Technopolis 15

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NUMERO 15 | SETTEMBRE 2015

STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE

L’HI-TECH CHE AMA LA NATURA Gian Marco Scavolini, responsabile ambiente di Scavolini, racconta come, grazie alla tecnologia Canon, sia possibile stampare a impatto zero.

TRASFORMAZIONE

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La digital transformation fa paura (non a caso per molti è "disruptive"). Ma chi si muove velocemente si salverà.

MULTICANALITÀ

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Parola d'ordine del moderno retail, l'omnicanalità è il punto d'incontro fra vendite tradizionali, e-commerce e social.

CLOUD ITALIANO

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Ibm realizza e inaugura un data center sul territorio, connesso ad altri quaranta siti gemelli nel mondo.

Distribuito gratuitamente con “Il Sole 24 ORE”


T I F O R P LEARN

FROM INNOVATION

La tecnologia ha il potere di trasformare il tuo business, ma l’innovazione non può nulla senza una visione concreta.

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SOMMARIO 4 STORIA DI COPERTINA STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE

Il centro stampa che ama l’ambiente

N° 15 - SETTEMBRE 2015

9 IN EVIDENZA Periodico bimestrale registrato presso il Tribunale di Milano al n° 378 del 09/10/2012.

Spesa digitale: l’Italia non corre Sap Business One integra cloud e social Gartner rivede al ribasso le stime sui Pc

Direttore responsabile: Emilio Mango Coordinamento: Gianni Rusconi Hanno collaborato: Alessandro Andriolo, Piero Aprile, Valentina Bernocco, Carlo Fontana, Loris Frezzato, Paolo Galvani, Henri Seroux, Laura Tore

Windows 10 e Intel Skylake: la coppia vincente? L’opinione: la nuova gestione documentale a impatto zero

16 SCENARI Riflettori sulla ricerca L’app economy cambia faccia alle aziende

Progetto grafico: Inventium Srl Sales and marketing: Marco Fregonara, Francesco Proietto Foto e illustrazioni: Dollar Photo Club, Istockphoto

La tempesta perfetta del cambiamento L’acquisto diventa un’esperienza totale

25 SPECIALE Erp e software gestionale Printing

33 ECCELLENZE.IT Un data warehouse tutto nuovo per il re dei dolci Editore, redazione, pubblicità: Indigo Communication Srl Via Faruffini, 13 - 20149 Milano tel: 02 36505844 info@indigocom.it www.indigocom.com

La libreria volta pagina, fra tradizione e tecnologia Il data center fa rima con efficienza e leggerezza Dai virtual desktop ai prototipi (quasi) perfetti La rivoluzione della banca multicanale

38 ITALIA DIGITALE Stampa: Ciscra S.p.A. Villanova del Ghebbo (RO)

Lavori in corso per trasformare il Paese La svolta è ancora troppo lontana

© Copyright 2015 Indigo Communication Srl Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati. Il Sole 24 Ore non ha partecipato alla realizzazione di questo periodico e non ha responsabilità per il suo contenuto.

42 OBBIETTIVO SU Ibm: l’Italia che vola sul cloud

47 VETRINA HI TECH Indossabili avanti tutta In prova: Galaxy S6 Edge+

Pubblicazione ceduta gratuitamente.


STORIA DI COPERTINA | Scavolini

IL CENTRO STAMPA CHE AMA L’AMBIENTE Basato su soluzioni Canon, il nuovo sistema di gestione documentale di Scavolini minimizza l'impatto ambientale. Grazie al giusto mix di cultura e tecnologia.

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oniugare innovazione e tradizione è una competenza tutta italiana, una competenza che Scavolini ha interpretato al meglio, senza mai perdere di vista l’efficienza e la sostenibilità ambientale. Dal 1984, anno dell’ingresso dell’azienda nel gotha dell’imprenditoria italiana, l’attenzione al territorio e l’utilizzo intelligente delle risorse sono andati di pari passo con l’espansione del por-


DA ARTIGIANI A LEADER Scavolini viene fondata a Pesaro nel 1961 grazie all’iniziativa dei fratelli Valter ed Elvino, e in pochi anni si trasforma da piccola impresa artigianale a importante realtà industriale, diventando nel 1984 leader italiano del settore. Oggi l’azienda, che si è sviluppata creando un vero e proprio Gruppo, dispone di un insediamento industriale di 237mila metri quadrati (di cui oltre 110mila coperti) dove lavorano 660 dipendenti. Il fatturato di Scavolini ha raggiunto nel 2014 i 173 milioni di euro, ma ancor più significativo è l’indotto che la società ha generato sul territorio. A partire dal 2012 Scavolini ha ampliato il suo portafoglio di prodotti, offrendo soluzioni dedicate anche alle zone bagno e living. Oggi l’azienda esporta il suo marchio e i suoi prodotti in tutto il mondo, grazie a un network di 300 punti vendita esteri.

