INSEGNAREDUCANDO. N° 6 - 03/2011

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News insegnanti Gruppo Abele Numero 6

Eventi Speciali:

marzo 2011

SOMMARIO

Eventi speciali Cari colleghi… Quando il corpo ci educa:

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il Teatro dell’Oppresso. Qual è il vero bene dei bambini? Non è vero che sono tutti uguali.

Ultimi giorni per iscriversi al seminario:

“Ritrovare orizzonti di senso” Non- convegno per insegnanti BARBIANA 8/10 Aprile Per informazioni e iscrizioni: scuola@gruppoabele.org

Da Pistoia lo sdegno dei docenti. La scuola pubblica di Jovanotti.

Cari colleghi… …pensavate di cadere così in basso? Nell’ultimo mese le nostre orecchie hanno dovuto sopportare troppo! Molti di noi hanno buttato a mare la tv e quest’ informazione beffarda che dà la parola a chi ha dimenticato la dignità e non ha neppure il buon gusto di tacere. Infatti, non è la scuola che è caduta in basso, ma chi è pagato per difenderla e custodirla come un bene pubblico. Per curiosità, sfogliando il dizionario dei sinonimi abbiamo trovato la chiave di lettura: cadere in basso = degradare, abbassarsi, abbruttirsi, corrompersi, disonorarsi, cadere, sporcarsi… La grammatica, immutabile e incorruttibile, parla da sé per rivelarci il vero senso delle cose. Ecco perché, colleghi, cadiamo in depressione, noi che, nonostante le continue provocazioni e gli ostacoli che arrivano da più parti, portiamo avanti ogni giorno uno dei mestieri più belli e più difficili del mondo! Il dizionario etimologico ci viene in aiuto: deprimere, da “de”+”premere” = schiacciare una cosa affinché si abbassi. Siamo depressi perché siamo oppressi!!! È importante che ne prendiamo coscienza; in secondo luogo dobbiamo trovare il modo di recuperare le energie e la forza per continuare a impegnarci. Per questo abbiamo bisogno più che mai di testimonianze che ci aiutino a "RITROVARE ORIZZONTI DI SENSO” che ci ridiano forza ed entusiasmo; abbiamo necessità di riflettere insieme su “dove stiamo andando” e riscoprire l’importanza di quello che stiamo facendo. Senza di noi, chi potrà educare i ragazzi a collocarsi, come cittadini “sovrani”, nei luoghi in cui è toccato loro di nascere, mantenendo come orizzonte il mondo?


Lo stuzzicadenti …

Quando il corpo ci educa: il teatro dell’oppresso

Il Teatro dell’Oppresso è un metodo teatrale elaborato da Augusto Boal a partire dagli anni ’60 in Brasile. E' un teatro che rende attivo il pubblico e serve ai gruppi di "spett-attori" per esplorare, mettere in scena, analizzare e trasformare la realta' che essi stessi vivono.

Per informazioni: www.livres.it oppure www.giollicoop.it

Toccare, sentire, guardare, vedere, udire, ascoltare: ecco come è iniziato lo stage per insegnanti, organizzato dal Gruppo Abele di Torino e condotto da Paolo Senor dell’Associazione “Livres como o vento”. Il primo approccio tra persone appena conosciute è stata la lotta: a coppie, con tutta la forza che si ha in corpo, spingere, afferrare e contrapporsi all’altro senza farlo soccombere, in modo da creare il massimo comun denominatore di equilibrio… … e poi ad occhi chiusi, alternativamente guidati e guide di un lungo viaggio in giardino, tra gemme che sbocciano, cinguettii e profumi che invadono a poco a poco le narici e che nessuno aveva mai colto così intensamente. Sono solo due delle tantissime attività che hanno coinvolto insegnanti ed educatori in una esperienza di formazione “diversa”. Si chiamano giochi-esercizi del Teatro dell’Oppresso e avviano all’integrazione, alla fiducia, alla sensibilizzazione e alla demeccanizzazione. Sono un dialogo, una riflessione fisica su se stessi, un monologo, un’ introversione. Nel TdO è innanzitutto il corpo che parla, esprime e racconta. Il gioco nelle sue funzioni analogiche e metaforiche, crea le condizioni per immergersi nelle emozioni, nei ruoli e nelle dinamiche che possono essere analizzate "come se" fossero generate da situazioni reali. Dopo il “riscaldamento energetico” si sperimenta il teatro forum dove la realtà viene simbolizzata su un piano diverso in cui è possibile testare “modi diversi” di affrontare quello che non ci piace e ci tocca vivere. “Questa arte ha un potenziale enorme: la sua forza pedagogica, se ben conosciuta e applicata, può essere uno strumento di grande aiuto nelle classi”. Ecco il commento unanime degli insegnanti e degli educatori presenti che hanno saputo “stare al gioco” in prima persona. Ci salutiamo con una promessa: “Approfondire altri aspetti del TdO”. Un grazie a tutti i partecipanti e a chi ha condotto con professionalità e simpatia lo stage.


