Technopolis 35

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NUMERO 35 | OTTOBRE 2018

STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE

INNOVAZIONE DAL TERRITORIO Il Ceo di H-Farm, Riccardo Donadon, parla di startup e di come si possa creare sviluppo in modo aperto. L’esempio di eccellenza dell’ecosistema del Trentino.

INDUSTRIA 4.0

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Per imprese e governo è ora di pensare al "dopo Calenda": confermata la proroga agli incentivi previsti dal Piano.

CYBERSICUREZZA

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La fiducia dei consumatori nei confronti delle aziende che raccolgono i loro dati è in calo. Lo dice uno studio Frost & Sullivan.

AI MILIARDARIA

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Entro il 2030 le tecnologie di intelligenza artificiale avranno un impatto da 13mila miliardi di dollari sull'economia mondiale.


RICOH ITALIA


SOMMARIO STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE

N° 35 - OTTOBRE 2018 Periodico bimestrale registrato presso il Tribunale di Milano al n° 378 del 09/10/2012 Direttore responsabile: Emilio Mango

4 STORIE DI COPERTINA

L’innovazione che parte dal territorio

9 IN EVIDENZA

La nuova Italia digitale fra proclami, nomine e illustri partenze

Teorema va a gonfie vele

L’era delle banche flessibili

L’intervista: Brother: la stampa del terzo millennio è carta e digitale

Coordinamento: Gianni Rusconi Hanno collaborato: Alessandro Andriolo, Piero Aprile, Valentina Bernocco, Roberto Bonino, Carlo Fontana, Maurizio Montagna

Automotive, l’Italia prende l’elettrica

Obiettivo reti intelligenti

Progetto grafico: Inventium Srl

Foto e illustrazioni: Istockphoto, Adobe Stock Images, Shutterstock, Martina Santimone

18 INNOVAZIONE

Editore, redazione, pubblicità: Indigo Communication Srl Via Correggio, 48 - 20149 Milano tel: 02 36505844 info@indigocom.it www.indigocom.it Stampa: Imprimart s.r.l. Desio (MB) © Copyright 2018 Indigo Communication Srl Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati. Il Sole 24 Ore non ha partecipato alla realizzazione di questo periodico e non ha responsabilità per il suo contenuto.

16 DIGITAL TRANSFORMATION Le nuove stagioni della tecnologia

Industria 4.0: è l’ora del secondo atto

Il software libero ha vinto la scommessa

La fiducia digitale è in crisi

Troppe barriere tra security e business

In viaggio verso la gigabit society

Ultima chiamata per l’innovazione

Round milionari per le startup

Software “pensanti” tutt’altro che neutrali

Blockchain: impatto dirompente

32 EXECUTIVE ANALYSIS

Il viaggio del cliente si costruisce con i dati

Prevedere e ingaggiare

44 ECCELLENZE.IT Prénatal Retail Group - Selligent

Istituto Auxologico Italiano - Paessler

Susa Trasporti - Citrix

Prosilas - Eos

48 VETRINA HI-TECH Autunno smart

Pubblicazione ceduta gratuitamente.


STORIA DI COPERTINA | H-FARM Perpiciatis

L’INNOVAZIONE CHE PARTE DAL TERRITORIO

Il Ceo di H-Farm, Riccardo Donadon, parla di startup e di come si possa creare sviluppo in modo aperto e proiettato su scala globale. Tra neoimprese da portare in Cina e progetti di realtà virtuale per il settore scolastico.

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e c’è futuro per le startup italiane? Spero che il movimento e l’interesse di coloro che investono sull’ecosistema aumentino. Ma forse è utile guardare a una dimensione più estesa, all’Europa, e alla competizione che si gioca su scala internazionale”. Dalle parole di Riccardo Donadon, fondatore e anima di H-Farm, traspare incertezza nell’immaginare come sarà lo scenario per le imprese innovative da qui a qualche anno. Incertezza che non dev’essere intesa come rinuncia, sia

ben chiaro, perché a Roncade, a pochi chilometri da Treviso e dalla laguna di Venezia, dove H-Farm opera dal 2005 come acceleratore tecnologico ad ampio spettro, i nuovi progetti non mancano. La realtà non va però messa da parte e suggerisce a Donadon che “fare gli incubatori di startup in Europa è una follia, perché la Silicon Valley e Tel Aviv sono gli unici veri marketplace di uscita per le nuove realtà tecnologiche. In Italia l’ecosistema è sicuramente cresciuto, ma a livelli molto limitati: negli ultimi cinque anni, faccio solo questo esempio, da noi sono stati investiti circa 500 milioni di euro, nel Regno Unito circa 12 miliardi”. Numeri che da soli non dicono tutto, ma che assumono una certa valenza se argomentati da un imprenditore che ha saputo conquistare la fiducia della famiglia Benetton con l’idea del centro commerciale virtuale (poi venduto a Infostrada), capitalizzare al massimo il boom della Internet economy vendendo nel 2001 a Etnoteam per 140 miliardi


delle vecchie lire la società da lui fondata tre anni prima, E-Tree (la cosiddetta “no sleeping company”) e tornare quindi in campo con una nuova creatura legata al digitale (H-Farm, oggi operativa in Italia con oltre 600 dipendenti). . Fare innovazione, insomma, richiede competenze, visione, idee, coraggio ma anche capitali. E infatti la storia dell’innovatore Donadon passa attraverso i finanziamenti distribuiti in questi anni alle startup partecipate, arrivati complessivamente fra i 27 e i 28 milioni di euro. “Il tema”, spiega, “non è capire dove la startup raccolga i fondi e completi la propria exit, ma dove l’azienda debba crescere e svilupparsi. Perché come HFarm continuiamo a investire? Per posizionare gli investimenti in modo integrato rispetto alle logiche di territorio e di sviluppo del business. Il nostro non è un Paese per startupper ma ci sono tanti giovani che hanno idee, volontà, capacità e spirito imprenditoriale. C’è anche tanto folklore, e questo impone di alzare il livello della selezione dei progetti”. Ciò che manca all’ecosistema, oltre ai capitali e a una nutrita batteria di venture capital con ampie disponibilità di finanziamento, è soprattutto la cultura del fare nuova impresa. “Le aziende”, riflette il Ceo di H-Farm, “devono aprirsi e raccontare i loro bisogni, cercando e comprando sul mercato l’innovazione. È un processo in corso ma non è certo scontato che sia stato compreso e recepito da tutti”. La “nuova” H-Farm, di conseguenza, ha preso corpo e sostanza aprendosi a mondi paralleli e convergenti rispetto a quello del classico incubatore di imprese tecnologiche, che in 13 anni ha ospitato un centinaio di imprese. Uno di questi mondi riguarda lo scouting e la ricerca per conto terzi di startup adatte a multinazionali di tutte i settori: rientra in questo solco la partecipazione, a fine 2015, in InReach Ventures, piattaforma digitale che attraverso l’analisi dei Big Data e gli algoritmi di machine learning seleziona le realtà europee più interessanti e promettenti sulle quali

investire. Un secondo fronte d’azione, complementare al primo, è la consulenza alle grandi aziende sulla trasformazione digitale. Dal 2016 le attività in questo campo hanno conosciuto un’importante accelerazione fino a valere, oggi, circa 40 milioni di euro e a coinvolgere 300 persone. A esse si affiancano programmi di open innovation verticale che hanno interessato e stanno interessando nomi come Technogym, Adidas, Deutsche Bank (per la tecnologia blockchain), Generali (e-health), Diesel e Cisco (industria 4.0). Infine c’è l’idea più ambiziosa di tutte, quella di creare una sorta di “cittadella dell’education”, collegata sinergicamente alle strutture di H-Farm. Oggi ne è attiva una piccola porzione, che ospita circa 1.200 ragazzi (dai tre ai 18 anni), ma il sogno di Donadon è di arrivare fino a tremila quando la nuova struttura sarà stata edificata. “Stiamo scrivendo software per impostare una piattaforma

di apprendimento online che eleverà la qualità del contenuto ai massimi livelli, profilando in modo mirato la proposta didattica. Solo il 9% delle aziende che offrono servizi di education privato, oggi, è partecipata da investitori istituzionali e venture capital. Questo dato dovrebbe crescere al 34% in pochi anni. Ci sono potenzialità enormi, perché la formazione è la chiave di tutto, è la base per fare trasformazione culturale prima che digitale”. Le prime lezioni che sfrutteranno la realtà aumentata serviranno a studiare il sistema solare e c’è già l’obiettivo di proporre nel corso dell’attuale anno scolastico una parte di contenuti fruibili in modalità virtuale, a costi accessibili. Il reskilling costante è la fondamenta per creare sviluppo, dice convinto Donadon, che rimarca il proprio legame al territorio con una battuta: “La California è un posto cool per fare innovazione, ma lo può essere anche Cà Tron”. Gianni Rusconi

CON MARCO POLO RACCOLTI 2,4 MILIONI La terza edizione del programma ideato da H-Farm è decollata a inizio estate avendo gli stessi obiettivi delle due precedenti: creare per le startup italiane una corsia preferenziale di accesso al mercato cinese attraverso una “call for ideas” sempre aperta, e farlo con la collaborazione di Qwos, uno dei più importanti intermediari locali per gli investimenti privati all’estero. Quali sono i requisiti per partecipare al progetto “Marco Polo”? È necessario operare come impresa innovativa da almeno tre anni, essere iscritti nell’apposito Registro del Mise e aver definito un progetto di export del proprio “Made in Italy” (prodotto o servizio che sia) puntando alla Cina. Le prospettive sono allettanti: mettere un piede in un Paese in cui nel 2017 i finanziamenti destina-

ti alle startup tecnologiche hanno raggiunto quota 58,8 miliardi di dollari. Dall’avvio del programma, nel settembre 2016, a oggi la dozzina di nuove imprese selezionate ha raccolto 2,4 milioni di euro di investimenti. A ciascuna è andato un contributo di 200mila euro, grazie al cofinanziamento effettuato da due investitori indicati da Qwos, in cambio di una quota societaria non superiore al 12%. Come confermano da H-Farm, uno dei cardini del programma è quello di avvicinare le startup ad aziende operanti in settori affini a quello dell’impresa stessa, sfruttando tutti gli strumenti messi a disposizione da Italia Startup Visa, il sistema del Mise per la concessione dei visti di ingresso per i soggetti stranieri che investono nello Stivale.

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STORIA DI COPERTINA | TRENTINO SVILUPPO

ECOSISTEMA A PIÙ ANIME Centri di ricerca, università, acceleratori di startup: in Trentino gli attori per il trasferimento tecnologico operano in sinergia e sfruttano al meglio le risorse pubbliche. Ecco come.

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artiamo da alcuni numeri. A detta del servizio di statistica territoriale, l’Ispat, l’1,8% del Pil della Provincia autonoma di Trento è investito in R&D (il dato è riferito al 2015), una percentuale superiore a quella della media italiana e non lontana da quella europea (2,1%). Sempre secondo l’Ispat, il Trentino vanta risultati eccellenti anche per la densità di addetti attivi nella ricerca e allo sviluppo: 7,6 ogni mille abitanti, contro i 5 della Lombardia, i 4,3 dell’Italia e i 5,7 della media dell’Unione Europea. Nella provincia hanno sede circa 160 startup innovative (dati 2018) e secondo le rilevazioni del Cerved (si veda l’articolo a pag. 36) Trento è il territorio che vanta il maggior grado di innovazione in Italia. I numeri dicono già molto, anche se ovviamente non tutto, e si riflettono in eccellenze tecnologiche operanti in settori 6

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chiave quali l’Information Technology (Big Data), il manifatturiero digitale, la microelettronica (il cui fiore all’occhiello sono i laboratori della Fondazione Bruno Kessler, Fbk, dove si sviluppano e producono chip), le biotecnologie e la componentistica elettronica. Al fianco di imprese e startup si muove in modo sinergico una macchina fatta di distinte anime, molte delle quali di matrice pubblica, che compongono in tutto e per tutto l’ecosistema trentino dell’innovazione. Vi sono attori della ricerca e della formazione, come l’Università degli Studi di Trento e la già citata Fondazione Bruno Kessler, che in collaborazione con il Cnr e con il sostegno della Provincia autonoma di Trent hanno dato vita a luglio a Quantum@Trento, un laboratorio congiunto dedicato allo sviluppo di scienze e tecnologie quantistiche nell’ambito di un progetto europeo da dieci miliardi

di euro. Ci sono centri di ricerca dediti allo sviluppo in campo machine-tomachine e guida autonoma (quello di Fiat ospitato in Fbk), ci sono Eit Digital (il network europeo sul digitale, di cui il capoluogo trentino è il primo nodo dell’Europa meridionale), Cibio (Centre for Interactive Biology, che attira progetti e professionalità da tutto il mondo) e la Fondazione Edmund Mach (centro fra i più importanti a livello europeo nel campo delle scienze agrarie). Accanto a questi soggetti si muovono, poi, attori per il trasferimento tecnologico avanzato come Hit (Hub Innovazione Trentino) e Trentino Sviluppo (di Rovereto, include il Polo della Meccatronica e il Progetto Manifattura di Rovereto) e altri che operano a supporto delle startup, come Industrio Ventures, CLab e Unitn. “Il nostro compito”, spiega a Technopolis l’executive manager di Hit, Andrea


Sartori, “è quello di portare sul mercato soluzioni e fare scouting di aziende che possano diventare partner industriali delle nuove imprese. Se dovessi sintetizzare il nostro ruolo, lo definirei come facilitatore di opportunità e volano per il fundraising e i venture capital”. Da ultimo nato dell’ecosistema dell’innovazione locale, Hit è quindi il soggetto che fa da interfaccia verso la comunità degli investitori istituzionali su scala nazionale ed europea, mettendo in campo competenze interdiscliplinari per valutare e validare i progetti: si spazia dal biotech, vero punto di forza del movimento trentino, alle tecnologie quantistiche. Per realizzare questo, collabora con altri acceleratori italiani come LVentures e PoliHub, e porta avanti sinergie con le altre anime dedite all’innovazione del territorio. Riqualificazioni intelligenti

Fino al 1982 l’area in cui sorge oggi il Polo della Meccatronica ospitava il cotonificio di Pirelli. Dal 2003 in avanti, in virtù di un investimento pubblico di circa 90 milioni di euro, in questo immen-

so spazio di circa 100mila metri quadrati hanno trovato posto una trentina di imprese, una decina di startup e i laboratori di prototipazione che costituiscono una delle due gemme di Trentino Sviluppo. L’altra, Progetto Manifattura, completamente dedicata all’innovazione in chiave sostenibile, ha ereditato le strutture della vecchia fabbrica del tabacco di Rovereto e punta a diventare (anche grazie ai 70 milioni stanziati dalla Provincia Autonoma di Trento) un polo di attrazione per aziende innovative unico in Europa. Una cinquantina quelle già ospitate, con l’obiettivo di salire a 110 entro il 2020.

Formazione, cooperazione, accelerazione e – naturalmente – innovazione sono dunque i mantra di queste due componenti dell’ecosistema, strettamente legati a Fbk e all’Università di Trento, in cui lavorano quotidianamente oltre 500 persone e in cui hanno creduto aziende come Bonfiglioli (macchine industriali), Zeiss (sistemi ottici), Aermec (condizionatori) e Ducati Energia per le rispettive unità di ricerca. E in cui si guarda avanti nel segno dei nuovi paradigmi dell’Industria 4.0. Nella ProM Facility, per esempio, in esercizio dal 2017, operano impianti da diversi milioni di euro coperti da fondi europei a supporto di progetti, su commessa, per la realizzazione di prototipi con tecniche avanzate di manifattura additiva. In ProM, dicono i diretti interessati, non si fa puro “service” dei macchinari a beneficio delle aziende ma anche consulenza ingegneristica sul prodotto, condivisione delle competenze e open innovation al fianco delle startup. Sfruttando appieno, in un’ottica di sviluppo condiviso, i fondi europei e gli incentivi fiscali a fondo perduto disponibili. Gianni Rusconi

LA RICETTA PER CRESCERE: SINERGIA FRA STARTUP E PMI INNOVATIVE Per Gabriele Paglialonga, direttore generale di Industrio Ventures, uno dei pezzi che compongono il mosaico dell’ecosistema trentino, non c’è una ricetta precisa per fare innovazione con le startup. C’è, ed è una novità importante rispetto al recente passato, la ferma intenzione di ampliare l’attività dell’acceleratore al di fuori della provincia. “Per fare germogliare su larga scala il seme dello sviluppo occorre un rapporto sistemico e sinergico fra le Pmi innovative e le nuove imprese tecnologiche. Cercare subito la nuova nuova Facebook non è stato forse l’approccio migliore”, dice Paglialonga, convinto sostenitore del paradigma di un’innovazione aperta che parta

dall’esistente e dalle competenze esistenti sul territorio, in settori come la meccatronica e le energie rinnovabili, la sensoristica e la meccanica di precisione. Non c’è, a detta del manager, un segreto particolare alla base del successo del modello trentino: “Un buon rapporto fra pubblico e privato è essenziale, ma si tratta di una virtù che hanno anche altre Regioni, per esempio l’Emilia Romagna con il TecnoPolo di Modena e Reggio Emilia. È una questione di volontà e di sinergia fra Pubblica Amministrazione e imprenditoria”. Sposando questo principio, oggi Industrio fa scouting dove c’è intelligenza a livello di hardware e dove si può portare intelligenza nei processi, e

quindi nella robotica e nel biomedicale (appartiene a questo cluster Mirnagreen, nata a fine 2015 come primo spinoff della Fondazione Edmund Mach e poi finanziata da Industrio). Paglialonga definisce la sua azienda un acceleratore “boutique”, essendo solo una decina le startup incubate attualmente attive sul mercato. Per l’ecosistema italiano ha un suggerimento: “Bisogna concentrare le risorse disponibili e serve maggiore capacità di fare sistema, perché l’Italia è una dorsale manifatturiera con esigenze simili, a Trento come altrove. Oggi nella mappa mondiale siamo ancora a zero perché non c’è massa critica rispetto a Paesi come Regno Unito, Israele o Stati Uniti”.

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IN EVIDENZA

l’analisi

LA NUOVA ITALIA DIGITALE FRA PROCLAMI, NOMINE E ILLUSTRI PARTENZE Dal nuovo direttore dell’Agid all’addio di Diego Piacentini: novità in serie per la macchina dell’innovazione italiana. Ne vedremo i benefici?

