Technopolis 32

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NUMERO 32 | FEBBRAIO/MARZO 2018

STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE

IL NEGOZIO È NELLA NUVOLA

TRASFORMAZIONE

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Il progresso tecnologico incide sempre di più sulla vita dei cittadini. Il destino incrociato di uomini e macchine.

CYBERCRIME

Intelligenza artificiale, mixed reality, cloud: il digitale arricchisce l'esperienza d’acquisto. Eataly fa scuola.

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Gli hacker sono sempre più attivi sul fronte della politica internazionale. Ma il danno è anche economico.

QUANTO PIACE L’S9?

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Abbiamo analizzato il sentiment degli utenti Twitter sul nuovo smartphone di Samsung. Pochi i commenti negativi.


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SOMMARIO STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE

N° 32 - FEBBRAIO/MARZO 2018 Periodico bimestrale registrato presso il Tribunale di Milano al n° 378 del 09/10/2012 Direttore responsabile: Emilio Mango Coordinamento: Gianni Rusconi Hanno collaborato: Alessandro Andriolo, Piero Aprile, Valentina Bernocco, Roberto Bonino, Carlo Fontana

4 STORIE DI COPERTINA

Il negozio su misura vola nella nuvola

9 IN EVIDENZA

Dalle startup a Industria 4.0, pioggia di miliardi per l’innovazione A Modena va in scena la fabbrica X.0

Il Gdpr? Si rispetta grazie al cloud

Privacy digitale, nuove regole in arrivo

Il peso dei rifiuti elettronici

I Cfo italiani amano il fintech

La tecnologia spingerà il commercio nel baratro?

Il 5G anticipa i tempi

Progetto grafico: Inventium Srl Foto e illustrazioni: Istockphoto, Adobe Stock Images, Martina Santimone

16 DATA JOURNALISM

L’economia digitale non è per tutti

18 INNOVAZIONE

Editore, redazione, pubblicità: Indigo Communication Srl Via Correggio, 48 - 20149 Milano tel: 02 36505844 info@indigocom.it www.indigocom.it Stampa: Imprimart s.r.l. Desio (MB) © Copyright 2017 Indigo Communication Srl Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati. Il Sole 24 Ore non ha partecipato alla realizzazione di questo periodico e non ha responsabilità per il suo contenuto.

Dai consumi al business: cosa ci porta il 2018

Trasformazione avanti adagio

Crimine in incognito e senza confini

Capitali e non solo: l’ecosistema delle startup non c’è

Un esercito di imprese innovative, ma troppo piccolo

I sei miti, da sfatare, della blockchain

Chi ha paura del pensiero artificiale?

34 EXECUTIVE ANALYSIS

Quanto è complicato gestire il software

Velocità e controllo priorità per i Cio

44 ECCELLENZE.IT Ansaldo Energia - Kaspersky Lab

Paiardini Tino - TeamSystem

Laboratori Fabrici - Sap

International Experiential School - Lenovo

48 VETRINA HI-TECH Primavera tecnologica

Pubblicazione ceduta gratuitamente.


STORIA DI COPERTINA | Eataly Perpiciatis

IL NEGOZIO SU MISURA VOLA NELLA NUVOLA

Dall’intelligenza artificiale alla realtà mista, passando per il cloud: le tecnologie digitali trasformano le modalità di vendita e rendono sempre più personale l’acquisto. Eataly fa scuola.

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a una parte ci sono i consumatori, sempre più volubili e desiderosi di vivere esperienze di acquisto uniche e personalizzate, dove online e offline si intrecciano per dare vita a “customer journey” ognuno diverso dall’altro, costruiti su misura per il singolo individuo. Dall’altra si muovono aziende e brand, che devono utilizzare tutti i dati disponibili per comprendere i bisogni dei loro clienti, consolidare la relazione con questi soggetti e fidelizzarli. Il ponte che collega questi due mondi, facile intuirlo, è la tecnologia. Oltre l’80% dei retailer italiani, come attesta una recente ricerca condotta da Microsoft in collaborazione con Retail Institute, ha

in corso progetti di trasformazione digitale e un ulteriore 9% sta pianificando di avviare un processo d’innovazione nel prossimo futuro. L’evoluzione della domanda e la consapevolezza dell’insufficiente connessione fra team e processi sono i principali motori, strettamente correlati fra loro, di questa trasformazione. Quanto ai benefici percepiti o attesi, la produttività, la migliore user experience e il maggior coinvolgimento della clientela sono di gran lunga le voci più ricorrenti fra i retailer che oggi scommettono sul digitale, puntando in particolare sulle soluzioni di Business Intelligence (per valorizzare i dati e anticipare le esigenze dei consumatori) e sul cloud computing (per accedere in modo


UN GESTIONALE IN CLOUD AL POSTO DEL VECCHIO ERP

Andrea Guerra

semplice e flessibile ad applicazioni complesse). Anche l’Internet of Things, il machine learning e l’intelligenza artificiale sono gli elementi portanti del ponte che unirà in modo sempre più vincolante consumatori e brand. In futuro acquisteremo dunque abiti e generi alimentari in modalità completamente “self service”, come già avviene nel negozio Amazon Go di Seattle? Difficile a dirsi, oggi, ma alcune proiezioni suggeriscono che entro il 2020 decine di milioni di consumatori faranno shopping utilizzando applicazioni di realtà aumentata. Il punto vendita fisico sta dunque cambiando faccia per offrire un’esperienza di acquisto diversa, più interattiva e gratificante, in cui

Il propulsore che spinge la trasformazione digitale in Eataly, in un’ottica di ripensamento dei processi aziendali e non solo di mera migrazione tecnologica, è Dynamics 365 for Operations, piattaforma cloud di Microsoft che integra molteplici applicazioni dedicate al settore retail. Nel caso specifico, adottata dopo aver abbandonato il vecchio e customizzato sistema Erp, attivo in modalità on-premise. Il progetto del nuovo gestionale, denominato “LEO”, verrà finalizzato nei prossimi mesi e coinvolge le filiali italiane ed europee dell’azienda, impattando sul modus operandi di oltre duemila dipendenti e sull’intera filiera dei fornitori, intervenendo a supporto dei flussi logistici, delle procedure amministrative e relative alle risorse umane. In prospettiva Eataly punta all’utilizzo di altre sue componenti, a cominciare dal Crm, con cui si stanno muovendo i primi passi. La flessibilità del cloud, in questo senso, incontra perfettamente la dinamicità dell’azienda e la necessità di accedere sempre e ovunque, anche da smartphone e tablet, alle applicazioni e al patrimonio informativo. Attraverso il nuovo sistema “LEO”, Eataly già oggi può gestire con un unico strumento integrato l’area mercato e l’area ristorazione dei negozi, con una visione sincronizzata dei due business. L’idea di fondo è fare innovazione coniugando due aspetti fra loro complementari: da una parte analizzare e recuperare grandi e piccole criticità di processo (le attività quotidiane degli addetti, per esempio), dall’altra aumentare il livello di conoscenza su preferenze e comportamenti dei clienti in tutto il mondo.

il digitale diventa sinonimo di maggiore qualità del servizio. User experience 4.0

In Eataly, arrivata a festeggiare il proprio decennale con 39 negozi nel mondo e con circa cinquemila addetti in organico, è stato intrapreso con il

supporto di Microsoft e di Capgemini Italia un percorso di trasformazione digitale su vari livelli. Spicca, fra i diversi progetti in essere, un nuovo modello d’interazione con il cliente che verrà attivato prossimamente attraverso il servizio di spesa online Today: grazie all’utilizzo di chatbot, il consuma5


STORIA DI COPERTINA | Eataly

tore potrà comunicare da remoto, via cloud, con il personale del negozio e dei banchi vendita. Si testeranno, inoltre, software di intelligenza artificiale in grado di dialogare con le persone attraverso messaggi scritti e vocali, creando per il cliente un’esperienza “liquida” sia per lo shopping nel negozio fisico, sia in quello virtuale. Strumenti di realtà mista offriranno infine al consumatore un insieme di contenuti multimediali di approfondimento sui prodotti in vendita (la visita virtuale a un frantoio nel momento di estrazione dell’olio, per esempio). Creare un’esperienza immersiva per i clienti, ovunque essi siano e con uno storytelling adeguato per raccontare loro i servizi offerti, è del resto il pensiero fisso di Andrea Guerra, executive chairman di Eataly. “Anticipare le esigenze dei clienti significa essere visionari e dinamici, due caratteristiche che parlano molto del nostro modello di business”, racconta il manager a

Technopolis. “Lavoriamo con il digitale per espandere l’esperienza di degustazione, conoscenza e acquisto legata al cibo, rendendola unica e fruibile oltre le mura dei negozi fisici”. A supportare questa visione “clientecentrica” c’è naturalmente un’infrastruttura tecnologica, fortemente appoggiata al cloud, che dovrà assicurare efficienza e razionalizzazione all’intera catena delle operazioni, per avere un quadro dell’andamento del business aggiornato in tempo reale e maggiore velocità nei processi di back-office e front-office. “L’obiettivo finale”, aggiunge Guerra, “è quello di garantire una esperienza di acquisto calda ed emozionante, rendendola allo stesso tempo più accessibile in termini di conoscenza e contenuti”. Perché un “customer journey” di successo, in definitiva, è quello che garantisce continuità alle vendite. E al business. Gianni Rusconi

LA BOUTIQUE È VIRTUALE

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“Nel breve periodo il virtual shopping sarà ancora legato alla trasformazione tecnologica dell’esperienza di acquisto da parte dei retailer, che lo useranno per fidelizzare la clientela. Con il tempo, però, il negozio virtuale sarà l’unico modo per affrontare in modo sostenibile i cambiamenti del mercato: la customizzazione diventerà di massa, rispetto a una visione orientata ai servizi e non alla vendita in serie”. Parole di Andrey Golub, founder e Ceo di Else Corp (Exclusive Luxury Shopping Experience). La startup milanese, nata nel 2014, ha sviluppato una piattaforma di realtà virtuale appoggiandosi al cloud e alle tecnologie di realtà mista (visore compreso) e di intelligenza artificiale di Microsoft. La sua missione, sposata da marchi come Thierry Rabotin e Leonardi Milano, è quella di fondere i vantaggi dello shopping online e offline in un modello (digitale) che consente al cliente di visualizzare l’intera collezione e di personalizzare, per ogni specifico prodotto, un’ampia varietà di finiture e dettagli. Il negozio fisico, in altre parole, si trasforma in uno spazio concettuale dove si concretizza una “customer experience” realmente innovativa, fatta di modellazione in 3D (per configurare l’abito secondo i propri gusti) e di algoritmi di machine learning e deep learning, che affinano le predizioni sulle esigenze di stile e taglia del singolo cliente. Un vezzo per pochi?


Shopping digitale ma anche “umano” Lee Gill, group vice president e global head, retail strategy di Jda, traccia una previsione sul futuro del commercio.

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ersone, tecnologie, mercati: sono i tre cardini intorno ai quali ruota il cambiamento del settore retail. Una rivoluzione cominciata con le prime piattaforme di e-commerce, proseguita con i social network e con gli acquisti da smartphone e poi, ancora, stravolta innumerevoli volte da chi, come Amazon, ha saputo azzardare nuovi modelli di business. “Siamo solo all’inizio del viaggio”, sintetizza Lee Gill, group vice president e global head, retail strategy di Jda. “Le nuove generazioni di clienti sono fanatiche di tecnologie, sono influenzate dai social media e molto comunicative. Ma questa è solo una componente della sempre più variegata clientela odierna, fatta di persone molto diverse e che vogliono cose diverse. E ciò rappresenta una sfida per i retailer”. Il secondo capitolo di cambiamento è la tecnologia, che certo non si limita all’affermazione degli acquisti tramite smartphone. “Non tutti hanno compreso l’importanza dell’intelligenza artificiale, la sua capacità di orientare l’esperienza e il coinvogimento dei clienti”, osserva Gill, spiegando come il machine learning e l’analisi di grandi quantità di dati permetteranno di ipersegmentare il pubblico e di come, combinandosi con sensori e oggetti Internet of Things, consentiranno di ottimizzare l’intera supply chain. Sarà bene tenere d’occhio anche gli smart speaker, per

cui Jda prevede “un’ascesa verticale”. A detta di Gill, “nell’arco di due o tre anni le tecnologie vocali verranno incorporate su un crescente numero di oggetti, dagli elettrodomestici alle automobili, per consentire di fare ordini in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo. Prevediamo anche che le comunicazioni vocali si combineranno con i video”. Un segnale di tale tendenza si è già visto sulla variante dotata di schermo dello smart speaker di Amazon, Echo Show e sullo Smart Display di Google (prodotto da Lg, Lenovo e altri marchi). La terza forza distruttiva saranno i retailer stessi, quelli più innovativi. Il pensiero corre all’apripista Amazon ma anche alla cinese Alibaba, entrambe capaci di coltivare fonti di fatturato alternative all’iniziale core business. “Società come queste ormai vendono di tutto, online e offline, potendo vantare una base di clienti molto ampia e una forte differenziazione del business”, fa notare Gill. La diversificazione delle attività (cloud, servizi di streaming video e musicale, negozi fisici) consente a questi soggetti di non preoccuparsi di rendere profittevole il business principale delle vendite, in cui si praticano logiche di prezzo aggressive. Secondo un’indagine commissionata da Jda a Rsr Research (con 109 dirigenti, Cio e manager intervistati a fine 2017), i retailer più innovatori ottengono migliori risultati economici sul medio e lungo termine. A distinguerli ci sono tre caratteristiche: in percentuali maggiori rispetto ai retailer “tradizionalisti”, gli innovatori forniscono prodotti e servizi di altissima qualità, sono molto più veloci e reattivi e hanno saputo cambiare radicalmente la user experience. V.B.

IL NEGOZIO DI ZARA È “FAI DA TE” Si trova a Londra, nel centro commerciale Westfield Stratford. E chiuderà i battenti a fine maggio 2018. Quello di Zara, il marchio di abbigliamento di proprietà della spagnola Inditex, è uno spazio “a tempo” che coniuga mondo digitale e fisico, privo di camerini dove provare gli abiti e di casse dove pagare la merce acquistata. L’esperienza di shopping, infatti, si completa online con i tablet in dotazione allo staff e con sistemi Pos mobili collegati via Bluetooth al sistema centrale. E la prova dell’abito? La si fa di fronte a specchi che nascondono monitor dotati di tecnologia Rfid per mostrare al cliente dettagli quali il prezzo, la taglia e i possibili abbinamenti con altri capi disponibili. La realtà virtuale che “veste” il cliente con l’abito scelto qui non c’è, ma sarà presente, probabilmente, nel punto vendita che Zara aprirà nel centro della capitale britannica una volta terminata la sperimentazione del temporary store. Nel nuovo negozio ci saranno “specchi magici”, schermi interattivi semitrasparenti che mostreranno le ultime collezioni e uno spazio per il ritiro veloce (grazie a un sistema di QR code) degli acquisti online.

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IN EVIDENZA

l’analisi

DALLE STARTUP A INDUSTRIA 4.0, PIOGGIA DI MILIARDI PER L’INNOVAZIONE. MA SARÀ TUTTO VERO?

“Il secondo capitolo del Piano Impresa 4.0 nel 2018 varrà 9,8 miliardi di euro, l’anno scorso abbiamo destinato 20 miliardi. Complessivamente il piano va molto bene, perché gli investimenti sono cresciuti dell’11%, una percentuale cinese, molto superiore a quella tedesca”. Parole pronunciate a metà febbraio, prima della tornata elettorale, dal ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda. Parole forti, tese a riaffermare il fatto che sul tema dell’innovazione il vecchio esecutivo non sia rimasto a guardare e abbia tracciato la strada verso quello che deve essere, per i prossimi mesi, il secondo grande obiettivo da perseguire: le competenze. “Dobbiamo spostare ora il focus sulla formazione, perché è un elemento cardine per non spiazzare i lavoratori, e introdurremo un credito d’imposta per riformare le professionalità a rischio”, aveva detto un mese fa il ministro. L’aver esteso i principi alla base del piano Industria 4.0 a una dimensione più ampia, quella dell’impresa nella sua interezza, è stato il grande passo in avanti di Calenda, anche se non tutte le aziende (e molto poche, in particolare, tra le piccole e medie) hanno seriamente iniziato a considerare la trasformazione digitale come una concreta opportunità di rivoluzionare processi, modelli operativi e organizzazione. E non solo come mera occasione, tattica e legata agli incentivi fiscali, per rinnovare il parco macchine. Ci sono però almeno altri due tavoli sui quali il nuovo esecutivo dovrà confrontarsi. Uno è quello della banda ultralarga,

Il Mise ha annunciato ulteriori 9,8 miliardi di risorse nel 2018 per il piano Impresa 4.0. Al nuovo Governo si chiedono altri due miliardi per le imprese innovative. per cui l’aspettativa di Calenda (e non soltanto sua) era ed è quella di un intervento sostanziale del settore privato negli investimenti destinati alle aree grigie e nere del Paese, là dove ci sono le imprese, per completare un circolo virtuoso di nuova infrastrutturazione che le risorse pubbliche hanno avviato nelle aree bianche a fallimento di mercato. Il secondo è quello delle startup. L’Italia, come dimostrano tutti gli ultimi dati (ne parliamo alle pagine 29 e 32), ancora non riesce a spiccare il salto che servirebbe per iniziare a ridurre il gap esistente con gli altri Paesi europei in fatto di raccolta di finanziamenti, venture capital e progetti di incubazione/ accelerazione. Nella Penisola, per capirci, si investe in startup un ventesimo rispetto alla Francia, 110 milioni contro circa due miliardi. Esiste dunque un problema irrisolto, per cui gli strumenti

messi a disposizione finora dal governo (in termini di agevolazioni fiscali e di minori vincoli costitutivi per le startup) hanno funzionato solo in parte. C’è chi, come Alberto Onetti, presidente di Mind the Bridge e Startup Europe Partnership (iniziative nate per sostenere le giovani realtà tecnologiche), chiede al nuovo Governo più finanziamenti per dare una scossa decisiva all’ecosistema dell’innovazione nostrano. “Servirebbero uno o due miliardi di euro di capitali pubblici in co-investimento, che poi farebbero da volano per i capitali privati”, è la ricetta di Onetti per uscire dal nanismo e stare al passo con gli altri Paesi. Per “cucinarla” servono risorse ma serve anche chi – a Palazzo Chigi e dintorni – possa governare questo salto evitando inutili e dannose dispersioni. Gianni Rusconi

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IN EVIDENZA

A MODENA VA IN SCENA LA FABBRICA X.0 Accenture ha accolto Hpe Coxa all'interno del proprio network di innovazione nell'ambito dell'IoT per l'industria

Più che un centro è una vera e propria industria, uno spazio produttivo in cui la digitalizzazione si riesce a toccare con mano. Un prototipo già funzionante di fabbrica del futuro, in altre parole, che si muove rispetto a un concetto ben preciso e fondamentale nella visione di innovazione di Accenture: l’Industry “X.0”. La società americana, la più grande nel campo della consulenza tecnologica attiva in Italia, ha inserito nel circuito dei propri Industry X.0 Innovation Center Network (comprensivo di altri 23 “centri” in tutto il mondo) anche Hpe Coxa, azienda modenese specializzata nell’ingegnerizzazione di soluzioni per i settori automobilistico/motoristico e automazione. Su 250 dipendenti, 170 sono ingegneri e fra i suoi principali clienti c’è la Ferrari. Il cuore del progetto è l’interconnessione di tre macchine a controllo numerico per la fresatura-tornitura di elevata precisione con la piattaforma di IoT industriale di Accenture, a sua volta appoggiata al cloud di Microsoft (Azure). Ogni macchina alimenta in tempo reale la piattaforma con un flusso dati che gli addetti incaricati possono visualizzare, in forma aggregata e rielaborata, 10

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su un totem multimediale e su qualsiasi computer o tablet connesso a Internet, anche trovandosi all’esterno della rete aziendale attraverso un sistema sicuro di accesso. Il vantaggio? È duplice. La possibilità di utilizzare in modo integrato i dati prodotti dagli impianti e dai sensori beacon all’interno dei gestionali di fabbrica (Erp e Mes) aumenta la capacità di analizzare in ogni momento lo scenario produttivo e di conseguenza intraprendere, su base quotidiana, le eventuali azioni correttive; in secondo luogo, si va ad alimentare lo storico di informazioni (dati di processo e comportamenti degli addetti sulle macchine) funzionali ad apportare interventi di ottimizzazione e di miglioramento continuo. Nel paniere degli strumenti tecnologici della fabbrica X.0 ci sono anche gli smartwatch in dotazione agli operatori e ai supervisori di fabbrica, sui quali vengono inviate notifiche di allarme in real time con l’intento di ridurre il più possibile i tempi morti dovuti al fermo macchina. Con gli smart glass forniti agli addetti incaricati delle attività di setup e manutenzione delle macchine, infine, si possono ridurre i tempi di fermo degli impianti.

