Technopolis 24

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NUMERO 24 | OTTOBRE 2016

Storie di eccellenza e innovazione

l’intelligenza dei dati per le TLC

L'analisi delle informazioni di nuova generazione al servizio delle infrastrutture di rete. L'esperienza di successo di Tim Wholesale Market.

fenomeno Fintech Le banche sono pronte alla rivoluzione della finanza digitale? Lo scenario e l'impatto della tecnologia.

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speciale storage

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Le architetture ibride e software defined trainano un mercato che, almeno in Italia, risulta però in leggera flessione.

candy

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La storia del gruppo brianzolo raccontata per immagini: dalla prima lavatrice agli elettrodomestici connessi.

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Non si tratta semplicemente di un’altra Non si tratta semplicemente di un’altra stampante laser monocromatica, ma di un stampante laser monocromatica, ma di un nuovo modo modo di nuovo di pensare. pensare.

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SOMMARIO Storie di eccellenza e innovazione

N° 24 - OTTOBRE 2016 Periodico bimestrale registrato presso il Tribunale di Milano al n° 378 del 09/10/2012.

4 storie di copertina

L’intelligenza delle informazioni per le Tlc

9 IN EVIDENZA

Da industry 4.0 al commissario digitale

Blackberry, Nokia, Google: chi viene e chi va nei telefonini

L’opinione: Apple può ancora cambiare le regole del gioco? Direttore responsabile: Emilio Mango Coordinamento: Gianni Rusconi Hanno collaborato: Alessandro Andriolo, Piero Aprile, Valentina Bernocco, Roberto Bonino, Carlo Fontana, Paolo Galvani, Claudia Rossi, Ezio Viola Progetto grafico: Inventium Srl Foto e illustrazioni: Istockphoto, Adobe Stock images, Martina Santimone

Pseudonimizzazione, questa sconosciuta

Più tutela per i dati nel cloud degli utenti europei

Le small cell per le poste

L’intelligenza artificiale al centro dei pensieri dei big

16 SCENARI

La rivoluzione Fintech è ora: banche, siete pronte?

La moneta legale vivrà oltre le valute virtuali

Dalle banche a industria 4.0, l’universalità del blockchain La nuvola spinge dati e robotica in fabbrica

25 speciale storage L’avanzata delle nuove architetture

Editore, redazione, pubblicità: Indigo Communication Srl Via Correggio, 48 - 20149 Milano tel: 02 36505844 info@indigocom.it www.indigocom.it Stampa: Ciscra S.p.A. - Arcore © Copyright 2016 Indigo Communication Srl Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati.

La digital economy orienta l’evoluzione

Obiettivo condivisione, passando per il cloud

33 ECCELLENZE.IT Bauli - Citrix Noberasco - Elmec 36 italia digitale Industria 4.0, il piano c’è. La vera sfida è attuarlo

L’innovazione fa tappa al salone Un ecosistema aperto che fa scuola

42 OBBIETTIVO SU Candy

Il Sole 24 Ore non ha partecipato alla realizzazione di questo periodico e non ha responsabilità per il suo contenuto.

47 VETRINA HI-TECH

Pubblicazione ceduta gratuitamente.

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STORIA DI COPERTINA | Telecom Perpiciatis Italia Wholesale

La Business Intelligence di nuova generazione al servizio dello sviluppo delle infrastrutture di accesso e della governance dei dati. L’esperienza di successo della divisione Wholesale del Gruppo Telecom Italia.

L’INTELLIGENZA DELLE INFORMAZIONI PER LE TLC

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iliardi di informazioni da gestire ogni mese. Enormi volumi di dati strutturati e non, dai quali trarre indicazioni utili ai processi decisionali e utili a raccontare al meglio esperienze funzionali alle strategie dei clienti. Big Data insomma, perché quelli raccolti e distribuiti sui sistemi della divisione Wholesale del Gruppo Telecom Italia hanno tutte le caratteristiche per essere definite tali: la varietà, in quanto provenienti da molteplici ed eterogenee fonti; il volume, perché siamo in presenza di grandi quantità in continua espansione; 4

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la velocità, e quindi l’esigenza di comprimere i tempi di gestione e analisi dei dati per un tempestivo utilizzo degli stessi. La sfida da vincere, quindi, è di quelle importanti ed è comune a ogni grande organizzazione: governare la quantità e l’eterogeneità dei dati a supporto delle decisioni. Una sfida che diventa ancora più difficile se, come dice Walter Felice Ibba, senior vice president di Wholesale, la base di partenza è segnata da una stratificazione di più sistemi informativi e conseguentemente da una molteplicità di fonti. “Una corretta gestione delle informazioni”, spiega il manager a

Technopolis, “è sinonimo di uniformità del formato dei dati e della possibilità di farli confluire in un unico ambiente di elaborazione”. L’esigenza in seno all’azienda che si muove alle spalle di Tim e di altri operatori di telecomunicazione era, quindi, chiara e per il 2016 è diventata un vero e proprio obiettivo da raggiungere, quello di migliorare i processi decisionali e operativi. “Per farlo”, aggiunge Ibba, “stiamo realizzando un sistema software che ci permetta la gestione completa dei nostri Big Data, aumentando l’efficienza e l’efficacia operativa, da una parte, e suppor-


tando tempestivamente le nostre decisioni strategiche, dall’altra. Per realizzare questo progetto avevamo bisogno di uno strumento che si integrasse facilmente e velocemente con i nostri sistemi e con i nostri processi, superando la complessità e la varietà dei nostri dati, e che ci garantisse una governance e una semplicità di realizzazione delle soluzioni in linea con il nostro time to market”. La soluzione che ha trasformato la practice di far confluire i dati elaborati in un foglio di Excel, liberando gli addetti dal vincolo di un supporto tecnico dedicato, non arriva dalla Silicon Valley e non è il classico strumento di analytics di uno dei colossi dell’informatica di classe enterprise. Arriva dalla provincia di Avellino, dove ha sede Datonix, realtà altamente specializzata nel campo delle applicazioni software per la gestione dei dati. “Abbiamo effettuato un’indagine di mercato”, ricorda, in proposito, Ibba, “e ritenuto interessante la loro soluzio-

UNA MISSIONE POSSIBILE: GARANTIRE AI CLIENTI SERVIZI DI QUALITÀ All’interno del Gruppo Telecom Italia, Wholesale è la divisione di Tim che unisce la parte tecnica di Open Access e quella commerciale di Wholesale Market. Il suo compito è quello di offrire ai propri clienti (diverse entità interne di Tim operanti nel mercato retail, ma anche altri operatori di telecomunicazioni) infrastrutture e un’ampissima gamma di servizi all’ingrosso, sfruttando una rete di proprietà estesa su tutto il territorio nazionale e tecnologie hardware e software di ultima generazione. In Wholesale Market lavorano quotidianamente oltre 250 professionisti impegnati nello sviluppo di soluzioni a supporto di attività “core” delle aziende clienti, quali le relazioni commerciali e la gestione amministrativa e della contrattualistica. L’attività è definita in stretto raccordo con le funzioni operative responsabili delle performance e con le direzioni competenti, con l’obiettivo ultimo di garantire la totale compliance alle regole del proprio settore. Wholesale Market opera rispetto ai requisiti del “modello di equivalence” di Tim, pratica che garantisce le medesime condizioni (prezzi e prestazioni) di accesso ai servizi sia ai clienti interni sia a quelli esterni. Alla guida di questa divisione c’è Walter Felice Ibba, manager con una lunga esperienza sia in ambiti tecnici (è stato, fra i tanti incarichi svolti, responsabile dello sviluppo del Progetto Socrate di Telecom Italia) sia in ambiti regolamentari e commerciali.

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STORIA DI COPERTINA | Telecom Italia Wholesale

ne perché offre una nuova visione della Business Intelligence, molto più vicina al business che all’It e basata su un accesso a dati multistrutturati in modalità self data preparation”.

SEMPLICE È MEGLIO

Gli ambiti di applicazione

Attualmente l’utilizzo della soluzione Datonix è concentrato nelle aree Accounting e Marketing rispetto a una duplice finalità: migliorare sia gli aspetti operativi sia il processo decisionale. Nell’ambito della prima funzione, il software ha permesso di creare un sistema di reportistica utile per il controllo delle prestazioni economiche di Wholesale Market. “In particolare”, precisa Ibba, “abbiamo integrato e migliorato l’attività di reporting a supporto del nostro ciclo di fatturazione attivo e passivo e della gestione finanziaria. Nell’ambito del marketing, invece, avevamo la necessità di tracciare, analizzare e raccontare in modo semplice, ma allo stesso tempo con un livello di approfondimento adeguato rispetto alle varie situazioni, l’enorme investimento che Tim ha avviato per lo sviluppo delle piattaforme innovative, in particolare in ambito ultrabroadband”. L’esigenza, infatti, era quella di passare da numeri di copertura aggregati a livello nazionale (Tim lavora con circa 10mila

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La soluzione di Datonix adottata da Telecom Italia Wholesale si basa su un accesso a dati multistrutturati in modalità self data preparation. Si tratta di uno strumento di prepara-

centrali e 150mila armadi stradali) a una visibilità locale e disaggregata, fino al dettaglio di regione, città e quartiere, per far comprendere a ciascun cliente le specifiche opportunità di business. Come?

zione dei dati i cui pregi principali sono la velocità (quella con la quale definisce le applicazioni da mettere in campo), la flessibilità e la semplicità d’uso. È infatti utilizzabile (dagli utenti autorizzati) attraverso i classici software di Office Automation e garantisce una notevole compressione dei tempi di esercizio, assicurando la possibilità di gestire senza problemi la complessità dei dati derivanti da fonti diverse (sistemi informatici di tipo legacy, file di svariati tipi, email, ecc.), in un unico sistema di raccolta e conservazione degli stessi. Un suo ulteriore pregio? La possibilità di modificare le informazioni, conservandone la storia, e di integrare tali dati direttamente ad opera dell’utente business, nonché quella di aumentare la granularità di analisi grazie a funzionalità che permettono di passare dal dato aggregato alle singole informazioni più dettagliate.

Storicizzando i dati di consumo e quelli di copertura della rete, rilevando tutte le dinamiche di acquisizione e migrazione tra servizi e, infine, offrendo indicazioni di priorità sulle aree di intervento. “Una soluzione completa, in grado di correlare tecnologia, servizi e prospettive di business con una vista semplice ma molto precisa”, assicura Ibba, sottolineando come fra i pregi più importanti di Datonix ci sia quello dei tempi di implementazione. “In poche settimane siamo riusciti a portare in produzione il software e il motore che estrae i dati dai nostri database”, ha aggiunto il manager. E tale caratteristica ha già convinto Wholesale ad ampliarne l’utilizzo a tutti quei dati aziendali, disponibili all’interno della divisione, per i quali la tecnologia di self data preparation può semplificare e velocizzare il processo di analisi e di rappresentazione anche in chiave grafica. Gianni Rusconi


Mettere a fattor comune i dati per creare valore Capitalizzare le informazioni esistenti, grazie a tecnologie all'avanguardia, è un modo di fare innovazione in chiave business. Ci spiega come il senior vice president di Wholesale, Walter Felice Ibba.

Walter Felice Ibba

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l software Datonix ha portato in dote a Wholesale diversi benefici, alcuni dei quali decisamente a elevato valore aggiunto. Non parliamo, come spesso capita, di ritorno degli investimenti ma di un salto in avanti sostanziale in termini di efficienza operativa. Partendo da una risorsa vitale e disponibile, i dati.

piattaforme software dei grandi vendor informatici, perché decisamente inferiori. Posso solamente dire che tali costi sono stati contenuti in fase di sviluppo e si sono rivelati nulli o quasi in fase di esercizio. Ma nella nostra selezione ha molto influito anche il fatto che fosse una soluzione applicativa non vincolante ed estremamente flessibile.

Proviamo a sintetizzare i principali vantaggi ottenuti.

Sulle prestazioni avete accettato dei compromessi?

Abbiamo ridotto i tempi di elaborazione delle informazioni per migliorare le attività di reportistica dipartimentale, automatizzato fasi manuali della preparazione delle stesse, superato la complessità dell’integrazione dei dati, strutturati e non, provenienti da più fonti. E abbiamo costituito un ambiente di analisi centralizzato, utilizzando un sistema di reporting semplice e flessibile.

Se mi chiede se il software sia il più performante del mondo, la risposta è “non lo so”. Di certo soddisfa pienamente le nostre esigenze di gestione e governance dei dati, garantendoci tutti gli strumenti necessari per operare.

La scelta di puntare su un software “indipendente” è legata ai costi?

Sicuramente i costi di questa soluzione non sono paragonabili con quelli delle

Anche sotto il profilo della sicurezza?

Abbiamo la garanzia dell’integrità del dato, la certezza che il sistema vada a estrarre ed elaborare informazioni dai nostri database e dai nostri sistemi legacy. Ovviamente gli accessi alla piattaforma sono selezionati per ridurre i rischi di corruzioni e violazioni.

Come si può leggere questo progetto in termini di innovazione?

Tim è una società che vive di innovazione e crediamo fermamente che gestire i dati prodotti dalla nostra stessa compagnia sia il primo passo per evitare di disperdere valore per l’azienda. Non è teoria, è business. Si può fare quindi molta innovazione sui dati in termini di costi operativi e di efficientamento dei processi strategici e decisionali: capitalizzare le informazioni esistenti con una tecnologia all’avanguardia è fare innovazione nei Big Data. Senza alcuna resistenza al cambiamento da parte degli addetti?

Se le persone lavorano bene e ottengono risultati e se non intercorrono turbative dovute a errori tecnici o di processo, si crea un effetto domino dell’esperienza d’uso che diventa sinonimo di miglioramento per tutti i componenti dell’organizzazione. Nel nostro caso possiamo tranquillamente parlare di replicabilità di un modello virtuoso per la gestione dei dati. G.R. 7


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IN EVIDENZA

l’analisi DA INDUSTRY 4.0 AL COMMISSARIO DIGITALE: IL SISTEMA ITALIA PROVA A CORRERE Del piano Industry 4.0 avevamo anticipato le linee guida sullo scorso numero di Technopolis, confermandone (erroneamente) il varo il 10 settembre. Carlo Calenda e Matteo Renzi l’hanno presentato a Milano il giorno 21: le indiscrezioni raccolte al momento della chiusura della rivista ci hanno indotto in fallo. Ce ne scusiamo con i lettori. La sostanza del piano, invece, non si discosta troppo da quanto scrivevamo un mese e mezzo fa. La vera sfida è ora quella della sua attuazione (ne parliamo a pag. 36): i proclami sulla valenza della strategia che dovranno aiutare la manifattura a cambiare passo dovrà tradursi in progetti concreti, e risultati. Il contesto in cui il piano entra in gioco ci dice che la produzione industriale, secondo gli ultimi dati Istat, è calata del 22% dal 2007 al 2016 e l’entità di tale flessione non è spiegabile (forse) solo con l’indifferenza di governi e imprese verso il digitale. Invertire la tendenza, non solo nella manifattura, è l’obiettivo che Renzi si è posto ma la storia recente insegna che i piani perfetti sulla carta (vedi l’Agenda Digitale) non sempre, anzi quasi mai se guardiamo al nostro apparato pubblico, si traducono in realizzazioni altrettanto lodevoli. Il piano Industria 4.0 da 13 miliardi di euro di risorse allocate, in ogni caso, è stato accolto in modo positivo da più parti. Anche dagli esponenti dell’industria, che puntualmente (e per certi versi paradossalmente) non hanno mancato di ricordare come il ritardo delle imprese sia elevato e come sia necessaria una forte accelerata. Varata la strategia,

Il piano per la manifattura ha trovato il plauso degli addetti ai lavori e nel frattempo si è aperta l’era di Diego Piacentini come Commissario per il digitale. Basteranno per invertire la tendenza dell’economia reale? che si accoppia a quella sull’ultrabroadband, ora tocca al tessuto imprenditoriale dimostrare di saper cogliere le opportunità (incentivi in primis) per rinnovarsi, fermo restando che al Governo rimane il compito di rendere più efficiente e produttiva, grazie al digitale, la Pubblica Amministrazione. Nel frattempo è ufficialmente iniziata, con tanto di Decreto della presidenza del Consiglio, l’era di Diego Piacentini in veste di Commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda Digitale. L’incarico del senior vice president di Amazon durerà due anni e sarà a costo zero per le casse pubbliche; la struttura commissariale prevede oneri per un massimo di sette milioni di euro l’anno. Gli obiettivi del mandato li ha così sintetizzati a Repubblica lo stesso Piacentini: “Rendere i servizi pubblici per i cittadini accessibili nel modo più

semplice possibile attraverso i dispositivi mobili e far sì che la macchina statale sia in grado di usare le tecnologie come accade in Gran Bretagna o negli Stati Uniti”. Il manager lavorerà in tandem con il consigliere di Palazzo Chigi, Paolo Barberis, e il loro operato troverà ispirazione nel “Manifesto di principi tecnologici e operativi”. Una sorta di decalogo che spazia dalla sicurezza alla privacy, dal mobile all’open source, dal cloud al machine learning. Per metterlo in pratica si cercano talenti (una ventina) con cui dare vita al “team per la trasformazione digitale”. Un’ultima curiosità: la figura a suo tempo incensata del Digital Champion è attualmente scoperta dopo le dimissioni di Riccardo Luna. Visti i pochi progetti concretizzati, forse non se ne sentirà la mancanza. Gianni Rusconi