Nel momento in cui scriviamo non sappiamo se alla già corposa lista di annunci in chiave digitale a firma del vice premier e ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, se ne saranno aggiunti altri. Diamo intanto conto di quelli andati in archivio, con l’intento di delineare uno scenario il più possibile completo di ciò che il nuovo governo ha messo in agenda per portare avanti la digitalizzazione del Paese. Eravamo all’inizio di ottobre e Di Maio confermava ufficialmente l’auspicata estensione del piano Industria 4.0: “Le misure per l’iper e il super ammortamento saranno rifinanziate”. Con buona pace, coperture economiche permettendo, del presidente di Ucimu, l’associazione dei costruttori italiani di macchine utensili, Massimo Carboniero, che questa misura la invocava lanciando un monito ben preciso: “in questi due anni il Piano ha risvegliato gli investimenti dormienti delle aziende manifatturiere, avendo un successo notevole, ma solo il 46% di queste ne ha usufruito. La gran parte è rimasta ferma, e si tratta soprattutto di piccole imprese”. Un’altra direttrice del sostegno governativo al processo di innovazione porta alle startup. Era inizio settembre, in occasione del Digithon di Bisceglie, quando Di Maio ribadiva il progetto di una piattaforma pubblica, garantita dallo Stato e ispirata al modello francese, nella quale far convergere investimenti a favore delle nuove aziende innovative. Il fondo dovrebbe essere lanciato a dicembre e mettere insieme soggetti privati e Casse di previden-

za dei professionisti, con il seguente obiettivo: “Vogliamo fare in modo che le idee e le imprese innovative non vengano acquistate da colossi stranieri e crescano e creino occupazione in Italia”. Un altro fondo, infine, il vice premier l’ha prospettato a fine luglio, intervenendo all’assemblea di Confcooperative, per le imprese che vogliono investire sull’intelligenza artificiale. “L’Italia rischia di perdere il treno dell’innovazione”, ebbe a dire, senza probabilmente pensare a quanto disposto dal presidente francese Macron, che allo sviluppo in campo AI ha rivolto un programma di fondi pubblici da un miliardo e mezzo di euro in cinque anni (2018-2022). Fondi che oggi l’Italia, da quanto si apprende, non può permettersi. Il Team Digitale senza Piacentini

Detto che dal tanto discusso ministro dell’Economia Giovanni Tria è arrivato settimane fa il richiamo a una PA “meno burocratica e più digitalizzata” e alla necessità di riportare nel breve termine “gli investimenti pubblici al 3%

del Pil”, non in pochi si sono chiesti se, al nuovo governo, non potesse fare comodo in tema un “consulente” in tema di innovazione particolare come l’ex Commissario straordinario Diego Piacentini. Il manager, già vicepresidente di Amazon, scaduto a metà settembre il mandato a suo tempo ricevuto da Matteo Renzi, è ora tornato a Seattle. Lasciando la carica ha suggerito “un dipartimento per la trasformazione digitale o un sottosegretariato alla presidenza del Consiglio”. Chi sarà il suo sostituto? In attesa di conoscerne il profilo, il Team Digitale voluto e organizzato da Piacentini andrà avanti di sicuro per un altro anno e potrebbe diventare una sorta di braccio operativo dell’Agid per portare avanti nel concreto il Piano triennale della riforma della PA (che nel 2019, bene ricordarlo, assumerà 450mila nuovi addetti). A proposito dell’Agid, infine: a fine agosto la poltrona di direttore generale è stata affidata a Teresa Alvaro, per 12 anni alla guida dell’It dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Sul suo tavolo le priorità sono note: la diffusione del sistema di identità digitale Spid (la cui crescita si è fermata dopo aver coinvolto oltre due milioni di cittadini e poco meno di 3.900 amministrazioni), la messa a regime di strumenti come l’Anagrafe nazionale (Anpr) e PagoPA e il processo di razionalizzazione dei data center pubblici, precondizione necessaria per costruire nel cloud una piattaforma di servizi online per il cittadino che sia finalmente organica ed efficiente. Gianni Rusconi

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IN EVIDENZA

FERMATA INNOVAZIONE È partito dalla stazione Roma Termini il treno di Facebook. Ed è un convoglio carico di innovazione. Il social network blu ha scelto l’Hub di Lventure Group e Luiss Enlabs nei pressi dello scalo capitolino per lanciare un nuovo spazio per lo sviluppo delle competenze digitali. “Binario F from Facebook”, questo il nome del centro, offrirà gratuitamente a persone e aziende la possibilità di esplorare le nuove tecnologie e di confrontarsi sui temi più caldi legati all’innovazione. L’obiettivo finale è quello di trasformarlo nel punto di riferimento cittadino (e non solo) in ambito digitale.

TEOREMA A GONFIE VELE Con la trentaseiesima America’s Cup si cambia. Non si utilizzeranno più i catamarani che hanno portato al limite le prestazioni di mezzi e uomini (tanto da far pensare a uno sport del tutto diverso dalla vela come l’abbiamo sempre conosciuta) ma ci sarà un ritorno ai monoscafi, o per lo meno a una loro evoluzione estrema. Prima della coppa, che sarà aggiudicata a marzo del 2021 nelle acque di Auckland, si terranno le selezioni per lo sfidante di Emirates Team New Zealand, l’attuale detentore. I candidati stanno sperimentando diverse soluzioni tecnologiche (forme, materiali, attrezzature), ma la sfida è talmente ai limiti e i parametri da considerare talmente numerosi che si narra alcuni team, pur molto dotati finanziariamente, stiano mettendo in acqua prototipi molto diversi tra loro e si stiano affidando all’intuito dei grandi velisti più che a calcoli ingegneristici. Non è così per Luna Rossa, che ha annunciato una partnership strategica, proprio in tema di ricerca e progettazione, con Teorema e Wartsila. La “It factory” italiana e la multinazionale finlandese (quest’ultima nota

per i motori marini ma attiva in tutto il comparto degli apparati smart per la nautica) collaborano infatti con la squadra andando alla ricerca delle soluzioni migliori per acquisire quel vantaggio in termini di prestazioni che potrebbe permettere a Luna Rossa di sfidare New Zealand. Teorema e Wartsila hanno sviluppato un sistema in grado di acquisire ed elaborare, attraverso tecniche di machine learning, la grande quantità di dati raccolta durante i test (che sono già in corso) con l’obiettivo di trovare gli algoritmi più efficaci per definire i nuovi parametri di navigazione.

AMAZON IN RAMPA DI LANCIO

FONDO BIO

Le startup italiane sbarcano su Amazon. È attivo anche nel nostro Paes Launchpad, un servizio del colosso dell’e-commerce che permette alle giovani aziende di dare visibilità online ai propri progetti innovativi. Sono già centinaia gli oggetti disponibili sulla piattaforma di Seattle, suddivisi in cinque categorie: elettronica di consumo, alimentari, giocattoli, prodotti per la casa e per la cura della persona. Iscrivendosi a Launchpad, le startup posso-

Nasce il primo fondo di venture capital italiano dedicato al biotech. Sofinnova Telethon ha raccolto oltre 80 milioni di euro da investitori pubblici e privati per supportare alcuni progetti di ricerca focalizzati sulle malattie genetiche rare. La nuova realtà è il frutto di una collaborazione tra il venture capital Sofinnova Partners e Fondazione Telethon. L’obiettivo del fondo è quello di far nascere e finanziare una ventina di aziende biotecnologiche.

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no ricorrere a pagine descrittive personalizzate, a un pacchetto completo di soluzioni di marketing e all’accesso alla rete di distribuzione globale di Amazon (eventualmente anche al servizio Prime, per quelle idonee a farne parte). Nel mondo, Launchpad ha contribuito a lanciare oltre 19mila prodotti creati da 2.100 giovani aziende, con più di cento collaborazioni attive con fondi di capitale, acceleratori e piattaforme di crowdfunding.


L’ERA DELLE BANCHE FLESSIBILI

Le bigtech entreranno presto nel settore finance. Per questo motivo, le banche dovranno reagire, il più velocemente possibile. Questo il concetto espresso da Corrado Passera, presidente esecutivo di Spaxs, nel corso del Banking Summit, organizzato da The Innovation Group a Stresa a ottobre. “Quella che le banche stanno vivendo è la quarta crisi in dieci anni”, ha premesso l’ex ceo di Poste e Intesa Sanpaolo. “Questa però mette in discussione il loro modello organizzativo. L’entrata di fintech e soprattutto bigtech ha reso insostenibili i modelli tradizionali”. I rischi non possono essere sottovalutati: “I nuovi player irromperanno nel settore”, ha detto. “È improbabile che Amazon non faccia operazioni di credito, o che Google

non si prenda una parte del business dei pagamenti”. Il mondo bancario tradizionale andrà, quindi, incontro a una selezione: “aAcune banche non ce la faranno, a causa delle dimensioni e della genericità del loro business”, ha proseguito Passera, “ma altre sopravvivranno perché hanno economie di scala e di scopo importanti in settori come asset management, corporate e private. Nasceranno poi banche specializzate, che si svilupperanno sfruttando al meglio le tecnologie disponibili, le flessibilità informatiche”. Tutto il contrario di quanto è successo finora: “Negli ultimi 20 anni siamo stati vincolati dalle rigidità dei sistemi informativi: cambiare, nelle banche normali, è lungo e costoso. In quelle nuove, invece, si possono mettere insieme sistemi It in maniera modulare. Questo dà flessibilità, velocità di reazione e risparmi inimmaginabili”. E le banche tradizionali? “La probabilità di modificare i sistemi esistenti per renderli competitivi con quelli nuovi è pari a zero. Meglio tenersi i vecchi e, contemporaneamente, ripartire ‘a lato’ con le nuove piattaforme”, ha chiosato Passera. M.M.

JE SUIS DATA CENTER Data4 è pronta a calare il poker in Italia. L’azienda francese, che nel nostro Paese possiede già tre data center pienamente operativi, ha annunciato la prossima costruzione di una nuova server farm di ultima generazione. La struttura, di livello Tier 4, sorgerà nel milanese e coprirà una superficie di circa duemila metri quadrati per un totale di potenza It sviluppata pari a 3 megawatt. Frutto di dieci anni di ricerca e sviluppo, il data center sarà modulare e a basso impatto ambientale. Il progetto ricade in un piano di investimenti complessivi da 250 milioni di euro nel nostro Paese.

SB ITALIA CRESCE A DUE CIFRE Massimo Missaglia

Nei primi sei mesi del 2018 Sb Italia, system integrator specializzato in digital transformation, ha fatto registrare una crescita del 20% del fatturato, che nel 2017 aveva toccato i 23 milioni di euro. “Il Gruppo”, spiega Massimo Missaglia, amministratore delegato di Sb Italia, “si differenzia da altri operatori perché possiede il know-how e le tecnologie necessarie per accompagnare le aziende nel difficile percorso della trasformazione digitale, non ci limitiamo quindi a fare

scouting di soluzioni”. Le quattro aree in cui si muove Sb Italia sono content management e firma elettronica (il cui giro d’affari pesa per circa il 30% sul fatturato complessivo), Business Intelligence e intelligenza artificiale (20%), Erp e fatturazione elettronica per la media impresa (20%) e gestione delle infrastrutture. “Le diverse aree sono cresciute in modo omogeneo”, ha dichiarato Missaglia, “acquisendo nuovi clienti e ampliando la collaborazione con quelli storici”.

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IN EVIDENZA

UN FLASH PER LENOVO E NETAPP Accelerare la digital transformation è l'obiettivo delle due multinazionali, che collaboreranno sul fronte sia commerciale sia industriale. La trasformazione digitale, il nuovo mantra dei maggiori fornitori di soluzioni It, si concretizza in una alleanza strategica tra due player di primo piano, impegnati in ruoli di leadership nei segmenti dell’high performance computing e del flash storage. Lenovo e NetApp collaboreranno a più livelli. “L’accordo nasce con l’intento di proporre il più grande portafoglio di soluzioni storage della nostra storia”, ha spiegato Alessandro De Bartolo, country general manager di Lenovo Dcg. Le due aziende hanno sviluppato congiuntamente una gamma di prodotti a marchio Lenovo, che coniugherà i pregi del’infrastruttura ThinkSystem di Lenovo, la tecnologia software di NetApp e la produzione e la supply chain della multinazionale cinese, che Gartner classifica tra le prime cinque nell’ambito delle aziende globali di tecnologia. In concreto, la collaborazione ha già

Alessandro De Bartolo

prodotto i primi risultati in termini di soluzioni: dieci nuovi sistemi storage delle serie Lenovo ThinkSystem De e Dm, che saranno indirizzati sia al mercato dei data center sia a quello dei cloud provider. Inoltre, Lenovo e NetApp hanno annunciato una nuova joint-venture in Cina per fornire prodotti di storage e soluzioni di data management studiate per le peculiari esigenze e per lo specifico ecosistema cloud del mercato cinese. Si prevede che la nuova azienda nata dalla jointventure sia operativa nella primavera del 2019, una volta ottenute le approvazioni locali. E.M.

SALE MACCHINE SELF-DRIVING Vmware Italia è pronta ad affrontare le prossime sfide imposte da cloud, Internet delle cose ed edge computing. E lo farà con un nuovo timoniere, Raffaele Gigantino. L’obiettivo del country manager sarà quello di mettere al centro le risorse umane dell’azienda, che oggi conta circa 120 dipendenti, puntando soprattutto sull’ecosistema di partner per servire al meglio

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i clienti. “Attrarre nuovi talenti, sviluppando quelli già presenti internamente, sarà fondamentale per continuare a far crescere il business in Italia”, ha spiegato Gigantino. La nuova visione del colosso della virtualizzazione è incentrata sul concetto di “self-driving data center”, in cui il software permette di ottenere l’automazione di intere componenti delle sale macchine.

100 MILIONI PER FORMARE L’AI Portare l’intelligenza artificiale nelle imprese, nella Pubblica Amministrazione, nella scuola, nella sanità. Il progetto “Ambizione Italia” lanciato qualche settimana fa da Microsoft Italia punta in alto, come il nome sottolinea, prevedendo un investimento complessivo di 100 milioni di euro da destinare a tecnologie e attività di formazione. “Dobbiamo pensare in grande, per avere un impatto in tempi rapidi dobbiamo scalare”, ha dichiarato l’amministratore delegato di Microsoft Italia, Silvia Candiani, in un evento organizzato nella sede milanese Microsoft House. “Ci siamo dati l’obiettivo di ottenere 50mila persone certificate, 500mila persone che completino in un nostro corso anche senza certificazione e due milioni di persone coinvolte nel progetto”. Si comincia dai 6 milioni di euro già stanziati da Adecco Group, uno dei partner affiliati (tra gli altri sfilano LinkedIn, Invitalia, Cariplo Factory e Fondazione Mondo Digitale), il quale realizzerà una piattaforma digitale basata sul cloud computing e sulle tecnologie di intelligenza artificiale di Microsoft. In Phyd, questo il nome, avranno un ruolo primario le competenze “del futuro”, incentrate su machine learning, sviluppo software, analisi dei dati. Incrociando informazioni di vario tipo (offerte di lavoro, curricula, caratteristiche e aspirazioni del candidato), la piattaforma crea una mappa e suggerisce quali corsi di formazione seguire per aumentare le opportunità di carriera. Dobbiamo accelerare: come evidenziato da un recente studio realizzato da EY per conto di Microsoft, solo il 15% delle aziende italiane è già partito con progetti (per lo più pilota) basati su tecnologie di intelligenza artificiale, contro una media europea del 30%.


l’intervista BROTHER: LA STAMPA DEL TERZO MILLENNIO È CARTA E DIGITALE Quali tendenze stanno attraversando il mercato della stampa?

La parola d’ordine del Terzo Millennio è “digitale”, ed è in questa direzione che si sta muovendo il mercato. Conseguenza di questo processo di sviluppo in ambito digitale, unito all’affermazione di tecnologie come cloud, Big Data e analytics, è la progressiva dematerializzazione dei documenti: le imprese sono in grado di gestire in tempo reale una mole crescente di contenuti informativi fondamentali per processi decisionali rapidi ed efficaci. Vengono definiti nuovi confini tra carta e digitale, soprattutto negli ambiti in cui la stampa non può essere del tutto abbandonata, ma dev’essere profondamente ripensata. Qual è la vostra strategia?

Per essere all’avanguardia è indispensabile offrire soluzioni di qualità che rispondano concretamente alle nuove esigenze dei clienti. Per questo, già da tempo la missione di Brother è sviluppare servizi e soluzioni di stampa e gestione documentale che si integrino con continuità nei flussi di lavoro aziendali, per migliorare produttività ed efficienza e per ridurre i costi di gestione. I clienti chiedono strumenti che portino efficienza per lasciare spazio a ciò che conta davvero: fare business. I servizi di stampa gestita sono nati proprio per garantire un maggiore controllo su periferiche e materiali di consumo, ma anche un migliore governo del ciclo di vita dei documenti, eliminando i classici confini tra carta e digitale. Benefici riconosciuti dallo

Lorenzo Matteoni

dalla normativa, perché riguardano la condivisione dei dati, e pertanto sono soggetti a misure di sicurezza idonee. Conseguentemente, le aziende necessitano di un approccio proattivo per proteggere tutti i dispositivi che potrebbero rivelarsi una porta di accesso al network aziendale. Come si possono soddisfare tutte queste necessità?

Come cambia il mondo del printing alla luce della trasformazione tecnologica e dei nuovi requisiti di trattamento dei dati introdotti con il Gdpr? Lo abbiamo chiesto a Lorenzo Matteoni, senior manager marketing di Brother Italia. stesso mercato, attento a destinare sempre più investimenti a quest’ambito. Che cosa ha significato l’entrata in vigore del Gdpr?

La recente introduzione del Gdpr ha portato nuove necessità in ambito printing. Le aziende devono assicurarsi che tutti i dispositivi collegati in rete siano protetti in ogni fase, dall’invio al ritiro della stampa, perché possono costituire pericolose porte di accesso alle loro reti. Nonostante i percorsi di digital transformation in atto, la carta è ancora al centro di tanti processi d’impresa: i sistemi di stampa non sono esclusi

Business security e tutela della privacy sono le risposte. Brother adotta una strategia globale di sicurezza delle informazioni che garantisce un accesso sicuro alla rete e ai dispositivi grazie alle soluzioni di security printing, crittografia, pull printing e managed print services. Si neutralizzano così le quattro vulnerabilità dei sistemi di stampa: stampe abbandonate, prelevabili da persone non autorizzate, esfiltrazione di dati elaborati dai dispositivi multifunzione e registrati sull’hard disk, accesso non autorizzato alle periferiche e rischi di network security. Tutte vulnerabilità che possono essere eliminate definendo, con la consulenza di Brother, una politica di sicurezza per l’intera flotta di periferiche. Il Brother Special Solutions Team è un gruppo di esperti di settore a disposizione del cliente o del partner per customizzare o creare soluzioni dedicate su specifiche richieste. L’approccio collaborativo unisce l’esperienza del team di Software Engineers all’esperienza di Business Analyst per costruire la soluzione adatta alle esigenze, le più diverse. Valentina Bernocco

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IN EVIDENZA

IL PIENO DI ENERGIA? SI FA ON DEMAND Batteria a terra? Ci pensa E-Gap. Entro fine anno sarà attivo a Milano il primo operatore mobile di ricarica rapida “su richiesta” in Europa. Non si parla di smartphone, però, ma di veicoli: automobili, motorini, biciclette e perfino monopattini. Grazie a una flotta di una decina di automezzi, rigorosamente elettrici, i dipendenti della startup si muoveranno sulle strade meneghine per rispondere alle chiamate e alle prenotazioni degli utenti inviate online o direttamente via app. A disposizione dei clienti, un sistema di ricarica con una potenza di 22 o 50 kW potrà rigenerare in mezz’ora circa l’80% della capacità di una batteria. Il progetto, nato due anni fa e forte

dell’appoggio di Metasystem, prevede l’estensione del servizio ai parcheggi degli aeroporti di Linate e Malpensa e, verso la metà del 2019, a Roma

e ad altre otto città europee. I costi dovrebbero essere tra il 30 e il 50% superiori rispetto al prezzo del tradizionale rifornimento da colonnina.

AUTOMOTIVE, L’ITALIA PRENDE L’ELETTRICA L’Italia procede, anche se a fatica, sulla strada dell’elettrificazione dei veicoli. Nel 2017 nel nostro Paese sono state vendute 4.827 auto “green”, pari allo 0,24% del totale delle macchine immatricolate. Un balzo in avanti dell’88,5%, ma ancora sideralmente lontano dagli scenari nordeuropei. In Norvegia e Germania, ad esempio, l’anno scorso sono state immesse su strada rispettivamente 62mila e 55mila automobili elettriche. Il 2018, comunque, mostra dei segnali incoraggianti. Da gennaio a giugno sono state vendute 4.129 auto: solo 800 unità in meno rispetto a tutto il 2017. Una crescita significativa, che ha coinvolto progressivamente anche le infrastrutture di ricarica, con 2.750 punti di rifornimento pubblici e 1.300 colonnine. I dati, elaborati dall’Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano, mostrano quindi un’evidente tendenza positiva. Anche se resistono alcuni fattori che ostacolano lo

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sviluppo del mercato. Oltre alla presenza a macchia di leopardo delle infrastrutture di ricarica, diffuse soprattutto al nord, manca una politica di incentivi che sappia convincere gli italiani a muoversi verso l’elettrico. In Norvegia, ad esempio, al momento dell’acquisto l’Iva viene scontata del 25% e sono previsti anche benefici indiretti, come l’accesso gratuito o a

prezzo agevolato ai parcheggi. A livello mondiale, sottolinea il report della School of Management del Politecnico di Milano, nel 2017 sono stati venduti 1,2 milioni di auto elettriche (+57%), con la Cina che guida il gruppo (580mila veicoli, +72% anno su anno). Seguono Europa (290mila, +39%) e Stati Uniti (200mila, +27%). A.A.