500 MILIONI PER LE STARTUP Microsoft ha annunciato il mese scorso un investimento biennale di mezzo miliardo di dollari per un nuovo programma globale, evoluzione di BizSpark e BizSpark Plus. Il piano vuole offrire agli startupper risorse tecnologiche (come la piattaforma cloud Azure e la suite Dynamics), l’accesso alla rete di partner (oltre 800mila nel mondo) e ai contatti forniti dalla sussidiaria di venture capital di Microsoft. Il piano prevede anche l’apertura di nuovi spazi fisici di incontro (i “Reactors”) a Londra, Berlino, Sydney, Tel Aviv, Shanghai e Pechino. In Italia, la società ha già supportato circa seimila startup.

ITALIA CHIAMA SILICON VALLEY Un binomio atipico, quello formato da Cassa Depositi e Prestiti e da Talent Garden, la più grande piattaforma europea di networking e formazione per l’innovazione digitale. Un binomio nato con l’intento di accelerare lo sviluppo delle aziende innovative italiane grazie al trasferimento di competenze e know-how direttamente dal cuore del polo tecnologico californiano. Per farlo verrà costituita una joint-venture e verrà aperto a San Francisco, entro fine anno, un vero e proprio “Italian Innovation Hub” che, si legge in una nota, fungerà da ponte per collegare le realtà tricolori alle aziende estere, principali player a livello globale nei vari settori di riferimento. Oltre che alle startup, il progetto è aperto a università, venture capital, imprese grandi e piccole, istituzioni e in generale a tutti i soggetti che possano generare valore per il sistema produttivo.


IL GDPR? SI RISPETTA GRAZIE AL CLOUD La domanda sorge spontanea: le imprese sono pronte? La risposta, ovviamente generalizzando e sintetizzando, è: no. O meglio, le grandi imprese, dotate da tempo di organismi e manager preposti alla sicurezza e alla privacy (pensiamo per esempio alle banche) sono a buon punto, anche perché, soprattutto nel nostro Paese, le regole sulla privacy erano già piuttosto severe anche prima del Gdpr. Ma per mettersi in regola e in sicurezza servono tempo, persone, know-how e soldi. Ed è facile stimare che le Pmi italiane, corrispondenti alla stragrande maggioranza del nostro tessuto imprenditoriale, non abbiano avuto a disposizione queste risorse in quantità sufficiente per arrivare preparate all’appuntamento di maggio. “Il problema”, dice Antonio Matera, sales manager di Opentext Italia, “è che le regole del Gdpr si applicano allo stesso modo per qualsiasi dimensione aziendale e per qualsiasi settore industriale. E naturalmente in Italia le piccole e medie imprese manifatturiere non hanno risorse e know-how sufficienti per mettersi in regola. La

Carlo Mauceli

Il 25 maggio diventano operative le direttive del nuovo regolamento europeo sulla protezione dei dati. Le Pmi italiane non sono pronte, ma l’It sulla nuvola potrebbe aiutarle ad adeguarsi più rapidamente. soluzione, per loro ma in generale per molte organizzazioni, è quella di ricorrere a partner esperti e affidabili e alle tecnologie in cloud, che consentono di arrivare all’obiettivo in modo più flessibile, veloce ed economico ri-

spetto a quelle on-premise. Insomma, l’idea potrebbe essere quella di ricorrere a soluzioni sotto forma di servizi e non di prodotti”. D’altronde, lo stato attuale della sicurezza informatica delle imprese italiane non è certo “rassicurante”. Lo dice una ricerca Idc, confortata dai più recenti dati Clusit, che stima in 900 milioni di euro i costi (in termini di danni e di ripristino degli stessi) subiti dalle aziende del nostro Paese a fronte di cyberattacchi e falle nei sistemi It. Di nuovo, il cloud viene in aiuto degli imprenditori in difficoltà: “I grandi provider di soluzioni per la sicurezza hanno già investito per far sì che i loro sistemi siano difendibili”, dice Carlo Mauceli, national digital officer di Microsoft Italia. “Noi ad esempio spendiamo un miliardo di dollari l’anno per far sì che i dati che risiedono nei nostri data center siano al sicuro. Le imprese, quindi, possono sfruttare questi investimenti, progettando e implementando architetture ibride che, almeno in parte, siano basate su risorse in cloud”. Emilio Mango

PRIVACY ELETTRONICA, NUOVE REGOLE IN ARRIVO Il Gdpr potrebbe non essere l’ultimo passo nel percorso che porterà a una maggiore tutela dei dati, in generale, e di quelli personali in particolare. La Commissione Europea sta studiando nuove regole anche per l’e-privacy, regole che paradossalmente potrebbero essere molto più dirompenti per le aziende di quanto non lo siano quelle del Gdpr. L’e-privacy andrebbe, infatti, a colpire tutte quelle pratiche di e-marketing ed e-commerce che fanno già parte della

vita quotidiana degli utenti e su cui si basano molte attività di comunicazione e promozione delle aziende, che nell’era della multicanalità utilizzano abbondantemente i mezzi digitali. Luigi Montuori, dell’Ufficio del Garante per la protezione dei dati personali, conferma che l’Europa sta studiando il problema: “Ci stiamo occupando dell’e-privacy su più livelli, offrendo il nostro contributo all’iniziativa europea. Inizialmente, l’idea era quella di

avere un testo pronto per il 25 maggio, ma con tutta probabilità non si arriverà in tempo. D’altronde, il Gdpr ha avuto una gestazione di ben quattro anni, dal 2012 al 2016, anche per effetto delle pressioni delle lobby”. Anche nel caso dell’e-privacy, il timore è che le grandi multinazionali come Google e Amazon impongano la loro visione della tutela dei dati, a scapito degli utenti o delle piccole e medie imprese che operano con il digitale.

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IN EVIDENZA

Smartphone, grandi e piccoli elettrodomestici, televisori e molto altro: nel 2017 il consorzio Remedia ha raccolto 90mila tonnellate di prodotti giunti al fine vita. Un incremento del 34% rispetto al 2016.

LA FRODE VIAGGIA VIA MAIL

IL PESO DEI RIFIUTI ELETTRONICI Novantamila tonnellate. È questa la quantità di rifiuti tecnologici raccolta nel 2017 da Remedia, il principale sistema collettivo italiano per la gestione ecosostenibile della “spazzatura” elettrica ed elettronica. I numeri, inclusivi anche di 55mila tonnellate di rifiuti pericolosi, sono importanti e testimoniano una crescita del 34% rispetto a due anni fa. Entrando nel dettaglio del materiale raccolto, si nota come l’81,3% dei rifiuti provenga da nuclei familiari, il 7,6% da aziende ed enti pubblici e la parte restante sia costituita da pile e accumulatori portatili, industriali e per veicoli. Ma quali sono le categorie di prodotti più smaltite? Al primo posto si posizionano televisori e monitor, con 36mila tonnellate (+32%

rispetto al 2016), seguiti dai dispositivi di elettronica di consumo/informatici e piccoli elettrodomestici (12mila tonnellate, +32%). In crescita, sottolinea Remedia, anche il raggruppamento R2, che riunisce i “grandi bianchi” come lavatrici e lavastoviglie. Le tonnellate raccolte in questo caso sono state oltre 6.800, per un incremento del 23% anno su anno. Infine, hanno registrato un balzo in avanti anche gli apparecchi della categoria “freddo e clima”, come ad esempio i condizionatori, e le sorgenti luminose, con un aumento rispettivamente del 12% e del 29%, pari a 18mila e a 67 tonnellate. In dieci anni di attività il consorzio ha rastrellato rifiuti elettrici ed elettronici per oltre 500mila tonnellate. A.A.

Le frodi via mail sono più vive che mai. Nell’ultimo trimestre del 2017 i tentativi di attacco hanno coinvolto l’88,8% delle aziende, un dato in forte crescita se paragonato allo stesso periodo dell’anno precedente, quando i messaggi fraudolenti avevano interessato il 75% delle imprese. Secondo le cifre più recenti fornite da Proofpoint, in media ogni società riceve 18,5 email a trimestre contenenti una potenziale frode. Le tipologie di attacco sono sostanzialmente due: quelli individuali, mirati a specifici ruoli aziendali, e quelli ad ampio spettro. Nel primo caso i criminali si fingono una figura di rilievo all’interno dell’impresa, come l’amministratore delegato, e provano a raggirare un altro dirigente della massima importanza, come il direttore finanziario. Negli attacchi caratterizzati da una portata più ampia, invece, i truffatori si rivolgono a un gruppo di destinatari (come ad esempio un intero team finanziario) sostituendosi a più di un manager alla volta. I messaggi vengono solitamente composti ricorrendo a sofisticati metodi di ingegneria sociale e sfruttando anche le informazioni reperibili sul Web, con l’obiettivo di renderli più credibili.

LA GUERRA DEI BRACCIALETTI VISTA DALLE HR Braccialetto sì o braccialetto no? A febbraio ha fatto discutere una richiesta di brevetto di Amazon per un dispositivo elettronico indossabile, progettato per aumentare la produttività degli addetti al magazzino: l’oggetto è in grado di monitorare con estrema precisione i movimenti delle mani dei dipendenti e di guidarle nella giusta direzione, con l’obiettivo di ridurre gli errori nello stoccaggio della merce

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e velocizzare le operazioni. Un progetto che, pur essendo ancora in una fase embrionale, ha proiettato il colosso dell’e-commerce nell’occhio del ciclone con l’accusa di voler spiare i propri dipendenti. Ma che cosa pensano le aziende italiane di un dispositivo di tal fatta? Secondo i dati raccolti dall’Aidp, l’Associazione Italiana per la Direzione del Personale, il 75% dei pro-

pri iscritti considera il braccialetto uno strumento utile per migliorare la produttività, anche se il 43% intravede qualche rischio di violazione della privacy. Inoltre, per il 56% degli intervistati se una soluzione di questo genere venisse configurata per garantire l’efficienza e non soltanto il mero controllo, essa non sarebbe da giudicarsi incompatibile con le normative italiane.


SATISPAY ENTRA IN BANCA

I CFO ITALIANI AMANO IL FINTECH Secondo uno studio di Istituto Piepoli per Soldo, oltre la metà dei chief information officer delle piccole e medie imprese è favorevole all’uso di strumenti di gestione finanziaria innovativi. Più della metà dei responsabili finanziari delle piccole e medie aziende italiane, il 54%, giudica positivamente l’uso di soluzioni fintech all’interno della propria organizzazione. E circa i due terzi dei lavoratori si dicono favorevoli all’utilizzo di strumenti digitali tesi a ridurre gli sprechi e a ottimizzare le spese. Lo afferma uno studio indipendente condotto da Istituto Piepoli per conto di Soldo, startup salita alla ribalta per il proprio sistema di carte prepagate per aziende e privati. L’indagine, eseguita su 300 direttori amministrativi di Pmi italiane e su un centinaio di dipendenti, ha approfondito le inefficienze nei processi di gestione delle note spese e degli anticipi di cassa, problema che soluzioni come quella di Soldo possono risolvere automatizzando

operazioni onerose e a basso valore aggiunto. L’iter di controllo mensile effettuato per identificare quali spese siano state effettuate e da chi con il denaro della società, per esempio, richiede mediamente troppo tempo (anche più di otto ore nel 5% dei casi) mentre servono in media due ore per completare un acquisto di qualsiasi natura per la propria azienda. Perciò l’idea di una carta prepagata e controllata in tempo reale viene giudicata dal 54% dei Cfo interpellati come un modo per spendere i soldi aziendali più responsabilmente, riducendo anche i tempi delle attività di compilazione delle note spese. Del resto, il controllo in tempo reale su chi acceda ai soldi aziendali e su come vengano impiegati è una tra le priorità per il 2018 identificate come tali dai responsabili finanziari italiani. Il 17% delle imprese, inoltre, ha indicato come sua principale preoccupazione il controllo di quali spese i dipendenti o dipartimenti siano abilitati a effettuare con i soldi della società, mentre il 12% ha individuato come sfida più urgente la possibilità di controllare come e quando i consulenti esterni possano spendere denaro aziendale.

Banca Popolare di Bari ha scelto Satispay per accompagnare la propria clientela nel mondo dei pagamenti via smartphone e offrirà gratuitamente i servizi della startup fintech ai propri correntisti, attraverso le sue oltre 300 filiali in Italia. Il sistema di pagamento mobile della società milanese, alternativo alle carte di credito e debito, è utilizzato da oltre 2.200 esercenti convenzionati e da circa 12mila consumatori. Fra le aziende che hanno scelto Satispay figurano Esselunga, Coop, Trenord, Benetton e Moleskine; il servizio è anche integrato con la piattaforma digitale PagoPA per il pagamento di multe, tasse, bolli e ticket sanitari.

IL DIGITALE CURA LA SANITÀ Un miliardo di euro l’anno di risparmi, grazie all’innovazione digitale. Nel proprio “Memorandum per la sostenibilità del Sistema sanitario nazionale”, General Electric Healthcare ha spiegato come adottare tecnologie che garantiscano una maggiore efficienza operativa e cure migliori. Un’applicazione ottimale dei sistemi digitali a livello ospedaliero porterebbe a benefici economici enormi, anche solo aumentando dell’1% il livello di efficienza. Nel 2016 gli investimenti pubblici per la digitalizzazione della sanità italiana sono scesi del 5% a 1,27 miliardi di euro (sui 149,5 miliardi di spesa totale). Un aiuto decisivo per migliorare la situazione di stallo, secondo Ge Healthcare, può arrivare dall’innovazione e dall’uso di tecnologie di Internet of Things industriale: sensori, applicazioni e cloud per monitorare i pazienti, a casa o in ambulatorio, e per l’accesso da remoto alle informazioni.

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IN EVIDENZA

LO SPECCHIO È DIGITALE

LA TECNOLOGIA SPINGERÀ IL COMMERCIO NEL BARATRO?

Il camerino diventa digitale per migliorare l’esperienza di acquisto in negozio. Mango, insieme a Vodafone, vuole portare nei box di prova dei propri punti vendita principali dei particolari specchi capaci di interagire con il cliente, di suggerire nuovi articoli da abbinare e di contattare il personale del negozio per richiedere taglie o colori differenti. I dispositivi Internet delle cose sono stati progettati dallo stesso marchio spagnolo, in collaborazione con l’operatore telefonico e con Jogotech.

Le nuove tecnologie minacciano la globalizzazione e sono in grado di mettere in crisi il commercio mondiale? Secondo la World Trade Organization (Wto), nel prossimo futuro sarà possibile assistere a un vero e proprio cambio di paradigma innescato da soluzioni di robotica, intelligenza artificiale e progressi in vari campi, come quelli della stampa 3D e dei nuovi materiali nanotecnologici. La quarta rivoluzione industriale, ad esempio, renderà inutile per le aziende delocalizzare all’estero: i robot svolgeranno la maggior parte dei lavori ripetitivi e rischiosi e non avrà, quindi, più senso andare a caccia di manodopera a basso costo. Le conseguenze dirette saranno due: licenziamenti e riduzione del potere d’acquisto dei consumatori, con un effetto boomerang sullo scambio di beni e prodotti. Il punto di vista del Wto coinvolge anche la stampa 3D e l’utilizzo delle nanotecnologie, che fra le altre cose permetteranno di realizzare manufatti e di ottenere nuovi materiali su scala locale, sostituendo progressivamente impianti produttivi giganteschi con fabbriche più piccole. Semplificando così tutto il processo manifatturiero, compreso l’approvvigionamento delle materie prime. Questi nuovi scenari si inseriranno in un contesto già fragile, con volumi di scambi che dal 2012 in poi hanno sempre viaggiato su ritmi uguali o addirittura inferiori alla crescita del prodotto interno lordo globale. Negli anni pre-crisi, invece, il commercio mondiale progrediva anche a tassi doppi rispetto a quelli del Pil. Per citare soltanto un dato, nel 2016 le venti principali aziende della logi-

TURISMO MOBILE Il turismo diventa un gioco con #inLombardia Pass, applicazione gratuita voluta dalla Regione per promuovere le bellezze turistiche lombarde tramite la gamification. Disponibile per dispositivi Android e iOs, l’app è stata ideata per far scoprire il territorio visualizzando su una mappa interattiva le attrazioni nelle vicinanze. È possibile inoltre leggere curiosità, provare i quiz a tema, partecipare a eventi online e condividere l’esperienza sui social network, guadagnando “timbri” per scalare la classifica.

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La rivoluzione digitale ridurrà ancora il volume degli scambi. Lo afferma uno studio del Wto. stica hanno fatturato circa 120 miliardi di dollari contro i 200 miliardi del 2012. I motivi, secondo il Wto, sono essenzialmente due: il freno della locomotiva cinese e una contrazione degli investimenti negli Usa. Ma questi due fattori, da soli, non sono sufficienti per spiegare il calo previsto nel prossimo futuro. Un futuro che si prospetta sempre più “locale”, capace di segnare un marcato passo indietro rispetto alla frenetica globalizzazione imperversante agli inizi del nuovo millennio, quando la Cina entrò ufficialmente nel Wto (2001). Ovviamente il commercio su scala mondiale come lo conosciamo oggi continuerà a esistere. Ma è probabile, ammonisce la World Trade Organization, che nei prossimi anni l’effetto di alcuni avvenimenti potenzialmente destabilizzanti come la Brexit possa portare a un’ulteriore contrazione degli scambi. A.A.


WILDIX PUNTA SUGLI USA “Il successo di Wildix? Dipende da tre fattori: un sistema di licenze semplice, un’attività assidua di formazione e consulenza e cinque anni di garanzia sui prodotti. In più, il rilascio di soluzioni che operano in totale sicurezza”. A dirlo, sono Stefano e Dimitri Osler, l’anima di Wildix. La società trentina in pochi anni si è imposta nel settore delle Unified Communications, arrivando a competere con le più grandi multinazionali grazie ai propri centralini e alle soluzioni audio e video basati sul Web. Operativa da quest’anno anche negli Usa, ha fatturato nel 2017 circa 11 milioni di euro, con una crescita del 58% sul 2016.