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IN EVIDENZA

Blackberry, Nokia, Google: chi viene e chi va nEI TELEFONINI Il mercato degli smartphone rallenta e la guerra fra i vendor registra novità importanti. L'ex Rim abbondona il campo. Per un’azienda che dice addio, altre tornano o esordiscono sulla scena degli smartphone. Un mercato ancora dinamico e attrattivo per i produttori, ma che quest’anno mostra chiari segni di rallentamento, specie in Europa e in Nord America. Secondo le stime di Idc, infatti, nel 2016 la crescita di unità vendute rispetto all’anno precedente sarà limitata all’1,6%, registrando un vero e proprio crollo dall’incremento del 10,4% del 2015 (versus 2014). Si acquisteranno, in ogni caso, circa 1,46 miliardi di telefonini nell’arco dei dodici mesi, e quindi un numero ancora molto appetibile per i vecchi e nuovi attori dell’universo mobile. Fra i vecchi c’è, o meglio c’era, Blackberry: dopo anni di vendite in calo, di conti in rosso per la divisione Mobility e di progressivo spostamento verso il business del software e dei servizi, l’azienda canadese ha annunciato la decisione di rinunciare a sviluppare e produrre internamente modelli a marchio proprio. Il nome Blackberry non scomparirà dal mondo smartphone, ma sarà apposto sui terminali di aziende partner della ex Research In Motion (come peraltro già avvenuto con il recente Dtek50, prodotto da Tcl). Scelta opposta è quella di un altro nome storico della telefonia mobile, e cioè Nokia, che tornerà a produrre e commercializzare smartphone. Dopo aver abbandonato i Lumia (venduti a Microsoft nel 2014) e dunque il sistema operativo Windows Phone, la strategia della società finlandese è ora quella di puntare su Android, a cominciare dai due modelli attesi sul mercato entro la fine dell’anno. Nessun annuncio ufficiale, al momento, ma indiscrezioni che descrivono due terminali di fascia media o alta. 10

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Ci vorrà tempo per capire se si possa o meno parlare di una risurrezione della casa finlandese, un tempo dominatore del mercato delle telefonia che però ora deve prepararsi ad affrontare uno scenario affollato di concorrenti. Fra quelli più agguerriti, capaci di sfidare le proposte di fascia alta di Samsung, Apple e Huawei, c’è Xiaomi. I nuovi Mi 5s e Mi 5s Plus (commercializzati al momento solo in Cina) stupiscono per il design, per il comparto fotografico e per la presenza di un lettore d’impronte digitali a tecnologia ultrasonica; sono ambiziosi quanto un iPhone o un Galaxy, ma più economici. Da registrare, infine, c’è l’esordio di un “nuovo” e assai noto attore, Google. L’azienda di Mountain View aveva cominciato la sua avventura nell’hardware con i telefonini e i tablet Nexus, realizzati a quattro mani di volta in volta con Asus, Htc, Huawei, Lg, Samsung. Ora però BigG ha fatto un passo ulteriore presentando i suoi due primi modelli prodotti in proprio, Pixel e Pixel XL, diversi per formato e specifiche tecniche e accomunati dalla presenza di Android 7.0 Nougat. V.B.

Italia e Cina insieme Nel 5G Fastweb e Huawei Italia hanno siglato di recente un accordo per lo sviluppo di soluzioni e servizi innovativi nel mercato della convergenza fisso-mobile e dei servizi wireless. Il primo progetto che sarà avviato riguarda proprio l’utilizzo della tecnologia small cell nei servizi mobili di quinta generazione, grazie agli asset tecnologici di Fastweb e a porzioni di spettro radio, sia licenziato sia non ancora soggetto a licenze. Ognuna delle due aziende metterà a disposizione risorse umane, tecnologiche e conoscenze che, attraverso un team dedicato, consentiranno lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi targati Fastweb.

ZUCCHETTI CONCEDE IL BIS Dal welfare aziendale al mercato automobilistico. È ampia e diversificata la strategia di investimento di Zucchetti, che prosegue con l’espansione del proprio portafoglio di offerta attraverso due distinte operazioni. La prima riguarda l’acquisizione della quota di maggioranza di Doubleyou, società specializzata in soluzioni di welfare management, e ha portato alla nascita del servizio Zwelfare per la gestione di forme alternative di retribuzione (Flexible Benefits). La seconda mossa della società lodigiana ha avuto come obiettivo Visual Software, azienda che sviluppa applicazioni per concessionarie auto, officine e ricambisti, gestendone tutti i processi. L’ingresso nel capitale di Visual Software consentirà a Zucchetti di integrare le proprie soluzioni Crm, Business Intelligence e archiviazione documentale, aprendo il proprio orizzonte applicativo anche al mondo dell’automotive.


l’opinione

Apple può ancora cambiare le regole del gioco? Il lancio dell'iPhone 7 riaccende la questione sulla capacità di innovare della casa della Mela. Ecco perchè i dubbi sono leciti.

Il recente annuncio dell’iPhone 7 è stato un capolavoro di marketing: per un modello esattamente uguale nel design alla serie precedente, è stato fatto di tutto per stupire clienti e consumatori. Il nuovo smartphone è sì più potente, ma l’unica vera novità – incredibile a dirsi – è l’eliminazione del jack audio per collegare auricolari e cuffie, che d’ora in avanti saranno wireless e/o utilizzeranno lo slot per la ricarica del telefono. L’aspetto più bizzarro è che tutto ciò sia stato presentato come una “coraggiosa” mossa innovativa di Apple: restiamo quindi in attesa di vedere che cosa ci riserverà la user experience “wireless only” in futuro. Qui non si vuole commentare se iPhone 7 sarà un successo o meno (anche se pensiamo che, dal punto di vista dei numeri di vendita, lo sarà e darà sostegno ai ricavi di Apple), oppure se sia migliore di altri smartphone: vorremmo cercare di capire se questo lancio è l’ultimo segnale che dovrebbe farci dubitare della capacità innovativa di Apple in generale, e non solo per i tele-

Ezio Viola

fonini. Pensiamo al progetto Titan per le auto driverless, di fatto cancellato, o alla Apple Tv, che non è una “compelling proposition” rispetto ai prodotti concorrenti. O ancora all’assenza di nuovi annunci di peso nel campo della realtà virtuale e aumentata, del machine learning e dell’intelligenza artificiale (oltre le funzionalità di Siri). Tornando agli smartphone, le aspettative dei media e dei consumatori sul fatto che prima o poi verrà introdotta un’innovazione radicale da parte di Ap-

ple, magari con l’ottava generazione, sono forse illusorie. Non è sicuramente prevedibile una radicale discontinuità, come lo è stato per il primo iPhone circa nove anni fa. La crescita dell’azienda sarà quindi sempre di più legata alla sua capacità di inventare nuovi servizi abilitati dall’ecosistema software, che gli utenti del melafonino potranno utilizzare per la musica, l’intrattenimento, i pagamenti elettronici e altro ancora. Alla fine, quindi, la principale domanda è se Apple per il futuro dei suoi prodotti non abbia di nuovo bisogno di qualche visionario, con l’autorevolezza di alcuni dei fondatori che stanno guidando Tesla, Google, Netflix, Amazon e Facebook, verso un’innovazione molto più audace. Tim Cook ha gestito la transizione del dopo Steve Jobs in modo eccezionale se si guarda al bilancio, ma forse nella cabina di comando occorre avere anche qualcuno che prepari Apple a creare il suo futuro. Ezio Viola, amministratore delegato di The Innovation Group

Accordo con Deloitte: Cupertino cala il tris Nuovo passo in avanti di Apple verso la clientela di classe enterprise. Dopo lo storico accordo stretto nel luglio 2014 con Ibm per lo sviluppo di applicazioni di analytics e per i Big Data (basate su piattaforma iOs) da rendere disponibili agli utenti di iPhone e iPad, e dopo quello firmato con Sap lo scorso maggio, finalizzato alla creazione di app mobili da

combinare con le funzionalità della piattaforma proprietaria Hana Cloud, ora è il turno di Deloitte. E più precisamente della sussidiaria Deloitte Consulting. Perché una delle maggiori aziende al mondo nel campo dei servizi di consulenza professionali stringe una partnership con Apple? Per monetizzare, sotto il cappello della “digital transformation”,

il brand della Mela aiutando le aziende ad adottare soluzioni iOs destinate a vari settori e attività: dalla gestione del punto vendita alla selezione del personale, dal controllo dell’inventario ai sistemi di back office. Il sodalizio fra le due aziende sfrutterà l’esperienza di oltre cinquemila consulenti Deloitte per creare un pacchetto di “best practice” dedicato.

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IN EVIDENZA

Pseudonimizzazione, questa sconosciuta La privacy è un tema caldo del dibattito tecnologico di questi anni. Eppure le aziende appaiono piuttosto disinformate a riguardo. Lo scorso maggio l’Unione Europea ha approvato il nuovo Regolamento per la Protezione dei Dati Personali (Gdpr), che dovrà essere recepito dalle legislazioni degli Stati membri entro quattro anni. Fra i suoi principi, in parte derivati dalla precedente direttiva 95/46/CE, spiccano il diritto all’oblio, l’obbligo di comunicare entro 72 ore avvenute violazioni informatiche o incidenti, l’obbligo della trasparenza (per cui le informazioni di utilità pubblica o individuale devono essere facilmente accessibili e comprensibili) e l’istituzione della figura del Responsabile della protezione dei dati. Al centro del nuovo Regolamento c’è, inoltre, un concetto difficile da pronunciare ma essenziale nella sostanza: la pseudonimizzazione, ovvero il principio per cui le informazioni di profilazione debbano essere conservate in una forma che impedisce l’identificazione dell’utente. Secondo un recente studio di Delphix, sono davvero basse le percentuali (tra il 20% e il 40% circa) di aziende italiane, francesi, tedesche e britanniche che dichiarano di aver

Mauro Trione

Il nuovo Regolamento per la Protezione dei Dati Personali approvato dalla Ue introduce alcuni obblighi per il mascheramento dei dati. Ma fra le aziende prevale la confusione. compreso questo concetto. “La legge prevede una severa disciplina di protezione dei dati, con rigide sanzioni che possono raggiungere il 4% del volume globale di affari”, sottolinea Mauro Trione, vice president sales Southern

Emea di Delphix. “È necessario da subito un adeguamento nel modo in cui si gestiscono e si proteggono i dati, con tecnologie e processi compliant”. Come? “Quando si parla di protezione dei dati personali, il mascheramento e l’hashing rappresentano lo standard de facto per ottenere la pseudonimizzazione”, spiega Trione. “Prendiamo come esempio i dati personali non protetti spesso liberamente disponibili negli ambienti di non produzione utilizzati per sviluppare e testare software, oltre che per formazione, rapporti e analytics. Sostituendo queste informazioni sensibili con dati fittizi ma realistici, le aziende possono annullare i rischi per i dati preservandone al tempo stesso il valore. Il mascheramento trasforma in maniera irreversibile i dati sensibili, in modo tale da eliminare i rischi e consentire alle organizzazioni di dimostrare la conformità con i requisiti di pseudonimizzazione del Gdpr”. Al di là degli obblighi, l’applicazione di queste procedure su larga scala garantirà alle aziende alcuni vantaggi, per esempio mettendole al riparo dai danni (economici e di reputazione) creati da incidenti informatici e hackeraggi. Valentina Bernocco

Privacy e diritto all’oblio: non siamo pronti In Europa oltre due terzi delle aziende non sono in linea con il nuovo regolamento sulla privacy, che dovrà essere recepito dagli Stati membri entro il 2018, e in Italia si arriva all’80%. Solo un’organizzazione europea su due è in grado di cancellare tutti i dati di un individuo che ne faccia richiesta esercitando il diritto all’oblio. Il 58% delle aziende italiane mette a rischio la privacy dei clienti non mascherandone

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i dati nella fase di test delle applicazioni. Sono alcuni dei numeri emersi da un’indagine commissionata da Compuware a Vanson Bourne, eseguita su quattrocento chief information officer di grandi aziende italiane, francesi, tedesche, spagnole, britanniche e statunitensi. Dalle risposte dei Cio sembra emergere una generale difficoltà delle imprese a governare i dati, e più nello specifico una scarsa capacità di deter-

minarne l’ubicazione. Le ragioni sono diverse: si citano (il 68% dei Cio europei e il 56% di quelli italiani) l’eccessiva complessità dei servizi It adoperati, l’utilizzo dei dispositivi mobili come fonte di “dispersione” dei dati (63% e 60%), ma soprattutto il ricorso all’outsourcing (81% Europa, 88% Italia). I dati, insomma, si “perdono” tra risorse on premise, dispositivi mobili e cloud più o meno identificati.


LE SMALL CELL per le poste

Più tutela per i dati nel cloud degli utenti europei Arriva il Codice di Condotta che regola l'archivio delle informazioni personali online. Gli obblighi per i provider. Era probabilmente questo il momento più propizio perché si adottasse un codice univoco per i provider di infrastruttura di tipo IaaS, Infrastructure as a Service. Ormai tutta l’Europa si è accorta di come per il cloud serva una tutela “formale” per chi usufruisce di questi servizi, anche al di fuori del proprio Stato. Da questi presupposti è nato il Cispe (Cloud Infrastructure Services Providers in Europe), una coalizione di aziende tecnologiche la cui attività riguarda la fornitura di servizi cloud in una decina di Paesi europei oltre all’Italia. L’obiettivo è quello di creare il primo Codice di Condotta che garantisca ai cittadini la tutela dei propri dati personali, che semplifichi il contesto normativo e che regolari le attività di data mining e tracciamento dei profili digitali dei clienti a scopi di marketing, di pubblicità, personali o per la rivendita a terzi. La partecipazione al Cispe è aperta a

qualsiasi provider i cui servizi soddisfino i requisiti di privacy e di sicurezza nel trattamento dei dati. Tutti i membri della coalizione si sono impegnati a condividere l’impegno della Commissione Europea per migliorare l’accesso ai beni e servizi digitali e creare un ambiente dove questi possano svilupparsi. Stefano Cecconi, amministratore delegato di Aruba, una delle società che hanno partecipato alla nascita del progetto, ha sottolineato che da un punto di vista pratico “non si tratta di un grande cambiamento per i nostri clienti, che già vedono applicata la normativa italiana in materia. Ci saranno ugualmente dei vantaggi, in quanto tutti potranno disporre delle stesse regole in tutta Europa e di conseguenza sarà possibile offrire ai consumatori la scelta del Paese in cui devono essere processati i propri dati”. Si tende quindi a una normativa unica, secondo cui tutti i dati saranno gestiti e stoccati esclusivamente in area Ue. Un passo in avanti con il quale, conclude Cecconi, “si dice addio a quell’atteggiamento poco trasparente per cui non si sa esattamente dove siano conservate le informazioni personali dei clienti”.

Il traffico dati in ambienti chiusi rappresenta oggi il 70% del totale, secondo le stime del ConsumerLab di Ericsson. Ecco perché Postemobile, per la propria sede centrale di Roma, ha deciso di migliorare l’esperienza di navigazione (e di telefonia) delle persone che transitano nei propri uffici. Una collaborazione tra Ericsson e Wind (sulla cui rete Postemobile eroga i propri servizi di operatore mobile virtuale) ha portato all’installazione della small cell Radio Dot System per fornire una migliore copertura 3G e 4G Lte indoor. La soluzione incorpora l’omonima tecnologia di Ericsson e una sottile antenna montata a muro, mentre il software può essere aggiornato da remoto. Il sistema si integra con la rete Wind, coprendo grandi distanze all’interno dell’edificio e garantendo una migliore esperienza sia per il traffico voce sia per quello dati.

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IN EVIDENZA

Allianz entra in MoneyFarm

Intelligenza artificiale al centro dei pensieri dei big

Nuovo round di investimento per la startup italiana del Fintech salita alla ribalta lo scorso novembre per aver raccolto un finanziamento da 16 milioni euro dai venture capital United Ventures e Cabot Square. A entrare con una quota di minoranza in MoneyFarm, da febbraio attiva anche sul mercato inglese, è il Gruppo Allianz, prima compagnia assicurativa al mondo e fra i principali operatori del risparmio gestito. L’investimento, secondo il Financial Times, è stimabile nell’ordine dei sette milioni di dollari. Allianz, porterà un suo consigliere nel Consiglio di Amministrazione e sfrutterà la piattaforma di “robo advisory” di MoneyFarm come testa di ponte per distribuire sul mercato i propri fondi.