OBIETTIVO RETI INTELLIGENTI

VIKEY SCALA IN EUROPA È romana, fa parte del portafoglio di LVenture Group ed è specializzata nel campo dell’hospitality, cui rivolge una soluzione IoT che automatizza via smartphone il processo di check-in e check-out degli appartamenti destinati alle vacanze. Qualche settimana fa Vikey ha chiuso un round di investimento di oltre 500mila euro guidato da Italian Angels for Growth e Club degli Investitori (CdI), cui ha partecipato il calciatore della S.S. Lazio Ciro Immobile con la sua 9 Invest. La prossima tappa: attaccare il mercato europeo, a partire da Spagna, Francia e Portogallo.

Benedetto Di Salvo guida una delle quattro business unit in cui è stata organizzata l’attività, quella Digital Solutions, che rappresenta forse la sfida più rischiosa ma anche più affascinante della nuova Sirti (le altre tre sono Telco, Energy e Transportation, tutte basate su tecnologie e mercati già collaudati). “La divisione si occupa di diverse cose che possono rientrare nell’ambito di una system integration moderna e ad alto valore aggiunto” spiega Di Salvo. “In particolare, stiamo sviluppando una forte competenza in ambito network transformation e stiamo andando a soddisfare le esigenze delle imprese che sono sotto la spinta della digital transformation”. Nel segmento delle reti sta succedendo quanto già accaduto in ambito cloud qualche anno fa: oggi nel percorso di trasformazione digitale spesso le reti sono un collo di bottiglia. Soprattutto le componenti legacy sono sicuramente un fattore che non abilita il cambiamento. Le reti e l’It sono sempre più “vicini”, come succede ad esempio in ambito IoT, e la virtualizzazione e l’automazione si applicano

Benedetto Di Salvo

anche in ambito networking, basti pensare alle tecnologie software defined networking. “Aiutiamo le imprese a rendere le reti più flessibili”, prosegue Di Salvo, “e a garantire le policy di sicurezza e prestazioni che devono supportare le applicazioni. Tutto questo in ambienti multi-cloud ma con la totale trasparenza per l’utente. La divisione ha chiuso il 2017 con 120 milioni di euro di fatturato e ha un piano di crescita che prevede l’obiettivo di 200 milioni, da raggiungere anche attraverso operazioni di acquisizione”. E.M.

YOLT, L’APP-MANAGER PER IL DENARO

PROVE DI 5G

La smart money targata Yolt è disponibile anche in Italia. L’applicazione sviluppata dall’azienda britannica, parte del gruppo Ing, sfrutta le nuove opportunità offerte dalla normativa Psd2 e i principi dell’open banking per consentire agli utenti di visualizzare i propri conti bancari e le carte di credito in un unico ambiente. In questo modo è possibile, per esempio, impostare i budget o avere una visione reale del denaro disponibile fino all’accredito dello stipendio. Tutto senza passare manualmente

Vodafone ha completato la copertura dei propri siti 4G italiani con la tecnologia Narrowband-IoT, che permetterà ad aziende e uffici della Pubblica Amministrazione di sfruttare in anticipo alcune funzionalità delle reti mobili di quinta generazione. Saranno così possibili, a detta dell’operatore, nuovi casi d’uso e nuove applicazioni per il monitoraggio energetico, sanitario, ambientale e strutturale. Si apriranno, inoltre, opportunità in settori come l’agricoltura di precisione, le smart city e le smart utility.

in rassegna ogni singola transazione. Yolt, utilizzata da oltre 300mila cittadini britannici, collabora anche con altre fintech per integrare nuove funzionalità nell’app. Nel Regno Unito è già possibile effettuare la comparazione dei prezzi dell’energia e anche in Italia saranno presto attive le prime partnership. L’applicazione è disponibile gratuitamente in beta per sistemi operativi Android e iOs. Scaricando il software sul proprio smartphone è possibile accedere a una prova in anteprima.

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INNOVAZIONE | Digital Transformation

LE NUOVE STAGIONI DELLA TECNOLOGIA

Gartner ha immaginato i prossimi dieci anni di innovazione: l’intelligenza artificiale sarà più democratica, mentre la blockchain vivrà alti e bassi. Ma sarà rivoluzionaria.

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ome l’abbigliamento, anche la tecnologia vive di mode, tendenze e grandi ritorni. Si pensi, ad esempio, all’intelligenza artificiale. L’idea di replicare le capacità di ragionamento della mente umana tramite le macchine non è nuova e le prime formulazioni accademiche risalgono addirittura al secondo 16

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dopoguerra. Ultimamente, però, grazie all’enorme diffusione di smartphone e dispositivi elettronici personali, gli algoritmi di Ai sono tornati con prepotenza alla ribalta. Non è quindi un caso che Gartner, nel suo ultimo report “Hype Cycle for Emerging Technologies”, riservi molto spazio al concetto di democratizzazione dell’intelligenza artificiale. Il documento prodotto dalla società di ricerca raccoglie in cinque macroaree 35 tecnologie e tendenze emergenti del panorama It e le pone su un’ipotetica scala di applicazione temporale (da due a dieci anni), valutandone anche l’impatto (basso, moderato, alto e rivoluzionario). In questa scala gli algoritmi “pensanti” occupano il posto d’onore. Secondo Gartner, nei prossimi dieci anni l’Ai sarà virtualmente ovunque e

permetterà ai cosiddetti early adopter di ottenere un rilevante vantaggio competitivo sui concorrenti. L’evoluzione tecnologica porterà nelle mani dei Cio soluzioni come le reti neurali profonde, i robot intelligenti, gli assistenti virtuali e i veicoli a guida autonoma. Ovviamente, l’orizzonte temporale sarà differente. Per esempio, le macchine senza conducente diventeranno di massa tra una decina d’anni, mentre prodotti quali i “maggiordomi digitali” sono ormai praticamente già maturi e capaci di dirompenti impatti sul mercato. Basti pensare alle potenzialità di software come Google Assistant o Apple Siri. Secondo la società di ricerca, comunque, saranno tre gli elementi che faciliteranno la grande diffusione dell’intelligenza artificiale: l’accessibi-


lità del cloud, l’apertura del codice di applicazioni e servizi e la comunità dei “maker” (persone che creano tecnologie e prototipi in modo “artigianale”). Il report dedica ampio spazio anche alla blockchain, che rientra nel filone degli “ecosistemi digitalizzati”. E qui c’è

forse una prima sorpresa negativa. Pur stimando un mercato di oltre tremila miliardi di dollari nel 2030, Gartner si è dimostrata particolarmente cauta sul fenomeno dei registri distribuiti. L’hype sulla tecnologia alla base del bitcoin sarebbe già tramontato e la catena

IL CICLO DELL'HYPE DI GARTNER

Deep learning

Digital twin Postazioni di lavoro smart

Piattaforma IoT Assistenti virtuali

Robot mobili autonomi

Blockchain Computing quantistico 5G

Casa connessa

Display 3D Piattaforme di AI conversazionale Auto a guida autonoma livello 5

Realtà mista

AI di frontiera Blockchain per sicurezza dati

Stampa 4D Intelligenza artificiale generale Fabbrica 4.0

DA 2 A 5 ANNI DA 5 A 10 ANNI SOPRA I 10 ANNI

ENTRATA

IN PRODUZIONE

PERCORSO

DI ISPIRAZIONE

FASE

DI DISILLUSIONE

PICCO

DI ASPETTATIVE

INNESCO MENO DI 2 ANNI

DI INNOVAZIONE

Realtà aumentata

di blocchi sarebbe entrata nella fase del disincanto. Per questo gli analisti stimano che la blockchain possa diventare realmente popolare (mainstream) non prima di cinque-dieci anni. Quando, cioè, si creerà finalmente un ecosistema florido che abbia le spalle abbastanza larghe da sostenere lo sviluppo di progetti concreti. Entro il 2020 la diffusione dei registri distribuiti dovrebbe salire del 120%, per poi calare e tornare nuovamente a crescere dopo il 2026. Prima di allora, nel giro di due anni non supereranno la fase pilota nove applicazioni di smart contract su dieci ed entro il 2021 fallirà ben il 95% delle iniziative di data management. All’interno della categoria “ecosistemi digitalizzati”, gli analisti includono anche le piattaforme per l’Internet delle cose, il concetto di digital twin (repliche virtuali capaci di riprodurre fedelmente il comportamento di sistemi reali) e i knowledge graph: tutti questi paradigmi raggiungeranno la fase di maturazione fra cinque o dieci anni. Tempi più rapidi invece per il 5G, in quanto le reti di quinta generazione sono attese già nel 2019. Le nuove connessioni mobili superveloci, insieme a nanotubi di carbonio, chip Asic per la creazione di reti neurali profonde, calcolo quantistico e hardware neuromorfico fanno parte del gruppo “infrastrutture ubique”: nella visione di Gartner, si tratta di elementi in grado di garantire una capacità di elaborazione sempre disponibile. Chiudono il quadro le categorie “esperienze immersive trasparenti” e “biohacking fai da te”. In questi casi si entra spesso nel puro ambito accademico e di ricerca, in quanto si parla di argomenti come la nutrigenomica, la smart dust (particelle funzionanti come sensori) e la stampa 4D. Quest’ultima, ad esempio, unisce agli ormai definiti processi di manifattura additiva la dimensione temporale, creando così oggetti che possono rispondere a stimoli esterni modificando in autonomia il proprio stato. Alessandro Andriolo 17


INNOVAZIONE | Italia digitale

INDUSTRIA 4.0: È L’ORA DEL SECONDO ATTO Imprese e associazioni di categoria chiedono al governo di continuare sulla strada del piano Calenda. Già prevista una proroga agli incentivi, ma rimane il nodo delle competenze.

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l piano Industria 4.0 è chiamato alla prova del “dopo Calenda”. Gli incentivi voluti dal ministro dello Sviluppo economico dei governi Renzi e Gentiloni hanno finora favorito l’acquisto di 50mila macchine utensili di nuova generazione, che rappresentano circa il 20% dell’installato nelle nostre imprese. Ma ora le aziende che non hanno approfittato del piano rischiano di rimanere a bocca asciutta. E non sono poche. Si tratta del 51% delle organizzazioni italiane, perlopiù piccole realtà che per diversi motivi non sono riuscite 18

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a usufruire degli aiuti previsti dalla prima tornata. Per non compromettere i risultati ottenuti, il governo giallo-verde in carica ha deciso di prorogare di un altro anno gli incentivi e, in particolare, di puntare sull’iperammortamento per gli investimenti effettuati nel 2019. Aggiungendo un plus significativo soprattutto per le Pmi: secondo le ultime indiscrezioni fino a 500mila euro dovrebbe essere applicata un’aliquota del 280%, superiore anche a quanto previsto dal piano Calenda. L’obiettivo è quello di attrarre il più possibile la picco-

la e media impresa, ma si corre il rischio di abbandonare a se stesse le realtà che abbiano già acquisito macchinari con lo sconto. Secondo Confindustria digitale, un modo intelligente per far fruttare gli investimenti effettuati nei mesi scorsi sarebbe quello di “defiscalizzare la formazione di dipendenti e tecnici”, come sottolineato dal presidente dell’associazione, Elio Catania. Caccia alle competenze

“La conferma degli incentivi è un’ottima decisione, ma servirebbe un piano


NON SOLO TECNOLOGIE PER GUIDARE IL CAMBIAMENTO NELLE IMPRESE Le imprese del nostro Paese temono ancora la trasformazione digitale? La risposta è affermativa, almeno secondo i dati elaborati da Idc su un campione di 600 dirigenti di grandi aziende italiane. Per il 70% dei manager, infatti, le attività della propria società sono “esposte alla disruption digitale”: rischiano, quindi, di diventare obsolete e di essere spinte fuori dal mercato. Eppure sembra che i vertici aziendali sappiano come comportarsi per cavalcare l’onda della trasformazione digitale, anziché subirla. Secondo l’indagine di Idc, il 60% degli intervistati punterà sull’innovazione di prodotti e servizi, mentre il 26% proverà a modificare radicalmente il modello organizzativo interno. La ricerca evidenzia anche profonde differenze negli schemi adottati, in quanto quattro manager su dieci seguiranno strategie digitali più graduali, mentre

uno su dieci elaborerà iniziative a maggiore impatto. Ovviamente, le tecnologie più innovative avranno un ruolo centrale. Il 37% punterà con decisione su Internet delle cose, intelligenza artificiale e robotica, mentre il 30% si preoccuperà soprattutto di valorizzare i dati generati dai sistemi per sviluppare prodotti e servizi più adeguati alle esigenze dei clienti. I dirigenti non sembrano però dimenticare l’importanza del fattore umano, ancora oggi cruciale per abilitare il cambiamento. Circa due terzi dei leader coinvolti dall’indagine di Idc, infatti, ritengono strategico coinvolgere dipendenti e collaboratori come parte attiva nei processi di innovazione aziendale. Sarà fondamentale, in quest’ottica, l’apporto dato da team estesi anche per curare le relazioni con l’ecosistema esterno costituito da partner, università e startup.

di medio-lungo periodo che favorisca anche la formazione e renda meno farraginosi i meccanismi per attivarla”, ha aggiunto il professore Marco Taisch del Politecnico di Milano. Non è un caso che nell’ultimo libro bianco 2018 pubblicato dal World Manufacturing Forum si metta in evidenza come la mancanza di competenze sia una delle sfide principali di Industria 4.0 e non solo in Italia. Il report sottolinea che negli Stati Uniti entro il 2030 mancheranno otto milioni di lavoratori qualificati: l’equivalente di 607 miliardi di dollari di giro d’affari andato in fumo. L’assenza di know-how rischia quindi di rappresentare il vero “elemento di debolezza del sistema”, ha spiegato Taisch. Non possono esserci investimenti utili in nuove tecnologie se non accompagnati da una visione di lungo periodo nell’ambito della formazione. L’allarme è stato lanciato anche da Federmeccanica, secondo cui il 42% delle aziende metalmeccaniche non riesce a trovare sul mercato persone con competenze tecnologiche avanzate. Un problema di fondamentale importanza per uno dei settori di punta dell’economia italiana, capace di pesare per il 50% sull’export nazionale e di generare otto punti di Pil. E le lacune sono ancora più marcate, evidenzia il World Manufacturing Forum, nelle aree che maggiormente verranno esplorate dalle imprese digitali: Internet delle cose, Big Data, robotica e analisi predittive. Si tratterebbe dell’ennesima occasione mancata, considerando che, come illustrato dall’ultima ricerca dell’Osservatorio Mecspe, anche le Pmi italiane stanno diventando realtà 4.0 a tutti gli effetti. Il 55,8% degli imprenditori intervistati ritiene la propria società “molto o abbastanza innovativa” e il 47,4% delle aziende è ormai in buona parte digitalizzato. I maggiori investimenti sono stati effettuati in cybersicurezza, connettività e cloud, con un occhio di riguardo anche alle persone, considerate un driver imprescindibile per la trasformazione. Alessandro Andriolo 19


INNOVAZIONE | Open source

IL SOFTWARE LIBERO HA VINTO LA SCOMMESSA La competizione fra tecnologie proprietarie e open source ha lasciato spazio alla “coopetizione”. Il cambiamento digitale passa anche attraverso le piattaforme aperte.

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e sulla corretta definizione di open source il dibattito è sempre aperto, è certo che molte cose sono cambiate da quando, all’inizio degli anni Settanta, il movimento del free software prendeva corpo tra San Francisco e l’Università di Berkeley grazie a Richard Stallman, ricercatore universitario e profeta della cultura hacker con il suo. L’obiettivo che muoveva la sua ideologia era esplicito: il software doveva essere accessibile a tutti, e quindi anche gratuito. Vent’anni più tardi la storia dell’informatica conobe un secondo punto di rottura. È del 1991, infatti, l’apparizione sulla scena di Linus Torvalds, lo studente finlandese creatore 20

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di Linux, un nuovo sistema operativo “aperto” alla quale si dedicarono da subito migliaia di programmatori in tutto il mondo. L’avvento del sistema simboleggiato da un pinguino aprì la strada ad altri progetti, come Apache (utilizzato da milioni di server per processare le pagine Web) poi divenuti di fatto uno standard. Alcuni nomi storici del movimento nel 1998 sdoganarono ufficialmente l’espression “open source” per dare una nuova identità, meno radicale di quella perseguita da Stalmann, al software libero. Dal quel momento in poi, l’alternativa ai sistemi proprietari di Microsoft e degli altri giganti informatici nordamericani cambiò faccia, diventan-

do una soluzione percorribile per le grandi imprese. Steve Ballmer, successore di Bill Gates alla guida di Microsoft, definì Linux come “un tumore della proprietà intellettuale”, dando il via a una crociata fatta di accuse, rivendicazioni e vertenze che durò anni. La conversione di Microsoft

La guerra tra open source e sistemi proprietari oggi, nell’era del cloud e degli ambienti informatici virtualizzati, è soltanto un ricordo: nelle aziende il software aperto convive con i programmi venduti in licenza o “a consumo” e opera in modo integrato a essi su vari livelli dell’infrastruttura informatica. Micro-


soft stessa oggi vende porzioni di software aperto ingegnerizzate da Red Hat, una delle aziende che meglio ha cavalcato il modello di business della distribuzione di versioni a pagamento dei sistemi open source, progettate per gli ambienti enterprise. “Negli ultimi dieci o quindici anni”, spiega Fabio Rizzotto, associate vice president & head of research and Consulting di Idc Italia, “abbiamo assistito a una evoluzione significativa del modo di concepire, sviluppare e gestire i sistemi informativi. Il Web, l’innovazione tecnologica che ha virtualizzato le infrastrutture per ottimizzare e snellire la gestione dei processi aziendali, il cloud e le nuove architetture ispirate a principi più aperti e interoperabili, la mobility e via via fino alle regole dell’economia digitale sono solo alcuni dei fattori che hanno contribuito a disegnare un nuovo scenario. Le logiche competitive tra mondo proprietario e mondo open source hanno iniziato a trasformarsi in logiche di coopetition, prima, per passare poi a un modello che riflette la partecipazione di più attori in un nuovo ecosistema integrato”. Se in passato la scelta era tra l’uno e l’altro approccio e se ancora è così per certi ambienti o soluzioni, su molti altri aspetti le strategie It aziendali si affidano a logiche sinergiche.

chiuso convivono anche all’interno di Windows. L’altra faccia del fenomeno è di ordine economico, perché implementare codice open source in azienda costa. “Già diversi anni fa”, racconta Rizzotto, “abbiamo assistito all’abbandono dell’equazione open source uguale software gratuito, perché il modello ha spostato il valore sui servizi da un lato e sulle logiche collaborative e partecipative dall’altro. Rispetto al primo punto, è proprio nel tessuto dei servizi che l’ecosistema open source si è affermato nelle aziende, anche in termini di contributo ai processi di trasformazione digitale. Nella sostanza, sempre più architetture e soluzioni hanno un’anima ibrida e sono frutto di una convergenza di strumenti in cui non necessariamente prevale l’uno o l’altro principio, ma un mix”. Tendenza, questa, riflessa nei numeri. Nel 2017,

sempre secondo Idc, i distributori di versioni Linux hanno catturato oltre il 9% del giro d’affari globale dei sistemi operativi, rispetto al 4,2% del 2012. Sul fronte dei servizi, invece, le proiezioni contenute nel rapporto “Global Open Source Services Market 2018-2022” di Research and Markets parlano di un business che lieviterà del 23% all’anno per passare dagli 8,9 miliardi di dollari del 2016 ai poco meno di 33 miliardi stimati fra quattro anni. Tra i principali motori di sviluppo di questo mercato c’è l’accessibilità al codice sorgente, che consente alle aziende di studiare e modificare il software secondo i propri requisiti e obiettivi, cioè la riduzione dei costi, l’accelerazione del time-to-market e una maggiore interoperabilità a livello applicativo. Gianni Rusconi

IL PINGUINO GUIDA I SUPERCOMPUTER Il sistema operativo Linux è praticamente assente nei Pc, o per lo meno costituisce una scelta di nicchia per pochi adepti ed esperti. Dalla sua, però, ha il vanto di pilotare supercomputer come Summit, macchina da novemila Cpu e circa 27mila unità Gpu in servizio

dal giugno scorso presso il dipartimento dell’energia degli Stati Uniti nell’ambito del progetto Coral. Nel suo motore (come in quello di Sierra, il fratello minore di Summit, il cui avviamento è previsto per la fine di quest’anno) opera una versione di Red Hat Enterprise Linux.