ORACLE SEMPRE PIÙ CLOUD Chi ha investito nella nuvola di Oracle ha registrato una crescita del fatturato fino al 60% e un aumento del margine compreso fra il 40% e il 60%, a seconda che si considerino i servizi gestiti oppure le Ip Solution. Lo dice un’indagine condotta dalla multinazionale sui propri partner di canale. “Il cloud è sempre più strategico per le aziende, non solo per la riduzione dei costi e per la flessibilità, ma anche per raggiungere obiettivi di business” ha dichiarato Robert Scapin, senior sales director alliances and channel di Oracle Italia, “e questo si riflette anche sui nostri risultati: nel 2017 la crescita trimestrale anno su anno si è rivelata costante e superiore al 50%. Il business riconducibile al cloud oggi pesa per sei miliardi di dollari sui circa 40 totali”. Oracle ha recentemente raddoppiato il numero di data center in Europa e propone percorsi diversi per le differenti tipologie di partner di canale.

IL 5G ANTICIPA I TEMPI

Le automobili a guida autonoma e molte altre applicazioni che arriveranno nel prossimo futuro grazie alle tecnologie Iot (Internet of Things) potranno essere realizzate anche grazie alle prestazioni delle reti di comunicazione di quinta generazione, cioè 5G. Reti che saranno in grado di collegare gli oltre 40 miliardi di dispositivi connessi che, secondo gli analisti di mercato, “popoleranno” il pianeta nel 2025. Previsto per il 2020, lo standard 5G, consentendo velocità di trasmissione maggiori di un Gigabit al secondo e tempi di latenza molto bassi, è costituito in realtà da un insieme di soluzioni già disponibili, tra cui le antenne direzionali chiamate Mimo. Durante l’ultimo Mobile World Congress di Barcellona, la fiera delle telecomunicazioni mobili, tutti i fornitori hanno mostrato soluzioni 5G funzionanti. Tra l’altro, la sperimentazione è partita anche in alcune città italiane. Fra le aziende più attive sul fronte del 5G c’è Huawei, forte di oltre 12 miliardi di dollari di investimenti in ricerca e sviluppo spesi nel 2017, di cui oltre 800 proprio per il nuovo standard di trasmissione. “Le linee guida dello sviluppo tecnologico per noi sono soprattutto il cloud pervasivo e l’intelligenza artificiale”, ha detto Peter Zhou, chief marketing officer di

Le tecnologie che supporteranno le velocità trasmissive previste dal nuovo standard sono già pronte. Huawei in campo per reti e terminali. Huawei Wireless Solution, “due elementi tra l’altro fondamentali per le telecomunicazioni del futuro, ma stiamo lavorando alacremente anche su tutti i fronti del 5G e gli investimenti nel 2018 potrebbero anche essere superiori agli 800 milioni stanziati lo scorso anno”. La multinazionale cinese è forse l’unico fornitore al mondo a essersi impegnato a tutto campo sul 5G: dai nuovi chip Kirin,alle stazioni base (alcune già praticamente pronte per la commercializzazione), dagli apparati di rete agli smartphone. “Anche se puntiamo ad avere un ruolo di protagonista”, ha precisato Zhou, “non trascuriamo le partnership con altri vendor, come ad esempio Intel, con cui sviluppare le tecnologie indispensabili per il funzionamento delle nuove reti e dei nuovi device”. Sul fronte dei prodotti, Huawei ha annunciato che gli apparati di rete 5G saranno disponibili sul mercato alla fine di quest’anno mentre i terminali (smartphone e altro) arriveranno nel 2019. E.M.

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DATA JOURNALISM

L’ECONOMIA DIGITALE NON È PER TUTTI La distribuzione della spesa in tecnologie per la digital transformation DISTRIBUZIONE E SERVIZI

2,4% 23,1% 0,9% 54,5%

SETTORE PUBBLICO FINANZA INDUSTRIA

19,1%

INFRASTRUTTURE

9,7%

OPERATING MODEL

30,8%

INFORMATION

35,3%

16,3% 7,9%

LEADERSHIP OMNIEXPERIENCE WORKSOURCE

Fonte: Idc

La trasformazione prodotta dalle nuove tecnologie sta scavando un netto divario tra le imprese che si sono rinnovate e quelle ancora legate a logiche tradizionali. E anche la spesa segue due tendenze contrapposte.

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ntro il 2021 il mercato digitale avrà completamente riscritto lo scenario economico mondiale, andando a modificare radicalmente il modo di operare delle aziende. Fra i tanti impatti previsti di questa rivoluzione spicca, come evidenziato dagli analisti di Idc, il profondo solco scavato tra le imprese che sono riuscite a inserirsi con successo nel nuovo ecosistema, sviluppando modelli di business innovativi, e quelle che viceversa sono rimaste ancorate a logiche tradizionali. Secondo

le ultime previsioni, la spesa mondiale in tecnologie per la trasformazione digitale arriverà quest’anno a sfiorare i 1.300 miliardi di dollari, in crescita del 16,8% sul 2017, per poi toccare quota 1.700 miliardi nel 2019. Di tale cifra, circa 400 miliardi saranno investiti nelle quattro tecnologie della cosiddetta “terza piattaforma”, ovverosia cloud computing, mobility, Big Data & analytics e social. La parte più consistente, 1.300 miliardi di dollari, sarà spesa in progetti di accelerazione dell’innovazione, e più preci-


samente in soluzioni digitali che animeranno un processo di discontinuità in tutti i settori industriali. Cuore di questi progetti saranno in particolare l’Internet of Things, la robotica, l’intelligenza artificiale e il computing cognitivo, la realtà aumentata e virtuale, la stampa 3D e la blockchain. Analizzando gli investimenti nel periodo 2016-2021, Idc ha calcolato che la spesa informatica su scala mondiale crescerà a un tasso annuale composto del 5,6%. Un salto in avanti che sarà, però, frutto di di-

namiche fra loro opposte: aumenteranno rispettivamente del 4,7% e del 18,4% gli investimenti nelle tecnologie della “terza piattaforma” e negli strumenti di accelerazione dell’innovazione, mentre scenderanno del 3,3% quelli riconducibili ai sistemi client/server e alle reti locali della “seconda piattaforma”. Nel complesso, il giro d’affari delle tecnologie per la digital transformation crescerà con un indice composito annuo del 17,9%. Tale dicotomia di sviluppo si riscontra anche nelle tendenze della spesa Ict in Italia. Sono, tecnologie stia obbligando le imprese a cambiare il modo di concepire l’It aziendale, seguendo un’impostazione data-centrica ed erogando servizi più flessibili. Un nuovo approccio all’architettura informatica sta quindi emergendo come indispensabile per tenere il passo con il crescente volume delle informazioni da elaborare e per aumentare sia l’efficienza delle risorse infrastrutturali sia il loro grado di orchestrazione. Il tutto, per gettare le basi di una vera e propria azienda “multicloud-ready”. Dai classici silos di tecnologie e processi si sta quindi passando a sistemi convergenti e ad ambienti nella nuvola ibridi altamente scalabili (sia verso

L’INFRASTRUTTURA IT DIVENTA UN SERVIZIO Ben presto, entro l’anno prossimo, l’esigenza di maggiore agilità ed efficienza spingerà le aziende che stanno affrontando il processo di trasformazione digitale a migrare oltre il 50% della propria infrastruttura informatica (centrale e periferica) su un modello definito dal software. Un modello in cui, cioè, la tecnologia funziona secondo logiche indipendenti dall’hardware e secondo regole decise dal software. Lo dice una recente indagine di Idc, evidenziando come la rivoluzione delle nuove

infatti, in aumento gli investimenti nelle nuove tecnologie mentre risultano in contrazione i budget destinati alle soluzioni informatiche e di rete tradizionali, focalizzate sostanzialmente sul mantenimento dell’infrastruttura esistente. Nel 2017, nello specifico, il mercato Ict nostrano ha registrato un salto in avanti dell’1,9%, arrivando a circa 30 miliardi di euro, mentre la componente cloud è cresciuta del 27,8% e la realtà aumentata/virtuale del 335,6%. Gianni Rusconi l’alto sia orizzontalmente) che garantiscono più controllo e flessibilità, senza impattare sui costi. Per fare questo, le aziende sono chiamate ad astrarre tutti gli elementi principali dell’infrastruttura – componenti di elaborazione, storage, networking, reti geografiche – e a distribuirle sotto forma di software automatizzato e basato su policy. Idc si aspetta che il modello “software-defined everything” (Sdx) diventi lo standard de facto per le infrastrutture It e per la creazione e l’utilizzo dei dati. Già nel corso del 2018, il 75% dei nuovi acquisti in ambito data center sarà proprio influenzato dalle tecnologie Sdx.

Il mercato mondiale delle soluzioni software defined nel 2018 (in miliardi di dollari)

COMPUTE CAGR 2016-2021 DEL 4,2% STORAGE CAGR 2016-2021 DEL 13,5% DATA CENTER NETWORK CAGR 2016-2021 DEL 25,4% WIDE AREA NETWORK CAGR 2016-2021 DEL 69,6%

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Fonte: Idc

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INNOVAZIONE | Digital Transformation

Da due diversi studi di Accenture emergono i trend che cambieranno le nostre esperienze (fisiche e digitali) e le nostre aspettative come cittadini e come lavoratori. Ma anche le sfide che le aziende dovranno superare per cavalcare la velocità dell’innovazione.

DAI CONSUMI AL BUSINESS: COSA CI PORTA IL 2018

I

l progresso di tecnologie come l’intelligenza artificiale, gli analytics e il cloud computing corre talmente veloce da mettere le aziende non solo nelle condizioni di creare prodotti e servizi innovativi, ma anche di cambiare il modo in cui le persone vivono e lavorano. Trasformando i rapporti di ogni impresa con i propri clienti e partner commerciali. Lo racconta “Accenture Technology Vision 2018”, il rapporto annuale che la più grande società di consulenza tecnologica in Italia dedica alle tendenze destinate a rivoluzionare il business, su scala globale, nei tre anni a venire. L’indagine ha coinvolto più di 6.300 fra dirigenti aziendali e manager It di classe executive in tutto il mondo 18

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e ci dice, in primo luogo, che più di quattro intervistati su cinque (l’84% per la precisione) sono d’accordo sul fatto che, attraverso la tecnologia, le aziende si stiano integrando sempre di più nella quotidianità delle persone. Più aumenta il grado di “intelligenza” dell’organizzazione, più cresce il suo livello di connessione con il tessuto sociale. Un esempio? Amazon. Sfruttando una presenza online molto importante (“straordinaria”, la definisce il rapporto) e soluzioni come gli smart speaker Echo e l’assistente virtuale Alexa, la multinazionale nordamericana oggi è talmente integrata nella vita dei consumatori che non è fantascienza pensare a complessi residenziali dotati di armadietti dedicati

per la consegna dei prodotti acquistati sul marketplace o a sistemi di “smart lock” in grado di far accedere i corrieri nelle abitazioni anche in assenza dei legittimi proprietari (un simile servizio, Amazon Key, ha già debuttato l’anno negli Stati Uniti). “Il mondo di oggi si sta riplasmando intorno all’innovazione digitale”, osserva Alessandro Marin, senior managing director di Accenture Technology in Italia. “Questo richiede un nuovo modo di relazionarsi, costruito sulla fiducia e sulla condivisione di una grande mole di informazioni, attraverso uno scambio che consente di offrire servizi sempre più connessi ai bisogni dei clienti e delle aziende”. La chiave della trasformazione tecnologica


Il rapido avanzamento tecnologico crea imprese sempre più intelligenti, ma richiede un cambiamento radicale nella leadership.

è sostanzialmente in un cambiamento che per la prima volta viaggia a doppio senso, con i consumatori chiamati a giocare un ruolo attivo, sinergico, nel processo di innovazione, dando ai provider di servizi l’accesso ai tanti dati che essi stessi producono. Si corre verso un livello di interazione sempre più elevato (fra azienda e consumatore, fra azienda e dipendenti, fra azienda e istituzioni) e di conseguenza non possono essere ignorate alcune tendenze tecnologiche ritenute chiave per avere successo nell’economia digitale di oggi. Ecco quelle identificate da Accenture.

La “cittadinanza” dell’intelligenza artificiale

L’intelligenza artificiale “educata” a beneficio della società. Man mano che le capacità dell’AI vengono formate, cresce il loro impatto positivo sulla vita delle persone. Le aziende che cercano di capitalizzare il potenziale di tale tecnologia devono prendere atto di questo impatto e continuare a svilupparla in modo che agisca come un referente responsabile del loro business. Extended reality

L’annullamento delle distanze. Le tecnologie di realtà virtuale e aumentata stanno trasformando il modo di vivere e lavorare, eliminando la distanza tra le persone, le informazioni e le esperienze. La veridicità dei dati

L’importanza della fiducia. Le aziende hanno trasformato il proprio modo di

UOMINI E MACCHINE, MATRIMONIO POSSIBILE. ANZI OBBLIGATO Per l’87% dei dirigenti d’azienda italiani e per l’82% dei 3.800 censiti su scala globale, le persone e le macchine entro i prossimi cinque anni saranno parte di team di lavoro unico e integrato. L’affermazione, molto forte, arriva da una recente ricerca (“Realizing 2030: The Next Era of Human-Machine Partnerships”) condotta da Vanson Bourne per conto di Dell Technologies e centrata sulla collaborazione tra questi due mondi: da un lato gli individui, dall’altro i dispositivi, le reti IoT, la robotica e tutto ciò che non è umano. La partnership tra uomo e macchina, insomma, si avvia a diventare un sodalizio inossidabile, grazie ai progressi della tecnologia. Alcuni settori verticali sono più avanzati di altri in questo percorso, come per esempio l’industria dell’oil & gas e

le scienze della vita. Ma anche altri comparti meno reattivi, come il retail, sono proiettati verso il rafforzamento di questo sodalizio. “Siamo ormai nel vivo della quarta rivoluzione industriale”, ha sottolineato Marco Fanizzi, vice president e general manager enterprise sales di Dell Emc Italia, “e l’integrazione tra uomo e macchina non è più una previsione. È qualcosa che sta accadendo e non può far altro se non continuare a svilupparsi, e in Italia può rappresentare una vera e propria svolta dal punto di vista della competitività delle produzioni”. Smentiti, quindi, tutti gli scettici che avanzano dubbi sulla attuale pervasività dell’intelligenza artificiale, dei sistemi di apprendimento automatici e dei robot? Non esattamente. Il pessimismo circa

lo status odierno della trasformazione digitale è ancora diffuso e solo il 27% dei dirigenti oggetto di indagine pensa che le nuove tecnologie siano già integrate in tutte le attività svolte. Sorprende, quindi, apprendere che l’Italia sia il Paese più ottimista in questo senso: il 38% dei manager si è detto convinto dell’avvenuta trasformazione, staccando nettamente il 17% di media del Giappone. Ma il dato riflette la reale situazione vissuta dalle imprese della Penisola? Probabilmente no. Certo è che, per la business community italiana, tra le principali barriere da superare per completare il processo di digitalizzazione ci sono l’impreparazione della forza-lavoro (indicata come “non pronta” nel 57% dei casi) e la mancanza di una visione strategica (nel 56%).

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ITALIA DIGITALE | Digital Transformation

operare basandosi sempre di più sull’analisi dei dati. Questo comporta per loro un nuovo tipo di vulnerabilità: quella causata da dati imprecisi, manipolati o corrotti, che producono informazioni distorte e portano a decisioni sbagliate. Per affrontare questa sfida le imprese devono perseguire un doppio obiettivo, cioè massimizzare la veridicità e minimizzare i rischi di manipolazione dei dati. Frictionless business

Alleanze su larga scala. Per crescere, le aziende hanno bisogno di partnership basate sulla tecnologia, ma i loro sistemi legacy non sono progettati per sostenere collaborazioni su larga scala. Per potenziare al massimo il concetto di “impresa intelligente e connessa”, devono prima riprogettare sé stesse. Internet of Thinking

La creazione di sistemi intelligenti distribuiti. Le aziende stanno investendo molto sulle soluzioni che utilizzano la robotica, l’intelligenza artificiale e le esperienze immersive. Per dare vita a questi sistemi bisognerà non solo aggiungere competenze chiave e capacità di forza lavoro, ma anche modernizzare le attuali infrastrutture tecnologiche. Nuovi paradigmi e nuove esperienze

“Mondo digitale versus mondo fisico, uomo vs. macchina, centralizzazione vs. decentralizzazione, velocità vs. abilità, tracciabilità vs. anonimato: nel 2018 vincerà chi sarà in grado di gestire al meglio questi dualismi, trasformando la tensione in integrazione e cogliendo l’occasione per dare il proprio contributo nel progettare il mondo in cui vivremo.” La sintesi di Ashley Benigno, responsabile di Fjord (la divisione di Accenture Interactive che si occupa di design e innovazione) in Italia, è molto indicativa dei compiti cui saranno chiamati Ceo, Cio e tutte le figure manageriali nei prossimi mesi. Le sfide e le opportunità per le aziende, questo racconta il rappor20

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to “Fjord Trends 2018”, riguardano in molti casi le interazioni tra uomo e macchina e l’impatto su individui, società e organizzazioni di ogni tipo. La corsa in avanti delle tecnologie emergenti (in testa intelligenza artificiale e blockchain) e la progressiva fusione del digitale all’interno del mondo fisico stanno provocando nelle persone e all’interno delle aziende interesse e preoccupazione allo stesso tempo. E favoriscono la definizione di nuovi paradigmi ed esperienze in ogni ambito. Il report individua sette tendenze che plasmeranno queste esperienze e suggerisce alle aziende come progettarle. 1. Il mondo fisico al contrattacco

Il digitale negli ultimi anni è stato sotto i riflettori come protagonista della brand

experience. L’enfasi oggi si sposta nuovamente sul mondo materiale, mentre il digitale diventa abilitatore invisibile di esperienze fisiche e sensoriali. È la rivoluzione “o2o, online-to-offline”, di cui il Tao Cafe lanciato da Alibaba è un esempio: un supermercato che prevede l’utilizzo di sistemi di riconoscimento facciale e dei prodotti per fare acquisti senza la necessità di scansionare i singoli prodotti o effettuare pagamenti alle casse. 2. I computer ci guardano

Oltre a comprendere le nostre parole, ora i computer hanno iniziato a interpretare le immagini anche senza il nostro aiuto, aprendo ulteriori orizzonti e possibilità per i servizi digitali di prossima generazione. Il dipartimento di ricerca della Disney già oggi sta sperimentando


la computer vision per misurare le reazioni alla proiezione di un film. 3. Guidare l’algoritmo

La rapida diffusione degli algoritmi e degli assistenti virtuali a controllo vocale sta modificando le modalità di relazione tra brand e consumatori e sta influenzando le strategie di marketing. In questo contesto è importante che le aziende conoscano bene i meccanismi alla base dei suggerimenti forniti e dei contenuti mostrati durante la navigazione, e siano inoltre in grado di governarli consapevolmente, anziché affidarne la completa gestione alle piattaforme digitali. 4. Macchine alla ricerca di un ruolo

L’intelligenza artificiale potrebbe cambiare il lavoro di ogni individuo, ma non

deve necessariamente eliminarlo. Possiamo, e dobbiamo, creare una collaborazione con le macchine, che ci permetta di progredire. Uno studio condotto ad Harvard ha evidenziato, a tal proposito, che l’utilizzo di soluzioni di intelligenza artificiale abbinate all’esperienza dei patologi permette di arrivare ad una maggiore accuratezza nelle diagnosi di alcuni tipi di cancro, toccando il 99,5%. 5. L’economia dell’etica

I consumatori scelgono sempre più spesso prodotti e servizi di aziende delle quali condividono i valori. Le organizzazioni sono dunque chiamate a prendere posizione su argomenti di natura politica e sociale. Un esempio recente arriva da Tim Cook, Ceo di Apple, che ha sostenuto pubblicamente i matrimoni gay.

