METTIAMOCI ALLA PROVA

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M E T T I A M O C I A L L A P ROVA ...i piedi nel borgo la testa nel mondo...

BORSE STUDIO USA 2005/2008


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ONLUS

Intercultura Incontri che cambiano il mondo. Dal 1955

L’Associazione Intercultura Onlus (fondata nel 1955) è un ente morale riconosciuto con DPR n. 578/85, posto sotto la tutela del Ministero degli Affari Esteri. Dal 1 gennaio 1998 ha status di ONLUS, Organizzazione non lucrativa di utilità sociale, iscritta al registro delle associazioni di volontariato del Lazio: è infatti gestita e amministrata da migliaia di volontari, che hanno scelto di operare nel settore educativo e scolastico, per sensibilizzarlo alla dimensione internazionale. E’ presente in 132 città italiane ed in 65 Paesi di tutti i continenti, attraverso la sua affiliazione all’AFS ed all’EFIL. Ha statuto consultivo all'UNESCO e al Consiglio d'Europa e collabora ad alcuni progetti dell’Unione Europea. Ha rapporti con i nostri Ministeri degli Esteri e della Pubblica Istruzione. A Intercultura sono stati assegnati il Premio della Cultura della Presidenza del Consiglio e il Premio della Solidarietà della Fondazione Italiana per il Volontariato per oltre 40 anni di attività in favore della pace e della conoscenza fra i popoli. L’Associazione promuove e organizza scambi ed esperienze interculturali, inviando ogni anno oltre 1500 ragazzi delle scuole secondarie a vivere e studiare all’estero ed accogliendo nel nostro paese altrettanti giovani di ogni nazione che scelgono di arricchirsi culturalmente trascorrendo un periodo di vita nelle nostre famiglie e nelle nostre scuole. Inoltre Intercultura organizza seminari, conferenze, corsi di formazione e di aggiornamento per Presidi, insegnanti, volontari della propria e di altre associazioni, sugli scambi culturali. Tutto questo per favorire l’incontro e il dialogo tra persone di tradizioni culturali diverse ed aiutarle a comprendersi e a collaborare in modo costruttivo. Per maggiori informazioni : www.intercultura.it

Presidente Innocenzo De Sanctis

Consiglio di indirizzo Nicolino Alivernini Enrico Bock

Vice Presidente Laura Fagiolo

Mariella Cari Giuliano Casciani Marcello Chiattelli

Presidente del Collegio dei Revisori Fabrizio Giovannelli

Sosio Giametta Franco Marci Aldo Maurizio Mazza

Segretario generale Mauro Cordoni

Cesare Monti Alessandra Onofri Stefano Polombi

Fondazione Intercultura onlus

La Fondazione Intercultura Onlus nasce il 12 maggio 2007 da una costola dell’Associazione che porta lo stesso nome e che da 55 anni accumula un patrimonio unico di esperienze educative internazionali, che la Fondazione intende utilizzare su più vasta scala, favorendo una cultura del dialogo e dello scambio interculturale tra i giovani e sviluppando ricerche, programmi e strutture che aiutino le nuove generazioni ad aprirsi al mondo ed a vivere da cittadini consapevoli e preparati in una società multiculturale. Vi ha aderito il Ministero degli Affari Esteri. La Fondazione è presieduta dall’Ambasciatore Roberto Toscano; segretario generale è Roberto Ruffino; del consiglio e del comitato scientifico fanno parte eminenti rappresentanti del mondo della cultura, dell’economia e dell’università. Nei primi anni di attività ha promosso un convegno internazionale sull’Identità italiana tra Europa e società multiculturale, numerosi incontri con interculturalisti di vari Paesi, ricerche sulla percezione dell’alterità da parte dei giovani, un progetto pilota di scambi intra-europei con l’Unione Europea. Raccoglie contributi di enti locali, fondazioni ed aziende a beneficio dei programmi di Intercultura. Gestisce il sito dell’Osservatorio sull’internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca, www.scuoleinternazionali.org Per maggiori informazioni www.fondazioneintercultura.org

Consiglio di Amministrazione Maurizio Chiarinelli Giancarlo Giovannelli Silvano Landi Giancarlo Micarelli Olinto Petrangeli

Pietro Santoprete Giovanbattista Saponaro Enzo Tarani Antonio Tosti Alido Tozzi Mauro Valeri

Collegio dei Revisori Francesco Alicicco

Presidente dell’Assemblea dei Soci

Cesare Chiarinelli

Orazio Paci

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“I piedi nel borgo la testa nel mondo”: così negli anni venti, Domenico Petrini, valente letterato reatino, si esprimeva sottolineando l’importanza di conoscere luoghi e persone oltre il “proprio campanile” al fine di dare concretezza alle singole potenzialità intellettive, organizzative e creative, a beneficio dello sviluppo del territorio di appartenenza. In tal senso, Domenico Petrini è stato, senz’altro, profetico precursore del movimento socio – economico che con il termine più “commerciale” di globalità riflette oggi gli aspetti essenziali delle intercomunicazione e della integrazione fra i popoli. E’ chiaro che la “globalità”, intesa proprio come strumento necessario per rendere più duttili i confini dei vari Paesi per lo scambio di uomini, mezzi ed idee, configura, al centro dei propri progetti la formazione dei giovani che, deputati a tenere le redini dell’evoluzione globale, dovranno essere capaci a capire e, quindi, fronteggiare e risolvere i problemi di caratura internazionale. Consapevole della valenza di tali principi, la Fondazione Varrone, fin dal 2005 finanzia, annualmente, le Borse di Studio Intercultura. Intercultura è una organizzazione Internazionale di volontariato, attiva da cinquanta anni, che offre ai giovani una grande opportunità: diventare cittadini del mondo, crescere condividendo culture ed usi diversi, vivere in una famiglia e studiare in una scuola all’estero, imparare una o più lingue straniere. Il miglioramento delle varie comunità e, quindi, anche della nostra, dipende proprio dalla capacità e dalla formazione dei giovani e la Fondazione Varrone crede molto nella potenzialità degli stessi. Per questo, continuerà a programmare progetti di investimento che possano aiutarli a scoprire il mondo e tornare nella propria terra con un arricchito bagaglio culturale, utile nella vita e nel lavoro.

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Ad oggi, la nostra Fondazione ha dato l’opportunità a settanta studenti della Provincia, di rendersi partecipi del progetto formativo di Intercultura. Dalle loro relazioni risulta evidente come le esperienza vissute siano state fondamentali per la loro crescita culturale ed esistenziale. In tale contesto, è quanto mai opportuno sottolineare il positivo mutamento comportamentale delle famiglie che, abbandonata la iniziale riluttanza, si sono rese conto che i giovani, per avere un futuro, dovranno essere in grado di confrontarsi con tutte le civiltà e, in particolare, con quelle che stanno gradatamente inserendosi nel tessuto economico - produttivo del pianeta pronte ad assumere un ruolo di preminente leadership. Da sottolineare, inoltre, che i nostri studenti sono diventati e diventeranno anche “ ambasciatori della nostra terra”, facendo conoscere tutte le potenzialità reatine, in un profondo e sinergico scambio interculturale. Da una statistica stilata nel 2007, risulta che la Fondazione Varrone, è l’ente che, a livello nazionale, ha erogato il maggior numero di borse di studio Intercultura in un anno, ripartite fra candidati provenienti da tutta la Provincia e da diversi Istituti Superiori, anche professionali. Tutto questo, ci conforta nella convinzione che le famiglie matureranno, sempre di più, il coraggio di far “volare” i propri figli, condividendo con loro la volontà di “partire” per vivere un esperienza che potrebbe cambiare in modo positivo la loro vita e , quindi, il loro futuro. “Ad Maiora”.

Fondazione Varrone il Presidente

avv. Innocenzo de Sanctis

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Intercultura Incontri che cambiano il mondo. Dal 1955

Intercultura: una proposta educativa per il nostro tempo Intercultura nasce e si sviluppa intorno a un progetto educativo: si propone di contribuire alla crescita di studenti, famiglie e scuole attraverso scambi internazionali di giovani e il loro inserimento in famiglie e scuole di altri Paesi. Dal confronto, stimolato e guidato dai volontari di Intercultura, nasce una consapevolezza nuova della propria e delle altrui culture e un desiderio di contribuire pacificamente e con conoscenza di causa al dialogo tra le varie nazioni del mondo. Questo processo educativo interculturale coinvolge in ugual misura i volontari dell'Associazione e i partecipanti ai suoi programmi: è una chiave di lettura e un metodo di comprensione del mondo moderno, superando i pregiudizi e rispettando le differenze. Intercultura non propone una visione del mondo e un ideale definito, ma aiuta a ricercare ideali comuni per l'umanità del futuro Dagli incontri tra persone di culture diverse nascono spesso conflitti: la comprensione reciproca non è né spontanea né automatica. Da incontri guidati possono nascere invece nuove competenze interculturali che aiutano a risolvere potenziali conflitti presenti o futuri. Il programma tipo di Intercultura, sia esso di “invio” in un altro Paese o di “accoglienza” in Italia, prevede un’ accurata fase di selezione e di preparazione prima dell’inizio, numerose attività durante lo svolgimento che aiutano a trarre i maggiori benefici dall’esperienza, possibilità di incontro, riflessione e approfondimento dopo la conclusione del programma dell’esperienza. I volontari dell’Associazione sono presenti capillarmente in tutte le località in cui si svolgono i programmi: offrono assistenza nei momenti di difficoltà e accompagnano nel percorso educativo interculturale gli studenti, i loro genitori, le famiglie ospitanti e le scuole coinvolte.

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Intercultura Incontri che cambiano il mondo. Dal 1955

Il progetto educativo di Intercultura Intercultura vuole contribuire alla creazione di una società mondiale pacificata, non attraverso la presenza egemone di poche culture ai danni di tutte le altre, ma attraverso il riconoscimento degli apporti che ogni cultura (non mitizzata, né fossilizzata, ma nel suo divenire) può dare alla soluzione di problemi comuni. Si tratta di collaborare alla costruzione di una società a misura d'uomo in un mondo trasformato in villaggio dalla tecnologia, dove il conflitto non sia dissimulato o risolto con la violenza, ma sia fonte di soluzioni originali e di progresso e dove le soluzioni emergenti non siano sempre quelle delle nazioni più ricche, ma riflettano anche quelle emarginate, oggi spesso senza terra, nazione o parola. Intercultura vuole infine dialogare con il sistema educativo del nostro Paese per sensibilizzarlo alle tematiche interculturali ed aprirlo alla conoscenza e allo studio delle relazioni con le altre culture. Il metodo utilizzato da Intercultura è quello di far vivere un'esperienza personale di educazione alla mondialità, più o meno estesa nel tempo (da un mese ad un anno) e guidata dai volontari dell’Associazione; essa si svolge a contatto di una cultura diversa, è preceduta da un periodo di preparazione teorica (conoscenza della propria cultura e relativi pregiudizi e dinamiche interpersonali) e seguita da un periodo di valutazione e applicazione al proprio ambiente. I partecipanti agli scambi sono soprattutto giovani tra i 15 e i 18 anni (ritenuti sufficientemente maturi per affrontare l'esperienza in modo non superficiale, ma non ancora coinvolti in scelte di vita definitive); per accoglierli in un'altra cultura è stata privilegiata la famiglia, riconoscendole il ruolo di trasmettitore primario di cultura nella società. Intercultura si caratterizza pertanto come un movimento di volontariato internazionale con un programma di apprendimento interculturale rivolto ai suoi volontari, agli studenti, alle famiglie ed alle scuole. Segretario Generale

Roberto Ruffino

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Vivere in un luogo diverso dalla propria realtà familiare aiuta spesso a riconoscere che il mondo è una grande comunità, un’isola globale, in cui certi problemi sono condivisi da tutti dovunque. Raccontare significa mettere gli altri nella condizione di ascoltare e di comprendere ciò che per noi è stato importante, far conoscere quale è stata la nostra esperienza, far vedere e far capire come siamo cresciuti e forse in parte anche cambiati. L’affabulazione della parola è qualcosa che costringe chi ascolta o, in questo caso chi legge ad interrogarsi, a domandarsi quanto è stato importante e quanta “nostalgia” si prova a ricordare un anno di vita negli USA. E’ proprio questo il filo rosso che lega tutte le esperienze che i borsisti Intercultura sponsorizzati dalla Fondazione Varrone hanno voluto condividere con i lettori di questa pubblicazione. La lettura tutta di un fiato, oppure lo scandagliare solo le esperienze che ci fa piacere leggere porta a sentire, a percepire quanto importante sia stata l’esperienza dell’interculturalità per tutti questi ragazzi dal 2005 al 2008. Molti di loro hanno veramente sofferto nel ricordare il “passato” ma nello stesso tempo hanno riconosciuto la grandezza dello scambio. Ciò che captiamo è la loro formazione interculturale alla mondialità, non importa che siano stati tutti negli Usa, anche perché diversa è la vita di un ragazzo italiano in Texas o di uno in Minnesota, non è lo Stato che li ha accolti ad aver rappresentato per loro il punto di arrivo, quanto il calore delle persone, la “diversità” che aiuta a crescere, le difficoltà superate che fanno vedere il “bicchiere sempre mezzo pieno”, la vittoria con loro stessi nell’ aver dimostrato che appena adolescenti ce l’hanno fatta da soli, senza l’aiuto, forse a volte troppo protettivo, dello loro famiglie di origine. Sentirli parlare di mamma e papà americani, di fratelli e sorelle con i quali hanno condiviso, amicizie, sentimenti forti, tensioni, scontri e subito dopo incontri è ciò che ci fa credere sempre di più nella validità di questo progetto. Essere diventati cittadini del mondo accresce la consapevolezza delle molteplici realtà e sviluppa la comprensione delle loro interdipendenze è questa l’educazione che si riassume in un approccio alla vita, alle relazioni, al mondo con un’ottica a lungo raggio che guardi alle esigenze del presente, considerando anche le necessità di chi verrà dopo di noi, così come alle conseguenze di numerose azioni che, se a prima vista ci appaiono sconnesse, in realtà sono continuamente concatenate tra loro da rapporti costanti di causa/effetto. Questi ragazzi hanno voluto dirci che sono diventati capaci di relazionarsi con chi li ha “ospitati” e capire il loro punto di vista, di comprendere che le soluzioni sono molteplici e svariate. Una simile consapevolezza è ideale per preparare i giovani ad un posto fra coloro che si occuperanno dell’umanità che avranno di fronte. Tutti coloro che hanno partecipato ai programmi AFS sono in grado di trarre benefici dal loro apprendimento interculturale per tutta la loro vita. Tutti i ragazzi hanno sostenuto che il ritorno a casa non ha rappresentato il termine dell’esperienza ma ha offerto l’occasione per riflettere su quanto si è vissuto e capitalizzare ciò che si è imparato. La lettura di queste esperienze si può trasformare, come in un cerchio d’onda, in un esperienza della famiglia, del gruppo di riferimento e dell’intera società di appartenenza, se ciò non fosse sarebbe mancante di quel contagio positivo interpersonale che resta uno degli obiettivi prioritari del progetto educativo di INTERCULTURA. ONLUS

I volontari del Centro Locale Intercultura di Rieti

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Cerimonia di premiazione dei vincitori delle borse di studio presso Palazzo Potenziani sede Fondazione Varrone 16 maggio 2005


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A N N O Giorgia Casanica Daniele Gunnella Mattia Iannello Luca Mirabella Alessandra Paolucci Roberta Tipo

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“Gli Stati Uniti erano grandi, lo erano le strade, i grattacieli di Chicago, le dimensioni dei menu del Mc Donald's.... E io non mi sono mai sentita tanto piccola.

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i è sempre piaciuto mettermi alla prova, lo trovo utile per conoscere me stessa, le mie capacità e i miei limiti. Così quando venni a sapere delle borse di studio che la Fondazione Varrone metteva in concorso, pensai subito che potesse essere un'ottima occasione che non avrei dovuto farmi sfuggire. I miei genitori erano d'accordo con me, disposti a lasciarmi uscire dal nido alla scoperta del mondo, sapendomi un uccellino affamato di conoscenza e voglia di volare per sperimentare le sue ali. Mi ricordo di aver guardato, per l'ultima volta prima di partire, la mia famiglia dall'autobus che avrebbe portato tutti noi studenti all'aeroporto. La mia famiglia non era sfocata come quelle di molti altri ragazzi vicino a me che guardavano fuori dal finestrino, attraverso le lacrime. Io non avevo paura, non avevo mai pensato, prima di iniziare l'avventura, che mi sarebbe potuto mancare il mio mondo e tutte le sue certezze. Era troppo il desiderio di sapere come sarebbe stata la mia vita nella ridente cittadina di Saint Charles, vicino Chicago, Illinois, Stati Uniti. E così atterrai. Gli Stati Uniti erano grandi, lo erano le strade, i grat-

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tacieli di Chicago, le dimensioni dei menu del Mc Donald's, la scuola presso cui ero studentessa straniera, la casa della mia “host family”. E io non mi sono mai sentita tanto piccola. Mi aspettavo un'accoglienza un po' diversa da parte della mia “host sister” che aveva solo un anno in meno. Pensavo venisse da lei il desiderio di ospitare una ragazza di una realtà fuori mano invece, era soprattutto la madre che, facendo parte di Intercultura e avendo già ospitato precedentemente, mi voleva nella sua famiglia. Mi affezionai presto a lei ma, se da una parte avevo piacere nel ricevere le sue attenzioni, dall'altra mi sentivo colpevole di toglierne ai suoi figli, che ne abbisognavano molto. Soffrii nello scoprire che l'amore tra coniugi non è per sempre, che le difficoltà economiche possono sembrare insuperabili e che le case a volte sono più belle da fuori. A scuola ero la ragazza con lo zaino pieno di libri, invece che con

la borsetta cool, non riuscendo all'inizio ad aprire il lucchetto dell'armadietto. Trovai abbastanza facili le lezioni e mi divertii nel ritrovarmi in una realtà scolastica fatta anche di sport e di feste pazzesche, che fino a quel momento avevo solo ammirato da dietro lo schermo della tv, nelle serie di quei teenager statunitensi che invidiavo. Sono consapevole ora che mi sarei dovuta buttare di più, parlare meno in italiano e che non avrei dovuto accontentarmi di un angolo da cui osservare, non sentendomi spesso a mio agio con il mio corpo, per tutti i chili acquisiti. Ho comunque conosciuto lì delle amiche con cui ho condiviso tante avventure divertenti e scoperto realtà molto diverse, venendo a contatto con gli altri ragazzi di tutto il mondo, figli adottati di Intercultura e delle emozioni che ci ha regalato. Ho fatto tesoro della mia esperienza e sono cresciuta analizzandola “con distacco” in un secondo momento.