Microsoft, Ibm, Google, Facebook, Apple: non c’è quasi colosso tecnologico che oggi non stia investendo pesantemente sull’intelligenza artificiale. Il pensiero va subito ai robot, ma questo universo comprende soprattutto algoritmi di machine learning, riconoscimento vocale, chatbox, threat intelligence (cioè intelligenza applicata alla scoperta delle minacce informatiche), computing cognitivo (come quello di Watson, il “cervellone” di Ibm), servizi di traduzione simultanea come quelli di Google e di Skype. Lo scorso agosto Apple ha acquisito Turi, startup di Seattle la cui tecnologia permette di creare app “intelligenti” al servizio del marketing. A settembre, nel corso dell’evento “Microsoft Ignite” di Atlanta, l’amministratore delegato della società di Redmond Satya Nadella ha fatto una promessa: “Infonderemo intelligenza in tutta la nostra offerta”, ha detto il Ceo, riferendosi a prodotti come Office 365 e Dynamics Crm, ma anche ai data center dell’azienda di Redmond. Si seguirà forse l’esempio di Google, che con gli analytics e gli algoritmi è già riuscita a ridurre i consumi energetici delle proprie server farm. E di fine settembre sono altri due annunci. Il primo riguarda un’alleanza stretta fra Microsoft, Google, Ibm e Facebook per la creazione della Partnership on Artificial Intelligence to Benefit People and Society, un’iniziativa nonprofit che lavorerà alla definizione di standard, tecnologie interoperabili e best practice. Le tecnologie di intelligenza artificiale”, spiega una nota di Ibm, “hanno un enorme potenziale di migliorare molti aspetti della vita, dalla sanità alla scuola, passando per

Facebook VA AL LAVORO Dopo due anni di sperimentazione, Facebook at Work è pronto al debutto. Secondo varie indiscrezioni, il colosso di Mark Zuckerberg dovrebbe lanciare la propria piattaforma “professionale” entro la fine di ottobre. Una soluzione che mira a far concorrenza non tanto a LinkedIn, bensì a servizi come Microsoft Yammer, Salesforce Chatter, Slack e Convo, con i quali gli addetti aziendali o i membri di un team possono collaborare a distanza e restare aggiornati su progetti condivisi. Già testato da realtà come Heineken e Royal Bank of Scotland, Facebook at Work è strutturato in modo simile al social network che tutti conosciamo: ha la pagina del “work feed” (il corrispettivo del “news feed”), i profili personali e di gruppo, i messaggi privati di Messenger (da cui si possono inoltrare anche chiamate voce e video).

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Microsoft, Ibm, Facebook e Google stringono un'alleanza, Apple punta sulle acquisizioni. la manifattura, l’automazione delle case e i trasporti”. Il secondo annuncio riguarda nello specifico Microsoft. Accanto alle divisioni aziendali già esistenti (incentrate su Windows, su Office e sul cloud) è nata una quarta business unit in cui confluiranno le attività riguardanti Skype Translator, il motore di ricerca Bing, gli analytics della Cortana Intelligente Suite, i progetti di robotica e altro ancora. Nella nuova divisione lavoreranno oltre cinquemila persone, tra informatici, ingegneri e altre figure qualificate. La strategia sembra quella di creare maggiore coordinamento e standardizzazione per progetti in precedenza disaggregati, così come già Microsoft aveva fatto negli anni Novanta con la tecnologia allora emergente di Internet. Se le premesse sono queste, forse l’intelligenza artificiale è destinata ad andare molto lontano. E chissà che non diventi una vera nuova rivoluzione, paragonabile a quella del Web. Valentina Bernocco



SCENARI | Fintech & Blockchain

LA RIVOLUZIONE È ORA: BANCHE, SIETE PRONTE?

Il mondo finanziario vive una fase di cambiamento epocale, guidato dalle tecnologie. Il ruolo delle startup e il nuovo approccio degli attori tradizionali.

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econdo una recente stima di Goldman Sachs, gli effetti della rivoluzione Fintech saranno estremamente rilevanti. Quanto? Le società che operano nei servizi finanziari rischiano di perdere 4,7 miliardi di dollari di ricavi l’anno a favore dei “new comer”. Per questo i grandi attori del settore, dalle banche ai fondi d’investimento per arrivare ai colossi della gestione del risparmio, hanno iniziato ad adattarsi al nuovo verbo. Poco meno di un terzo degli istituti, secondo una recente indagine di Price Waterhouse Coopers, ha già in corso una partnership 16

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con startup Fintech, mentre il 22% ne ha comprata o venduta una e il 15% ha creato programmi di incubazione. Siamo solo all’inizio, è vero, ma la strada è tracciata e il passo forse più innovativo in questo percorso di cambiamento è la possibilità di annullare le distanze tra il risparmiatore e i mercati finanziari, di disintermediare il mondo del lending attraverso sistemi e servizi alternativi a quelli dei grandi operatori. Si parla dunque di banca agile, della necessità di far evolvere il mondo tradizionale e farlo convergere con quello innovativo delle Fintech. Si cerca la “ricetta” per massimizzare i benefici della trasformazione digitale, che le banche italiane, secondo molti addetti ai lavori, dovrebbero mettere in atto con urgenza per recuperare il tempo perduto. Significative, in tal senso, le parole spese da Silvio Fraternali, direttore area strategie operative integrate di Intesa Sanpaolo, al recente Banking Summit 2016 organizzato da The Innovation Group (Tig)

a Milano. “La vera sfida”, ha detto il manager, “consiste oggi nel trasformare il modello di generazione di valore con il digitale. La parte sommersa dell’iceberg della trasformazione è il cambiamento dei processi interni. Il digitale implica la revisione profonda del sistema informativo e l’azienda non deve perdere le competenze architetturali per governare la rapida obsolescenza delle tecnologie. E rompere le barriere per aprirsi al digitale richiede l’impegno anche operativo del top management”. Una frontiera a cui tutto il settore finanziario sta guardando con estrema attenzione è sicuramente la tecnologia blockchain, cioè il registro distribuito per gestire le monete virtuali come i Bitcoin, che ha ricevuto pochi mesi fa il disco verde per la sperimentazione da parte della Banca d’Italia. Le sue peculiarità sono quelle di velocizzare i pagamenti e ridurre i costi e gli oneri delle transazioni. Una cinquantina di banche internazionali (fra cui Unicredit e Intesa


Sanpaolo) hanno dato vita nel 2015 a un consorzio, R3, per definirne modalità d’uso e standard. Nel frattempo si osservano investimenti milionari: anche, se non soprattutto, in direzione delle startup che popolano a vari livelli l’universo del Fintech. Nei primi sei mesi del 2016, lo dice uno studio di Juniper Research, gli investimenti dei venture capital destinati alle nuove imprese innovative dei Bitcoin e della blockchain hanno sfiorato i 300 milioni di dollari. L’anno passato il valore dei 131 round di finanziamento registrati nel mondo ha sfiorato i 500 milioni di dollari (la fonte è Cb Insights), mentre il volume delle risorse erogate dai venture capital alle startup dal 2012 a fine giugno scorso ha superato quota 1,2 miliardi. Ezio Viola, amministratore delegato di Tig, ha confermato che “l’interesse per il blockchain non è solo di banche, aziende finanziarie e società hi-tech che hanno sviluppato e stanno sviluppando prototipi di soluzioni e prodotti, ma anche di alcune banche centrali. Questo perché diverse analisi evidenziano come questa tecnologia possa cambiare il sistema con cui si gestiscono le transazioni finanziarie e come darà luogo a opportunità di sviluppo anche radicali in futuro”. Ipotesi suffragata da alcuni numeri. Stando al “Fintech 2.0 Paper” redatto da Santander InnoVentures, il solo settore del banking potrebbe ridurre i costi infrastrutturali delle transazioni interbancarie di 15-20 miliardi di dollari all’anno a partire dal 2022, mentre secondo il World Economic Forum il 10% del Pil mondiale entro il 2025 transiterà attraverso una soluzione blockchain. E c’è un’ultima proiezione, alquanto indicativa, estratta da una recente indagine di Deloitte (“Out of the blocks: from hype to prototype”): lo sviluppo di prodotti e servizi finanziari basati su questa piattaforma è stato inserito nella lista dei “todo” dal 92% degli istituti di credito. Gianni Rusconi

Blockchain: mass market IN tre anni La corsa all’adozione delle soluzioni di blackchain nei mercati bancari e finanziari si sta rivelando più rapida di quanto inizialmente previsto: lo dicono due nuovi studi condotti dall’Ibm Institute for Business Value. Il 15% delle banche e il 14% delle istituzioni finanziarie intervistate intendono impiegare su larga scala questa tecnologia già entro il 2017, mentre per parlare di adozione di massa si dovrà forse aspettare solo tre anni, quando circa il 65% delle banche campione si attende di avere in produzione soluzioni di questo tipo. Molto indicativo è, inoltre, il dato che conferma come il

70% degli “early adopter” (le aziende bancarie più innovatrici, dunque) stia attualmente dando priorità all’implementazione del “registro crittografato”: potranno così cadere alcune barriere che oggi ancora non consentono la creazione di nuovi modelli di business e il raggiungimento di nuovi settori di mercato. Tra le istituzioni finanziarie oggetto di indagine, sette su dieci stanno concentrando i propri sforzi in ambito blockchain in tre aree principali: i meccanismi di compensazione e regolamento, il collocamento di titoli azionari e trading, e infine i pagamenti all’ingrosso.

Tutti i numeri del Fintech Gli investimenti nelle compagnie tecnologiche della finanza a livello globale sono calati nel secondo trimestre del 2016 rispetto ai primi tre mesi, ma il consuntivo a fine anno dovrebbe essere superiore a quello del 2015, quando si toccarono complessivamente i 19,1 miliardi di dollari (13,8 dei quali a firma dei fondi di venture capital), doppiando la cifra registrata nel 2014. A scattare la fotografia del Fintech sono i dati di Cb Insights e Kpmg, secondo cui da marzo a giugno scorsi sono state completate dai venture capital 195 operazioni, per un valore totale di 2,5 miliardi di dollari. Circa la metà, 1,3 miliardi, sono andati alle startup nordamericane, 400 milioni sono finiti in Europa e il doppio in Asia. Il 2015 ha segnato il boom di questo nuovo settore, con l’introduzione di modelli di business, prodotti e servizi “alter-

nativi” a quelli tradizionali, subito entrati nel radar dei fondi di venture. Solo nel Vecchio Continente i finanziamenti sono cresciuti di oltre il 30%, superando quota 1,5 miliardi di dollari. Quest’anno, poi, diversi fattori macroeconomici, la mancanza di significative Ipo e un rientro della bolla delle “super valutazioni” delle startup tecno-finanziarie stanno portando gli investitori a procedere con maggiore cautela, soprattutto negli Usa. Ma parliamo di un fenomeno che in tempi brevi, secondo vari addetti, potrà arrivare a muovere globalmente fra i 30 e i 40 miliardi di dollari di finanziamenti all’anno per le nuove imprese. E che ha già dato vita a una ventina di “unicorni”, cioè startup con all’attivo round oltre il miliardo di dollari, 14 delle quali operano nei settori dei pagamenti e dei prestiti.

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SCENARI | Fintech & Blockchain

Un nuovo studio dello Swift Institute ha analizzato il livello di accettazione del Bitcoin da parte della comunità finanziaria globale. Ridimensionando, in parte, il fenomeno.

la moneta LEGALE VIVRà OLTRE Le valute virtuali

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e cripto valute possano provocare una riduzione nell’utilizzo di quelle tradizionali? Il pensiero comune è per una risposta affermativa. In realtà, e a dirlo sono degli esperti in materia, questa ipotesi è da considerarsi improbabile. Uno studio dello Swift Institute (“Virtual currencies: Media of exchange or speculative assets?”) ha analizzato la relazione in essere tra le monete virtuali, come il Bitcoin, e quelle a corso legale. Diverse le evidenze emerse, e la principale suona come una sorta di bocciatura: è improbabile, si legge nell’abstract dello studio, che le valute virtuali possano avere un impatto sul denaro in forma tradizionale, riducendone l’impiego. I fenomeni di speculazione che interessano le prime pregiudicano, infatti, la loro utilizzabilità come mezzo di scambio e rendono improbabile l’ipotesi di una sostituzione di valute legali come il dollaro americano. La ricerca ha quindi preso in considerazione (e di mira) il Bitcoin. 18

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L’analisi empirica dei valori e dei “wallet” della cripto valuta per eccellenza conferma come essa sia usata principalmente come investimento speculativo e non come mezzo di scambio. Non esiste, secondo gli esperti, alcuna correlazione tra i rendimenti dei Bitcoin e gli strumenti di investimento tradizionali (di tipo azionario, per esempio). Le valute virtuali, per contro, non rappresentano un rischio per la stabilità monetaria ed economica. Almeno nell’immediato. Rimane il fatto che “sono le monete tradizionali a scoraggiare l’utilizzo dei Bitcoin e non il contrario, come si crede comunemente”, sottolinea KiHoon Hong della Hongik University College of Business, uno degli autori della ricerca. “Ed è lo stesso mercato del Bitcoin a impedire a questa valuta di divenire un effettivo mezzo di scambio”. Erika Toso, head of Italy and South East Europe di Swift, è dell’idea che siamo in uno stadio ancora iniziale, in cui “gli operatori tradizionali devo-

no capire velocemente come evolvere, mentre i new-comer del Fintech devono raggiungere massa critica per diventare realmente competitivi sul mercato”. Il settore dei servizi finanziari come l’abbiamo conosciuto finora, spiega la manager, “sta profondamente cambiando perché nuove tecnologie stanno mettendo in discussione modelli di business consolidati, aprendo a nuove opportunità. Crediamo che blockchain e gli strumenti distributed ledger rappresentino una grande risorsa nella definizione dell’offerta di servizi di domani. Però occorre investire metodicamente ed evitare di farsi trascinare da facili entusiasmi, perché si tratta di tecnologie non ancora mature”. La strada è dunque tracciata anche se, conclude Toso, “ci sono molte complessità da risolvere e domande a cui occorre dare risposta prima che sistemi come blockchain possano trovare applicazione su scala industriale nei mercati finanziari”. P.A.


Dalle banche a industria 4.0, l’universalità del blockchain

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n’architettura distribuita di coordinamento e certificazione informativa, un nuovo paradigma destinato a rivoluzionare profondamente il sistema economico, i concetti di transazione, proprietà e fiducia. Questa è la natura, trasversale a più settori, della blockchain secondo Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente di strategia d’Impresa ed Economia Aziendale in Sda Bocconi. Che per Technopolis traccia un quadro ampio e diversificato dell’evoluzione di questa tecnologia in Italia. Il blockchain è associata ai Bitcoin. Le sue applicazioni vanno però oltre…

La Germania ha già avviato progetti di utilizzo della tecnologia in diversi ambiti industriali. Noi dobbiamo ancora cominciare a studiare. Il modello di controllo decentralizzato e autonomo basato sulle blockchain è una componente fondamentale per le soluzioni dell’industrial Internet of Things. Le associazioni settoriali sono il terreno ideale per la definizione dei protocolli di controllo distribuito di filiera e per mettere a sistema le tecnologie, sia fra di loro sia con i partner tecnologici. Ci spieghi meglio…

In una rete degli oggetti, le piattaforme basate su blockchain possono gestire i flussi di dialogo e interscambio tra dispositivi intelligenti. La grande opportunità nel campo delle soluzioni IoT è ben lungi dall’essere solo un esercizio teorico. Confindustria potrebbe guidare il processo di rivoluzione di uno scenario fatto di piattaforme sistemiche centralizzate in Italia. Una delle sfide sarà scrivere le specifiche

degli smart contract (forme di contratti scritti in modalità algoritmica, in grado di essere eseguiti e controllati automaticamente al verificarsi di condizioni specificate, ndr) che garantiscano il dialogo tra le macchine, i processi industriali e i mercati a valle. Guardiamo al mondo finanziario: il via libera della Banca d’Italia di qualche mese fa per la sperimentazione sul Bitcoin ne favorirà l’adozione?

Finché le banche saranno convinte di dover aspettare il permesso del regolatore per fare innovazione, rimarranno sempre parecchi passi indietro. Il caso di Bitcoin è paradigmatico: se da un lato le cripto valute sono ancora una scommessa complicata, non necessariamente lo sono la tecnologia o il protocollo logico/organizzativo sottostante. Se nel 2016 una banca non ha ancora capito le opportunità che può cogliere con i blockchain e gli smart contract, il problema è nell’inadeguatezza del management, non nei permessi di Bankitalia. Unicredit e Intesa Sanpaolo si sono mossi con decisione in questo campo: lo faranno anche altri gruppi?

Le due banche si sono mosse per prime perché hanno risorse e competenze in grado di cogliere e accettare la sfida, sia pure con molte resistenze interne. Altre banche più piccole, ma più imprenditoriali e veloci, hanno fatto importanti tratti di strada sul fronte Fintech. Come molti altri analisti, vedo più opportunità di sperimentazione e di risultati a breve termine sul mercato del credito e dei servizi business, di quanto invece ci si possa ragione-

Carlo Alberto Carnevale Maffè

volmente attendere per il retail, che richiede masse critiche e opzioni di scala molto maggiori. Partendo da un’economia di filiere globali specializzate e Pmi come quella italiana, lo spazio per il “corporate Fintech”, e quindi per applicazioni di gestione del rischio datadriven, o di financial supply chain per l’Industry 4.0, è già oggi molto vasto, specie per le banche tradizionali più attente. Le startup italiane della blockchain troveranno spazi e soprattutto finanziamenti così come quelle del Fintech?

