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Corriere del Ticino · laRegione · Tessiner Zeitung · chf 3.–

№ 18 del 29 aprile 2016 · con Teleradio dal 1. al 7 maggio

Un podio in ascesa

incontriamo la direttrice d’orchestra speranza scappucci, che nel 2017 debutterà all’opera di Zurigo


L A N U O VA H O N D A J A Z Z L A V I TA I N G R A N D E

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Ticinosette allegato settimanale N° 18 del 29.04.2016

Farian Sabahi ............................

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Fabio Martini ...................................................

6

Agorà Speranza Scappucci. Un podio emergente Società Stile. Barbe e neo hipster

di

Kronos Buzza di Biasca. Memorabile disastro

di

Arti Letteratura e pseudonimi. Doppia identità

Impressum Tiratura controllata

63’212 copie

Chiusura redazionale

Venerdì 22 aprile

Vitae Roberto Barboni

di

di

Giancarlo FornaSier ........................

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alba Minadeo ...............................

9

di

roberto roveda; FotoGraFia di Sabine biederMann .................

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Gian antonio roMano ...................

35

Marco Jeitziner; FotoGraFie di SiMone MenGani ...

40

Svaghi ....................................................................................................................

42

Reportage Nepal. We’ll rise again Luoghi Acquedotti. Sorgenti vitali

FotoGraFie di di

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 29 88 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs ticinosette è su Facebook

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In copertina

Speranza Scappucci Fotografia ©Dario Acosta

Piloti avvisati, “pirati” salvati Gentile Redazione, vi ringrazio per gli articoli proposti nella vostra uscita sulla mobilità (Ticinosette n. 15 dell’8 aprile, ndr.), soprattutto quelli legati alla sicurezza. Non conoscevo il sito web del signor Antonello Olgiati, a cui vanno tutti i miei auguri e complimenti: mi pare che se dei privati si devono impegnare a favore della sicurezza e della prevenzione sulla strada forse il lavoro da fare da parte delle istituzioni e della polizia per avere strade più sicure per tutti ha ancora dei passi decisivi da conquistare. È un bel paradosso che nei giorni della vostra uscita alcuni politici si siano mossi per fare in modo che le postazioni “radar” siano sempre segnalate alcune centinaia di metri prima agli utenti della strada. Ho visto che sui giornali più voci si sono mosse proprio per evidenziare che mettere sull’attenti qualcuno di un controllo significa solo “salvare” la sua patente e il suo portafogli in quell’istante; ma di sicuro non credo che facciamo un favore a chi invece (rispettando le leggi!!) i limiti e la correttezza sulle strade li considera sempre, e sono convinto che non fanno un favore nemmeno alla sicurezza. In tutta onestà, mi pare una presa per i fondelli, se fosse uscita il primo d’aprile sarebbe stato un perfetto pesce. Ma con tutti i problemi (piccoli e grandi, economici e sociali) che ha questo cantone, possibile

che a Bellinzona si debba discutere e intralciare l’operato della polizia e i controlli sulle strade? A tutti è successo nella vita di incorrere in un’infrazione: magari per distrazione – anche se ci credo poco... – si schiaccia il gas più del necessario per superare qualcuno o non ci si accorge di essere entrati in un abitato (o di essere usciti dall’autostrada...). Dopo alcune settimane a casa ti arriva la classica busta della polizia e subito ti rendi contro che hai commesso un errore. Dopo l’arrabbiatura ti riprometti di fare maggiore attenzione e quando ritorni sulla strada al tachimetro presti molto più attenzione, anche perché di “errori” non se ne possono commettere a ripetizione. Ma secondo me questa proposta è ancora più controproducente soprattutto verso i più giovani e i neopatentati, che solitamente sfrecciano sulle strade comunali credendo che con più rumore e accelerazioni fulminee si ottiene più consenso e rispetto dai propri coetanei (...). Da che mondo è mondo chi sbaglia dovrebbe sempre pagare, e più il reato è importante e grave e più conseguenze vi saranno. Oggi per qualcuno gli automobilisti che non rispettano i limiti vanno protetti: chi protegge invece le vittime impotenti della velocità altrui e dei gravi rischi che provocano? Distinti saluti, L. A. (Mendrisio)


Un podio emergente Speranza Scappucci. Nata a Roma ma di indole cosmopolita, 42 anni, ex collaboratrice di Riccardo Muti con all’attivo esperienze musicali nei principali teatri del mondo, Speranza Scappucci si sta affermando come una delle direttrici d’orchestra più sensibili e interessanti. E nel 2017 debutterà all’Opera di Zurigo con l’opera comica in due atti “La Fille du régiment” di Gaetano Donizetti di Farian Sabahi

“S Agorà 4

ono molto grata all’Opera di Zurigo perché nel 2012 il Maestro Fabio Luisi mi aveva scelto come suo braccio destro, come capo di tutti i pianisti e anche per gestire l’amministrazione. Questo avveniva prima del mio debutto come direttore d’orchestra, quello stesso anno, a Yale. Salita sul podio, capii che il mio destino era diverso. Ne parlammo, il Maestro Luisi e il sovrintendente Homoki compresero la mia situazione e mi sciolsero dal contratto. Quattro anni dopo, sono stata ingaggiata per dirigere”. A raccontare la propria esperienza è il Maestro Speranza Scappucci, 42 anni, romana (con mamma piemontese), cittadina del mondo. L’abbiamo incontrata in un appartamento di via XX Settembre, in centro a Torino, dopo averla ammirata sul podio del Teatro Regio dove ha diretto La Cenerentola di Rossini. Per la prima volta al Regio, una donna direttore d’orchestra. “Se siamo in poche”, spiega il Maestro dalla chioma fulva, “è perché abbiamo cominciato in una fase successiva rispetto agli uomini, per tanto tempo è stata una professione quasi esclusivamente maschile”. Le cose stanno cambiando poco a poco, “ma ci sono tanti teatri e direttori artistici che hanno reticenze nell’ingaggiare le donne”. Queste barriere stanno cadendo, e oggi al mondo sono in parecchie a dirigere anche se in numero inferiore rispetto agli uomini. A fare da apripista era stata Simone Young nel 1993, prima donna a dirigere l’opera di Vienna, con i Wiener Philharmoniker. Simone Young era entrata in un mondo pieno di pregiudizi. Oggi è diverso: “Ogni volta che mi trovo davanti a una nuova orchestra, in un nuovo teatro, vedo che se sei una brava professionista e crei empatia, il musicista reagisce nel migliore dei modi. E anche il pregiudizio, se c’era, cade”. Per il resto, “quello del direttore d’orchestra è un mestiere da musicisti, uomini e donne: chiunque abbia studiato musica e composizione, chiunque sappia suonare uno strumento e abbia un gesto chiaro e carisma può intraprendere questa professione”. Come per Antonino Votto e per il Maestro Riccardo Muti, anche per il Maestro Scappucci “il braccio è l’estensione del pensiero musicale”. Ma qual è il senso di questa affermazione? “Tanti studiano il gesto ma non hanno la sostanza musicale per giustificare il gesto che diventa solo questione di meccanica”. In altri termini, “quella del direttore d’orchestra non è la bacchetta di Harry Potter!”