tafoglio prodotti e con la crescita sui mercati interno ed estero. Il percorso del business sostenibile, faticoso quanto ricco di soddisfazioni, ha fatto segnare una prima significativa tappa nel 2004, quando l’azienda marchigiana ha ottenuto la certificazione Iso 14001 grazie a un complesso sistema di gestione ambientale e al progetto Scavolini Green Mind, che tra le altre cose ha previsto l’installazione di impianti fotovoltaici per arrivare all’autonomia energetica di uffici e impianti produttivi. L’attenzione alle tematiche legate alla sostenibilità è uno degli elementi che ha fatto “incontrare” Scavolini e Canon, due aziende molto diverse ma con la passione comune del rispetto per l’ambiente. L’impresa marchigiana si

era dotata già nel lontano 2002 di un centro stampa aziendale, internalizzando la produzione di documentazione amministrativa e marketing. Quando, recentemente, ha deciso di rinnovare completamente il parco macchine del centro, le visioni convergenti delle due società hanno permesso di realizzare un progetto che si è dimostrato una vera e propria best practice internazionale. “Produciamo circa sei milioni di stampe l’anno”, dice Edoardo Gentili, responsabile dei sistemi informativi di Scavolini, “con una varietà di tipologie di materiale cartaceo non comune. Molto spesso i documenti devono essere preparati in orari notturni per essere pronti (nell’80% dei casi anche pinzati) il giorno successivo”.

Con l’obiettivo di coniugare qualità, consumi energetici ridotti e un alto livello di automazione (la lavorazione avrebbe dovuto svolgersi senza presidio di personale), Scavolini si è rivolta a Canon, scegliendo di installare due Océ VarioPrint 6160 e una VarioPrint 110, tutte macchine ad alta automazione e dotate di finitori a pinzatura, affiancandole a una stampante dipartimentale Canon ImageRunner Advance 6255i. Un ruolo importante in questo contesto lo gioca anche il software Canon Océ Prismasatellite che, impiegato per gestire le code dei flussi di stampa, consente di ottimizzare e automatizzare i processi. Rispetto al parco macchine precedente, il centro stampa marchiato Canon 5


STORIA DI COPERTINA | Scavolini

fa registrare consumi energetici inferiori del 40%, un risultato ottenuto sia grazie alle tecnologie innovative degli impianti sia ottimizzando i percorsi di movimentazione e gestione carta. “La partnership con Canon”, dice Gian Marco Scavolini, responsabile ufficio qualità e ambiente dell’azienda, “rientra a pieno titolo nel progetto di sostenibilità che stiamo portando avanti da anni, e che dimostra, tra le altre cose, come non sia affatto vero che l’attenzione all’ambiente si paga in termini di maggiori costi. La riduzione dei consumi energetici, unitamente alle minori spese di gestione e di acquisto di consumabili, ci permette di rientrare in pochi anni dell’investimento fatto, contribuendo allo stesso

LA SOLUZIONE Basata su una tecnologia consolidata ma in continua evoluzione, la serie Océ VarioPrint 6000 Ultra+ è composta da una famiglia di sistemi di stampa digitale potenti e altamente produttivi, che offrono una qualità simile alla stampa offset con un’ottima risoluzione dell’immagine. Grazie alla tecnologia integrata Océ Gemini, questa famiglia è stata progettata per venire incontro alle più disparate esigenze produttive di alto livello, tra cui quelle dei centri di stampa aziendali interni. Canon VarioPrint 110, una macchina in bianco e nero per volumi di stampa medi, utilizza la tecno-

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logia Océ DirectPress per offrire una ineguagliabile uniformità delle immagini, una grande facilità di funzionamento, e un’elevata configurabilità di sistema. Canon ImageRunner Advance 6255i, infine, è un multifunzione intelligente che può stampare fino a 55 pagine al minuto, con una capacità di 7.700 fogli.

tempo a diminuire l’impatto delle nostre attività”. “Pur avendo un profilo molto diverso”, dice Enrico Deluchi, amministratore delegato di Canon Italia, “le nostre due aziende sono accomunate dalla stessa origine familiare. Kyosei, cioè lavorare per il bene comune, è sempre stata la filosofia ispiratrice della famiglia che ha fondato Canon e che ancora oggi esprime il presidente della multinazionale. Per questo con Scavolini c’è stata da subito una grande sintonia, che prosegue anche oggi dopo l’implementazione del nuovo centro stampa”. La multinazionale marchigiana, in effetti, ha aderito al programma “Climate Neutral Printing”, con il quale Canon punta ad aiutare i propri clienti a ridurre le emissioni e azzerare l’impatto ambientale. Contribuendo, per la parte di consumi non più comprimibili, a sviluppare progetti internazionali in grado di ridurre le emissioni di Co2 in altri contesti geografici. “Abbiamo aderito con entusiasmo”, dice Scavolini, “all’idea di compensare le attività del centro stampa contribuendo alla costruzione di una centrale idroelettrica in Turchia. Grazie a Canon, quindi, un progetto già a basso impatto diventerà presto a impatto zero”. Emilio Mango


Il rispetto per la natura è importante per tutta la filiera In prima linea per la sosteniblità , Scavolini opera sia sul fronte aziendale sia su quello del proprio ecosistema di fornitori e partner per abbattere l'impatto ambientale.

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l territorio, con i suoi aspetti ambientali da un lato e quelli socio-culturali dall’altro, è da sempre un elemento di grande attenzione per Scavolini, che si è fregiata nel corso degli anni di importanti certificazioni (tra cui Iso 14001 e Ohsas 18001) e che ha creato un vero e proprio programma (Scavolini Green Mind) per impostare e seguire le proprie linee guida in tema di sostenibilità. Technopolis ha intervistato Gian Marco Scavolini, responsabile ufficio qualità e ambiente dell’azienda marchigiana, per capire meglio l’intreccio tra sostenibilità e tecnologia. Quanto è importante per voi il tema della sostenibilità?