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anielle Guenele”.. “Daniel Ganela”.. Uffa.. Ma sarà davvero così difficile dire “Daniele Gunnella”?! Non immaginate quante volte me lo sia chiesto.. Comunque, salve a tutti. Il mio nome come avrete ormai intuito è Daniele. Sono un ragazzo di ventidue anni, che quattro anni fa, ha avuto la fortuna di vincere una borsa di studio messa, a disposizione dalla “Fondazione Varrone”, per un programma di studio annuale negli Stati Uniti. Una borsa di studio che ha realizzato un vero e proprio sogno. E chi d'altronde vedendo un qualsiasi film “made in USA”, non ha mai sognato di andare in America?! Credo di poter affermare tranquillamente che la risposta sia nessuno (o quasi). Ricordo come se fosse ieri il giorno in cui, dopo settimane di test psicologici, colloqui e un'estenuante attesa per ottenere il verdetto finale, scartai la lettera con la comunicazione che ero stato uno dei vincitori per la borsa di studio. Iniziai a saltellare e gridare come se l'Italia avesse vinto il mondiale, mentre i miei genitori furono travolti da un misto di gioia e stordimento, nel vedermi così felice e certamente un velo di preoccupazione e malinconia. Non deve essere stato facile per loro realizzare di colpo che per un anno sarei stato così lontano da casa. Personalmente, forse per il fatto si essere veramente convinto di quello che stavo per fare, o forse per la semplice ragione che l'euforia di avercela fatta annebbiava la parte più razionale di me, non provavo ne preoccupazione, ne timori di alcun genere, specialmente dopo aver cominciato a stabilire i primi rapporti con la mia futura “host family” americana, un paio di mesi prima della partenza. Quell'estate trascorse talmente in fretta, che senza rendermene conto, mi sono ritrovato a salutare i miei genitori, leggermente commossi, mentre l'autobus lasciava il raduno e due giorni dopo, ero finalmente atterrato nel paese dei miei sogni, pronto per iniziare la mia avventura. L'ambientamento non è stato facilissimo: a testimoniare ciò, c'è il fatto che i miei primi dieci giorni li ho passati in un'altra famiglia, in un'altra città, in attesa che la mia vera famiglia tornasse dalle vacanze e soprattutto nel bel mezzo della difficoltà a mio avviso più rilevante per un “exchange student”, nella prima fase del suo percorso: la lingua. Capire e cercare di esprimersi era davvero difficoltoso, tanto che la sera ne risentivo anche a

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livello fisico con mal di testa continui. Come e quando venire fuori da questa situazione? Per quel che riguarda il mio percorso, ho preso come stimolo, quelle situazioni in cui il mio handicap linguistico mi faceva sentire uno stupido in mezzo ai miei compagni di scuola o di uscite, per cercare di migliorare seguendo due linee molto semplici: una era quella di non aver paura di sbagliare e quindi sforzarsi nel parlare, la seconda, quella suggerita anche da Intercultura, ossia ridurre al minimo i contatti con il proprio Paese. E sono stati proprio questi due accorgimenti che mi hanno fatto immergere a pieno

nella nuova realtà culturale che mi circondava ed a farmi sentire pienamente parte integrante della “famiglia Freydkis”. Sono proprio Josh, Jody e Ira che, giorno dopo giorno, non hanno fatto altro che accrescere in me quell'infatuazione, già importante in partenza, per la cultura statunitense. Trascorrere “Halloween”, impegnato a cercare un bel costume ed a preparare la mia prima zucca personalizzata, o il “Thanksgiving Day”, sedendo tutti a tavola, pronti a divorare il famoso tacchino arrosto e ben farcito, è una stata un'esperienza unica

di vivere, convivano persone provenienti da ogni parte del mondo: cinesi, sud americani, indiani, giapponesi, africani e anche europei, tutti insieme a formare un mix di razze e culture paradossalmente omogeneo. La stessa multiculturalità, è anche alla base del progetto Intercultura, e prende forma nel vedere teenager di tutto il mondo confrontarsi e condividere la stessa esperienza, azzerare per un anno quelli che sono i propri usi e le proprie culture, per immergersi in quella del paese ospitante. Con molti di questi ragazzi e ragazze ho

“È un'esperienza che ha influito profondamente su ciò che sono e forse anche su ciò che sarò” e irripetibile, che rimarrà impressa dentro di me per sempre. Ma gli Stati Uniti non sono solo questo: al di là dei grattacieli, delle metropoli, del loro modo di celebrare ogni festività ad alti livelli, ci sono cose meno evidenti, che a mio avviso li rendono speciali: in particolare il loro modo di concepire la scuola e la loro “multiculturalità” . Frequentare un high school per un anno, per giunta diplomandomi, mi ha permesso di vedere da vicino come la scuola abbia un ruolo cruciale nella vita di tutti i giorni per i ragazzi o le ragazze che la frequentano, di capire l'importanza e il peso che si danno all'istruzione e allo sport, ed infine di vivere in prima persona esperienze memorabili quanto indescrivibili come il “Prom”, ossia il ballo di fine anno e la cerimonia del diploma, in cui alla fine tutti tirano in aria i propri cappelli. Senza contare il fatto che quell'anno abbiamo vinto con la squadra di calcio il campionato del “Bay Area” e al nostro ritorno, siamo stati trattati come delle vere e proprie star. Per quanto riguarda la “multiculturalità”, sono rimasto molto colpito da come negli Usa e in particolare a San Francisco, la città dove ho avuto il piacere

stretto bellissimi rapporti d'amicizia e convissuto giornate memorabili, senza contare il fatto che ci sentiamo ancora abbastanza frequentemente e nutriamo, la speranza di rincontrarci tutti insieme un giorno, per vedere come le nostre vite siano cambiate. Adesso, a qualche anno di distanza, mi rendo conto di come quest'esperienza mi abbia cambiato profondamente: mi ha insegnato ad essere indipendente ed a saper contare solo su me stesso anche nelle situazioni più difficili, a non giudicare le persone alla prima impressione, ad essere meno impacciato o timido nel relazionarmi, e ovviamente, mi ha consentito di acquisire una conoscenza dell'inglese importante e idonea per affrontare una discussione di qualsiasi genere con un madrelingua. È un'esperienza che ha influito profondamente su ciò che sono e forse anche su ciò che sarò. Uno di quei viaggi che si ricordano sempre, a cui si pensa con nostalgia, per cui ci si sente sempre pronti a ripartire, a rimettersi in gioco, a rischiare. E le mille contraddizioni e differenze e conflitti che rendono grande un Paese, rendono più grandi e profondi gli occhi con cui guardi tutto il mondo.

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i viene da sorridere se ripenso al giorno che sono venuto a conoscenza degli scambi culturali di Intercultura: frequentavo il terzo liceo scientifico, era una normale mattina dei primi giorni di scuola, entra una professoressa ad interrompere la lezione, ci dice due parole, lascia dei plichi e va via. Più per curiosità che per interesse prendo uno dei libricini e lo porto a casa, poi parlando con i miei genitori mi convinco a iniziare le “pratiche” che mi avrebbero poi portato a vivere un’esperienza senza dubbio unica e irripetibile. Dopo mesi passati tra incredulità ed euforia, a seguito della notizia che sarei effettivamente partito per gli Stati Uniti dovrei avrei vissuto un anno grazie ad una delle borse di studio offerte dalla Fondazione Varrone, arriva il fatidico 10 Agosto 2005, giorno di partenza. Una nottata a Roma con decine di miei coetanei per gli ultimi accorgimenti, poi prendo il volo per Houston, ridente città del Texas non lontana da quella che sarebbe stata la mia città per un anno: Port Lavaca. Fin da subito mi sento a mio agio all’interno della famiglia che mi stava ospitando, la famiglia Bunnell, con cui sono e sarò per sempre in debito per i momenti magnifici che mi hanno permesso di vivere in casa loro..famiglia composta da 4 ragazzi, di cui due (Griffin e Charlie) già al college, uno (Randy) della mia età e un altro (Riley) un paio d’anni più piccolo, due genitori (Paul e Jeannine) medici e con loro anche un ragazzo danese, Ebbe, exchange student come me qualche anno prima, che la “mia” famiglia si era offerta di ospitare ancora per un po’ per permettergli di ambientarsi nel mondo del college americano. Devo essere sincero: se la mia avventura negli States è stata favolosa, buona parte del merito ce l’hanno le persone che ho appena elencato, per come hanno saputo accogliermi, lasciarmi i miei spazi, per come mi hanno permesso di condividere con loro momenti, impressioni, esperienze, proprio come se fossi uno dei loro figli..

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“Il ringraziamento più grande lo devo a papà Maurizio e mamma Monica che hanno creduto in me e che hanno lasciato libero un figlio di vivere un sogno!!”

Riassumere un anno intenso come quello in poche righe è fuor di dubbio impossibile: ci vorrebbero giorni per raccontare le centinaia di cose che mi sono capitate.. A cominciare dal primo giorno di High School, che è arrivato solo 3 giorni dopo il mio atterraggio a Houston, senza nemmeno aver avuto il tempo di visitare la scuola, le aule, conoscere e parlare con gli insegnanti (ma la mia host family aveva già provveduto a questo, a mia insaputa..), fare conoscenze e capire i ritmi.. non lo nascondo, il primissimo giorno di scuola è stato più vicino a un incubo che al “sogno americano”, perché mi sono trovato catapultato in una realtà talmente nuova, talmente diversa, circondato da persone che parlavano una lingua che, nonostante le mie buone conoscenze di inglese scolastico, non mi apparteneva minimamente e con cui non avevo familiarità. Col tempo poi tutto diventa più automatico, qualche giorno e già sapevo come muovermi tra le mura (e anche fuori) della Calhoun High School, dove trovare la mensa, l’ufficio studenti, la palestre, e soprattutto le aule, fondamentale per non arrivare tardi alle lezioni (e quindi non perderle!!). Mi servirebbero ore anche per parlare dei fantastici momenti vissuti con la squadra femminile di pallavolo, di cui ero il manager e scout-man, dei sabati passati i giro per le scuole del distretto con la mia squadra di atletica, delle innumerevoli attività scolastiche e

non, della settimana bianca in Colorado con la mia famiglia ospitante, delle giornate passate con gli amici a fare le cose più svariate (da semplici partite a basket o baseball a vere gare di tiro a segno con la nostra potato-gun, dai pomeriggi in piscina alle serate a base di pizza e film, dalle gare di cucina con Riley alle indimenticabili mattinate con i bambini dell’ “oratorio”).. Tutto questo resterà per sempre stampato in mente e scolpito nel mio cuore, perché questa esperienza mi ha permesso sì di imparare l’inglese, ma mi ha soprattutto fatto crescere, mi ha fatto conoscere una realtà a me nuova, mi ha fatto incontrare persone che altrimenti mai avrei conosciuto, mi ha fatto scoprire che nel mondo ci sono persone pronte a prendersi cura di un estraneo come un figlio, senza nulla in cambio al di fuori della consapevolezza che ci si può arricchire anche se ti piomba in casa un 17enne con cui all’inizio hai persino difficoltà a farti capire.. Sarò eternamente grato alla famiglia Bunnell per quello che ho vissuto nei miei undici mesi in Texas, lo sarò anche alla Fondazione Varrone e al suo Presidente, Avv. de Sanctis, che con l’occasione ringrazio ancora per l’opportunità che mi ha dato, lo sarò a tutte le persone che hanno vissuto con me direttamente o indirettamente la mia permanenza negli Stati Uniti, ma il ringraziamento più grande lo devo a papà Maurizio e mamma Monica che hanno creduto in me e che hanno lasciato libero un figlio di vivere un sogno!!

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M i r a b e l l a

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l mio nome è Luca, sono stato un borsista per Intercultura nell'anno 2005-2006 e posso dire, senza alcun dubbio, che, finora, partire per un anno scolastico per gli Stati Uniti d'America è stata l'esperienza che più ha contribuito alla mia crescita personale e non. L'idea di partire e vivere un'avventura di queste dimensioni ed importanza mi aveva da sempre appassionato, anche se non metto in dubbio che, allo stesso tempo, l'idea di abbandonare per un anno la mia famiglia, i miei amici e la mia s xzione. Ogni tanto mi sorprendevo a pensare a quanto sarebbe stato bello parlare una lingua differente, incontrare gente lontana dalla tua città svariate migliaia di chilometri ma ovviamente liquidavo il tutto velocemente, associando le mie aspirazioni e sogni a mera utopia. Tutto ciò invece si è avverato grazie alla Fondazione Varrone ed a Intercultura. Finalmente avevo la possibilità di vivere in prima persona una cultura, quella statunitense, che fino a quel momento ero stato solamente in grado di conoscere tramite i film e la televisione, anche se le mie paure, al momento della compilazione della domanda si facevano più tangibili e concrete. Ricordo che aspettai fin l'ultimo giorno per consegnare la documentazione, tanto era l'indecisione che si era creata nel momento di compiere una scelta così difficile; ma alla fine lo feci. E non avrei mai potuto fare una scelta più oculata. Il giorno della comunicazione dell'assegnazione della borsa di Studio, la mia gioia era incommensurabile e, sinceramente, in quel preciso momento non stavo più nella pelle di partire ed iniziare, di mettermi in gioco e dimostrare a me stesso ciò che valevo. Contavo i giorni che piano piano si avvicinavano a quel fatidico 11 Agosto 2005 che mi ha cambiato la vita. Già. L'11 Agosto. Se chiudo gli occhi e penso a quei giorni, il mio ricordo va alle forti e contrastanti sensazioni: l'addio ai miei genitori, il viaggio, il sentirsi parlare lingue diverse intorno, il fuso orario che ti fiaccava nel corpo, ma sicuramente non nello spirito.

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“Questa esperienza mi ha aiutato a pormi delle sfide ogni giorno, come quella di trasferirsi a 500 km di distanza per l'università”. Devo dire la verità: il mio addio non è stato del tutto drammatico. Ero rammaricato sì nel dovermi allontanare dai miei per così tanto tempo, ma al tempo stesso ero talmente tanto preso da tutte quelle esperienze che avrei dovuto affrontare, che la malinconia si allontanava all'istante. Era iniziata la mia personale esperienza di vita. Ho visto e conosciuto la mia famiglia ospitante per la prima volta quando mi sono venuti a prendere dal centro Intercultura di East Aurora, NY per portarmi alla mia nuova casa. Per problemi burocratici, la mia famiglia mi era stata assegnata pochissimo tempo prima la partenza, e per questa ragione non ero riuscito a mettermi in contatto con loro. Eravamo emozionati e nervosi come uno studente al suo primo giorno di scuola, d'altronde le aspettative erano alte da entrambe le parti. Io, in un certo senso, ambasciatore della mia nazione, loro, d'altra parte rappresentanti di una cultura nuova da insegnarmi. Una cultura che, sebbene molto vicina al nostro stile di vita occidentale, presentava una infinità di sfaccettature differenti, che solo un soggiorno così lungo e le persone giuste al mio fianco mi hanno permesso di comprendere al meglio. Il loro rapporto con la religione, la loro concezione di tempo, l'importanza della scuola nella vita sociale di un'adolescente, il loro modo di comunicare e di stare insieme agli altri sono solo alcune

delle tantissime cose che ho pienamente compreso ed accettato nel corso dei miei stupendi undici mesi a Buffalo. Stupendi si, ma non per questo ricchi di sfide a volte molto molto difficili. Lo stare così lontani da casa rende a volte anche un piccolo problema un vero e proprio dramma, a cui si aggiunge ovviamente l'impossibilità di comunicare nella lingua natale. Niente ovviamente di insuperabile: è bastata una buona dose di ottimismo e di pazienza, nonché l'aiuto di amici conosciuti alla High School, tutor e altri borsisti Intercultura, per rendersi conto che quell'incomprensione, quello stereotipo, quella discussione erano soltanto piccoli ostacoli che non avrebbero di certo compromesso il bellissimo viaggio personale che stavo intraprendendo. Conoscere un'altra cultura mi ha reso più aperto, sotto questo punto di vista, alle critiche e sicuramente mi ha dato un bagaglio di conoscenze molto più grande di qualunque altro adolescente della mia età. Questa esperienza mi ha aiutato senza dubbio a pormi delle sfide ogni giorno, come quella di trasferirsi a 500 km di distanza per l'università o come quella di scegliere di affrontare un tirocinio lavorativo trimestrale in Germania. Senza dubbio, se non mi fosse stata offerta questa opportunità, non avrei maturato la dinamicità e la volontà di accettare quei confronti giornalieri che mi fanno crescere e migliorare giorno dopo giorno.

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mpossibile riassumere in poche righe quanto la mia esperienza Intercultura abbia significato per me e per la mia vita. Sono passati ormai 4 anni da quando la mai bellissima avventura si è conclusa, ma i ricordi di quell'anno intenso restano impressi dentro di me e mi accompagnano giornalmente. E’ iniziato tutto con una domanda di partecipazione inviata all'ultimo minuto, quasi per gioco. Mai avrei immaginato che questo avrebbe portato ad una serie di reazione a catena, inebrianti, che si sono concluse con la mia partenza quel 10 Agosto del 2005. Difficile spiegare l'insieme di emozioni che ho percepito in quei momenti. Voglia di

“Il mio primo giorno negli Stati Uniti mi è sembrato quasi di entrare in una porta segreta, in un libro di racconti per diventarne protagonista”

avventura, di scoperta, di mettersi alla prova, di migliorarsi. Tutte aspettative che non sono state deluse. Il mio primo giorno negli Stati Uniti mi è sembrato quasi di entrare in una porta segreta, in un libro di racconti per diventarne protagonista. Una sensazione che mi ha accompagnato durante tutto il mio soggiorno è stata proprio quella di vivere due vite contemporaneamente . A mio avviso è un importante gioco di equilibri che non bisogna rompere. E’ difficile gestire contemporaneamente le due realtà, ma è essenziale che ciò venga fatto, per non penalizzare nessuna delle due. E’ importante vivere al meglio i momenti che ci vengono offerti dalla nostra esperienza, ma mantenersi allo stesso tempo con i piedi ben saldi a terra ed essere consapevoli del fatto che è comunque un'esperienza destinata a terminare. Ovviamente non è tutto merito nostro. Personalmente devo molto alle persone che mi hanno accompagnato in questa esperienza. La mia famiglia d'origine che ha creduto in me e mi è stata vicina fin dal primo momento, la mia famiglia ospitante che mi ha sempre incoraggiato, e tutte le persone che ho incontrato lungo il mio percorso e che hanno inconsapevolmente contribuito a questa mia nuova visione del mondo e della vita, una visione più matura e consapevole, libe-

ra dai pregiudizi, aperta a tutto ciò che rappresenta il nuovo. Un importante momento di crescita personale e sociale. Posso sicuramente affermare che senza questa mia esperienza non sarei la persona che sono oggi. Ogni singolo istante, ogni ricordo, si scava una piccola nicchia e cicatrizza dentro di te. Non riaffiora solo sporadicamente, ma diventa parte di te, diventa la persona che sei. In ogni decisione della tua vita c'è quell'esperienza che riemerge inconsciamente e che la guida. Da parta mia posso solo ringraziare. Ringraziare di aver potuto fare questa magnifica esperienza, ringraziare tutti coloro che l'hanno resa possibile, ringraziare la Fondazione Varrone per la generosità e per la fiducia che ripone in noi giovani, ringraziare forse anche il caso. Non posso fare a meno di pensare che sarebbe potuto non accadere. Sicuramente una serie di circostanze fortunate hanno aiutato me e tutti i ragazzi che come me hanno potuto beneficiare della borsa di studio messa a disposizione dalla Fondazione Varrone e dal suo Presidente avvocato Innocenzo de Sanctis. Senza nulla togliere alla meritocrazia, sarebbe stato sufficiente non leggere quella locandina per non venire a sapere della prospettiva che si apriva sotto i nostri occhi.

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olto viene detto sull’essere un “exchange student”, ma solo quando lo divieni, tutto comincia ad avere un senso. Non è facile, e che tu lo voglia o no, finisci con il crescere e cambiare. Una volta che lo “scambio” è finito ti rendi conto di essere in grado di affrontare molte più situazioni di quante ne potresti immaginare. La miglior cosa di essere un “exchange student” non sono le feste o i posti che conoscerai, non è l’indipendenza o l’esperienza di vita, ma l’amicizia. E non sto solo parlando degli amici del tuo paese ospitante, ma anche dei tuoi amici provenienti da tutto il mondo. Per molti di noi infatti, sono stati i primi veri amici, quelli che abbiamo conosciuto all’inizio della nostra esperienza. Sono stati i primi con cui abbiamo parlato senza aver avuto la paura di parlare una lingua diversa dalla nostra. C’è una grande differenza tra gli “host country friends” e gli “exchange student friends”. Gli exchange student hanno un legame speciale. Nonostante le differenze linguistiche e culturali, riusciamo a capirci l’uno con l’altro perché entrambi affrontiamo la stessa esperienza. Si diventa amici perché a volte capitiamo nelle stesse scuole, viviamo in città vicine, oppure stringiamo una forte amicizia durante le gite e gli incontri che si fanno nell’arco dell’anno. All’inizio di questi incontri speciali tra exchange students tutti sono timidi, ma alla fine è come se ci conoscessimo da una vita. Quante amicizie sono cominciate con la semplice frase: “How can I say this in your language?” E’ strano credere che amicizie così grandi possano nascere da una frase così semplice. Nel momento dei saluti, alla fine del primo incontro, non ti senti triste perché hai tutto l’anno ancora da vivere, e sai che ci saranno futuri incontri per rivederci tutti. Poi il tempo passa e ti accorgi che la fine dell’esperienza sta

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“Una volta che lo scambio è finito sei in grado di affrontare molte più situazioni di quante ne potresti immaginare”

per arrivare. Arriva il momento dell’ultimo meeting e probabilmente sarà l’ultima volta che vedrai i tuoi exchange friends. Questa sensazione è orribile! Ed è quando arriva questo giorno che speri che tutto non finirà mai, che vorresti avere il potere di tornare indietro col tempo. Nel momento dell’addio è difficile trattenere le lacrime e fai promesse a persone che non avresti mai immaginato di conoscere, persone eccezionali. Quando tutto finisce ti rendi davvero conto che saranno loro le persone che ti mancheranno di più: i tuoi exchange friends sparsi per il mondo. Un giorno ti ritroverai a lezione di storia o geografia e quando verranno nominate le nazioni in cui vivono i tuoi amici, penserai a loro che ora sono così distanti da te, e ti rimarrà difficile ancora

una volta trattenere le lacrime. La cosa più difficile da affrontare, una volta che l’esperienza è finita, è accettare il fatto che passerà molto tempo prima di avere la possibilità di girare il mondo e poter rivedere ancora una volta i tuoi “exchange friends”. Credo che noi exchange students siamo delle persone meravigliose, speciali e uniche, e sono diventata una persona migliore semplicemente grazie a loro, che hanno reso il mio anno indimenticabile. Spero che un giorno li rincontrerò tutti, non importa quanto siano lontani, so che loro saranno felici di ospitarmi in qualsiasi momento. Io stessa ho avuto modo di ospitare amici provenienti dalla Germania, dalla Francia.. questo per dimostrare che l’amicizia tra exchange students continua nel tempo e non terminerà mai.