Gavetta, sacrifici e risultati Quasi un memento, dunque, rivolto ai più giovani, che il Maestro incita a studiare con perseveranza, senza farsi scoraggiare dalle tante fatiche: “Ogni tanto guardo indietro e mi chiedo come ho fatto!”. Un percorso di studio intenso, cominciato a soli quattro anni. Dieci anni al Santa Cecilia, con diploma nel luglio 1993. Un mese dopo era già alla Juilliard di New York. A suo agio, perché i genitori avevano scelto per lei, e per le tre sorelle, la scuola americana. Negli anni del liceo andava a scuola dalle 8 alle 14. Dalle 14 alle 16 mangiava un panino nel refettorio. Lì c’era un vecchio pianoforte e studiava. Alle 16 attaccava al Conservatorio e finiva alle 20. Tornava a casa alle 21 e a quel punto le toccava ancora fare i compiti. Tanti sacrifici. Anche andare via da casa a diciannove anni in una grande città come New York non è stato facile, soprattutto a quei tempi, senza email e senza Skype. Quella era stata una scommessa, all’insaputa dei docenti del conservatorio romano di Santa Cecilia: la giovane Speranza aveva presentato domanda, era andata negli Stati Uniti per l’audizione e alla fine era riuscita non solo a entrare nella scuola di musica più prestigiosa al mondo, ma anche a ottenere la borsa di studio. Certo, perché frequentare le scuole oltre oceano non è cosa da poco dal punto di vista dell’impegno economico. Una gavetta, quella americana, che è stata fondamentale. Quando sale sul palco per ringraziare il pubblico, Speranza Scappucci non passa inosservata, con il suo bel tailleur pantalone acquistato nell’atelier di Giorgio Armani e il vezzo femminile di eleganti scarpe rosse. Un modo per conciliare una professione a lungo maschile con la propria femminilità. Senza sottovalutare la comodità, perché lei indossa il tacco alto solo salendo sul palco: in buca, che è profonda, le scarpe non si vedono e quindi preferisce scarpe basse e comode, anche da ginnastica adatte quando deve restare in piedi per ore. In buca, oltre a dirigere, suona i recitativi perché “la parte dei recitativi secchi è una componente fondamentale dell’opera, è la trama, il tessuto connettivo. L’energia non viene solo dal cantante ma dai recitativi, sono io a dare l’energia, il colore. Quando concerto l’opera, la concerto tutta”. Suonare i recitativi non è una novità dell’ultima ora. Quando faceva il Maestro collaboratore di Riccardo Muti, Spe-


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Speranza Scappucci (fotografia ©Dario Acosta)

ranza Scappucci suonava sempre in buca il cembalo oppure il fortepiano. Ha conosciuto il Maestro Muti a Vienna nel 2005: “Suonavo le prove de’ Le nozze di Figaro e feci anche i recitativi con i Wiener Philarmoniker. Ero in buca e il Maestro fu subito entusiasta del modo in cui suonavo i recitativi. Poco per volta sono diventata la sua pianista fissa, per molti anni. Stando vicino a un personaggio simile ho imparato a gestire le prove, lavorare con i cantanti. Tante cose che mi porto dentro”. Eclettismo e passione Oltre al Maestro Riccardo Muti, a segnare il suo percorso sono stati gli insegnanti al Conservatorio di Santa Cecilia (Fausto Di Cesare e Sergio Perticaroli) che davano molta importanza al fraseggio. E poi, alla Juilliard, Gyorgy Sandor (grandissimo pianista allievo dell’ungherese Bartók) e Samuel Sanders (pianista e accompagnatore del violinista Itzhak Perlman e di Mstislav Rostropovich). Lavorando nei vari teatri del mondo ha incontrato Zubin Metha, il giapponese Seijii Osawa e James Levine. Il suo repertorio parte dal barocco, poi Mozart, tutto il bel canto, Verdi, ha già fatto la Traviata, diretto l’Attila, dirigerà la Jerusalem. Ha diretto Rossini e Puccini, a Los Angeles debutterà con la Bohème. Ama molto il repertorio francese,

in diversi concerti ha affrontato compositori sia francesi sia tedeschi, e nel suo repertorio non manca la musica sinfonica. “Per essere un buon direttore e un buon musicista bisogna saper fare di tutto, l’importante è non limitarsi, perché altrimenti rischiamo di fare solo l’Opera in quanto italiani. L’Opera è il massimo ma poi ci sono Schubert, Schumann, Mendelssohn”. Una vita, quella del Maestro, con la valigia in mano: “Nella capitale austriaca ho un pied-à-terre perché lì ho lavorato a lungo, anche come pianista, all’Opera di Vienna. Ma New York è la vera casa. E poi c’è la casa dei miei a Roma. Vivo tra Vienna, New York e Roma. In ognuna di queste città ho un mio letto e un armadio: vado, lascio la valigia, riparto”. Un mestiere faticoso, che il Maestro affronta con una dieta equilibrata e il giusto riposo. Una donna effervescente che, nel primo pomeriggio, non esita a sorseggiare camomilla. Un personaggio a cui non manca il sostegno della famiglia. Dietro le quinte non ha esitato a presentarci i genitori: lui giornalista, lei insegnante di inglese. Entrambi in pensione. Avevano mandato a lezione di musica la figlia maggiore, Gioia. E lei, la piccolina, sempre dietro alla sorella grande. Un giorno, l’insegnante disse ai genitori che era Speranza la più dotata. Ed eccola, pianista affermata e direttore d’orchestra. L’anno prossimo anche a Zurigo.