L’attenzione all’ambiente è nel nostro Dna. In passato ci siamo concentrati sul territorio, perché eravamo molto legati a Pesaro e all’area limitrofa. Poi, crescendo, si è anche ampliato il nostro interesse per l’ambiente e per la società. Insomma, abbiamo sposato il concetto di sostenibilità introducendolo in tutto quello che facciamo, nelle nostre scelte strategiche ma anche nelle attività di tutti i giorni.

è un elemento fondamentale della nostra produzione. Siamo sempre attenti agli ultimi sviluppi hi-tech per capire se sia possibile realizzare gli stessi prodotti con un impatto inferiore sull’ambiente, senza ovviamente penalizzare le prestazioni e la durata dei prodotti stessi. Le nostre ricerche sui materiali, che ci hanno permesso di ridurre al massimo l’utilizzo della formaldeide nei nostri mobili, così come gli investimenti per la realizzazione di impianti fotovoltaici sono solo due esempi di utilizzo di tecniche e tecnologie ai fini della sostenibilità. Come si inserisce il progetto realizzato con Canon in questo contesto?

Gian Marco Scavolini Quanto investite in termini di risorse umane ed economiche per la sostenibilità?

Abbiamo attivato una struttura permanente, che seguo in quanto responsabile qualità e ambiente. Il mio dipartimento si occupa di monitorare e di realizzare svariate iniziative, dal risparmio energetico (unito all’utilizzo di fonti rinnovabili) sino alla gestione intelligente dei rifiuti, con l’obiettivo di ridurre il più possibile il nostro impatto ambientale. Per questo tipo di attività non abbiamo un budget predefinito, ma ci impegniamo quotidianamente per far sì che la sostenibilità non sia solo uno slogan. Quanto e come la tecnologia permette di raggiungere questi obiettivi?

Essendo noi fruitori di tecnologia, questa componente, unita al design,

Si inserisce perfettamente, sia perché ci permette di risparmiare una notevole quantità di energia rispetto alla soluzione precedente, sia perché ci consente di utilizzare meno toner per la stampa dei documenti. Il nuovo centro printing adotta macchine di ultima generazione, che hanno un impatto già basso, e le emissioni generate vengono poi comunque compensate grazie al programma Climate Neutral Printing di Canon, a cui abbiamo aderito per arrivare a un reale impatto zero. Quest’ultimo obiettivo viene perseguito in modo diffuso da tutta l’azienda, non solo dal centro stampa, e c’è di più: in Scavolini crediamo molto anche nella cultura di sostenibilità di tutta la filiera. È per questo che, dopo aver radicato queste idee in azienda, ora facciamo attività di sensibilizzazione sia a monte, sui fornitori, sia a valle, sui rivenditori. È un percorso lungo e complicato che abbiamo però intenzione di percorrere fino in fondo. E. M. 7


STRATEGY ANALY TICS DIGITAL TECHNOLOGY


IN EVIDENZA

l’analisi

SPESA IN TECNOLOGIE: PERCHÉ L’ITALIA NON SA CORRERE SULLA STRADA DEL DIGITALE?

L’economia digitale italiana, triste dirlo, ancora non offre segni di tangibili miglioramenti per considerarsi al livello dei Paesi più virtuosi. E lo dicono i numeri. Partiamo da quelli resi noti a metà luglio dall’Ocse nel suo “Digital Economy Outlook 2015”. Il dato relativo al settore Ict parla chiaro: nel 2013 valeva il 3,72% del Pil e rappresentava il 2,5% dell’occupazione. Se quest’ultimo parametro può sostanzialmente considerarsi in linea con la media dei 34 Paesi dell’Organizzazione e stabile nel tempo (eravamo al 2,47% nel 2007 e al 2,52% nel 2000), è il dato relativo al rapporto sul Pil a confermarci che non stiamo progredendo. Anzi. Negli ultimi 15 anni si è scesi infatti dal 4,2% all’attuale 3,7% passando per il 4,13% del 2007 (ultimo esercizio pre-crisi), andando nettamente sotto i valori medi, che si assestano nell’ordine del 5,5%. Nel caso servisse un altro “schiaffo” per stimolare una reazione del sistema-Paese, eccolo servito. Ma perché l’Italia fa così fatica a incamminarsi sulla strada della digitalizzazione? A questa domanda proviamo a rispondere nel servizio di pag. 38 e 39. Le contraddizioni che limitano lo sviluppo delle nuove tecnologie nel Belpaese possiamo però scorgerle in altri numeri elaborati dall’Ocse. Le aziende nostrane hanno ottimamente recepito fenomeni come il cloud computing, ambito per cui siamo in terza posizione (in una classifica aggiornata a gennaio 2015) con una percentuale di adozione superiore al

Dall’Ocse e dal Rapporto Assinform giungono timidi segnali di ripresa per il settore Ict. Ma le contraddizioni sono ancora tante e il gap da colmare ancora evidente. 40%. Davanti a noi solo Finlandia e Islanda, mentre Francia e Germania veleggiano fra il 12% e l’11%. Segno di grande vitalità innovativa delle nostre imprese? Forse. Il dubbio sorge spontaneo alla lettura di questi altri dati: solo il 21% delle aziende vende online (l’incremento registrato dal 2009 è appena del 2%) e solo il 31% ha utilizzato nel corso del 2014 un software Erp. La speranza è che il fenomeno tecnologico del momento, l’Internet delle cose, possa fare da locomotiva dell’innovazione digitale in molti settori. Laddove hanno finora fallito il compito la banda larga (altro noto problema irrisolto del Belpaese) e soprattutto le tecnologie Ict tradizionali.