Un giro d’affari miliardario

Oggi l’adozione di software aperto è considerata sinonimo di flessibilità applicativa e di minori vincoli sulla scelta del fornitore. Lo è nella Pubblica Amministrazione e nella sanità, nel mondo dei servizi e in quello della produzione. Sono open source anche i pilastri sui quali poggiano il World Wide Web e alcuni componenti dei sistemi operativi di Apple (macOS e iOS) e della piattaforma mobile di Google, Android. Viene utilizzato nelle applicazioni dell’Internet delle cose ed è stato adottato in modo sistemico da colossi come Ibm (nei suoi server gira Linux al posto di Unix) e anche dalla Microsoft di Satya Nadella, in cui codice aperto e 21


INNOVAZIONE | Open source

Jim Whitehurst, Ceo di Red Hat, spiega perché gli ambienti applicativi aperti siano una priorità nel processo di trasformazione delle aziende. I vantaggi promessi: scalabilità, integrazione, riduzione dei costi e maggiore libertà di scelta.

INNOVAZIONE FA RIMA CON CONDIVISIONE

H

a sposato in toto la filosofia open source e ha puntato decisamente sul concetto di collaborazione per continuare a fare innovazione in un mercato difficile come quello del software per le aziende. Tagliando un traguardo, nel 2016, mai raggiunto prima da una società che vende “free software”, quello dei due miliardi di dollari di fatturato. Jim Whitehurst è al timone di Red Hat da oltre dieci anni, dopo essere stato chief pperating officer in Delta Air Lines. Fra i suoi obiettivi c’è quello di portare la compagnia oltre la soglia dei tre miliardi di ricavi alla fine dell’esercizio corrente (che terminerà a inizio 2019), mantenendosi stabilmente nella top ten mondiale dei software vendor. La ricetta? Continuare a lavorare con il codice aperto, condividendo risorse a livello di ecosistema. A Roma, in occasione del suo ultimo tour europeo, il Ceo di Red Hat ha ribadito a chiare lettere il ruolo cruciale giocato dagli utenti nel cambiamento di paradigma nell’offerta di tecnologie. È proprio questa nuova dinamica,

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secondo Whitehurst, ad aver guidato l’evoluzione di filoni di innovazione quali sono il cloud, i Big Data o l’intelligenza artificiale. E l’open source, in questo scenario, altro non è che la chiave per semplificare il lavoro di ammodernamento dell’infrastruttura informatica cui sono chiamate le imprese, soprattutto quelle grandi. “È un modello di sviluppo”, ha spiegato il manager americano, “e noi operiamo come garanti della disponibilità e della sicurezza delle applicazioni su hardware multipiattaforma. I nostri ingegneri scrivono codice e lo controllano per rendere meno complesso il lavoro di integrazione di chi in azienda deve generare efficienza facendo scalare verso l’alto le capacità del sistema informativo”. La trasformazione digitale, insomma, può passare dal software aperto e la conferma arriva dal fatto che non esiste settore in cui Red Hat non abbia installato le sue soluzioni (sono suoi clienti il 90% delle aziende della classifica Fortune 500), anche a livello di medie imprese. La chiave di lettura del Ceo è semplice: se un’applicazione gira in un

ambiente “container” open source, è molto più semplice adattare l’hardware che ne permetta l’utilizzo nei vari dipartimenti dell’azienda. E a muovere tutto c’è Linux, il cervello che pilota le nuove soluzioni di Red Hat, il cloud a livello infrastrutturale (OpenStack) e i container open source (Kubernetes). Per la società del “cappello rosso”, l’asset da condividere è il codice sorgente, che è gratuito e a disposizione di tutti. A pagamento, per i clienti, sono i servizi a valore aggiunto di pulizia, armonizzazione e integrazione del software. Ma c’è un’industria che oggi sta recependo più di altre il valore dell’open source? Secondo Whitehurst sono le aziende che operano nei servizi finanziari, “perché considerano il digitale come leva per innescare processi di trasformazione, rendendo più efficienti e agili i processi”. Fra i clienti italiani della società, guarda caso, le banche non mancano – vedi per esempio Banca Popolare Emilia Romagna – e si affiancano a nomi come Fastweb, Magneti Marelli, Vodafone e Sogei, il braccio informatico del Ministero delle Finanze. G.R.


TECHNOPOLIS PER WOLTERS KLUWER TAX & ACCOUNTING ITALIA

FATTURAZIONE ELETTRONICA: SIETE PRONTI? L'adozione, presto obbligatoria nel B2B, è un passo importante nel percorso di trasformazione digitale. Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia propone Fattura SMART, soluzione già adottata dallo studio Sarragioto di Padova.

Nell’adozione di nuove soluzioni tecnologiche spesso è meglio giocare d’anticipo. La filosofia di Gianni Sarragioto, titolare a Padova dello studio di commercialisti che porta il suo nome, è sempre stata quella di esigere il meglio che il digitale poteva offrire al momento e di puntare sull’eccellenza professionale e sulla tecnologia. Dal 2019 la fatturazione elettronica B2B sarà obbligatoria per tutti i privati che emettano fatture verso altri privati o imprese, ma Sarragioto ha voluto muoversi in anticipo rispetto alla scadenza. “Insieme alla nostra consulente di Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia abbiamo discusso e analizzato l’approccio da tenere, soprattutto con la nostra clientela”, racconta. “Affianchiamo molti clienti artigiani, commercianti, professionisti, titolari di laboratori. La fatturazione elettronica li coinvolgerà in pieno sia nel ciclo attivo sia in quello passivo. Abbiamo un percorso comune da percorrere e dobbiamo cogliere da questa importante trasformazione digitale tutti i vantaggi in termini di dati e di automazione. La nostra professione ha la grande opportunità di diventare più disponibile alla consulenza rispetto a quando molto, troppo tempo veniva impiegato per il puro adempimento e per il data entry”. Per iniziare a parlare di trasformazione digitale e fatturazione elettronica, Sarragioto ha invitato la sua clientela a una giornata di approfondimenti e presentazioni: hanno risposto con entusiasmo circa sessanta clienti. Si è parlato dell’introduzione della nuova normativa ma anche del funzionamento di Fattura SMART, l’applicativo ingegnerizzato da Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia proprio per rispondere alle esigenze di fatturazione elettronica B2B. I clienti dello studio di commercialisti hanno

testato con mano la soluzione: divisi in gruppi, hanno potuto constatare la facilità d’uso del software. Durante la giornata di formazione i clienti hanno avuto l’opportunità di apprendere che cosa li aspetti in merito alla digitalizzazione del processo di fatturazione, ma soprattutto hanno avuto un assaggio di una soluzione digitale che risolve le complessità operative. Il software di Wolters Kluver Tax & Accounting Italia, infatti, permette di mantenere il controllo del processo di fatturazione ma ahche, grazie all’automazione, di far confluire i dati direttamente in contabilità. In questo modo si guadagna tempo prezioso da dedicare a consulenze ad alto valore aggiunto, sia per lo studio sia per la clientela. “Siamo molto soddisfatti della giornata che abbiamo dedicato alla fatturazione elettronica”, ha commentato Sarragioto. “Avevano in mente una serie di obiettivi, tutti centrati. Volevamo sensibilizzare con anticipo la nostra clientela, introducendo subito il necessario cambio di mentalità per affrontare questa trasformazione in modo efficace e volevamo favorire l’acquisizione di una cultura sempre più digitale. Volevamo anche presentare quello che secondo noi è l’applicativo ideale, Fattura SMART, e volevamo spiegare il ruolo rinnovato del commercialista. Direi che abbiamo centrato in pieno tutti gli obiettivi”. 23


TECHNOPOLIS PER KASPERSKY LAB

LA FIDUCIA È QUESTIONE DI TRASPARENZA Morten Lehn, general manager per l'Italia, racconta come la sua azienda combatte le minacce e protegge la privacy. A breve l'apertura del primo Transparency Center a Zurigo. Viviamo in un mondo iperconnesso. Per le realtà che lavorano nella sicurezza informatica è fondamentale garantire la massima protezione dai pericoli della rete, insieme ad affidabilità e trasparenza. La conoscenza delle minacce è il primo elemento per una protezione adeguata. Kaspersky Lab opera in questo campo con il Global Research & Analysis Team, impegnato in attività di individuazione di Apt (le minacce avanzate persistenti), campagne di cyberspionaggio, malware, ransomware e tendenze underground dei cybercriminali. La politica è chiara: identificare e neutralizzare tutti gli attacchi, non importa in quale lingua “parli” la minaccia, perché per l’azienda non esistono malware “buoni” o “cattivi”. Il GReAT è un’élite di esperti che lavorano da Europa, Russia, Americhe, Asia e Medio Oriente. Il cuore centrale di Kaspersky Lab, dunque, è specchio di alcune caratteristiche dell’azienda: libertà di azione, vocazione internazionale, consapevolezza del fatto che il cybermondo è privo di limiti geografici. L’affermazione di diverse posizioni geopolitiche, anche in tema di cybercrime, sta mettendo alla prova la fiducia delle persone. Il punto di vista di Kaspersky Lab è quello di una società privata che non ha alcun legame politico e che collabora con le autorità di molti Paesi, con le forze di polizia internazionali e le organizzazioni, così come fanno gli altri vendor. Nell’era della globalizzazione, però, occorre fare di più: affrontare le richieste dei regolatori e il tema della balcanizzazione. Se i criminali informatici hanno compreso che l’assenza di confini nel cybermondo è un vantaggio, stati e aziende invece tendono alla chiusura e alla frammentazione, considerando l’apertura come un pericolo. Combattere in maniera compartimentata attacchi che si muovono senza limiti, però, può essere difficile o potenzialmente distruttivo. Tra queste due visioni si trovano gli utenti, le aziende, i governi: per loro è necessario far fronte alle nuove sfide per ristabilire la fiducia. Si tratta di un argomento con cui tutte le realtà della sicurezza informatica dovranno confrontarsi. Kaspersky Lab, per prima, lo ha compreso e ha messo in atto la sua Global Transparency Initiative per convolgere la community internazionale della cybersicurezza e gli altri stakeholder nella convalida e verifica dell’affidabilità di prodotti, processi interni e operazioni, introducendo anche altri meccanismi di responsabilità. Il primo step riguarda la spiegazione dei processi. L’analisi dei Big Data da milioni di dispositivi è una delle best practice messe in atto da tutti i fornitori e anche Kaspersky Lab usa questo metodo: tutti i dati raccolti possono essere classificati a seconda del loro scopo e i clienti possono scegliere quali inviare in modo 24

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Morten Lehn General Manager Italy di Kaspersky Lab volontario. Le aziende, ad esempio, possono limitarne la quantità, fino al minimo assoluto per far funzionare il prodotto. I dati sono anonimizzati il più possibile ed è protetta anche la loro trasmissione, in conformità ai rigorosi standard di settore; la revisione è costante e adeguata ai più recenti requisiti, come il GDPR. A questa fase di apertura concettuale segue un processo attivo: la revisione indipendente di codice sorgente, aggiornamenti software, regole di rilevamento delle minacce, sviluppo del ciclo di vita dei processi e strategie di mitigazione dei rischi nella supply chain. Il tutto in tre Transparency Center, il primo dei quali sarà inaugurato a Zurigo il prossimo novembre per raccogliere, elaborare e archiviare i dati di rilevamento deli utenti di vari Paesi. Lo stoccaggio per gli utenti europei inizierà entro fine anno e verrà completato entro il 2019. Sulla cybersicurezza le persone si pongono delle domande alle quali vogliamo rispondere. La Global Transparency Initiative mira a fare chiarezza e rassicurare chi manifesta preoccupazione, Kaspersky Lab può farlo perché è una realtà imprenditoriale indipendente. Quello che contraddistingue l’azienda è un’esperienza di oltre vent’anni nel rilevamento dei malware, a prescindere da quali siano gli scopi o la loro lingua madre. La missione è semplice: proteggere tutte le persone, le organizzazioni e i sistemi dalle minacce informatiche.


TECHNOPOLIS PER BROTHER

GDPR, UNO STIMOLO ALL’EVOLUZIONE DEL PRINTING

I requisiti del General Data Protection Regulation hanno impatti sulla stampa e sui flussi documentali. Con il giusto mix di hardware e software si riduce il rischio. Ogni dispositivo da cui transitano dei dati è un potenziale rischio. Anche le stampanti, al pari di computer, server, router, smartphone e altri oggetti connessi, possono diventare il bersaglio di attacchi informatici o l’origine di una fuga di informazioni. Il mondo del printing non sfugge alle nuove regole sulla protezione dei dati introdotte dal Gdpr, il General Data Protection Regulation, entrato pienamente in vigore in Europa dallo scorso maggio. Alla luce del Gdpr oggi le aziende hanno una responsabilità ancora maggiore sui dati interni e su quelli dei propri clienti: devono conoscerne la collocazione e adoperarsi per proteggerli, comunicando eventuali violazioni entro 72 ore dalla scoperta, e si rischiano multe fino a 10 milioni di euro in caso di inadempienza. Tutto ciò ha implicazioni dirette sul printing, un mondo che abbraccia i documenti cartacei ma anche i dati digitali che transitano su applicazioni, email, periferiche Usb, scanner, fotocopiatrici e fax integrati nei multifunzione. I rischi da valutare La carta, nonostante i processi di Digital Transformation in atto, è ancora al centro di molte attività e processi. Per essere in linea con il Gdpr bisogna adottare un approccio proattivo, giocando d’anticipo e riducendo il più possibile i

rischi. Quattro le principali vulnerabilità legate al printing. La prima, apparentemente banale ma spesso causa di fughe di dati, sono i documenti abbandonati o dimenticati su una stampante, esposti potenzialmente a occhi indiscreti. Il secondo problema riguarda la rete: normalmente le stampe inviate a un multifunzione non sono protette sui print server, e ciò implica che la coda di stampa possa essere copiata in un qualsiasi momento e, soprattutto, che un utente esterno possa facilmente accedere a informazioni riservate o diffondere malware. Anche le porte di rete aperte sono un rischio: attraverso di loro si può ottenere accesso al dispositivo da remoto e usarlo per attacchi Denial-Of-Service. In terzo luogo, le impostazioni di stampanti e multifunzione, se non protette, possono consentire agli hacker di modificare o reindirizzare i lavori in esecuzione, di scaricare copie dei documenti digitali, o ancora di resettare completamente il dispositivo. Il quarto rischio è legato agli hard disk presenti su molte macchine: rappresentano un “deposito” di informazioni potenzialmente attaccabile, perché qui i documenti vengono elaborati prima di essere stampati, acquisiti, fotocopiati o inviati via fax. Le regole della stampa secondo Brother Per evitare costosi episodi di data breach e infrazioni del Gdpr è necessario definire una strategia di sicurezza a più livelli, che coinvolga l’hardware, il software e i flussi documentali su carta e in digitale. I fornitori di servizi di stampa gestita (Mps) dovrebbero essere il primo interlocutore per chi vuole minimizzare i rischi sopra descritti e difendersi da perdite accidentali di dati, hackeraggi e malware. Ma anche la scelta dei dispositivi è importante: la combinazione di hardware e software, nel caso di Brother, fa la differenza. La soluzione integrata Secure Function Lock permette di assegnare a ogni utente funzioni di stampa differenziate, attivabili tramite autenticazione con schede di identificazione NFC o Pin, ed è anche possibile impostare un tempo limite per il ritiro dei documenti. La maggior parte dei modelli, inoltre, non prevede hard disk interni, così da evitare un fattore di rischio di furto dati, mentre le macchine laser di fascia alta sono dotate delle funzionalità di sicurezza TLS/SSL. Alcune serie di stampanti, infine, sono in grado di bloccare a distanza chiunque acceda al dispositivo tramite la rete, filtrando gli indirizzi IP e sfruttando il controllo protocolli. 25


INNOVAZIONE | Cybersicurezza

I consumatori si fidano poco delle aziende che raccolgono, custodiscono e usano i loro dati personali. Un utente su due abbandona un servizio a causa di una violazione. Lo dice uno studio condotto da Frost & Sullivan per Ca Technologies.

LA FIDUCIA DIGITALE È IN CRISI

C‘

è una crisi di fiducia in giro per il mondo e in giro per il Web. In un mondo sommerso da oceani di dati di ogni genere, attraversato da scandali come quello di Facebook e Cambridge Analytica e bersagliato dagli attacchi informatici, è giusto porsi delle domande. Ci preoccupiamo abbastanza dei nostri dati, tracce di navigazione Web, acquisti online, fotografie e parole riversate sui social network, geolocalizzazione e altro ancora? Ci fidiamo di chi dovrebbe custodirli e usarli nel rispetto della privacy? Accanto alla vendita fraudolenta di dati a società terze (od 26

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omissione di controllo, a voler credere a Mark Zuckerberg), motivo di preoccupazione sono le attività cybercriminali tese al furto di documenti, credenziali bancarie, segreti industriali e archivi di ogni genere. Per tutte queste ragioni oggi ha senso interrogarsi sul concetto di “fiducia digitale”, come ha fatto Ca Technologies commissionando a Frost & Sullivan uno studio sul tema. Dai questionari di 990 consumatori, 336 professionisti della cybersicurezza e 324 business executive di dieci Paesi (Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Usa, Brasile, Giappone, Cina, India e Australia) è emerso che la media mondiale del

Luca Rossetti


Perché è così importante?

Viviamo in un mondo attraversato dalla trasformazione digitale e dominato dalle applicazioni. Cambia il modo di interagire tra le persone e le organizzazioni, e a breve credo sarà così anche con gli oggetti interconnessi. Ogni volta che compiamo un’azione online od offline lasciamo una traccia dei nostri dati, quando facciamo un acquisto sul Web ma anche da un Pos, quando cerchiamo un percorso su un’app di mappe. Messi tutti insieme questi dati creano un quadro dettagliato di chi siamo, che cosa facciamo, che cosa ci piace. Qual è la situazione in Italia?

digital trust supera appena la sufficienza: 61 punti su un indice che va da zero a cento. Tra i consumatori intervistati, quasi uno su due (48%) ha smesso di usare i servizi di almeno un’azienda a seguito di una violazione dei dati. E i data breach sono numerosi: il 48% delle organizzazioni ne ha subìto uno o più di uno, spesso (59% dei casi) con impatti negativi evidenti nel lungo periodo. Ne abbiamo discusso con il senior business technology architect di Ca Technologies, Luca Rossetti. Che cos’è esattamente il “digital trust”?

È la fiducia che l’utente nutre per un’organizzazione in merito al raccogliere, usare e archiviare e i dati personali, in un modo che protegga i soggetti titolari di quei dati. Questo studio è importante perché l’affidabilità, la raccolta dei dati personali e la reputazione delle aziende sono tutti temi legati tra loro indissolubilmente. C’è bisogno di fiducia tra le parti.

Gli italiani si fidano poco o solo marginalmente delle organizzazioni che gestiscono e proteggono i dati personali. E sicuramente c’è un divario tra la fiducia effettiva dei consumatori e la percezione che ne hanno le aziende. Dovrebbe esistere una simmetria, ma in realtà questo non accade: in Europa il punteggio di fiducia digitale dei consumatori è 56, mentre secondo quanto pensano i responsabili di sicurezza e gli executive dovrebbe essere, rispettivamente, 75 e 73. E in Italia il gap tra la realtà dei consumatori e la percezione delle aziende è di venti punti, il più ampio rispetto a tutti i Paesi considerati nell’indagine. Perché la fiducia digitale è in crisi?