Il binocolo…

Apre una nuova rubrica della newsletter per approfondire “realtà diverse” che richiedono occhiali speciali o meglio… un binocolo che aiuti ad osservare quello che non è facile vedere ad occhio nudo.

Qual è il vero bene dei ragazzi?

Ogni lacuna nella conoscenza deve diventare una sfida. Lo stimolo sta nella lacuna. Winnicot

“Sono la più anziana dei docenti di una scuola Media della Lombardia. Vi scrivo perché vorrei discutere un problema: fino a che punto i problemi personali degli alunni devono entrare nella valutazione degli apprendimenti? In tutti i Consigli di classe questo problema si presenta puntuale, ciascuno di noi ha le sue teorie, ma non ne abbiamo mai parlato esplicitamente. Esempio: …è in prima, in affidamento a una famiglia e sta diventando ingestibile: lancia bigliettini con insulti ai compagni, ride sguaiatamente per ogni sciocchezza, giocherella continuamente, non riesce a stare attenta e, non si sa se per davvero o per finta, chiede più volte provocatoriamente conferma di tutte le consegne degli insegnanti in classe. A volte il tempo di una lezione è occupata per lo più a richiamarla. E' seguita da una psicologa e dai servizi sociali. Durante il Consiglio di classe la maggior parte delle colleghe ha espresso forte irritazione (più che giustificata) nei confronti della ragazzina, ma.... io sono sempre per il "sì, ma..." vengo accusata di pietismo, di non fare il bene degli alunni, di non aiutarli a crescere. Questo mi mette in crisi ogni volta: qual è davvero il bene dei ragazzi?”

Quando i bambini “rompono”… L’ adozione e l’affidamento raccontate a scuola. (Emilia De Rienzo) Alcuni bambini adottivi, soprattutto se hanno un passato difficile, possono incontrare difficoltà di apprendimento che molto spesso hanno la loro origine in quella che Bowlby definisce la "fatica di pensare". Anche i bambini affidati possono avere una storia difficile, aver subito traumi più o meno profondi che li hanno segnati. Sono bambini insicuri, che possono manifestare il proprio disagio sotto varie forme. Il più delle volte non riescono a stabilire rapporti soddisfacenti con il mondo esterno, rischiano di essere esclusi dal gruppo dei pari, faticano ad avere amici. Spesso faticano nell’apprendimento…. …la scuola deve fare la sua parte. Deve essere una comunità che accetti il bambino con tutta la sua storia perché possa accettarla anche lui, che accetti la sua diversità e ne faccia tesoro. Chi ha avuto un passato difficile non riuscirà a trovare spazio per le richieste che verranno dalla scuola se queste non saranno dosate. Non bisognerà pensare che non ce la può fare, che sia un bambino segnato per sempre. L’esperienza ci ha insegnato che i bambini hanno grandi risorse insperate che aspettano solo di essere attivate. Più gli si offriranno occasioni, più gli arriveranno segnali che la sua fatica è stata compresa e che si è lì per cercare insieme a lui una strada, che si è disposti ad accompagnarlo passo per passo per poi pian piano lasciarlo andare, più vedremo un bambino nascere un’altra volta senza cancellare il suo passato. Bisogna aiutarlo a capire che apprendere è un'esperienza positiva, per questo è importante aiutarlo nei suoi momenti di scoraggiamento con la comprensione, e stimolarlo a superare le difficoltà. E’ bene che il bambino non senta l'adulto impaurito o arrabbiato di fronte ai suoi insuccessi ma percepisca la fiducia in lui, per quello che lui è in grado di dare in quel momento. Un insegnante attento ai modi e ai ritmi di apprendimento e non solo al risultato, al processo e non solo al prodotto, fa sentire agli allievi che la sua stima per loro non dipende esclusivamente dai risultati scolastici. Frasi come «Vedrai che pian piano insieme ce la facciamo» o «Dimmi qual è secondo te il problema per cui non riesci...» a volte possono più di tanti strumenti didattici… A volte nel colloquio con loro, sono essi stessi che, anche inconsapevolmente, possono darci delle indicazioni utili per affrontare le loro difficoltà. http://www.anfaa.it/scuola_e_adozione.html