C’è luce in fondo al tunnel?

L’ultimo rapporto Assinform ci ha detto che il bilancio del mercato digitale per il 2014 è negativo, anche se il decremento (dell’1,4%) è inferiore al recente passato. Meglio comunque guardare alle proiezioni di spesa a fine 2015, che parlano di una risalita dell’1,1% anno su anno per arrivare a sfiorare i 65 miliardi di euro. Gli esperti ci dicono che il baricentro del mercato Ict si sta spostando sul digitale e sui nuovi paradigmi tecnologici che lo animano. L’effetto di questo cambiamento di orizzonte dovrebbe concretizzarsi nei prossimi mesi. Lo speriamo, ma la corsa al digitale imporrebbe forse altri ritmi. Gianni Rusconi

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IN EVIDENZA

IL SOFTWARE DI HP E LE DUE VELOCITÀ DELL’IT Da qualche anno le applicazioni hanno assunto un’importanza strategica per la multinazionale, che investe con continuità in strumenti di sviluppo e analytics Haven, Vertica, Autonomy. Sono solo alcuni dei nomi (aziende acquisite, piattaforme, soluzioni) che hanno contraddistinto la storia recente di Hewlett Packard. Si tratta di attività legate ai Big Data e analytics ma più in generale al comparto software, un “ramo” che per Hp sta assumendo una rilevanza sempre più strategica, soprattutto se si considerano anche gli ingenti investimenti in progetti open source e i recentissimi annunci in ambito DevOps. Questi e altri temi sono stati affrontati durante il Software Performance Tour italiano, tenutosi a Stresa a fine giugno, un’occasione per fare il punto e dialogare con i tanti partner del settore. “Tutte le aree di trasformazione attorno a cui si sta posizionando la nostra azienda”, ha detto Corrado Sterpet-

ANALYTICS AL SELF-SERVICE Dopo aver cambiato i connotati alla business intelligence grazie alla visualizzazione dei dati, Qlik sta crescendo e sta acquisendo autorevolezza nell’area più ampia del reporting, degli analytics e dell’utilizzo “self-service” da parte degli utenti aziendali. L’affiancamento del nuovo Qlik Sense al già conosciuto Qlik View ha permesso alla software house di completare l’offerta, ridisegnando completamente la piattaforma anche dal punto di vista tecnico. “La visualizzazione è importante”, ha detto Rosagrazia Bombini, managing director di Qlik per l’Italia, “ma lo è ancora di più un efficace motore asso-

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Corrado Sterpetti

ti, vice presidente e general manager software di Hewlett Packard Emea, “come il cloud, la sicurezza e il digitale, vedono una presenza forte e differenziante del software. Per proteggere una postazione di lavoro, tanto per fare un

Rosagrazia Bombini

ciativo, che permette di aggregare le informazioni da silos diversi e metterle a disposizione di tutte le figure aziendali, non solo il top management”. La nuova formula, pare, funziona. E Qlik guadagna quote di mercato importanti.

esempio, non bastano le barriere fisiche, ma servono anche quelle digitali. Per non parlare delle attività di sviluppo, dove gli strumenti software sono il cuore stesso dell’offerta (il che spiega i grossi investimenti in area DevOps)”. “La strategia di Hp”, gli ha fatto eco Mike Shaw, alla guida del marketing per il comparto software, “è bimodale, si snoda infatti su due percorsi paralleli ma a diverse velocità: lo sviluppo del software core, che deve essere affidabile e sicuro e che ha cicli di vita piuttosto lunghi, e quello delle applicazioni, più agile e fluido, che aderisce perfettamente al concetto di continuous innovation, vale a dire al tentativo (come tale destinato anche a fallire) di migliorare un’app sulla base delle esigenze degli utenti, procedendo per aggiornamenti veloci e frequenti”. Secondo Hp queste due modalità di sviluppo, “core” e “fluid”, devono potersi incontrare e dialogare soprattutto in alcune aree, tra cui il cloud ibrido, il DevOps, la customer experience, i Big Data (e analytics) e la protezione dei dati.

L’ALFABETO DI G È stato un agosto come sempre movimentato per il colosso di Mountain View, che a sorpresa si è riorganizzata nella holding Alphabet. Una “scatola” contenente (al pari dell’alfabeto) tante “lettere” associate alla varie aziende del gruppo. La vecchia Google Inc (la “G”) diventa la principale componente della “new co.” abbracciando, sotto la guida di Sundar Pichai, i business relativi a motore di ricerca, pubblicità, servizi online (come Maps e YouTube) e ai sistemi operativi Android e Chrome OS. L’altra faccia di Alphabet saranno le auto a guida autonoma, i dispositivi indossabili, le reti in fibra ottica, le attività di venture capital e di private equity.