È estremamente importante che le aziende abbiano una strategia di protezione dei dati, non solo per ragioni di compliance ma anche di difesa dal rischio di data breach, fatto che ha grandi impatti in termini di reputazione, spese legali, amministrative, perdita di proprietà intellettuale. La gestione del rischio della violazione di dati è molto importante. Viviamo, inoltre, nell’era del software e delle applicazioni, un elemento sempre più cruciale per le aziende. Alcune delle più grandi realtà del proprio campo non possiedono asset materiali: pensiamo a Uber, Netflix, Airbnb. Il software crea opportunità ma destabilizza anche.

Sono richieste sempre maggiori agilità e velocità per arrivare sul mercato con una nuova applicazione prima della concorrenza, ma quest’ansia del time to market non sempre si concilia con la protezione dei dati. E poi ci sono gli scandali, come quello di Facebook e Cambridge Analytica...

Sì, anche se la gestione della crisi di Cambridge Analytica ha funzionato, perché non c’è stato un abbandono di massa. Le politiche di crisis management sono fondamentali per contenere i danni. La trasparenza paga sempre molto ed è, tra l’altro, fortemente richiesta dal Gdpr con l’obbligo di disclosure degli episodi di fuga di dati. Qualche suggerimento per le aziende?

Nello sviluppo del software, come richiesto dal Gdpr, è importante prevedere la protezione dei dati by design e by default: questo significa impostare fin dall’inizio, fin dalla scrittura del codice, determinate misure. In Ca Technologies abbiamo un intero portafoglio di soluzioni tese ad aiutare gli sviluppatori in fase di scrittura del codice, in maniera interattiva, a risolvere i problemi di vulnerabilità cross site scripting, injection, e a tutto quello che lascia la porta aperta a possibili violazioni. Sia in fase di scrittura del codice sia in fase di conversione in un’app e di entrata in produzione, le nostre soluzioni aiutano a capire dove ci siano possibili “fianchi scoperti”. In particolare se, come succede sempre più spesso, si utilizza codice open source. Ai fini della sicurezza, inoltre, sono importanti le soluzioni di protezione dell’identità digitale e di controllo degli accessi, dunque ciò viene detto identity and access management. Infine bisogna considerare che, se è vero che i data breach a maggiore risonanza provengono dall’esterno, spesso all’origine ci sono utenti interni con “privilegi” su determinati database o sistemi. Dunque non va dimenticata la gestione dei permessi di accesso. Valentina Bernocco 27


INNOVAZIONE | Cybersicurezza

TROPPE BARRIERE TRA SECURITY E BUSINESS In tre grandi aziende su quattro la figura del chief information security officer opera all’interno di una specifica divisione, anziché trasversalmente.

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ompetenze e budget solitamente non mancano. Ma anche le grandi aziende commettono degli errori in materia di cybersicurezza. Per lo più, sbagliano l’approccio: ragionano a compartimenti stagni, anziché adottare un metodo “trasversale”. Uno studio di Accenture, condotto su 1.460 manager di imprese da oltre un miliardo di dollari di fatturato (operanti in 14 settori e distribuite in 16 Paesi tra Nord e Sud America, Europa e Asia Pacifico), svela che nel 74% dei casi il personale responsabile di cybersicurezza opera in una divisione specifica. Il chief information security officer (Ciso) si muove all’interno di essa, a dispetto del fatto che per quasi tre quarti degli intervistati (73%) la responsabilità della cybersecurity debba idealmente essere spartita su tutte le aree o divisioni dell’azienda. Una contraddizione: si desidera maggiore flessibilità e trasversalità, insomma, mentre la situazione attuale è dominata da rigidità e chiusura. Quasi la metà dei Ciso intervistati, inoltre, riconosce che le proprie responsabilità in materia di cybersicurezza crescono più rapidamente della capacità di affrontare i problemi. Problemi che certamente non mancano, anzi au28

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mentano. Tra le preoccupazioni degli intervistati spicca innanzitutto l’Internet of Things: per il 77% dei manager questo fenomeno è responsabile di un incremento “significativo o moderato” del rischio informatico nella propria azienda. Per il 74%, inoltre, l’eventualità di attacchi o episodi di perdita di dati crescerà a causa dei servizi cloud, che paradossalmente risultano far parte della strategia di sicurezza solo nel 44% delle grandi aziende. Anche il fatto di condividere dati all’esterno, con partner commerciali o con altre aziende, per il 70% dei dirigenti provoca un incremento dei pericoli: eppure solo il 39% delle imprese ha già pensato a come proteggersi efficacemente da questo punto di vista. Se non altro c’è una notizia discretamente buona, e cioè che i due terzi delle realtà enterprise si sentono già pronte ad affrontare l’ascesa dei rischi. V.B.

DEVOPS FONTE DI RISCHI (IGNOTI) Con il DevOps le applicazioni nascono e si trasformano molto velocemente, a volte attraverso continui rilasci di nuove versioni inclusive di modifiche e nuove funzionalità. E il cloud pubblico è spesso il supporto scelto per ospitare i progetti, come accade per il 73% delle società osservate in uno studio condotto da Vanson Bourne per conto di Palo Alto Networks (500 realtà di dimensioni variabili, comprese fra cinque e 500 dipendenti, distribuite fra Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Paesi Bassi, Svezia, Emirati Arabi e Arabia Saudita). Nel gruppo una su cinque, addirittura, effettua d’abitudine uno o più ag-


INCUBO DATA LOSS “Il panorama delle minacce è complesso e dinamico”, scrive Cisco in uno studio condotto su 1.816 Pmi di 26 Paesi. “La superficie di attacco è in continua espansione ed evoluzione. In risposta, le tecnologie e le strategie di sicurezza devono a loro volta trasformarsi continuamente”. Il data loss è, però, un triste punto fermo: sia esso frutto di incidente o di attacco, riguarda il 53% delle Pmi esaminate. Le interruzioni di operatività causano in media 100mila dollari di danni per il 29% delle Pmi e superano addirittura il milione di dollari per il 20%. La maggior parte degli episodi è frutto del phishing: email truffaldine a cui i dipendenti dell’azienda abboccano, scaricando un allegato o cliccando su un link.

giornamenti a settimana. Benissimo dal punto di vista dell’agilità e del time to market. Ma si rischia di trascurare qualcosa: la maggior parte dei responsabili di cybersecurity intervistati ritiene che la propria azienda stia privilegiando la velocità a discapito della sicurezza. Solo il 47% si è detto fiducioso del corretto funzionamento della sicurezza per i team DevOps che operano nel cloud pubblico. Per il 72% degli intervistati, inoltre, i continui aggiornamenti software aprono la porta a rischi che sarebbero prevenibili. Ma quali, esattamente? Solo una persona su cinque o poco più (22%) ha dichiarato di conoscere bene i pericoli potenzialmente insiti nei progetti DevOps operativi nel cloud. L’incertezza domina.

TECNOLOGIA VECCHIA, PERICOLI SEMPRE NUOVI Le periferiche Usb continuano a essere sfruttate per diffondere attacchi, come sottolineato da Kaspersky Lab. I cryptominer sono l’ultima tendenza.

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a un oggetto piccolo come una chiavetta Usb o un hard disk portatile possono derivare grandi problemi. A vent’anni dal loro debutto sul mercato, pur in parte sostituiti dal cloud, i drive da collegare a un computer restano una valido strumento per archiviare e trasferire dati. Comodi per lavorare offline e sempre più generosi di spazio (decine di GB sono quasi la norma), rappresentano però una tra le più sottovalutate minacce alla cybersicurezza. I monitoraggi di Kaspersky Lab contano ogni anno decine di milioni di infezioni veicolate da periferiche removibili: nel corso del 2017 un utente su quattro è stato colpito da un’infezione “locale”, entrata in un Pc o server a partire da un altro dispositivo e non dalla rete.

Si osserva, è vero, un calo progressivo dei numeri: dopo il boom del 2014 il fenomeno ha cominciato a ridimensionarsi, complice la diffusione dei servizi cloud a svantaggio degli archivi removibili fisici. Dai 341 milioni di rilevamenti di quattro anni fa si è scesi fino a 113,8 milioni del 2017, mentre la stima per il 2018 arriva a 87,3 milioni di infezioni. D’altra parte il fenomeno è in evoluzione qualitativa: oggi non solo i Pc, ma anche i televisori e le automobili sono dotati di interfacce di questo tipo. I malware che sfruttano vulnerabilità del sistema operativo restano popolari e sono in ascesa gli attacchi Usb finalizzati a installare furtivamente programmi che “estraggono” criptovalute, spesso con la complicità dell’utente che non si accorge del fatto se non dopo mesi o anni. Tra le infezioni “locali” quasi una su dieci (9,22%) rientra nella tipologia del cryptominer, percentuale in chiara crescita dal 4,2% del 2016 e dal 6,7% del 2017.

APPLICAZIONI FUORI CONTROLLO I software e servizi che usiamo ogni giorno per lavorare sono sicuri? Riusciamo a tenere sotto controllo le applicazioni, certi che nessuno vi possa accedere senza permesso o colpirle con un attacco informatico? Tra i 3.135 professionisti It e responsabili di cybersicurezza intervistati (in Regno Unito, Germania, Stati Uniti, Canada, Brasile, Cina e India) da Ponemon Institute per conto di F5 Networks, il 38% ha detto di

non avere fiducia nel controllo delle applicazioni che usa. Il che è grave se si pensa che, in media, una su tre è “mission critical”, ovvero da essa dipende l’attività primaria dell’azienda. Le applicazioni che destano più timori sono quelle di gestione documentale, di collaborazione, di comunicazione (come la posta elettronica e la messaggistica) e di produttività (editor di testo, fogli di calcolo, strumenti di presentazione).

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INNOVAZIONE | 5G

Il conto alla rovescia per le reti mobili di quinta generazione è ufficialmente scattato. Si parte dal 2019 ma il lancio dei nuovi servizi sarà lento e progressivo. Dalle smart city alle fabbriche, dall'intelligenza artificiale ai Big Data: ecco cosa cambierà.

IN VIAGGIO VERSO LA “GIGABIT SOCIETY”

L’

asta per l’assegnazione delle frequenze è terminata (vedi il box a pag. 31), con la comprensibile soddisfazione del governo, ed è scattato di conseguenza il conto alla rovescia verso la nuova era delle reti mobili di quinta generazione. Il plotone di operatori pronti a sfidarsi è noto: Iliad, Fastweb, Wind 3, Vodafone e Tim. A contrario, non è così facile stabilire con precisione le tempistiche di lancio dei servizi commerciali. La penetrazione del 5G sarà un percorso graduale e progressivo, funzionale alla reale domanda (soprattutto sul fronte delle applicazioni per le imprese) e interesserà via via diverse fette di utenza. Con l’inizio del 2020, questo lo scenario più 30

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probabile, le cinque città italiane coinvolte nei progetti pilota (Milano, Prato, L’Aquila, Matera e Bari) entreranno ufficialmente nel mondo avanzato dell’ultra broadband mobile, e con esse quelle con sperimentazioni già avviate (Roma, Torino e Repubblica di San Marino). La maggior parte dell’utenza privata e delle aziende, invece, dovrà aspettare almeno fino al 2022, quando la copertura delle nuove reti si potrà considerare completa o quasi. La velocità di connessione

Almeno in teoria, e a tendere, si avranno a disposizione connessioni da dieci a mille volte più veloci di quelle garantite con la tecnologia 4G Lte, con un

obiettivo già prefissato di raggiungere, entro il 2025, capacità di 100 gigabit al secondo in download e di ridurre in modo sostanziale i tempi di latenza dei collegamenti mobili (che per gli esperti rappresenta il reale punto di svolta), arrivando al limite di un solo millesimo di secondo. Il primo passo verso la cosiddetta “gigabit society” sarà quello di raggiungere, a partire dal prossimo biennio, velocità in download comprese fra 10 e 50 gigabit al secondo, già un salto quantico rispetto alle prestazioni oggi disponibili. Il salto coinvolgerà direttamente anche gli utenti: per operare sulle nuove reti, smartphone e tablet dovranno dotarsi di antenne 5G dedicate, che saranno integrate nei nuovi modelli


in rampa di lancio sul mercato a partire dai prossimi mesi (Huawei sarà fra i primi vendor a lanciare terminali di questo tipo, già pronti per il 5G). Tecnologie e applicazioni

Intelligenza artificiale, realtà virtuale e aumentata, robotica, Internet of Things e sensoristica: tutto lo spettro tecnologico sarà interessato dall’avvento del 5G e di conseguenza tutti gli ambiti di applicazione del digitale ne saranno impattati. Servizi come la telefonia via IP (VoIP) o la videoconferenza e le infinite soluzioni gestite in cloud compiranno un ulteriore passo in avanti sotto il profilo prestazionale. Non meno rilevante potrà essere l’apporto delle nuove reti agli strumenti di data analytics per la gestione e l’elaborazione delle informazioni. Gli ambiti di applicazione del 5G, facile quindi dedurlo, sono i più disparati: spaziano dall’automotive alle smart city,

LE FREQUENZE VALGONO 6,5 MILIARDI L’asta per aggiudicarsi le diverse bande di frequenza su cui veicolare i servizi di connettività mobile superveloce si è chiusa a inizio ottobre con un incasso di 6,5 miliardi di euro. Il risultato è più che doppio rispetto ai 2,5 miliardi di euro previsti nella legge di Bilancio 2018 come obiettivo minimo. Nello specifico, circa due miliardi di euro sono stati raccolti per i cinque lotti della banda a 700 MHz, i più ambiti: uno è andato automaticamente a Iliad in quanto nuovo player sul mercato italiano, altri due a Vodafone e altrettanti a Tim (che ha investito complessivamente oltre 2,4 miliardi). La parte più consistente dell’incasso, circa 4,3 miliardi di euro, è il risultato dei forti rilanci sulla banda a 3700 MHz, per cui i carrier di cui sopra e Wind 3 si sono aggiudicati un lotto ciascuno. Proprio la ban-

da a 3700 MHz, già utilizzata per le sperimentazioni avviate a inizio 2018, è disponibile da subito. Ai cinque operatori in gara (Fastweb il quinto) sono andati quindi altrettanti lotti della banda millimetrica a 26 GHz, utilizzabile dal 2019 ma già “5G-ready” e non a caso impiegata per rodare i primi servizi di nuova generazione. Le frequenze a 700 MHz saranno disponibili invece a partire dal 2022, quando saranno lasciate libere dai broadcaster. Hanno un valore superiore di circa il 10% rispetto alla banda a 800 Mhz e serviranno agli operatori per rafforzare la copertura in broadband su tutto il territorio, anche a livello indoor. Quanto ai ricavi aggiuntivi previsti per le telco grazie al 5G, Ericsson e Arthur D.Little hanno stimato per il 2026 introiti che potrebbero sfiorare i 13 miliardi di euro.

dall’agricoltura alla sanità, dalle fabbriche ai musei, dall’ambiente al turismo. L’elemento a fattor comune è la capacità di far viaggiare in tempi velocissimi enormi quantità di dati in formato digitale (audio, video, immagini e altro ancora) per consentire attività che altrimenti richiederebbero grande dispendio di risorse fisiche. In campo medico sanitario, per esempio, le connessioni ultraveloci supporteranno l’attività di “chirurghi robot” e quella dei medici chiamati a eseguire da remoto diagnosi o interventi su un paziente. Anche la manutenzione degli impianti industriali andrà in questo solco, mentre le comunicazioni “machine to machine” e fra le auto e la sensoristica presente sulle strade beneficeranno di trasmissioni dati in tempo reale, favorendo il compito ai sistemi di guida autonoma per veicoli a quattro ruote. Sensori, telecamere e dispositivi Iot, infine, cambieranno faccia a impianti di produzione, porti e magazzini, interagendo in modo integrato su un’unica infrastruttura di rete intelligente. Smart home senza intoppi

Grazie al 5G cambierà qualcosa anche nelle nostre case, sempre più popolate di oggetti smart quali televisori, altoparlanti, termostati, frigoriferi. Questi dispositivi potranno scambiarsi dati in tempo reale e sarà più facile gestirli, anche in contemporanea, tramite smartphone, senza che l’applicazione si blocchi. Le nuove reti saranno anche un pilastro per la distribuzione di contenuti video in altissima definizione ripresi dai droni (è già accaduto alle ultime Olimpiadi invernali di Pyeongchang) e per migliorare i sistemi di controllo e sicurezza degli impianti sportivi in occasione dei grandi eventi (vedi i Mondiali di calcio in Russia). L’effetto 5G si sentirà anche in campo cinematografico, soprattutto per i film di animazione, e naturalmente anche nei videogiochi, a cominiciare dagli eSports. Gianni Rusconi 31


EXECUTIVE ANALYSIS | La ricerca sul campo di Technopolis

IL VIAGGIO DEL CLIENTE SI COSTRUISCE CON I DATI Cresce nelle aziende la volontà di offrire un customer journey sempre più personalizzato e appagante, basato su molteplici fonti di informazioni. La mancanza di cultura e competenze rallenta, però, questa evoluzione.

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clienti sono ormai divenuti non solo semplici acquirenti di prodotti e servizi, ma anche influenzatori, ambasciatori, persino esperti ascoltati quasi più degli analisti di fama dichiarata, come sottolineato già da diverso tempo da molte ricerche. La moltiplicazione dei canali di comunicazione e condivisione ha favorito questa evoluzione, creando una nuova generazione di consumatori più esigenti e attenti. Saper eccellere in questo scenario customercentric implica una conoscenza approfondita del proprio interlocutore-acquirente, il che significa non solo riuscire sempre a identificarlo ma anche analizzare i dati per offrire esperienze sempre più ricche e su misura. Standardizzare

questo tipo di processo non è sfida di poco conto, in un contesto dove stimoli e informazioni provengono dai canali più disparati e in quantità crescenti. Ma è indiscutibile che un approccio incentrato sui dati (o data driven, come dicono gli addetti ai lavori) crei un vantaggio competitivo misurabile. I dati devono essere considerati come un elemento portante delle strategie delle imprese a diversi livelli. Visto dal lato delle aziende, tuttavia, lo scenario è complesso e coinvolge diverse variabili da prendere in considerazione. Da un lato c’è l’esigenza in sé, molto sentita anche in Italia, come sottolinea Idc quando rileva che la customer experience si colloca fra le prime tre priorità di busi-

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ness oggi, dietro alla sicurezza e al pari della ricerca di nuovi mercati, ma davanti, per esempio, all’innovazione e alla riduzione dei costi operativi. Dall’altro lato, tuttavia, il desiderio si scontra ancora con limiti di varia natura: la qualità dei dati sui quali effettuare le analisi, le modalità di accesso da parte delle figure di business, il fatto che le aziende lascino spesso mano libera al marketing anche nelle scelte tecnologiche, e ancora la presenza o meno di competenze trasversali (sempre più ricercate e individuate perlopiù nel ruolo del data scientist). Le diverse facce delle aziende italiane

L’esperienza insegna che il passaggio dal desiderio alla realtà comporta sempre uno scarto più o meno ampio, soprattutto quando di mezzo ci sono concetti e processi particolarmente innovativi. Lo scenario si riproduce perfettamente parlando di evoluzione delle relazioni con la clientela in un’ottica di personalizzazione e acquisizione di informazioni dettagliate su attitudini e comportamenti d’acquisto. Il quadro emerge da una ricerca qualitativa che Technopolis ha realizzato coinvolgendo poco meno di una quindicina di grandi e medie imprese, accomunate dal fatto di rivolgersi e interfacciarsi direttamente con un pubblico sufficientemente vasto di consumatori, ma diverse per settore di mercato (retail, industria alimentare, banche, telco, gaming e simili). La voluta eterogeneità del campione ha evidenzato diversi livelli di maturità non solo sul fronte dei processi di customer engagement, ma anche, più semplicemente, nelle modalità di raccolta dei dati e nel loro utilizzo all’interno delle aziende. Si osserva un certo scarto fra le aspettative del business e la capacità dell’area tecnologica di fornire le risposte adeguate. Nei casi più virtuosi, le due funzioni hanno avviato un processo di collaborazione utile a ridurre le distanze, mentre in altri casi i responsabili del marketing (soprattutto) e delle vendite