Barbe e neo hipster Per decenni considerata priva di appeal, oggi la barba è tornata di moda, purché a occuparsene sia un “beard stylist”, insostituibile consulente dei neo hipster di Fabio Martini

Ormai l’avrete certamente notato…. Da un paio d’anni la

Società 6

le diverse componenti della tradizione musicale americana barba lunga è tornata di moda alla grande e non si tratta di (blues, jazz, country, folk, reggae ecc). una tendenza riservata ai soli giovanotti ma condivisa anche Fra la fine degli anni sessanta e gli inizi dei settanta, con il da chi al grigio si è dovuto di riffo e di raffo abituare. Ma la dilagare del movimento hippie (ed eccolo di nuovo il suffisso cosa non finisce qui. Infatti, la diffusione di questo nuovo hip), la barba divenne un attributo diffusissimo adottato da look tutto maschile è stato associato al termine hipster co- milioni di giovani (invecchiandoli nell’aspetto… e forse niato negli anni quaranta dal cantante e pianista jazz bianco sta proprio in questo il sottotesto). Ma, se di barbe dobbiamo trattare, proviamo a osservare Harry Gibson. Maestro del boogie attentamente quelle di Ginsberg woogie, che interpretava agitandosi e Garcia: sono certamente barbe in modo sfrenato, Gibson – che non folte, di media lunghezza, incolte, portava la barba ma talvolta solo un che incorniciano il volto senza una paio di baffetti – ebbe un notevole particolare cura. Barbe da veri fricsuccesso nei locali newyorkesi dal chettoni, verrebbe da dire, ma an1939 al ’45. che barbe assai diverse da quelle che Un altro modello di hipster era oggi scorgiamo sui volti curatissimi considerato l’attore Bing Crosby dei neo hipster. (anch’egli totalmente imberbe), celebre per la sua languida e inBarbe e indotto dimenticabile interpretazione di Il mercato, come si sa, è un po’ co“White Christmas”. L’etimologia me il maiale, non butta via nulla, della parola è peraltro incerta: c’è anzi, il ripescaggio nelle tendenze chi ritiene che derivi da hep, termidegli anni passati rappresenta da ne che i jazzisti usavano per definire sempre una delle risorse essenziali i propri fan, e chi dalla lingua wolof per creare nuovi prodotti e lanciare (idioma dell’omonima etnia senegastili di vita “alternativi”. Che, ahilese) nella quale significa “vedere”. Jerry Garcia e la sua mitica barba in un’elaborazione grafica (da mosaiclegends.com) mé, spesso poco o nulla hanno a Negli anni quaranta e cinquanta che fare con gli “originali”. E difathipster, sia in ambito sociale che letterario, grazie ad autori come Jack Kerouac e Norman ti, oggi, i moderni hipster sembrano modelli appena scesi da Mailer, finì per essere associato agli appassionati di jazz e in una passerella per sfilate: esibiscono barbe assolutamente particolare a tutti quei giovani che, rifiutando radicalmente perfette, rifinite con precisione chirurgica e caratterizzate il conformismo sociale post bellico, optavano per uno stile di spesso da baffoni altrettanto curati e arricciati. Insomma, vita alternativo ed errabondo, spesso facendo uso di stupe- al disordine esibito degli hipster DOC di un tempo, oggi si facenti e alcol. Il jazzista Charlie Parker, geniale sassofonista preferiscono ordine e accuratezza, caratteristiche che solo e inventore del genere be-bop, ne divenne l’icona (anche un beard stylist (ragazzi, nella vita si può fare anche questo lui senza un filo di barba sul viso) e tutto il movimento per vivere!) può garantire. letterario della beat generation finì per fare riferimento alla E non finisce qui, perché il neo hipster deve indossare un figura errante e inquieta dell’hipster. certo tipo di abbigliamento e di accessori (pantaloni, camice, gilet, scarpe, cinture, ecc), anch’essi necessariamente Due archetipi definiti, ad assicurare possibilità combinatorie in grado di Le prime vere, memorabili barbe da hipster sono certamente far emergere una personalità memorabile. E naturalmente quelle che compaiono sui volti di due noti eroi della con- non può mancare il tatuaggio a sancire l’appartenenza alla trocultura americana: Allen Ginsberg (1926–1997), poeta community. Tutto calcolato, insomma, solo che siamo a visionario e cantore di una rinascenza americana intrisa milioni di anni luce dalla spontaneità e dalla creatività di di misticismo e anarchismo sociale, e il chitarrista e com- 60 anni fa, quando erano le idee, le personalità e le capapositore Jerry Garcia (1942–1995), fondatore dei Grateful cità ideative a fare di un giovanotto un autentico hipster. Dead, leggendaria band californiana nota per le sue lunghe Certo era moda anche allora, ma con qualcosa in più… cavalcate psichedeliche e la capacità di fondere mirabilmente visto che della barba, fra l’altro, si poteva fare a meno!


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Memorabile disastro Oltre 500 anni or sono la “Buzza” segnò in modo indelebile la storia e la morfologia di un’enorme porzione del Sopraceneri. Un evento in mostra presso Casa Cavalier Pellanda a Biasca di Giancarlo Fornasier

Oggi: cava, deposito, sport e passeggiate I segni più evidenti della frana del Pizzo Magn (2329 metri; noto ai più come Monte Crenone) si trovano ancora all’imbocco della Valle di Blenio: nei secoli l’accumulo di materiale sul fondovalle è stato sfruttato dall’uomo quale cava di materiali inerti e deposito di scavo (AlpTransit). Il Centro sportivo Vallone si trova proprio ai suoi piedi. Leonardo da Vinci La Buzza di Biasca è considerata come una delle prime “catastrofi naturali mediatiche” della storia moderna; la più antica rappresentazione è stata attribuita a Leonardo da Vinci (disegno del 1515).

Kronos 8

Scendendo da nord “Oltre il ponte di Malvaglia la valle di Blenio resta sempre ampia e il terreno è del tutto piatto, tanto che con la colmatura di humus assomiglia al fondo di un lago al punto che si potrebbe credere che le acque si siano ritirate da poco (…)”. Hans C. Escher von der Linth, 1812

di detriti a Biasca. Le acque distrussero il Ponte della Torretta (XV sec.) e parte delle mura che lo congiungevano ai castelli. Ingegno o magia? “Il 22 aprile 1515 la comunità di Malvaglia, certo consapevole della fragilità del terrapieno, si era radunata per ingaggiar Giovanni Balestrerio, ingegnere milanese, a intervenire «super buzam de Cranono» – forse per aprire uno scolatoio. Un solo mese dopo la buzza era esplosa, sicché un paio d’anni dopo, il 3 giugno 1517, quelli di Biasca chiamano in causa la comunità della val di Blenio con l’accusa di «magia» per avere contattato il «nigromantum nomine Johannes Balistarius» a evacuare il lago per «arte magica»”. Marino Viganò, “AST”, 2013 Fuggi fuggi generale “In Palenser tal ob Bellenz (…) franarono due montagne. L’acqua del fiume formò un lago e la gente dovette salvarsi sulle alture”. Johann Stumpf, 1548 1513: il “lago” di Malvaglia “Il 30 settembre 1513 sul fianco occidentale del monte Crenone (...) si verifica un gigantesco smottamento. Il crollo forma una barriera naturale, 60 metri nei punti di minor altezza, bloccando il corso del fiume Brenno. Le acque trattenute (...) formano un lago d’estensione valutata dalle 5 alle 12 miglia, colmo di 200 milioni (ca. 130, ndr.) di metri cubi d’acqua”. Marino Viganò, “AST”, 2013