“Quando tutto finisce ti rendi davvero conto che saranno loro le persone che ti mancheranno di più: i tuoi exchange friends sparsi per il mondo” 27


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Cerimonia di premiazione dei vincitori delle borse di studio presso Palazzo Potenziani sede Fondazione Varrone 25 maggio 2006


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Christopher D’Agostino Tommaso Francucci Denise Grazini Federico Iarussi Rita Martini Silvia Melchiorri Agnese Santocchi Giulia Segna

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iao,mi chiamo Christopher e sono partito per gli Stati Uniti nel 2006. Non è certo difficile immaginare la mia felicità quando scoprii di aver vinto la borsa di studio, o i sogni ad occhi aperti che feci nelle settimane antecedenti la partenza: sogni ovviamente legati agli stereotipi che si hanno nei confronti della cultura e della scuola americana. Stereotipi che non sono durati molto, visto che mi sono ritrovato in un paesino della Georgia con poco più di 2500 abitanti. Il cielo non era certo oscurato dai grattacieli! La mia host family (madre, padre, 2 sorelle) fu davvero magnifica: fin dall’inizio cercarono di mettermi a mio agio e per tutta la durata dell’esperienza fu la mia ancora di salvataggio nelle difficoltà e la compagnia più desiderabile nei momenti felici. Anche le persone che conobbi a scuola furono sempre molto gentili e mi aiutarono molto quando nei primi mesi il mio povero inglese scolastico si scontrò con il terribile accento del Sud degli USA! Con il passare delle settimane, incominciai ad integrarmi nella nuova vita, fatta di giornate spese tra scuola, sport (corsa in autunno e calcio in inverno) e i miei nuovi amici; eppure la nostalgia di casa era tanta e appena potevo parlavo con la mia famiglia e i miei amici italiani via Internet. Sapevo però che era l’occasione della mia vita e che mi sarei dovuto immergere interamente nella realtà americana, passando da semplice “turista” a parte integrante della comunità: solo così sarei riuscito a smontare gli stereotipi e a vivere al massimo la mia avventura. Questo processo ovviamente cambiò radicalmente la mia personalità: ritrovandomi da solo, lontano da casa, in situazioni a me prima sconosciute e circondato da persone che non parlavano la mia lingua, imparai ad essere molto più indipendente ed estroverso, cercando ogni occasione utile per poter parlare e scambiare idee su qualsiasi argomento; quanti pomerig-

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“Un’esperienza che cambia il modo di pensare di sé stessi e del mondo che ci circonda, un’esperienza che rende più forti, indipendenti e curiosi nei confronti del prossimo, ma al contempo meno soggetti all’azione di stereotipi e luoghi comuni.” gi passai parlando fino a ora di cena con la mia host mom degli argomenti più vari! Il rapporto con i componenti della host family è importantissimo per la riuscita dell’esperienza: posso dire di essere stato davvero molto fortunato a trovare una famiglia che mi accogliesse in modo così caloroso, preoccupandosi sempre di non farmi mancare nulla e aiutandomi quando non capivo qualcosa a scuola. Un posto particolare nella mia memoria e nel mio cuore troveranno sempre i miei compagni di viaggio: ragazzi e ragazze

provenienti da tutto il mondo e ritrovatisi insieme nei famosi Stati Uniti, accomunati dalle stesse speranze, dubbi e problemi; un’esperienza che ci ha legato fortemente e che ha reso molto doloroso il momento dell’addio. Un’esperienza che cambia il modo di pensare di sé stessi e del mondo che ci circonda, un’esperienza che rende più forti, indipendenti e curiosi nei confronti del prossimo, ma al contempo meno soggetti all’azione di stereotipi e luoghi comuni.

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ono Tommaso Francucci frequentante la facolta degli studi dell’Aquila e sono stato un borsista per gli Stati Uniti d’America. Esperienza unica, irripetibile e da fare, anche se non e` per tutti, ma ne vale la pena provare, perche` anche nel provare c’e` un’ enorme crescita personale, che per molti e` stata sufficiente a cambiargli la vita senza poi partire. Prima della partenza l’ansia e l’angoscia, tipiche di una nuova esperienza. Ma la cosa piu` bella di tutte è stata la sensazione di libertà, mai più provata da quel giorno, quell’emozione fatta di paura, eccitazione, incoscienza, quel coctails di emozioni necessario per affrontare un’avventura cosi` importante per un ragazzo di 17 anni. Lo stress maggiore, almeno lo e`stato per me e` stato il viaggio, verso l’ignoto; in effetti non sapevo ancora la mia destinazione prima di partire e nemmeno quando ero in viaggio, potreste pensare che abbia

provato angoscia e paura, invece no, e` stato tutto molto eccitante, “it gave it thrill”. Non appena approdati, dopo il lungo viaggio, abbiamo atteso con ansia e timore il passaggio, la venuta, delle nuove famiglie, la mia arrivò verso le 4 pm, su una Hammer bianca; diciamo che avevano le carte in regola, ma talvolta le apparenze possono ingannare. Infatti dopo 4 mesi di “calvario” abbandonai, dopo essere stato cacciato, esattamente il 17 Dicembre alle ore 4:35 pm, la prima casa, per trasferirmi dalla mia tutor per tutte le vacane di Natale e oltre. Trovai successivamente un’altra famiglia, molto accogliente, di religione

“La cosa piu` bella di tutte è stata quell’emozione fatta di paura, eccitazione, incoscienza, quel coctails di emozioni necessario per affrontare un’avventura cosi` importante...”

ebraica. Ho così avuto modo di conoscere altri tipi di feste e di culture apprezzando e crescendo, vedendo cosi` altri punti di crescita`. Le difficoltà sono moltissime e la vita non e` facile, perchè per certi aspetti è come rinascere una seconda volta ma essendo coscienti, perchè non si riesce a comunicare come si vorrebbe a casa propria: molte volte bisogna fare buon gioco a cattiva sorte, diciamo che la mia vita, almeno per i primi 6 mesi, è stata molto frustrante e dura. Non esiste un metodo per affrontare le difficoltà, se ci fosse sarei milionario adesso, certamente esiste un insieme di cose, bisogna sempre essere critici e, dalla critica imparare a essere propositivi, ad essere tolleranti e, a volte, accettare cose che noi di norma rifiutiamo, però, con il tempo poi, le cose si aggiusteranno bisogna solo essere pazienti. Vivendo all’interno della società americana, si impara a comprendere tutti gli stereotipi che passano in Italia che una volta appresi vengono assimilati meglio. Lo scambio culturale è stato fondamentale per la crescita della mia persona, questa è quel tipo di esperienza che ti forma, ti fortifica e ti dà autostima e fiducia in te stesso, riesci poi ad affrontare tutte quelle problematiche che prima di allora ti sembravano insormontabili, diventando cosi piu` sicuri e più forti.

L’acquisizione di competenze culturali è fondamentale per la vita futura di uno studente, le informazioni acquisite durante il corso dell’anno ti fanno capire quanto non si conosce e che la conoscenza è infinità e che non basterebbe una vita, per avere almeno un’idea di quello che c’è da sapere. Bisogna imparare, sempre con “open mind” come si usa dire in America. Quest’esperienza serve, se vissuta con la giusta dose di umiltà ad implementare le proprie conoscenze ad avere una prospettiva diversa su tutto quello che si vede o si fa. Fondamentalmente si impara ad imparare e ad essere più precisi, più corretti più propensi ad osservare le regole, cose che in Italia vengono troppo spesso trascurate dalle autorità stesse. Le amicizie, fatte nel periodo di Intercultura, sono fondamentali, servono un po’ come valvole di sfogo e costituiscono un irrinunciabile momento per confrontarsi, tenendo presente, che le esperienze sono sempre individuali e diverse. Una volta tornati in Italia, essendo diventato l’inglese la tua prima lingua si fà più difficoltà a parlare in italiano, avendo l’impressione che sia più facile e piu pratico parlare in inglese. Questa esperienza si deve fare ! la consiglio a tutti, ma consiglio vivamente di non prenderla come una vacanza.

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“L’America è l’orgoglio delle diversità, è la patria di tutti, l’America è la mia seconda casa”.

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sempre difficile trovarsi di fronte ad un foglio bianco e cercare le parole adatte per descrivere quella che è stata la mia esperienza negli States. Mi chiamo Denise Grazini, ho 19 anni e frequento il primo anno di Ingegneria Edile. Quando sono partita, avevo 16 anni compiuti da appena un mese. Sinceramente quando ho messo piede su quell’aereo, non avevo né dubbi né timori, o almeno facevo finta di non pensarci, perché sicuramente sarebbero arrivati, li portavo con me, nascosti nella mia “valigia”, con la mia gioia di scoprire un altro mondo, con la voglia di staccare la spina, con la voglia di vivere altrove e conoscere qualcosa di totalmente nuovo, qualcosa che mai mi sarebbe capitato una seconda volta; portavo, inoltre, la mia spensieratezza e solarità, che molte volte mi hanno aiutato in questa esperienza, a partire dalle fasi di selezione. Era la prima volta che facevo un viaggio così lungo, di certo non mi spaventava, tantomeno ero intimorita da questa lunga permanenza fuori casa. Nelle orientation mi avevano parlato di shock culturale, i tutor avevano fatto degli esempi, ma il Maryland non mi ha scosso, anzi mi ha aiutato a crescere. Una famiglia pronta ad ospitarti, una nuova scuola, una nuova lingua, nuovi amici, nuove esperienze, sono state le motivazioni per superare questo shock. Uno scossone silenzioso, lo definirei, un’onda che non sai da dove arriva e quando se ne va riesci a vedere tutto in

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maniera più chiara. E’ questo lo shock culturale che ho provato. Sono delle difficoltà che vedi chiaramente quando vivi in un mondo stereotipato, chiuso e, che ti lasci alle spalle, quando entri a far parte di un mondo nuovo, cominciando a comprendere meccanismi totalmente diversi, propri dell’universo che ti ospita per dieci mesi. Il bagaglio culturale che si possiede, non è più adatto alle nuove situazioni che si presentano ai nostri occhi. La difficoltà più grande è quella di modificare e arricchire quello che già cono-

sità degli addobbi natalizi di ogni casa, tutta quella neve d’inverno, gli scoiattoli nel giardino, il rumore di una Harley Davidson alle quattro di un pomeriggio d’estate, i miei amici americani, la forza di tutti gli studenti AFS e tutto quello che mi ha insegnato, porto con me l’amore di una famiglia che mi ha ospitato come una figlia, la consapevolezza della mia forza d’animo e di reagire a tutte le difficoltà. Non sono cambiata, sono maturata grazie a questa esperienza. Sono una persona diversa, che ha qualcosa in più, una sen-

“Uno scossone silenzioso, un’onda che non sai da dove arriva e quando se ne va riesci a vedere tutto in maniera più chiara. E’ questo lo shock culturale che ho provato”. sciamo, quello che ci appartiene, di accettare con consapevolezza le differenze. Si cerca, così, di eliminare ogni tipo di problema, dalla camera, ai turni per la pulizia della casa, per citarne dei banali, sino ad arrivare alla lingua, all’accettazione di una cultura diversa con tutte le sue sfaccettature. La pazienza, la percezione delle difficoltà che si presentano, l’entusiasmo, ma soprattutto l’adattamento, sono i fattori che aiutano a dimenticare tutti gli stereotipi e che permettono di lanciarsi serenamente in quest’avventura. Del Maryland ricorderò per sempre i colori, i sorrisi della gente, l’estro-

sibilità diversa, un modo di vedere le cose insolito ma bello, bello come un anno a Laurel, bello e difficile, ma chi vuole partire è perché vuole mettersi alla prova. L’America mi ha insegnato il coraggio e la curiosità, mi ha insegnato a credere nelle mie capacità. L’America mi ha dato, mi dà e sono sicura mi darà tanto. Forse mi ha levato per sempre la spensieratezza dell’adolescente, mi ha fatto sicuramente crescere. “Com’è l’America?” mi chiedono ancora. L’America è l’orgoglio delle diversità, è la patria di tutti, l’America è la mia seconda casa.

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i chiamo Federico Iarussi e, grazie alla borsa di studio della Fondazione Varrone ho fatto l’esperienza di scambio di un anno all’estero negli Stati Uniti precisamente a Livingston nel New Jersey nell’anno 2006\2007. I timori e i dubbi prima della partenza credo siano quelli che può avere un qualsiasi diciassettenne che non si è mai allontanato più di una settimana da casa, dentro di me c’era un misto di paura ed eccitazione, da un lato la paura di lasciare per un anno la mia famiglia i miei amici e la mia città, dall’altro lato la curiosità di conoscere e capire posti e culture nuove e diverse dalla mia, è proprio la curiosità che è prevalsa sulla paura e mi ha spinto verso la decisione della partenza, ed è proprio la curiosità che mi ha aiutato durante l’anno passato all’estero.

“Per farsi accettare ed essere apprezzati dagli altri bisogna prima saper accettare e apprezzare gli altri, quando si vuole ricevere molto dalle altre persone bisogna anche saper dare molto”

Infatti non credo ci siano strategie da adottare per adattarsi alla nuova cultura. Credo la cosa più importante sia quella di avere l’interesse di conoscere e approfondire le cose, non credo di aver mai rifiutato una proposta che mi venisse fatta dalla famiglia o dagli amici. La mia strategia è stata quella di fare più esperienze possibili, molte anche non gradite, dopo, ma la cosa più importante era poter dire almeno ci ho provato, e comunque non ho mai detto a nessuno che il cibo provato o l’attività fatta non mi era piaciuta, ma solo che era stata una cosa interessante e che forse un giorno “lontano” l’avrei potuta rifare. Quando sono arrivato negli Stati Uniti non pensavo ci fosse lo stereotipo così radicato dell’italiano romantico che sa cucinare ed è sempre di buon umore. Chiunque pensasse all’ Italia pensava a Roma, Firenze, Venezia. Tutti pensavano che il nostro paese fosse un po’ come una favola dove tutti mangiano un bel piatto di pasta con sugo accompagnata da un buon vino, in un ristorante con un balcone che affaccia sul porto di Capri. Ogni volta che capivo che le persone pensavano questo, cercavo sempre di spiegare che l’Italia non è tutta così, che è un paese molto diverso da come lo possono pensare, ma credo che tale stereotipo è talmente tanto radicato nelle loro menti che non sono riuscito a far capire a molte persone come è che realmente viviamo. Comunque devo dire che essere Italiano non mi ha dato difficoltà durante lo scambio, anzi sicuramente mi ha aiutato molto, però una cosa importante da dire è che

lo stereotipo può aiutarti a conoscere persone per un mese, ma in un anno la persona che sei uscirà veramente e non c’è sensazione più bella e sicurezza maggiore che sentirsi accettati non per dove si è nati o da dove si viene, ma per chi si è veramente. Lo scambio all’estero mi ha lasciato molto, grazie ad esso credo di aver capito bene chi sono , ho acquistato fiducia in me stesso e nella mia personalità, ho capito che per farsi accettare e ed essere apprezzati dagli altri bisogno prima saper accettare e apprezzare gli altri, quando si vuole ricevere molto dalle altre persone bisogno anche saper dare molto, forse questa e la cosa che ho imparato in un anno. Grazie allo scambio ho capito anche che non mi bastava più arrivare alla sufficienza nelle cose,ho capito che si deve sempre puntare al massimo, e anche se il massimo non viene raggiunto, questo è l’unico modo per superare le difficoltà. Forse i due precedenti sono gli insegnamenti più importanti che mi ha dato l’anno, ma comunque intercultura mi ha lasciato talmente tante esperienze e sensazioni che non credo basterebbe una pagina ad elencarli tutti. Gli amici e la famiglia trovati negli Stati Uniti sono una cosa importantissima per me. La cosa più strana credo sia quella di avere una vita negli stati uniti vissuta e importante quanto quella che si ha in Italia,ma quello è un piccolo angolo del mondo che ho preferito conservare solo per me, nel mio cuore.

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era una volta… una ragazza di nome Rita Martini di 16 anni che si prefissò come obiettivo di partire per gli Stati Uniti… Il suo iter fu davvero lungo,infatti dovette superare una serie di ostacoli ma nonostante questo,lei,caratterizzata dalla sua determinazione non si fece intimorire e,con la sua forza di volontà,riuscì a realizzare il suo sogno americano:partire un anno per l’estero. Il giorno,in cui ricevette la lettera con scritto”AMMESSA” fece un urlo di gioia…. In quel momento provò tante emozioni,infatti avrebbe voluto gridare al mondo intero di avercela fatta e di essere super orgogliosa di se stessa. I mesi,i giorni,le ore,i secondi passavano e le aspettative di Rita crescevano sempre di più,difatti la sua mente già fantasticava di trovarsi nella Grande Mela. Alle sue amiche diceva:”speriamo che possa andare a New York”- “Oddio, non vedo l’ora”.Nonostante il suo stato d’animo fosse a mille iniziarono a sopraggiungere anche le prime ansie, i timori, i dubbi e si chiedeva in continuazione: “Perché non mi arriva ancora la destinazione?”- “Perché non mi fanno sapere nulla?”. A volte, aspettava che il telefono di casa squillasse e le dicessero:” Signorina Martini, la sua destinazione è New York”. Di giorno in giorno,continuava ad immaginare questa scena ma nulla da fare. Arrivò il grande giorno,Rita si sentiva euforica ma qualcosa dentro di lei non andava come se iniziasse ad essere già nostalgica della sua famiglia. Nel momento in cui la ragazza sentì rimbombare il suo nome all’Auditorium le sue gambe tremarono,ma non solo, la sua voce si affievolì per un attimo. Capì che era il momento di lasciare la sua cara e amata famiglia. La cosa che la continuava a tormentare era il fatto di non conoscere la destinazione. Finalmente, dopo pochi minuti, il direttore di Intercultura le comunicò la fatidica destinazione: lo stato del New Jersey. Rita fece un sospiro di sollievo e si sentì di nuovo euforica. Era il momento di salutare i suoi cari… La sua faccia era sorriden-

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te ma in realtà i suoi occhi erano pieni di lacrime come quelli della sua adorata mamma. Ed eccoci giunti alla partenza: FIUMICINO-FRANCOFORTE, FRANCOFORTE-CHICAGO, CHICAGO-NEWARK. Durante il lungo viaggio, Rita pensava talmente tanto da cercare di immaginarsi il volto della sua famiglia ospitante e se quest’ultima avesse dei figli o delle figlie. Insomma la sua mente cominciò a fantasticare…. Oramai le sue aspettative erano davvero tante e soprattutto dentro di lei covava una grande forza d’animo. Arrivata all’aeroporto, Rita sbarrò gli occhi e davanti a lei apparve un cartellone con scritto “BENVENUTA RITA”. Era la sua famiglia ospitante. Da quel giorno, iniziò la sua avventura americana e il suo graduale adattamento alla nuova cultura. Nei primi giorni, Rita accusava un grande vuoto perché si sentiva catapultata in una realtà completamente diversa dalla sua. Il suo primo grande impatto fu la scuola, infatti appena entrata si sentì una piccola formica come se quello non fosse il posto più adatto a lei. Poi con il passare del tempo, la ragazza entrò nel sistema sco-