Le nostre startup, innanzitutto, farebbero bene a superare ogni residuo di provincialismo, sia di mercato sia di capitale. Il limitato contesto italiano potrebbe talvolta non garantire di raggiungere le economie di scala necessarie per alcuni progetti Fintech, in particolare se parliamo di protocolli tipo blockchain. Il territorio ottimo minimo per l’innovazione finanziaria si chiama quindi Europa. Ed è in Europa che le startup italiane devono cercare, nell’ordine, clienti e capitali. Gianni Rusconi

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SCENARI | Industry 4.0

Per sei imprese italiane su dieci, il cloud permette di capitalizzare gli investimenti sull’innovazione in ambito smart manufacturing. Oltre la metà delle aziende è però ancora legata a infrastrutture informatiche troppo rigide.

LA NUVOLA SPINGE DATI E ROBOTICA IN FABBRICA

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industria connessa e intelligente piace sempre di più. Anche in Italia. Tant’è che nel 2015 gli investimenti in soluzioni e tecnologie in chiave smart manufacturing e per sostenere la cosiddetta quarta rivoluzione industriale sono arrivati a 1,2 miliardi di euro. Pari, cioè, a circa un decimo della spesa complessiva del settore. E per il 2016, stando alle rilevazioni dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, si prevede addirittura una crescita del 20%. Ma qual è la tecnologia che risiede al cuore di questa profonda trasformazione del tessuto industriale? Una ricerca commissionata da Oracle (“Cloud: Opening up the road to Industry 4.0”) non ha molti dubbi in proposito: è il cloud. L’indagine in questione, con20

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dotta su oltre 1.200 decisori aziendali di una ventina di Paesi ha confermato che la maggior parte delle imprese punta oggi principalmente sulla nuvola per tessere le strategie e definire gli investimenti in innovazione tecnologica nell’ambito della robotica e dell’intelligenza artificiale. La maggior parte delle aziende, nello specifico, riconosce come un’infrastruttura in cloud sia necessaria per poter disporre di queste tecnologie, che alcune realtà italiane stanno già implementando. Il 55%, infatti, ha in essere progetti legati alla robotica e il 57% a qualche forma di intelligenza artificiale. Sei imprese su dieci ritengono inoltre che una piattaforma cloud di livello enterprise offra l’opportunità di capitalizzare gli investimenti sull’innovazione. Percen-

tuali importanti, ma che sottolineano comunque come una larga parte di aziende debba ancora esplorare il potenziale del paradigma Industria 4.0. In Italia, lo dice ancora l’Osservatorio Smart Manufacturing del Politecnico, il 38% delle realtà non conosce il tema, mentre i progetti sono spesso in fase pilota e le piccole e medie imprese mancano quasi del tutto all’appello. Una possibile spiegazione, a detta della ricerca, è data dal fatto che in molte organizzazioni (il 60% nel complesso, il 62% in Italia) manchi un’adeguata infrastruttura informatica, prevalendo invece rigide soluzioni legacy non adatte alla trasformazione digitale. Per gestire applicazioni e piattaforme obsolete, il 9% delle imprese della Penisola ha integrato un modello basato


manutenzione predittiva sui binari

su cloud (un dato più elevato rispetto alla media degli altri Paesi), il 38% lo sta implementando quest’anno e il 35% prevede di farlo nel 2017. La nuvola vista come un modello da adottare per riuscire a connettere vecchie e nuove piattaforme, molto diffuse in ambito industriale, rappresenta una tendenza molto chiara. Il 48% delle imprese della Penisola dichiara infine che i modelli di integrazione delle varie applicazioni e tecnologie di cui oggi dispongono crea inefficienze, soprattutto per i tempi di introduzione delle innovazioni, e ostacola anche la capacità di sfruttare al meglio funzioni chiave per l’industria del futuro. In particolare l’analisi di grandi quantità di dati. In sintesi, un’infrastruttura cloud integrata sta rendendo più economico, facile e veloce diventare ed essere competitivi. Ma non solo: l’innovazione introdotta da Industry 4.0 potrebbe creare, secondo i dati di Boston Consulting Group, le condizioni per 400mila nuovi posti di lavoro nella sola Europa, determinando nei prossimi 15 anni un incremento della produttività tra il 5 e l’8%. Piero Aprile

La tecnologia tedesca permetterà ai treni italiani di viaggiare meglio, scongiurando malfunzionamenti e guasti. Parliamo nel dettaglio delle soluzioni Internet of Things di Sap, scelte da Trenitalia per rendere più efficiente, efficace e dinamica la manutenzione della sua flotta di circa 30mila locomotive. La società del Gruppo FS Italiane e il colosso tedesco hanno avviato il progetto nel 2014, annunciandolo poi ufficialmente a fine settembre in un evento tenutosi al Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa (Napoli). La soluzione adottata da Trenitalia (Predictive Maintenance and Service) permette di raccogliere e analizzare in tempo reale i dati che rivelano la buona o cattiva salute di un veicolo. Il tutto grazie ai sensori installati a bordo treno su freni, motori e batterie, nonché dai software di analytics che processano l’intero flusso di informazioni. E non solo: al crescere della quantità di dati analizzati, la soluzione sviluppa dei modelli predittivi sempre più precisi e attendibili, finalizzati a intuire in anticipo la necessità di eseguire interventi di manutenzione e prevenire quindi l’insorgere di problemi. Trenitalia, infine, può anche mettere in relazione i dati relativi alle varie componenti (mo-

tori, batterie, freni) con il loro ciclo di vita, con l’utilizzo e con altri indicatori di performance. A sancire la valenza del progetto c’è l’assicurazione, a firma dei manager di Trenitalia, che il programma, verrà esteso progressivamente a tutti i treni, compresi quelli regionali, ed è unico nel suo genere in Europa. Ai benefici per i passeggeri (per cui si prospettano migliori esperienze di viaggio) si aggiungono quelli di ordine economico, corrispondenti a una riduzione dei costi di manutenzione calcolabile in una percentuale compresa fra l’8% e il 10%. Un impatto quindi molto significativo, che va nel solco della promesse del Gruppo Fs Italiane per il lungo periodo: sui binari italiani dovrà viaggiare sempre più tecnologia. Il piano industriale 2017-2026 del gruppo contiene, infatti, diversi progetti innovativi, fra cui lo sviluppo di app dedicate alla pianificazione del viaggio e strumenti di analisi avanzati, oltre a iniziative volte al miglioramento della relazione con i clienti e alla gestione dei Big Data. Sap, dal canto suo, ha appena annunciato un piano d’ la soluzione investimento quinquennale nell’ambito dell’Internet of Things, per un valore di circa due miliardi di euro.

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TECHNOPOLIS PER RICOH

MEDIE AZIENDE UE PENALIZZATE, MA LA TECNOLOGIA AIUTA Un’indagine di Coleman Parkes Research svela che, in venti Paesi dell’Ue, il 70% delle imprese da 50-500 dipendenti si sente vittima della “sindrome del figlio di mezzo”.

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Le aziende di dimensioni medie sono un importante motore dell’economia europea. Eppure sembrano soffrire di una sorta di “sindrome del figlio di mezzo”, cioè di una serie di circostanze che le svantaggiano sia rispetto alle grandi imprese sia alle più agili startup. A queste realtà spesso manca il supporto necessario per sostenere investimenti, strategie di crescita e innovazione. È quanto emerge da un’indagine commissionata da Ricoh Europe a Coleman Parkes Research, che ha interpellato 1.650 medie aziende (comprese fra i cinquanta e i cinquecento dipendenti e con un fatturato fra i 3 milioni e i 130 milioni di euro) di 20 Paesi europei. Un dato, quasi plebiscitario, colpisce: il 93% degli intervistati si sente penalizzato da barriere che impediscono all’impresa di raggiungere il suo pieno potenziale. Quali barriere? Innanzitutto, i requisiti normativi troppo complessi e che comportano ingenti investimenti: li cita il 31% degli interpellati, ma la percentuale sale al 38% nel campione italiano. Seguono, fra i problemi, la difficoltà di attrarre nuovi talenti (citata dal 27% delle aziende e dal 24% di quelle nostrane) e la difficoltà nell’ottenere finanzia22

menti per nuove tecnologie (27% in Europa e 31% in Italia). Eppure gli investimenti in tecnologie e innovazione sono cruciali per continuare a competere. Restringendo lo sguardo alle sole aziende tricolori, si osserva come il 42% consideri una priorità di business di medio termine (due anni) lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi, mentre il 38% cita l’innovazione dei processi e l’uso della tecnologia come leve competitive e il 35% desidera poter investire nell’Ict per realizzare una vera trasformazione del business. Se questi sono i desideri e le intenzioni, la realtà appare ben diversa. Sul totale degli intervistati dei venti Paesi, infatti, un buon 30% non ha nemmeno cominciato a sfruttare le tecnologie digitali con l’intento di far crescere l’azienda. E sale al 70% la percentuale di chi si sente vittima della “sindrome del figlio di mezzo”. Le conseguenze economiche di tutto ciò sono preoccupanti: secondo l’analisi di Coleman Parkes Research, il giro d’affari potenziale e non concretizzato dalle imprese europee di dimensioni intermedie ammonta a 433 miliardi di euro all’anno, che si traducono in 5,7 milioni di euro ad azienda. La tecnologia, però, può aiutare. La missione di Ricoh è quella di aiutare le imprese a mettere l’innovazione al primo posto e a superare le sfide di business ottimizzando i propri processi. Davide Oriani, Ceo di Ricoh Italia, commenta: “Le realtà che vogliono puntare alla crescita dovrebbero concentrarsi sulle tecnologie per la digitalizzazione, implementando ad esempio fatturazione elettronica e flussi di lavoro automatizzati. Per queste aziende è arrivato il momento di dare priorità all’innovazione per affrontare le sfide poste dal mercato”. Per le medie imprese il “salto” verso la digitalizzazione è fondamentale per riuscire a realizzare il fatturato che stanno potenzialmente perdendo ogni anno e per ottenere miglioramento del customer service, riduzione dei costi e ottimizzazione delle comunicazioni con i clienti. Tutti vantaggi messi in evidenza dalle aziende coinvolte nella ricerca che hanno già implementato tecnologie per la digital transformation.

Davide Oriani, Ceo di Ricoh Italia


SPECIALE | Storage

l’avanzata delle nuove architetture Gli analisti evidenziano un fenomeno di rottura con il passato, con nuove soluzioni hybrid cloud e di archiviazione a oggetti capaci di intercettare le maggiori esigenze di agilità e scalabilità manifestate dalle aziende. Il mercato italiano, intanto, è in leggera flessione alla fine del primo semestre dell’anno.

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n tutto il mondo entro il 2020 saranno stati generati oltre 44 Zettabyte di dati, l’80% dei quali in forma non strutturata. Questa l’ultima stima rilasciata da Idc, che parallelamente all’esplosione dei dati prevede un’attenzione crescente da parte delle aziende nei confronti di tutte le tecnologie in grado di gestirli, conservarli e analizzarli. Big Bata, computing cognitivo, storage e cloud diventeranno dunque componenti essenziali della “data-driven economy”, un’economia digitale in cui le organizzazioni sono obbligate a prendere decisioni consapevoli nel minor tempo possibile per

poter restare competitive. “In questo contesto stiamo osservando un progressivo spostamento d’attenzione delle aziende verso nuove architetture storage e nuovi modelli di erogazione, in rottura con il passato e a favore di una maggiore agilità, scalabilità e facilità di gestione”, puntualizza Sergio Patano, research & consulting manager di Idc Italia, sottolineando come gli stessi fornitori, riconoscendo il cambiamento in atto, abbiano avviato una profonda trasformazione del proprio portafoglio d’offerta. Una trasformazione che sta già portando nuova linfa a un settore complessivamente in calo a OTTOBRE 2016 |

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SPECIALE | Storage

causa della sua stessa maturità. “In termini di valore, il mercato dell’enterprise storage soffre principalmente a causa di una flessione costante dei suoi prezzi medi, che non viene controbilanciato dalla crescita dei terabyte consegnati”, commenta Patano. “Fanno eccezione gli All Flash Array (Afa), un segmento d’offerta che continua a regalare risultati molto buoni tanto a livello mondiale quanto italiano, e che trova sostegno proprio nella caduta del prezzo medio per terabyte”. Secondo gli ultimi dati rilasciati da Idc, con un valore complessivo del primo semestre 2016 pari a 18,7 miliardi di dollari, il mercato mondiale dell’enterprise storage è complessivamente calato del 3% rispetto allo stesso periodo del 2015, mentre gli Afa hanno fatto registrare una crescita superiore al 90%. In Italia la situazione è abbastanza simile in termini di trend: confrontando i primi semestri del 2016 e del 2015, il mercato presenta una contrazione del 4%, con un valore complessivo nell’ordine dei 180 milioni di euro. Il segmento All Flash Array, invece, ha registrato una crescita del 100%, raggiungendo un valore di poco inferiore ai 20 milioni di euro. A differenza del mercato globale, però, si registra anche una forte crescita (pari al 40%) del segmento degli Hybrid Flash Array.

Sergio Patano

Sbocciano i progetti all’insegna del software-defined

“Oggi i principali casi d’uso che guidano gli investimenti delle aziende in tematiche storage sono relativi al backup & recovery, all’archiving, alla data governance e al disaster recovery” afferma Patano, precisando che dal un punto di vista infrastrutturale, invece, sono numerose le aziende che stanno espandendo l’approccio software-defined allo storage. Un’apertura principalmente legata al percorso di trasformazione digitale che molte aziende hanno intrapreso o stanno intraprendendo. A investire di più in questa direzione sono soprattutto le realtà che devono quotidianamente confrontarsi con

grandi volumi di dati e che sono attratte da tecnologie alternative, robuste e reattive, oltre che accessibili in termini di costo. Sono principalmente società appartenenti al settore dei media, finanziario, dei trasporti, della distribuzione e delle utility. “Il loro obiettivo primario è creare un’infrastruttura storage altamente automatizzata, agile e software-driven per poter rispondere più velocemente alle esigenze del business, contenendo i costi”, prosegue l’analista. Patano sottolinea come non esista una ricetta unica per abbracciare con successo le nuove architetture storage, avvantaggiandosi da subito dei benefici che sono in grado di offrire: “Come per qualunque progetto, le aziende devono partire da un corretto assessment dell’esistente e pianificare meticolosamente gli step successivi, in modo da preservare e valorizzare gli investimenti passati e stabilire quali debbano essere gli obiettivi di medio e lungo termine. Il nostro suggerimento è quello di cominciare a sperimentare con un piccolo gruppo di utenti interni e creare dei business case che possano essere facilmente replicabili anche in altre strutture e che, soprattutto, possano facilmente dimostrare i vantaggi derivanti dall’implementazione di soluzioni innovative”. Un’indicazione che, in generale, non vale solo per l’in-

Cloud storage pubblico per un’azienda europea su tre Il grafico nella pagina accanto illustra come l’archiviazione costituisca la destinazione d’uso più tipica per i servizi di storage cloud pubblici. Idc ritiene che questo indichi un forte orientamento delle organizzazioni europee all’impiego di servizi di data storage più convenienti per la conservazione dei “dati freddi”: una scelta che permette di liberare spazio all’interno delle infrastrutture on-premise a favore di primary data utilizzati dalle applicazioni critiche. 24

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Circa il 31% dei rispondenti ha dichiarato di avere un piano per l’archiviazione che prevede il ricorso a servizi di cloud pubblico entro dodici mesi. Altri casi d’uso europei includono la protezione di workload aziendali e la data protection per sistemi desktop e laptop (49% dei rispondenti). Anche l’adozione di servizi di cloud pubblico per finalità di disaster recovery è una delle principali applicazioni, citata dal 44% degli intervistati. Per le aziende che non hanno una

specifica soluzione per il backup di desktop e laptop, i servizi cloud offrono una veloce risposta a questo problema. Preoccupazione costante delle organizzazioni europee è il disaster recovery: da questo punto di vista, i servizi nella nuvola di tipo pubblico si rivelano un’interessante opzione per disporre di un sito secondario per il “piano di recupero del disastro”, a una frazione di costo rispetto alla realizzazione di un secondo data center. OTTOBRE 2016 |


La tecnologia Flash alla guida dell’innovazione Secondo la società di analisi Idc, il segmento Flash nelle sue diverse declinazioni è sicuramente quello che sta facendo assistere alle innovazioni più interessanti nel settore dell’enterprise storage. L’ultima novità annunciata in ordine di tempo è firmata Fujitsu e riguarda i nuovi Eternus AF, sistemi pensati per rendere definitivamente mainstream l’opzione All Flash all’interno dei data center aziendali. Disponibili in due versioni (AF250 e AF650), i nuovi sistemi consentono di incrementare le prestazioni di tutti i carichi di lavoro azienda-

frastruttura storage, ma per tutto quello che riguarda l’approccio alla trasformazione digitale. Archiviazione nella nuvola pronta al boom

“Oggi lo storage in cloud è una delle opzioni che sta attraendo maggiormente l’interesse, l’attenzione e gli investimenti delle aziende”, afferma Patano. “A spingerle verso questo nuovo modello di archiviazione giocano più fattori,

li, modificando radicalmente gli economics delle infrastrutture per l’archiviazione. Grazie a nuove ed efficaci funzionalità di deduplica e compressione in linea, gli Eternus AF sono, infatti, in grado di tagliare notevolmente i costi che vengono tradizionalmente associati agli array All Flash riducendo al minino le capacità Ssd necessarie. I nuovi modelli offrono, inoltre, opzioni di configurazione flessibili, assicurando in questo modo il mirroring della totalità dei dati critici aziendali all’interno dell’intera offerta di storage Eternus.