La Buzza a Bellinzona (J. Stumpf, 1548)

La dinamica del cedimento “L’evento naturale più significativo che marcò la morfologia della pianura alluvionale del fiume Ticino da Biasca al Lago Maggiore nell’era cristiana fu sicuramente la Buzza di Biasca del 20 maggio 1515” (secondo altri avvenne il 25 maggio, ndr.). “È (…) ragionevole supporre che la rottura sia avvenuta poco dopo il raggiungimento della quota massima d’invaso, con il seguente innesco di una reazione a catena repentina. Il deflusso iniziale tracimato sul corpo di frana avrebbe provocato un’erosione iniziale che, a sua volta, avrebbe permesso un aumento del deflusso in uscita dal lago in grado di erodere ancora più intensamente i depositi della frana. Questi due processi si sono sviluppati in modo esponenziale, alimentandosi vicendevolmente fino alla completa apertura della breccia. All’origine della rottura non vi è quindi necessariamente un evento di piena del Brenno, non da ultimo considerata la probabilità relativamente bassa che si verifichino piene importanti nel mese di maggio”. Cristian Scapozza et al., SUPSI, 2015 Maggio 1515: l’onda e 600 morti Secondo le simulazioni, la propagazione dell’onda di piena (alta anche 20 metri) generata dal cedimento della diga ebbe un deflusso di circa 15mila m3 al secondo a Bellinzona, dove la piena sopraggiunse circa un’ora dopo la rottura della diga

Una montagna che scende a valle “È celebre il disastro del 30 settembre 1512, per cui uno scoscendimento della montagna di Crenone, situata verso la valle di Pontirone, ricoperse molte abitazioni e molto terreno con una sterminata congerie di materia, e risalì dall’opposto lato sulla destra del Brenno. Narrasi che la caduta fosse effetto d’un terremoto, e si sa essere stata simultanea dal lato opposto la rovina che sobissato ebbe il villaggio di Campo Bagigno in val Calanca”. Stefano Franscini, “La Svizzera Italiana - Pt. II”, 1840 Origini: gli scoscendimenti del 1512-1513 La frana (ca. 500 milioni di m3) si sarebbe prodotta “in più fasi, riconoscibili in due sondaggi geognostici che attraversano i depositi franati. Questo permetterebbe di spiegare anche la relativa incertezza riguardo alla data precisa dell’evento”. Cristian Scapozza et al., SUPSI, 2015


Doppia identità

Che cosa spinge scrittrici e scrittori a usare uno pseudonimo? Che si tratti di non voler apparire o di figurare in modo diverso, è pur sempre un mascheramento, una finzione di Alba Minadeo

Conoscete le scrittrici del secolo scorso Adeline Stephen, Christenze Dinesen, Anna Zuccari o Vittoria Guerrini? Se non ne avete mai sentito parlare, non sorprendetevi perché hanno pubblicato i loro libri sotto un altro nome: quello del marito, nel caso di Virginia Woolf e Karen Blixen, le prime due citate. O con un nome mitico, come Neera, nella fattispecie della terza, oppure con un eteronimo, l’ultima, Cristina Campo, che usò ben quattro nomi maschili (Bernardo Trevisano, Benedetto Padre d’Angelo, Puccio Quaratesi, Giusto Cabianca). Un po’ come lo scrittore Fernando Pessoa (alias Álvaro de Campos, Ricardo Reis, Alberto Caeiro e Bernardo Soares) che moltiplicò le sue identità, dichiarando: “L’origine dei miei eteronimi è il tratto profondo d’isteria che esiste in me”.

uscirono in forma anonima. Marguerite Cleenewerck de Crayencour anagrammò il suo cognome in Yourcenar, altra pratica utilizzata spesso dagli scrittori.

Shakespeare era una donna? Una volta, il nom de plume si usava molto, forse per allontanarsi dall’origine del cognome o per creare allusioni e analogie: Curzio Malaparte si faceva chiamare Kurt Suckert; Andrea De Chirico era Alberto Savinio; Alberto Pincherle, Moravia; Collodi, Carlo Lorenzini; Ettore Schmitz, Italo Svevo. Tra i francesi, Stendhal nascondeva Marie-Henri Beyle. E fra gli svizzeri, Jeremias Gotthelf era l’avatar di Albert Bitzius, tratto dal nome del protagonista del suo primo romanzo; Edmond Fleg, l’abbreviazione di Flegenheimer, vero cognome dello scrittore ebreo Cambio di genere svizzero naturalizzato francese. Ci sono autori che hanno utilizNel 2009, John Hudson sostenne, zato uno pseudonimo femminile, in un articolo pubblicato su The come Domenico Gnoli che si firOxfordian, che il vero autore delle mava Gina d’Arco, e scrittrici che opere di Shakespeare fosse Amelia ne hanno adottato uno maschile, Bassano Lanier, allontanata dalla come George Sand, pseudonimo corte inglese perché incinta di di Amantine Aurore Lucile Dupin, Christopher Marlowe, anch’egli baronessa Dudevant De Francueil nell’elenco dei possibili Shakespe(forse perché il suo vero nome era Un ritratto di Marguerite Yourcenar (1903–1987) (immagine trata da blogspot.com) are. Uno scrittore cambia identità semplicemente troppo lungo) o quando ha qualcosa da nascondecome Elena Ferrante, firma del plot italiano più discusso degli ultimi tempi, dietro il quale re, come il protagonista del film Sotto falso nome di Roberto sembra si celi un uomo. Il vero nome di George Eliot era Andò, ossessionato dalla riservatezza, oppure perché vuole Mary Ann Evans: viveva con un uomo con cui non era essere tutt’uno con il suo protagonista. È il caso del famoso investigatore Ellery Queen che porta lo stesso nome dello sposata e forse per questo si nascose. Le sorelle Brontë per anni scrissero sotto lo pseudonimo pseudonimo dei suoi autori. dei fratelli Bell. Dietro Currel, Ellis e Acton, si celavano Un esempio a parte è quello del nome fittizio dei collettivi Charlotte, Emily e Anne. Dopo la morte delle sorelle, di scrittori come Luther Blissett, poi ribattezzatosi Wu Ming. Charlotte svelò il motivo della scelta, dovuta ai pregiudizi Esiste infine l’adozione del cognome di affinità. Da tempo, verso le autrici donne. Anche Elizabeth Gaskell scelse di in Svizzera non c’è più l’obbligo per la donna di prendere il pubblicare con il nome maschile di Cotton Mather Mills. cognome del marito, ma è offerta la possibilità a entrambi i E Louisa May Alcott firmò Piccole Donne con un enigmatico coniugi di decidere se avere un cognome coniugale dopo il A.M. Barnard, come J.K. Rowling che, ancora nel 1997, celò matrimonio o un cognome di affinità ovvero con il trattino il proprio genere dietro due misteriose lettere puntate. E tra i due. Greta Knutson-Tzara, pittrice e poetessa svedese, anche dopo il planetario successo dei libri di Harry Potter, scelse il cognome di affinità, anche se il marito Tristan Tzaha pubblicato il suo romanzo poliziesco The Cuckoo’s Calling ra, fondatore del dadaismo, si chiamava Samuel Rosenstock. con il nome di Robert Galbraith. Jane Austen si firmava A È una questione di opportunità. Hillary Rodham ha adottato Lady. E le prime edizioni di Frankenstein di Mary Shelley quello del marito: Clinton.