6. In trasparenza veritas

La blockchain garantisce quella trasparenza necessaria a riconquistare la fiducia dei consumatori. La creazione di servizi basati su tale tecnologia permetterà di definire un nuovo modello concettuale di relazione tra brand e consumatori. 7. Progettare fuori dalle righe

La progettazione ha acquisito rilevanza all’interno delle aziende e tuttavia la rapidità dei cambiamenti tecnologici, unita alla velocità con cui è necessario rispondere alla domanda proveniente dal mercato, richiede ai designer la capacità di apprendere continuamente e aggiornare le proprie competenze per creare prodotti e servizi digitali di valore. Gianni Rusconi

QUARTA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE ALLA CINESE Entro il 2025 avremo a che fare con 40 miliardi di dispositivi intelligenti e 100 miliardi di connessioni. Parola di Huawei.

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rasformazione digitale come denominatore comune di nuove sfide e di nuove opportunità di sviluppo. Il ritornello è noto e lo ha fatto proprio anche Huawei stilando un documento (“Global Industry Vision”) in cui descrive lo scenario della quarta rivoluzione industriale, partendo dal fondamentale ruolo giocato dalle infrastrutture Ict e dall’altrettanto vitale parte assegnata all’intelligenza artificiale come abilitatore del processo di trasformazione. Entro il 2025, secondo le previsioni della multinazionale cinese, il numero di dispositivi smart raggiungerà i 40 miliardi

e il 90% degli utenti di tali dispositivi avrà un assistente personale intelligente. Molte famiglie, inoltre, disporranno di un robot “domestico”, moltiplicando in modo esponenziale le comunicazioni bidirezionali uomo-macchina. I 100 miliardi di connessioni che verranno create in tutto il mondo saranno diffusamente impiegate in servizi pubblici, trasporti, produzione, sanità, agricoltura, finanza e altri settori. E saranno un formidabile propulsore per la digitalizzazione. Entro il 2025, inoltre, l’85% delle applicazioni aziendali risulterà trasferito su cloud e l’86% delle imprese utilizzerà a vari livelli strumenti di intelligenza artificiale. I dati saranno sempre più “grandi”, tanto che ogni anno verranno generati 180 zettabyte di informazioni su scala globale, una cifra 20 volte superiore a quella attuale. Tutte queste compo-

nenti, secondo Huawei, contribuiranno a sviluppare un mercato della trasformazione digitale da 23mila miliardi di dollari: un business enorme, che i diversi attori dell’universo tecnologico (questo l’invito di Ryan Ding, presidente di Huawei Carrier BG) dovrebbero affrontare con un approccio strategico più lungimirante in termini di innovazione. Per il colosso di Shenzhen la ricetta, in tal senso, è chiara: sfruttare appieno il potenziale “illimitato” delle nuove reti 5G in fatto di applicazioni e di categorie di utenza servite. L’azienda metterà sul piatto già quest’anno circa 800 milioni di dollari per lo sviluppo di soluzioni legate ai network di quinta generazione e guiderà, in parallelo, l’implementazione commerciale su vasta scala delle reti NarrowBand-IoT.

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TECHNOPOLIS PER FUJITSU ITALIA

L’UFFICIO TRADIZIONALE SARÀ SOLO UN RICORDO Una ricerca condotta da Pac per Fujitsu rivela che in tutto il mondo, entro il 2025, gli ambienti di lavoro si trasformeranno, adottando modelli più intelligenti e flessibili.

Massimiliano Ferrini head of product business di Fujitsu Italia Gli ambienti di lavoro oggi sono in trasformazione e presto diventeranno irriconoscibili. Gli spazi di ufficio “smart”, o smart workplace, digitalizzati e flessibili, avanzano in tutti i settori professionali e in tutti i mercati, come effetto delle innovazioni portate dalla tecnologia (dispositivi mobili, cloud computing, applicazioni, connettività ubiqua) ma anche come risultato di un cambiamento culturale. Un dato, su tutti: nel 2025 più di un lavoratore italiano su due apparterrà alla generazione dei Millennial, quella dei nativi digitali. “La maggior parte dei ruoli professionali richiede oggi un utilizzo esteso della tecnologia”, si legge in un recente studio di Gartner, “e impone che la maggior parte dei dipendenti possa essere produttiva in ambiti diversi da quello dell’ufficio e, in molti casi, anche fuori dal regolare orario di lavoro”. Un’indagine realizzata dalla società di ricerche Pac in collaborazione con Fujitsu ha svelato che il 57% delle società italiane prevede di consentire ai propri dipendenti di lavorare in modo più flessibile nei prossimi anni, fornendo loro un accesso remoto sicuro ai dati aziendali. Le imprese nostrane sono anche, rispetto alle altre realtà europee, fra le meglio predisposte a concedere ai collaboratori di usare qualsiasi dispositivo desiderino – Pc, smartphone, tablet – per accedere ad applicazioni e ai servizi aziendali: una su tre non osteggia tale possibilità. Ma c’è un ma. I vantaggi del modello smart (maggiore flessiblità, effi22

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cienza, ottimizzazione dei tempi e degli spostamenti, qualità della vita del lavoratore) si possono realizzare solo in presenza di adeguate tecnologie e regole, due elementi altrettanto importanti. Lo studio di Fujitsu evidenzia per le aziende italiane parecchie carenze: l’89% crede che l’odierna complessità della tecnologia usata stia limitando i dipendenti, mentre il 75% pensa che le attuali pratiche lavorative non siano abbastanza flessibili. In più di una realtà su due (53%), inoltre, la sicurezza informatica è percepita come un limite allo smart working. Qualcosa, però, sta cambiando. Quattro imprese italiane su dieci stanno ritoccando le proprie regole interne per migliorare la circolazione delle conoscenze fra generazioni diverse di dipendenti, molte pianificano di investire in tecnologie abilitanti come la sicurezza in outsourcing (98%), gli assistenti virtuali digitali (52%) e l’automazione dei processi robotici (47%). A proposito di servizi affidati in esterno, Fujitsu vanta un’offerta di Managed Workplace Services che le è valsa l’attributo di “Leader” per cinque edizioni consecutive del Magic Quadrant di Gartner dedicato a questo mercato, inclusa l’ultima. Grazie alla piattaforma AI Fujitsu Zinrai, per esempio, i clienti possono risolvere in media il 15% delle richieste rivolte ai service desk senza interventi “manuali”, bensì sfruttando capacità di analisi predittiva, di automazione e di intelligenza artificiale. “Il ruolo di Fujitsu è duplice: tecnologico e formativo”, commenta Massimiliano Ferrini, head of product business di Fujitsu Italia. “Creiamo l’infrastruttura tecnologica, dai server alle applicazioni, attraverso sistemi di collaborazione e di virtualizzazione, e offriamo una gamma di servizi, soluzioni e prodotti per il digital workplace con livelli di sicurezza superiore grazie a tecnologie innovative come quelle biometriche. Fujitsu investe anche molto nella formazione dei partner specializzati sul tema digital worklpace e ci stiamo organizzando internamente con una struttura di prevendita focalizzata sulle soluzioni”. C’è una ricetta per il successo? “Per rimanere competitive”, aggiunge Ferrini, “le aziende di ogni dimensione hanno bisogno di mettere a punto nuovi modi di lavorare, capaci di generare sempre più valore per il business: un ambiente operativo che renda le attività quotidiane non solo più agili e immersive, ma anche molto più collaborative. Secondo Fujitsu, flessibilità e collaborazione saranno le parole d’ordine per tutti i modelli di lavoro e questo per noi si traduce nel concetto del Workplace Anywhere: un ambiente unificato, collaborativo e personalizzato, disponibile sempre e ovunque. Ed è quello che con la nostra offerta cerchiamo di proporre a tutti clienti, anche e soprattutto con l’aiuto dei nostri partner”.


TECHNOPOLIS PER WOLTERS KLUVER TAX & ACCOUNTING ITALIA

LO STUDIO PROFESSIONALE DIVENTA AZIENDA Gestire uno studio professionale è un impegno aziendale a tutti gli effetti. Ne ha preso coscienza lo studio Rizzato & Dainese di Padova. Barbara Rizzato, contitolare dello studio conferma che la professione del commercialista è sempre più complessa. La clientela si rivolge al professionista per la risoluzione di ogni genere di problemi, considerandolo un consulente globale oltre che una persona a cui delegare pratiche e adempimenti, attività sempre meno remunerative e non particolarmente consulenziali. Il commercialista deve oggi trovare il modo per valorizzare la propria competenza e i tanti anni di formazione, impegno ed esperienza. “Il nostro studio”, racconta Rizzato, “ha sviluppato una specifica esperienza nel campo delle professioni sanitarie e verso la fine dell’anno scorso ci siamo resi conto di essere un po’ in sofferenza nella rincorsa degli adempimenti legati alla trasmissione dei dati al Sistema Tessera Sanitaria, unite alle normali e francamente fagocitanti attività legate agli adempimenti tributari, aggravate quest’anno dall’introduzione dello spesometro analitico e delle liquidazioni trimestrali telematiche. Gran parte del lavoro era diventato di data entry e la clientela non avrebbe accettato un aggravio di costi per un lavoro non ritenuto ad alto valore aggiunto. Mettiamo dunque a punto strategie di contromisura.” Lo studio Rizzato & Dainese da tempo collabora con Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia e ne utilizza diversi software con buona soddisfazione. Ecco dunque Barbara Rizzato scegliere il software di fatturazione elettronica Fattura SMART quale veicolo di marketing, per sgravare le attività dello studio, coinvolgere in modo pratico la clientela nel processo di fatturazione, ma soprattutto nell’interazione digitale con lo studio. “Con l’obiettivo di non cadere nella spersonalizzazione del servizio, abbiamo valutato caso per caso tra la nostra clientela chi potesse trarre beneficio dall’uso di Fattura SMART e abbiamo individuato circa tenta clienti ai quali abbiamo fornito il software. Abbiamo spiegato loro che con la fatturazione elettronica avrebbero guadagnato non solo in termini temporali, ma anche in immagine organizzativa e strutturale verso i loro clienti. Fattura SMART è semplicissimo, intuitivo, fa sentire il cliente parte integrante di un’organizzazione strutturata. Per utilizzare il software si accede al nostro portale, webdesk di Wolters Kluwer

Barbara Rizzato contitolare Rizzato & Dainese di Padova Tax & Accounting Italia, e in un’area dedicata e protetta il cliente fa le fatture, le consegna elettronicamente allo studio, stampa riepiloghi statistici relativi alla sua attività, consulta la documentazione che lo riguarda messa a sua disposizione dallo studio, condivide e consegna elettronicamente i propri documenti contabili. Costruisce di fatto nel tempo un archivio elettronico, ordinato e sempre consultabile di tutta la sua documentazione fiscale, alleggerendo anche il problema degli spazi di archivio”. La trasformazione digitale diventa dunque uno strumento per avvicinare e fidelizzare la clientela allo studio. “Le reazioni sono state molto positive”, assicura Rizzato, “tanto è vero che stiamo selezionando altri clienti ai quali proporre questa modalità di interazione. Anche in casi di studi professionali sanitari con un solo professionista la soluzione rappresentata da Fattura SMART è ideale. Il cloud piace perché non necessita di gestione. Gli aggiornamenti e la manutenzione sono da remoto. Oltretutto operiamo in anticipo sulla scadenza del 1° gennaio 2019 quando la fatturazione elettronica sarà obbligatoria anche nel B2B. Abituare fin da ora la nostra clientela a utilizzare uno strumento digitale per la fatturazione ci farà incontrare meno difficoltà al momento dell’obbligatorietà.” 23


INNOVAZIONE | Italia digitale

TRASFORMAZIONE AVANTI ADAGIO Le previsioni di spesa Ict per il 2018 evidenziano segnali di ripresa soprattutto al Centro e Sud Italia, ma gli investimenti della Pubblica Amministrazione scenderanno di 500 milioni. E nell’attuazione dell’Agenda siamo ancora indietro. Troppo.

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ue distinti rapporti, uno a firma di Assintel e l’altro della School of Managament del Politecnico di Milano, per capire se il processo di digitalizzazione italiano stia proseguendo nel modo giusto, e alla velocità prevista, nella direzione tracciata qualche anno fa con il varo dell’Agenda Digitale e proseguita con il lancio dei vari piani per l’innovazione del Paese (la banda ultralarga e Industria 4.0) e della Pubblica Amministrazione. Partiamo dal rapporto che l’associazione nazionale delle imprese Ict ha presentato alla fine dello scorso anno: stimato a quota 30 miliardi di euro il mercato delle tecnologie informatiche per il 2017, lo scenario prospettato per quest’anno ritrae un’Italia che si sta approcciando alla trasformazione digitale in modo diverso. Le previsioni di investi-

mento in tecnologie per il 2018, infatti, sono a più facce: c’è un 66% di imprese che spenderà le medesime cifre dello scorso anno, mentre la restante parte si divide equamente fra chi prevede una riduzione e chi un’espansione dei budget dedicati all’informatica. Il Nord-Ovest si confermerà come primo acquirente tecnologico della Penisola, mettendo sul tavolo circa 10 miliardi di euro (il 35% della spesa complessiva), mentre il Centro Italia destinerà all’innovazioni otto miliardi (il 27% del totale) grazie al forte contributo dei centri di acquisto della Pubblica Amministrazione centrale e di numerose grandi aziende. Le notizie migliori arrivano dalle imprese del Sud e delle Isole: quasi un terzo prevede infatti una crescita di oltre il 5%, anche se il 60% di esse trova un freno sia nella scarsità di risorse economiche e finan-


ziamenti, sia nella scarsa propensione al rischio di manager e imprenditori. Se guardiamo alla dinamica di spesa per settori, secondo Assintel ve ne sono alcuni decisamente più sensibili al “richiamo” della trasformazione digitale in atto: il 30% delle aziende del turismo e il 24% di quelle del commercio al dettaglio, per esempio, prevedono di espandere la propria spesa in tecnologie fino al 5%. Pubblica Amministrazione locale, Sanità e Istruzione sono per contro settori che resteranno prudenzialmente stabili, spendendo nel complesso circa 4,3 miliardi di euro (il 14% del totale); ancora più pessimiste le imprese del commercio all’ingrosso, un terzo delle quali prevede di tagliare gli investimenti in digitale fino al 5%, mentre l’industria manifatturiera metterà a budget circa sette miliardi di euro per cavalcare il paradigma di Industria 4.0. L’esigenza di fare di più

Non è un quadro drammatico quello evidenziato dallo studio di Assintel, ma neppure molto incoraggiante. Soprattutto se lo rapportiamo a quanto ci dice l’ultima edizione dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico, condotta in collaborazione con AgId. Nonostante gli sforzi compiuti, questo il dato di fondo, l’Italia non è ancora allineata al resto dell’Europa. In altre parole siamo indietro, troppo, e per la precisione in 24esima posizione (su 28) per risultati raggiunti nell’attuazione del programma di digitalizzazione (il calcolo è stato eseguito sulla base di 118 indicatori che misurano la maturità digitale di un Paese). Non mancano dei segnali incoraggianti, fanno notare gli autori dello studio, ma essi non bilanciano adeguatamente le criticità. Una prima insufficienza riguarda le infrastrutture per la digitalizzazione, per cui otteniamo un punteggio di 0,47 contro una media europea di 0,54: solo il 7% delle abitazioni italiane ha una connessione oltre i 30 Mbps (quart’ultimi in Europa) e solo il 2% una connessione a 100 Mbps (sempre quart’ultimi), anche

se siamo sopra la media per diffusione di banda larga mobile (85% contro 84%). Spiccano, sempre in accezione negativa, gli scarsi risultati finora raggiunti in tema di innovazione tecnologica della Pa, riconducibili alla riduzione degli utenti dei servizi eGov e alle sofferenze evidenziate dalla sanità digitale. Fra i punti a favore c’è invece il cammino della banda ultralarga: anche se con qualche turbolenza, il piano prosegue e ad oggi ha contribuito a raddoppiare la copertura del territorio con le connessioni a 30 Mbps. E ancora, le identità digitali realizzate con Spid sono oltre 1,7 milioni, le transazioni completate attraverso PagoPa circa quattro milioni e più di 800 i comuni che hanno testato l’Anagrafe nazionale della popolazione residente (dati aggiornati a

inizio dicembre 2017). Infine il Piano Industria 4.0, e gli oltre 11 miliardi di euro di risorse europee messe a disposizione da qui al 2020 per sostenere la digitalizzazione delle imprese manifatturiere. In accezione positiva è visto anche il Piano Triennale che indirizza in modo chiaro la trasformazione della Pa, specificando come riqualificare i 5,6 miliardi di euro di spesa annuale (media calcolata nel triennio 2013-2015) in tecnologie digitali. La razionalizzazione imposta dalla Legge Finanziaria 2016 dovrebbe portare a un “risparmio” (di fatto, un taglio) a fine 2018 di 500 milioni. L’obiettivo è di destinare le risorse risparmiate ai nuovi investimenti per l’innovazione. Se lo augurano tutti. Piero Aprile

STATO-REGIONI-AGID: ACCORDO FATTO. ORA SERVONO I RISULTATI L’intesa risale al 14 febbraio, con ratifica depositata il giorno successivo. Stiamo parlando dell’accordo quadro Stato-Regioni-AgId per la crescita e la cittadinanza digitale verso gli obiettivi fissati da Bruxelles nell’ambito del programma EU2020. E si tratta di un passaggio importante, perché nell’ambito dello stesso accordo vengono definiti i termini di attuazione del piano triennale Ict per la Pa con le Regioni assunte al ruolo di soggetti aggregatori territoriali. Secondo i diretti interessati, l’aver sancito con un’operazione formale la partecipazione degli enti locali al processo di innovazione produrrà grandi effetti di sostanza, portando con efficacia in ambito locale il Piano Crescita Digitale, e soprattutto il Piano Triennale per l’informatica. Un approccio “di sistema”, così lo definiscono gli esperti, che vede le Regioni protagoniste sulla base di impegni che verranno perfezionati con AgId. Sul tavolo ci sono in parti-

colare le questioni delle risorse economiche e umane da poter mettere in campo, vedi i 90 milioni di euro del Pon Governance e una porzione dei 70 nuovi assunti dall’Agenzia. C’è chi, dal fronte della Regioni e delle Province Autonome, mette le mani avanti evidenziando come l’attuazione degli obiettivi nazionali debba per forza prevedere un intervento “straordinario” di supporto e accompagnamento dei territori, intervento che solo in parte può essere sostenuto dalle Regioni stesse. Servono, cioè, uomini e mezzi per trasformare digitalmente il Paese e la macchina pubblica italiana. Il quadro in cui collocare le risorse disponibili (quali, anche alla luce del voto del 4 marzo?), con i presupposti per monitorare obiettivi e risultati, sembra finalmente definito. E induce alcuni addetti ai lavori a vedere l’obiettivo di un’Italia “al 100% digitale” un poco più vicino di quanto non fosse qualche mese fa.

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INNOVAZIONE | Cybersecurity

Il mappamondo di hacker e cyber-spioni si sovrappone a quello delle tensioni politiche internazionali, ma il danno è soprattutto economico. Negli Usa si parla di circa 110 miliardi di dollari.