“Si sentì americana a tutti gli effetti quando alla partita di football si colorò il viso con i colori della squadra...” lastico americano. I suoi compagni erano curiosi tanto da farle domande sul suo paese di origine,sugli usi e costumi, sul cibo, e così via… Un giorno le venne chiesto: “Rita,ma a Roma ci sono ancora gli schiavi?”. La ragazza rise talmente tanto da farle male l’addome. Tanti sono gli episodi di questa ragazza,uno divertente è quando arrivò tardi a lezione ed era talmente imbarazzata davanti al professore che non riuscì neanche a giustificarsi. A voi lettori,dirò cosa successe veramente. Quella mattina,Rita arrivò tardi a causa del suo cagnolino che scappò di casa. Che ridere!! Gli americani avrebbero detto:” That’s so cool!”. Gli stati d’animo che Rita ha provato durante l’anno all’estero! Si sentiva persa, fragile e paurosa verso la nuova cultura, ma, con il passare dei mesi finalmente si sentì felice, accettata da tutti i suoi compagni tanto che nella scuola era conosciuta come “Reets”. Praticamente era amata da tutti difatti era sempre invitata ovunque e da chiunque. La classe di italiano le organizzò una festa a sorpresa prima del suo ritorno in Italia. Questo, cari lettori, sta a dimostrare quanto Rita avesse lasciato qualcosa nel cuore di tutti. Quando una ragazza,intraprende un’esperienza all’estero, deve anche affrontare determinate difficoltà. I primi ostacoli si incontrano con la lingua, perché i ragazzi americani utilizzano gli “slang”. Rita,ricorda un episodio in cui le venne detto:” Girl,fo-shizzle my nizzle yo!!”. La ragazza era perplessa tanto da dire:”What are you saying?”. Quella frase voleva dire :” For sure, my friend”. La ragazza per superare la difficoltà della lingua, incominciò a rimboccarsi le maniche e , si mise a leggere riviste, libri, ascoltare musica e farsi correggere dalla famiglia e dagli amici quando sbagliava. Poi, i suoi amici, cominciarono ad insegnarle gli slang e lei si sentiva felice. A volte veniva presa in giro per la sua pronuncia “funny”. Dovette superare altri ostacoli, abituarsi al loro modo di vivere come cenare alle 17:30 perché per lei era una semplice merenda. A volte sentiva la mancanza della famiglia, ma si risollevava tenendosi impegnata con le attività scolastiche. Le sue amiche e la sua famiglia ospitante infondevano in lei coraggio. Con il pas-

sare dei mesi, le difficoltà scomparivano e si sentiva sempre più soddisfatta perché ormai l’ostacolo della lingua era superato e stava vivendo un’esperienza unica. Si sentì americana a tutti gli effetti quando alla partita di football si colorò il viso con i colori della squadra, quando si recò a farsi il gel alle unghie, quando andò alle feste, quando la sua famiglia mise la sua foto nell’albero di Natale e, soprattutto quando per la prima volta si recò al “Prom”; il ballo di fine anno, accompagnata da un suo compagno di scuola. Alcuni chiedevano il suo aiuto per i compiti di italiano, ma non solo “passava” anche quelli in inglese. Reets era benvoluta da tutti tanto che i suoi professori,le sue amiche e la sua famiglia ospitante furono dispiaciuti quando dovette lasciare l’ America. Questa esperienza portò a Rita serenità, felicità e soprattutto un grande bagaglio culturale e tanti ricordi nel cuore. Durante questo lungo viaggio, ha ottenuto numerose soddisfazioni che l’hanno portata ad essere orgogliosa di se stessa. Inoltre, questa avventura è stata bellissima e fantastica, perché le ha permesso di riflettere su se stessa e di capire chi sia realmente. Ha imparato ad affrontare i problemi della vita e soprattutto ad essere più ottimista. Durante il soggiorno in America, la personalità di Rita si è modificata; ora è una ragazza più coraggiosa, più matura,più aperta alle altre culture e ha una diversa visione del mondo circostante. Ovviamente un grazie va alla FONDAZIONE VARRONE e ad INTERCULTURA che mi hanno permesso di fare questa esperienza insieme.

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o impiegato tanto, forse troppo, tempo prima di riuscire a trovare la "forza" di scrivere...in realtà non è che non ne avessi voglia, ma pensare all'anno trascorso negli Stati Uniti mi dà un pò di nostalgia ancora oggi a quasi 4 anni di distanza, mi tornano in mente i bellissimi momenti trascorsi lì..gli amici..le feste..e tutto ciò che di bello e positivo l'esperienza mi ha dato! Durante il mio anno negli States ho avuto modo di fare tantissime esperienze che sicuramente non avrei mai potuto provare altrimenti: dal più estremo PARASEALING

“l'AMERICA non è solo la Nazione dei McDonalds, ma è la Nazione della gente che mi ha insegnato a crescere con tutte le sfide giornaliere e in tutte le situazioni quotidiane!”

(Paracadutismo sull'Oceano) ai più tradizionali balli scolastici quali HomeComing -il ballo di inizio anno-, King of Hearts -il ballo al quale le ragazze potevano andare solo se invitate da un ragazzo- (nel periodo di San Valentino), e il Prom -il ballo esclusivo per Juniors e Seniors di fine anno. Ho trascorso lì il mio IV anno di Scuola Superiore e sono stata dunque assegnata al Grado Senior (anche se in un primo momento mi avevano messo come Junior) alla Parkway West High School di Ballwin, Missouri. A scuola, grazie anche alla mia intraprendenza e la mia "faccia tosta", mi sono potuta falcimente inserire in tutti i gruppi sportivi ho fatto Pallavolo durante il periodo estate-autunno, Basket durante il periodo inverno-primavera e Calcio in primavera fino a fine anno scolastico..non che mi stufassi..anzi tutt'altro solo che negli States gli sport sono "stagionali" quindi si pratica uno sport a stagione. E' proprio grazie nella squadra di Basket che ho conosciuto 3 delle ragazze con le quali sono rimasta più legata in assoluto Nancy, Megan e Shanai..Nancy già l'estate seguente il mio ritorno è venuta in Italia a trovarmi e quest'estate sarà nuovamente qui Certo non è stato un anno tutto ROSE E FIORI, mi son trovata infatti -proprio all'inizio della mia esperienza- catapultata in una

realtà troppo differente dalla mia: la mia HOST-FAMILY era composta da una madre e una figlia (con gatti e cani annessi) e per me, che vengo da una famiglia di 5 figli dove entrambi i genitori vivono a casa, è stato un pò uno shock.. Ho provato ad adattarmi ma non ce l'ho proprio fatta mi sentivo talmente OUT OF PLACE che a volte ho pensato pure di tornare a casa, in Italia... Poi, per fortuna, Megan mi ha proposto di andare a vivere da lei con la sua famiglia e dal momento del trasferimento, la mia esperienza non ha fatto altro che migliorare L'esperienza mi ha aiutato a crescere, a maturare, a sapere guardare alla vita con occhi diversi, con gli occhi dell'opportunità e del saper sfruttare tutte le occasioni che la vita ci mette davanti! Ora sono al II anno di Università, il prossimo anno mi laurererò e, chi lo sà, potrei anche tornare negli Stati Uniti per un futuro lavorativo perchè quella Nazione mi ha dato tanto e per me ha significato tanto perchè l'AMERICA non è solo la Nazione dei McDonalds, ma è la Nazione della gente che mi ha insegnato a crescere con tutte le sfide giornaliere e in tutte le situazioni quotidiane! "IT'S WIERD HOW FRIENDS BECOME STRANGERS AND STRANGERS BECOME FRIENDS" “St.Louis forever in my heart”

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Cerimonia di premiazione dei vincitori delle borse di studio presso Palazzo Potenziani sede Fondazione Varrone 31 maggio 2007


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Eugenia Blasetti Silvia Brutti Eleonora Bucci Giulia Cardini Anna Cieno Giorgia D’Alessandro Veronica Feliciani Orso Maria Frattali Martina Galletelli Alessandro Giovannelli Silvia Micheli Susanna Mitolo Jessica Parnofiello

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alve a tutti, mi chiamo Eugenia Blasetti sono nata a Roma il 1 Maggio 1991 e vivo a Rieti da quando avevo circa quattro anni. Due anni fa ho partecipato al concorso organizzato dalla Fondazione Varrone che metteva a disposizione dodici borse di studio per andare a vivere e studiare per un anno negli Stati Uniti. E' iniziato tutto un pò per gioco. Non ero per niente convinta di riuscire a vincere e cercavo dunque di rimanere il più tranquilla possibile per non rimanerci troppo male. In seguito, sono subentrate l'emozione e la voglia di farcela. Improvvisamente vincere era la cosa che desideravo di più al mondo. Il giorno che ho ricevuto la lettera che diceva che mi era stata assegnata una delle borse di studio non riuscivo a credere che ce l'avevo fatta. Spesso fantasticavo sul viaggio di vita che stavo per affrontare e all'eccitazione si accompagnava l'angoscia. In realtà le mie paure non erano tantissime. Due cose mi terrorizzavano: il non riuscire ad instaurare un buon rapporto con la famiglia che mi avrebbe ospitato e il non riuscire a vivere al massimo la mia esperienza interculturale. In quanto alle aspettative ho sempre cercato di rimanere con i piedi per terra per non rimanere troppo delusa (che è poi un pò la mia filosofia di vita). Arrivata a Long Island (stato di New York) dove ho vissuto per un anno tutto sembrava fantastico. Tutti mi cercavano, facevano domande e sembravano essere interessati a conoscermi. Ma questo fu solo un momento iniziale. Nel giro di qualche settimana infatti il fatto che ci fosse un exchange student sembrava non importare più a nessuno. Tutti sembravano presi dalla loro quotidianità piuttosto che dalla mia presenza. I primi mesi quindi sono stati abbastanza difficili. Spesso mi sentivo sola, stringere amicizie forti è stato complicato. Inoltre una poca padronanza della lingua mi rendeva spesso frustrata. Nonostante ciò con tenacia e pazienza ce l'ho fatta. Dopo Natale infatti il solo pensiero di tornare e abbandonare quella che era diventata la mia casa mi distruggeva. Vivendo all'estero per un anno ho conosciuto una nuova cultura. Allo stesso tempo però ho imparato molto di più anche sul mio paese d'origine. Tante cose che non sapevo dell'Italia le ho scoperte proprio grazie agli

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Americani! In quanto agli stereotipi, beh si, la pizza italiana, la mafia e gli spaghetti sono stati spesso oggetto di discussione. In realtà però mi sono resa conto di quanto il nostro paese sia amato e ammirato. Quanti sognano di visitarlo o addirittura di viverci. Da questa esperienza ho portato dietro tanto. Ho stretto legami forti con persone totalmente diverse da me, con

“Apprezzo molto di più la diversità che troviamo nell’altro e ho acquisito una maggiore capacità nel non fermarmi all’apparenza... ” persone che vivevano in un mondo totalmente diverso dal mio e che mi hanno saputo confortare quando ero triste, far ridere quando ne avevo bisogno. Persone con cui ho condiviso una fetta importantissima della mia vita. In poco tempo ho instaurato legami che non si instaurano neanche in una vita intera. A distanza di due anni dalla mia esperienza mi sento cresciuta e maturata e buona parte della mia maturazione la devo proprio al mio anno interculturale. Apprezzo molto di più la diversità che troviamo nell'altro e ho acquisito una maggiore capacità nell'andare oltre, nel non fermarsi all'apparenza, nello scoprire quanto più possibile c'è da scoprire negli altri e in ciò che ci circonda. Ho imparato che la diverstà non mi spaventa al contrario mi intriga. Ho imparato a confrontarmi, a mettere in discussione me stessa e le mie idee, ad ascoltare di più e ad apprezzare le piccole cose, i piccoli gesti piuttosto che le imprese eroiche. E' stata l'esperienza più bella della mia vita, un qualcosa di grande che, due anni fa cosi piccola come ero, non credevo di poter fare. Oggi i sogni nel cassetto sono tanti e spero che almeno in parte si avverino, ma sperare non basta. bisogna agire e immergersi completamente nelle cose che desideriamo.


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i chiamo Eleonora Bucci, ho 19 anni e per 18 anni della mia vita ho vissuto a Rieti. Un anno, dal 10 Agosto 2007 al 2 luglio 2008, ho vissuto a Crosby, una piccolissima cittadina vicino Houston, in Texas. Ciò è stato possibile poiché, insieme ad altri ragazzi, ho vinto una borsa di studio offerta dalla Fondazione Varrone. Mi è stato spesso chiesto per quale “assurdo” motivo avessi deciso di partecipare al concorso indetto per le borse di studio. Sinceramente ancora non so ben rispondere. Solitamente ho risposto che gli Stati Uniti mi affascinavano sin da quando ero piccolina ma non credo che il motivo fosse solamente quello. Probabilmente avevo voglia di “spiegare le mie ali” , conoscere il mondo, a Rieti mi sentivo in trappola, e soprattutto volevo conoscere meglio me stessa e i miei limiti. Strane e inspiegabili le emozioni che ho provato quando ho aperto quella busta tanto attesa. Ancora ricordo benissimo gli occhi di mia madre mentre mi veniva incontro con la lettera in mano, un misto di paura, gioia, orgo-

sera avevamo organizzato una pizza con tutti i miei amici e fino al momento in cui sono rimasta da sola, in camera, non avevo realizzato cosa stavo per fare il giorno dopo. Ciò che ho provato in quel momento è indescrivibile poiché è un mix così complesso di così tante emozioni che non si può nemmeno dare un nome ad ognuna di esse. All’inizio tutto sembrava essere uno scoglio insormontabile; dal dire “ho fame” a cercare di capire come funzionasse il telecomando. Pian piano, con l’aiuto della mia famiglia ospitante ho superato qualsiasi scoglio tanto che alla fine erano diventati piccoli sassolini. Senza il loro aiuto non credo che me la sarei cavata. Erano diventati indispensabili per me; il mio papà ospitante, che mi faceva morire dal ridere ma che, nonostante il suo aspetto comico,riusciva a darmi consigli validissimi; la mia mamma ospitante, la più seria ma anche la più dolce, capiva subito quando c’era qualcosa che non andava; infine, ma non per ultima, mia sorella a cui mi

“Questi dieci mesi negli Stati Uniti sono stati fondamentali nella formazione della mia personalità e del mio carattere e saranno per sempre nel mio cuore...” glio e tristezza. Devo ammettere che per un lungo periodo di tempo, circa quattro mesi, ho pensato di rinunciare, di rimanere nel mio nido, a Rieti, ma poi i motivi che mi avevano spinto all’inizio hanno preso il sopravvento. Avevo paura che nessuna famiglia, vedendo la mia scheda di presentazione, mi volesse. Inoltre la comunicazione dell’indirizzo e le indicazioni sono arrivate solo due settimane prima della partenza quindi ho convissuto con questa paura, infondata, per più di cinque mesi! Avevo paura che i miei amici, che restavano a Rieti, si dimenticassero di me, oppure che non mi rivolgessero più la parola. Ricordo il giorno prima della partenza, indaffarata con i preparativi e, soprattutto, con la valigia (un dramma!). Non avevo il tempo di pensare, fortunatamente; la

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sono legata tantissimo. Loro mi hanno aiutato in tutti i momenti di difficoltà, con le nuove amicizie, con la scuola, con le delusioni. Quando poi ho stabilizzato il rapporto con i nuovi amici, mi hanno sempre appoggiato, e mi hanno permesso di uscire con loro. Anche gli amici sono stati fondamentali. Ho ancora contatti con loro ed ogni volta che ci sentiamo è come se fossi ancora lì. Ho fatto amicizie anche con gli altri studenti stranieri grazie ad Intercultura. Ovviamente loro potevano capire la situazione in cui mi trovato e le emozioni che provavo perché stavano vivendo la stessa esperienza. Le difficoltà erano moltissime; dalla lingua al modo di pensare e agire. Ripensandoci ora mi rendo conto di quanto sono stata forte nell’affrontare tutto ciò. Sono cambiata

profondamente anche sul piano caratteriale. Ora affronto le situazioni difficili con un atteggiamento diverso, meno ansioso. Difficoltoso è stato il rientro in Italia. Tornare a casa, alle tue abitudini di sempre, riprendere con il metodo scolastico italiano non è stato facile. Passare un anno negli USA è servito anche a “mettere alla prova” alcune amicizie. Sono cambiata profondamente e questo ha messo in crisi alcuni rapporti che ora non posso definire amicizie. Quest’esperienza mi ha lasciato molte cose: una visione più aperta del mondo e della vita in generale, ora l’Italia mi appa-

re così piccola e chiusa. Anche la mentalità della gente mi sembra radicalmente diversa dalla mia, tutti sono inquadrati in precisi schemi e notano subito la diversità dell’altro. Probabilmente questo succede nella mia realtà di tutti i giorni e non andrebbe generalizzato riferendosi a tutta l’Italia. Comunque questi dieci mesi negli Stati Uniti sono stati fondamentali nella formazione della mia personalità e del mio carattere e saranno per sempre nel mio cuore e parte integrante della mia vita; un bagaglio di esperienze indimenticabili che fanno parte di me.

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ecisi di provare. Volevo partire. Andare ovunque la vita mi portasse. "Ovunque tranne qui". Cercavo qualcosa di diverso, bello ed entusiasmante, volevo fare incontri, stringere legami, misurarmi con il mondo; mi veniva offerta la possibilità di trascorrere un anno in America... -fantastico!- poi... "chissà" pensavo, "da cosa nasce cosa, magari rimarrò là... il college... la casa con la staccionata bianca...". Ero stanca della routine e di tutto ciò che mi era familiare. Dicono che questa irrequietezza sia tipica dell'adolescenza; per me è stata una benedizione. Lasciai il bando di iscrizione al concorso sulla scrivania, in bella vista, speranzosa che i miei genitori l'avessero notato e mi avrebbero incoraggiato. "Tanto poi non supera le selezioni e rimane a casa- speravano- però provare non costa niente!"

E invece le selezioni le superai e un paio di mesi prima della partenza mi venne spedito il fascicolo della famiglia ospitante. Sulla carta c'era scritto, in neretto, che sarai partita per -Brunswick, Maine, USA ... non andò proprio così o meglio, non andò solo così... ma lo scoprii dopo. Perché il viaggio che intrapresi fu il Viaggio-Dentro-Me. Non ricordo grandi paure, mi dispiaceva lasciare famiglia e amici... ma partivo con la convinzione che l'affetto fosse direttamente proporzionale alla distanza dunque, Più Distanza=Più Affetto. So solo questo di matematica. Partivo disposta a cominciare tutto da capo, a partire dalle relazioni, e disposta ad imparare tutto, a partire dalla lingua. Senza pregiudizi né paure, ma con una gran voglia di scoprire un mondo nuovo e meravigliarmi. Così non incontrai grosse difficoltà.

“L'esperienza interculturale in America, mi ha insegnato a vivere ogni giorno come se fosse il più bello della mia vita”. Ero felice la mattina quando mi alzavo e facevo colazione con una famiglia che, senza conoscermi, aveva scelto di ospitarmi, e non mancava mai di farmi sentire tutta la sua vicinanza mentre io, come una bambina ai primi passi, facevo esperienza nella mia nuova realtà. Ero felice a scuola, dove ho stretto amicizie e ho faticato per prendere voti decenti... e alla fine dell'anno sono risultata tra i migliori della classe. Che soddisfazione! Ero felice mentre imparavo a pattinare sul ghiaccio e giocavo ad ice hockey... e una volta ho anche segnato! Ero felice negli incontri mensili con gli altri studenti di intercultura che venivano da ogni parte del mondo; è stato bello sentirci tutti vicini, al di là di ogni barriera culturale; incontrarli e ascoltare le loro storie è stato come visitare le loro terre: Giappone, Spagna, Indonesia, Brasile, Cina, Thailandia, Egitto... e forse un giorno andrò davvero a trovarli!