IL CUSTODE DEI PARCHI HI-TECH Grazie al supporto del gruppo giapponese Ntt, Dimension Data sta consolidando la propria crescita, focalizzandosi su quattro aree di eccellenza a livello mondiale: la gestione dei parchi tecnologici, la videocomunicazione, la sicurezza e l’implementazione dei datacenter. “Ntt è un gruppo da 90 miliardi di dollari”, dice Paolo Panzanini, country manager di Dimension Data Italia, “di cui circa 18 provengono da attività relative all’Ict fuori dal Giappone. Di questi, ben sette milioni fanno capo a Dimension Data, il che spiega l’attenzione a livello di visione strategica e finanziaria che il Gruppo dedica alla nostra organizzazione”. La definizione dei luoghi di lavoro del futuro è uno dei punti centrali della più generale strategia di gestione dei parchi tecnologici dei clienti, che devono essere costruiti, secondo Dimension Data, per favorire al massimo la flessibilità dei singoli, dei team e delle aziende nel loro complesso.

L’ITALIA STA AL PAAS Subito prima delle ferie estive, gli annunci Oracle in ambito cloud e le frasi a effetto di Larry Ellison (tra cui il celebre “push the button” a voler intendere il passaggio rapido e indolore tra on-premise e cloud) avevano suscitato il giusto scalpore e interesse, visto che la multinazionale ha un’offerta unica e particolare quando si parla di “nuvole”. A distanza di qualche mese, Luigi Scappin, technology sales consulting director di Oracle Italia, fotografa la realtà italiana dopo l’onda d’urto degli annunci a livello mondiale che hanno ampliato, e non poco, l’offerta IaaS

SAP BUSINESS ONE VOLA CON CLOUD E SOCIAL Luis Murguia

Negli Stati Uniti il 90% dei nuovi clienti sceglie la versione cloud di Sap Business One, mentre in Europa l’opzione sulla nuvola raccoglie il 70% dei consensi. Sono solo alcune delle indicazioni che la multinazionale dell’Erp ha rilasciato per tracciare il profilo del proprio mercato, profondamente rinnovato negli ultimi anni con l’introduzione proprio di Business One e di S/4 Hana. “In Italia la percentuale

(Infrastructure-as-a-Service) e PaaS (Platform-as-a-Service). “Il senso delle dichiarazioni di Ellison”, spiega Scappin, “è che il cloud è ibrido per natura, così come deve essere naturale il passaggio dei carichi di lavoro tra architetture sulla nuvola e non. Con le soluzioni Oracle, per implementare e usare il cloud non è necessario toccare il codice del software già sviluppato per le infrastrutture on-premise”. La “digital disruption” è partita anche in Italia, secondo Scappin, accelerando il passaggio al cloud ibrido da parte di grandi e piccole imprese: “Il PaaS sta crescendo moltissimo, a ritmi superiori al 70%. Oggi abbiamo decine di clienti, dalle banche più importanti alle piccole ma notissime firme del lusso,

di chi ha optato per il cloud scende al 60%”, dice Luis Murguia, senior vice president di Sap nonché general manager per Business One, “ma è comunque un risultato significativo se pensiamo che solo tre anni fa sceglieva il cloud appena il 20% dei clienti”. Non c’è da stupirsi, sapendo che il target della piattaforma sono le Pmi, una categoria che ha dovuto recuperare un gap tecnologico e culturale. “I clienti tipici di Business One”, prosegue Murguia, “sono le aziende che contano tra i 50 e i 200 dipendenti, soprattutto nei settori manifatturiero e retail. La soluzione, però, ha avuto successo anche in ambiti diversi, come le filiali delle multinazionali oppure le aziende acquisite da grandi gruppi. In questo caso ha giocato un ruolo chiave il nostro middleware, destinato all’integrazione di Business One con altri Erp”.

Luigi Scappin

che stanno percorrendo con successo la strada delle piattaforme in cloud sfruttando i nostri building block, che consentono di implementare le soluzioni con una velocità e una sicurezza impossibili con altre architetture”.

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IN EVIDENZA

COMPUTER IN SOFFERENZA, IL TABLET È UN “NICE TO HAVE” Gartner ha rivisto al ribasso le stime e per il 2015 prevede 2,45 miliardi di unità vendute fra desktop, portatili, tavolette e smartphone.

Anche quest’anno, i consumatori e le aziende non si butteranno a capofitto sull’acquisto di Pc, magari allettati dalla voglia di provare Windows 10 su un modello nuovo di zecca. A detta di Gartner, su scala mondiale le vendite di device personali – computer, tablet e smartphone – aumenteranno, ma meno di quanto si sperasse: dell’1,5% rispetto ai livelli del 2014, quasi la metà del +2,8% che la stessa società di ricerca aveva stimato in precedenza. Quest’anno i vendor

consegneranno alla distribuzione 2,45 miliardi di dispositivi. “La nostra stima di crescita per il 2015 è stata ridotta di 1,3 punti percentuali rispetto a quella fatta lo scorso trimestre”, ha commentato Ranjit Atwal, research director di Gartner. “Questo è dovuto in parte al continuo calo degli acquisti di Pc specie in Europa Occidentale, Russia e Giappone e soprattutto a causa della svalutazione delle monete locali rispetto al dollaro”. Per i personal computer, dunque, quest’anno si prevede un’ulteriore contrazione del 4,5% sul numero di unità vendute, circa 300 milioni. E questo accadrà nonostante gli adeguamenti tentati dai produttori, che taglieranno

in media del 5% i propri listini. “Ci attendiamo una ripresa del mercato globale dei Pc non prima del 2016”, ha precisato Atwal. E Windows 10? Il lancio del sistema operativo, paradossalmente, non funzionerà da incentivo per l’acquisto di nuovo hardware ma anzi contribuirà al rallentamento della domanda di Pc professionali portatili e ultraportatili. La possibilità di aggiornamento gratuito, infatti, prolungherà il ciclo di vita di modelli anche non recenti. Mentre per gli smartphone si prevede ancora una crescita del 3,3%, andrà meno bene ai tablet: per questi e per i netbook con design a conchiglia la stima è di un calo del 5,3%. Il mercato, dice Roberta Cozza, research director di Gartner, “risente di un minor numero di nuovi acquirenti, di cicli di vita più lunghi e di scarsa innovazione”. Il tablet, insomma, non è più un must ma un oggetto che Gartner definisce “nice to have”, da sostituire una volta ogni tre anni. V.B.