CRIMINE IN INCOGNITO E SENZA CONFINI COMPLESSITÀ E APP, NEMICI DELLA SICUREZZA Due tendenze interne alle aziende diventano involontarie complici del criminali. La prima: si adottano soluzioni di fornitori diversi, troppi, perdendo controllo sullo stato di reti, applicazioni e dispositivi. A detta di Cisco (“Annual Cybersecurity Report“, 2018), in Italia il 28% delle aziende si affida a oltre dieci fornitori (tra 11 e 20) e un ulteriore 10% a più di 20 (tra 21 e 50). Secondo

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problema: le applicazioni aziendali raramente prevedono la sicurezza come elemento fondante. Uno studio commissionato da Ca Technologies a Freeform Dynamics (1.279 dirigenti e responsabili It intervistati) ha evidenziato che solo il 31% delle realtà italiane impiega la metodologia DevSecOps, in cui i test di sicurezza vengono eseguiti fin dalle fasi iniziali dello sviluppo software.

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a sicurezza informatica è un affare politico, sociale ed economico. Uno dei più importanti nel mondo di oggi, tanto da meritare un posto in scaletta nell’ultimo World Economic Forum di Davos e da occupare i titoli della cronaca nel bene e (soprattutto) nel male, come dimostrato dall’affare Russiagate e dai sospetti di collusione fra il Cremlino e l’entourage di Donald Trump. E c’è chi, come l’amministratore delegato della californiana Palo Alto Networks, Mark McLaughlin, ha paragonato l’obiettivo della sicurezza informatica a una nuova “missione lunare”,


TRUFFE DIGITALI MILIARDARIE In Europa, secondo i dati di Symantec (“Norton Cyber Security Insights Report”), l’anno scorso sono state colpite da malware o altre minacce più di 98 milioni di persone, alle quali sono stati sottratti più di 23 miliardi di euro. I numeri italiani impressionano: il 69% della popolazione ha avuto a che fare con una qualche forma di crimine informatico, 16 milioni di cittadini hanno creduto a una truffa (perdendo complessivamente quasi quattro milioni di euro), un internauta su tre è stato raggirato facendo acquisti online e quattro su dieci hanno fornito informazioni personali o finanziarie rispondendo a una email truffaldina.

realizzabile solo in tempi lunghi, movimentando risorse ingenti e attivando la collaborazione internazionale fra Stati e forze di polizia. “Se non ci impegneremo a fondo per raggiungere questo obiettivo, le enormi aspirazioni che abbiamo per l’era digitale potrebbero essere ritardate e rimandate”, ha dichiarato McLaughlin. Se queste parole sembrano esagerate, basti pensare che la Casa Bianca stima per l’economia statunitense un danno da cybercrimine compreso fra i 57 e 109 miliardi di dollari all’anno (la valutazione è riferita al 2016 e presumibilmente non potrà che aumentare nel tempo). Tra i gruppi criminali in piena attività citiamo Sofacy, anche conosciuto come Apt 28 o Fancy Bear, dai natali russi: emerso nel 2016 tra i responsabili della manipolazione della campagna elettorale presidenziale statunitense, l’anno scorso ha colpito obiettivi governativi e militari legati alla Nato e all’Ucraina, per poi spostarsi verso l’Asia centrale e orientale e per includere tra sue le vittime anche società di telecomunicazione. “Sofacy è

uno dei gruppi criminali più attivi tra quelli che monitoriamo e continua a colpire i propri obiettivi tramite spearphishing, spesso su scala globale”, ha commentato Kurt Baumgartner, principal security researcher di Kaspersky Lab. E non è forse un caso che le “zone calde” della cronaca e della politica internazionale coincidano in parte con quelle del mappamondo cybercriminale. “La nostra ricerca ha evidenziato che la Russia è leader nella criminalità informatica, per l’abilità della sua comunità di hacker e il suo disprezzo per l’applicazione della legge occidentale”, ha sottolineato James Lewis, senior vice president del Center for Strategic and International Studies (Csis). “La Corea del Nord è al secondo posto, dato che la nazione usa il furto di valuta virtuale per finanziare il suo regime, e ora assistiamo a un numero crescente di centri di criminalità informatica che stanno nascendo non solo nella Corea del Nord ma anche in Brasile, India e Vietnam”. Valentina Bernocco

Uno strumento in forte ascesa è il ransomware, cioè un tipo di malware che infetta un dispositivo per crittografarne il contenuto o per bloccare lo schermo con un lockscreen, proponendo poi alla vittima la “liberazione” del Pc o telefono in cambio del pagamento di un “riscatto”. Fenomeno più nuovo è invece quello dei cryptominer, programmi che generano guadagni in criptovaluta sfruttando parte della potenza della Cpu (fino al 65%) o Gpu del terminale colonizzato. “Sebbene non venga considerato dannoso, il software di mining riduce le performance di sistema del dispositivo. Inoltre, aumenta il consumo di elettricità”, ha sottolineato Morten Lehn, general manager Italy di Kaspersky Lab. Talvolta è possibile accorgersi del fatto da alcuni segnali tipici, quali il rallentamento del computer o l’atti-

vazione particolarmente intensa della ventola, ma esistono anche attacchi particolarmente sofisticati, come JS/ CoinMiner, che non provocano segni d’infezione caratteristici. E non sempre per i criminali è necessario installare un software malevolo: con la tecnica del cryptojacking, per esempio, possono limitarsi a inserire un Javascript all’interno di una pagina Web e attrarre l’utente verso di essa. Sui cryptominer punta i fari anche Check Point, inserendoli tra i metodi di guadagno illecito più diffusi del 2017. “Anche se questo non è un tipo di malware completamente nuovo”, spiega Maya Horowitz, threat intelligence group manager della società, “la crescente popolarità e il valore della criptovaluta hanno portato a un significativo aumento nella distribuzione dei malware per il mining”.

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TECHNOPOLIS PER OKI

SICUREZZA, FACILITÀ E QUALITÀ FANNO RIMA CON COLORE

La multinazionale propone alle piccole e medie imprese un modello di stampa innovativo, versatile e "smart". Tra i marchi leader nella stampa digitale, OKI sta cavalcando l’onda del cambiamento che attraversa l’intero mondo del digital printing, coinvolgendo ovviamente il settore della stampa office, che è uno dei principali protagonisti di questa evoluzione. In poco tempo, temi come la sostenibilità (ecologica ma anche economica), la versatilità, la qualità di stampa e la sicurezza nella gestione dei documenti hanno scalato le gerarchie tra i criteri di scelta di hardware e servizi di stampa da parte delle aziende. Tra queste, soprattutto le Pmi evidenziano un maggiore bisogno di prodotti e servizi che rispondano in maniera efficace e rapida alle loro mutate necessità. OKI ha incontrato la domanda del mercato, proponendo una combinazione vincente di stampanti professionali e soluzioni dedicate. La tecnologia Led Digitale di OKI consente di realizzare stampanti e sistemi multifunzioni Mfp che abbinano alla compattezza anche grande solidità e affidabilità, mantenendo l’elevata facilità d’uso e non rinunciando alla grande qualità di stampa, in particolare nel colore. L’azienda ha aggiornato e ampliato la propria gamma di dispositivi a colori e monocromatici con modelli 28

smart e dotati della piattaforma aperta sXP (smart Extendable Platform), che consente di integrare le macchine nel flusso di gestione dei documenti. Questa piattaforma aperta è presente sia nei sistemi di fascia media sia su quelli di fascia entry level, che rappresentano proposte particolarmente interessanti per le Pmi, da sempre core target per OKI. Anche le piccole aziende e le microimprese italiane sono attratte dall’utilizzo del cloud e di quei servizi che possono semplificare i processi legati alla stampa senza tuttavia rivoluzionarli. Questo è ciò che consente sXP, abilitando i dispositivi smart di OKI alla connessione con hardware e applicazioni di terze parti, con la possibilità di sviluppare soluzioni personalizzate. In aggiunta a tutto questo, OKI fornisce anche il software di gestione documentale Sendys Explorer, che permette alle aziende di acquisire documenti, convertirli, indicizzarli, caricarli e distribuirli attraverso soluzioni cloud, oltre a poterli stampare in qualsiasi momento anche senza disporre di un Pc, mantenendo la totale sicurezza. A partire dai dispositivi di fascia media, inoltre, OKI consente un livello di sicurezza dei documenti ancora più elevato. Merito delle funzioni Private Print (trasmissione di dati crittografata) e Card Release (opzionale), che consentono agli utenti di visualizzare tutti i processi di stampa prima di selezionare quelli da avviare. In più, grazie alla conformità con IPSec (Internet Protocol Security), anche la gestione in entrata e in uscita dei documenti è ancora più sicura. Anche le Pmi, a fronte della riduzione dei volumi di stampa, hanno richiesto standard qualitativi più elevati, pur sempre con un’attenzione prioritaria ai costi. Con la sua campagna “Incredibili a colori, vantaggiose in bianco e nero” OKI permette alle aziende di stampare in bianco e nero sui dispositivi Mfp allo stesso prezzo delle equivalenti apparecchiature monocromatiche. Un’operazione di grande successo, che dimostra l’esattezza della visione di OKI sulla stampa office, incontrando le reali esigenze degli utilizzatori. Inoltre, per semplificare la scoperta dei vantaggi e delle possibilità della stampa a colori, chi acquisti un dispositivo OKI a colori tra quelli selezionati potrà richiedere, senza alcun costo, il toner per stampare in bianco e nero gratuitamente per un anno (www.oki.it/promotions). Un vantaggio considerevole per le Pmi, che azzera i dubbi sulla scelta della prossima stampante o Mfp a colori da adottare in azienda.


INNOVAZIONE | Startup

CAPITALI E NON SOLO: L’ECOSISTEMA NON C’È Le scaleup tecnologiche in Italia sono soltanto 135 e hanno raccolto 970 milioni di dollari: il divario dagli altri Paesi europei è grande. Lo dice l’ultimo rapporto di Mind The Bridge.

L’

innovazione in Italia muove circa 110 milioni di euro l’anno di investimenti, circa un ventesimo della cifra che invece si registra in Francia, Germania e Regno Unito. La Penisola, per capirci, viaggia ai livelli di Polonia e Austria. Il fattore “nanismo” che affligge ancora l’ecosistema italiano delle startup ha

molte forme di espressione e la difficoltà di trovare finanziatori per le sue circa 10mila giovani realtà è ovviamente una di queste. A distanza di sei anni dalla costituzione della task force ministeriale che segnò la nascita della legislazione ad hoc per le nuove imprese tecnologiche, molti protagonisti del mondo dell’innovazione italiana si sono riuni-

ti a Roma a inizio febbraio per fare il punto della situazione e per lanciare a tutte le forze politiche in corsa per le elezioni un “nuovo” piano nazionale. In occasione del rendez vous nella Capitale è stato presentato da Mind the Bridge “Sep Monitor Scaleup Italy”, studio che fotografa in modo dettagliato (e giustamente impietoso) il gap italiano a proposito del livello più maturo del percorso di innovazione. Ovvero quello in cui le startup hanno già consolidato il modello di business e vivono una fase di crescita in termini di dimensioni e fatturato, aprendosi all’internalizzazione. Siamo all’undicesimo posto nell’Europa continentale sia per numero di scaleup legate alle tecnologie Ict sia per capitali raccolti: le startup mature sono 135 su un totale di 4.200, mentre i finanziamenti non vanno oltre quota 970 milioni di dollari su un totale di 58 miliardi. Il confronto con gli altri Paesi non ha bisogno di moltissimi commenti: le oltre 1.400 startup mature della capofila Gran Bretagna hanno saputo attrarre finanziamenti complessivi per circa 20,2 miliardi di dollari (il rapporto è di 22 a 1), le scaleup di Germania e Francia sono oltre tre volte le nostre e hanno contabilizzato da fine 2016 in avanti una quantità di investimenti superiore alla nostra, rispettivamente, di undici e di sette volte. Anche in termini di incidenza dei finanziamenti raccolti dalle aziende innovative rispetto al Pil siamo allo 0,05%, rispetto allo 0,32% della meMARZO 2018 |

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INNOVAZIONE | Startup

dia europea, mentre le 0,2 scaleup ogni 100mila abitanti arrossiscono rispetto alle 0,9 delle media Ue. Pensare a un recupero in tempi brevi della nostra locomotiva rispetto al resto d’Europa è quasi utopia anche in ragione di altri dati emersi dal rapporto. Il 76% delle scaleup nostrane, per esempio, è stato fondato dopo il 2010 e in otto anni le exit concluse sono solo 94. Le startup italiane quindi sono partite più tardi e il ritardo accumulato, vista la velocità con la quale viaggia l’innovazione, è difficilmente recuperabile. E diventa impossibile farlo se, come nel caso dell’Italia, non si corre. Il nostro ecosistema è dominato soprattutto da realtà di piccole dimensioni, come dimostrato dal fatto che l’86% abbia raccolto finanziamenti tra un milione e 10 milioni di dollari, impe-

gnando il 36% del capitale disponibile. Solo il 12%, invece, appartiene al segmento delle medie scaleup, ovvero realtà capaci di chiudere round da 10 a 50 milioni, mentre appena il 2% supera la soglia dei 50 milioni.

L’86% delle 135 scaleup italiane ha raccolto finanziamenti di capitale fra un milione e 10 milioni di dollari. Solo il 2% ha chiuso round sopra i 50 milioni.

Dei 970 milioni raccolti, questi gli ultimi dati del rapporto relativi al fenomeno italiano, l’85% arriva da venture capital e investimenti privati, il restante 15% dalle Ipo (Initial public offering) di nove aziende che si sono

quotate in Borsa. Il 78% dei round è stato guidato da investitori italiani, il 9% da altri soggetti europei, l’8% da statunitensi. Se il gigante del fashiontech Yoox resta di fatto l’unica grande firma italiana (da sola ha attratto il 20% dei capitali raccolti dalle scaleup nostrane), le realtà emergenti hanno i nomi di FacilityLive, MoneyFarm, Musement, Mosaicoon, Cloud4Wi e ben 22 imprese (le apripista sono Funambol e Decisyon) hanno spostato il proprio headquarter all’estero pur mantenendo le attività di sviluppo in Italia. Ottenendo finanziamenti medi di 11,8 milioni di dollari, contro i 6,3 milioni delle scaleup rimaste in patria. E non si tratta, per l’ecosistema tricolore nel suo complesso, di un dato particolarmente incoraggiante. Gianni Rusconi

VODAFONE: 10 MILIONI DI EURO (IN SERVIZI) PER ALIMENTARE IL 5G

Si chiama “Action for 5G” e, lo dice abbastanza chiaramente il nome, è un’iniziativa rivolta ai progetti innovativi dedicati alle reti di quinta generazione. Nell’annunciarla, Vodafone l’ha etichettata come il primo bando dedicato alle startup impegnate nello sviluppo del 5G e ha confermato come l’obiettivo di fondo sia quello di dare vita a un ecosistema di aziende ed esperti attorno a questa tecnologia. Milano è al centro di questo progetto e

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l’investimento stanziato è pari a 10 milioni di euro distribuiti in quattro anni in servizi di consulenza (presso l’Open Lab di Vodafone e il PoliHub, l’incubatore del Politecnico di Milano). Le idee che verranno selezionate potranno sfruttare l’applicazione di diverse tecnologie, dalla robotica alla sensoristica, fino ai dispositivi connessi di realtà aumentata e virtuale. Più in generale, spiegano da Vodafone, si punterà su soluzioni digitali che abbiano nel 5G il proprio fattore abilitante distintivo e che riguardino gli ambiti di Industria 4.0, Sanità, smart city, smart grid, sicurezza ed entertainment. Il bando (aperto fino al 31 marzo, sul sito www.actionfor5g.it) è rivolto non solo alle startup innovative, già costituite o costituende, ma anche a Pmi e imprese sociali con asset di unicità e proprietà intellettuale e team dedicati al progetto presentato. I selezionati saranno oggetto di due diligence da parte di investitori

istituzionali italiani e di consulenti esterni, per poi accedere alla fase di “progettazione in 5G” nei mesi di maggio e giugno. In questa fase è previsto un primo finanziamento, oltre a sessioni tecnico-specialistiche per sviluppare l’idea. I progetti saranno valutati da una commissione costituta da membri di Vodafone Italia, Fondazione Vodafone, Politecnico di Milano e venture capitalist, che selezioneranno quelli più innovativi e strategici dando loro accesso alla fase di “sviluppo e rest in laboratorio” (fra settembre e dicembre 2018). In questa fase, le startup riceveranno il successivo finanziamento con la possibilità, per Vodafone, di entrare nel capitale della startup o di supportarla nel lancio commerciale del prodotto o servizio. I progetti più interessanti, infine, saranno valutati per una possibile partecipazione alla sperimentazione del 5G dell’operatore telco su Milano.


La geografia degli acceleratori italiani indica la Lombardia come Regione più attiva. Solo un quarto ha investito capitale di rischio nelle organizzazioni incubate nel corso del 2016. E il fatturato medio supera di poco il milione di euro.

GLI INCUBATORI ITALIANI? LA METÀ LAVORA CON STARTUP “SOCIALI”

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irca il 60% degli incubatori italiani è un’azienda privata e ha sede nella parte settentrionale della Penisola, mentre solo il 15,4% presenta una natura pubblica (la quota restante possiede invece una compagine sociale inclusiva di soggetti sia pubblici sia privati) e oltre la metà ha supportato organizzazioni a significativo impatto sociale. La Lombardia è la prima regione italiana per numero di acceleratori attivi sul territorio e i due terzi delle startup operano nel campo dei servizi di informazione e comunicazione (il 40%) e in quello delle attività professionali, scientifiche e tecniche (il 25,8% del totale). È lo spaccato di un’analisi sull’imprenditorialità sociale realizzata dal Politecnico di Torino in collaborazione con Italia Startup. L’indagine ha mappato 162 realtà, fra incubatori veri e propri, acceleratori e spazi di coworking che offrono accompagnamento manageriale e/o formazione imprenditoriale. E fra i dati che evidenziano una distribu-

zione non omogenea dell’ecosistema dell’innovazione c’è in primis la scarsità di soggetti nel Centro Italia, il 20% del totale, e nell’area meridionale e insulare, dove sono in esercizio il 18% di queste organizzazioni. Il giudizio complessivo è comunque positivo, come sottolinea in una nota Paolo Landoni del Politecnico di Torino, coordinatore della ricerca, secondo cui “gli incubatori italiani stanno crescendo e diversificandosi sia in termini di settori sia in termini di modelli di business. Particolarmente interessante è la scelta di un numero crescente di queste realtà di focalizzarsi su imprese a significativo impatto sociale, e tale specializzazione potrebbe essere un elemento efficace di differenziazione per il nostro Paese”. Più della metà degli incubatori, in effetti, ha dichiarato di aver supportato organizzazioni a significativo impatto sociale e il settore più rappresentato in questo senso è quello legato alla cultura, alle arti e all’artigianato (tema che interessa il 20% del campione), davanti

al campo della salute e del benessere (18%) e all’ambito della protezione ambientale (14%). Balza però all’occhio anche un altro dato, certo non incoraggiante: solo un quarto degli incubatori ha investito capitale di rischio nelle organizzazioni prese in carico nel corso del 2016, mentre non c’è stato alcun finanziamento da parte degli incubatori a matrice pubblica. Quanto al fatturato, infine, in media gli incubatori italiani hanno prodotto nel 2016 ricavi pro capite pari a 1,13 milioni di euro (per un aggregato stimabile intorno ai 183 milioni di euro) ma circa la metà di loro non è andata oltre i 250mila euro, confermando la condizione di nanismo dell’ecosistema startup nostrano. Le giovani imprese innovative – il dato emerge dal campione di 382 startup inserite nel 2016 in 32 diversi incubatori – esibiscono del resto ricavi medi che oscillano fra i 123mila (per le imprese a significativo impatto sociale) e i 127mila euro. G.R. 31


INNOVAZIONE | Startup

Superano quota 8.300 le startup registrate nel registro speciale delle imprese innovative. Mille sono nate in sei mesi. Ma i fatturati sono limitati e i finanziamenti inadeguati a sostenere la crescita.