Ero felice quando con la combriccola di amici ci radunavamo per i pigiama-party. Ero felice nel poter condividere, e non solo nell'accento linguistico, la mia Italia. Ero felice, e lo sono ancora, perché so che ci sono ragazzi e adulti che non hanno paura di mettersi in discussione e confrontarsi con le diversità; so che, per quanto questo mondo segua spesso una logica ottusa e discriminante, non ci sono barriere che tengano, basta avere un po' di buona volontà e sarà possibile credere in un mondo migliore... e costruirlo, piano piano. Spesso i miei amici mi dicono: "In America avrai sicuramente passato il periodo più bello della tua vita!". Un po' si sbagliano: l'esperienza interculturale in America, mi ha insegnato a vivere ogni giorno come se fosse il più bello della mia vita. Ogni giorno. Grazie,

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on gli occhi pieni di lacrime, la sacca sulle spalle e la mente aperta a tutto mi preparavo a scoprire un nuovo mondo. Un mondo che all'apparenza sembra fatto di patatine, coca cola e hamburger, ma pieno di novità, nuove esperienze e una cultura tutta da capire, imparare ed apprezzare. Come disse una volta il Prof. Formichetti: "Bisognerebbe avere i piedi nel borgo e la testa nel mondo"! Questo è stato il mio motto dall'inizio. La mia piccola cittadina della

“Con gli occhi pieni di lacrime, la sacca sulle spalle e la mente aperta a tutto mi preparavo a scoprire un nuovo mondo.”

Pennsylvania, Jim Thorpe, conta all'incirca trentamila abitanti e la maggior parte di questi hanno origini irlandesi, proprio come la mia adorata host family! Appena arrivati nel cuore della città si percepisce immediatamente con facilità un ambiente quieto e vivibile. La mia casa era nella via principale, Broadway street. Meravigliosamente arredata in stile vittoriano, era contornata da un delizioso giardino che funge da habitat per i tre cani e i tre gatti presenti nella casa. Al mio arrivo nella casa sentii un terremoto venire giù dalle scale della cucina...erano i miei fratelli. Uno della mia età, Alex, e l'altro di due anni più grande, Benjamin. Loro, i miei genitori, Carole e Ben, la mia amica Lea e il mio amico Patrick sono stati per me le mie colonne portanti, le mie guide, e i miei migliori amici! A quel punto la nostalgia iniziava a fare spazio alla voglia di conoscere il più possibile! Apprese le regole del quieto vivere familiare, quelle scolastiche e sociali, a quel punto le

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gambe fanno da se. Per quanto riguarda l'inglese, con qualche figuaraccia iniziale e una risata in più, nell'arco di un mese è stato facile apprenderlo alla perfezione! L'esperienza in America è stata impagabile e meravigliosa! Le mille luci e i colori di New York a natale, il caldo di Philadelphia in pieno agosto, le montagne che cambiavano colore ogni settimana nel Pokono, i viaggi in macchina con le canzoni che hanno accompagnato il mio anno li, le foto che non finivano mai, gli infiniti centri commerciali, le divertenti lezioni di spagnolo con Senor, le mani sporche nei corsi di ceramica, gli hot dog alle partite di football il venerdì sera, le cene con i nonni la domenica e tanto altro ancora hanno reso questa esperienza la più bella della mia vita...ed è proprio per questo che consiglio a tutti i ragazzi vogliosi di liberarsi dei paraocchi e soprattutto vogliosi di imparare a scoprire il mondo di preparare i bagagli e viaggiare!

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uando ti comunicano che vivrai un anno della tua vita all’estero, in un paese che si conosce solo tramite qualche film o per sentito dire, lontano da tutto ciò che si conosce e che è familiare, le emozioni che si provano sono tante: euforia, paura, felicità e forse, anche un po’ d’iniziale inconsapevolezza di ciò verso cui realmente si va incontro. Ciò a cui ho pensato io la prima volta che ho sentito il nome della mia destinazione, Harvard, è stato alla famosa e grande università…realizzando poi invece che si trattava della piccola Harvard dello stato dell’Illinois, una cittadina del Midwest americano a circa un’ora da Chicago, e che avrei vissuto in una fattoria! Ricordo perfettamente che la prima volta che ho compreso davve-

una nuova cultura, una nuova casa, una nuova famiglia, tutto. È forse questa una delle più grandi paure che si affrontano prima di partire per questa avventura, oltre al timore di sentire la mancanza della propria famiglia, dei propri amici e di tutto ciò che è più caro. Inizialmente si cominciano a notare tutte le grandi e piccole differenze nel comportamento delle persone, nel modo in cui si scherza, si parla, si mangia… Tutto risulta estremamente diverso, e ci si ritrova da soli a dover affrontare questo cambiamento. Ma è proprio questo che aiuta a crescere: il fatto di dover tagliare il cordone che ci lega al rifugio sicuro che è la propria casa, la propria famiglia, ed essere in grado

“Avrei dovuto realmente adattarmi ad una nuova cultura, una nuova casa, una nuova famiglia, tutto”

ro che stavo vivendo realmente tutto ciò che fino a quel momento avevo “vissuto” solo tramite le testimonianze di altri ragazzi, che avevano deciso di fare questa esperienza prima di me, è stato quando ho incontrato per la prima volta la mia famiglia ospitante. È stato un momento che ricorderò sempre, e durante il quale ho capito che si faceva “sul serio”: avrei dovuto realmente adattarmi ad

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di affrontare le difficoltà contando sulle proprie capacità di adattamento e sulla propria maturità, avendo comunque sempre un appoggio e un aiuto dalla propria famiglia ospitante, che diventa una seconda famiglia a tutti gli effetti, e con cui si instaura da subito un sincero rapporto e nella quale si viene accolti non come un ospite, ma come un figlio.

Si impara così pian piano ad affrontare i problemi e le difficoltà iniziali e ad adattarsi alla nuova cultura, cancellando via via tutte le false credenze e gli stereotipi non solo del paese di cui si è ospiti, ma di decine di altri paesi rappresentati da ragazzi provenienti da ogni parte del mondo. Stando a contatto con persone così diverse ci si rende conto in realtà di quanto la vera diversità non esista: tutti i ragazzi hanno in fondo gli stessi interessi, gli stessi timori, le stesse aspettative. Le differenze non possono far altro che unire, e non dividere, poiché si impara a condividere con gli altri le proprie usanze, abitudini, modi di pensare, e ad accogliere più facilmente quelli altrui. Si istaurano “amicizie interculturali”, dei rapporti in cui si da e si riceve continuamente, e da cui è difficile poi allontanarsi una volta terminata quest’avventura.

Il rientro a casa è forse, infatti, uno dei momenti più difficili da affrontare: dover lasciare tutte le persone e gli ambienti che si è imparato a conoscere così bene, la famiglia, gli amici. Ci si sente cambiati sotto molti aspetti, perché senza dubbio si è trascorso un periodo della vita molto intenso, ricco di nuove ed indimenticabili esperienze, che molte volte riescono a mettere alla prova le proprie abilità. Mettermi continuamente alla prova è stato ciò che ha contraddistinto la mia esperienza dalla vita che facevo tutti i giorni: provare nuovi sport, nuove pietanze, trovare una nuova famiglia, nuovi amici, vivere in una nuova città e frequentare una nuova scuola. Eppure, tutto ciò che inizialmente è così nuovo, diventa col tempo familiare, ci si immedesima nella nuova realtà in cui si vive e ci si rende conto che in fondo…tutto il mondo è paese!

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o fatto l’ esperienza di “viaggio” all’ età di 16 anni. Con l’opportunità che mi ha dato la borsa di studio della Fondazione Varrone sono partito per il Wisconsin e lì sono rimasto per un anno.Sono partito pieno di entusiasmo e di aspettative, e anche se i volontari di Intercultura mi avevano preparato per affrontare questa esperienza l’impatto è stato forte. Adattarsi ad un paese completamente diverso per usi, costumi e mentalità non è stato semplice soprattutto all’inizio. La prima famiglia in cui mi trovavo era composta da madre, padre e due sorelle di 14 e 11 anni. Dopo il primo mese i rapporti tra di noi hanno cominciato ad andare in crisi.

“Sono partito pieno di entusiasmo e di aspettative, e anche se i volontari di intercultura mi avevano preparato per affrontare questa esperienza l’impatto è stato forte.” Con le due sorelle non sono mai riuscito ad instaurare un dialogo e non mi hanno aiutato ad adattarmi alle loro abitudini familiari. Con la madre si sono creati subito degli attriti dovuti al fatto che era troppo protettiva e tendeva a controllare tutti i miei spostamenti e rapporti. Dopo numerose richieste e grosse difficoltà sono riuscito a cambiare famiglia e sono andato ad abitare nella casa della famiglia Marks che era composta da madre, padre una sorella di 17 anni e un fratello che non viveva a casa poiché andava al college. In questa famiglia mi sono trovato meglio anche se la differenza di mentalità era molto forte. Per loro era importante il rispetto delle regole all’interno della famiglia e non accettavano che venissero messe in discussione. Ad esempio la domenica mattina era obbligatorio partecipare alla messa e non potevo rifiutare altrimenti si offendevano. Superate queste difficoltà ho cominciato ad adattarmi e a comprendere di più la loro mentalità. Anche con la scuola all’inizio era molto difficile comprendere le lezioni e socializzare a causa della lingua. Dopo qualche mese imparando meglio la lingua anche a scuola mi sono trovato meglio dal punto di vista di apprendimento delle materie e ho iniziato a fare molte amicizie. La scuola che frequentavo era molto grande e organizzata in maniera diversa dalla nostra. Una grande difficoltà era spostarsi per raggiungere i miei amici in quanto le distanze erano molto grandi, non c’erano trasporti pubblici e quindi ero costretto a chiedere alla famiglia di accompagnarmi. Nonostante sia stato difficile adattarsi ad un altro tipo di vita e comprendere una nuova lingua, questa è stata una bellissima esperienza che sono felice di aver fatto e rifarei molto volentieri. Infatti sto pensando di tornare a visitare la famiglia e amici quest’estate.

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iao a tutti sono Martina Galletelli, una normalissima ragazza di ormai 18 anni che ha però alle spalle, a differenza di tanti altri adolescenti, un’esperienza che non dimenticherà mai! Ho iniziato il mio percorso più di due anni fa, prendendola principalmente per gioco ma con il passare del tempo e superando una prova dopo l’altra, mi sono quasi auto convinta che lo scherzo non era più tale, bensì si era quasi trasformato in realtà! Un sogno, che cresceva in me da quando ero piccina: andare a vivere in America! Quando ebbi la notizia ufficiale che sarei partita molti sono stati i dubbi e i pensieri che crescevano in me: Partire? Ce la farò? Sarò forte abbastanza? E i miei amici? E se avessi bisogno di

mamma papà e mia sorella? E se in un anno cambiasse tutto? A risposta di queste mie domande erano sempre pronte a rispondere le mie lacrime! Con l’avvicinarsi della data della partenza però, molte altre domande iniziarono a sorgere e, insieme all’adrenalina si aggiunsero ai miei tanti pensieri! Il giorno della partenza è così arrivato, una decina di ore di volo e ciak, si gira: nuova vita! Quando mi sono venuti a prendere in albergo i miei “nuovi genitori” ero terrorizzata: non sapevo come comportarmi e, non conoscendo a fondo la lingua, avevo paura di dire una marea di cavolate! Il tutto è stato però più semplice di quello che mi aspettavo: i problemi si sono manifestati solamente nelle prime due settimane,

“Il giorno della partenza è così arrivato, una decina di ore di volo e ciak, si gira: nuova vita!” dopo le quali ho iniziato ad avere una fantastica vita sociale, grazie anche alle tantissime persone che mi sono state vicino! All’interno della mia famiglia ho avuto un rapporto straordinario con la mamma, Katina: è sempre stata il mio punto di riferimento poiché essendo molto giovane, riusciva a comprendere a pieno i miei problemi, dandomi validi e utili consigli in tutti i campi. Per quanto riguarda i miei progressi posso tranquillamente affermare che è stata un’esperienza che mi ha fatto crescere sotto tutti i punti di vista: a partire da quello scolastico, fino ad arrivare a quello personale! Anche solo dopo poche settimane, ti rendi conto che inizi a comprendere ciò che ti circonda e, magari con qualche intoppo ma si riesce tranquillamente ad interagire! Nel mondo lavorativo la conoscenza della lingua che si acquista vivendo un anno all’estero è ricercatissima e aggiungendo l’esperienza al proprio curriculum, si hanno molte più possibilità rispetto a chi magari ha solamente una normale certificazione europea! Ma il cambiamento più importante è quello interiore: si cresce, ci si fanno le ossa e si capiscono tante cose che rimanendo con la propria famiglia non si potrebbero capire. Secondo me, l’esperienza apre del tutto la propria mentalità, rendendola flessibile alle diverse situazioni, si cono-

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scono nuove culture imparando ad essere quindi tolleranti e cercando di adattarsi a ciò che non rappresenta il nostro habitat naturale! Per non parlare poi delle varie conoscenze che si possono fare: a volte si creano dei legami che sono quasi più forti di quelli che si sono sviluppati durante tutta la propria vita! Personalmente ho creato delle amicizie che difficilmente si sfalderanno; di fatto, nemmeno la distanza riesce ad incrinarle poiché, fortunatamente viviamo in un periodo in cui le distanze riescono ad essere accorciate attraverso Internet, Facebook, Skype ecc ecc! E che cosa dire dei rapporti che si instaurano invece con la host family? Diventano dei veri e propri genitori che cercano di offrirti tutto il calore e l’affetto che possono darti! Per me sono stati un grande aiuto e ancora oggi, a due anni dalla mia esperienza, li sento come se fossero ancora qui accanto a me, a chiacchierare come ai vecchi tempi anche se tra di noi ci sono migliaia di chilometri e una cornetta o un computer che ci dividono! Per quanto riguarda l’esperienza in generale, nonostante la mia giovane età posso affermare con sicurezza che è stata una delle cose più belle della mia vita; se mi chiedessero di ripartire lo farei anche all’istante, augurando a tutti di provare le stesse sensazioni che ho provato anche io!

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“la Silvia che è tornata in Italia ha voglia di conoscere sempre e vivere la sua vita al massimo”

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alve a tutti sono Silvia Micheli, ho 17 anni e sono italiana… Così ha avuto inizio la mia esperienza scolastica negli Stati Uniti ed è così che mi sono presentata ad una nuova vita da costruire. La mia grande avventura, così mi piace chiamarla, è stata preceduta da un periodo caratterizzato soprattutto da nottate passate a pensare al giorno in cui avrei conosciuto la mia famiglia, da consigli di ragazze appena rientrate in Italia e opinioni scambiate con tutti gli amici che come me hanno lasciato Rieti nel 2007. E sa da un lato tanti sono stati i sogni e i dubbi specie sulla riuscita o meno di questa esperienza , dall’altra tante sono state le aspettative: conoscere nuove persone, una cultura così vicina alla nostra ma allo stesso tempo distante e crearmi una nuova casa dall’altra parte del mondo .. perché due è sempre meglio di una!) Così prima di Ferragosto fatta la valigia ho salutato la mia “cara famiglia” e sono salita sull’aereo che mi ha accompagnato nel mio nuovo paese. La prima cosa che mi ha fatto capire che non ero più in Italia, oltre alla lingua che lì per lì e fino a dicembre è stata incomprensibile, è stata sicuramente la strada. Vi sembrerà strano che un incrocio mi abbia fatto realizzare che avevo sorvolato l’oceano atlantico… ma le macchine e soprattutto il semaforo sospeso al centro della strada mi hanno fatto capire che non stavo vivendo un sogno, per non parlare poi del momento in cui ho visto la mia famiglia ospitante arrivare e io impaurita mi sono nascosta dietro la valigia. Da quel giorno tante sono state le difficoltà. Inserirsi in una nuova società non è poi così semplice come pensavo, bisogna cercare di adattarsi alle persone e mandare giù tanti bocconi, magari amari, che in Italia non avremmo sopportato. Nel mio caso all’inizio ho avuto un breve periodo di incomprensione con la mia sorella ospitante

ma parlando siamo riuscite a venirci incontro creando così una bellissima e duratura amicizia. Altra difficoltà è stata quella di accettare che lì ero vista come una persona diversa. Non sempre infatti, le persone che accolgono qualcuno nella propria società sono poi così aperte al dialogo e al confronto e spesso mi sono ritrovata da sola. E’ stata un’esperienza importante e costruttiva. Ho imparato ad esporre le mie idee ed essere me stessa, ad essere orgogliosa del mio paese e allo stesso tempo aperta a nuove culture, ho valorizzato le mie tradizioni e accolto delle nuove ma soprattutto ho imparato a conoscere e ad essere curiosa di quello che mi è vicino. È in questo modo che ho scoperto l’America. Un paese ricco di persone interessanti, non solo obese come siamo soliti pensare (anzi, ad essere onesti corrono molto più di noi!), ma persone che credono fermamente nella loro nazione, persone che nonostante sembrino distaccate all’inizio, sono accoglienti e generose, persone che amano stare con la proprio famiglia e nel loro piccolo aiutano sempre il prossimo. E così se tante sono state le difficoltà, grandi sono state le soddisfazioni avute e i momenti belli! Come dimenticare balli, serate con amici, allenamenti dopo scuola, la vigilia passata a cantare di casa in casa, la consegna del diploma, il mio caro armadietto, i cervi e gli scoiattoli nel giardino dietro casa e la famiglia che generosamente mi ha sempre fatto sentire a casa?! Non li posso dimenticare di certo e anche se per ora nel mio futuro non appare molto il termine America i ricordi che ho della mia avventura mi fanno sempre compagnia e la Silvia che è tornata in Italia ha voglia di conoscere sempre e vivere la sua vita al massimo, viaggiando spesso se possibile e augurando a tutti un’esperienza così.

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ono ormai passati quasi due anni da quando tornai dal bellissimo stato dell’Oregon, nella costa nord occidentale degli Stati Uniti. Ora di anni ne ho diciannove eppure non passa un momento che non riconosca quanto questa esperienza mi abbia dato. Mi chiamo Susanna e, dopo anni di duro lavoro al liceo classico, ora mi trovo al King’s College di Londra, a studiare, indovinate un po’, non latino, non greco ma biochimica e come io sia finita a Londra in ambito prettamente scientifico è una storia che comincia nell’ottobre del 2007, quando presi in considerazione l’idea di passare un anno all’estero. La mia famiglia non era completamente convinta di questa mia scelta e forse in fondo al cuore speravano che non ottenessi la borsa di studio che avrebbe portato la loro figlia lontana per cosi tanto tempo. Ma so essere molto molto testarda e i miei genitori avevano capito che questa era la mia scelta: capire di cosa ero capace, una specie di sfida con me stessa. Quando ottenni la risposta definitiva il tempo sembrò scorrere a velocità incredibile e in men che non si dica mi ritrovai all’aeroporto di Roma, pronta (più o meno) ad affrontare circa diciotto ore di viaggio, con relativi scambi di volo e attese in aeroporto. I viaggi in aereo sono stranamente massacranti nonostante non si faccia altro che stare seduti. Ma sono altrettanto utili quando si ha bisogno di pensare. E di pensare ne avevo assai bisogno! La mia paura più grande era di non piacere alla mia famiglia ospitante. Inoltre ero spaventatissima all’idea di parlare inglese e solo inglese. Nonostante i miei voti fossero più che buoni, parlare una lingua e’ sempre diverso dallo scrivere e dal rispondere alle domande all’interrogazione. La famosa High School poi mi terrorizzava. Era proprio come nei film? Ci sarebbero state cheerleader e giocatori di football e corse da una lezione all’altra e armadietti? La mia prima paura svanì nell’istante in cui vidi Ana e Miguel Ramirez, i miei incredibili host parents. Non solo non facevano altro che sorridermi con affetto e parlarmi di tutte le cose che avremmo fatto ma avevano anche quell’aria di famiglia che mi fece subito sentire a casa. Anche se ci fu un piccolo intoppo quando incontrai Kristen, la mia sorellina americana. Kristen aveva 2 anni allora (accidenti come vola il tempo!) e appena misi piede in casa lei stava riposando sul suo divanetto preferito. Quando mi avvicinai a salutare quella che immaginavo fosse la più dolce delle bimbe, Kristen apri

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“l’America mi ha dato la competenza linguistica necessaria e la grinta per cercare di ottenere ciò che voglio” un occhio, uno solo, mi gettò uno sguardo accusatore e si girò dall’altra parte. Molto incoraggiante! In seguito imparai che Kristen e’ sempre di cattivo umore quando si sveglia, a qualsiasi ora! Dopo di Kristen feci la conoscenza della mia sorellina Natalie che era piccolissima, aveva solo 4 mesi, ed era la più dolce, cicciotta, e buona bambina del mondo. Comunicare era difficile all’inizio: era come se il mio cervello pensasse al rallentatore. Costruivo in mente ciò che avevo intenzione di dire, cercavo sul mio mini dizionario le parole che non conoscevo, aprivo la bocca per chiedere e poi…il nulla! La mia mente si svuotava, balbettavo e mi sentivo in totale imbarazzo! Fortunatamente Ana e Miguel erano pazientissimi, mi parlavano lentamente ed erano bravissimi a ‘mimare’ se necessario. Pochissime volte hanno dovuto usare lo spagnolo (sono messicani di origine). La scuola mi terrorizzava, ma ciò non mi impedì di scegliere le materie più complicate: chimica, biomedicina, fisica ed arte. Dovevo anche frequentare storia americana, inglese, economia e diritto americano. Lo sport era importantissimo e provarne diversi mi permise di conoscere tanti amici. I ragazzi americani erano incuriositi da me, ma, dopo le prime settimane ero solo un Exchange student e nien-

t’altro. Mi sentivo diversa, tagliata fuori. Fortunatamente strinsi amicizia con quattro ragazze, due americane, una svizzera e una slovacca, che vivevano praticamente a casa mia. E’ vero che avevo degli stereotipi prima di raggiungere l’Oregon ma mentre quelli della scuola americana si sono rivelati per la maggior parte veri (soprattutto l’odioso armadietto), non sono mai riuscita e credo che mai riuscirò a definire l’americano tipo. La mia famiglia di origine messicana è stato l’esempio perfetto di una famiglia assolutamente multiculturale. Il tempo è volato. E poi come sono finita a Londra? Be’, l’America mi ha fatto scoprire l’amore per la scienza, mi ha dato la competenza linguistica necessaria, e la grinta per cercare di ottenere ciò che voglio. Ad essere sincera in Oregon mi è andato tutto cosi bene che tornata in Italia non è stato semplice. La testa l’ho sbattuta dolorosamente molte volte. Per ora sono a Londra, e ci rimarrò per tre anni. Dopodiché mi dovrò specializzare, in cosa ancora non sono sicura. La cosa di cui sono sicura è che non mi pongo limiti. Non mi spaventa l’idea di andare a lavorare in un altro continente. Forse l’unico timore e’ quello di allontanarmi dagli amici più cari e dai miei fratelli. Ma i rapporti più importanti superano senza sforzo migliaia mesi di lontananza e migliaia di chilometri.