tra cui la crescita continua dei dati da conservare, la necessità di un adeguamento normativo e la sua promessa di contenimento dei costi”. Il cloud-based storage offre, infatti, alle aziende un interessante approccio “pay as you go” che piace molto ai Cfo, poiché non richiede enormi investimenti tecnologici iniziali, e che contemporaneamente viene incontro alle esigenze dei Cio in termini di flessibilità e scalabilità. Pressioni in questa direzione provengono anche dal

fronte applicativo, sempre più orientato a uno sviluppo in cloud per favorire una nuova cultura basata sul “data-asa-service”. Per le sue stesse caratteristiche, conferma ancora Patano, “il cloud storage è in grado di supportare una migliore scalabilità delle risorse rispetto a infrastrutture on-premise e non è un caso che molte aziende stiano valutando questa opzione per l’archiviazione a lungo termine dei cosiddetti ‘cold data’, oltre che per le attività di disaster recovery”. Esistono, tuttavia, ancora degli ostacoli da superare prima della sua definitiva consacrazione. Fra questi, la normativa sulla sovranità del dato e la sua localizzazione: due problematiche che la crescente offerta di servizi di storage su nuvola erogati da service provider europei (o, comunque, con data center localizzati in Europa) sta ormai risolvendo, rendendo questi servizi molto più attrattivi e fruibili. Non è un caso che Idc stimi un incremento medio annuo tra il 2014 e il 2019 pari all’11,6% per questo tipo d’offerta, proiettando il giro d’affari globale del 2018 a quota 20 miliardi di dollari, mentre nello stesso periodo quello dell’enterprise storage crescerà a livello mondiale solo dello 0,4%. Claudia Rossi

ARCHIVIAZIONE DATA PROTECTION PER CARICHI DI LAVORO ENTERPRISE DATA PROTECTION PER DESKTOP/LAPTOP DISASTER RECOVERY DATA PROTECTION PER SEDI REMOTE/FILIALI CAPACITÀ DI RAW STORAGE

ATTUALMENTE IN USO

PEAK STORAGE PIATTAFORME DI SVILUPPO

ADOZIONE PIANIFICATA ENTRO DODICI MESI

Fonte: Idc

EDISCOVERY

0

30%

60%

90%

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SPECIALE | Sed ut perspiciatis Storage

La digital economy orienta l’evoluzione

L’oceano di dati generato dalla nuova economia digitale necessita di un’infrastruttura sempre più veloce e performante. Ma la tecnologia non è l'unico ingrediente da includere nelle strategie di trasformazione.

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e esigenze di trasformazione digitale del business, combinate con la crescita inarrestabile dei dati e con una gestione infrastrutturale sempre più complessa, stanno portando un maggior numero di aziende a riformulare la propria strategia storage. Un ripensamento profondo, che non punta solo a implementare i ciclici rinnovamenti tecnologici e architetturali, ma che spinge anche ad abbracciare nuovi modelli di servizio, più rispondenti ai requisiti di agilità e scala26

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bilità dettati dalla digital economy. “Il mondo digitale sta ormai generando oceani di dati e le organizzazioni devono poter pescare questi dati in modo selettivo, estraendo la conoscenza e le informazioni funzionali al business. Questo significa che tutti i dati disponibili devono essere efficientemente memorizzati, gestiti e protetti per poter essere utilizzati dalle applicazioni giuste al momento giusto. L’infrastruttura deputata a governarli, quindi, non può che essere flessibile, sicura e capace di

adattarsi velocemente ai cambiamenti: non tutti i dati, infatti, sono uguali o hanno lo stesso valore, ma tutti possono diventare vitali per il business”, afferma Francesco Casa, manager of storage solutions di Ibm Italia. Che puntualizza anche un altro aspetto del problema: l’importanza di disporre di differenti tipologie di storage per poter gestire in maniera diversificata i dati aziendali e garantirsi contemporaneamente la libertà di adattarsi a nuove esigenze. Una linea di pensiero, questa, condivisa anOTTOBRE 2016 |

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Ma quali sono le componenti tecnologiche che un’azienda non può permettersi di trascurare se desidera infrastrutture capaci di reagire in modo dinamico e tempestivo al variare delle esigenze di business? “Innanzitutto è importante poter contare su un ambiente softwaredefined, in grado di recepire tutte le possibili innovazioni. E, poi, poter far leva su funzionalità software avanzate, come il tiering, la compressione e la deduplica, capaci di rendere efficiente l’infrastruttura storage e offrire valore a prescindere dalle scelte tecnologiche”, commenta ancora Casa di Ibm, sottolineando come l’adozione dei servizi cloud richieda, invece, un’infrastruttura ibrida solida e aperta, basata su tecnologie mature e con una roadmap certa. “Il portfolio storage Eternus di Fujitsu spicca sul mercato per l’ampia disponibilità di soluzioni ibride, capaci di risolvere contemporaneamente problematiche di performance e di contenimento dei costi”, afferma Sappia. “Oltre a queste disponiamo di una gamma di sistemi All Flash, recentemente estesa con l’annuncio della nuova famiglia Eternus AF, una linea che rappresenta

ROBERTO PATANO - NETAPP

ANDREA SAPPIA - FUJITSU

Compatibilità e flessibilità, il nuovo mantra

Le esigenze di agilità e scalabilità dettate dall’economia “data driven” stanno spingendo quasi tutti i principali fornitori storage a riformulare i portafogli d’offerta in un’ottica sempre più orientata alla flessibilità, concetto chiave per garantire un adattamento estremamente veloce a esigenze di business in continua evoluzione. Nel caso di Ibm, la flessibilità si concretizza in un’offerta declinata da tempo in tre modalità: come soluzioni integrate, come software e come servizi cloud. Tre alternative che lasciano ai clienti la possibilità di scegliere l’opzione a loro più adatta in funzione dei requisiti di business e del budget a disposizione. “Aver concepito fin dall’inizio lo storage NetApp come doftware-defined ci permette di garantire la massima libertà nell’implementazione dei sistemi”, afferma Patano, “cioè come soluzioni software-defined storage su server open, come macchine virtuali o come sevizi su hyperscaler e service provider. Si tratta di un ecosistema d’offerta che ci consente di proporre soluzioni on

YARI FRANZINI - HPE

I pilastri delle infrastrutture

un’importante evoluzione di prodotto in termini di scalabilità e prestazioni”. Contemporaneamente ai nuovi sistemi AF, Fujitsu ha anche annunciato una soluzione di deduplica e compressione compatibile con tutta la famiglia Eternus e capace di ottimizzare l’occupazione dello spazio su qualsiasi storage, dischi Ssd e All Flash compresi. “Grazie agli standard di efficienza raggiunti dai nuovi livelli di compressione/deduplica e compattazione del dato, i drive Flash stanno diventando ormai economici come i drive tradizionali”, afferma Patano di NetApp. “Un aspetto importante, che assieme all’incremento delle prestazioni spingerà sempre più l’adozione di questa tecnologia da parte del mercato”. A detta del manager, nel rinnovamento delle architetture storage aziendali è necessario prestare molta attenzione agli aspetti di flessibilità operativa, adottando tecnologie compatibili con quelle già in usate dai cloud service provider e dagli hyperscaler, le cui offerte sono ormai mature e ben si prestano a gestire servizi come il backup, il disaster recovery o gli ambienti di test e sviluppo. Sottolinea l’importanza della tecnologia Flash anche Yari Franzini, country manager converged infrastructure Italy di Hpe, convinto che l’All Flash, in particolare, rappresenti la pietra angolare delle moderne infrastrutture storage: “Il forte sviluppo della tecnologia Flash e di sistemi storage sempre più efficienti sta inducendo le organizzazioni a ripensare i meccanismi di approvvigionamento e i fattori di scelta delle soluzioni da adottare per implementare architetture altamente performanti, non solo in caso di specifiche applicazioni ma per tutte le esigenze aziendali”. L’approccio dell’All Flash data center secondo Franzini non permette solo di semplificare la gestione dell’infrastruttura, ma è anche in grado di garantire maggiore flessibilità, più elevati livelli di performance e un migliore Tco.

FRANCESCO CASA - IBM

che da Andrea Sappia, sales consultant manager di Fujitsu Italia, che sottolinea come oggi sia importante per le imprese ricorrere “a tutte le tecnologie storage disponibili sul mercato per rispondere in modo adeguato ai differenti carichi di lavoro dei servizi e delle applicazioni, assicurandosi il miglior total cost of ownership”. Per raggiungere questo obiettivo, secondo Roberto Patano, senior manager systems engineering di NetApp Italia, è di fondamentale importanza misurare la convenienza delle soluzioni in funzione della reale “bottom line” aziendale (che comprende processi, tecnologie e persone) e non fermarsi alla valutazione di singoli Kpi (Key performance indicator) semplificati e spesso fuorvianti, come il semplice costo per terabyte.

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SPECIALE | Storage

premise, cloud ibride e nel cloud, coprendo l’intero ventaglio delle richieste del mercato”. Il manager sottolinea, inoltre, come fattore differenziante di NetApp sia la possibilità di assicurare ai clienti che hanno adottato il Data Fabric un’evoluzione dei servizi senza

disruption, assecondando in maniera dinamica e conveniente le esigenze aziendali. La capacità di rispondere velocemente alle necessità del business, viene sottolineata anche da Fujitsu, che evidenzia come la piena compatibilità di

tutti i suoi sistemi rappresenti uno degli aspetti più apprezzati da parte del mercato. “Nessuno dei nostri sistemi storage è frutto di acquisizioni o di sviluppi esterni, questo significa che tutte le nostre soluzioni fanno parte nativamente di un’unica famiglia e che i loro strumenti di gestione e replica sono pienamente compatibili. Ciò non solo ne velocizza l’implementazione, ma ne semplifica al massimo anche l’utilizzo”, dichiara Sappia. Semplice e concreta è la strategia storage di Hpe, calata in un’unica soluzione sia nel caso di un approccio All Flash data center sia nel classico general purpose: in sostanza, l’azienda propone un solo sistema operativo e una sola architettura condivisa per garantire i più alti livelli di performance e tutte le funzionalità tipiche degli storage enterprise, a costi di acquisto e di gestione competitivi. “Il nostro storage si distingue sul mercato per la capacità di adattarsi con successo a tutte le esigenze, rivelandosi efficace in qualsiasi organizzazione, dalle piccole e medie fino alle grandi imprese”, conclude Franzini. C.R.

La nuvola pubblica è un’opzione. Con qualche riserva “Il public cloud giocherà un ruolo sempre più importante nella definizione dello storage, ma non riteniamo che possa diventare il repository di grossi volumi di dati utilizzati dagli applicativi più performanti”: questa l’analsi di Andrea Sappia di Fujitsu Italia, che addita le problematiche di banda come principale responsabile. “Considerate le limitazioni in essere, le aziende tenderanno ad appoggiare su sistemi Flash locali tutte le applicazioni che necessitano di un accesso alle informazioni in tempo reale, riversando invece in cloud i dati di cui devono avere copie di backup

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per soddisfare esigenze di disaster recovery”. Più ampi i vantaggi riconosciuti alla nuvola pubblica da NetApp, che vi intravede non solo benefici economici ma anche di flessibilità. Il cloud permette, infatti, di usufruire temporaneamente di servizi forniti da hyperscaler e cloud provider, senza dover implementare infrastrutture dedicate. “Questo comporta un vantaggio operativo, poiché è possibile implementare velocemente servizi in cloud in grado di accelerare il time to market di una soluzione, per poi riportarla magari on-premise in un secondo momento”, chiarisce Roberto Pa-

tano. Ma se il public cloud storage può offrire nuove opportunità d’efficienza alle aziende, affinché queste non rimangano sulla carta è importante prestare particolare attenzione nella scelta dell’infrastruttura. “Le aziende che scelgono di affidarsi al cloud devono implementare un’infrastruttura It adeguata”, afferma Yari Franzini di Hpe. “Non solo capace di interagire con le risorse nella nuvola, ma che sia anche in grado di adattarsi alle nuove esigenze (cloud e on-premise) con estrema facilità, semplicità di gestione e in piena trasparenza”.

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SPECIALE | Storage

Obiettivo condivisione, passando per il cloud Si moltiplicano sul mercato le offerte appoggiate sulla nuvola e dedicate al mondo business. Funzionalità, livelli di sicurezza e localizzazione dei data center le variabili per scegliere il servizio più adatto per la propria azienda.

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a mole crescente di dati da archiviare, abbinata alla necessità di disporre di infrastrutture velocemente scalabili, sta spingendo molte organizzazioni a valutare i servizi storage in cloud come valida alternativa alle tradizionali soluzioni on premise. Si tratta di offerte molto differenti da quelle dedicate al mondo privato, poiché alla semplice opzione di repositoring dei dati abbinano spesso servizi evoluti, particolarmente interessanti per la clientela aziendale. Tra questi spicca la disponibilità di spazi colla-

borativi in grado di svincolare gli utenti dai luoghi fisici di lavoro, oltre a utili strumenti di revisione e sincronizzazione dei documenti. Aggiornati in tempo reale, i dati sono inoltre accessibili tramite qualunque dispositivo, azzerando tutte le limitazioni legate all’archiviazione locale. Dal punto di vista economico, poi, lo storage sulla nuvola offre alle aziende importanti opportunità di risparmio. A fronte di una tariffa (mensile o annuale), le organizzazioni possono liberarsi, infatti, dei costi d’acquisto e di manutenzione delle infrastrutture,

focalizzando le attività dei propri reparti It solo su progetti a valore per il business. Non tutti i servizi di storage in cloud, tuttavia, si equivalgono: per identificare il più adatto alla propria organizzazione è importante studiare le offerte in modo approfondito, prendendo in considerazione non solo le funzionalità supportate, ma anche il livello di sicurezza garantito e la localizzazione geografica dei server. “Sempre più spesso le aziende manifestano la necessità di poter archiviare grandi quantità di dati destrutturati OTTOBRE 2016 |

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a costi sostenibili, mantenendo le informazioni disponibili in real-time e rendendole accessibili anche a utenti poco tecnici”, afferma Andrea Aymerich, head of cloud platform Italy and Spain di Google for Work. “Con la Google Cloud Platform siamo in grado di rispondere efficacemente a tutte queste esigenze, aggiungendo aspetti importanti come la capacità di supportare gli utenti ovunque nel mondo, la scalabilità illimitata e un taglio netto alle attività di gestione e manutenzione delle infrastrutture”. L’offerta della società di Mountain View consente di evitare il lock-in tecnologico e mette a disposizione diversi elementi chiave,

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ROBERTO ANDREOLI - MICROSOFT

DANILO POCCIA - AWS

ANDREA AYMERICH - GOOGLE

SPECIALE | Storage

che spaziano dal cloud storage (per l’archiviazione di grandi volumi di dati destrutturati a costi accessibili) ai database NoSql (adatti a gestire applicazioni con necessità di caricamento dati in streaming, per esempio in ambito IoT), fino agli ambienti completamente gestiti e orientati all’analisi real-time. “Un ultimo componente è rappresentato dal servizio CloudSql fully managed per la gestione dei database relazionali”, aggiunge Aymerich. Per tutte le realtà che intendono conservare parte dei propri dati in locale, Google ha messo, poi, a punto un modello ibrido, capace di integrare facilmente le infrastrutture aziendali con le proprie.

Un approccio, quello ibrido, pienamente sposato anche da Microsoft, che al mondo delle aziende non offre servizi di storage sotto forma di memorizzazione “cloud only”, ma anche di archiviazione ibrida attraverso Storsimple, una soluzione pensata per aiutare i clienti a spostare più facilmente i dati verso la nuvola. “Un aspetto estremamente importante della nostra offerta è l’integrazione dei servizi storage all’interno di prodotti come Windows Server e Sql Server, non solo per le funzionalità di backup e disaster recovery, ma anche per garantire l’integrazione con i servizi IaaS e l’analisi dei dati di Microsoft Azure”, precisa Roberto Andreoli, direttore della divisione cloud & enterprise di Microsoft Italia. “Questi due aspetti sono peculiari del nostro approccio al cloud, in quanto intendiamo continuare a supportare i clienti che vogliono spostare i propri dati sulla nuvola seguendo il loro piano di adozione. Questo è ancora più vero con le ultime versioni di Windows Server 2016 ed Sql Server 2016 e con le loro funzionalità semplificate di integrazione dei

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Destinazione storage o semplice backup? Anche se la maggioranza delle aziende non utilizza il cloud solo per archiviare i dati, non poche sono interessate alla nuvola esclusivamente per disporre di un repository sicuro o per rispettare la normativa sul trattamento dei dati. Esigenze diverse, che hanno dato origine a due filoni d’offerta attigui ma distinti: i servizi di cloud storage, da una parte, e quelli di backup

dati presenti nel cloud e nei servizi inhouse”. Ai clienti che scelgono, invece, da subito un approccio al cloud di tipo “all-in”, Microsoft non garantisce solo il supporto di sistemi storage ad altissime prestazioni, ma anche servizi di data warehouse e analytics basati su Sql Server e tecnologie open source, come Hadoop, Spark, Hbase e Storm. Punta tutto sulla flessibilità anche Amazon Web Services, impegnata a consentire alle aziende di comporre in modo estremamente dinamico le proprie soluzioni, scegliendo da un’offerta sempre più estesa e ricca di capacità. “In dieci anni Aws ha aggiunto ai propri servizi moltissime funzionalità grazie ai feedback dei clienti, che ormai contribuiscono per il 90-95% allo sviluppo delle nostre roadmap”, afferma Danilo Poccia, technical evangelist di Aws. Attraverso il servizio di storage a oggetti, Amazon S3, è possibile connettere dischi alle macchine virtuali gestite da Amazon EC2, mentre con Amazon Efs è possibile creare un file system distribuito, collegabile a più macchine virtuali contemporaneamente. “In caso di dati strutturati”, specifica Poccia, “offriamo invece servizi per la gestione di database relazionali, come Amazon Aurora, o NoSql, come Amazon DynamoDB: servizi che, come sempre, i clienti possono assemblare liberamente, costruendo velocemente le soluzioni più adatte alle proprie necessità”.