UN ESERCITO DI IMPRESE MA TROPPO PICCOLO

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n sei mesi, abbiamo guadagnato circa mille startup innovative. La 14° edizione del rapporto trimestrale sulle tendenze demografiche e sulle performance economiche di queste realtà, realizzato a quattro mani dal Ministero dello Sviluppo Economico e da InfoCamere, ci ha detto che a fine 2017 le startup innovative iscritte nell’apposito registro erano 8.391, circa un migliaio in più rispetto al dato di consuntivo del 30 giugno. All’apparenza c’è da star sereni. Il fenomeno cresce in modo costante, popolando un ecosistema – quello dell’innovazione – che ha sicuramente bisogno di forze fresche. L’incremento della comunità delle nuove imprese nasconde però, e non è una novità, numeri che confermano come la strada da fare sia ancora lunga e ricca di criticità. Dal punto di vista del lavoro, l’ultima 32

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stima resa nota dal Mise (nel momento in cui scriviamo) parla per il finale del 2017 di circa 45mila occupati complessivamente, circa diecimila in più rispetto alla situazione di un anno prima. Le startup innovative a prevalenza giovanile “under 35” sono 1.824 (il 21,7% del totale), una quota tre volte superiore a quella rilevata fra le altre società di capitali, mentre quelle con una compagine sociale a prevalenza straniera sono 253 (il 3% del totale). Una discreta fetta di startupper con relativi soci è localizzata in Lombardia, dove operano circa duemila imprese (e di queste, al 31 dicembre, 1.370 avevano sede a Milano e aree limitrofe), e a seguire in Emilia-Romagna (862), Lazio (825), Veneto (758) e Campania, prima regione del Mezzogiorno con 623 realtà. La culla delle startup innovative in rapporto al totale delle società di capitali

è invece il Trentino-Alto Adige, dove tale incidenza arriva all’1,17%. Le dolenti note risuonano se prendiamo in esame i parametri di bilancio, che nel report fanno riferimento all’anno fiscale 2016 e sono disponibili solo per sei startup su dieci, perchè una quota significativa delle iscritte al registro ha completato il primo esercizio solo a fine 2017. Ebbene, il valore medio della produzione non supera i 155mila euro e il fatturato complessivo eccede appena i 760 milioni di euro, per un perdita operativa complessiva di 88 milioni di euro, contro gli 83,7 milioni della precedente rilevazione. Cifre modeste, insomma, in parte giustificate dalla giovane età di queste imprese. Ma chi parla di “nanismo” dell’ecosistema italico obiettivamente non lo fa a sproposito, come si nota paragonando i numeri nostrani a quelli di


Israele, Regno Unito, Francia, Germania e altri Paesi europei. La zavorra di investimenti ancora troppo poco limitati nelle startup (siamo nell’ordine dei 110 milioni di euro l’anno) si fa dunque sentire, ed e è questa forse la criticità maggiore. Il problema dello scarso apporto di finanziamenti istituzionali a favore delle nuove imprese innovative è noto, ma di difficile soluzione, e fa specie rilevare come fra le neoimprese sia invece spiccata la tendenza a investire, considerato che il rapporto tra immobilizzazioni e attivo patrimoniale risulta pari al 27,24%. Una percentuale otto volte superiore rispetto alla media delle società di capitali “tradizionali”. Ma se in cassa la liquidità è limitata, anche la portata degli investimenti lo è di conseguenza, con tutte le ripercussioni del caso sulle attività di ricerca e sviluppo e di industrializzazione dei progetti, sulla crescita del business e sulle strategie di internalizzazione. G.R.

CULLA DIGITALE PER IL 40% DELLE IMPRESE Costituire una società di capitali direttamente online, a costo zero e senza fare ricorso all’atto notarile, è possibile dal 20 luglio del 2016. Le startup in forma di società a responsabilità limitata che hanno beneficiato di tale procedura, completando l’intero iter, sono state (a tutto il 31 dicembre 2017) più di mille: 1.117 per la precisione. Ce lo dice il nuovo rapporto trimestrale di monitoraggio pubblicato dal Mise e redatto in collaborazione con Unioncamere e InfoCamere, secondo cui il 39,6% delle imprese create nel 2017 ha preso vita attraverso la modalità digitale. Il rapporto evidenzia inoltre come nel solo quarto trimestre dell’anno le imprese innovative costituite online siano state poco meno di

250 e come, rispetto alle 180 complessivamente avviate fino a dicembre 2016, il numero di startup fondate in Rete sia aumentato in dodici mesi di 937 unità. La Lombardia è la Regione capofila nell’adozione di questa misura, con 275 nuove imprese costituite online. Tra costoro, oltre 180 sono localizzate nell’area di Milano, e quella meneghina si piazza in testa alla classifica delle Province, davanti a Roma (con 115 startup), Padova, Treviso e Verona. Molto buoni, non a caso, sono i riscontri ottenuti dalla procedura digitale in Veneto, che raggiunge le 151 costituzioni online. Con l’eccezione della Valle d’Aosta, in tutte le Regioni italiane è stata fondata online almeno una nuova impresa innovativa.

UN MARKETPLACE PER VALORIZZARE L’INNOVAZIONE Un canale di vendita e di incontro digitale, facile e agile come il cloud, è forse la scelta più ovvia per una startup. Lo è sicuramente per le giovani aziende innovative affiliate a Italia Startup e oggi sbarcate su un marketplace lanciato sulla nuvola dall’associazione no profit nata per sostenere e dare visibilità alle nuove imprese tecnologiche italiane. Quella reperibile online (all’indirizzo marketplace.italiastartup.it) è descritta come “la prima piattaforma per il matchmaking tra la domanda e l’offerta di innovazione, che pone le startup italiane al centro”. In sostanza, un marketplace delle startup e per le startup, che potranno incontrarsi e acquistare una dall’altra ma anche raggiungere con le loro soluzioni aziende già consolidate.

L’offerta include i servizi infrastrutturali (IaaS), di piattaforma (PaaS) e software (SaaS) di Oracle, ma anche applicazioni e soluzioni sviluppate dalle startup. Per esempio Garoo, una sorta di piattaforma “tutto in uno” che racchiude strumenti di pubblicazione Web, di gestione marketing e comunicazione pubblicitaria e di gestione amministrativa. Jarvis, invece, è un piccolo dispositivo che permette di controllare tutti gli oggetti connessi (termostati, sensori di umidità, lampadine a consumo intelligente, sensori antifurto da finestra e via dicendo) inseriti in un ambiente domestico, in un ufficio, scuola od ospedale. La sicurezza fisica è l’obiettivo di aGesic, un’app che accompagna chi svolge lavori solitari o esposti a rischi, inviando in caso di necessità

delle notifiche di allarme verso un centro in controllo. Il negozio di Italia Startup include inoltre applicazioni gestionali rivolte ai titolari di partita Iva, soluzioni per l’e-commerce, per il digital publishing e per la logistica (come iCarry, un sistema che permette di creare delle community di servizi di consegna/corrieri). Chi sia interessato a vendere o a comprare sul marketplace può fare richiesta compilando un form e iscrivendosi al servizio. È anche possibile ottenere maggiori informazioni su un prodotto contattando direttamente il fornitore e, in alcuni casi, testare senza costi delle versioni di prova, ma non mancano nemmeno le applicazioni gratuite. Oltre che da Oracle, l’iniziativa è sponsorizzata da Kpmg, Ovh e Twt. V.B.

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EXECUTIVE ANALYSIS | La ricerca sul campo di Technopolis

Con la trasformazione digitale le applicazioni guadagnano importanza, ma i Cio sono ancora alle prese con una conoscenza limitata del patrimonio aziendale. Soprattutto in merito alle licenze e alla comprensione dei contratti stipulati con i vendor.

QUANTO È COMPLICATO GESTIRE IL SOFTWARE

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ai come in questi anni, l’evoluzione delle infrastrutture tecnologiche delle aziende pende in direzione dell’immaterialità. Gli investimenti fatti per digitalizzare o rendere più efficienti le attività amministrative, produttive o commerciali già da soli basterebbero a illustrare lo spostamento del baricentro di interesse delle imprese verso la componente applicativa, ma a questo si sono aggiunti fenomeni come la virtualizzazione delle principali componenti hardware (server, desktop, reti, storage), il peso crescente del cloud computing e la diffusione di smartphone e applicazioni mobili. Nella maggior parte delle realtà, soprattutto se complesse e articolate, l’evolu34

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zione infrastrutturale è stata per lungo tempo marcata da una certa carenza di coordinamento, dettata spesso dalle priorità imposte dalla crescita del business. Tuttavia, in un contesto di mercato in cui il controllo sui costi collegati alle componenti It è un imperativo, il monitoraggio costante e aggiornato sull’utilizzo del software può consentire alle aziende di assicurarsi che non stiano sperperando denaro per la gestione e manutenzione di componenti poco o per nulla utilizzate. Priorità e preoccupazioni delle aziende italiane

Lo scenario sopra descritto si rispecchia nella realtà operativa delle aziende italiane? Technopolis ha provato a dare una

risposta agli interrogativi collegati alla gestione del patrimonio software analizzando la situazione di un gruppo di grandi imprese, appartenenti a diversi settori, come il finance, le utilities, il fashion, i trasporti, la manifattura e i servizi. Un primo sostanziale dato di fatto emerso dalle interviste è che le aziende stanno effettivamente vivendo, per diversi motivi, una fase di significativa trasformazione. Non è infrequente la testimonianza di realtà che, in anni recenti o con processi tuttora in corso, hanno portato avanti un rifacimento anche integrale di alcune linee portanti del proprio sistema informativo. In termini di priorità collegate all’evoluzione del patrimonio software, ci sono alcune esigenze abbastanza comuni e traMARZO 2018 |

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una scarsa inclinazione della funzione It alla gestione. Esistono anche vincoli di compatibilità con software particolari o questioni legate alla sicurezza, soprattutto quella delle applicazioni più radicate nel tempo. Esiste la strisciante percezione che un miglior livello di conoscenza sul reale utilizzo del software in azienda possa anche essere fonte di risparmio sul costo totale di possesso o semplicemente di fonte recupero di efficienza, ma non si tratta di un bisogno effettivamente

Le aziende percepiscono che un miglior livello di conoscenza del reale utilizzo del software possa essere fonte di risparmio sul costo totale di possesso, ma non si tratta di un bisogno effettivamente razionalizzato

sversali che prevalgono per la quasi totalità del panel esaminato. Il time-to-market è uno degli elementi che più sta mettendo pressione ai Cio e ai responsabili It, sia in relazione alle richieste che arrivano dalle funzioni di business interne sia per quanto riguarda i rapporti con la clientela, specialmente laddove l’interlocutore finale risulti essere il consumatore. Una visibilità più puntuale sul reale utilizzo del software

Comune alla stragrande maggioranza del panel di soggetti coinvolti è la convinzione di avere un buon livello di conoscenza sul software presente in azienda e su come esso venga utilizzato. Tuttavia, cambia la percezione nel momento in cui si parla di visibilità completa e puntuale sul parco installato, per capire quali componenti siano realmente sfruttate dagli utenti, se tutte le versioni siano correttamente aggiornate e se i processi di acquisizione delle licenze abbiano seguito il giusto percorso. La carenza di una corretta percezione e di un’adeguata gestione degli aggiornamenti software non sempre dipende da

razionalizzato. La possibilità di definire contratti di licenza più flessibili rappresenta uno dei desideri più comuni per i responsabili It, ma i limiti legati agli interessi dei produttori e a quanto si ricava dalla manutenzione appaiono, al momento, difficili da superare. Complessità dei contratti e audit di conformità: due spine nel fianco

Il convitato di pietra nelle riflessioni sulla qualità e la profondità della gestione del software è rappresentato dai produttori, in particolare quelli che dominano il mercato enterprise. In linea di massima, diverse realtà ritengono di acquisire un adeguato livello di conoscenza di quanto contenuto in un contratto di acquisto nella fase di negoziazione e firma, perché spesso questa componente del processo è condivisa con gli uffici legali o con la struttura finanziaria. Quasi si trattasse di un’altra faccia della stessa medaglia, i medesimi grandi vendor del software che propongono contratti complessi e destinati a essere modificati in corso d’opera si attivano

anche periodicamente con attività di audit di conformità sul corretto utilizzo delle licenze e dei programmi. La situazione più comunemente riscontrata è quella di aziende che hanno una situazione in buona misura allineata a quanto previsto a monte dell’audit, ma con la rilevazione di qualche scoperto da sanare. I motivi di queste discrepanze sono normalmente da ascrivere alla complessità dell’organizzazione, con dipartimenti o sedi periferiche non sempre facili da controllare, ma anche alla presenza di software non aggiornato e utilizzato da specifici uffici o persone. Evoluzioni di mercato e possibili soluzioni

A fronte dello scenario fin qui descritto, quali sono gli strumenti o le pratiche che le aziende hanno messo (o prevedono di mettere) in campo per minimizzare i rischi collegati alla gestione delle licenze software? Un primo passaggio, abbastanza comune all’interno del panel analizzato, riguarda la capacità di programmare in anticipo il rinnovo dei contratti, anche di concerto con altri dipartimenti aziendali (soprattutto gli uffici legali e la direzione finanziaria). Una certa quota di aziende ha indicato la migrazione in cloud di alcuni processi come possibile rimedio alla complessità nella gestione delle licenze. In alcuni casi sono stati portati all’esterno anche processi “core business”, nella convinzione che, oltre al guadagno in termini di flessibilità e controllo sui costi, ci sia anche il vantaggio di una maggior delega al provider sul reale utilizzo del software. Questa evoluzione, unita a prassi organizzative in mutazione all’interno delle imprese, potrebbe però accrescere il rischio di diffusione del cosiddetto “shadow It”, ovvero della tecnologia (hardware, software e servizi) adottata dai dipendenti senza aver ricevuto indicazioni o permessi dall’It della propria azienda. Roberto Bonino 35


EXECUTIVE ANALYSIS | Il commento dei partecipanti

VELOCITÀ E CONTROLLO, PRIORITÀ PER I CIO

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uali priorità e proccupazioni occupano i pensieri dei chief information officer italiani? In che direzione tecnologica vanno le loro aziende? Ecco alcuni estratti delle interviste che Technopolis ha realizzato per indagare sul tema della gestione del software. In questi ultimi anni abbiamo attivato un significativo percorso di razionalizzazione e innovazione del nostro parco installato software, generato proprio dalla necessità di integrare e ottimizzare quanto utilizzato facendo attenzione alle novità del settore. L’apertura alla virtualizzazione e al cloud ha portato a una semplificazione dal punto di vista operativo, ma ha reso più complesso il controllo degli aspetti contrattuali, aggiungendo regole non sempre facili da interpretare a una realtà già complessa. Silvia Lombardi, Ict & innovation manager di Aeroporto G. Marconi di Bologna 36

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Le nostre scelte in campo software sono dettate soprattutto dall’attenzione massima dedicata alla copertura funzionale e al costo necessario per arrivarci. Naturalmente, ci possono essere eccezioni legate a esigenze di time-to-market o alla fornitura rapida di soluzioni derivate da richieste del business. Ridondanze o sottoutilizzo delle applicazioni sono ridotti al minimo. Pier Nicola Pizzato, Cio di Banca Sella Cerchiamo il più possibile di prevenire a monte l’installazione di software non autorizzato, con la definizione di policy molto stringenti e di privilegi assegnati con molta cura. Questo ci mette al riparo da sorprese, anche se occorre prestare attenzione alla corretta interpretazione dei contratti stipulati con i fornitori. Giorgio Viarengo, responsabile nucleo sistemi-direzione risorse, ufficio Ict di Cassa di Risparmio di Asti

Abbiamo impostato la strategia It per aiutare il raggiungimento degli obiettivi aziendali e per disporre di un ambiente agile e dinamico, che possa evolvere in futuro. La massima priorità è l’allineamento fra business e Ict, portando consapevolezza di come l’innovazione tecnologica possa accompagnare le persone con processi di change management. Alexander Stewart, Cio di Danieli La digital transformation porta con sé piattaforme tecnologiche aperte e interoperabili, sistemi ibridi e un uso sempre più esteso del cloud, impattando anche sulla gestione degli asset software, che dev’essere sempre più vicina alle esigenze reali del business. La necessità di salvaguardare il patrimonio costituito dalla componente applicativa aziendale, ottimizzando al contempo risorse e costi di manutenzione, sta portando alla nascita di uno strato applicativo leggero, capace di rendere disponibili e integrare dati fino a oggi confinati in silos e di fornire MARZO 2018 |

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analisi fruibili sempre più in mobilità. Roberto Loro, director technology & innovation di Dedagroup Generali è tra le compagnie assicurative leader a livello mondiale, un gruppo ampio e complesso, fatto da 420 compagnie distribuite in più di 60 Paesi, ciascuno con specifiche normative da rispettare. Negli ultimi anni sono stati sviluppati processi di procurement comuni, coordinati centralmente, e definiti strumenti e policy che consentono di automatizzare il controllo del parco licenze. Andrea Pontoni, head of group It audit di Generali Gli ambiti di ottimizzazione del mondo software sono per noi al centro dell’attenzione già da diversi anni. Siamo intervenuti tanto sul piano del consolidamento degli asset It quanto sulla manutenzione. Sul fronte del costo di possesso, il nostro approccio non è tanto quello di ridurre la componente di investimenti quanto il pensare alle nuove soluzioni anche in una logica diversa, per esempio quella cloud in tutti i casi percorribili e capaci di portare benefici. Antonino Chiappara, responsabile It governance Dsi di Hera Spa Già da qualche anno stiamo attribuendo grande importanza alla governance applicativa, in precedenza più trascurata. Aver definito una mappatura di ciò che viene utilizzato, da chi e su quali macchine ci ha consentito di ridurre inefficienze e procedere più spediti verso il necessario consolidamento. La riduzione della componente customizzata è un altro fattore di recupero di costi e ottimizzazione sul quale stiamo lavorando. Alessandro Burresi, direttore It di Lucart Una realtà come la nostra fa ancora leva su una forte componente di software customizzato, soprattutto per quanto riguarda la produzione. Nel mondo gestionale, abbiamo fatto la scelta di riprogettare il nostro ambiente con Sap e pertanto

disponiamo degli strumenti adeguati per rimanere allineati a un corretto utilizzo delle licenze. Per gli aspetti contrattuali, lavoriamo a stretto contatto con il nostro ufficio legale. Marco Campi, Cio di Marcegaglia Objectway è una realtà fortemente concentrata sul mondo bancario, di cui osserva anche le principali evoluzioni in atto, in particolare in direzione del cloud e della digitalizzazione dei dati. Si può dire che, in qualche modo, la nostra evoluzione in campo software sia lo specchio di ciò che realizziamo per i nostri clienti. Abbiamo fatto passi anche in direzione dell’open source, pianifichiamo con regolarità i rinnovi e facciamo un audit annuo interno per verificare la conformità

in termini di licenze. Paolo Rubano, chief software architect di Objectway Wiit ha da poco compiuto vent’anni e in questo tempo ha fatto evolvere il proprio modello di servizi continuativi per innovare e anticipare i trend di mercato. Oggi è focalizzata sui servizi di private e hybrid cloud per applicazioni critiche, offerti ad aziende globalizzate, in crescita e con processi di business critici. Per queste realtà è mandatorio non fermarsi mai. Nell’ambito dei progetti software, possiamo rilevare che oggi le aziende si stanno concentrando soprattutto sul Roi e sul time-to-market. Leonardo Federighi, operative center manager di Wiit

PASSARE DALLA COMPLIANCE A UNA VERA GOVERNANCE Gli audit sono una fonte di pressione esercitata dai vendor sulle aziende e mirano a individuare irregolarità di utilizzo del software per generare fatturato. Il tema è certamente delicato, e va oltre a ciò che le aziende dichiarano pubblicamente. La nostra esperienza ci porta a constatare casi di scoperte anche molto onerosi per le aziende, con una ricaduta, spesso diretta, di responsabilità sui Cio. Non solo i grandi vendor, ma anche quelli di media dimensione effettuano periodicamente controlli sull’utilizzo delle licenze con similari livelli di attenzione e accuratezza. Il dato positivo emerso dalla ricerca è che molti Cio sembrano aver compreso come il software asset management non vada considerato come uno strumento per la gestione della compliance, ma sia diventato la leva per poter pianificare al meglio le spese future e per rendere più efficienti gli investimenti. Spesso il passaggio al cloud viene

vissuto come possibile soluzione anche degli aspetti di compliance software. E che ci sia una semplificazione è di per sé indiscutibile. Tuttavia, il mutamento di logica nel consumo del software e nella sua contabilizzazione porta alla generazione di costi che spesso annullano i vantaggi dell’esternalizzazione. In sostanza, passare in cloud non esime le aziende da una governance complessiva, per evitare i rischi di spese inutili, soprattutto nei periodi di picco nell’utilizzo delle applicazioni. Notiamo, infine, che la maggioranza delle aziende lamenta difficoltà nella comprensione dei contratti di licenza sottoscritti, e anche a noi risulta difficile individuare realtà che siano completamente autonome nella gestione degli strumenti di licensing. Anche qui il software asset management può essere lo strumento ideale per creare efficienza nella spesa. Marco Lorenzi, country sales manager di SoftwareOne Italia

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INNOVAZIONE | Blockchain

I SEI MITI, DA SFATARE, DELLA CATENA MAGICA Gli analisti di Forrester hanno individuato una serie di “difetti” che rischiano di minare la credibilità della tecnologia alla base dei bitcoin. Si va dalla sua presunta immutabilità all’applicazione degli smart contract.