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on è facile parlare della propria esperienza...specie dopo che si è tornati... L'esperienza che facciamo e quello che proviamo e passiamo la sentiamo come un qualcosa di SOLTANTO NOSTRO...almeno per me è così... La mia esperienza è stata di un anno -più precisamente 11 mesi- I miei “primi giorni”, che sono durati per circa due mesi, non sono stati caratterizzati dalla comprensione della lingua, ma dall'incapacità di parlare. Non è stato semplice, ma avevo trovato il modo per farmi capire. Vocabolario, blocco notes e penna erano diventati i miei migliori amici; parlavo solo attraverso di loro. Pian piano ho preso confidenza con la lingua e quei migliori amici a cui mi ero affidata in un primo momento di smarrimento, li ho messi a dormire nella mia valigia e mi sono lasciata andare. Ho cominciato a parlare e difficilmente smettevo. Mi sono ritrovata ad usare una lingua non mia, ma con la quale riesco ad esprimer-

mi meglio dell'italiano. Sono arrivata in una cittadina grande quasi quanto solo “Campoloniano” ... 8000 abitanti... Rhinelander... La prima cosa di cui mi sono resa conto è che l'America che noi eravamo abituati a vedere in tv non c'entrava niente con l'america che stavo vedendo io in quel momento... Cittadina piccola, distanze enormi tra un'abitazione e l'altra, niente mezzi pubblici, scuola enorme... La mia scuola era frequentata da ben 2000 studenti... Gli studenti stranieri non venivano calcolati per niente... Non è stato facile... La nostalgia di casa era tanta, però per una soddisfazione personale ho deciso di andare avanti... Ad oggi capisco che l'ho fatto perchè quest'esperienza è bellissima, ma allora per me era un NON DARLA VINTA A CHI NON CREDEVA IN ME... Più pensavo a chi mi aveva detto che non ce l'avrei fatta e più andavo avanti dicendomi che ogni problema era risolvibile. La mia prima famiglia americana (perchè ho dovuto cambiare famiglia)

“Più pensavo a chi mi aveva detto che non ce l'avrei fatta e più andavo avanti dicendomi che ogni problema era risolvibile.” era composta da madre, padre, una figlia più grande di me ed un figlio della mia stessa età... Sono rimasta da loro per ben 6 mesi della mia esperienza, nonostante tutti i problemi che si erano creati e che loro semplicemente accantonavano. Il 25 gennaio poi ho cambiato e sono andata in una famiglia in cui c'era madre, padre, una figlia più grande di me ed un fratello più piccolo... Ms Cindy (mia madre americana) è una donna fantastica. Ha un daycare che sarebbe una specie di asilo dove il nostro bambino più piccolo aveva 2 mesi ed il più grande 10 anni... Papa Jim (mio padre americano) è un uomo che si dividerebbe in 4 per la famiglia. Lavora come cuoco nell'ospedale locale. Purtroppo lo vedevo ben poco dato che lavorava circa 16 ore al giorno però il tempo che spendeva con me ed i miei fratelli americani è sempre stato favoloso. Jackie (mia sorella americana) ha un anno più di me. Non è stato facile all'inizio con lei. La vedevo lontana, distaccata e un pò all'inizio ci soffrivo perchè credevo che lei non mi accettasse poi però tutto la mia idea si è verificata errata quando lei mi ha lasciato un biglietto, partendo per il college, dove mi diceva che lei era felicissima ch'io usassi la sua stanza e ch'io ormai facessi parte della sua famiglia. Poi c'è Jimmy (mio fratello ospitante)...con lui...ero un'estranea, se c'ero o non c'ero era semplicemente indifferente per lui, fin quando, non so per quale motivo, una sera è entrato in camera mia e, per darmi la buona notte, mi ha dato un bacio su una guancia...da quel giorno ci siamo legati sempre di più. Riuscire a farsi accettare e voler bene da qualcuno, conquistarsi quell'affetto è, forse, la cosa più difficile, però una volta che ci si riesce è la più bella al mondo. La sicurezza d'esser riuscita a far affezionare qualcuno solo con i tuoi atteggiamenti è la migliore delle sensazioni. Da allora, Lui andava a giocare alla play e mi chiamava, lui andava a vedere un film e mi chiamava...qualsiasi cosa facesse mi includeva...è stato bello! FINALMENTE MI SENTIVO A CASA Un consiglio a chi deve partire? State tranquilli! Vivete la vostra esperienza nel migliore dei modi perché, purtroppo, non ritorna; anche se avrete la possibilità di tornare dalla vostra seconda famiglia (famiglia ospitante, come la chiama Intercultura) i sentimenti, le paure, la fiducia in te stesso non saranno mai più gli stessi. In conclusione, VIVETE LA VOSTRA ESPERIENZA ALLA MASSIMA POTENZA!

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Cerimonia di premiazione dei vincitori delle borse di studio presso Palazzo Potenziani sede Fondazione Varrone 17 maggio 2008


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Claudia Allegri Ilaria Anibaldi Giulia Baselli Ludovica Cerri Chiara Colalelli Michela Di Venanzio Luisa Gentile Mariangela Giovanzanti Lucia Giuli Cristina Lupi Davide Massimi Massimiliano Mura Simone Sebastiano

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ensavo che descrivere la mia esperienza sarebbe stato facile, ma adesso si rivela un lavoro arduo. Come descrivere quest’esperienza con poche righe?? Ci sarebbero mille cose da dire, mille sensazioni da descrivere, mille episodi da raccontare. Mi chiamo Claudia, ho 17 anni e frequento il quarto anno all’Istituto Tecnico Commerciale, tutto è cominciato un normalissimo 15 Maggio 2008, giorno in cui ho ricevuto le informazioni sulla mia famiglia ospitante, giorno in cui New York è entrata a far parte della mia vita. A pochi giorni dalla partenza ancora non mi sembrava vero, ad essere sincera non ho avuto né dubbi né paure, forse proprio perché ancora non ci credevo, forse perché pensavo fosse un sogno anche se devo dire che salutare la mia famiglia è

stato molto difficile, ma sapevo che quello che mi aspettava valeva molto di più, sarei partita alla scoperta di un nuovo mondo. Spesso durante le orientation pre-partenza si parlava di shock culturale, dei momenti negativi durante l’esperienza, dei molteplici momenti di nostalgia, ma devo dire che non ho incontrato niente di tutto ciò, certo sarei ipocrita nel dire che non ho sentito la mancanza della mia famiglia, e che non ho avuto momenti no, ma sono veramente pochi in confronto alle volte che ho riso, e sono stata orgogliosa di me stessa, orgogliosa di aver fatto la scelta giusta, orgogliosa di essere partita per sentirmi parte di questo mondo, orgogliosa di poter crescere come una donna cittadina del mondo. La prima settimana è stata la più dura soprattutto per le difficoltà nel comu-

“Sono stata orgogliosa di essere partita per sentirmi parte di questo mondo, orgogliosa di poter crescere come una donna cittadina del mondo” nicare con la famiglia ospitante, nel vedere che non si cenava mai insieme, nel chiedersi perché ogni casa avesse una bandiera svolazzante nel portico….ma già dalla settimana successiva tutti le difficoltà iniziali sembravano svanire nel nulla come se non fossero mai esistite, mi sentivo parte di quella famiglia, perché hanno fatto in modo di aiutarmi e farmi sentire a mio agio in ogni momento. Non ci sono strategie o trucchi per sentirsi meglio o per superare le difficoltà, ma piuttosto bisogna essere se stessi ed essere capaci di mettersi in gioco in ogni momento, senza aver paura di sbagliare o fare brutte figure, certo per i primi tempi la maggior parte delle volte le conversazioni finiranno in risate per qualcosa che si è detto sbagliato o perché non si capisce un accidente di quello che si dice, ma bisogna pur sempre provarci! Si passa cosi dalla normalità del mondo in cui viviamo ad un mondo che conoscevamo solo grazie ai film, un mondo che per 10 mesi mi sono impegnata a conoscere al meglio, un mondo del tutto diverso dal nostro, un mondo pieno di novità, un mondo che è stata la mia seconda casa. Certo però non si puoi

dire che lasciare quel posto che ho chiamato CASA sia stato facile, ansi direi che tornare in Italia è ancora più dura, anche perché quando ho salutato i miei genitori sapevo che a distanza di 10 mesi li avrei rivisti, mentre loro, quelli che mi hanno accolto in casa, quelli che mi hanno amato e trattato come una figlia, non sapevo se mai o quando li avrei rivisti, non sapevo se quello sarebbe stato un semplice arrivederci o un doloroso addio. Perry continua ad essere all’interno del mio cuore e della mia mente come se fosse ieri, continuo ad aver i ricordi del Ringraziamento, di Natale, della consegna dei diplomi, ma ancor di più le nuove amicizie che mi hanno aiutato in ogni momento, quelle persone che pur conoscendo da poco hanno lasciato una profonda impronta in me. Questa esperienza mi ha aiutato a maturare, mi ha aiutato a sentirmi più sicura, ad aprirmi agli altri senza alcuna difficoltà, anche se ogni tanto guardo indietro e qualche lacrima mi scende, ma so che questa esperienza influenzerà il resto della mia vita, accompagnata ora da nuove amicizie ed una famiglia in più che, non mi abbandoneranno mai.


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artecipare al concorso della Fondazione Varrone non è stato, per me, una decisione difficile da prendere. Studiare all’estero per un anno era il mio sogno sin dal primo superiore, e avevo trovato, attraverso una borsa di studio, il modo di trasformare questo sogno in realtà. Scoprire di aver vinto non mi ha affatto resa preoccupata, ma ancora più decisa ed entusiasta dell’imminente partenza. La nuova cultura non ha avuto su di me un impatto molto pesante, ma ho vissuto la mia esperienza con relativa serenità. Era come se avessi dimenticato le mie origini. Durante i primi mesi del mio soggiorno ero diventata una vera Americana, o meglio, una ragazza del Tennessee. Non solo ero riuscita a prendere l’accento degli abitanti del posto, ma avevo anche imparato a seguire le loro regole, le loro abitudini, ad amare la loro musica e il loro modo di vivere la religione. Ero diventata figlia di un’altra famiglia, di un altro Stato e di un’altra civiltà. In un secondo momento, dopo Natale, sono arrivate le prime delusioni derivanti da incomprensioni soprattutto in ambito familiare. Mentre, infatti, la scuola e le amicizie erano motivo di grande soddisfazio-

“Ho pianto le lacrime più amare, sorriso con gioia come mai prima; ho scherzato, ho sofferto, mi sono divertita, ma anche annoiata ... sono stata bambina e adulta” ne, c’era qualcosa che mi impediva di comunicare apertamente con la mia famiglia ospitante. Per qualche ragione, le regole impostemi cominciavano ad essere numerose e difficili da mettere in pratica, nonché da ricordare. Ho cominciato a desiderare un'altra famiglia, migliore e più aperta ad accogliermi. Eppure, nonostante questi miei momenti di debolezza, dentro di me io sapevo che proprio per l’apprensione di una madre troppo introversa, per le risa di una sorella timida, per il puro entusiasmo di un fratello autistico, che

vedeva in me una compagna di giochi, e per l’amore di un padre coerente e leale, io dovevo restare. Questo mi ha, poi, confermato il susseguirsi degli eventi. Il mio nuovo rapporto con la mia famiglia mi ha insegnato ad amare gli altri per quello che sono, senza pretendere da loro ciò che non possono darmi; mi ha insegnato ad apprezzare i difetti del mio prossimo, gli stessi che, insieme ai suoi pregi, lo rendono unico, bello e speciale. Così, grazie alle mie riflessioni, ho capito l’importanza dei miei veri genitori, che da casa mi pensavano, mi amavano e si preoccupavano per me. Inoltre, lo studio della Storia Americana in una classe di livello avanzato mi ha trasmesso un forte patriottismo. Vedere, infatti, come gli Americani amano il proprio paese e ne apprezzano la storia ed i costumi, ha risvegliato il mio amor di patria dal suo sonno durato anni. La classe militare che ho frequentato, un corso di allenamento e preparazione di cadetti junior chiamato NJROTC, ha rafforzato questo mio patriottismo e mi ha resa sicura di me e delle mie capacità. Per di più, questa classe mi ha resa ancora più ambiziosa, molto più matura e seria (forse un po’ troppo). Nello stesso tempo, il corso di atletica mi ha dimostrato che, con la semplice forza di volontà, posso sfidare e vincere me stessa, battendo record ritenuti impossibili da superare. Nel corso di tutto l’anno, ho vissuto i

momenti più belli della mia vita, quelle semplici scene quotidiane che ricorderò per sempre con emozione forte. Ho pianto le lacrime più amare, sorriso con gioia come mai prima; ho scherzato, ho sofferto, mi sono divertita, ma anche annoiata, mi sono irritata per sciocchezze, ho sopportato, ho perso la pazienza, sono stata bambina e adulta. Ho rivalutato il mio Paese, la mia famiglia, i miei amici, la mia casa. Ho rivalutato e messo in discussione me stessa. Dentro di me sono nati profondo amore e sincera ammirazione nei confronti delle altre culture, del diverso, del nuovo. Ho iniziato un processo che durerà per tutta la mia vita e che mi porterà un giorno a scoprire chi sono. Credo, personalmente, che siano tanti i motivi che spingono noi ragazzi a volerci allontanare dalle nostre case, dalle nostre amicizie, dalle nostre sicurezze. E credo anche che siano tante le reazioni che un’esperienza interculturale scaturisce in noi, tante le emozioni che proviamo e tanti i modi di affrontare i problemi. Ma quello che ci accomuna tutti è il coraggio di metterci in gioco e di stare alle regole di un mondo totalmente diverso, a volte con successo, altre con insuccesso. L’esperienza di un anno all’estero, in un’altra famiglia e, soprattutto, in un contesto culturale nuovo, è quanto di più bello si possa desiderare nella vita, e tutti i giovani dovrebbero cominciare questo viaggio per conoscere, conoscersi, capire e crescere.

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in da piccola, ho sempre desiderato viaggiare, scoprire nuovi posti, nuove culture; per questo avevo promesso a me stessa che appena ne avessi avuto la possibilità lo avrei fatto. La mia esperienza è iniziata quando, per caso, sono venuta a conoscenza dell’opportunità concessa dalla Fondazione Varrone con l’associazione di Intercultura. A quel punto, dovevo solo convincere i miei genitori. Ormai vedevo il mio sogno avvicinarsi e sempre più concretizzarsi, non avevo timori o dubbi anche se sapevo che sarebbe stato difficile e che avrei potuto contare solamente sulle mie forze. Una volta, però, saputa la destinazione e dopo aver avuto maggiori informazioni sulla mia famiglia ospitante sono svanite anche tutte le più piccole perplessità. Non sono stata delusa rispetto le mie aspettative, l’America è come me la immaginavo, forse anche meglio. Sono atterrata a New York dopo 12 ore di viaggio e nonostante la stanchezza ho saputo apprezzare la bellezza di quel posto meraviglioso. La città dove sono stata per un intero anno è Columbus, la capitale dell’Ohio. Sono stata molto fortunata a trovarmi in questa città molto grande, piena di gente e di intrattenimenti. Posso dire questo a distanza di tempo perché anche se all’inizio era tutto una novità ed era tutto molto interessante, con il tempo quel posto mi sembrava estraneo. All’inizio infatti, non è stato facile adattarsi alla nuova cultura ma grazie alla mia volontà di vivere pienamente questa esperienza che tanto avevo voluto, sono riuscita ad apprezzare e a capire tutti i punti divergenti della mia cultura con quella americana. In questo sono stata aiutata anche dalla mia famiglia ospitante che ha cercato di integrarmi e di farmi conoscere questa nuova cultura. A volte é stato necessario ricorrere a strategie per potermi integrare.

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“Ormai vedevo il mio sogno avvicinarsi, non avevo timori o dubbi anche se sapevo che sarebbe stato difficile e che avrei potuto contare solamente sulle mie forze”. Dovevo essere in grado di cogliere tutte le occasioni per poter fare nuove conoscenze perché in fondo un anno non è molto tempo per qualcuno che vive stabilmente in una città. Io ero un po’ una novità e dovevo essere in grado di sfruttare questa cosa al massimo, cercare di relazionarmi con il maggior numero di persone nonostante non conoscessi ancora benissimo la lingua. Per questo è stato necessario iscrivermi in dei gruppi sportivi, in clubs e vari eventi scolastici. Importante per me è stato anche abbattere i vari stereotipi con i quali vengono raffigurati comunemente gli americani. La scuola era uno di questi. Sono partita con la convinzione di trovare una scuola con corsi molto superficiali rispetto a quelli italiani mentre mi sono resa conto che invece, la scuola americana offre

molte più possibilità di scelta ad un ragazzo. Le materie, infatti, variano dall’ambito scientifico e umanistico a quello artistico e sportivo offrendo la possibilità di arricchire maggiormente il proprio bagaglio culturale. Con il passare del tempo ho acquisito anche una maggiore competenza linguistica e questo mi ha facilitato la socializzazione e la permanenza. Molto importante è stato fare amicizie sia con persone del luogo sia con ragazzi stranieri come me che vivevano nella zona. Personalmente questa esperienza è stata molto forte ed ha contribuito a formare la mia personalità e il mio carattere. Oggi posso dire che, nonostante le difficoltà incontrate, rifarei ancora questa esperienza che mi ha consentito sia di crescere sia di imparare una lingua importante come l’inglese.