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a mia è una famiglia di imprenditori: eravamo proprietari della ditta di gazzose Barboni&Romerio, molto famosa nel locarnese prima dell’avvento della grande distribuzione che ha portato la crisi in quel settore. Come formazione ho seguito la scuola commerciale, un po’ come facevano in molti dato che trent’anni fa era un tipo di istruzione che offriva molti sbocchi professionali. Per un certo periodo mi sono impiegato nella ditta di famiglia ma non amavo stare dietro a una scrivania, mi mancava l’aria. Fin da bambino, infatti, mi è sempre piaciuto stare all’aperto, andare per i boschi, lavorare il legno, svolgere attività manuali; forse questa passione per la manualità e la creatività veniva da mio padre che amava dipingere e creare con le sue mani. Insomma, non mi ci vedevo proprio in ufficio. Così, poco dopo essermi diplomato, mi sono dedicato al ramo dell’istruzione militare per poi specializzarmi nella sicurezza privata dove ho lavorato per 23 anni. Ho iniziato in una nota società del settore in Ticino e poi a trent’anni, nel 2000, ho aperto un’agenzia di sicurezza tutta mia, piccola ma specializzata in antitaccheggio e investigazioni; un lavoro adatto a me, perché mi consentiva di muovermi all’aperto, di non avere i classici orari d’ufficio. Poi, circa una decina di anni fa, anche a causa dell’apertura delle frontiere e i trattati bilaterali, questo settore ha cominciato a subire la concorrenza ed è entrato in crisi. Visto l’andamento del mercato mi sono accorto che era giunto il momento di cambiare e progressivamente mi sono costruito un nuovo mestiere. Il legno, le materie “vive”, come detto, mi piacevano fin da piccolo e lavorare il legno era divenuta col tempo la mia passione, il mio hobby. Quando avevo l’agenzia mi ci dedicavo nei momenti liberi. Facevo costruzione artigianale di mobili rustici o sculture con la motosega. Sei anni fa ho acquistato un tornio per il legno e mi sono innamorato dell’arte della tornitura: ho cominciato a dedicarmi sempre di più a questa attività e ho mollato il lavoro nella sicurezza. Ho dovuto affrontare dei sacrifici, fare anche marketing e mettermi dietro una scrivania per programmare le cose, farmi pubblicità. Creare il mio sito (barboni.ch) e dedicarmi anche alla burocrazia che non è certo

la mia passione. Però ora ho un atelier operativo, comodo, con quattro torni che mi consentono di realizzare l’intera gamma di prodotti che uno può trovare in commercio e offrire corsi individuali. Realizzo oggetti su richiesta, oggetti regalo, sono molto conosciuto per le penne in legno fatte a mano e per i macinapepe fungo che sono stati anche pubblicizzati dalla Coop; quest’ultima ha infatti lanciato una promozione dedicata all’artigianato svizzero e io sono stato uno degli otto artigiani (di cui due ticinesi) inseriti nel catalogo dei “SuperPremi”: una bella soddisfazione! Che dire… ho trasformato la passione in lavoro e trovo fantastico poter dedicare tutto il mio tempo al rapporto con il legno. È una materia viva, dalla quale ricavo i frutti della creatività. Per questo mi piace definire le mie creazioni i “frutti del legno”. Mi piace molto ricercare nuovi “ciocchi” nei boschi, in montagna. Trovare un pezzo di legno e sapere che è unico nel suo genere. Sai che da quel pezzo puoi tirare fuori un oggetto, non replicabile. La scelta del pezzo è una cosa appassionante, sorprendente: dico sempre che dal pezzo più brutto nasce l’oggetto più bello! Al di là della soddisfazione personale oggi lavorare con il legno mi dà da vivere e mi permette di costruire nuovi progetti. Nel 2014 io e mia moglie abbiamo ereditato una stalla e abbiamo trasformato il pianoterra in un atelier in cui la gente può anche venire a vedere le fasi di lavorazione. Al piano superiore, dove si stipava il fieno, stiamo creando un Museo del Legno (museolegno.ch). Insomma, in un sol luogo avremmo il laboratorio dove mostrare come si realizza concretamente un oggetto partendo dalla materia prima e sopra l’esposizione con attrezzi, xiloteca, raccolte di diversi qualità di legno, oggetti di vario genere ecc. Un intero percorso dedicato a questo materiale per creare anche un polo didattico, di interesse cantonale, che coinvolga scuole o chiunque sia interessato a questo settore. Un sogno che sarebbe bello inserire all’interno del Parco Nazionale del Locarnese che dovrebbe nascere nei prossimi anni.