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i può applicare il proverbio “non è tutto oro quel che luccica” anche alla blockchain? Per Forrester la risposta è affermativa. Secondo la società di ricerca, questo nuovo paradigma tecnologico sarebbe avvolto da sei falsi miti. Malgrado la sua crescente diffusione e nonostante sia considerata una delle “novità” più calde del momento, la catena di blocchi è circondata da una serie di credenze che potrebbero minarne la credibilità sin dalle fondamenta. Secondo il report “Blockchain Technology: A Cio’s Guide To The Six Most Common Myths”, il primo falso mito riguarda l’immutabilità del registro distribuito: i ricercatori sostengono che questa caratteristica sia

tecnicamente impossibile da mantenere. Sono infatti due i metodi per modificare la blockchain: rielaborare tutta la catena (o almeno fino al blocco precedente l’evento che si vuole cambiare) o arrivare a una sua biforcazione, il cosiddetto fork. Forrester sottolinea quindi che i “partecipanti all’ecosistema devono essere consapevoli di come non sia la tecnologia in sé a proteggere i record dalle modifiche, ma il modo in cui la rete è progettata, implementata ed eseguita”. Il secondo mito riguarda la disintermediazione e la decentralizzazione. Il report spiega come le catene di blocchi non possano effettivamente superare completamente il problema della centralizzazione del consenso e delle decisioni, uno


La possibilità di visualizzare l’intero registro delle transazioni (con tutti i dettagli) può tramutarsi in uno svantaggio, perché non consente di mantenere i dati al riparo da occhi indiscreti.

degli scopi principali per cui sono nate. Anche con una diffusione maggiore delle blockchain ci sarà sempre il bisogno di intermediari fidati, probabilmente però in misura inferiore rispetto ad oggi. Il terzo punto coinvolge invece il concetto di fiducia ed è contiguo al tema della disintermediazione. Secondo Forrester, l’implementazione dei registri distribuiti ha portato gli utenti della Rete a fidarsi l’uno dell’altro e a scambiarsi asset senza conoscersi direttamente. “Ma nessuna rete è completamente priva di fiducia (trustless, ndr)”, si legge nella ricerca. “I partecipanti devono credere nel funzionamento corretto e continuo di questi network, a diversi livelli. Ad esempio, devono dimostrare di credere nella crit-

tografia e nel codice che regola i meccanismi” alla base della blockchain. Il mito della verità è il quarto punto affrontato dall’indagine di Forrester. A livello teorico, molte applicazioni basate sulle catene di blocchi consentono di prevenire imbrogli e frodi, tracciando ad esempio la provenienza e gli spostamenti di prodotti lungo una filiera. Questo perché le transazioni sono “molto difficili da manomettere” ma un asset non è vero soltanto perché si trova sulla blockchain e questa non è in grado da sola di garantire l’esistenza di un bene fisico. È fondamentale quindi capire che nessuna tecnologia può prevenire automaticamente una frode, anche se può certamente agire da deterrente. La trasparenza può invece diventare un’arma a doppio taglio, soprattutto per le imprese. Caratteristica intrinseca ed essenziale della blockchain, la possibilità di visualizzare l’intero registro delle transazioni (con tutti i dettagli) può tramutarsi in uno svantaggio, perché non consente di mantenere i dati al riparo da occhi indiscreti. “Insieme alle problematiche di scalabilità, la riservatezza rappresenta oggi la sfida tecnologica principale che gli sviluppatori devono risolvere”, si legge nel documento. Infine, Forrester si è concentrata sul tema dei contratti intelligenti, abilitati proprio dalla blockchain e, almeno finora, uno dei casi d’uso più concreti. Le imprese dovrebbero conoscerne alla perfezione il funzionamento prima di implementarli. “Uno smart contract è valido, per definizione, soltanto nella misura in cui lo sono la persona o il team che hanno concepito le regole e i programmatori che le hanno tramutate in codice”, scrive la società di ricerca. “Ma quest’ultimo non è legge. Anche se i partecipanti alla blockchain accettano l’applicazione di un contratto intelligente, dovranno comunque siglare un accordo legale separato che provi quanto concordato in precedenza”, allo scopo di conferire validità giuridica all’operazione. Alessandro Andriolo

L’ECOSISTEMA CRESCE La possibilità per le imprese di lanciare nuovi servizi, riducendo i costi, funzionerà da catalizzatore per il mercato della blockchain. Secondo gli ultimi dati diffusi da Idc, gli investimenti su questa tecnologia passeranno dagli 1,8 miliardi previst per il 2018 a 8,1 miliardi nel 2021, per una crescita annuale composta dell’80%. L’incremento sarà sostenuto dallo sviluppo costante di un ecosistema sempre più popolato, che porterà fornitori di servizi, system integrator, sviluppatori e società specializzate a offrire alle aziende clienti soluzioni sicure e scalabili.

MIGLIA DIGITALI I programmi frequent flyer prendono il volo con la tecnologia blockchain. La compagnia aerea Singapore Airlines lancerà nei prossimi mesi il primo “portafoglio digitale” che, sfruttando le potenzialità della catena di blocchi, consentirà ai clienti di utilizzare le miglia Krisflyer per effettuare acquisti quotidiani in tutti i punti vendita partner dell’iniziativa. L’applicazione è sviluppata dal Gruppo Sia (proprietario della blockchain) in collaborazione con Kpmg Digital Village e Microsoft ed è al momento riservata i chi viaggia in business class. In una prima fase verranno attivate collaborazioni con operatori commerciali di Singapore, ma l’obiettivo è ampliare poi la portata del progetto.

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SCENARI | | Intelligenza artificiale INNOVAZIONE

CHI HA PAURA DEL PENSIERO ARTIFICIALE? Le aziende minimizzano i timori sugli impatti negativi dell'AI sull'occupazione. Ma robot, droni e machine learning potranno rappresentare un pericolo anche per la sicurezza fisica e digitale delle persone.

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sserva, registra, analizza, “ragiona”, influenza il comportamento di software e sistemi hardware, dialoga con le persone in forma di chatbot o di assistente virtuale di uno smartphone, rende più realistici i videogiochi, affina le ricerche Web, prevede l’andamento dei mercati finanziari, fa volare droni, anima i robot e piloterà le automobili senza conducente del futuro. L’intelligenza artificiale è questo e molto altro, e le sue innumerevoli applicazioni arriveranno nel 2022 a generare per i fornitori di tecnologie un giro d’affari annuo di 16 miliardi di dollari, secondo le previsioni della società di ricerca Markets and Markets. Colossi come Amazon, Microsoft, Ap40

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ple, Google, Facebook, Samsung, Ibm, Tesla e moltissimi altri stanno investendo massicciamente in tecnologie e persone, consapevoli del fatto che il machine learning (l’apprendimento automatico, uno dei fondamenti dell’AI) finirà per essere incorporato in ogni servizio o sistema digitale. Nelle cronache giornalistiche questa nuova frontiera è spesso l’oggetto di timori di un suo espansionismo ai danni delle competenze umane, insomma di effetti negativi sull’occupazione non soltanto nelle mansioni manuali oggi già sostituite dai robot, ma anche in quelle intellettuali (figure impiegatizie, consulenti, giornalisti). Difficile poter smontare totalmente queste paure, ma è anche vero che diversi studi sottolineano la

prevalenza nel mondo imprenditoriale di sentimenti di benevolenza e interesse: uno studio presentato da Accenture all’ultimo World Economic Forum di Davos, per esempio, ha raccontato che per il 72% dei top manager (di 14 Paesi, Italia inclusa) l’intelligenza artificiale potrebbe aiutare la propria azienda a ottenere vantaggi competitivi nel proprio mercato di riferimento, mentre per il 63% potrebbe anche creare nuovi posti di lavoro. Una percentuale poco inferiore, il 61%, prefigura entro tre anni un aumento delle figure professionali che useranno quotidianamente questa tecnologia. Un po’ a sorpresa, anche la maggioranza dei dipendenti che non ricoprono ruoli dirigenziali vede di buon occhio le innovazioni della robotica


e del machine learning: per più di sei persone su dieci potranno avere impatti positivi sul proprio lavoro, anche se sarà necessario (per il 69%) sviluppare nuove competenze. Dal cybercrimine ai robot assassini

Un doppio filo lega certamente l’intelligenza artificiale al tema della sicurezza, sia quella fisica delle persone, sia quella informatica. Un recente studio firmato da 26 accademici ed esperti (Università di Oxford, Cambridge, Stanford, Yale e Bath, Center for a New American Security, Open AI e altre organizzazioni) dipinge scenari inquietanti e verosimili in cui questa tecnologia diventa involontario complice del crimine. E la casistica è variegata. Nel cybercrimine, l’intelligenza artificiale potrà aiutare i malintenzionati sia ad ampliare la portata delle loro operazioni “tradizionali” (pensiamo alle botnet e al DDoS) sia a creare nuove tipologie di attacco, sfruttando l’automazione o la generazione di azioni su larga scala, o ancora particolari forme di rilevamento delle vulnerabilità, Dall’attuale e già alto livello di sofisticazione, le campagne di phishing potranno diventare ancor più chirurighe, personalizzate e dunque efficaci, mentre quelle di social engineering sapranno prepararsi il terreno carpendo informazioni alla vittima ingaggiata da un chatbot che si finge una persona reale. Dopo un dialogo apparentemente non sospetto, il programma potrebbe convincere l’utente a scaricare un allegato malevolo, per esempio. L’automazione applicata alla ricerca delle vulnerabilità, invece, potrà aiutare i criminali a velocizzare enormemente le loro operazioni di “caccia al bug”. Lo studio dei 26 esperti arriva persino a immaginare dei “robot assassini”, che nascono come macchine destinate a fare le pulizie o a svolgere altri compiti innocui e che, se riprogrammati, possono attentare alla vita di personaggi politici. E poi i droni: anche quelli sviluppati per uso “civile”, destinati

per esempio all’agricoltura o a catturare riprese aeree, potranno trasformarsi in micidiali armi dotate di autonomia e capaci di individuare con precisione un bersaglio nella folla e di colpirlo da lontano. Si pensi poi anche al rischio di hackeraggio dei futuri veicoli a guida autonoma o al pericolo che un sistema di AI deputato al controllo del traffico

(banalmente, dei semafori) possa interpretare erroneamente un segnale visivo. In tutti questi casi, l’intelligenza artificiale accentua il pericolo poiché, eliminando il ruolo degli individui in molte comunicazioni e sistemi, rende difficile intervenire “manualmente” per arginare un attacco in corso. Valentina Bernocco

SE IL PERICOLO È ANCORA TEORIA

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oggi, la possibilità di attacchi cibernetici basati sull’intelligenza artificiale è stata solo evidenziata, a scopo dimostrativo, da ricercatori e informatici. Ma “il ritmo del progresso nell’AI suggerisce che probabilmente presto emergeranno cyberattacchi in corso che fanno leva su capacità di machine learning, ammesso che non sia già accaduto”, si legge nel report dei 26 accademici ed esperti. Tra i partecipanti di una recente conferenza di Black Hat, il 62% si è detto convinto che tali attacchi si manifesteranno ben presto, nel giro di un anno. “L’intelligenza artificiale non sarà usata solo dai bravi ragazzi”, conferma Dave Palmer,

director of technology di Darktrace. “Nel 2018 inizieremo a vedere emergere autori di minacce informatiche nuovi e più evoluti, che sfrutteranno questa tecnologia per lanciare campagne sofisticate e automatizzate. Immaginate, ad esempio, un pezzo di malware in grado di adattarsi al vostro stile di scrittura, che cambi a seconda della persona che state contattando, sfruttando le sfumature interpretative per inviare ai vostri contatti messaggi personalizzati e legati al contesto. Questi messaggi di phishing saranno così realistici da far cadere nel tranello la vittima, che scaricherà allegati dannosi o cliccherà su link pericolosi”.

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TECHNOPOLIS PER GRENKE

SE NON COMPRO È MEGLIO opportunità perché detenere la proprietà dei beni strumentali intacca il capitale aziendale, mentre è l’utilizzo, più che il possesso, a creare valore aggiunto per le imprese”.

Il noleggio è vantaggioso dal punto di vista economico e assicura costante aggiornamento tecnologico. Il pay-per-use si sta diffondendo sempre più nel sistema economico e produttivo italiano, perché crea reale valore aggiunto per le imprese. Queste, quando devono dotarsi di nuovi beni, tecnologie o macchinari, preferiscono investire in modo sostenibile sull’utilizzo piuttosto che sulla proprietà. Il 2017 ci restituisce uno scenario in decisa crescita per la locazione operativa, cioè il noleggio B2B di strumenti aziendali, ricomprendendo in questa categoria hardware, software, strumenti audio/video, macchine per stampa, attrezzature Ho.Re.Ca, arredo per ufficio, impianti di allarme, sistemi di cassa, elettromedicali, carrelli elevatori, macchinari per industria, droni, navigazione satellitare e molto altro ancora. Secondo i dati Assilea, l’Associazione Italiana Leasing, le imprese italiane nel 2017 hanno noleggiato beni per 1,438 miliardi di euro, con una crescita significativa (+36,2%) sul 2016. Anche il numero dei contratti è in progressione, con oltre 117mila noleggi (+51,8% rispetto al 2016). Grenke Locazione ha registrato un totale di oltre 462 milioni di euro di beni e tecnologie locati nel 2017 (+41,1% rispetto al 2016). Anche il numero dei contratti stipulati è cresciuto del 41%, raggiungendo la quota di 58.269. Secondo Aurelio Agnusdei, managing director e corporate sales vice president di Grenke Locazione, “noleggiare beni strumentali, attrezzature e tecnologie per oltre 460 milioni di euro vuol dire permettere a migliaia di imprese di investire e innovare, dotandosi degli strumenti migliori. Il target di Grenke è costituito dalle migliaia di Pmi dislocate su tutto il territorio, che rappresentano l’ossatura del sistema economico italiano. Il mercato sta recependo molto bene questa 42

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CHI SCEGLIE LA LOCAZIONE DI GRENKE: • Può dedurre totalmente i canoni di noleggio come puro costo aziendale; • Conserva liquidità in azienda, potendola destinare ad altri scopi; • Evita ogni segnalazione in centrale-rischi o altre intermediazioni bancarie; • Evita di conservare prodotti obsoleti, ma li rinnova di continuo; • Evita ogni costo di smaltimento dei beni; • Lavora in totale sicurezza, con beni sempre assicurati e garantiti. Per approfondmenti, scrivete a marketing@grenke.it con oggetto “locazione”, per essere contattati dalla filiale Grenke più vicina. Maggiori informazioni su www.grenke.it CHI È GRENKE Presente in Italia dal 2001, ad oggi GRENKE può contare su un network di 16 filiali nelle principali città italiane, oltre all’headquarter di Milano. Nel corso del 2018 è prevista l’apertura di tre nuove filiali, per un totale di oltre 185 collaboratori. CONTRATTO DI NOLEGGIO GRENKE Durata: da 24 a 60 mesi Importo minimo: 500 euro, Iva esclusa Costi: zero spese di incasso, zero adeguamento Istat Fatturazione canoni: trimestrale Assicurazione: beni coperti “All Risks”

Aurelio Agnusdei, managing director e corporate sales vice president di Grenke Locazione


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ECCELLENZE.IT | Ansaldo Energia

SICUREZZA CENTRALIZZATA PER LA FABBRICA DELL'ENERGIA Le soluzioni di Kaspersky Lab sono state scelte per proteggere il parco server, e i Pc e i dispositivi Android in dotazione al personale. Tutti i processi sono contrallati dal quartiere generale di Genova. suoi prodotti e servizi. “L’integrazione delle tecnologie in seguito ad acquisizioni è un processo sempre delicato”, commenta Luca Manuelli, chief digital officer e senior vice president Quality, It & Process Improvement di Ansaldo Energia. “Kaspersky Lab, in quanto realtà multinazionale e dinamica, ci ha offerto un supporto decisivo in questa fase garantendo rapidità di esecuzione e la stessa qualità di sistemi e servizi per tutto il gruppo”. Tutto questo ha consentito alla società di proseguire nel proprio cammino di espansione internazionale, conservando però il controllo della sicurezza informatica residente nel quartier generale di Genova.