(più raramente) lavorano in proprio alle analisi su comportamenti e attitudini della clientela, spesso servendosi di fornitori terzi e servizi fruiti in modalità cloud. Le difficoltà delle analisi nell’era dell’omnicanalità

Un tratto comune nel panel delle aziende interpellate la presenza di un Crm, il quale costituisce spesso la base per le varie tipologie di approfondimento, sia si tratti di attività puramente statistiche sia di iniziative di fidelizzazione dei consumatori. I dati che alimentano questo strumento (nei casi più evoluti un vero e proprio data lake) derivano per tradizione da iniziative condotte nei punti vendita o di natura promozionale, ma negli ultimi anni si è notevolmente rafforzato il peso della componente digitale del business. Come abbiamo già sottolineato, la quantità di fonti dalle quali è diventato possibile ricavare dati si è notevolmente sviluppata negli anni recenti, ma sono molto rari i casi in cui tutte vengono sfruttate in modo compiuto. Certamente, sta crescendo il numero di aziende che utilizza il potenziale del canale di vendita (e di informazione) rappresentato dallo strumento mobile, mentre assai più contenute sono le attività di analisi costruite sulla presenza nei principali social network, ancora visti più come canale di visibilità e interazione di primo livello che non come strumento di ingaggio personalizzato. La centralità dei dati e il loro reale utilizzo

La raccolta dei dati per attività di reportistica e analisi non è di per sé una novità degli anni più recenti. Le realtà che abbiamo esaminato sono tutte dotate da diverso tempo di strumenti di business intelligence, più o meno evoluti, quantomeno per fornire al management, in formato sintetico e intelligibile, le informazioni di andamento dell’azienda. Su questo fronte si è assistito negli anni a

una graduale ascesa dell’indipendenza delle figure manageriali non solo nella fruizione dei dati, ma anche nella loro manipolazione. L’accresciuta preparazione dei manager nell’utilizzo delle dashboard e delle funzioni base degli strumenti di Business Intelligence ha favorito la diffusione di una logica selfservice, solo in parte ancora presidiata dall’It. I dati vengono raccolti più o meno da ogni tipologia di realtà aziendale. Il cammino da questa fase a quella della generazione di valore per aumentare il coinvolgimento dei clienti è, però, ancora lungo. Innanzitutto, occorre un lavoro di integrazione e omogeneizzazione che diverse aziende stanno ancora eseguendo o hanno appena completato. All’interno del campione esaminato, chi ha già compiuto passi significativi verso l’innovazione sta già guardando oltre. La capacità di clusterizzare in modo anche molto parcellizzato la base conosciuta di clienti o prospect apre la via alla possibilità di costruire azioni molto mirate. Si può teoricamente arrivare a livelli estremi di personalizzazione e, in questo modo, ricavare anche un incremento di giro d’affari in termini di up e cross-selling. All’interno di questo gruppetto di battistrada, si stanno facendo largo esigenze crescenti di analitiche predittive, omnicanalità avanzata, elaborazioni in tempo reale. I ragionamenti esposti fin qui non possono prescindere da una disamina delle competenze oggi presenti nelle aziende e dalle evoluzioni prevedibili. L’inserimento della figura del data scientist è certamente all’ordine del giorno e ci sono diversi casi in cui si tratta di un ruolo già acquisito, anche se la sua collocazione differisce a seconda delle realtà esaminate. Il reperimento delle giuste competenze resta però un problema aperto. Alcune aziende hanno avviato collaborazioni con le università per sponsorizzare master o borse di studio, mentre in altri casi la ricerca è tuttora in corso. Roberto Bonino 33


EXECUTIVE ANALYSIS | Il commento dei partecipanti

PREVEDERE E INGAGGIARE

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bbiamo avviato diversi progetti data-driven, nei quali le analisi sui dati ricavati da canali più tradizionali si integrano con soluzioni più avanzate anche in ottica Big Data. La vera sfida, oggi, è tradurre le informazioni a disposizione in casi d’uso sfruttabili dal business. Daniele Rizzo, Cio di Autogrill Abbiamo già una visione olistica del dato, necessaria per costruire valore attraverso la comprensione di abitudini e desideri dei nostri clienti. Il cammino intrapreso ci porterà sempre più nella direzione delle analisi predittive, sfruttando tutte le numerose fonti che abbiamo a disposizione. Damiano Marabelli, Cio di CocaCola Central & Eastern Europe L’alta qualità dei dati sui quali lavoriamo ci porta a disporre di molte informazioni sui nostri clienti e ultimamente stiamo iniziando anche a tracciare il loro customer journey sia online sia offline. Alessandro Richichi, traffic manager & Big Data leader di Decathlon Italia Granarolo è cresciuta in modo notevole in questi ultimi anni e oggi siamo presenti in oltre 70 Paesi. Di conseguenza, anche la complessità nella gestione dei dati si è evoluta in modo rapido. Ora ci stiamo occupando di mettere a fattor comune la mole di dati disponibili in un’ottica di innovazione. Massimiliano Cusumano, Cio di Granarolo Il nostro gruppo bancario è composto da circa 140 banche di credito cooperativo e stiamo tuttora procedendo 34

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con il processo di consolidamento. Le evoluzioni in corso puntano verso elaborazioni e analisi in tempo reale, per migliorare il nostro time-to-market. Andrea Coppini, chief digital officer di Iccrea Banca Siamo ormai calati in una logica omnicanale di acquisizione dei dati sul comportamento di clienti e prospect. Se per il business puntiamo ora sull’analisi predittiva, nei punti vendita stiamo sperimentando anche la realtà aumentata in ottica di engagement.

Pierangelo Colacicco, chief technology and digital innovation officer di Natuzzi Nella composita realtà del Gruppo Pellegrini, la ristorazione e i buoni pasto rappresentano le aree di maggior interazione con gli utenti finali dei nostri servizi. Mentre fin qui abbiamo lavorato in modo abbastanza tradizionale sui dati, in prospettiva vorremmo personalizzare di più il livello di relazione con il cliente. Roberto Prefumo, direttore sistemi informativi di Pellegrini OTTOBRE 2018 |

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FLEMING (QLIK): “IMPARIAMO A CONOSCERE MEGLIO I DATI” Ospite alla tappa italiana del “Data Revolution Tour”, Robert Fleming, senior vice president, Global Field & Partner Marketing di Qlik, commenta alcuni dei risultati emersi dall’indagine sull’utilizzo dei dati nei progetti di customer engagement. Esiste ancora un gap fra richieste del business e capacito dell’It di soddisfarle? Si può partire dai dati per provare a colmarlo?

Certamente, una certa distanza esiste ancora. Nel campo del customer engagement, è normale che siano le aree marketing e commerciale a definire le necessità, ma l’It va coinvolto il più presto possibile nella definizione dei progetti. Per rendere più efficaci le azioni, servirebbe un maggior grado di personalizzazione, ma non c’è una sufficiente conoscenza dei dati a disposizione e del modo di renderli utilizzabili per il business. La soluzione, oggi, risiede nell’acquisizione di una data platform che possa consentire a monte di integrare tutti i dati e prepararli nel modo più corretto per le successive analisi.

In allineamento con i dettami della casa madre, stiamo puntando l’attenzione soprattutto sui canali digitali per ingaggiare e fidelizzare il nostro cliente. Lavoriamo soprattutto a supporto del marketing, per rafforzare l’efficacia di campagne e promozioni. Guido Vitale, Mis senior manager di Samsung Italia Le nostre analisi sui dati si inquadrano soprattutto nella relazione con i nostri clienti business, ovvero le aziende della grande distribuzione ma anche gruppi

di acquisto e clientela del canale tradizionale. A supporto della produzione e dell’area commerciale, stiamo gradualmente passando dalla classica reportistica verso modelli analitici evoluti e previsionali. Claudio Basso, Cio di Acqua San Benedetto Ci interessa sempre di più poter attivare azioni mirate sulla nostra clientela. Per questo sfruttiamo non solo quanto raccogliamo sui punti vendita o nel mondo digitale, ma anche l’espansione

La presenza di strumenti di Bi e analytics nelle aziende sembra ancora finalizzata alla produzione di report più che alla distribuzione di un’intelligenza condivisa. Quali sono i passi necessari per fare un salto di qualità?

Questo è un ambito nel quale l’It può agire per riguadagnare fiducia da parte delle linee di business. Acquisire quella che noi chiamiamo una maggiore “data literacy” consente di aumentare la capacità di collegare i dati provenienti da varie fonti, di “pulirli” in modo corretto e poi di combinarli per fornire ai manager operativi delle informazioni di immediato utilizzo. L’interesse verso l’integrazione di uno o più data scientist cresce. Ma il ruolo andrebbe integrato nell’It oppure altrove?

Nella nostra visione, questa figura dovrebbe diventare un vero e proprio “data activist”, ovvero un soggetto che prima di tutto sa individuare gli scenari d’uso più adeguati al business aziendale e che poi riesce a trovare e valorizzare i dati necessari per fornire le migliori risposte.

delle nostre attività verso la mobility e, in particolare, i sistemi di pagamento. Mario Martinelli, Cio di Sisal La forza del nostro business sono i punti vendita, tutti di proprietà. Su di essi abbiamo costruito la fidelizzazione di una base clienti oggi attestata sui quattro milioni. Utilizziamo la Business Intelligence come strumento per clusterizzare i clienti e per capire il loro livello di aderenza alle nostre iniziative promozionali. Giorgio Benedetti, Cio di Stroili Oro 35


SCENARI | | Startup INNOVAZIONE

ULTIMA CHIAMATA PER L’INNOVAZIONE Lo studio “Tech Scaleup Italy” fotografa il miglioramento dell’ecosistema delle scaleup. Ma il divario con i Paesi guida appare ormai troppo ampio per essere colmato.

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M&A: L’ITALIA È SETTIMA Con 193 exit, lo Stivale si colloca al settimo posto in Europa nella speciale classifica delle operazioni di merge & acquisition, ed è un dato che va letto in accezione positiva perché conferma l’interesse di soggetti internazionali verso le aziende tecnologiche italiane. Il problema è che Regno Unito, Germania e Francia

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registrano anche in questo caso volumi notevolmente superiori, marcando un divario ancora più ampio se ci si sofferma sulle sole acquisizioni: con 143 operazioni siamo in dodicesima posizione, segno della scarsa propensione delle nostre aziende ad acquisire startup rispetto alle controparti europee.

o scenario è leggermente cambiato, e in positivo, ma fotografa un’arretratezza che molto probabilmente non potrà più essere superata. Il rapporto dell’Italia con l’innovazione tecnologica, se osservato attraverso i numeri del report “Tech Scaleup Italy” realizzato da Mind The Bridge in collaborazione con l’agenzia Agi, lascia ancora una volta delusi coloro i quali confidavano (anni addietro) in una pronta riscossa in chiave digitale del nostro Paese. Veniamo ai dati. Nei primi sei mesi dell’anno sono nate 23 nuove scaleup (nella definizione di Deloitte, sono startup che nei primi cinque anni di vita raggiungono i 10 milioni di dollari di fatturato), un numero superiore alla metà di quelle monitorate in tutto il 2017, e sono stati ottenuti 335 milioni di investimenti (più o meno quanto raccolto in tutti i 12 mesi precedenti). La crescita tendenziale è innegabile ma è altrettanto evidente che l’accelerata non basta. Con le new entry di cui sopra, il numero complessivo delle scaleup tricolori oggi supera le 200 unità al cospetto di un Regno Unito che ne ha prodotte 246 nello stesso periodo, superando le 1.900 realtà complessive. La densità italiana è di 0,3 scaleup ogni centomila persone e l’indice di investimento medio è pari allo 0,07%: siamo non a caso all’ottavo posto nella classifica europea per entrambi i parametri ed esibiamo valori ben al di sotto della media. Mettiamoci, infine, il fatto che nessun hub italiano figuri tra i primi dieci


europei (Milano si colloca al 14esimo posto, Roma al 20esimo, rispettivamente con 78 e 12 scaleup attive) e il quadro, abbastanza desolante, è completo. Il divario è così ampio, si legge in una nota che accompagna lo studio, che la possibilità di colmarlo appare come una sorta di chimera. A meno che non si provveda con urgenza attraverso significative disponibilità di risorse. “L’Italia deve investire più capitali in società hi-tech”, ha detto in proposito Alberto Onetti, chairman di Mind the Bridge. “L’attuale ecosistema dell’innovazione non rispecchia affatto il potenziale effettivo del Paese, considerate le dimensioni della sua economia. A febbraio, avevamo raccomandato al neo-governo eletto di lanciare una sorta di piano Marshall per stanziare due miliardi di euro volti a spingere e a catalizzare maggiori investimenti privati. Questa era e resta l’unica strada per cercare di ridurre l’enorme divario che separa l’Italia dalle principali nazioni europee, a loro volta in ritardo sugli Stati Uniti e anche sul Regno Unito. La raccomandazione è ancora valida, e stare fermi non è un’opzione”. Tra le molte ragioni ritardo, sicuramente vanno citate le tempistiche legate all’accesso ai capitali da parte delle startup, ancora molto lunghe. Le scaleup italiane necessitano infatti di più tempo per accedere a finanziamenti significativi, finanziamenti il cui canale principale risulta essere ancora il venture capital, che copre poco meno del 90% dei fondi complessivamente raccolti (oltre 1,1 miliardi di dollari); il quadro è completato dalle Ipo, che hanno pesato solo per l’11%, e per il restante 1% dalle cosiddette Ico, initail coin offering, forma di finanziamento erogata tramite token basati su tecnologia blockchain. Interessante notare, infine, come un quinto dei finanziamenti alle scaleup italiane arrivi dagli Stati Uniti, che si confermano il principale investitore al di fuori dell’Unione Europea. Piero Aprile

VOLANO A UN MILIARDO I PRESTITTI ALLE PMI

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er le startup dei prestiti peer to peer, il 2018 sarà probabilmente l’anno dei record. I numeri del primo semestre raccolti da P2P Lending Italia ci dicono, infatti, che il valore dell’erogato a fine giugno 2018 aveva raggiunto i 768 milioni di euro, con una crescita del 267% anno su anno, mentre la stima per l’intero 2018 supera la soglia storica del miliardo di euro. Sul totale dei prestiti, le piattaforme dedicate al credito alle imprese hanno contribuito per oltre 611 milioni. Cifre ancora risibili, se rapportate a quelle che caratterizzano il fenomeno negli Usa (dove si viaggia nell’ordine degli 80 miliardi di dollari, stando ai dati AltFi), ma che iniziano a essere interessanti per il mercato europeo del lending, il cui valore è di poco inferiore ai cinque miliardi di euro. Analizzando i volumi per singolo segmento, lo sconto fatture (invoice trading), in cui operano CashMe, Fifty, Workinvoice e Credimi, si conferma il più importante in virtù di finanziamenti complessivi che nel primo semestre sono saliti a 554 milioni di euro (522 le imprese interessate). Dagli specialisti dei prestiti alle imprese, Borsa del Credito e Lendix in testa, sono stati distribuiti alle Pmi fra aprile e giugno circa 13 milioni, mentre le startup dei prestiti personali – Prestiamoci, Smartika, Soisy e Younited Credit – hanno erogato 25 milioni.

Crowdlending per One Works

Finanziare il consolidamento e l’espansione su scala internazionale “sfruttando” i capitali messi a disposizione da oltre 3.200 prestatori privati: è un’operazione importante quella

che ha visto protagonista One Works, il più grande studio di architettura e di ingegneria delle infrastrutture italiano per fatturato, con sede a Milano e uffici a Dubai, Londra e Singapore. A concedergli un prestito da 1,5 milioni di euro a 36 mesi ha pensato la piattaforma di crowdlending Lendix, segnando un primato a livello europeo. Mai, infatti, un singolo progetto aveva raccolto tanto in termini di sottoscrizioni da parte di investitori retail. Ad aver puntato sul P2P lending per sostenere la propria crescita non ci sono però solo aziende di design: diversi operatori del settore fashion nel corso degli ultimi dodici mesi si sono rivolti a Lendix per supportare le proprie attività e ambizioni. Fra questi c’è Filati Biagioli Modesto, realtà da circa 80 dipendenti di Montale, in provincia di Pistoia, che ha ottenuto un prestito di 500mila euro per finanziare la ristrutturazione dell’impianto di produzione. Oppure Lilly Confezioni, nata nel 2015 a Vicenza e partner di diversi marchi internazionali del lusso, che ha usufruito di 250mila euro per finanziare l’acquisto di nuovi macchinari per piccole produzioni e un nuovo sistema di Crm.

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INNOVAZIONE | Startup

Milkman, Wonderflow, Travel Appeal e Credimi hanno animato gli ultimi due mesi con i rispettivi aumenti di capitale. Che cosa hanno in comune? Operano in settori in fortissima crescita, puntano (quasi tutte) all’Europa e sviluppano internamente la propria tecnologia.

ROUND MILIONARI

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ome delivery, predictive analytics, e-travel B2B e peer to peer lending: nell’universo delle imprese innovative nazionale, sono questi gli ambiti tangibilmente più dinamici e lo sono da tempo. Lo confermano le operazioni concluse fra settembre e ottobre, operazioni che hanno interessato nell’ordine Milkman, Wonderflow, Travel Appeal e Credimi. La prima ha chiuso un aumento di capitale di 6,4 milioni di euro, sottoscritto da Vertis (principale investitore attraverso il fondo Vertis Venture 2 Scaleup), dal fondo di venture capital P101 Sgr e da 360 Capital Partners, soggetti già presenti nel capitale della società. La nuova liquidità, come hanno spiegato i responsabili della startup, servirà ad accelerare il piano industriale di sviluppo e a finanziare una significativa espansione geografica che dovrebbe portare la società a essere operativa entro la fine del 2019 in tutte 38

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le province italiane più importanti per fatturato nell’e-commerce. Fondata nel 2016, Milkman si è fatta largo nel mercato delle consegne a domicilio grazie a una tecnologia proprietaria che gestisce per conto delle aziende partner una vasta gamma di opzioni di personalizzazione (scelta del giorno e dell’ora, per esempio) adattando il servizio alle precise esigenze del committente. Il successo di questo modello si riflette nei numeri: il fatturato previsto per quest’anno è nell’ordine dei 7 milioni di euro (rispetto ai 450mila del 2016) e le consegne effettuate dall’inizio dell’attività hanno superato quota 400mila. Fra i retailer online che hanno creduto nella startup spiccano EasyCoop, Eataly, Nespresso e Zara. Wonderflow piace alle multinazionali

Una realtà che ha saputo trovare spazio in un mercato dinamico e selettivo come quello dei Big Data: Wonderflow è una

startup tecnologica con diverse peculiarità che la rendono unica nel suo genere, a cominciare dal fatto di essere nata a Trento e subito dopo emigrata nei Paesi Bassi per rispondere alla chiamata di Rockstart, incubatore di nuove imprese innovative di Amsterdam. Il mese scorso ha ufficializzato un finanziamento da 1,5 milioni euro, a firma del neonato fondo Programma 102 di P101, che si somma ai precedenti round sottoscritti da vari angel investor per complessivi 450mila euro. Dopo una fase iniziale di sviluppo Wonderflow è tornata a casa, trovando dimora presso Hit-Hub Innovazione Trentino, dove lavorano una quindicina di persone (sui circa 60 collaboratori in organico) nella controllata Wonder Technology. Il cuore della sua attività sono i dati: una tecnologia in grado di estrarre indicatori utili a supportare lo sviluppo e le strategie di marketing dai commenti pubblicati online dai consu-


matori, oltre che dalle informazioni provenienti dal customer service aziendale. Una tecnologia che sta già aiutando multinazionali come Philips, Samsung, Uber, TomTom, Dhl, Beiersdorf (colosso dei prodotti per la cura della persona, con Nivea, Labello e numerosi altri marchi) e altre ancora. “Il nostro software di analisi”, spiega il Ceo e cofondatore di Wonderflow, Riccardo Osti, “si sostituisce al lavoro dei data scientist sfruttando l’intelligenza artificiale per replicare e simulare su larga scala le capacità umana di esaminare un testo, processandone fino a 150mila l’ora in oltre dieci differenti lingue”. Proprio la capacità di macinare dati in modo focalizzato e in chiave consumer-centric, tradotta in un modello di business credibile, ha convinto investitori e clienti a credere nel progetto. La sfida, adesso, è quella di trovare spazio in un segmento a fortissima crescita come quello degli analytics predittivi sui clienti, per cui è stimato un giro d’affari globale di oltre quattro miliardi di dollari nel 2019, rispetto agli 1,6 miliardi del 2014. Per vincerla, Wonderflow punterà a consolidare il proprio posizionamento nel mercato europeo e a intensificare lo sviluppo delle tecnologie di analisi predittiva, fermo restando il valore aggiunto di una soluzione personalizzabile su misura che promette alle aziende di far loro risparmiare fino al 90% di risorse per l’interpretazione dei dati provenienti da fonti disomogenee, dalle recensioni online ai social network. Altri 10 milioni per Credimi