CHIP VERSO IL TRAGUARDO DEI 7 NANOMETRI La corsa alla miniaturizzazione punta già al traguardo dei sette nanometri. E a oltrepassarlo per primo potrebbe essere non il leader del settore, Intel, ma Ibm: l’azienda ha infatti sviluppato il primo processore a 7 nm, un oggetto che corrisponde a meno di un terzo dello spessore di un filamento di Dna e che migliora del 50% il rapporto consumi/performance rispetto ai chip a 10 nm. Si tratta ancora di un prototipo di laboratorio, figlio di una partnership pubblico-privata con lo Stato di New York e di parte dei tre miliardi dollari di

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investimenti in ricerca & sviluppo stanziati da Ibm per i prossimi cinque anni. “È difficile poter scommettere contro Intel nel lungo periodo”, ha commentato un analista di Forrester Research, Richard Fichera, “ma il lavoro di Ibm Research indica chiaramente che Intel ha qualcuno che gli soffia fiato sul collo”. I nuovi chip, nati dentro al NanoTech Complex del Suny Poly di Albany, aiuteranno a “far fronte alle nuove sfide

introdotte dalle tecnologie del cloud computing, dei Big data e del cognitive computing”, spiega una nota di Ibm.


L’IOT AZIENDALE VA PIANO Il motto “chi va piano va sano e va lontano” sembra valere anche per l’Internet delle cose applicato al mondo enterprise. Secondo una ricerca commissionata da Red Hat a TechValidate, su un campione di 600 decision maker di piccole, medie e grandi imprese e pubbliche amministrazioni, oggi nel mondo solo il 12% delle organizzazioni sta già usando o realizzando soluzioni IoT. Quasi una su due, il 46%, è comunque al lavoro su sperimentazioni e prototipi. Tra i benefici attesi spiccano miglioramenti operativi e l’ottimizzazione dei processi.

CON LE APP SI VENDE MEGLIO I frutti dell’unione fra tecnologia e retail spaziano dal miglioramento dell’esperienza di shopping al potenziamento della fidelizzazione, transitando dalle app mobili e dagli analytics. Fra le soluzioni che soddisfano questi “requisiti” c’è la nuova offerta di Vodafone basata su MyCompanyApp. Si tratta di un’applicazione per l’utente finale, che i retailer possono customizzare nell’interfaccia e nelle funzioni, per ricevere messaggi personalizzati e coupon, prenotare un appuntamento in negozio, accumulare punti fedeltà, cercare il punto vendita più vicino alla propria posizione o completare un acquisto con un’operazione di pagamento digitale. Se il negozio è dotato di dispositivi Beacon, l’app può anche ricevere messaggi di proximity marketing. V-Mdc, invece, è l’applicazione per gli store manager e i commessi, utilizzabile per attività di back office, monitorare l’andamento delle vendite o la frequentazione del negozio.

WINDOWS 10 E SKYLAKE: LA COPPIA CHE SALVERÀ I PC? Il 29 luglio 2015 ha rappresentato per Microsoft una data fondamentale: il nuovo sistema operativo della casa di Redmond, Windows 10, ha visto ufficialmente la luce e ha iniziato il proprio “cammino” sul mercato. Progettato per essere una piattaforma fortemente orientata al lavoro in mobilità e al cloud, l’ecosistema verrà distribuito gratuitamente per tutto il primo anno successivo al lancio. E questo dettaglio, decisamente non trascurabile, potrà rappresentare uno degli elementi determinanti del successo di Windows 10, malgrado un mercato dei Pc in forte stagnazione. Settore a cui i sistemi operativi realizzati da Microsoft sono ovviamente legati a doppio filo: molti produttori hanno rinviato il lancio di alcuni modelli al termine dell’estate appena trascorsa, proprio per dare la possibilità agli utenti di acquistare dispositivi già dotati di Windows 10. Secondo molti analisti (ma non quelli di Gartner, vedi a pag. 12), il refresh operato da Microsoft su uno dei prodotti centrali dell’industria informatica potrebbe dare la spinta a tutto il comparto, considerato che attualmente il 61% dei Pc desktop e portatili usa ancora Windows 7, mentre uno su dieci utilizza addirittura Windows Xp.