RoBeRTo BARBoNI

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Per molti anni si è occupato di sicurezza privata, poi la sua passione per la lavorazione del legno ha prevalso. Oggi ha un atelier e punta a creare un museo interamente dedicato al legno

testimonianza raccolta da Roberto Roveda fotografia @Sabine Biedermann


Nepal 2016

We’ll rise again di Fabio Martini; fotografie ©Gian Antonio Romano

In un certo senso lo sapevamo, lo aspettavamo. La scienza ci aveva avvertiti. Avevamo costruito le tre case-famiglia dell’orfanotrofio-fattoria di Tathali con criteri antisismici non per nulla. Eppure la verità è un’altra: non si è mai pronti a sentir vacillare una delle poche certezze dell’esistenza, la terra sulla quale camminiamo. Quel sabato 25 aprile 2015, quando all’improvviso la terra ha cominciato a tremare, per i nepalesi il terrore è stato istintivo e viscerale, come le origini della vita. Quel giorno resterà nella memoria di chi l’ha vissuto come uno spartiacque, un punto di svolta tra un “prima” e un “dopo”. (Silvia Lafranchi Pittet, Coordinatrice progetti Kam For Sud)


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trascorso esattamente un anno dal terribile terremoto che ha devastato il Nepal, un evento tutt’altro che imprevisto, come ha scritto Silvia Lafranchi Pittet. Appena un anno prima, il 28 luglio del 2014, la sismologa Moira Reddick, coordinatrice del “Nepal risk reduction consortium”, si era espressa con drammatica chiarezza a riguardo: “Io personalmente sono terrorizzata. Mi sono occupata delle conseguenze di alcuni dei più forti terremoti nel mondo (Haiti, Bam, Kashmir e Gujarat) ma questo sarà molto peggio. Ho un kit d’emergenza in fondo al mio giardino: una vanga per disseppellire le persone, acqua, cibo in scatola, una radio a batterie e altri oggetti di prima necessità. Gli altri pensano che sia pazza, ma io mi sto organizzando per ospitare fino a trenta persone in giardino”. L’energia accumulata dalla tensione fra placca tettonica euroasiatica e la placca tettonica indiana era pronta a scatenarsi e tutto lasciava prevedere che di lì a poco qualcosa di tremendo sarebbe accaduto. Ma la questione, come ben sanno i giapponesi, non risiede nei terremoti in sé – eventi a cui nessun abitante del pianeta può di fatto sottrarsi – ma nella capacità dell’uomo di difendersi da questi eventi, una capacità intrinsecamente legata alle condizioni economiche e sociali delle aree investite dai sismi. E il Nepal, sotto questo profilo, si presenta come un essere indifeso di fronte alla violenza cieca e distruttrice delle forze terrestri: solo una percentuale minima delle costruzioni presenti sul territorio nepalese sono state costruite con criteri antisismici e la ricaduta di evento del genere sulla popolazione è inevitabilmente pesante. Ciò che si temeva, purtroppo, è avvenuto: la scossa di magnitudo 7,8 della scala Richter e le scosse successive hanno provocato la morte di circa 8000 persone, determinando danni su un’area molto estesa e investendo anche le nazioni confinanti come India, Pakistan, Cina e Bangladesh. Un cataclisma che ha provocato gravi conseguenze anche al notevole patrimonio artistico e culturale del Nepal, fra cui molti monumenti inclusi nel Patrimonio dell’umanità dell’UNESCO. Resilienza e dignità Ma se la scarsa capacità tecnica ed economica del Nepal ha offerto il destro alla devastazione del sisma, la violenza della natura poco ha potuto contro la capacità di reagire di questo popolo, un popolo di montanari, avvezzi da sempre a far fronte alle difficoltà che un ambiente ostile, come quello himalayano, quotidianamente impone. Un popolo che pare aver incisa la dignità nel proprio DNA (pochi giorni dopo il terremoto, a Kathmandu già si leggevano striscioni con la scritta We will rise again, ci risolleveremo). Gian Antonio Romano, medico, fotografo e membro di Kam For Sud – ONG svizzera, organizzazione senza scopo di lucro fondata nel 1998 in Ticino da un gruppo di persone che crede nella solidarietà tra gli esseri umani e che opera nel campo dell’educazione, della salute, della protezione dell’infanzia e per uno sviluppo sostenibile – ha saputo testimoniare con i suoi scatti fotografici i momenti successivi al sisma cogliendo “con delicatezza proprio quella combinazione di forza, accettazione, fierezza e dolcezza che i nepalesi hanno trasmesso al mondo nei mesi successivi al ter-

remoto”, come ha commentato Silvia Lafranchi Pittet. Ne è scaturita un’eccezionale cartella fotografica di 24 immagini, intitolata Nepal: oltre il terremoto il cui intero ricavato della vendita (realizzata grazie alla generosità di alcuni sponsor) è devoluto per i progetti di ricostruzione che Kam For Sud ha in Nepal. Un omaggio alla dolcezza, al coraggio, alla resilienza, allo spirito che anima questo popolo che in tasca ha più sorrisi che rupie. Abbiamo incontrato il fotografo e medico ticinese a cui abbiamo rivolto alcune domande sul suo impegno civile e la sua passione.


in apertura: un’anziana rassegnata davanti alle rovine della sua casa; sopra: Bhaktapur, Durbar Square

Che cosa l’ha portata a concentrarsi sul Nepal, paese che ha visitato pù volte? Ho avuto occasione di visitare il Nepal la prima volta nel 1980. Negli ultimi anni ci sono tornato una mezza dozzina di volte, sia per dei trekking, sia per visitare i progetti che Kam For Sud ha in questo paese. Ero a Kathmandu pochi giorni prima del terremoto e vi sono ritornato poche settimane dopo. Ho visto un paese, già estremamente povero, messo in ginocchio da tanta distruzione. Ma ho subito percepito anche la grande voglia di resilienza. Ho cercato con le immagini scattate in

quelle settimane di trasmettere, a chi le osserva, questi due forti sentimenti. Un paese che sa andare “oltre” l’immane tragedia che l’ha colpito. Lei come fotografo si definisce un autodidatta ma i suoi scatti rivelano tecnica, struttura, capacità di visione e una notevole penetrazione psicologica. Come è nata la sua passione e come si è formato? La passione per la fotografia nasce, come spesso capita, da ragazzo con la voglia di documentare i primi viaggi fatti come


Saipu, donna al lavoro fra le macerie

studente. Seguono le prime letture sulla tecnica fotografica e l’inevitabile passaggio dalla camera oscura. Ho frequentato qualche workshop e condiviso molto con chi ne sa più di me. Ma la vera conquista è stata l’avvento del digitale. Potevo finalmente provare e riprovare, sbagliare e cancellare senza spendere un soldo. Poi un giorno la passione ti prende e non ti lascia più. Leggo molto sull’argomento: riviste, libri, biografie e visito naturalmente mostre fotografiche dove spesso acquisto i cataloghi. Guardo e riguardo gli scatti più significativi non tanto per cercare di emularli, quanto per capire il messaggio che il fotografo ha voluto cogliere in quel momento. Uno su tutti: Sebastiao Salgado. Se fotografo un uomo, una donna o un bambino cerco, attraverso il mirino, il suo occhio. Non tanto perché così vuole la tecnica per una corretta messa a fuoco di un viso, ma perché, attraverso lo sguardo, posso percepire un storia. Lo sguardo è comunicazione, che consente a me, a noi, di leggerlo e di capirlo. L’inquadratura, la luce, le ombre e i contrasti sono le “parole” che aiutano a comporre questa storia. L’uso del bianco e nero conferisce poi in questi casi sobrietà ed essenzialità all’immagine conferendole un’atmosfera più intima. In che modo la professione medica si relaziona al suo interesse per gli “altri” intesi non solo come persone di cui prendersi cura ma anche come soggetti da ritrarre?

