto.it.

Sito Istituzionale del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi: http://www.dolomitipark.it.

Sito Istituzionale Veneto Ambiente News Assessorato Ambiente e Protezione Civile, al link: https://www.venetoambientenews.it.

Sito ufficiale delle Dolomiti Patrimonio Mondiale Unesco: https://www.dolomitiunesco.it.

Treccani.it – Enciclopedie online, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, http://www.treccani.it/.

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VIDEOGRAFIA

Discorso di Greta Thunberg, dal sito video.sky, https://video.sky.it/news/fluid/greta-non-parlate-dime-ma-del-cambiamento-climatico/v503049.vid.

Il Centenario della Grande Guerra: l’Altopiano di Asiago, documentario di Linea Verde, puntata del 13.04.2018.

Le meraviglie del Veneto – Puntata Dal Garda alla Riviera del Brenta, documentario di Alberto Angela, puntata del 16.4.2016.

Le meraviglie del Veneto: dalla laguna alle Dolomiti – Ulisse: il piacere della scoperta, documentario di Alberto Angela, puntata del 23.04.2016.

ALTRA DOCUMENTAZIONE

Relazione per la redazione di rapporti nazionali finalizzati alla attivazione del fondo di solidarietà dell’Unione Europea a seguito di eventi calamitosi occorsi tra ottobre e novembre 2018, del Dipartimento della Protezione Civile della Regione Veneto, gentilmente ricevuta dall’Ing. Luca Soppelsa, Direttore della Protezione Civile e Polizia Locale per la Regione Veneto.

Presentazioni del primo convegno nazionale del post-emergenza “La tempesta Vaia: disastro o opportunità per le foreste del nord – est?” del 8 febbraio 2019 al Teatro Comunale di Belluno organizzato dalla Fondazione Giovanni Angelini Centro studi sulla montagna.

Materiale reperibile al sito https://www.angelini-fondazione.it/convegno-la-tempesta-vaia/.

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