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a mia scelta di andare in America è stata una scelta fatta così di getto mi sono detta “dai proviamo”. Convinta fino all’ultimo del fatto che non sarei mai partita, ho superato tutte le piccole tappe, pian piano io e l’ansia e la paura di essere scelta convivevamo finché poi ci siamo dovuti abbandonare all’idea che ero stata scelta e sarei partita. Di sicuro non me lo sarei fatto ripetere due volte che era un’esperienza unica quella che la Fondazione Varrone e Intercultura mi offrivano, solo che avevo tanta paura mi sentivo piccola per un’esperienza che tutti descrivevano di una grandezza

mentale e culturale immensa. Poi ho cominciato a sentirmi pronta e carica sempre con un filo di paura ma anche con quel pizzico di curiosità. Ed è stato proprio quel pizzico che mi ha determinata alla partenza. Certo dire arrivederci a tutto e a tutti è stato orribile: ricordo la mia ultima settimana in Italia passata a piangere e a salutare amici e parenti, per non parlare del viaggio dall’albergo all’aeroporto di Fiumicino! Piangevo come una bambina piccola mentre tutti gli altri ragazzi sembravano contentissimi di lasciare tutto. E’ stato difficile adattarsi ad una cultura nuova e a persone nuove

“Il capire gli altri mi ha aiutato anche a capire me stessa, dandomi così il coraggio per affrontare le grandi sfide che la vita mi pone davanti giorno dopo giorno” con cui vivere che tra l’altro parlavano solo in americano…mi sentivo un pesce fuor d’acqua. La mia famiglia ospitante però è sempre stata molto gentile e disponibile verso di me e quindi durante l’anno, anche grazie alle orientation dell’associazione, abbiamo lavorato alla nostra convivenza a volte difficile per un motivo o per un altro. Poco dopo il mio arrivo in Webster, la mia comunità ospitante, è iniziata la scuola. Là I ragazzi e gli insegnanti erano così gentili e disponibili e anche se la scuola durava fino alle 3 e mezzo non mi pesava assolutamente per nulla, anzi quando avevamo le vacanze pregavo di poterci tornare al più presto. Dopo la scuola c’erano le attività extra scolastiche per almeno due ore e da ragazza sportiva quale sono ho fatto tre diversi sport durante i dieci mesi trascorsi all’estero. Questo mi ha permesso di fare amicizia con molte più persone e molto più in fretta. Per far si che le persone si accorgano di noi ci dobbiamo buttare! Dobbiamo proporci e farci conoscere altrimenti le persone si limiteranno a giudicare conoscendoci solo all’esterno e non per chi siamo veramente. Tra le tante conoscenze e amicizie americane e non, ho legato moltissimo con tutto il gruppo di studenti stranieri di Webster. Eravamo in sette, tutti con AFS proprio come me, ma venivano da altre parti dell’Europa dell’Asia e dell’America del Sud. Ancora ci sentiamo quando riusciamo a beccarci online. Penso sia

bello raccontarsi e ricordare insieme tutti gli episodi divertenti durante le nostre esperienze. Sono state le persone con cui ho legato un po’ di più proprio perché c’era un’unica cosa che ci accomunava: Intercultura. Vivevamo stesse sensazioni ed emozioni, una stessa esperienza lontani da casa e dover contare solo su noi stessi, così ci capivamo al volo e ci aiutavamo ogni volta che ne avevamo bisogno. Un amicizia con una persona di una nazionalità diversa è qualcosa di stupendo ti apre gli occhi e la mente al mondo che ti circonda ti dà punti differenti sulla visione del mondo, o almeno così è stato per me. Vivevo nello stereotipo che L’Italia fosse un posto bruttissimo che volevo a tutti i costi lasciare, ma quando è stata l’ora di ritornarci ero immensamente felice, perché non conta come il posto sia, conta solo il valore sentimentale che un posto ha per te. Il capire gli altri mi ha aiutato anche a capire me stessa, dandomi così il coraggio per affrontare le grandi sfide che la vita mi pone davanti giorno dopo giorno, sapendo di poter contare sulle mie forze e capacità senza dover sempre dipendere dagli altri. Grazie ad Intercultura e la possibilità che ho ricevuto adesso mi sento cresciuta, non solo di età, ma anche mentalmente e umanamente e mi sento inoltre parecchio sicura di me e so che qualora dovessi fare qualcosa di sbagliato potrei sempre rialzarmi. Inoltre adesso sò che il mio sogno di girare il mondo non è poi così impossibile da realizzare


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ifficile descrivere una esperienza così straordinaria, unica, indimenticabile in poche righe. Decidere di partire non è stato facile. Ci si sente ancora piccoli di fronte a un mondo ai nostri occhi incomprensibile ; ma la voglia di conoscere, di provare nuove cose e spinti da quella curiosità che si fa protagonista di questa esperienza è più grande. Inutile dire che questo viaggio al di là dell’oceano ti cambia la vita, ti permette di crescere, maturare, diventare grandi. Ci si ritrova da un giorno all’altro catapultati in una realtà completamente diversa. I cambiamenti sono all’ordine del giorno: una nuova casa, una nuova famiglia pronta ad ospitarci nella loro vita, nuovi amici, nuove abitudini Ed è proprio questo il bello dell’esperienza, immergersi in una nuova realtà e all’interno di una diversa cultura. La cosa piu’ significativa resta forse proprio questa: si parte con l’idea di unire ad un esperienza di vita la possibilità di conoscere una nuova lingua , ma dopo poche settimane ci si rende conto che, la mera conoscenza (quale l’apprendimento di una nuova lingua) si pone all’ombra dell’insieme di incommensurabili emozioni ed esperienze che ci si ritrova ad affrontare. Questa in generale è la descrizione dell’esperienza, ma tengo a descrivere in modo piu’ personale i miei ricordi a riguardo: conservo con molta gelosia ogni piccolo ricordo di un anno che potrei considerare il più bello della mia vita. Sono sempre stata affascinata da paesi e culture diverse dalla nostra e partire per gli States é stato un sogno diventato realtà! Non nascondo il timore iniziale, quello della partenza. Mille pensieri e preoccupazioni ti portano ad immaginare le peggiori situazioni possibili che si possono creare quando ci si trova soli al di là del mondo. subito dopo tutti questi timori iniziali

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“Si parte con l’idea di unire ad un esperienza di vita la possibilità di conoscere una nuova lingua, ma dopo poche settimane ci si rende conto che la mera conoscenza si pone all’ombra dell’insieme di incommensurabili emozioni ed esperienze che ci si ritrova ad affrontare.”

“Non conoscevo più il significato della parola nostalgia; mi sentivo parte di quell’ambiente”. scompaiono, spazzati via dalla gigantesca voglia di partire e vivere al meglio un anno di vita che si prospetta fantastico. Atterrata a Chicago finalmente! Pronta a girare pagina e iniziare “my AMERICAN LIFE!” Affascinata immediatamente dalla bellezza della città, tutto quello che mi circondava era così incredibilmente sorprendente. Da una parte quello che fino ad un secondo prima di partire avevo visto in tv, in film e telefilm, riviste ed articoli di giornale, dall’altro quello che iniziavo a vivere, vedendo con i miei occhi e toccando con le mie mani. Ho stretto subito una relazione fantastica con la mia famiglia, con i miei nuovi amici e con i ritmi giornalieri che mi accingevo ad affrontare ... La scuola era esageratamente incredibile, efficente, veramente studiata e realizzata per offrire agli utenti le migliori possibilità di apprendimento e conoscenza, con servizi efficientissimi, famigliari e pienamente a misura di ogni studente presente. Ricordo che passavo ore a descriverla ai miei familiari ed amici in Italia. Strutture super moderne che nulla avevano a che fare con

quelle a cui ero abituata. Le giornate scorrevano in allegria e spensieratezza. Non conoscevo più il significato della parola nostalgia; mi sentivo parte di quell’ambiente. La mia spensieratezza (come quella degli altri) non coincideva con un mancato impegno dello studio o in un inesistente processo di maturazione intellettuale e personale, anzi, tutto il contrario! Professori preparati, servizi e orari studiati con logica, materie che realmente ti preparano sia ad affrontare un eventuale esperienza lavorativa al termine degli studi , sia a creare un livello di conoscenza e capacità che prepara realmente ai futuri e postumi impegni universitari ai miei occhi Tutto questo in Italia sembra non esistere, nonostante noi siamo indubbiamente una di quelle civiltà che hanno tenuto a battesimo la conoscenza e la cultura fin dalle origini della civilta’ occidentale. Credo che questa esperienza sia un enorme strumento di crescita personale. Auguro ed invito tutti a vivere al più presto le emozioni che mi hanno accompagnato in un anno semplicemente sorprendente.

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elcome to our family Luisa!’’ questo era il messaggio scritto sul poster che ho ricevuto non appena incontrata la mia famiglia ospitante. Durante il tragitto per andare a vivere nella mia futura nuova casa, pensavo tra me e me chi fossero quegli sconosciuti che mi guardavano e mi riempivano di domande per me incomprensibili. Un leggero muro di paura ed insicurezza che i miei genitori ospitanti hanno subito abbattuto appena arrivati a casa dicendomi che sarebbero stati onorati se li avessi chiamati mamma e papà e che ora dovevo considerare la loro casa come se fosse stata sempre anche la mia. Ho da subito instaurato un legame speciale, basato sulla fiducie e il rispetto reciproco, con le mie sorelle e il mio fratellino e loro mi hanno sempre coinvolto in tutte le loro attività e interessi. Il mio carattere forte e maturo, ha saputo gestire nel migliore dei modi qualche episodio di gelosia ed ero anche molto orgogliosa quando veniva chiesto il mio parere su qualcosa. Dopo qualche giorno sapevo che io avrei dovuto frequentare la scuola americana. Per me il primo giorno di scuola in Kansas è stato come varcare di nuovo il portone della mia scuola elementare, ma lì sapevo che non conoscevo nessuno e non ero nel mio paese, ero in un’altra realtà e sapevo che avrei dovuto subito stringere nuove amicizie e iniziare a prendere confidenza con quella scuola così grande e moderna. Ero

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“Un leggero muro di paura ed insicurezza che i miei genitori ospitanti hanno subito abbattuto dicendomi che sarebbero stati onorati se li avessi chiamati mamma e papà” molto nervosa e agitata il giorno in cui mia madre mi ha portata a conoscere il preside a scegliere i corsi che avrei dovuto frequentare nei due semestri. I primi giorni sono stata molto timida verso i compagni, i professori e il personale scolastico che si era dimostrato molto gentile e disponibile con me. Col passare del tempo ho conquistato la stima e l’affetto di tutti i professori da cui venivo chiamata ‘’Miss Italy’’, che adoravano ascoltare il mio accento ed erano molto interessati quando raccontavo di vicende relative al mio Paese. In ogni progetto, ho cercato sempre di parlare dell’Italia cercando di trasmettere la nostra cultura famosa apprezzata in tutto il mondo. Durante la mia esperienza ho conosciuto molte persone, ma poche di loro si sono dimostrate amicizie sincere che mi hanno aiutato a superare momenti difficili oppure quando sentivo la nostalgia di casa mia. Forse il mio punto di riferimento è stata una ragazza tedesca, anche lei era nel mio stesso programma AFS, mi è stata molto vicino e mi

ha capita quando ero molto triste per il terremoto che ha colpito l’Abruzzo. Era forse l’unica che poteva capire quanto fossi preoccupata per le persone a me care che vivevano nelle zone terremotate. Siamo state grandi amiche, abbiamo condiviso momenti indimenticabili,sono ancora in contatto con lei e non appena potremo ci piacerebbe organizzare un viaggio per poterci rivedere. Essendo il Kansas uno stato del tutto pianeggiante, a volte mentre guardavo, dalla finestra della mia camera, quelle enormi distese di girasoli ripensavo alle montagne con cui ero cresciuta nel mio paese e pensavo a quello che avevo lasciato con un pizzico di malinconia, ma scompariva subito se pensavo a tutto quello di bello e di diverso che stavo vivendo. Saranno sempre in una parte del mio cuore le meravigliose albe che ero abituata ad ammirare ogni mattina quando mio padre ci portava a scuola, cieli che il sole sfumava di tonalità rosse e arancione accompagnate da nuvole che veniva spostate da un soave vento.

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iao! Sono Mariangela Giovanzanti, vivo a Rieti, frequento il Liceo Classico “M.T.Varrone” e sono stata a Cincinnati, in Ohio, negli Stati Uniti nell’ anno scolastico 2008/2009. Ho partecipato al concorso indetto dalla Fondazione Varrone quasi per gioco; vista la locandina in giro per la città, ne ho parlato a casa ed ho valutato che valesse la pena partecipare; avevo sempre desiderato fare un esperienza simile ma mai era successo prima di avere una simile opportunità, così a portata di mano. Quando poi il primo febbraio del 2008, giorno prima del mio quindicesimo compleanno, ho ricevuto la lettera che diceva che sarei partita per gli Stati Uniti, lì è cominciato il sogno. Prima di partire avevo pensato che sarebbe stato difficile adattarsi alla cultura nord americana. Pur essendo un paese per molti versi simile al nostro ero in parte consapevole della varietà etnica e culturale che gli Stati Uniti presentano: ero quindi in grande attesa di sapere dove di preciso sarei andata; insomma, tutti conoscono la differenza tra la California e il New Jersey, sia a livello climatico che di composizione della popolazione. Con il senno di poi, posso affermare che la differenza non la fanno i posti, ma le persone e la loro capacità di comunicazione e disponibilità a comprendere l’altro, a mettersi sullo stesso piano. Le difficoltà iniziali sono state di natura prevedibile: i primi giorni la lingua, ma soprattutto, il cambio delle abitudini, gli

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“La differenza non la fanno i posti, ma le persone e la loro capacità di comunicazione e disponibilità a comprendere l’altro, a mettersi sullo stesso piano.” orari e in generale l’abituarsi a vivere con persone diverse. Non esiste una vera e propria tecnica per risolvere le difficoltà che si incontrano in questo tipo di esperienza. Per me vale solo la determinazione e l’amore per ciò che si sta facendo, più in generale per se stessi. Per superare le difficoltà che mi si sono presentate mentre ero all’estero ho fatto una semplice cosa, mi sono chiesta, costantemente, che cosa io volessi da questa esperienza e se quella scelta che stavo per compiere era giusta in virtù delle mie aspettative. Quando si vive un’esperienza simile, la consapevolezza di sé, ed il saper accettare il propri limiti è fondamentale per non farsi del male e per non deludere sé stessi e gli altri. In questo senso l’esperienza interculturale dona molto al carattere dell’individuo che la affronta: mentre si è all’estero, in un ambiente che non si conosce e con persone che non si conoscono, si deve acquisire la capacità di dare il meglio di sé in poco tempo e di essere veri con le persone che si frequentano. È appunto noi capiamo chi siamo veramente e come ci comportiamo; durante quest’anno all’estero è stato possibile per me scoprire fino a che punto l’idea che avevo di me fosse dovuta all’ambiente in cui vivevo e alle persone che frequentavo più che a me stessa. Questa è una grande prova, soprattutto per un adolescente e può essere destabilizzante per certi versi. Quando ci sono degli individui disposti a comunicare, ad aprirsi, a togliere di mezzo ogni pregiudizio è allora che nasce una relazione costruttiva. E questo non dipende da dove ci si trova. Chi mai avrebbe pensato che sarei andata a pranzo con una ragazza giapponese, riso con lei e due tailandesi sulle cose che fanno

ridere noi ragazzi, e andata a fare shopping con un cileno? Io no di certo. O almeno, credevo che avrei provato più difficoltà a farlo di quanta effettivamente ne abbia trovata. La consapevolezza che mi ha lasciato questa splendida esperienza è quella che anche se siamo lontani nello spazio, se c’è qualcosa da mettere in comune, si può trovare il modo di farlo. Viviamo nel mondo dell’immediatezza della comunicazione e questo facilità di gran lunga le cose per noi. Ora a distanza di mesi da questa esperienza, ho mantenuto i rapporti con tantissime persone che ho conosciuto lì, anche se ora viviamo vite completamente diverse, persino in posti diversi. A volte mi basta un vecchio scontrino o una foto per rivivere quei momenti unici, che rimangono nel cuore.

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alve a tutti, sono Lucia Giuli, una ragazza frequentante il Liceo Scientifico Jucci di Rieti, che, come alcuni di voi, ha partecipato a un’esperienza di studio all’estero con Intercultura. Sentii parlare della possibilità di vincere borse di studio offerte dalla Fondazione Varrone per un anno negli Stati Uniti da una professoressa della mia scuola e subito ne fui incuriosita e volenterosa nel parteciparvi. Quando espressi ai miei genitori il desiderio di potermi iscrivere a questo programma essi cascarono un po’ dalle nuvole e inizialmente si dimostrarono abbastanza titubanti ma alla fine riuscii a convincerli. Si, perché io volevo andare in America, fare quest’esperienza di un anno all’estero con la certezza che mi avrebbe potuto dare tanto, che mi avrebbe migliorata. La possibilità di venire a contatto con un'altra cultura, di impararne le usanze,di istaurare nuove amicizie e vedere un'altra parte del mondo erano alcuni dei motivi che mi spingevano a partire. Inoltre avevo visto questa possibilità offertami come una sfida o prova con me stessa, per rendermi conto se fossi stata forte abbastanza da lasciare per un anno tutto quello che fino ad allora aveva costituito il mio piccolo mondo. Cosi mi iscrissi al programma e riuscii a vincere una borsa di studio. I giorni prima della partenza sono quelli in cui ti iniziano ad affiorare mille dubbi e incertezze: “ma sto facendo la cosa giusta?; un anno, ma non è troppo?; e se poi non mi trovo bene che faccio? E se quando torno tutto sarà diverso?” E via dicendo ma alla fine ti convinci che sei stata fortunata, che tra tanti hanno scelto te e che vivrai una bellissima esperienza, realizzerai un tuo sogno. 12 agosto 2008, ancora ricordo questa data come se fosse ieri, il fatidico giorno della partenza. Eh si, quello fu anche il giorno dei “piagnistei” generali da parte dei nostri genitori che forse non erano molto pronti a lasciarci ma noi anche se dispiaciuti, già avevamo la testa rivolta da un’altra parte, avevamo iniziato il

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“Devo ringraziare Intercultura e la Fondazione Varrone per questa possibilità offertami. La porterò sempre nel cuore.” nostro viaggio, che ci avrebbe a chi più e chi meno cambiato la vita. Ricordo il momento in cui vidi la mia famiglia ospitante per la prima volta. Avevo il cuore in gola e provavo un misto tra eccitazione e paura. Subito mi fecero una buona impressione. Brave persone, disposte ad ascoltarti ed aperte ad affrontare quest’esperienza insieme a me. Sicuramente i primi giorni sono quelli più difficili, ardui e imbarazzanti in quanto ci si ritrova in una realtà completamente diversa da quella a cui si era abituati: diversi orari, diverse abitudini, un'altra casa, si deve prendere confidenza con le persone che vi abitano, e soprattutto c’è la quasi impossibilità nel capire quello che le persone dicono quindi il più delle volte ti ritrovi li ad annuire e a sorridere senza sapere pienamente il motivo. Passato questo periodo tutto sembra trovare un suo equilibrio. Ci si inizia ad abituare alle nuove usanze, si prende sempre più confidenza con la famiglia ospitante, si creano nuove amicizie, ci si adatta alla scuola, arrivando al punto di considerare quella la tua vera vita. Per raggiungere questo equilibrio e quindi adattarmi alla nuova cultura, è stato fondamentale aprirmi con le persone che mi circondavano e sentire dentro di me la volontà di apprendere da loro il più possibile, avendo sempre uno scambio di opinioni. Certo, non sono mancati i momenti difficili, in cui si avverte un po’ la nostalgia di casa, degli amici di sempre, delle vecchie abitudini, perfino della scuola (anche se può sembrare strano) ma l’unico modo per superarli è pensare al fatto che quella che stai vivendo è un esperienza irripetibile nel suo genere, che ti accrescerà molto e inoltre avrà una durata limitata e che quindi bisogna sfruttarla nel migliore

dei modi, perché 10 mesi passeranno più veloci di quanto ci si aspetti e alla fine non ti troverai più pronto per ripartire. Durante questi mesi trascorsi negli USA, il contatto con la cultura americana, per certi aspetti molto diversa dalla nostra, mi ha permesso di ampliare la mia visione del mondo, di confermare alcuni stereotipi che noi italiani abbiamo di questo paese, come l’immenso numero di fast-food, smentirne altri e anche di fare un confronto con la cultura italiana, valutandone i pro e i contro. Queste ultime considerazioni mi hanno anche fatto guardare il nostro paese sotto un altro punto di vista, sicuramente rivalutandolo e apprezzando di più anche le piccole cose abituali che ogni giorni avevamo davanti ai nostri occhi ma che non eravamo mai riusciti a guardare dandogli il giusto valore. Una delle cose che mi ha più colpito degli States è la grande mescolanza di etnie che costituiscono la popolazione americana; è cosi diversificata che sarebbe difficile se non impossibile immaginarne un prototipo. Il vedere questa cosa mi ha reso sicuramente più aperta e tollerante verso gli altri e le loro culture, mi ha permesso di dare e nello stesso tempo ricevere tutto quello che c’è di bello in ognuno di noi e inoltre mi ha aiutato molto a maturare. La cosa più importante che questo programma mi ha offerto è stata la possibilità di conoscere tantissime persone, istaurare un bel rapporto con la mia famiglia, con la quale ancora sono in contatto e soprattutto di creare nuove amicizie sia con i ragazzi americani, sia con gli altri studenti stranieri come me. Questa esperienza è stata in grado di farmi apprezzare ancora di più un valore come l’amicizia infatti devo ringraziare profondamente i miei nuovi amici che hanno reso la mia permanenza in America ancora più piacevole. Soprattutto nei momenti difficili ho capito che avere un amico vicino, qualcuno che ti possa ascoltare e capire fino in fondo è una cosa preziosissima e della quale non si può fare a meno. Non mi dimenticherò mai di alcuni di loro e spero fortemente di rincontrarli un giorno futuro. Oggi sono passati più di 8 mesi dal mio ritorno qui in Italia; trascorre così velocemente il tempo che neanche ce ne rendiamo conto e ripensando al passato mi sembra come se tutto fosse un prodotto della mia immaginazione ma alla fine so che non è così perché quest’esperienza ha lasciato il segno dentro di me, mi ha un po’ cambiata, mi ha fatto crescere molto e guardare le cose sotto un altro punto di vista. Devo ringraziare veramente Intercultura e la Fondazione Varrone per questa possibilità offertami. La porterò sempre nel cuore.