Sicurezza e privacy, le due priorità

Il tema della sicurezza rappresenta senza dubbio uno dei principali freni tirati nell’adozione dei servizi di public cloud storage da parte delle aziende. Eppure molti di questi servizi offrono ormai livelli di protezione che soddisfano i massimi standard, per esempio eseguendo la crittografia delle informazioni non solo a riposo ma anche in fase di trasmissione. “La sicurezza rappresenta da sempre una priorità per Aws. D’altra parte, lavorando da anni con clienti come Banca Popolare di Sondrio e Vodafone, abbiamo dovuto sviluppare strumenti in grado di gestire i dati in modo assolutamente sicuro. Oltre a verificarne accuratamente l’accesso, forniamo per esempio strumenti di crittografia, in grado di proteggere le informazioni anche in fase di transito”, puntualizza ancora Poccia, sottolineando quanto le aziende si sentano tranquillizzate anche dall’opzione di disaster recovery offerta da Aws. Ogni regione in cui opera il provider, infatti, conta più data center aggregati in “zone di disponibilità” e strutturati per replicare automaticamente i dati e mantenerli sempre all’interno della medesima regione. “Grazie a oltre cinquecento ingegneri costantemente dedicati ad aspetti di

in cloud, dall’altra. I primi, molto più estesi, permettono agli utenti di archiviare, accedere, modificare e condividere i file. I servizi di backup su nuvola, invece, consentono la semplice custodia della copia di sicurezza, con possibilità di accesso in caso di ripristino dei sistemi o qualora i dati debbano essere cancellati per raggiunta obsolescenza o inutilità.

security e privacy, i nostri clienti sono i primi a riconoscere che le loro informazioni più preziose sono molto più al sicuro nei data center di Google piuttosto che nelle loro infrastrutture locali”, precisa invece Aymerich. “Tutti i dati, infatti, non sono solo crittografati in transito e a riposo, ma sono ulteriormente salvaguardati dalle Customer Encryption Keys, chiavi personali con cui gli utenti possono cifrare i dati e di cui rimangono gli unici possessori. Una volta arrivati nei nostri data center, i file sono poi sottoposti alle più avanzate tecniche di offuscamento e frammentazione così da aumentarne al massimo la protezione”. Forte anche l’impegno di Microsoft in tema di sicurezza, sviluppata sui tre pilastri della trasparenza, della privacy e della compliance. “Oggi le maggiori incertezze che ostacolano l’adozione del cloud pubblico sono la sicurezza e la localizzazione dei dati. Sul primo fronte Microsoft vanta un forte posizionamento di mercato attestato da una serie di certificazioni Eu Model Clauses (le Clausole del modello Ue), mentre su quello della disponibilità integriamo nei nostri servizi di public storage la possibilità di avere fino a sei repliche di ogni dato, distribuendole su più data center nella stessa area geografica”, conclude Andreoli. Claudia Rossi 31


TECHNOPOLIS PER WOLTERS KLUWER TAX AND ACCOUNTING ITALIA

GENYA, L’INTELLIGENZA NEL CLOUD

Il digitale non è soltanto ciò che aiuta il professionista nel suo lavoro attuale: nella visione di Wolters Kluwer Tax and Accounting Italia, il digitale è molto di più. L’intelligenza del nuovo software Genya è ciò che trasforma il professionista del terzo millennio in un consulente più libero, più organizzato, più concentrato sulle problematiche dei suoi clienti e non più solo sugli adempimenti. Si è mai pensato alla possibilità di elaborare un bilancio in trenta minuti in modo facile e intuitivo, senza fare ricorso alle istruzioni? Probabilmente no. Ma ci ha pensato Wolters Kluwer Tax and Accounting Italia, che ha spezzato le consuetudini e che con un software davvero innovativo consente al professionista di non occuparsi più prevalentemente degli adempimenti, ma di essere un consulente che ha nel suo cliente la centralità. Genya nasce dalla capacità degli sviluppatori della software factory di Wolters Kluwer Tax and Accounting Italia di vedere oltre, di ingegnerizzare un prodotto digitale che non solo risolve il problema odierno ma che, cambiando i paradigmi professionali, consente la riorganizzazione delle attività del domani. La prima suite di Genya rilasciata, il Bilancio, consente ad esempio la gestione di tutta la pratica integrando strumenti di Business Intelligence e collaborazione, per fornire in modo semplice il massimo del valore e del servizio. Non soltanto per i professionisti ma anche per le aziende che predispongono la pratica del bilancio al loro interno. Nello sviluppo del progetto Genya sono stati presi in considerazione cinque concetti: integrazione, analisi, previsione, riduzione dei tempi, mobilità. Il professionista può oggi davvero trasformare il proprio profilo grazie alla digitalizzazione e all’accessibilità dell’intelligenza operativa 32

nel cloud. In modo semplice e innovativo, Genya Bilancio di Wolters Kluwer Tax and Accounting Italia consente di svolgere diverse operazioni: di caricare i dati sia dalla situazione contabile sia dal bilancio riclassificato; di accedere ai Kpi automaticamente, perché forniti nel normale svolgimento delle attività; di creare fascicoli simulati per il calcolo del bilancio e delle imposte, con la possibilità di renderli poi definitivi; di redigere la nota integrativa e gli altri documenti di bilancio in modo guidato attraverso l’utilizzo di modelli e formulari preimpostati e personalizzabili. Dunque più produttività, più velocità nel comunicare, più valore nelle consulenze ai clienti. “Digitalizzazione significa aggiungere del propellente alla redditività. Sviluppare software e tecnologia innovativa significa creare strumenti di evoluzione aziendale che consentano l’ottimizzazione del lavoro e, contemporaneamente, il recupero del tempo da destinare a valorizzare le risorse e le loro capacità consultive verso la clientela”. Parole di Pierfrancesco Angeleri, managing director di Wolters Kluwer Tax and Accounting Italia, che ben conosce la potenza delle innovazioni che l’azienda propone senza sosta alla clientela dei professionisti italiani. Con Genya nasce un’innovazione digitale che enfatizza i concetti di condivisione e di collaborazione tra studio e cliente. Si può pensare a uno studio aperto e accessibile ai clienti 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno? Con Genya è permesso, perché la soluzione consente di snellire e velocizzare il flusso di comunicazione tra il professionista e la sua clientela, di offrire servizi per una raccolta veloce, precisa e tempestiva dei dati, oltre a fare della condivisione la base strategica per una rinnovata alleanza tra professionisti e clientela.

Pierfrancesco Angeleri, managing director di Wolters Kluwer Tax and Accounting Italia


ECCELLENZE.IT |

Bauli

Il business lievita meglio con la virtualizzazione La storica industria di prodotti da forno, oggi proprietaria di numerosi marchi, ha adottato diverse tecnologie di Citrix per semplificare la gestione delle applicazioni e alleggerire la rete.

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l nome Bauli non necessita di presentazioni: campeggia su un quarto delle confezioni di pandori, panettoni e colombe pasquali vendute ogni anno dalla grande distribuzione italiana. Non tutti forse sanno, però, che l’azienda fondata nel 1922 a Verona dal pasticcere Ruggero Bauli dal 2004 è anche proprietaria dei marchi Bucaneve, Atene e Doriano, dal 2009 di Motta e Alemagna e dal 2013 di Bistefani. Acquisizioni che hanno contribuito a far crescere il business fino ai 460 milioni di euro di fatturato odierni. Da quattro stabilimenti escono ogni anno circa sette milioni di pandori, otto di panettoni tradizionali, quattro di colombe e altrettanti di uova di cioccolato, oltre a 180 milioni di cornetti e a decine di milioni di altre bontà. Dal 2010 Bauli ha intrapreso un percorso di evoluzione tecnologica. Diversi i problemi di partenza: i software aziendali risultavano complessi da installare, configurare e aggiornare, anche a causa dell’elevato numero di computer in uso e del notevole flusso di dati gravante sulla rete. L’impiego di smartphone e tablet da parte dei dipendenti, inoltre, richiedeva ulteriori procedure di configurazione e, in molti casi, costose operazioni di re-

styling delle applicazioni. A tutto questo si sommavano i noti problemi di sicurezza associati ai terminali mobili. Per i depositi e magazzini periferici, collegati in Multi Protocol Label Switching (Mpls) e usati soprattutto nei periodi di picco della domanda, si presentava l’ulteriore necessità di una continua connessione con l’ufficio centrale. Da questo punto di partenza si è arrivati ad adottare diverse tecnologie Citrix, nell’arco di cinque anni e con il supporto dell’integratore di sistemi Personal Data. La prima tappa, nel 2010, è rappresentata dall’infrastuttura di virtual desktop incentrata su XenDesktop e XenApp, con cui è stato possibile centralizzare l’installazione e configurazione degli applicativi su un ristretto numero di macchine, a cui tutti i terminali possono collegarsi sia via Mpls sia via Internet. Nel medesimo anno sono stati adottati alcuni terminali Praim con a bordo Citrix Receiver. Nel 2014, in seguito all’acquisizione di Bistefani, 70 nuovi utenti sono stati collegati in pochi giorni all’infrastruttura It di Bauli sfruttando XenDesktop. L’anno seguente, poi, sono state adottate per 150 utenti le soluzioni XenMobile e XenMobile Advanced

Edition, mettendo al sicuro lo scambio di dati da mobile con la tecnologia NetScaler. La collaborazione con Citrix ha, così, permesso di “risolvere una serie di problemi sulla gestione delle realtà periferiche che, fino a qualche anno fa, erano ben presenti nella nostra struttura It”, come spiega Pierangelo Chiappini, direttore dei sistemi informativi di Bauli. Ha permesso, inoltre, di semplificare la gestione dei sistemi con uno strumento affidabile e scalabile, nonché di erogare facilmente (anche ai magazzini periferici e agli stabilimenti produttivi) l’applicazione Sap Hana. E non è finita: si sta attualmente realizzando il passaggio alla versione 7.8 di XenDesktop, che permette la creazione dinamica di macchine virtuali in base ai picchi di domanda. Sono in programma, inoltre, l’estensione di XenMobile a un centinaio di altri utenti (addetti alle vendite) e l’adozione di Citrix AppDisk, con cui sarà possibile installare le applicazioni direttamente all’interno di “dischi virtuali” dedicati. In vista di un ulteriore allargamento internazionale, l’infrastruttura It permetterà a Bauli di ottimizzare l’occupazione di banda e la velocità della rete. OTTOBRE 2016 |

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ECCELLENZE.IT |

Noberasco

meno Fermi e massima efficienza grazie ai robot Il primo produttore italiano di frutta secca e disidratata ha aumentato la capacità di stoccaggio e tagliato alcuni costi grazie all’automazione e a una connettività perfetta, garantita da Cisco. Il progetto è firmato Elmec.

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iù di cento anni di storia industriale, segnati recentemente da alcuni progressi tecnologici all’insegna dell’e-commerce e dell’automazione. Fondata nel 1908, la ligure Noberasco è oggi il primo produttore di frutta secca e disidratata in Italia. Negli ultimi anni l’azienda ha diversificato i canali di vendita debuttando nell’online, ma soprattutto ha inaugurato un nuovo stabilimento a Carcare, nel savonese: un sito esteso su 70mila metri quadri, che comprende gli impianti (da cui possono uscire fino a 150 tonnellate di frutta al giorno) ma anche i magazzini per le materie prime e i prodotti finiti. A questo risultato, Noberasco è giunta sulla spinta di una doppia esigenza, strategica e tecnologica. “Volevamo poter seguire al meglio l’evoluzione del mercato”, spiega il responsabile sistemi informativi, Ruggero Battistoni. “Per fare ciò era necessario disporre di una certa capacità produttiva e di immagazzinamento delle materie prime, considerata anche la stagionalità di molte di esse”. Come i datteri, che vengono raccolti una solta volta all’anno e poi vanno conservati in speciali celle frigorifere. “La sfida è stata quella di utilizzare dei robot”,

LA SOLUZIONE Nel sito di Carcare sono stati realizzati due data center interconnessi con un doppio anello in fibra ottica a 10 Gbit. In ciascun armadio di distribuzione (una decina in tutto) opera una coppia di switch Cisco 3850x. Il sistema garantisce ridondanza degli apparati per ogni zona, per esempio grazie a doppi alimentatori che creano in ogni armadio un pool energetico condiviso tra gli switch. Un Network Operations Center monitora costantemente il funzionamento della rete.

prosegue il responsabile It. Una sfida che ha riguardato soprattutto la creazione di un’infrastruttura di rete affidabile e sempre operativa. Ed esisteva una difficoltà specifica: nel magazzino merci il sistema di scaffalatura per i pallet è mobile, e questo elemento ha condizionato la realizzazione della rete WiFi. In quest’area di stoccaggio circolano soltanto i robot, che ogni notte portano fuori dal magazzino le materie prime necessarie per la produzione del giorno successivo. Anche il processo di lavorazione e confezionamento della frutta è altamente automatizzato, dunque si comprende come il circolo virtuoso di stoccaggio, produzione e logistica funzioni solo se la rete non “cade”. Il system integrator Elmec ha dunque progettato e implementato (con “battesimo” nella notte di Capodanno 2015) un’architettura di rete basata su switch Cisco, ridondante e suddivisa in Vlan, in modo da assicurare il trasporto isolato dei servizi. “Li abbiamo scelti perché li conoscevamo da precedenti esperienze, ma ha pesato anche l’affidabilità del marchio Cisco”, racconta il responsabile It di Noberasco. Elmec si occupa anche di monitorare da remoto il funzionamento della rete e di intervenire in caso si verifichino problemi. I vantaggi ottenuti riguardano sia l’aumentata capacità di stoccaggio, sia i risparmi ottenuti. È vero che i robot hanno sostituito parte degli addetti al lavoro manuale ma sono anche stati creati nuovi ruoli più tecnici, tant’è che il numero di dipendenti è salito. “Noberasco sta crescendo di circa il 20-25% all’anno”, sottolinea Battistoni. “Se non avessimo compiuto queste scelte tecnologiche non avremmo potuto assecondare le richieste del mercato”. OTTOBRE 2016 |

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ITALIA DIGITALE

Le risorse economiche messe in campo dal governo per favorire il nuovo corso del settore produttivo italiano sono decisamente importanti. Ma le incognite, come sempre, non mancano: dalla governance istituzionale, al ruolo che giocheranno concretamente le imprese.