Kathmandu, coppia di anziani davanti ai resti della loro abitazione


Saipu, la vita continua

Nella mia professione di medico ha molta importanza la comunicazione non verbale. Dagli occhi dei miei pazienti devo sentire anche le parole non dette. Guardando una fotografia voglio poter cogliere queste parole che traduco in emozioni. Una bella fotografia per me è un’immagine che mi fa percepire questa emozione. Detto questo, la fotografia resterà un hobby, che vorrei continuare a coltivare e uno stimolo a visitare altri paesi e conoscere nuove persone. Uno strumento per raccontare tante nuove storie. Quali progetti ha per il futuro come membro di Kam For Sud? Come membro di Kam For Sud il progetto che al momento mi sta più a cuore è la ricostruzione di Saipu, un villaggio di 4000 abitanti, a 150 chilometri a est di Kathmandu, dove il 90% delle abitazioni è andato distrutto. Assieme a queste sono crollate le scuole e l’ambulatorio medico. Grazie al generoso contributo dei ticinesi (e non solo) dopo i primi aiuti urgenti – tra cui dal Ticino abbiamo inviato 10 tonnellate di tende, sacchi a pelo e materassini –, ci stiamo ora concentrando sulla ricostruzione vera e propria di quasi seicento case, delle scuole e dell’ambulatorio. Sul posto a coordinare i lavori, c’è l’ingegnere Daniel Pittet di Kam For Sud. Terminata la fase di censimento e progettazione, ora stiamo formando muratori, carpentieri e falegnami. Tra poco

si inizierà la ricostruzione che deve sottostare a minime norme antisismiche che il governo nepalese sta approvando solo in questi giorni. Il lavoro che resta da fare è ancora molto. Siamo sempre riconoscenti per le donazione ricevute che ci permettono un reale sostegno a queste popolazioni estremamente povere. Anche i proventi raccolti dalla vendita della mia cartella fotografica sono interamente devoluti per finanziare questi progetti.

Gian Antonio Romano Gian Antonio Romano, 1952, Verscio, fotografo autodidatta. Medico internista generale e dello sport, lavora nel suo studio di Verscio e presso il Centro di medicina e Chirurgia dello sport dell’Ospedale la Carità di Locarno. Membro di comitato di Kam For Sud, ha alle sue spalle diversi soggiorni in Nepal. Nel 2008 ha pubblicato “Il cuore dell’Himalaya”, la sua prima raccolta fotografica. romano.gian@bluewin.ch

È possibile acquistare la cartella Nepal: oltre il terremoto presso: Kam For Sud Bazaar a Locarno, Foto Carpi a Bellinzona, Stile Alpino a Lugano e ATavola a Mendrisio. Per informazoni: kamforsud.org


Acquedotti Sorgenti vitali di Marco Jeitziner; fotografie ©Simone Mengani

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Da loro proviene l’elemento essenziale per la nostra vita, l’acqua, eppure pochi sanno cosa sono e come sono fatti. Al riparo dai nostri occhi perché nascosti e sotterranei, bisogna calarsi da accessi impervi e scendere nei tunnel, nelle gallerie, nelle vasche e nelle sale macchine che li compongono per avere un’idea. È quello che abbiamo fatto visitando l’acquedotto delle sorgenti del “Paolaccio”, in zona Acqua Fresca a Mendrisio, gestito dall’omonima azienda industriale (AIM). Un po’ di storia La parola deriva dal latino “aqua” (acqua) e “ducere” (condurre). Pare li abbiano inventati gli arabi e poi i romani per l’irrigazione dei campi, per portare l’acqua alle abitazioni e alle attività artigianali. In Europa ve ne sono ancora di imponenti che sembrano ponti e cavalcavia di roccia, ma alla cui sommità scorre semplicemente il liquido più prezioso della Terra. Chi l’avrebbe mai detto che tra gli artefici storici di importanti acquedotti all’estero ci furono anche dei ticinesi? Proprio come Giovanni Fontana di Melide, architetto e ingegnere idraulico, e il cui nome mai fu così premonitore: fu lui che, leggiamo sul “Bollettino storico della Svizzera italiana”, alla fine del cinquecento condusse l’acqua a Roma e che ai primi del seicento realizzò l’acquedotto di Civitavecchia e poi quello di Frascati. In Ticino, in tempi più recenti, nel luglio del 1842, ecco l’avvio dei lavori di scavo dell’acquedotto che vedete in queste fotografie, quello volgarmente detto “del Paolaccio” in territorio di Salorino. La sua acqua di sorgente carsica doveva essere ritenuta così buona che veniva usata dalla fabbrica di birra dell’Antonio Brenni a Mendrisio. Alla salute!