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iao a tutti, io sono Christina e sono partita nel 2008 per trascorrere un anno negli U.S.A grazie ad una borsa di studio offerta dalla Fondazione Varrone a dodici ragazzi di Rieti e provincia. Devo dire che la mia storia forse sorprenderà la maggior parte delle persone che leggeranno perché in fondo non ho mai avuto paura né della partenza né di quello che mi aspettava. Io non vedevo l’ora di partire, di vivere una vita diversa da quella di tutti i giorni e confrontarmi con persone che vivono in realtà diverse dalla mia. Sono una ragazza alla quale piace conoscere tutto ciò che è nuovo senza farsi frenare dalle mille domande, come per esempio: ma che dirò alla famiglia che mi accoglierà?, come farò a farmi capire?. Niente di tutto questo. Forse l’unica domanda che mi ero posta è stata: Che cosa ne sarà delle lasagne, le fettuccine, il pane fresco, le mozzarelle?? Questo si che mi preoccupava veramente! Sono stata baciata dalla fortuna, questa è una cosa che ho sempre voluto specificare. Ho vissuto con una famiglia che sin dal primo giorno mi ha accolto come se fossi stata loro figlia, non mi sono mai sentita estranea a quel nucleo familiare, né mi hanno mai privato dell’affetto, o delle risate. Mi scendono le lacrime ripensando a loro, perché

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“Ho vissuto con una famiglia che sin dal primo giorno mi ha accolto come se fossi stata loro figlia, non mi sono mai sentita estranea a quel nucleo familiare, né mi hanno mai privato dell’affetto, o delle risate.” avendoli così lontani mi rendo conto del bene che ci siamo voluti e che ora si può condividere solo tramite emails o telefonate. Non è la stessa cosa ma è comunque bello perché stando in contatto è come se fossero vicini, e inoltre mi fa pensare che tra di noi si è instaurato un legame talmente forte che nessuno potrà mai sciogliere. A scuola, già il primo giorno avevo trovato un gruppo di ragazze che mi avevano invitata a pranzare con loro. Il mio tutor mi aveva presentata in una classe di Senior che appena avevano capito che ero straniera e per di più italiana, hanno fatto i salti di gioia! Amano l’Italia, il cibo, le grandi città, la simpatia e il calore degli italiani. Il mio sorriso ha colpito subito e fino alla mia partenza ho avuto accanto a me ragazze e ragazzi che mi hanno fatto passare l’anno più bello della mia vita. Sono coloro che tutt’ ora mi scrivono e che posso definire Friends con la F maiuscola. Quante cose vorrei scrivere su questa pagina per farvi capire la gioia e le emozioni che ho provato ogni singolo giorno: la mattina quando mi svegliavo con l’odore del caffé, lo scuolabus che passava la mattina alle 7,00 (era presto lo so ma in fondo faceva parte di quella realtà), i ragazzi della mia età già con la macchina, il ballo di fine anno, le partite di football, la scuola con dei professori che mi hanno aiutato a superare anche le più piccole difficoltà, io e i miei amici a tirarci la neve che nonostante fosse quasi aprile ancora non voleva andarsene, le serate da George’s House a prendere il solito Vanilla milkshake e farsi due chiacchiere, il coro della scuola, il concerto dei Coldplay con il ragazzo del quale mi sono strainna-

morata! Potrei andare avanti per ore ma in un certo senso è anche bello tenerseli per se alcuni racconti, perché a volte ho paura che ci sia gente che non possa capire, perché non ha fatto questo tipo di esperienze, perché non ha vissuto quello che ho vissuto io. I consigli che vorrei dare a tutti quelli che un giorno, come me, vivranno questa fantastica esperienza sono diversi: non siate timidi perché la timidezza non aiuta a semplificare i momenti di difficoltà, adattatevi alla nuova cultura anche se il cibo non vi piace per esempio, è quello ciò che potete mangiare perciò imparate ad adattarvi e a volte è apprezzato anche cucinare qualcosa di tipico del nostro paese. Io per esempio una volta al mese cucinavo italiano, facevo le fettuccine a mano e preparavo il sugo…dovevate vedere le facce dei miei “genitori”!!! Fate amicizia con persone che vi aiuteranno a scuola e che vi faranno conoscere la realtà americana, che non è tale e quale a quella dei film, mi raccomando non fatevi abbindolare da strane idee! Non abbattetevi davanti a niente perché troverete sempre persone che vi aiuteranno. Cosa più importante: cercate di vivere giorno per giorno e di scrivere un diario con le cose che vi colpiscono e di fare tante foto che poi un giorno potrete rivedere e rivivere quei momenti. Un anno sembra tanto ma vi assicuro che passerà velocemente perciò non rimandate mai. CARPE DIEM, questo è stato il mio motto! Ancora un grazie infinito alla Fondazione Varrone, perché se non fosse stato per loro, il mio sarebbe rimasto solo un sogno!

“Un grazie infinito alla Fondazione Varrone, perché se non fosse stato per loro, il mio sarebbe rimasto solo un sogno!” 89


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“Sono uno dei fortunati che hanno avuto la possibilità di partire grazie al generoso ausilio della Fondazione Varrone”

“Sentirsi membro di due etnie e culture, riconoscersi come un vero e proprio ponte tra due diverse civiltà”

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alve a tutti, il mio nome è Davide Massimi. Sono uno dei fortunati che hanno avuto la possibilità di partire alle volte di un paese estero (nel mio caso Wisconsin, USA) grazie al generoso ausilio della Fondazione Varrone. La mia permanenza ha avuto durata complessiva di 10 mesi, dal 12 agosto 2008 al 1 luglio 2009. Dopo questa essenziale premessa, vorrei impostare questa piccola pubblicazione in forma dialogica in modo da favorire un dialogo onesto tra un me "scrittore d'occasione" e un voi "ipotetici ed eventuali lettori" con l'augurio di far cadere subito ogni formalismo. Tornando all'esperienza più spicciola, ricordo di aver ricevuto la mia reale e definitiva destinazione solo sull'aereo che mi avrebbe portato via dal suolo nazionale. Salutai infatti i miei genitori senza alcun briciolo di chiarezza né tantomeno certezze riguardo quello che sarebbe stato il mio futuro prossimo. Facile dunque immaginare il panico, l'ansia, l'apprensione... invece... riuscendo a sorprendervi e sorprendermi, a suo tempo reagii con un'energia e una vitalità risolutiva ed eccezionale; forse scaturita dalla sfumatura di avventura che aveva assunto la mia esperienza. Questa è stata poi, fondamentalmente, la strategia da me più usata durante tutto il mio soggiorno: il non aver perso mai l'eccitazione quasi febbrile per l'imprevisto e l'ignoto; quell'entusiasmo conoscitivo che ha fatto cadere ogni barriera culturale, sedato possibili malinco-

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nie, abbattuto ogni stereotipo. Un irrefrenabile voler "toccare con mano", sviscerare e conoscere ma anche la consapevolezza che la tristezza è solo un passaggio e che alla fine PANTA REI. A posteriori ho riflettuto più volte anche sul valore e la validità delle prima odiate lezioni di preparazione, su quanto in fondo si sia rivelato verosimile quel bizzarro "sinusoide delle emozioni e sentimenti" predicato e ripetuto sino alla nausea in ogni incontro. Quali invece i vantaggi di un'esperienza come questa agli atti pratici? Sicuramente l'apertura mentale e la predisposizione alla sfida della vita, scaturita dall'acquisizione della cosiddetta "competenza interculturale". L'acquisizione di abilità linguistiche

infatti, seppur concreta realtà, alla luce di tali traguardi raggiunti si posiziona persino su una posizione di secondo piano in una sorta di virtuale e immaginaria scala di valori. Per quanto riguarda l'aspetto più intimo della personalità invece, personalmente non posso annoverare profonde modificazioni, mentre riguardo la validità delle amicizie interculturali non posso che riaffermare e ribadire quanto sia bello ed emozionante poter contare oggi su due famiglie (o una sola allargata, a seconda dei vari punti di vista), sentirsi membro di due etnie e culture, riconoscersi come un vero e proprio ponte tra due diverse civiltà e saper apprezzare le differenze costruttive e da proteggere nella nostra civiltà standardizzata e globalizzata.


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ono Massimiliano Mura, per la precisione Max, nome con cui venivo chiamato negli Stati Uniti, il mio troppo lungo e complesso per essere pronunciato bene. Le aspettative e la bontà della famiglia che mi ha ospitato durante il mio soggiorno di quasi undici mesi, quando avevo tra i quindici e i sedici anni, hanno fatto sì che vivessi a Kansas City, in Missouri. La mia scelta di affrontare questa esperienza, rivelatasi davvero unica e gratificante, è stata indotta all’inizio dal consiglio di mio padre. La decisione è spettata a me, anche se non proprio convinto totalmente delle mie intenzioni. Da una parte mi sentivo curioso e ansioso, dall’altra ero spinto dagli inviti dei miei genitori. Solo oggi, tuttavia, sono in grado di pensare e di dire che ne è valsa la pena: sono di nuovo a casa dopo un meraviglioso anno in America e fortunatamente ho colto l’attimo, consapevole del fatto che un’opportunità del genere forse non si sarebbe ripetuta in futuro. Spostiamoci ora a poche ore dopo l’arrivo in terra americana: al momento dell’accoglienza. Le mie incertezze emergevano in maniera sempre maggiore; non sapevo neanche come salutare, cosa dire a chi avrebbe accolto un ragazzo ancora un po’ immaturo, ma che iniziava ad aver voglia di conoscere il più possibile, di provare come ci si possa mai sentire a guardare un altro mondo da una prospettiva solo sua, per scoprire se la sua percezione sarebbe poi cambiata nel tempo. Giorni, anche mesi ci sono voluti per capire il modo di pensare, soprattutto della mia “host Family”, con cui trascorrevo la maggior parte del tempo e allo stesso modo dei miei compagni di scuola. Perfino adesso, quando rivivo nella mente alcuni istanti dell’esperienza, continuo a comprendere le analogie e le divergenze tra i due mondi che ho vissuto, mentre in base agli elementi raccolti, immagino come possa essere la vita dell’uomo in altri posti del pianeta. Mi accorgo che il percorso iniziato un anno fa sia ancora in progresso, non avendo trovato ancora tutte le risposte che cerco. Credo di essere diventato più riflessivo. Ho incontrato tante difficoltà, e un motivo per affrontarle a testa alta sono state le parole dei miei genitori in una lettera alla partenza sull’aereo: “assapora le piccole cose di ogni giorno: è il trucco per essere felici! Quando qual-

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“Assapora le piccole cose di ogni giorno: è il trucco per essere felici! Quando qualcosa va storto, gioisci: la vittoria è vicina!” cosa va storto, gioisci: la vittoria è vicina!” Non nascondo di essermi fatto consigliare per i primi tempi anche via e-mail dalla mia famiglia, la quale però mi spingeva ad aprirmi con quella ospitante; avevano ragione. Grande aiuto mi hanno dato le lettere appassionate della mia amica del cuore Sara. Lentamente ho acquisito maggiore confidenza, aiutato dalla comprensione progressiva della nuova lingua. Le prime settimane di scuola sarebbero state terribili, se non fosse stato per l’aiuto di gentili “american boys” e più spesso “girls”. Inutili invece sono stati i tentativi di memorizzare la combinazione per l’apertura degli armadietti. Poche settimane fa ho avuto il piacere di incontrare alcuni studenti stranieri ospitati da famiglie reatine e, scambiando poche parole con loro, ho provato le stesse sensazioni avute al mio arrivo in America. Provare per credere! Ho sfatato alcune credenze che avevo nei confronti degli statunitensi. Tra le altre: Sono tutti grassi? No, solo alcuni. Qualcuno, poi, pensava di darmi dei consigli: non sei troppo piccolo per restare un anno lontano da casa? Risposta: se lo provo adesso, sono più coinvolto, così come sarebbe stato diverso un anno più tardi. Ogni esperienza di vita ha la sua valenza ed è unica. Non mi sento tanto cambiato come persona: sarà una mia impressione, ma forse dovrebbe giudicare chi mi è vicino. Mi piace pensare che l’esperienza vissuta porterà cambiamenti che si rivelano nel tempo. Sono stato testimone di un confronto tra culture differenti e spero che il percorso affrontato mi sia di aiuto ora e in futuro. La conoscenza della lingua inglese mi porterà vantaggi nello studio, ma sono ancor più contento di aver tratto insegnamenti da esperienze personali e cercherò di utilizzarli nella mia vita di ogni giorno. Auguro a tutti di avere l’opportunità di vivere una simile esperienza e, anche se avrei dovuto farlo sempre con la “S” maiuscola (soddisfatto ugualmente), ricordatevi di tenere mente e cuore liberi di farvi crescere.

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d u e m i l a o t t o S i m o n e

S e b a s t i a n o

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accontare l’esperienza vissuta non è cosa facile visto le implicazioni psicologiche che ci sono dietro la decisione di andare via per un anno e per giunta all’età di 16 anni, senza sapere dove, in quale famiglia, in quale scuola, in quale gruppo sportivo e abbandonare le certezze, gli affetti che fino a quel momento erano tutto il tuo microcosmo. Quando sono rientrato ho trovato una cartella nel computer di casa nella quale mia madre aveva conservato tutto le mail che avevo scritto in un anno in Minnesota. Rileggendole mi sono tornati in mente tanti ricordi che ho pensato potessero essere il canale giusto per condividere le sensazioni provate. E nello stesso tempo mi facilitano il compito di raccontarmi. La prima mail è datata 20 agosto, esattamente 5 giorni dopo la mia partenze e diceva così: “ciao mamma qua sto benissimo Rheanna è simpatica e Brock ancora di più. Lori and Mark sono molto gentili e adesso sto parlando solo inglese. Ti devo dire che quando parlano con me parlano very piano cosi li comprendo. Anche gli amici di Brock parlano lentamente. Oggi io e Rheanna siamo andati al lago a nuotare l’acqua era freddissima ma is very cool. Abito con 2 cani e 1 gatto Rheanna mi ha detto che qualche volta posso andare a Minneapolis da lei che sta all’ università. Lori fa i gioielli e Mark non ho ancora capito cosa faccia.......non mi funziona il cellulare, in questo piccolo paesino del Minnesota non prende, ma non ti preoccupare perché tra pochi giorni me ne compro uno nuovo. Devi stare tranquilla perché qua sto benissimo e tra qualche giorno inizia la scuola!! non vedo l’ ora, te lo saresti mai creduto? Devo anche fare il provino per la squadra di football e mi sa che vado pure a giocare a calcio e a basket. Qua fanno tutti snow e infatti ho saputo che d’inverno normalmente ci sono 4 metri di neve. Per adesso la temperatura è buona, sembra di stare ad ottobre e tira un vento che ti porta via, la città è molto piccola ma carina e una cosa che ti colpisce appena arrivi in America è che è tutto grande!!! non esiste l’acqua confezionata in bottigliette e la confezione di coca cola più piccola è da 2 litri e la più grande da 6. Il cibo è buonissimo e la pasta non è male. Si cena alle 6 e anche se per me è un pò presto is cool. Ho conosciuto un ragazza thailandese che sta come me per un anno con AFS, che bello .......... adesso vi saluto, non vi preoccupate per me che me la caverò da solo benissimo. Vi voglio bene ciao”

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“La cosa che ti rimane dentro è la volontà di ripartire e di aver dimostrato a te stesso che ce l’hai fatta e anche alla grande” Questo non è stato l’inizio ma forse la fine di un anno di decisioni. Ricordo ancora quando il 31 gennaio del 2008 arrivò la lettera della Fondazione Varrone che mi annunciava essere il vincitore di una delle borse di studio per un anno in USA. Non stavo nella pelle per la contentezza ma nello stesso tempo ho vissuto momenti d’indecisioni terribili. Era proprio quello che volevo? ero pronto a partire? Per andare dove? E poi ecco qui una volta arrivato ho trovato una nuova famiglia composta da due genitori e due fratelli. A distanza di qualche giorno ho anche capito cosa facesse il mio papà americano (l’elettricista) e la mia mamma (la segretaria e nel tempo perso i gioielli, proprio come fa mia madre in Italia), è stato l’anno più importante della mia vita e tutto grazie ad un concorso. Sono stato in Canada, in Messico, a trovare mio cugino a Boise ( mail del mese di novembre) “ Vado in Canada il 13 14 15 e 16 woooooooooooo ah, per l’autorizzazione per il Canada che tu hai firmato devi anche mandarmi un modulo nel quale mi dai il permesso a viaggiare sia in Canada che in Messico wooooo ciao simone”, mi sono diplomato nella mia fantastica scuola americana ed

ho anche riportato una menzione d’onore per gli “sforzi” fatti. Mail di maggio “ ciao ma e pa come ve la passate?? io tutto okay oggi è il mio ultimo giorno di scuola!!! i test sono andati bene!!! Il 6 giugno mi diplomo e ti mando gli inviti così se vuoi puoi venire hahah!! !adesso devo andare a scuola per il mio ultimo giornoo!!” Che meraviglia ripensare al giorno del diploma provo ancora oggi la stessa sensazione di stretta allo stomaco. E poi tutto stava terminando, ma la cosa che ti rimane dentro è la volontà di ripartire e di aver dimostrato a te stesso che ce l’hai fatta e anche alla grande. Il rientro è stato atteso ma nello stesso tempo con una vena di tristezza, perché sapevo che sarebbe finito un periodo della mia vita irripetibile. Ora sto per affrontare gli esami di stato in Italia ma la mia vita è stata sicuramente segnata da questo anno. Al freddo sicuramente, certe volte mi sentivo un pinguino! Ma al calore di una famiglia che mi ha voluto bene e che mi ha accolto come uno dei suoi figli, ero anche l’unico che andava a pescare con Mark, che andava a fare la spesa con Lori e che ha fatto scoprire agli abitanti di Grand Marais la nutella spalmata sul pandoro

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PROPRIETÀ’ LETTERARIA RISERVATA

Si ringraziano tutti i ragazzi che hanno contribuito alla realizzazione di questo volume con i loro testi ed il loro materiale fotografico

Finito di stampare presso la Tipografia Fabri Via Garibaldi, 107 - 02100 Rieti nel mese di maggio 2010 Progetto grafico: Alessandra Rinalduzzi Coordinamento: Cristina Carnicelli - Fondazione Varrone; Enrica Rinalduzzi - Intercultura


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