La collezione… Non è vero che sono tutti uguali. Il ruolo dell’insegnante e l’importanza della relazione educativa di Emilia De Rienzo

Il pensiero della sofferenza non è discorsivo, non si costituisce in unità logiche e rigorose di significato. Il comportamento è anche esso un linguaggio. Quando un bambino è per esempio aggressivo, svogliato, disattento, quando si sente inadeguato… sta raccontando qualcosa di sé. Simone Weil

Per approfondire:

“Star bene insieme a scuola si può?”. di Emilia De Rienzo (insegnante e psicologa) UTET www.anfaa.it

Conoscere la storia di un bambino significa capire quali segni questa storia ha lasciato in lui. Tutti i bambini vorrebbero potersi raccontare, renderci partecipi di quello che provano e di quello che sentono, non solo di quello che sanno, ma il più delle volte non lo fanno. Il farlo presuppone di vivere in un ambiente accogliente. Tenere insieme intelligenza ed affetto è la sfida che ogni insegnante dovrebbe continuamente aprire con se stesso. Solo se le emozioni e i sentimenti degli allievi sono accolti e riconosciuti come aspetti strettamente legati all'esperienza e non come ostacolo o disturbo allo svolgimento del programma, il bambino può trovare la forza di raccontarsi, di appropriarsi della propria storia, anche se a volte dolorosa, come un valore e non come un motivo di esclusione da tutti gli altri, può imparare a costruire quello che lo psicoanalista Soulè chiama il "suo romanzo familiare". Bisogna sviluppare l’intelligenza del cuore come la chiama Maria Zambrano o avere un cuore intelligente come diceva Flaubert. Ogni storia è la storia dell’individuo nella sua unicità e insostituibilità ed ogni storia ha dentro di sé qualcosa che rende più ricchi anche gli altri. Bisogna allora combattere la classificazione che, se può essere utile in certi casi, è pericolosa nel trattare l’individuo singolo. E’ inimmaginabile lo stato di frustrazione derivante dall'essere inchiodati a una definizione che distorce e mutila la propria complessità psichica. Settorializzare la visione del bambino vuol dire veder spesso le difficoltà come insormontabili, ci impedisce di vederlo nella sua vera luce, nella sua specificità psicologica e coglierne quindi le potenzialità. La nostra pochezza è tale che riusciamo a cogliere dell’altro, molto più spesso il limite, la negatività, la debolezza del tratto ‘negativo’, piuttosto che gli aspetti più luminosi.” Ma questo ci mette tutti in gioco contro i nostri pregiudizi, ci chiama ad essere attivi per costruire una scuola per tutti, dove tutti possano essere accolti, una scuola che riconosca “la molteplicità”, che sappia capire che ogni individuo si può esprimere in diversi modi. Questo riconoscimento “non dovrebbe riguardare solo le persone che hanno problemi, ma anche quelle che si considerano “normali”, affinché possano finalmente disfarsi, con loro grande sollievo, della terribile e dolorosa etichetta di ‘normale’, per poter assumere e abitare le molteplici dimensioni della fragilità (…) Infatti è proprio là dove nessuno guarda, in quel ‘niente da segnalare’ della norma che una serie di esseri umani vivono nella paura permanente di ‘dover essere forti’, all’altezza, recidendo “ogni legame con le dimensioni della propria fragilità e complessità” “Non ci si può basare su quello che manca in un certo bambino, su quello che in lui non si manifesta, ma bisogna avere un’idea di quello che possiede, di quello che è” così dice Vygotskj. Aiutare i bambini a scoprire le proprie potenzialità vuol dire aprirli al “possibile”, la speranza attiva, quella che mette in movimento. “Sperare, infatti, non