Il sistema operativo di Microsoft e la nuova Cpu di Intel rappresentano un punto di svolta per il mercato? C'è chi dice sì. “Seicento milioni di computer nel mondo aspettano un ricambio”, hanno commentato i dirigenti di Intel durante la presentazione dei conti del secondo trimestre 2015. Insieme a Microsoft, l’azienda diretta da Brian Krzanich è l’altro colosso su cui molti stanno attualmente puntando gli occhi. Per quale motivo? Entro la fine del 2015 dovrebbe arrivare sul mercato Skylake, l’architettura a 14 nanometri per microprocessori sviluppata da Intel. I nuovi chip potrebbero giocare un ruolo sinergico importante con Windows 10: la combinazione tra le Cpu Skylake e l’ultimo ecosistema di Microsoft sarebbe in grado di convincere aziende e utenti finali a migrare verso sistemi più aggiornati. Un gioco condotto ancora nel campo delle ipotesi, in cui il pareggio però non esiste: il settore dei Pc è sempre più sofferente e ha bisogno in tempi rapidi dell’arrivo di un salvatore. A.A.

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IN EVIDENZA

SOFTWARE INFETTO, PROBLEMA “SCONOSCIUTO” I programmi nocivi ancora non scoperti hanno colpito nel 2014 più dell’80% delle aziende monitorate da Check Point. Ecco come prevenire il fenomeno.

Ogni singolo minuto una bot comunica con il suo centro di comando e controllo. Ogni cinque minuti nel mondo viene utilizzata un’applicazione ad alto rischio. Ogni sei, un malware viene scaricato su un dispositivo da un’inconsapevole vittimia. E ogni mezz’ora circa (36 minuti) dei dati sensibili fuoriescono dai confini delle aziende per errore o in seguito a un attacco. Sono alcuni dei calcoli eseguiti da Check Point Software Technologies a corredo dell’edizione 2015 dell’annuale “Security Report”, svolta monitorando oltre 16mila gateway, un milione di smartphone e 300mila ore di traffico dati. Protagonisti di questa edizione, riferita ai dodici mesi del 2014, sono innanzitutto i malware: cresciuti

in numero, ma anche in varietà. Rispetto all’anno precedente, infatti, considerando i soli nuovi programmi contenenti codice nocivo, l’aumento è stato del 71%, cioè da 83 milioni a 142 milioni di nuovi malware rilevati (così certifica Av-Test). Nel solo ultimo biennio sono stati intercettati più software dannosi di quanti osservati nei dieci anni precedenti. E di certo questi veicoli di attacco non sono rimasti inerti. Secondo Check Point, nel 2014 le aziende del campione monitorato sono state colpite da 106 malware ogni ora, cioè 48 volte in più rispetto al dato del 2013 (2,2 infezioni all’ora). Il pericolo più grave, nel calderone dei malware sconosciuti, sono i cosiddetti zero-day, che fanno leva su

vulnerabilità fino ad allora non sfruttate e per i quali, dunque, non esiste ancora un rimedio. “Osserviamo un forte aumento dei malware sconosciuti”, rimarca Davide Gubiani, technical manager di Check Point Italia. “Quello che abbiamo sempre predicato con i concetti di threat emulation e threat prevention oggi è diventato fondamentale. Inoltre sul mercato esistono software non troppo controllati e questo è un ulteriore punto debole della catena”. ll metodo delle bot – cioè dei programmi controllati da un server e che propagano in automatico la diffusione di un attacco – ha colpito ben l’83% delle aziende prese in esame. Qualche altra percentuale rende l’idea della portata del fenomeno cybercriminale, peraltro amplificato dall’utilizzo di smartphone e tablet nel contesto di lavoro: nell’86% delle aziende qualcuno si è collegato a un sito contenente malware; il 96% delle organizzazioni ha utilizzato almeno un’applicazione altamente insicura; l’81% ha sperimentato almeno un episodio di perdita di dati (quattro su dieci, con danni superiori a 250mila dollari). V.B.

I RISCHI SOTTOVALUTATI DEL MOBILE La cultura della sicurezza fatica ancora a radicarsi in azienda. Secondo una ricerca realizzata da Kaspersky Lab intervistando oltre undicimila professionisti, l’utilizzo “misto” dei dispositivi mobili è ormai una pratica endemica, tant’è che il 92% dei dipendenti archivia dati aziendali sensibili su device utilizzati sia per lavoro sia per motivi personali. La consapevolezza dei pericoli è ancora insufficiente: circa il 60% dei dipen-

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denti è preoccupato dei rischi per la privacy e per il furto di dati aziendali, ma non ha attivato alcun tipo di protezione perché attribuisce questa responsabilità all’azienda per cui lavora. “Oggi persiste una bassa consapevolezza dei rischi del mobile”, commenta Vincente Diaz, principal security analyst di Kaspersky Lab. “Lentamente, però, questa cultura sta cambiando, soprattutto fra le giovani generazioni”. V.B.


l’opinione

LA NUOVA GESTIONE DOCUMENTALE? SARÀ A IMPATTO ZERO

È un tema, quello della sostenibilità ambientale, che nel caso di Canon non deriva dalla volontà di seguire un percorso oggi molto battuto anche perché decisamente à la page. Per la multinazionale, la qualità della vita e il rispetto per l’ambiente fanno parte dei valori fondanti dell’azienda, non sono un tema tattico da sfruttare finché c’è attenzione mediatica. Technopolis ne parla con Enrico Deluchi, amministratore delegato di Canon Italia, per capire meglio come la multinazionale stia implementando, nel concreto, questi principi. Come interpreta Canon il tema del rispetto dell’ambiente?