Industria 4.0, il piano c’è. La vera sfida è attuarlo

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ul piano Industria 4.0 si è detto e scritto di tutto. L’argomento, del resto, si presta molto alla discussione perché tocca aspetti di diversa e complessa natura: economici e fiscali, di politica industriale, sociali (nuove professioni e posti di lavoro), istituzionali e territoriali. In una delle sue ultime uscite post varo del piano, il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, ha confermato l’intenzione di utilizzare, in aggiunta al budget già definito, ulteriori sette miliardi di euro di fondi del Mise. Soldi finora mai toccati e destina36

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ti a progetti pregressi, alcuni dei quali risalenti addirittura agli anni Settanta. Un’ulteriore mossa, sempre che si concretizzi (su questi fondi pendono diversi contenziosi), per ribadire quanto la nuova rivoluzione industriale sia un tema sensibile per l’esecutivo presieduto da Matteo Renzi. Calenda ricorda giustamente che il governo ha preso di petto questa sfida, mettendo a disposizione con Industria 4.0 circa 13 miliardi di euro di incentivi automatici agli investimenti. Ulteriori 700 milioni di denaro pubblico serviranno invece per implementare il piano nazionale Scuo-

la digitale e l’alternanza Scuola-lavoro sui percorsi coerenti col progetto, per sostenere la formazione specialistica e il potenziamento dei cluster tecnologici e per istituire i centri di competenza nazionali. Sull’entità degli investimenti che dovrebbero arrivare direttamente dai privati (circa 10 miliardi in più solo nel 2017, per passare da 80 a 90 miliardi) è invece più difficile condividere le certezze del ministro. Sarà una sfortunata coincidenza, ma una presa di posizione ufficiale da parte delle imprese su questo impegno non c’è stata. Il piano, in ogni


caso, può essere considerato una call to action in piena regola per il tessuto industriale italiano. Le imprese manifatturiere devono, cioè, cambiare pelle e rendere sistemici sia la collaborazione con le università e le startup, sia il lancio di nuovi progetti, sia l’assunzione di figure con profili elevati. E, naturalmente, anche il processo di innovazione tecnologica delle infrastrutture, soprattutto nel cuore delle Pmi, là dove il rischio di essere tagliati fuori dal cambiamento è più elevato. Servono quindi apparecchiature moderne, perché l’ultima indagine di Ucimu-Sistemi (l’associazione delle imprese produttrici di macchine utensili e robot) ha lanciato un allarme sull’età media del parco impianti in esercizio: è aumentata di due anni e arrivata a 12 anni e otto mesi, la più alta di sempre. Considerato poi che la quota di macchine utensili più vecchie di vent’anni è pari al 27% del totale installato, la rivoluzione digitale auspicata dal piano deve superare uno stallo non indifferente. La questione della governance

La cabina di regia di Industria 4.0 sarà composta dalla presidenza del Consiglio dei ministri, dai dicasteri dell’Economia, dello Sviluppo, dell’Istruzione,

del Lavoro, delle Politiche Agricole e dell’Ambiente, oltre che da una rappresentanza degli atenei tecnici, dei centri di ricerca, dell’imprenditoria e delle organizzazioni sindacali. Successivamente entreranno in gioco anche le Regioni. Sintomatica e condivisibile, in proposito, la riflessione del titolare del Mise: “L’Italia è il Paese della non-governance”, ha detto Calenda. “Un piano di questo genere deve invece evitare di generare energie centrifughe e, soprattutto, rispettare le peculiarità del nostro tessuto imprenditoriale. Non possiamo imporci il modello tedesco o quello americano o francese, ma cogliere il meglio degli altri approcci e specialmente continuare a utilizzare gli strumenti che hanno già dimostrato di saper funzionare”. Approccio condivisibile, quello di Calenda, ma se l’efficienza si lega all’essenzialità delle figure preposte a prendere decisioni, il descritto modello a più “teste pensanti” forse non soddisfa tali requisiti. Eppure l’esperienza negativa dell’attuazione dell’Agenda digitale dovrebbe aver insegnato qualcosa. La quantità di risorse messe a disposizione ha sicuramente incontrato i favori di molti addetti ai lavori (anche se non di tutti) fra rappresentanti dell’industria,

economisti e accademici. E conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, la portata e l’urgenza della manovra. Ma i soli finanziamenti, come detto, non bastano: come giustamente osserva qualcuno, serve soprattutto una progettualità convinta e strutturata della classe imprenditoriale e servono linee guida ben definite per indirizzare correttamente gli investimenti in macchinari e automazione. Se è vero che gli incentivi a pioggia sono stati banditi dal nuovo piano, c’è comunque il rischio che, senza una visione strategica e una conoscenza delle reali opportunità tecnologiche, si disperdano le grandi risorse allocate per l’innovazione. E anche questa è una questione di governance, come lo è quella della necessaria connessione, grazie alle tecnologie digitali, fra le piccole e medie aziende dei distretti e le filiere che costituiscono l’ossatura del sistema industriale italiano. Il piano Industria 4.0, l’hanno detto in molti, per alcuni aspetti è l’ultima chiamata: o le imprese, grandi e meno grandi, digeriscono in fretta i tempi, le logiche e le opportunità della rivoluzione digitale, oppure lo spettro dell’ennesima occasione sprecata diventerà reale. Gianni Rusconi

L’APPELLO DI FEDERMECCANICA: BISOGNA ACCELERARE “Il ritardo delle imprese italiane sul tema Industry 4.0 resta significativo, soprattutto perché le intenzioni di investimento nei prossimi anni sono mediamente basse, in particolare tra le aziende non-adopter”. Le conclusioni a cui è giunta un’indagine condotta da Federmeccanica, presentata a Roma nel giorno del varo del piano Industria 4.0, parla chiaro. Il sistema manifatturiero della Penisola, dal punto di vista dell’adozione degli strumenti digitali, è indietro. E lo confermano alcune percentuali: solo il 64%

del campione ha dichiarato di avere adottato almeno una delle undici tecnologie individuate come “abilitanti e qualificanti” (dalla robotica all’Internet of Things, dai Big Data al cloud computing, dalla sicurezza alla stampa 3D fino alle nanotecnologie) mentre il restante 36% (le “non-adopter”) dice di non averne utilizzata alcuna. Per Federmeccanica, insomma, il percorso da fare è ancora lungo, perché la conoscenza di Industry 4.0 c’è ma “le applicazioni sono ancora in fase iniziale al cospetto di una competizione

internazionale che ci impone una forte accelerazione”. L’allarme, forte e chiaro, lanciato in direzione del Governo non si è fatto dunque attedere: “In assenza di azioni correttive, il divario tra le imprese più avanzate e quelle più arretrate è destinato ad accentuarsi”. Timori eccessivi? Forse no, visto che oltre il 50% delle imprese manifatturiere italiane non ha intenzione di dirottare risorse sul digitale e visto che il valore medio dell’investimento in soluzioni Ict è pari a 200mila euro, cioè l’1,5% del fatturato.

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ITALIA DIGITALE | Startup

L’INNOVAZIONE FA TAPPA AL SALONE La contaminazione tra aziende e startup, per rendere competitive le imprese consolidate e far crescere quelle appena nate, è uno dei temi centrali di Smau 2016. Ecco i protagonisti di questa edizione.

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ra i tanti temi che caratterizzeranno l’edizione numero 53 di Smau, in programma a Milano Fieramilanocity dal 25 al 27 ottobre, quello dell’open innovation è sicuramente centrale. Le imprese devono rispondere alle esigenze di ricerca e sviluppo in linea con il “time to market” richiesto dall’attuale contesto competitivo, e per farlo, spesso, non bastano più le risorse interne o le relazioni con il sistema universitario. La soluzione è l’incontro con attori esistenti sul terri38

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torio: le startup innovative (oltre 6.400 quelle iscritte nell’apposito Registro, in cui hanno creduto circa 5mila investitori corporate) e il sempre più ricco universo fatto di incubatori e acceleratori sono i “nuovi” candidati a ricoprire il ruolo di generatori di innovazione. Al tema, non a caso, è dedicato un nuovo Osservatorio realizzato da Smau, Assolombarda e Italia Startup in collaborazione con Ambrosetti e Cerved, con l’obiettivo di “supportare l’adozione di tecniche di innovazione aperta nell’ecosistema, in-

dividuando gli strumenti e i processi in corso e valutandone l’impatto per estrapolare modelli basati su casi concreti di utilizzo”, dice Alvise Biffi, presidente Piccola Industria di Assolombarda. La finalità ultima del processo di contaminazione e integrazione tra il fessuto industriale e le startup tricolori è quello di rendere più competitivo il Made in Italy sui mercati internazionali. Per arrivarci attraverso il rilancio dell’innovazione, come recita la nota introduttiva della guida di Assolombarda, serve un nuovo


approccio mentale, e più precisamente “una cultura pronta a intraprendere questo nuovo percorso”. Se le startup – questo il messaggio chiave – sono nella loro essenza frutto di questa cultura, nelle grandi aziende prevale ancora una mentalità poco orientata all’innovazione. “Rapidità di risposta, velocità nel saper cogliere le opportunità, snellimento dei processi, sperimentazione di nuove idee non avendo paura del fallimento sono solo alcuni degli aspetti fondamentali che dobbiamo trasferire agli imprenditori”, rimarca Pierantonio Macola, presidente di Smau. Gli esempi a cui riferirsi per capire da vicino che cosa significhi fare “open innovation” fortunatamente non mancano, e anche nell’ambito della tre giorni milanese saranno rappresentate dai nomi di Barilla e Electrolux. La prima ha di recente avviato un progetto di “design thinking” mettendo al centro del prodotto le esigenze del cliente e sviluppando un approccio multidisciplinare che richiede la stretta collaborazione di numerosi attori interni e esterni all’azienda. La seconda, invece, ha focalizzato la propria attenzione nel risolvere la problematica del “fish scaling”: un difetto del materiale metallico per cui strati di smalto si distaccano dalla superficie e portano allo scarto dell’intero batch di produzione. Insieme all’Università di Pisa e allo spin-off Letomec, Electrolux ha individuato una soluzione innovativa che permette di effettuare specifici test di qualità in soli trenta minuti. Quanto al ruolo degli incubatori, Smau conterà sulle presenze di alcuni dei più attivi attori di questo sistema, da HFarm (con le startup oggetto dei programmi di accelerazione portati avanti con Cisco e Technogym) a Intesa Sanpaolo (con le imprese innovative selezionate e formate tramite la piattaforma di accelerazione del Gruppo), fino all’acceleratore d’impresa di casa Telecom Italia (TIM #Wcap) e agli incubatori Comonext, Digital Magics, Filarete, The Hub e Bergamo Sviluppo. Piero Aprile

poche le elette In Italia gli investimenti si concentrano su appena un quarto delle imprese innovative. Scarso il ruolo di venture capital e private equity. Lo dice uno studio dell’Università Bocconi. A un quarto delle nuove imprese innovative va quasi il 90% dei finanziamenti raccolti. La maggior parte delle startup (il 95%) ha tra i soci fondatori persone fisiche, mentre appena il 5% è partecipata da venture capital o fondi di private equity. Sono le caratteristiche salienti del mercato italiano, mappate da uno studio dell’Università Bocconi di Milano, che ha analizzato gli investimenti effettuati nel nostro Paese nel corso del 2014. In quell’anno nelle casse delle startup sono finiti 149 milioni di euro, di cui 93 milioni in capitale e 56 milioni in debito (prestiti da parte dei soci, dalle banche o altri tipi). Il primo dato che balza all’occhio è quindi il seguente: poche e selezionate realtà ricevono finanziamenti molto alti (450mila euro

in media) mentre la maggior parte dell’ecosistema raccoglie ben poco. In secondo luogo, il limitato apporto dei venture capital può confermare da una parte la tesi della scarsità di risorse di questa categoria di investitori, e dall’altra indicare l’esiguo numero di startup ritenute appetibili per tali operatori. Fra le altre evidenze emerse spicca la tendenza che vede la comunità degli “investor” (business angel compresi) dimostrare concreto interesse verso le startup che offrano condizioni per smobilizzare a distanza di pochi anni il proprio investimento tramite una exit, vale a dire la vendita dell’azienda o della propria quota ad altri soggetti. Difficilmente si registrano round di finanziamento per progetti appena avviati e con pochi risultati all’attivo, tanto che la raccolta del capitale passa spesso da operatori tradizionali, banche in primis. Da qui l’esigenza per le startup di rendersi subito “appetibili” a finanziatori con elevate capacità di investimento.

VENTURE CAPITAL IN CERCA DI OCCASIONI Nel 2015 gli investimenti del private equity e del venture capital hanno registrato una crescita significativa, raggiungendo il secondo valore più alto di sempre: merito anche del contributo di molti operatori internazionali, che sono tornati a guardare con grande interesse alle imprese italiane. È la fotografia scattata da Aifi (Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt) sullo stato dell’arte del mercato italiano, che ha visto l’anno passato 89 società oggetto

di finanziamenti early stage, per un totale di 74 milioni di euro erogati. Un movimento, è risaputo, che deve ancora crescere e che avrà in Smau un’occasione di confronto importante. A Smau saranno presenti più di sessanta investitori internazionali, provenienti da oltre 20 Paesi. Incontreranno oltre 300 startup del “Made in Italy” all’interno della terza edizione di ItaliaRestartsUp, evento organizzato da Ice in collaborazione con il Ministero per lo Sviluppo Economico.

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ITALIA DIGITALE | Innovazione

UN ecosistema APERTO che fa scuola Da Trentino Sviluppo alla Fondazione Bruno Kessler: fra incubatori e centri di eccellenza, l'offerta di servizi alle imprese è il punto forte della cultura tecnologica della Provincia.

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innovazione in Trentino è una cosa seria: la regione punta senza falsa modestia ad essere un modello di eccellenza e prova a cavalcare in modo strutturato, come ancora troppo raramente accade in Italia, il concetto di ecosistema. Cioè prova a mettere a fattor comune risorse e competenze per 40

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raggiungere obiettivi che sono quelli di creare nuova imprenditoria sostenibile, nuovi servizi per i cittadini, nuove opportunità di sviluppo e di crescita per il territorio. Non si può parlare di modello perfetto, certo, ma la cultura del “nuovo” che si professa fra Trento e Rovereto è sicuramente un esempio per l’intero Paese. Anche le esperienze negative (e il riferimento va a Trento Rise, il centro di innovazione compartecipato dalla Provincia che ha chiuso lo scorso 31 dicembre dopo sei anni di attività, in seguito a varie inchieste della Procura su spese fantasma e consulenze milionarie) sono parte integrante di questo processo di crescita. Ne è convinto Mauro Casotto, direttore operativo di Trentino Sviluppo e vicepresidente di Hit (Hub Innovazione Trentino). Trento Rise ha pagato il prezzo di “una gestione sbagliata, ma ha avuto il merito di portare alla

Mauro Casotto

luce un modello virtuoso di coinvolgimento delle imprese e di accelerazione delle startup tecnologiche”, dichiara Casotto. Hit, società consortile avviata nel settembre del 2015 e in cui convergono Università di Trento, Fondazione Bruno Kessler, Fondazione Mach e Trentino Sviluppo, nasce in effetti dalle ceneri del


LA MISSIONE DI FARE NUOVA IMPRESA L'acceleratore Industrio è una delle tante realtà che si muovono in Trentino per favorire l'innovazione. Con un modello da imitare. Ci sono tante anime che concorrono a dare lustro al Trentino in termini di innovazione, e una di queste sono le grandi aziende che chiedono sempre più spesso “ospitalità” da queste parti per presentare iniziative volte alla selezione di startup e di talenti. Lo hanno fatto di recente (trovando la collaborazione di Hit) Cisco Italia e il venture capital LVenture Group per il lancio del programma “Security Challenge”, gestito dall’acceleratore romano Luiss Enlabs. E poi ci sono realtà come Industrio, acceleratore di stanza al Polo Meccatronica di Rovereto. “Questo progetto”, spiega Jari Oribeni, che di Industrio è il Ceo, “nasce per rispondere alla carenza di esperienza e know-how nel fare nuova impresa,

consorzio che ha cessato di esistere. E si affianca alle attività di una struttura, Trentino Sviluppo, che opera da incubatore di impresa sin dal 1992 e che si è focalizzata da metà anni Duemila in poi sulle nuove tecnologie al servizio della manifattura, dell’efficienza energetica e dell’agroalimentare. “Alla base di tutto”, conclude Casotto, “ci devono essere le capacità di fare formazione e ricerca, di attrarre aziende di elevato profilo, di offrire a queste realtà servizi a valore aggiunto e di fare reale trasferimento tecnologico sul territorio. La chiave per migliorare ulteriormente il modello? Fare innovazione in modo partecipato e collaborativo”. Quando l’innovazione fa rima con collaborazione

Anche Paolo Traverso, direttore del Centro per l’Information Technology di Fondazione Bruno Kessler, è convin-

di capitali e di infrastruttura tecnologica. Componenti che esistono sul territorio da tempo, ma non erano integrati e proposti nel modo adeguato”. Il carattere distintivo di Industrio, rispetto ai tanti acceleratori che operano in Italia, sta tutto in un modello molto legato allo sviluppo del prodotto e articolato su una settantina di partner italiani e internazionali. “Siamo una facility distribuita per il test e la prototipazione, che punta allo stretto legame fra l’azienda, grande o piccola realtà che sia, e la startup”, aggiunge Oribeni. I nomi sono per esempio quelli del gruppo lecchese Elemaster, di St Microelectronics e di Bikee Bike, startup incubata da Industrio e punta di diamante trentina di un fenomeno in fortissima ascesa

to che la strada maestra sia quella della collaborazione. “Oggi stiamo spingendo forte sui laboratori congiunti per portare i frutti della ricerca scientifica sul mercato nel campo dei Big Data e della semantica, dell’intelligenza artificiale e del deep learning”. Migliorare ulteriormente l’ecosistema si può, sottolinea Traverso, e per farlo “serve coinvolgere tutta la filiera puntando a un disegno unico dell’innovazione, che abbracci naturalmente anche le aziende, perché la buona ricerca, a mio parere, deve avere la possibilità di scaricare a terra tutti i suoi effetti e nasce dall’incrociarsi di diverse matrici”. Il modello Trentino, in ogni caso, già funziona e vanta asset importanti. A cominciare dai due principali incubatori di Trentino Sviluppo, cioè Polo Meccatronica e Progetto Manifattura. Il primo si candida a essere uno dei più importanti hub produttivi italiani nel suo

Jari Oribeni come quello della “bike economy”. Alla base di questa scommessa ci sono pochi ma essenziali ingredienti: competenze specifiche, riconoscibilità, unicità locale, verticalità industriale e – naturalmente – talenti. In poche parole, come dice il fondatore di Industrio, “un ecosistema difficilmente replicabile, da imitare ma non da copiare”. G.R.

genere: su di lui la Provincia autonoma di Trento sta investendo oltre 80 milioni di euro, e al suo interno si muove l’acceleratore di startup Industrio Ventures. Presto l’hub avrà il suo fiore all’occhiello nel nuovo laboratorio di prototipazione per l’additive manufacturing e l’industrial Iot, costato cinque milioni di euro e che aprirà i battenti nel marzo del 2017. Il secondo, Progetto Manifattura, ospita oggi più di 50 realtà (una ventina le startup) e oltre 200 addetti; fra un paio d’anni punta ad accogliere complessivamente 110 nuove imprese, per oltre 1.200 nuovi posti di lavoro. La Fondazione Bruno Kessler, da parte propria, è prossima a festeggiare il decimo anno di vita, avendo in organico oltre 350 ricercatori e vantando collaborazioni e contratti in essere con realtà come Boeing, Poste Italiane, eBay e Gruppo Telecom Italia. Gianni Rusconi 41


OBBIETTIVO SU | Candy

DESIGN E TRADIZIONE PER LA CASA SMART La storia di Candy nasce settant’anni fa a Monza con la prima lavabiancheria tutta italiana. Oggi il Gruppo è uno dei principali fornitori di piccoli e grandi elettrodomestici in Europa. Grazie a cultura industriale e innovazione tecnologica.