significa – dice Galimberti – solo guardare avanti con ottimismo, ma soprattutto guardare indietro per vedere com’è possibile configurare quel passato che ci abita, per giocarlo in possibilità a venire”


C’è posta per… Da Pistoia lo sdegno dei docenti… …di tutt’Italia Il collegio dei docenti del Liceo Forteguerri-Vannucci di Pistoia, riunitosi in data 2 marzo 2011, esprime sdegno, protesta e ferma condanna per le parole espresse dal Presidente del Consiglio il giorno 26 febbraio, relative alla scuola pubblica e alla pratica educativa dei docenti delle scuole pubbliche italiane; esprime anche un profondo disagio nei confronti della successiva dichiarazione del Ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini: inappropriata, inadeguata, insufficiente rispetto alla faziosità delle accuse mosse dal Presidente del consiglio nei confronti di una istituzione e di coloro che vi operano, che il Ministro dell’Istruzione avrebbe, invece, il compito di rappresentare e, nel caso specifico, di difendere. Riteniamo che tali prese di posizione siano particolarmente gravi, perché provengono da persone che, per il loro ruolo istituzionale, dovrebbero rappresentare lo Stato, il pubblico interesse e quindi la scuola pubblica. Respingiamo con fermezza l’accusa di “inculcare” principi antilibertari nelle menti degli studenti e delle studentesse: la nostra concezione dell’educazione è estranea e opposta ai significati racchiusi nel verbo inculcare, sia che ci si riferisca ad un’agenzia educativa quale la scuola, sia che ci si riferisca ad un’agenzia educativa quale la famiglia.

Pensiamo che il nostro ruolo e la nostra funzione docenti siano quelli di educare le nuove generazioni e di trasmettere loro conoscenze e valori, nello spirito dei principi di libertà, di uguaglianza, di solidarietà della Costituzione italiana. Una pratica educativa che portiamo avanti quotidianamente con impegno, con passione, pur nelle gravi difficoltà che la scuola pubblica italiana sta attraversando, e che continueremo a svolgere, affinché le giovani generazioni crescano come cittadini consapevoli dei loro diritti e dei loro doveri e come persone responsabili. Chiediamo rispetto per il nostro lavoro, per la nostra professionalità, per la nostra funzione di educatori e per l’istituzione nella quale operiamo. I docenti del Liceo Forteguerri-Vannucci di Pistoia

“Io non inculco. Io leggo, ripeto, spiego. Io incoraggio, consolo, soffio nasi. Io studio, mi preparo, mi pongo mille domande sui voti. Io insisto, rispiego. Io mi organizzo con le colleghe per poter fare un’uscita con gli alunni. Io gestisco i rapporti con 40 genitori alla volta, con il Dirigente, con le colleghe. Io valuto, correggo, compilo documenti per ore. Io mi metto in discussione, chiedendomi se una prova sia troppo facile o troppo difficile. Io mi aggiorno, faccio ore in più senza percepire nulla. Inculcare è un verbo che non fa parte dell’educare, è una forma di violenza che non appartiene al mondo della scuola né al mestiere di insegnante. Io ho delle precise idee politiche, ma sfido chiunque a chiedere ai miei alunni quale sia la mia convinzione. Non ho MAI denigrato in alcun modo un’istituzione di cui, essendo dipendente Statale, faccio parte. Se qualcuno aveva ancora dei dubbi sulla volontà del Governo di smantellare la Scuola Pubblica e la residua fiducia che la cittadinanza ripone in essa, che ci fosse un piano pedagogico dietro ai tagli indiscriminati, ebbene, ora dovrà ricredersi. Come maestra di Scuola Pubblica mi ritengo offesa da quanto dichiarato dal Presidente del Consiglio. Io non inculco. Io insegno”. Maestra ANPI Copparo