Il suo biglietto da visita sono gli oltre 150 milioni di euro di finanziamenti erogati in poco più di un anno e mezzo alle aziende italiane. Per Credimi, uno degli attori più importanti del peer to peer lending in Italia, il recente aumento di capitale da 10 milioni di euro segna una svolta con l’ingresso in società di United Ventures e Vertis, due fra i venture capital più attivi su scala nazionale. Con la nuova iniezione di liquidità è scattata la seconda fase di sviluppo della piattafor-

Riccardo Osti

ma di factoring digitale, che fino a oggi ha servito oltre tremila imprese di ogni dimensione e che ora guarda anche ad altri Paesi europei. Nel corso del 2018 tale piattaforma si è arricchita di nuove funzionalità, a cominciare dalla possibilità di effettuare cessioni di credito pro soluto in modalità elettronica. Travel Appeal guarda a Dubai

È nata nel gennaio 2014 con il supporto di H-Farm, oggi vanta un team di una trentina di collaboratori e opera su quattro sedi, due in Italia (una all’interno dell’acceleratore di Roncade) e due all’estero (Londra e Amsterdam). Dopo un quadriennio di crescita esponenziale, Travel Appeal ha compiuto nelle scorse settimane un passo in avanti importante, forse decisivo, per affermarsi nel campo dei servizi di viaggio B2B. Per la startup si è infatti concretizzato, contestualmente alla trasformazione in Spa, un nuovo aumento di capitale da tre milioni di euro, sottoscritto dal fondo Indaco Ventures I (lanciato lo scorso maggio da Fondazione Cariplo, Fondo Italiano d’Investimento e Intesa Sanpaolo) e da Airbridge Equity Partners. I nuovi obiettivi a valle del round (series A) appena concluso sono due: accelerare il processo di internazionalizzazione e potenziare lo sviluppo della piattaforma tecnologica. Quest’ultima raccoglie e analizza in tempo reale, con strumenti di Business Intelligence sviluppati internamente, dati online relativi sulle destinazioni tu-

ristiche e tutti i parametri che possono influenzare le decisioni di acquisto dei viaggiatori. Oggi le soluzioni di Travel Appeal vengono utilizzate da oltre quattromila clienti in tutta Europa, tra hotel, b&b, ristoranti, musei e varie altre strutture ricettive, compresi consorzi ed enti territoriali; l’idea della società è quella di ampliare ulteriormente questa rete su scala europea e di approdare su mercati trainanti per il turismo leisure e business come Dubai. Quanto al giro d’affari, il nuovo piano prevede di superare la soglia dei 25 milioni di euro a partire dal 2021, raggiungendo il pareggio di bilancio entro il prossimo triennio. L’esca per convincere gli operatori del turismo – comprese le migliaia di piccole aziende della filiera del turismo oscurate dai giganti del digitale – a sposare la causa di Travel Appeal è una piattaforma in grado di interpretare, grazie ad algoritmi di intelligenza artificiale, i dati raccolti in Rete e trasformarli in azioni e consigli pratici per migliorare il posizionamento e la reputazione digitale della struttura. Oggi la startup è in grado di monitorare su base annua la reputazione Web di oltre un milione di destinazioni e proprietà turistiche. Il fiore all’occhiello dell’offerta è un assistente virtuale, un chatbot, che consente agli operatori dell’hospitality di semplificare l’interazione con i viaggiatori e di analizzarne i comportamenti, al fine di ottimizzare i processi di marketing. Gianni Rusconi 39


INNOVAZIONE | Intelligenza artificiale

SOFTWARE “PENSANTI” TUTT’ALTRO CHE NEUTRALI

I bot possono apprendere cattive abitudini dagli stimoli esterni o risultare faziosi a causa del tipo di training ricevuto. Ma anche sviluppare in autonomia degli schemi di ragionamento simili a pregiudizi, come svelato da uno studio del Mit e dell'Università di Cardiff.

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aranno forse senza emozioni, ma non senza pregiudizi. I programmi di intelligenza artificiale, alla base di robot, chatbot e ormai innumerevoli applicazioni in ogni campo, non garantiscono necessariamente l’obiettività perché – anche senza entrare in disquisizioni filosofiche sul concetto di “verità oggettiva” - è dimostrato che la scelta dei dati di partenza su cui gli algoritmi vengono allenati può determinare delle distorsioni più o meno evidenti. Il problema del bias, noto agli sviluppatori, non è necessariamente frutto di una volontà manipolatoria ma può radicarsi in condizionamenti culturali o, più semplicemente, nell’imperfezione o incompletezza dei dati. Un paio di anni fa aveva fatto discutere il caso di Tay, un chatbot dalla breve vita: sviluppato dai

ricercatori di Microsoft e introdotto su Twitter, ma prontamente rimosso per aver prodotto nelle sue conversazioni frasi politicamente scorrette, offensive e razziste. Proprio come un bambino che apprende dall’ambiente che lo circonda, Tay assorbiva e imitava il linguaggio degli utenti del social network. Recenti indiscrezioni hanno svelato un simile problema all’interno di Amazon. Secondo le fonti di Reuters, l’azienda avrebbe lavorato per anni a un programma di machine learning capace di scandagliare grandi volumi di curricula inoltrati da aspiranti collaboratori. Il software valutava i profili assegnando un punteggio compreso fra uno e cinque ma, come poi notato da Amazon, era un po’ “misogino”: tendeva favorire i candidati di sesso maschile. Era stato allenato, infatti, in


prevalenza su dati riferiti a uomini, genere predominante nei ruoli professionali attinenti alla tecnologia. Uno studio condotto da ricercatori del Massachusetts Institute of Technology di Boston e dell’Università di Cardiff, Galles, ha invece dimostrato come i bot “intelligenti” possano sviluppare pregiudizi anche in totale autonomia, dunque non solo in risposta a stimoli esterni (come i dati delle attività di training o l’interazione con le persone). Nella simulazione, ciascun programma poteva scegliere di fare delle donazioni agli altri, sulla base sia di proprie strategie sia della reputazione degli altri software. Con una variabile: i bot erano divisi in gruppi. Ebbene, dopo aver completato migliaia di simulazioni i programmi hanno iniziato ad apprendere dal comportamento altrui per definire nuove strategie e, così facendo, hanno maturato una sorta di pregiudizio nei confronti dei bot appartenenti a gruppi diversi dal proprio. La dinamica si consolida nel tempo, perché nel tentativo di difendersi da gruppi faziosi i bot tendono a stringere delle alleanze e, così facendo, a creare altri legami e pregiudizi. Valentina Bernocco

SEMPRE PIÙ GRANDE LA NUVOLA DELL’AI Nel pensiero comune l’intelligenza artificiale è spesso collegata al software, ma ha anche una dimensione “fisica”, fatta di requisiti hardware, sistemi di calcolo, elaborazione grafica e memoria. Il cloud ha facilitato enormemente l’accesso al mondo del machine learning, rendendo economicamente e tecnicamente sostenibile, nonché più rapida, la sperimentazione di applicazioni di AI che un tempo erano accessibili solo ai grandi centri di ricerca, alle università più avanzate o alle grandi multinazionali. Secondo uno studio pubblicato da Idc, la spesa mondiale in infrastrutture computazionali dedicate a carichi di lavoro di intelligenza artificiale crescerà moltissimo nei prossimi anni: dal 2017 al 2022 si stima un tasso composto medio annuo (Cagr) superiore al 30%. Si passerà, dunque, dai 6,5 miliardi di dollari della spesa prevista per

quest’anno ai 17,5 miliardi di dollari del 2022. Non tutto sarà appoggiato al cloud, ma la quota di infrastrutture off-premise (cioè non fisicamente residenti all’interno di un’azienda o altra organizzazione) crescerà più di quella on-premise. Sempre più – e questa non è una notizia inedita – si andranno componendo ambienti “ibridi”, composti da server o sale macchine tradizionali e da risorse cloud.

FONTE DI RICCHEZZA O DI DISPARITÀ? Una vera quarta rivoluzione industriale. Uno studio di McKinsey Global Institute stima che da qui al 2030 le tecnologie di AI avranno generato 13.000 miliardi di dollari di giro d’affari e contribuiranno a incrementi annui del Pil mondiale per un valore dell’1,2% grazie all’automazione del lavoro, all’innovazione e all’apertura di nuovi mercati concorrenziali. Per farsi un’idea dell’impatto, basti pensare che l’avvento del motore a vapore tra il 1850 e il 1910 aveva determinato una crescita di prodotto interno lordo mondiale annuo dello 0,3%. Computer vision,

linguaggio naturale, assistenti virtuali, robotic process automation e apprendimento automatico evoluto avranno sull’economia mondiale un effetto doppio rispetto a quello prodotto dall’informatica negli anni Duemila. Una forza benefica, dunque? L’intelligenza artificiale ha un “grande potenziale di contribuire all’economia mondiale”, scrive McKinsey, “ma per massimizzare i vantaggi le distanze sempre più ampie fra nazioni, aziende e lavoratori dovranno essere gestite”. Variabili come la velocità di adozione, il livelli di connettività e la struttura del mer-

cato del lavoro in ciascun Paese influiranno in positivo o in negativo sulle economie nazionali. Chi tarderà ad abbracciare la novità “potrebbe avere difficoltà a ottenere vantaggi dall’AI, perché chi sta in testa ha già catturato opportunità laddove i ritardatari stentano a sviluppare capacità e ad attrarre talenti”. Nelle previsioni di McKinsey, entro il 2030 circa sette aziende su dieci avranno adottato almeno un tipo di intelligenza artificiale. Per le realtà disinteressate all’AI, invece, si profilano decrementi di fatturato del 20% rispetto all’attuale livello.

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INNOVAZIONE | Blockchain

IMPATTO DIROMPENTE Dalla finanza alla Pubblica Amministrazione, più di quaranta settori saranno interessati dalla tecnologia dei registri distribuiti. Il giro d’affari stimato è di 120 miliardi di dollari.

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alle briciole di oggi alle stelle di domani. La blockchain non è qui soltanto per rimanere, ma anche per far sentire il suo effetto dirompente su diversi settori economici. Quanti? Secondo uno studio della società di consulenza londinese Critical Future, almeno 44: dalla finanza alle pubbliche amministrazioni, passando per l’industria dell’intrattenimento, la logistica, la sanità e i social media. Generando ovviamente un impatto economico notevole, che l’indagine stima in almeno 120 miliardi di dollari nel 2024. Oggi il mercato vale quasi 550 milioni, ma tra sei anni frutterà un volume di vendite di 10,1 miliardi, per un tasso di crescita composto del 62,6%. Sentendo le testimonianze dirette dei 1.800 professionisti intervistati durante la ricerca si capisce perché i registri distribuiti non saranno una

moda passeggera. Secondo il 79% delle aziende, infatti, la blockchain raggiungerà sicuramente una fase di adozione di massa grazie anche alla sua scalabilità. I dati evidenziati da Critical Future non si discostano molto da un altro rapporto, stilato ad agosto da Cbi Insights, che sottolinea come potrebbero essere 42 i settori economici impattati in senso disruptive dalla catena di blocchi. Al momento, gli ambiti più “caldi” sono il commercio, i pagamenti transfrontalieri (vedi box nella pagina a fianco), le procedure di know your customer e l’antiriciclaggio. Tutte applicazioni in cui è necessario uno scambio massiccio di documenti, con tempi di verifica lunghi e alti costi. Ma stanno via via emergendo anche altri casi d’uso, al momento molto più sperimentali (e in certi casi anche bizzarri), in cui la blockchain potrebbe dimostrare tutto il proprio valore.

LA LOBBY DEL BITCOIN Il bitcoin indossa giacca e cravatta e bussa alla porta del Congresso. A Washington è nata la Blockchain Association, prima lobby al mondo che vuole portare nelle stanze dei bottoni gli interessi delle startup e i fondi di imprenditori attratti dal mondo della catena di blocchi. Fra i principali esponenti del nuovo gruppo di pressione spiccano Coinbase, uno dei più famosi exchange di

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criptovalute; Circle, applicazione per il trasferimento di denaro e diversi fondi specializzati nel mercato delle monete virtuali come Digital Currency Group e Polychain Capital. Fra i primi obiettivi della lobby c’è quello di stabilire un contatto con il legislatore e il fisco statunitense, per arrivare alla definizione di nuove regole che diano più trasparenza all’intero settore.


LA CATENA DI JPMORGAN Nel 2017 Jamie Dimon, Ceo di JPMorgan, definì il bitcoin una “truffa”. Ma oggi la principale banca degli Stati Uniti sembra guardare con interesse alla tecnologia alla base delle criptovalute. L’istituto di credito ha infatti chiamato a raccolta altre 75 realtà finanziarie per testare un sistema di pagamenti transfrontalieri utilizzando la blockchain. Il progetto si chiama Interbank Information Network (Iin) e trova alla sua base una catena di blocchi proprietaria di JPMorgan, chiamata Quorom,

La catena “ecologica”

A evidenziare le potenzialità green dei registri distribuiti ci ha pensato il World Economic Forum (Wef ), che in uno studio pubblicato a settembre ha sottolineato come il paradigma tecnologico possa forse rivoluzionare il modo in cui vengono gestite le risorse naturali. Aprendo così le porte a una crescita più sostenibile. La ricerca ha preso in considerazione oltre 65 casi d’uso, esistenti ed emergenti, che nella maggior parte dei casi affrontano questioni trasversali: dalla possibilità di realizzare sistemi decentralizzati più ecologici, alla nascita di forme di economia circolare alternative a quelle esistenti. Il Wef ha identificato sei macroaree in cui si potrebbe intervenire con soluzioni basate sulla blockchain: i cambiamenti climatici, la biodiversità e conservazione, la salute degli oceani, la sicurezza idrica, la pulizia dell’aria e la meteorologia. I registri distribuiti, per esempio, potrebbero essere utilizzati per contrastare la pesca di frodo: un business illegale che genera proventi per 23 miliardi di dollari all’anno e interessa circa il 20% del pescato globale. La certificazione dei prodotti ittici potrebbe quindi essere

lanciata a ottobre dello scorso anno. Utilizzando i registri distribuiti della blockchain, le banche potranno aggiungere o modificare velocemente le informazioni necessarie per garantire il corretto esito dei pagamenti transnazionali, risparmiando sui costi e accelerando i tempi di esecuzione. Oggi le operazioni che devono essere verificate per motivi di compliance possono essere ritardate anche di due settimane. Con la catena di blocchi, invece, i riscontri si riducono a pochi minuti.

registrata sulla blockchain, dando maggiore trasparenza a tutto il comparto e garantendo la tracciabilità dall’amo al piatto dei consumatori. Un altro ambito in via di sviluppo è la gestione dei disastri naturali. “Frequenza e portata delle catastrofi ambientali continuano ad aumentare”, si legge nel report del World Economic Forum. “È necessario quindi prepararsi al meglio per affrontare le crisi e per gestire in tempo reale gli aiuti. Soluzioni blockchain potrebbero avere un impatto significativo, migliorando l’assistenza”. Sono infatti allo studio delle applicazioni per mettere in contatto diretto i fornitori di acqua potabile con i piloti degli elicotteri incaricati di distribuire le risorse idriche nelle zone colpite da uragani e terremoti. Gli smart contract sarebbero in grado di determinare le offerte migliori in base alle esigenze delle comunità e a parametri come quantità, prezzo, tempistiche e localizzazione geografica. Ovviamente, anche la catena di blocchi può comportare dei rischi. Il Wef ne evidenzia sei: sfide legate all’adozione, barriere tecnologiche, cybersecurity, problemi legali e regolatori, interoperabilità e consumo energetico. Alessandro Andriolo 43


ECCELLENZE.IT | Prénatal Retail Group

IL MARKETING È DIVENTATO GRANDE Il gruppo specializzato in prodotti per l'infanzia ha adottato la piattaforma in cloud di Selligent per unificare attività, comunicazioni e analitiche delle insegne Prénatal, Toys Center e Bimbostore. LA SOLUZIONE Prénatal Retail Group ha adottato Selligent Marketing Cloud su infrastruttura cloud di Google. La piattaforma gestisce attività di comunicazione su più canali (inclusi sito Web e newsletter), personalizzandole in base allo studio dei comportamenti online, ad analisi di carte fedeltà e altri dati sul cliente.

U

n marketing tutto nuovo, meno frammentario, basato su una visione più completa e profonda del cliente e capace di maggiore personalizzazione. Un marketing che sappia abbracciare più aziende e più brand appartenenti allo stesso gruppo. È uno dei risultati ottenuti da Prénatal all'interno di un cammino di trasformazione tecnologica di cui il Crm rappresenta solo una parte. Questo cammino non poteva che essere impegnativo, per una realtà commerciale, Prénatal Retail Group, che racchiude al suo interno quattro marchi e altrettanti bacini di clientela: Prénatal, (negozi di articoli per mamme e bambini fino a otto anni), Toys Center (retail giocattoli), Bimbostore (supermercati per famiglie) e King Jouet (retail di giocattoli in Francia e Svizzera), per un totale di quasi 700 punti vendita, oltre quattromila dipendenti e 25,5 milioni di clienti serviti. I due filoni del progetto in corso riguardano la gestione delle informazioni sui prodotti (information management) e il Crm; per quest'ultimo, si sta lavorando per centralizzare il database dei clienti, per creare un unico data lake e per 44

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adottare un nuovo sistema di marketing automation. Ed è su questo obiettivo che è entrata in gioco Selligent con la propria piattaforma basata su cloud. “Fino a ieri le aziende del gruppo erano fondamentalmente dei silos separati a livello di infrastrutture e applicazioni informatiche, Erp, sistemi di contabilità e via dicendo”, racconta Luca Demartini It architect di Prénatal Retail Group. “Il processo di integrazione che abbiamo avviato mira a introdurre alcune applicazioni da mettere a fattore comune”. La questione non è puramente tecnologica, ma impatta sulla gestione dei dati e di alcuni processi interni all'azienda. “Nella marketing automation”, spiega de Martini, “esistevano due sistemi separati, entrambi gestiti in full outsourcing, e guidati da logiche diverse tra loro. Volevamo allo stesso tempo riportare in casa la gestione e realizzare una piattaforma comune”. Alla scelta delle tecnologia si è arrivati con l'aiuto del system integrator Reply: “Una delle caratteristiche che ci ha spinti a suggerire questa soluzione è la sua estrema versatilità rispetto alle fonti di dati, oltre al fatto che comportasse pochi vincoli

tecnici nell'implementazione”, sottolinea Davide Vicario, senior manager di Reply. Sulla piattaforma possono confluire dati sugli acquisti fatti nei punti vendita e tramite e-commerce, carte fedeltà e altro ancora, per tutte e tre le insegne del gruppo presenti in Italia. Sommando Prénatal, Bimbostore e Toys Center si stima una base di tre milioni e mezzo di clienti attivi (calcolati sulla base di tessere fedeltà, acquisti effettuati e composizione del nucleo familiare), ma il bacino potenziale è di nove milioni. Come illustrato da Gian Musolino, country manager italia di Selligent, la piattaforma “permette di unificare le attività di marketing ma anche di differenziare le azioni di comunicazione ed engagement su più marchi. È possibile costruire dei customer journey facendo leva su tutte le informazioni possedute per ogni cliente: dati demografici, transazionali, comportamenti dell'utente che naviga su un sito Web o riceve una newsletter. Queste informazioni possono essere usate in modo abbastanza semplice sia per costruire il target sia per personalizzare i contenuti di marketing”.