Il caso Paolaccio Il novecento vide esplodere il consumo di acqua a causa dell’aumento demografico a Mendrisio e quindi, scrive l’azienda locale nel suo sito, “già nel 1950 l’autorità comunale attua dei miglioramenti alle prese delle sorgenti di Paolaccio e Villa Foresta”, mentre “nel 1978 si edificò la camera di selezione a Paolaccio”. È la sorgente di questo “brutto Paolo” che approvvigiona il comune e i suoi quartieri, ma quando c’è siccità si ricorre anche all’acqua di falda pompata dalla zona di San Martino. Eppure è proprio quella di queste fotografie la più importante per la cittadina: “nei periodi critici è indispensabile il buon esercizio delle sorgenti di Paolaccio per garantire l’approvvigionamento all’intera città” si legge. La qualità dell’acqua è garantita, scrivono le AIM. Oggi, con un po’ di immaginazione, sembra di entrare in una “Spa” scavata nel sottosuolo, tanto è limpida e blu l’acqua racchiusa nel cemento. Sembra di entrare nella pancia di un grande macchinario fatto di serbatoi, armature, camere di selezione, pompe, filtri e condotte metalliche. Un bene prezioso A quella della sorgente “Paolaccio” si mescola l’acqua di falda dopo la “clorazione”, cioè il processo di disinfezione più diffuso che assicura l’igiene del liquido. L’acqua di sorgente viene trattata con raggi ultravioletti, un secondo sistema diffusissimo che, grazie alla potenza di questi raggi, uccide batteri, spore, virus, funghi. Il “Paolaccio” conduce, insieme all’altra fonte che è il Brenni, una portata media di 3mila litri al minuto, leggiamo in una scheda tecnica. Coi pozzi di San Martino, questi due acquiferi possono alimentare il borgo di Mendrisio, il Monte Generoso, i quartieri di Salorino, Capolago e Genestrerio. La torrida estate del 2015 aveva provocato non pochi grattacapi alla regione: il pozzo in questione non bastava più. Per questo anche noi cogliamo l’occasione per ricordare, assieme alle AIM, e con l’imminenza della Giornata mondiale dell’acqua del 22 marzo, che “l’acqua potabile è un bene molto prezioso ed è quindi importante, specialmente in periodi di scarse precipitazioni e forte consumo, di non farne spreco”. Come se non bastasse la cronaca recente (del Luganese) ha ribadito l’importanza dell’acqua potabile, e non a caso esiste una direttiva per tutte le aziende di distribuzione: ogni anno devono comunicare all’utenza le caratteristiche dell’acqua erogata, ricorda l’Associazione Acquedotti Ticinesi.


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La domanda della settimana

Preferite gli uomini con barba corta e curata oppure più “libera” e selvaggia?

Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 5 maggio. I risultati appariranno sul numero 20 di Ticinosette.

Al quesito “Avete già prenotato le vostre vacanze estive oppure scelto la destinazione?” avete risposto:

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Astri ariete Crescita delle attività intellettuali, soprattutto se riconducibili a un ambiente universitario o estero. Buon equilibrio fra il vecchio e il nuovo.

toro Incontri e novità sentimentali. Importanti le giornate tra il 6 e il 7. Grazie anche al transito lunare sarete veramente sensuali. Charme alle stelle.

gemelli Vecchi nodi tornano la pettine. Se riuscirete a riposarvi di più le cose tenderanno presto ad andar meglio. Fuori controllo i nati nella prima decade.

cancro Opportunità d’affari, incontri insoliti e divertenti, atmosfere romantiche. Colpi di fulmine per i nati nella prima decade. Creatività e amore.

leone Trasgressivi e seducenti i nati nella prima decade. Possibili ritorni di fiamma. Colpi di fulmine e attrazioni imperiose. Gelosia. Dispute familiari.

vergine Continua a delinearsi un periodo ricco di buone opportunità. Colpo di fulmine per i nati nella prima decade. Prudenza tra il 2 e il 3 maggio.

bilancia Grazie a Marte e a Saturno favorevoli riuscite a portare a termine un progetto con lucidità. Svolte inaspettate per i nati nella seconda decade.

scorpione Attenti a non parlare troppo. Mercurio si trova in opposizione. Il transito di Venere nella settima casa favorisce l’affiatamento sessuale.

sagittario Determinati e anche impavidi, ma sempre un po’ troppo in ansia. Un obiettivo alla volta. Mancanza di autocritica per i nati nella seconda decade.

capricorno Situazioni sentimentali del tutto inaspettate. Grazie a Mercurio opportunità professionali per i nati in gennaio. Lucidità mentale. Intuito e creatività.

acquario Seguite la vostra creatività. Soddisfate i vostri desideri. Nuove opportunità professionali per i nati nella seconda decade. Cautela in famiglia.

pesci Incontri professionali inaspettati. Informatica e social possono essere di grande ispirazione. Trasgressivi e fuori controllo i nati nella seconda decade.


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Questa settimana ci sono in palio 100.– franchi in contanti!

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La soluzione del Concorso apparso il 15 aprile è: MESSAGGI Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stato sorteggiato: D. Calgari 6979 Brè sopra Lugano

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Orizzontali 1. Provocano fastidiosi ritardi burocratici • 9. Epoca • 10. Porto francese • 11. Avute, acquisite • 14. La Laura della canzone • 15. Personal Computer • 16. Antica cambiale • 17. In coppia con Gian • 18. Squadra madrilena • 19. Eroico, rapsodico • 21. Razza canina • 22. Oppure a Zurigo • 24. Periodi storici • 25. La prima nota • 26. Breve esempio • 28. Misure terriere • 30. Fine inglese • 31. La bella Alt • 33. Consonanti in linea • 34. Scrittore russo • 36. Il noto Marvin • 38. L’abbandono dalla gara • 40. Fu ucciso nel bagno • 41. Pena nel cuore • 42. In nessun tempo • 44. Dottrina • 46. Lucro senza limiti • 47. I confini di Rovio • 48. Andato in poesia • 50. Quartiere cittadino • 51. Carnefice Verticali 1. Rarissimo felino asiatico • 2. Spintonare • 3. L’acqua non gasata • 4. Ontani • 5. Arrivare • 6. Antico popolo germanico • 7. Piante pari • 8. Nord-Est • 12. Emettere l’ultimo respiro • 13. Intese, patti • 15. Il noto Della Mirandola • 17. Buffi, comici • 20. Il Luciano della lirica • 23. Con i motori son gioie e dolori • 27. Leggere rapidamente • 29. Consonanti in ruolo • 32. Benestante • 35. Il fiiume dei Cosacchi • 37. Capo arabo • 39. Crimini • 43. Pari in parchi • 45. Questa cosa • 49. Dittongo in boato.

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 20

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate il numero 0901 59 15 80 (CHF 0.90) entro 5 maggio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 3 maggio a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

a cui vanno i nostri complimenti!

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ALBUM DELLE FIGURINE GRATUITO*

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www.migros.ch/panini

–––––––––––––––––––––––––––––––––––– Dietro presentazione della carta Cumulus o Famigros alla cassa, dal 19.4 al 9.5.2016 tutti i membri Famigros ricevono gratuitamente fino a esaurimento dello stock l’album delle figurine. *

© Panini

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DAL 19 APRILE AL 30 MAGGIO 2016 Ogni fr. 20.– di spesa ricevi alla cassa un set di adesivi. Al massimo 10 set di adesivi per acquisto, fino a esaurimento dello stock. Diventa ora membro su www.famigros.ch/iscrizione

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