La bussola ….

La scuola pubblica di Jovanotti

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Quando nostra figlia è arrivata all'età della scuola io e mia moglie ne abbiamo parlato e abbiamo deciso: scuola pubblica. Potevamo permetterci di scegliere e abbiamo scelto. Abbiamo pensato che fosse giusto così, per lei. E' nostra figlia ed è la persona a cui teniamo di più al mondo ma è anche una bimba italiana e l'Italia ha una Scuola Pubblica. Sapevamo di inserirla in una realtà problematica ma era proprio quello il motivo della scelta. Un luogo pubblico, che fosse di sua proprietà in quanto giovane cittadina, che non fosse gestito come un'azienda e che non basasse i suoi principi su una dottrina religiosa per quanto ogni religione venisse accolta. Un luogo pubblico, di tutti e per tutti, scenario di conquiste e di errori, di piccole miserie e di grandi orizzonti, teatro di diversi saperi e di diverse ignoranze. C'è da imparare anche dalle ignoranze,non solo dai saperi selezionati. La scuola è per tutti, deve essere per tutti, è bello che sia così,è una grande conquista avere una scuola pubblica, specialmente quella dell'obbligo. Io li ho visti i paesi dove la scuola pubblica è solo una parola, si sta peggio anche se una minoranza esigua sta col sedere al calduccio e impara tre lingue. A che serve sapere tre lingue se non sai come parlare con uno diverso da te? ll nostro presidente del consiglio dicendo quello che ha detto offende milioni di famiglie e migliaia di persone che all'insegnamento

dedicano il loro tempo migliore, con cura, con

affetto vero per quei ragazzi. Tra le persone che conosco e tra i miei parenti ci sono stati e ci sono professori di scuola, maestre, ho una cugina che è insegnante di sostegno in una scuola di provincia. Li sento parlare e non sono dei cinici, fanno il loro lavoro con passione civile tra mille difficoltà e per la maggior parte degli insegnanti della scuola pubblica è così. Perché offenderli? Perché demotivarli? Perché usare un termine come "inculcare"? E' una parola brutta che parla di un mondo che non deve esistere più. La scuola pubblica non è in competizione con le scuole private, non è la lotta tra Rai e Mediaset o tra due supermercati per conquistarsi uno spettatore o un cliente in più, non mettiamola su questo piano... La scuola di Stato è quella che si finanzia con le tasse dei cittadini, anche di quelli che non hanno figli e anche di quelli che mandano i figli alla scuola privata, è questo il punto. E' una conquista, è come l'acqua che ti arriva al rubinetto: poi ognuno può comprarsi l'acqua minerale che preferisce ma guai a chi avvelena l'acqua del rubinetto per vendere più acque minerali. E' una conquista della civiltà che diventa un diritto nel momento in cui viene sancito. Ma era un diritto di tutti i bambini già prima, solo che andava conquistato, andava affermato. La scuola pubblica va difesa, curata, migliorata. In quanto idea, e poi proprio in quanto scuola: coi banchi gli insegnanti i ragazzi le lavagne. Bisogna amarla, ed esserne fieri. Dall’editoriale: “Come l'acqua” di Lorenzo Cherubini - l’Unità 1 marzo 2011

Se volete consultare i numeri precedenti della newsletter, visitate il sito: www.gruppoabele.org alla pagina www.gruppoabele.org/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1327

Buon tempo scolastico a tutti!


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