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uando, nel 1853, l’imprenditore genovese Giovanni Ansaldo fondò l’azienda a lui titolata con il fine di produrre locomotive, il problema della sicurezza informatica doveva ancora essere inventato, così come l’informatica stessa. Oggi, invece, per Ansaldo Energia – ex divisione del gruppo, diventata nel frattempo una società per azioni che fabbrica impianti energetici, turbine, generatori e altri componenti per le centrali elettriche e nucleari – è una questione da affrontare con la massima attenzione possibile. Lo richiede la natura stessa del business, incentrato su un’ampia proprietà intellettuale da difendere, e lo richiede la continua evoluzione di una multinazionale che nel solo 2016 ha assorbito 800 dipendenti fra Svizzera e Stati Uniti, portando il conteggio totale delle teste oltre quota 4.500. La società era dunque alla ricerca di un fornitore di sicurezza 44

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informatica che potesse gestire con flessibilità i continui cambimenti e garantire i medesimi standard in ogni sede geografica e a tutti i livelli della catena dei fornitori. A livello di dispositivi, come molte realtà aziendali di ogni settore, anche Ansaldo Energia aveva la necessità di proteggere tanto i computer basati su Windows, quanto gli smartphone e i tablet Android sempre più utilizzati per accedere a dati e applicazioni (specie dagli addetti al marketing, dai venditori e da chi segue i lavori negli impianti in costruzione), senza contare l’insieme dei server fisici e virtuali. La scelta è ricaduta su Kaspersky Lab, selezionato non soltanto per il suo antivirus ma come fornitore unico di soluzioni di sicurezza per il parco server, per i Pc e per i terminali Android: a premiare la società russa sono state, in particolare, la flessibilità di implementazione e i livelli di affidabilità risconosciuti ai

LA SOLUZIONE Ansaldo Energia ha adottato la suite Endpoint Security di Kaspersky Lab per proteggere i propri dispositivi fissi (personal computer Windows, server), virtuali (server) e mobili (tablet e smartphone Android, in dotazione al personale che supervisiona gli impianti in costruzione e agli addetti a marketing e vendite). La suite racchiude in sé la protezione antivirus tradizionale, il controllo delle periferiche fisicamente connesse e una protezione dalle vulnerabilità “zero day”, cioè ancora non note e non risolte da patch. Quest’ultima funzione è fondata sul collegamento con i dati del cloud di Kaspersky, aggiornati in tempo reale.


ECCELLENZE.IT | Paiardini Tino

SE MACCHINE E DATI SI PARLANO L'INDUSTRIA 4.0 È PIÙ VICINA LA SOLUZIONE Attraverso il software Alyante, installato su una ventina di postazioni, l’azienda gestisce da un unico ambiente integrato tutte le sue attività, da quelle di Erp vere e proprie al monitoraggio sull’avanzamento degli ordini e alle analisi dei costi. L’analisi delle dashboard e il controllo dei Kpi possono essere anche eseguiti da remoto grazie alla tecnologia Web del gestionale di TeamSystem.

L'azienda del settore meccanico ha adottato i software gestionali di TeamSystem per digitalizzare in un’unica piattaforma tutto il flusso delle produzioni.

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a connettività, ma anche il dialogo fra i diversi sistemi, macchine e software sono i principi fondanti dell’industria 4.0. E uno dei passi da compiere per concretizzare questo modello è la digitalizzazione di tutte le informazioni riguardanti la produzione, i flussi commerciali, l’andamento del business. Così ha fatto Paiardini Tino, società marchigiana che rappresenta un’enclave della manifattura meccanica di precisione in un mercato ormai sempre più concorrenziale. Fondata nel 1980 da Tino Paiardini, oggi è una realtà da 90 dipendenti, che può offrire un servizio completo sia nelle lavorazioni meccaniche di precisione singole, sia nella realizzazione di gruppi assemblati. Per poter difendere il proprio valore aggiunto, l’azienda ha voluto investire

tanto sul fronte delle macchine a controllo numerico quanto su quello dei software gestionali, uno strumento utile per poter incrementare l’efficacia e l’efficienza delle attività. Ha quindi scelto di abbandonare il vecchio sistema Erp (Enterprise Resource Planning) statico e isolato dal restante ecosistema di applicazioni, in favore di una piattaforma che permettesse di gestire l’azienda, come si suol dire, in tempo reale. “Affidarci a un partner già collaudato e apprezzato come TeamSystem è stata una scelta strategica”, racconta Matteo Panorama, direttore commerciale di Paiardini Tino, “sia perché conoscevamo la disponibilità del gruppo a supportarci nelle nostre richieste di personalizzazione, sia perché così abbiamo potuto mantenere l’integrità delle basi dati”. Per lo sviluppo del nuovo ambiente Erp sono stati necessari sei mesi di lavoro di un team composto da personale di Paiardini e da risorse di TeamSystem. Inizialmente è stata realizzata la parte “core” del software, riguardante la gestione dell’amministrazione e della tesoreria, le vendite e gli acquisti, la produzione e un portale dedicato alla col-

laborazione. Nella seconda fase, il team si è dedicato alle funzionalità più qualificanti del modello Industry 4.0, quelle legate al controllo della produzione e all’automazione di processo: con queste aggiunte, l’azienda ha potuto ottenere maggiore visibilità sui dati, sui costi, su cicli e tempistiche di lavorazione (inclusi i tempi uomo necessari per ogni commessa), sui flussi commerciali e sulla redditività di ogni singolo ordine. “Con il nuovo Erp riusciamo a fare in pochi clic delle estrazioni di dati che una volta richiedevano ore”, sottolinea Panorama, “Questo vuol dire che possiamo sfruttare le risorse migliori, prima impegnate in complesse operazioni sui dati, per fare altre analisi più utili e a valore aggiunto”. L’azienda, inoltre, può ora gestire diverse attività da un’unica piattaforma e con un flusso più strutturato, e può osservare con chiarezza il percorso dei dati, calcolando preventivi, consuntivi e marginalità. Fra gli ulteriori progetti già avviati con TeamSystem ci sono il controllo avanzato di logistica e magazzino e la realizzazione si un sistema di gestione documentale basato sulla soluzione Knos. MARZO 2018 |

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ECCELLENZE.IT | Laboratori Fabrici

ARIA PULITA IN CASA, BUSINESS SOTTO CONTROLLO IN AZIENDA

La startup creatrice di Clairy, il vaso intelligente e connesso , ha adottato Sap Business One per gestire i rapporti con i fornitori, gli ordini e la contabilità. LA SOLUZIONE Sap Business One è una suite gestionale di tipo Erp (Enterprise Resource Planning), principalmente rivolta alle piccole e medie imprese. Grazie a questa soluzione, attraverso un’unica piattaforma accessibile alle diverse funzioni aziendali, Laboratori Fabrici ha la visibilità completa dei movimenti di magazzino e può gestire i rapporti con i fornitori, gli ordini e la contabilità. A breve anche le attività di e-commerce saranno integrate nella suite, collegando Sap Business One al sistema che gestisce le consegne degli ordini.

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ra gli oggetti smart che possono popolare le abitazioni c’è anche Clairy, un “vaso intelligente”, deputato non tanto a ospitare piante (anche se può assolvere a tale funzione) bensì soprattutto a migliorare la qualità dell’aria degli ambienti chiusi. Nato nel 2016 a Pordenone come startup, con il nome di Laboratori Fabrici, il progetto si è tradotto in realtà e in produzione industriale grazie al crowfunding, per arrivare poi a ottenere dall’Unione Europea un investimento da 2 milioni di euro e per mettere piede nella Silicon Valley (con Clairy Inc). Fabbricato a Nove, nel vicentino, il vaso smart è allo stesso tempo una sentinella e una soluzione al problema: attraverso sensori rileva la temperatura ambientale, l’umidità e la qualità dell’aria (cioè la concentrazione di

elementi tossici come formaldeide, ammoniaca, xilene, benzene e tricloroetilene), migliorando quest’ultima grazie alla pianta che cresce al suo interno. Il dispositivo si connette alla rete WiFi per inviare dati verso un’applicazione per smartphone, la quale visualizza i risultati dei monitoraggi e avvisa l’utente quando il serbatoio dell’acqua inserito nel vaso è quasi vuoto. In due anni, con l’inaugurazione di una seconda sede a Milano e con l’assunzione di nuovo personale, l’azienda ha investito sullo sviluppo della propria infrastruttura informatica, software incluso. La giovane azienda era alla ricerca, in particolare, di una soluzione che permettesse di gestire facilmente i rapporti con i fornitori, i movimenti di magazzino, gli ordini e la contabilità: la scelta è ricaduta su Sap. “Io credo molto nei processi, nell’importanza di avere un’azienda strutturata”, spiega il Ceo, Paolo Ganis, “e soprattutto, ora che Clairy sta attraversando una fase cruciale di sviluppo, è fondamentale che tutto sia organizzato in maniera efficiente per permetterci di essere veloci a rispondere alle sollecitazioni del mercato e di ottimizzare tutte le risorse che abbiamo”. “Nella mia precedente esperienza lavorativa all’interno di una grande organizzazione”, racconta ancora l’amministratore delegato, “ho avuto modo utilizzare la tecnologia di Sap e ne conosco molto bene le potenzialità”, Temevo però che per Clairy potesse essere una sfida economicamente impegnativa e non percorribile”. L’intervento del system integrator Ssa Informatica, invece, ha permesso all’azienda di valutare soluzioni in linea con le proprie esigenze e budget. “Grazie a Sap Business One”, assicura Ganis, “abbiamo una soluzione che ci garantisce di gestire il business con serenità, accompagnandoci nel nostro percorso di crescita senza dover ricorrere a ulteriori cambi infrastrutturali”.


ECCELLENZE.IT | International Experiential School

LA SCUOLA È CREATIVA E DIGITALE CON IL “DUE-IN-UNO” A supporto di una didattica interattiva e personalizzata, l'istituto scolastico di Reggio Emilia ha adottato una sessantina di dispositivi portatili "ibridi" Yoga Book di Lenovo.

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er una scuola che scelga un modello didattico interattivo, dinamico, personalizzato, la tecnologia può essere un prezioso alleato. Purché sia anch’essa innovativa, divertente da usare e capace di stimolare la creatività. L’esempio di un riuscito incontro è quello fra la International Experiential School (Ies) di Reggio Emilia e i dispositivi portatili “ibridi” Yoga Book di Lenovo. Nel nome dell’istituto scolastico – che include materna, elementari, medie inferiori e superiori – è racchiusa parte della sua filosofia, incentrata sul valore dell’esperienza e ispirata a modelli pedagogici e di insegnamento come i metodi Montessori, Reggio Emilio Approach, Etievan, Scuola Steineriana e altri ancora. I bimbi e i ragazzi partecipano attivamente alla ricerca dei contenuti educativi e beneficiano di programmi personalizzati sulla base dei propri interessi e talenti. A questi giovani non basta la possibilità di essere sempre connessi, servono strumenti interattivi e creativi. Per questo la scelta della dotazio-

ne tecnologica è ricaduta sugli Yoga Book, portatili che sono allo stesso tempo dei Pc, dei tablet e delle tavolette grafiche. La filosofia di Lenovo , spiega il fondatore della International Experiential School, Luca Taverna, “rispecchia quella della Ies, cioè pensare in maniera differente e realizzare qualcosa di migliore rispetto a quello che c’è già. Abbiamo scelto nello specifico lo Yoga Book perché consente di fare diversi lavori e soprattutto collegarli con le metodologie che utilizziamo e dare ai ragazzi la possibilità di creare qualcosa di veramente unico e personale che poi potranno usare nel mondo universitario o in quello del lavoro, ovunque li porti il loro futuro”. I sessanta dispositivi, dati in dotazione agli studenti dalle elementari in poi, hanno anche risolto una precedente difficoltà: quella di dover tradurre in forma digitale le “mappe mentali”, schemi di ragionamento che i ragazzi in precedenza scrivevano su carta e che ora, con gli Yoga Book, possono essere tracciati a mano libera e automaticamente salvati

come file. È più facile a farsi che a dirsi: le mappe vengono disegnate su carta con l’accessorio Real Pen (equipaggiato con pennini intercambiabili stilo touch o a inchiostro), che garantisce la precisione di una matita o di un pennello, registrando oltre duemila diversi livelli di pressione e cento gradi di angolo di inclinazione; i sensori del pennino raccolgono il segno grafico e lo digitalizzano; la mappa mentale può quindi essere archiviata, condivisa o proiettata in aula in tempo reale. I “due-in-uno” sono usati anche per prendere appunti, per fruire contenuti didattici multimediali e per elaborare testi e progetti. E non temono il multitasking, dato che l’interfaccia grafica (Book UI) permette di eseguire più applicazioni in contemporanea all’interno di più finestre. LA SOLUZIONE La scuola ha adottato una sessantina di Yoga Book da 10,1 pollici, configurati con Windows 10 Pro, processore Intel Atom X5 e 4 GB di Ram. Il portatile, a fronte di un peso di 700 grammi, può essere richiuso su sé stesso e trasportato come se fosse un libro; la cerniera, ispirata ai cinturini metallici degli orologi, consente una rotazione completa a 360° dello schermo tattile. La tastiera (Halo Keyboard) non presenta tasti meccanici ma è realizzata con un vetro tattile antiriflesso, che visualizza lettere, numeri e simboli all’occorrenza. L’autonomia energetica è di circa 15 ore.

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VETRINA HI-TECH

PRIMAVERA TECNOLOGICA L'hi-tech investe tutti gli aspetti della vita quotidiana e lo fa “regalando” design e forme sempre più interessanti. Dal primo telefono della cinese Zte con doppio schermo, al laptop ibrido di Microsoft che consente di staccare il display dalla tastiera e di usarlo come tablet. Per i più sportivi, Bose propone mini auricolari wireless con una qualità audio elevatissima. Da Sony, Archos e Asus ecco le ultime novità per l'home entertainment. ARCHOS HELLO

SONY XF75 Disponibili nelle misure da 43, 49, 55 e 65 pollici, i nuovi televisori Sony della serie XF75 sono dotati di pannelli Lcd retroilluminati a Led con risoluzione Ultra Hd, processore 4K X-Reality Pro, supporto per Hdr e controllo vocale. Il sistema operativo è Android Tv e non mancano compensazione del moto e tecnologia ClearAudio+.

Posizionabile in verticale o in orizzontale, il primo smart speaker della francese Archos è proposto in due versioni: una con schermo touch Ipd Hd da 7 pollici, l’altra con display Full Hd da 8,4 pollici. L’altoparlante integra Android Oreo e supporta il controllo vocale, oltre a dare la possibilità di collegarsi agli altri oggetti intelligenti della casa. Il prezzo parte da 130 euro.

BOSE SOUNDSPORT FREE L’allenamento è in totale libertà con i nuovi auricolari senza fili di Bose. Con i loro 18 grammi, sono la risposta agli AirPods di Apple e garantiscono un’ottimale riproduzione audio fino a dieci metri di distanza dal dispositivo. Le cuffie SoundSport Free sono alimentate da una batteria agli ioni di litio e garantiscono fino a cinque ore di musica, al prezzo di 200 euro.

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ASUS HC102 Il 2018 verrà probabilmente ricordato come l’anno della realtà mista targata Windows 10, grazie però anche all’impegno dei partner di Microsoft. L’ultimo nato fra i visori di Asus, il modello Hc102, pesa meno di 400 grammi, è dotato di due telecamere frontali con tracciamento di tipo “sei gradi di libertà” e integra una serie di sensori (giroscopio, accelerometro e magnetometro) che permettono di rilevare alla perfezione i movimenti dell’utente. Il prezzo consigliato è di 450 euro.

ZTE AXON M Arriva in Italia in esclusiva con Tim lo Zte Axon M. È il primo smartphone “pieghevole” al mondo, ma le virgolette sono d’obbligo in quanto si tratta di un dispositivo con due schermi collegati da una cerniera. Utilizzati uno vicino all’altro, i display Full Hd coprono una diagonale di 6,75 pollici. Il prezzo proposto è di 900 euro.

MICROSOFT SURFACE BOOK 2 Un po’ Pc e un po’ tablet, Surface Book 2 è il dispositivo più performante dell’intera gamma proposta da Microsoft. Due i formati disponibili: 13,5 e 15 pollici, entrambi con doppia fotocamera e doppio microfono. La dotazione hardware include processori Intel Core i5 o i7 di ottava generazione, 8 o 16 GB di Ram e scheda grafica discreta Nvidia GeForce GTX 1050. La capacità di archiviazione arriva fino a 1 TB su supporto a stato solido. Lo schermo touch PixelSense offre una risoluzione massima di 3.240 x 2.160 pixel (260 PPI) e permette l’interazione con mouse, dita, pennino digitale (Surface Pen, che riconosce 4.096 punti di pressione.) o accessorio per grafici e progettisti (Surface Dial). La particolare cerniera

che collega tastiera e display permette di ruotare quest’ultimo di 360 gradi o di staccare le due parti, utilizzando così il Surface Book 2 come un tablet. Il peso della versione da 15 pollici raggiunge quota 1,9 chili, tastiera inclusa e nel punto più sottile il 2-in-1 di Microsoft misura 13 o 15 millimetri, a seconda dei modelli. Viste le specifiche, il prezzo è importante: si parte infatti da 1.750 euro, per arrivare alla bellezza dei 3.900 richiesti per la configurazione top.

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VETRINA HI-TECH

LO SMARTPHONE È SOCIAL Il sentiment e la distribuzione di genere degli utenti che hanno seguito su Twitter il lancio dei Samsung Galaxy S9

57% Utilizzando la piattaforma di analisi KPI6 abbiamo monitorato le reazioni degli utenti di Twitter durante il lancio dei nuovi Galaxy S9 e S9+ di Samsung. Ecco qualche dato.

A

fine febbraio Samsung ha presentato gli smartphone Galaxy S9 ed S9+: i due nuovi top di gamma dell’azienda sudcoreana, pur non rappresentando una rivoluzione, hanno ulteriormente alzato l’asticella del settore, con specifiche di pregio e un comparto fotografico innovativo. Anche i prezzi non sono da meno: si parte da circa 900 euro. I Galaxy S9 sono stati lanciati a Barcellona, durante il Mobile World Congress, e in larga parte l’evento è stato seguito dagli appassionati di tecnologia sul Web. Ma come ha reagito il mondo dei social alla presentazione di questi nuovi smartphone? Utilizzando la piattaforma di analisi KPI6 abbiamo monitorato le conversazioni degli utenti su Twitter nelle ore immediatamente successive al lancio dei dispositivi. Ecco, sotto forma di grafici, quello che abbiamo scoperto. 50

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13%

38%

87%

5%

NEUTRALE

MASCHI

POSITIVO

FEMMINE

NEGATIVO

Solo il 5% degli utenti ha adoperato parole negative nel commentare l’evento. Le più usate sono state “perplessità” e “dubbio”.

Come spesso succede quando si parla di tecnologia, la stragrande maggioranza degli interessati è di sesso maschile. Anche il lancio dei Galaxy S9 non ha fatto eccezione.

Le parole più utilizzate nei tweet: oltre a “Galaxy” e “Samsung”, spiccano anche “finalmente”, “prezzo”, disponibilità” e “piaciuto”.



Una combinazione perfetta FUJITSU Server PRIMERGY e Windows Server 2016

Windows Server: Power your business Iperconvergenza, qualità e affidabilità: i Server PRIMERGY e Windows Server 2016 sono la perfetta combinazione per vincere le sfide del futuro. Cosa stai aspettando? Info: www.fujitsu.com/windowsserver2016 Numero verde: 800 466 820 customerinfo.point@ts.fujitsu.com blog.it.fujitsu.com © Copyright 2017 Fujitsu Technology Solutions Fujitsu, il logo Fujitsu e i marchi Fujitsu sono marchi di fabbrica o marchi registrati di Fujitsu Limited in Giappone e in altri paesi. Altri nomi di società, prodotti e servizi possono essere marchi di fabbrica o marchi registrati dei rispettivi proprietari e il loro uso da parte di terzi per scopi propri può violare i diritti di detti proprietari. I dati tecnici sono soggetti a modifica e la consegna è soggetta a disponibilità. Si esclude qualsiasi responsabilità sulla completezza, l’attualità o la correttezza di dati e illustrazioni. Le denominazioni possono essere marchi e / o diritti d’autore del rispettivo produttore, e il loro utilizzo da parte di terzi per scopi propri può violare i diritti di detto proprietario.

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