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ra il 1945 quando le Officine Meccaniche Eden Fumagalli di Monza davano vita alla “Modello 50”, prima lavabiancheria completamente Made in Italy, presentata al pubblico alla Fiera di Milano del 1946. E così nasceva la Candy. Dall’intuizione di puntare agli elettrodomestici alla virata strategica sulle soluzioni per la casa intelligente e connessa, in mezzo ci sono settant’anni di vita industriale e una strategia di espansione che ha toccato prima l’Europa e poi il mondo intero. Ci sono tappe fondamentali come il lancio nel 1950 della Bi-Matic, la prima lavatrice italiana semiautomatica (capostipite di una generazione di prodotti che ha visto all’opera designer quali Marco Zanuso, Rodolfo Bonetto e Giorgetto Giugiaro). E risultati all’avanguardia, come il primato del lavaggio rapido più efficace, ottenuto nel 2014 dalla lavatrice GrandÓ Vita. Oggi Candy Group è una società a totale capitale privato, di proprietà della famiglia Fumagalli, che conta 4.100 addetti, sei centri produttivi fra Europa, Turchia e Cina e una cinquantina di consociate nel mondo. Un’azienda a forte vocazio42

| OTTOBRE 2016

ne internazionale, dunque, ma dall’anima totalmente italiana e che conserva quartier generale, fabbrica e centro di ricerca e sviluppo alle porte di Milano, a Brugherio. L’innovazione, diretta sia all’ammodernamento di ogni linea di produzione sia allo sviluppo dei prodotti, ha accompagnato l’azienda brianzola fino alla sfida della smart home. Sfida che Candy vuole vincere con la ricetta che l’ha portata al successo: prodotti facili da utilizzare e concepiti per semplificare la vita dei consumatori.


NEL 2015 NASCE Candy simply-Fi, LA prima FAMIGLIA di elettrodomestici connessi e gestibili via smartphone e tablet.

LA FABBRICA ALLE PORTE DI Milano Nel 1961 Candy si sposta a Brugherio, nella nuova sede direzionale che si affianca ai laboratori di ricerca e sviluppo, allo stabilimento e al magazzino ricambi.

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OBBIETTIVO SU | Candy

Quella di Candy è una storia fatta anche di acquisizioni. Si parte nel 1971 con Kelvinator Italia e si prosegue due anni dopo con La Sovrana di Sorbolo, società di Parma e marchio storico nel campo della cottura. Negli anni Ottanta vengono acquisite Zerowatt (lavabiancheria e asciugabiancheria), Gasfire e Rosières (cottura e sistemi a incasso), mentre nel 1992 entra nel Gruppo la spagnola Mayc-Otsein. Nel 1995 è la volta di Hoover European Appliances. Degli anni 2000 sono le operazioni per inglobare la russa Vesta, la cinese Jinling e la turca Doruk.

Il centro dell’innovazione, il cuore della ricerca e sviluppo, è sempre rimasto in Italia.

Il forno è tattile Candy Wtc (Watching, Touching, Cooking) cambia l’esperienza del cucinare sfruttando un condensato di tecnologie: connettività wireless, luci Led e telecamera integrata fanno il paio con lo schermo da 19 pollici con interfaccia touch applicata al frontale, da cui supervisionare lo stato di cottura in ogni suo momento. Anche tramite app. 44

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Il 1966 è l’anno della Stipomatic, lavastoviglie automatica a doppio scomparto con lavaggio differenziato, e della lavabiancheria Superautomatic.

Nel 2009 esce il centomilionesimo elettrodomestico prodotto a partire dal 1945. 45


brandyspace.com


VETRINA HI-TECH

LA POTENZA DEL QUATTRO IN UNO I multifunzione, soprattutto se laser, continuano a piacere alle aziende: grazie al poker di funzioni di stampa, scanner, copia e fax.

I

l mercato del printing non sembra passarsela molto bene, eppure stampanti e dispositivi multifunzione sono ancora oggi soluzioni indispensabili per le aziende di qualsiasi dimensione. Soprattutto se concepite in un’ottica differente rispetto al passato. A fronte, infatti, di un secondo trimestre del 2016 in contrazione del 3,8% anno su anno (dati Idc), per un totale di 23,1 milioni di unità consegnate, si è registrato un costante aumento del segmento dei servizi di stampa gestiti che ha caratterizzato tutta la prima metà dell’anno in corso. La domanda complessiva è stata trainata dalle soluzioni laser a colori (con velocità oltre le 21 pagine per minuto) e monocromati-

che (tra le 21 e le 30 ppm). Tra le più recenti proposte dei produttori rientra nella prima categoria il Cx310dn, multifunzione A4 di Lexmark con velocità di stampa fronte-retro fino a 23 ppm e tempo di produzione della prima pagina a colori di 12,5 secondi. La risoluzione massima è di 1.200 per 1.200 dpi, che garantisce immagini e grafiche sempre nitide. La velocità di acquisizione tocca invece le 32 facciate massime al minuto, ma la Cx310dn presenta scansione solo fronte. La soluzione di Lexmark ha un display a colori da 2,4 pollici, una porta Usb 2.0, connettività Ethernet Gigabit e un kit server di stampa wireless opzionale (MarkNet N8352 802.11b/g/n). Il multifunzione OTTOBRE 2016 |

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VETRINA HI-TECH

consente di stampare fino a cinquemila pagine al mese e dispone di un alimentatore da 250 fogli (con vassoio doppio opzionale da 550) e raccoglitore di uscita da 150 pagine. Il dispositivo presenta infine 512 MB di memoria Ram, espandibile però fino a un massimo di 2.560 MB. Appartiene invece alla famiglia dei multifunzione laser monocromatici il Dcp-L5500Dn di Brother, con velocità massime di stampa di 40 pagine per minuto (fronte-retro automatico) e una notevole capacità di gestione della carta, che può raggiungere anche i 1.340 fogli. Il vassoio standard ne contiene però 250. La risoluzione massima è di 1.200 per 1.200 dpi e il multifunzione è in grado di stampare fino a venti immagini al minuto. L’elaborazione di file inviati da mobile è garantita dalla compatibilità con diverse tecnologie, tra le quali spiccano Apple Airprint, Android Print Service Plugin, Google Cloud Print 2.0 e Mopria. Ma è il supporto a un ricco ecosistema di soluzioni di terze parti a rendere ancora

più versatile il il Dcp-L5500Dn di Brother: la macchina è, infatti, in grado di stampare documenti prelevandoli dalle principali piattaforme di cloud storage come Box, Google Drive e Microsoft Onedrive. Tra i principali punti di forza del Sp C252Sf di Ricoh si trova invece la connettività wireless di serie, a cui si aggiunge l’applicazione mobile proprietaria Smart Print & Scan. La soluzione del vendor giapponese è un multifunzione a colori in grado di stampare un numero massimo di 20 pagine per minuto, con disponibilità della prima in 14 secondi. La risoluzione è di 2.400 per 600 punti per pollice e il “duty cicle” mensile tocca le 65mila pagine. Il vassoio di serie per il caricamento della carta contiene fino a 250 fogli, ma grazie al contenitore extra è possibile arrivare a 750. Il trayer di raccolta tocca invece le 150 pagine. Un valore Tec (consumo elettrico settimanale tipo) di 1,6 kWh e la modalità Economy Colour garantiscono al contempo anche costi di funzionamento e di gestione ridotti, limitando così il

HP-SAMSUNG: I MOTIVI DEL DEAL A settembre Hp Inc. ha messo sul piatto 1,05 miliardi di dollari per rilevare tutte le attività di stampa di Samsung Electronics, mettendo così a segno la sua maggiore acquisizione in ambito printing. L’accordo, che deve ancora essere approvato dal regolatorio, punta soprattutto a espandere il presidio dell’azienda di Palo Alto nel mercato dei dispositivi di stampa a elevato volume. Ma non solo. Hp Inc. è oggi una realtà completamente focalizzata sulla produzione e vendita di stampanti e Pc, ma continua a

più possibile l’impatto ambientale delle operazioni di printing. Canon ha svelato di recente una coppia di nuove soluzioni della serie i-Sensys: si tratta dei multifunzione laser Mf510 e Mf410, ideali per gruppi di lavoro in

BROTHER DCP-L5500DN

CANON I-SENSYS MF410/MF510

HP PAGEWIDE PRO 477DW

Tecnologia: laser

Tecnologia: laser

Tecnologia: pagewide

Velocità stampa: 40 ppm

Velocità stampa: 44 ppm

Velocità stampa: 55 ppm

Fronte/retro: sì

Fronte/retro: sì

Fronte/retro: sì

Connettività: Usb 2.0/Lan

Connettività: Usb 2.0/Lan/WiFi

Connettività: Usb 2.0/Lan/WiFi

Prezzo: 521,11 Euro

Prezzo: da 376 euro + iva

Prezzo: 549,90 euro

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realizzare i suoi maggiori profitti dalla vendita di consumabili. Pur detenendo una leadership incontrastata nel printing (con una quota di mercato a livello globale che, secondo Idc, ha superato il 36% nel primo trimestre 2016), ha recentemente registrato una pesante battuta d’arresto al proprio business, causata dal generale calo di pagine stampate. I numeri sono contenuti nei risultati del trimestre fiscale chiuso a luglio, in cui la società ha confermato un crollo del fatturato generato dalla vendita di consumabili del 18% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, mentre i dispositivi di stampa hanno segnato una flessione di dieci punti percentuali. In passato il Ceo di Hp Inc,

Dion Weisler, aveva dichiarato di voler stimolare la crescita dei ricavi della società, estendendo il portfolio d’offerta nella direzione delle macchine multifunzione A3, un segmento presidiato soprattutto da Xerox, Canon, Ricoh e Konica Minolta. Con l’acquisizione di Samsung, Hp Inc. prova dunque a crescere in questa direzione, mettendo le mani sull’offerta del vendor sudco-

crescita e alla ricerca di dispositivi che consentano la stampa in bianco e nero di grandi volumi a costi operativi competitivi. La velocità di elaborazione varia da 33 a 44 pagine per minuto, con alimentazione fronte-retro automatica.

Per ottimizzare la produttività sul posto di lavoro i Mfp offrono funzionalità di gestione remota, riducendo così al minimo il bisogno di interventi da parte del team It. Inoltre, con il supporto nativo di standard come Pcl5e/6

reano. Ma non è solo una questione di quote di mercato. Oltre a portarsi in casa la produzione dei motori di stampa, prima affidata a terzi, Hp entrerà in possesso anche di circa 6.500 brevetti registrati da Samsung: una proprietà intellettuale che contribuirà a espandere le attività core della compagnia, diversificando ulteriormente la linea dei suoi prodotti.

e Adobe Postscript, i dispositivi Mf510 e Mf410 di Canon possono essere integrati nelle reti It aziendali gestite. Il supporto completo alla piattaforma di print management Uniflow offre infine funzionalità enterprise a tutti i gruppi

LEXMARK CX310DN

RICOH SP C252SF

XEROX WORKCENTRE 3335/3345

Tecnologia: laser

Tecnologia: laser

Tecnologia: laser

Velocità stampa: 23 ppm

Velocità stampa: 20 ppm

Velocità stampa: fino a 40 ppm

Fronte/retro: no

Fronte/retro: sì

Fronte/retro: sì (3345)

Connettività: Usb 2.0/Lan/WiFi

Connettività: Usb 2.0/Lan/WiFi

Connettività: Usb 2.0/Lan/WiFi

Prezzo: PAY PER USE

Prezzo: 336 euro + iva

(opzionale)

Prezzo: 599,00 euro

49


VETRINA HI-TECH

di lavoro, funzionalità accessibili anche grazie all’ampio pannello touch screen a colori da 3,5 pollici. Tutto sempre sotto controllo

Ha deciso di puntare molto sulla semplicità d’uso anche Xerox: presentando i multifunzione laser in bianco e nero Workcentre 3335/3345, l’azienda ha voluto lanciare dispositivi che facilitano l’installazione e la connessione a dispositivi mobili. Il modulo WiFi integrato e la tecnologia Nfc “tap-topair” consentono di collegare da remoto smartphone e tablet, stampando così in modo più agevole da luoghi diversi. Altre caratteristiche, come la configurazione guidata del WiFi e la rubrica integrata, rendono più intuitiva la connettività wireless e permettono di produrre documenti più velocemente. Xerox ha inserito il 90% delle funzioni fondamentali sulla schermata principale, così da accelerare il lavoro. I multifunzione sono in grado di stampare da 33 a 40 pagine al minuto, con una risoluzione massima di 1.200 per 1.200 dpi. Le soluzioni possono essere dotate anche di un secondo vassoio opzionale da 550 fogli, che porta la capacità di carico a 800 fogli totali. La Workcentre 3345 presenta anche un alimentatore automatico fronte-retro da 50 pagine e il ciclo di vita mensile tocca le 80mila. Entrambi i modelli sono compatibili con Apple Airprint, Google Cloud Print e Xerox Print Service Plug-in per Android e Mopria, programmi che permettono la stampa da dispositivi mobili di diversi marchi. Le piccole imprese e i gruppi di lavoro che stampano fino a 4.500 pagine al mese possono puntare sulla Pagewide Pro 477dw di Hp, con una velocità di elaborazione massima di 55 pagine al minuto. Come suggerisce il nome, la macchina è dotata della nuova tecnologia del produttore statunitense, che consente di ottenere soluzioni con un minor numero di parti in movimento. 50

| OTTOBRE 2016

AL CENTRO DEI FLUSSI DI LAVORO Trenta pagine al minuto con risoluzione massima di 1.200 per 1.200 dpi e un tempo di uscita del primo foglio di 7,5 secondi. Sono i dati salienti della recentissima proposta di Oki, il multifunzione a colori Mc573dn pensato per Pmi e gruppi di lavoro di medie e piccole dimensioni. La Smart Extendable Platform (Sxp) di Oki consente al dispositivo di collocarsi al centro dei flussi di lavoro documentali grazie a un touch screen a colori da 7 pollici e grazie all’accesso, senza costi aggiuntivi, a Sendys Explorer Lite, il software di gestione documentale del vendor giapponese. La piattaforma, basata completamente su servizi Web, consente la perfetta integrazione del multifunzione sia con sistemi personalizzati sia con soluzioni di terze parti, come per esempio i software Papercut Mf e Drivve Image. La stampa e l’acquisizione dei documenti sono in fronte-retro di serie e il cassetto della carta standard contiene fino a 350 fogli. Ma la sua capacità può essere espansa con due vassoi opzionali, raggiungendo così i 1.410 fogli. Il Mc573dn presenta 1 GB di memoria Ram eMmc espandibile fino a 3 GB. Il reparto connettività è composto da un dispositivo e due host

La barra di stampa fissa che copre l’intera larghezza della pagina aumenta la velocità, per una maggiore affidabilità e un’usura dei componenti ridotta. Il Pagewide Pro 477dw è dotato di connettività wireless di serie e di un pannello touch a colori e personalizzabile da 4,3 pollici. La velocità di acquisizione tocca le 26 impressioni per minuto in bianco e nero e a colori. La capacità di input arriva fino a 1.050 fogli e

Usb 2.0 e da una porta Ethernet 10/100/1000Tx. Il modulo wireless 802.11a/b/g/n è però opzionale. La stampa da mobile è garantita dalla compatibilità con diverse applicazioni indipendenti, tra cui Google Cloud Print 2.0 e Apple Airprint. Il multifunzione, basato sulla storica tecnologia di stampa Led digitale di Oki, è venduto a un prezzo suggerito di partenza di 620 euro più Iva. Il produttore offre una garanzia di tre anni senza costi aggiuntivi ottenibile registrando il prodotto entro trenta giorni dall’acquisto.

quella di alimentazione a 500, mentre l’output massimo è di 300 pagine. Il multifunzione dispone di due host e di un dispositivo Usb 2.0 e presenta diverse tecnologie per la gestione della sicurezza, tra cui autenticazione Ssl/Tls (Https), Ldap, sistemi opzionali di Hp e di terze parti (come i lettori di badge), cablaggio Wpa2-Enterprise e il blocco del pannello di controllo. Alessandro Andriolo


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