ECCELLENZE.IT | Istituto Auxologico Italiano

PREVENIRE È MEGLIO CHE CURARE, ANCHE PER SERVER E RETI Un sistema di 2.500 sensori (di cui 800 già in funzione) e il software di Pessler monitorano l'infrastruttura Lan e Wan per evitare i malfunzionamenti e la violazione dei dati.

L'

Istituto Auxologico Italiano ha scelto di prendersi cura anche della salute della propria infrastruttura informatica, così come già fa da sessant'anni con i propri pazienti. Nata nel 1958 e riconosciuta come Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico dal 1972, è una fondazione senza scopo di lucro che porta avanti attività ospedaliera, ambulatoriale e di ricerca medica attraverso 13 sedi distribuite fra il Piemonte e la Lombardia. Per una realtà tanto frammentata geograficamente e non certo piccola (oltre 2.200 dipendenti, tra medici, ricercatori, tecnici, personale sanitario e amministrativo si occupano di un milione di pazienti all'anno) è fondamentale avere pieno controllo di applicazioni, macchine e traffico dati tra le varie sedi collegate tramite Wide Area Network (Wan). Una sala macchine a Cusano Milanino (Mi) ospita tutti i server dell'Irccs : ciò significa che il funzionamento della rete per le varie sedi dipende da questa infrastruttura centrale. In caso di problemi sulla Wan, le sedi remote rischiano di restare isolate. In passato l'istituto adottava un approccio “passivo”: si interveniva solo su segnalazione di problemi a livello di server o di rete. Si è poi deciso di ribaltare l'impostazione, eseguendo un monitoraggio continuo non solo della rete Lan interna ma anche della Wan esterna. Dopo aver

LA SOLUZIONE L'adozione di Prtg Network Monitor è stata associata al posizionamento di 2.500 sensori, 800 dei quali attualmente in uso. Installato su un server fisico, il software rileva il comportamento di switch, router, server, Lan e Wan dell’intera infrastruttura informatica dell’Istituto. L'utente può accedere ai monitoraggi tramite console specifica o interfaccia Web. valutato le alternative disponibili, l'Irccs ha testato una soluzione di Paessler, Prtg Network Monitor, un software che controlla diversi parametri di funzionamento dei server e della rete (gli Url, il traffico dati di una connessione, le porte di uno switch, il carico Cpu di una macchina, eccetera) in base a dati trasmessi da sensori. Un trial gratuito ha permesso di verificare attraverso un centinaio di sensori la validità della soluzione, che è poi

stata adottata sull'intera infrastruttura. I sensori misurano senza interruzioni le performance di rete e consentono di accorgersi in tempo reale di qualsiasi segnale di sovraccarico o eventuali anomalie. Oltre a verificare il consumo di banda, il sistema di monitoraggio può stabilire entità e tipologia di traffico e può individuare comportamenti sospetti (per esempio, massicci trasferimenti di dati verso l'esterno), aiutando l'Istituo Auxiologico a non subire interruzioni di servizio né furto di informazioni sensibili. Con il monitoraggio proattivo, inoltre, è stato possibile dimezzare il tempo necessario a processare le richieste di assistenza sulla rete. “Adottare la tecnologia Paessler ha rappresentato una svolta significativa per i nostri sistemi informativi”, testimonia Enzo Cosentino, Edp manager di Istituto Auxologico Italiano. “La possibilità di operare proattivamente, la garanzia nella rapidità di risposta alle richieste degli utenti e la varietà dei sensori inclusi nell’offerta sono ciò che ci ha portati a scegliere Prtg Network Monitor”. OTTOBRE 2018 |

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ECCELLENZE.IT | Susa Trasporti

CONSEGNE PIÙ RAPIDE CON LA VIRTUALIZZAZIONE

La società di trasporti perugina ha modernizzato la propria infrastruttura It con terminali Praim e software Citrix.

Q

uaranta centri distributivi, sei centri logistici, 750 automezzi per le consegne, 4,6 milioni di spedizioni annue, oltre 2.200 dipendenti e collaboratori, 148 milioni di euro di fatturato (nel 2017). Sono i numeri di Susa Trasporti, storica azienda italiana con sede legale a Ellera di Corciano, Perugia, attiva nel settore della logistica: nata nel 1953, si è allargata negli anni ampliando le categorie merceologiche e la propria rete. Due anni fa è sorta l'esigenza di potenziare l'infrastruttura informatica sia per migliorare gli aspetti gestionali sia per sostenere l’incremento di clientela e richieste. Susa Trasporti già faceva ricorso alla virtualizzazione utilizzando le soluzioni di Citrix: MetaFrame, un sistema hardware e software per l'accesso remoto ad applicazioni centrali (il prodotto è ora stato ribattezzato Presentation Server) e XenApp, il software 46

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per la virtualizzazione delle applicazioni. “Nel 2016 è iniziata la fase di analisi delle soluzioni disponibili sul mercato”, racconta Giovanni Simoncelli, business development manager di Pcs Group, uno dei system integrator a cui si appoggia Susa. “Nel 2017 è iniziato il progetto, con una prima fase di rinnovamento del parco client per oltre cento utenti tra sede centrale e periferiche, fase che sarà seguita dal rinnovamento dell’intero installato”. Susa Trasporti ha optato per la continuità, restando fedele a Citrix ma modernizzando l'infrastruttura in uso con l'adozione delle ultime versioni di XenApp e XenDesktop e con nuovi thin client e zero client di Praim. Diversi i vantaggi ottenuti: il miglioramento delle prestazioni dell'infrastruttura e delle applicazioni; la possibilità, per gli amministratori It, di gestire centralmente le periferiche impiegate nelle diverse sedi;

il potenziamento della sicurezza dovuto all'uso di sistemi operativi più aggiornati e di più solide policy di controllo degli accessi. “Un grosso risultato ottenuto grazie alla nuova architettura”, aggiunge il Cio di Susa Trasporti, Armando Tonnetti, “è che ora possiamo contare sull’uniformità del software installato e sul controllo puntuale delle licenze dei pacchetti utilizzati, come Microsoft Office”.. Il risultato più notevole ottenuto dal progetto è però un altro: i tempi di ripristino si sono ridotti incredibilmente:“Se prima rimettere in attività un Pc richiedeva circa tre giornate di lavoro”, racconta Tonnetti, “oggi ci vogliono solo due ore in caso di problemi software e un giorno in caso di guasti hardware”. Con la teleassistenza, dalla sede centrale l'It interviene per configurare le postazioni o risolvere il problemi operativi di utenti ubicati a centinaia di chilometri di distanza. Il rischio della perdita di dati è azzerato grazie a un sistema di backup e ripristino centralizzato. Insomma, dall'assistenza remota al backup, dal funzionamento delle app alla gestione delle periferiche, un po' tutto in Susa Trasporti ha guadagnato velocità. LA SOLUZIONE Suse Trasporti ha adottato le ultime versioni dei software Citrix XenApp e XenDesktop e, per quanto riguarda l'harware, thin client e zero client di Praim della serie Neutrino, in abbinmento alla console di gestione ThinMan. Gli utenti possono usare applicazioni e desktop virtuali su terminali Windows, Linux, Apple e Android, sfruttando il porting delle sessioni tra dispositivi.


ECCELLENZE.IT | Prosilas

DAL PROTOTIPO AL PRIMATO, NELLA STAMPA 3D SI PUÒ OSARE L'azienda marchigiana di manifattura additiva è stata la prima in Italia ad adottare la stampante Eos P770, un modello che ha dato una spinta alla produttività.

L

a stampa 3D è un sogno realizzato. Un sogno di famiglia, quello di un'azienda di piccole dimensioni italiana nata nel 2003 e oggi alla seconda generazione, con il passaggio del timone dal fondatore Giulio Menco alla figlia Vanna. La marchigiana Prosilas, di Civitanova Marche, realizza prototipi di ogni genere: oggetti di design, montature per occhiali, calzature tecniche, giocattoli, componenti per importanti marchi dell'automotive e altri prodotti create a partire da resine oppure filamenti di nylon, metallici o materiali simili alla gomma. Nel portafoglio clienti hanno transitato marchi come Clementoni (giocattoli) e iGuzzini (illuminazione Led) e oggi figurano anche scuderie di Formula 1 e MotoGP. Il business della prototipazione è cresciuto al punto di fruttare nel 2017 circa 2,3 milioni di euro di fatturato, e in questo percorso è stata fondamentale la tecnologia, sia quella di processo sia quella delle stampanti 3D. Per quanto riguarda il primo aspetto, la scelta di Prosilas è stata quella di orientarsi soprattutto sulla tecnologia Selective Laser Sintering (Sls), che permette di realizzare con polveri plastiche prototipi dalle caratteristiche funzionali simili a quelle del materiale definitivo, per eseguire test di ingombro o di forma accurati. Per quanto riguarda l'hardware, invece, il punto di riferimento è da sempre la tedesca Eos. L'acquisto della prima macchina, una Eos P 380, nelle intenzioni dei soci avrebbe dovuto aprire la strada alla realizzazione di prototipi utili per le attività di progettazione di architetti e ingegneri. Il business si orienta invece inizialmente verso altri ambiti, in particolare la prototipazione di giocattoli e articoli di illumino-

tecnica, e solo nel 2008 – rilevata in toto l'azienda dopo l'abbandono degli altri due soci – Giulio Menco riporta in vita il vecchio sogno. L'anno seguente, con la nomina della figlia Vanna ad amministratore delegato, si torna a investire acquistando una macchina EOS P 395 per la produzione di polimeri, grazie alla quale aumentano i volumi di attività e il fatturato. Tra il 2009 LA SOLUZIONE Eos P770 ha una capacità produttiva maggiore fino al 20% rispetto al precedente modello (ottenuta grazie a miglioramenti hardware e software) e a macchine della stessa categoria. Tramite Laser Sintering System può trattare dieci diverse sostanze polimeriche e 18 combinazioni di materiale e spessore. Può stampare in singolo blocco oggetti con volume massimo di 700 x 380 x 580 millimetri.

e il 2016 Prosilas compra un'unità produttiva Eos all'anno, continuando nel percorso di allargamento al punto di doversi trasferire in uno stabilimento più grande. Nel 2017 Prosilas è la prima azienda italiana a dotarsi di una Eos P770, una macchina con una capacità produttiva fino al 20% superiore a quelle di modelli della stessa categoria. L'investimento le permette di ottenere l'attenzione di grandi clienti e di cominciare a lavorare a piccole produzioni seriali di componenti, con certificazione ISO 9001:2015. Quest'anno il bis: la società di Civitanova Marche acquista una nuova P700, la sua nona stampante Eos, elevando ulteriormente i limiti dei volumi produttivi. “Non è stato facile”, commenta Vanna Menco, “ma credo di poter dire che noi siamo la conferma del fatto che l’Italia sia pronta ormai per l’additive manufacturing e questo è sottolineato anche dalla varietà dei settori e dei clienti con cui ci confrontiamo ogni giorno, passando dai giochi per bambini alla MotoGP e dalla Formula 1 al settore della moda”. OTTOBRE 2018 |

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VETRINA HI-TECH

AUTUNNO SMART Il riscaldamento domestico è sempre più intelligente con la nuova proposta a basso costo di Nest. Apple stupisce ancora con la nuova generazione di smartwatch. Google alza l'asticella dell'esperienza fotografica mobile. TECHNICS OTTAVA S C50 È il primo smart speaker senza fili “multiroom” del noto marchio di elettronica. Si fa apprezzare innanzitutto per la sua forma arcuata e al contempo compatta e promette un suono pulito e profondo sfruttando l’allineamento di subwoofer, midrange e tweeter per un totale di sette altoparlanti installati in un corpo in fibra di vetro. Si può controllare via voce con Google Assistant ed è compatibile con Google Chromecast. Costa 799 euro.

NEST THERMOSTAT E I mesi freddi sono ormai alle porte, così come le bollette del riscaldamento. Un ottimo modo per risparmiare è quello di ricorrere alle ultime tecnologie. Google ha portato da poco nel nostro Paese Thermostat E, versione low cost del classico termostato Nest. Il sistema costa 219 euro ed è costituito dalla centralina Heat Link E (da collegare direttamente alla caldaia al posto del cronotermostato già presente) e dalla base ricevente: dotata di un elegante display bianco con finiture opache, l’unità integra un sensore per rilevare la presenza di persone in casa. Dopo poche settimane il gadget è in grado di gestire in autonomia il riscaldamento, permettendo così di ridurre i costi.

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GARMIN FENIX 5 PLUS SPOTIFY Avere al polso la propria musica preferita, anche offline. Questo il plus dichiarato dello sportwatch della serie Fenix 5 Plus con l’applicazione Spotify immediatamente accessibile grazie alla piattaforma Connect IQ. Basta disporre di una iscrizione premium al popolare servizio di streaming, e l’ascolto dei brani, direttamente dall’orologio e tramite cuffie Bluetooth, è cosa fatta. A disposizione degli utenti anche la funzione Garmin Pay per i pagamenti contactless. Costa 700 euro.


APPLE WATCH SERIES 4 Schermo più grande del 30% rispetto al modello precedente (senza aumentare le dimensioni della cassa), scheda grafica il doppio più veloce, rotellina più precisa e reattiva al tocco. Gli ingegneri di Apple non si sono risparmiati nel progettare la quarta generazione di smartwatch della casa che, malgrado le prestazioni maggiori, garantisce ancora 18 ore di autonomia. Ma la novità principale di questo dispositivo è il sensore per misurare il battito cardiaco, diventato talmente affidabile da riuscire a elaborare in un minuto e mezzo un elettrocardiogramma quasi professionale. In attesa delle approvazioni delle agenzie sanitarie, la funzionalità non è ancora disponibile in Italia. I prezzi partono da 439 euro e, finalmente, è arrivata anche nel nostro Paese la versione con connettività Lte integrata (da 539 euro).

SONY WH-1000XM3

Per gli appassionati di musica, queste cuffie circumaurali ad archetto sono la garanzia di un ascolto in assenza completa di suoni provenienti dai mezzi di trasporto, dalla strada e dalle voci. Dotate di connettività Bluetooth, beneficiano infatti del sistema HD Noise Cancelling Processor QN1, che promette prestazioni quattro volte superiori rispetto al precedente modello. Ideali per chi viaggia spesso in aereo, grazie a una funzione che ottimizza il livello di eliminazione del rumore a seconda dell’altitudine. Prezzi nell’ordine dei 300 euro.

GOOGLE PIXEL 3/3 XL

Con i nuovi Pixel 3 e Pixel 3 Xl, Google punta (di nuovo) sull’intelligenza artificiale. Questi smartphone da 5,5 e 6,3 pollici sono i diretti concorrenti dei prodotti targati Apple, Samsung e Huawei e offrono le migliori sinergie possibili con Google Assistant e Android, installato senza personalizzazioni. Gli algoritmi di Ai migliorano in automatico le immagini catturate dalle tre fotocamere e velocizzano le routine quotidiane. La qualità dell’hardware è ovviamente di tutto rispetto, così come il prezzo: si parte da 899 euro.

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VETRINA HI-TECH

PRODUTTIVITÀ IBRIDA MICROSOFT SURFACE PRO 6 Nuova generazione di tablet 2-in-1 per Microsoft, che ha cambiato poco a livello di design rispetto ai modelli del 2017: stesso display da 12,3 pollici e tastiera ricoperta in Alcantara. Internamente, però, l’ibrido è stato riprogettato a livello di sistema di raffreddamento per aumentare la durata della batteria, che ora arriva teoricamente a 13,5 ore. I Pc si sono arricchiti dei processori Intel Core di ottava generazione e di un nuovo colore nero satinato. Assente ancora inspiegabilmente la porta Usb-C.

HP SPECTRE FOLIO Per i nuovi Spectre Folio, Hp ha puntato tutto sull’estetica e sul feeling del dispositivo. Il convertibile è infatti rivestito interamente in pelle ed è commercializzato nei colori Cognac Brown e Bordeaux Burgundy. La seconda peculiarità del 2-in-1 è il sistema di magneti posizionato lungo la scocca, che permette di agganciare con una sola mano schermo (da 13,3 pollici) e tastiera nelle posizioni notebook, tenda e tablet. La novità di Hp supporta anche la tecnologia Dual eSim, che permette di utilizzare una nano Sim fisica e una virtuale.

LENOVO YOGA C630 WOS La sigla Wos significa Windows on Snapdragon e indica un Pc dotato di processori realizzati da Qualcomm (e non da Intel), come quelli che tipicamente si trovano negli smartphone. Con questa configurazione, l’ibrido di Lenovo garantisce oltre 25 ore di autonomia e connettività 4G nativa. Proprio come quella dei cellulari. Lo schermo touch da 13,3 pollici è un Full Hd, con cui è possibile interagire utilizzando anche il pennino opzionale. Completano il quadro 4 o 8 GB di Ram e due porte Usb-C, una su entrambi i fianchi della scocca.

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GARANTIRE LA RISERVATEZZA DEI DATI: UNA CRESCENTE SFIDA PER LA GESTIONE DELLA STAMPA E DEI DOCUMENTI.

19%

40%

SAPEVATE CHE LA DIRETTIVA GDPR 8? ENTRA IN VIGORE IL 25 MAGGIO 201

51*%

Sì, ma non ero a conoscenza delle scadenze

No, non so che cosa sia il GDPR

Percentuale degli acquirenti di stampanti non consapevoli che il GDPR riguarda anche le attività di stampa

41% Sì

ENZIALI VULNERABILITÀ PROTEZIONE DEI DATI DEI CLIENTI: POT DELLE PRASSI AZIENDALI ASSOCIATE ALLA TRASFORMAZIONE

info

TRE PRINCIPALI PUNTI DOLENTI DA AFFRONTARE RELATIVI AI WORKFLOW AZIENDALI*

CRESCITA ESPONENZIALE DELLE INFORMAZIONI: DA 16,12 ZETTABYTE NEL 2016 A 163 ZETTABYTE NEL 2025

CAMBIAMENTO DELLE MODALITÀ DI LAVORO

50% 30% 29%

Gestione dei workflow cartacei rispetto a quelli elettronici Mancata integrazione dei workflow nei vari dipartimenti Difficoltà a trovare documenti e informazioni

I DELLA SICUREZZA AUMENTA IL RISCHIO DI VIOLAZION

COME ESSERE CONFORMI CON LA NORMATIVA? AUDIT Soluzioni per la gestione e il monitoraggio della stampa

ACCESSO PROTETTO Accesso sicuro, autenticazione e autorizzazioni

SICUREZZA DEI DISPOSITIVI Eliminazione del rischio di accesso ai dati presenti sul dispositivo

PROGRAMMA 10 PUNTI BROTHER Brother ha redatto un programma di 10 punti che le aziende dovrebbero considerare come parte integrante delle iniziative per rendere il business sicuro ed essere conformi alle normative sulla riservatezza dei dati.

* Fonte "Garantire la riservatezza dei dati: una crescente sfida per la gestione della stampa e dei documenti" - IDC 2018

www.brother.it


© Copyright 2018 Fujitsu Technology Solutions GmbH Fujitsu, il logo Fujitsu e i marchi Fujitsu sono marchi di fabbrica o marchi registrati di Fujitsu Limited in Giappone e in altri paesi. Altri nomi di società, prodotti e servizi possono essere marchi di fabbrica o marchi registrati dei rispettivi proprietari e il loro uso da parte di terzi per scopi propri può violare i diritti di detti proprietari. I dati tecnici sono soggetti a modifica e la consegna è soggetta a disponibilità. Si esclude qualsiasi responsabilità sulla completezza, l’attualità o la correttezza di dati e illustrazioni. Le denominazioni possono essere marchi e / o diritti d’autore del rispettivo produttore, e il loro utilizzo da parte di terzi per scopi propri può violare i diritti di detto proprietario. Schermate simulate, soggette a modifica. App Windows Store vendute separatamente. La disponibilità di app e l’esperienza possono variare in base al mercato.

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