Il tema della sostenibilità è fondamentale per noi. Questo significa che fa parte della nostra cultura aziendale ma si traduce anche in grandi e piccole azioni quotidiane. Ricordo, ad esempio, che abbiamo scelto da tempo di non spedire i nostri prodotti per via aerea ma solo via nave, e che nelle nostre flotte di auto aziendali nessun automezzo può superare le emissioni di 120 grammi di CO2 a chilometro, a prescindere dal livello del dipendente. Che cosa fate sul fronte dei prodotti, soprattutto quello delle stampanti?

La nostra ricerca è costantemente impegnata nel proporre soluzioni sempre meno impattanti sull’ambiente, oltre che più performanti. Abbiamo, ad esempio, lavorato molto sulla temperatura del “forno”, un componente importante dei motori di stampa, quello che porta a fusione il toner.

Canon lavora per ridurre al minimo l'impatto del document management, a partire dalla carta. Temperature di lavoro inferiori significano infatti minor energia consumata e minori emissioni. Normalmente questi forni operano in un range compreso tra 220 e 270 gradi. I nostri, grazie a una serie di tecnologie brevettate, riescono a operare a 90 gradi, azzerando in pratica le emissioni di ozono. E ci sono anche altre tecnologie volte alla sostenibilità?

Certamente. La temperatura di lavoro del forno di fusione è solo uno degli aspetti che Canon ha affrontato. Pensate che depositiamo oltre 3.800 brevetti all’anno, molti dei quali sono volti a produrre soluzioni più efficienti e rispettose dell’ambiente. Abbiamo lavorato tanto anche sul fronte del percorso carta all’interno delle stampanti: riuscire a stampare in un solo passaggio, ad esempio, significa consumare e inquinare meno (oltre che offrire una maggiore velocità). Ma noi abbiamo fatto di più: abbiamo studiato i percorsi in modo che il foglio appena stampato possa scambiare calore con quello successivo, preriscaldandolo e sfruttando quindi una parte dell’energia che altrimenti andrebbe persa, un po’ come succede con il sistema Kers della Formula 1. Infine, abbiamo investito molto anche sulla ricerca dei materiali. Oggi utilizziamo in parte plastiche riciclate e

Enrico Deluchi

bio-plastiche per la produzione delle nuove stampanti. Cercate anche di trasmettere questa filosofia ai vostri clienti?

Certo, una quota fondamentale dello sforzo che facciamo è rivolta al nostro ecosistema. Stiamo scardinando la convinzione che la sostenibilità porti costi maggiori, dimostrando che grazie alle tecnologie spesso le soluzioni più sostenibili sono anche quelle più efficienti, quindi più economiche. Anche sul fronte delle emissioni stiamo lavorando per trasmettere la nostra passione ai clienti e ci impegniamo in prima persona nell’adozione di pratiche sostenibili nel portare avanti i nostri progetti aziendali. In qualità di Imaging Sponsor di Expo 2015, abbiamo allestito il Media Center all’interno dell’esposizione universale secondo il programma “Climate Neutral Printing”, che consente anche a qualunque nostro cliente di arrivare all’impatto zero dei processi di stampa, compensando le già ridotte emissioni dei nostri sistemi. Ma non ci siamo fermati a questo: poiché il consumo di carta è la principale voce di “inquinamento”, abbiamo introdotto “Black Label Zero” e “Top Colour Zero”, i supporti cartacei con zero emissioni di CO2 creati rispettando fin dall’origine i processi produttivi ambientali.

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SCENARI | Digital transformation

Jai Menon

RIFLETTORI SULLA RICERCA Distratti dagli innumerevoli dibattiti sui “trend topic”, si rischia di perdere di vista il lavoro di chi, nei laboratori, sta progettando le tecnologie prossime venture. Una breve panoramica sulle soluzioni più promettenti per il futuro.

S William Xu

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ubito prima delle ferie estive il caso, o forse la volontà di riportare il dibattito sull’innovazione sui giusti binari, ha voluto che due grandi player dell’industria digitale mettessero in mostra, quasi in contemporanea, lo stato dell’arte della loro ricerca. Huawei e Dell, nel corso di due “innovation day” hanno divulgato qualche interessante dettaglio sulle aree dove stanno concentrando i loro sforzi. Si tratta di ricerca applicata, di soluzioni che arriveranno sul mercato nei prossimi cinque anni, ma è pur sempre un’indicazione di come e dove stanno andando le aziende che governano il mercato dell’Ict. Dell Research, l’organizzazione guida-

ta da Jai Menon e incaricata di identificare i trend tecnologici che meritano la maggiore attenzione, ha individuato dieci filoni appartenenti a quattro diverse macro-categorie. La prima è la ricerca di efficienza dei sistemi di calcolo. Entro il 2020, secondo Menon, i datacenter configurati via software e il cloud ad alta velocità saranno di gran lunga più determinanti dell’hardware custom. Sul fronte del silicio, invece, si aspetta per il 2017 una nuova generazione di memorie non volatili, che porterà la tecnologia flash a sostituire completamente i dischi che, a loro volta, rimpiazzeranno le unità a nastro. La seconda area individuata da Dell Research è quella della connettività tra


utenti. Su questo fronte il tema della sicurezza sarà affiancato da quelli della produttività e dell’esperienza d’uso. Insomma, a partire dal 2016 fenomeni come il Byod non saranno solo l’incubo dei responsabili It ma finalmente anche una leva di produttività aziendale. Un elemento determinante in questo percorso saranno le interfacce utente, che entro il 2018 interagiranno in modo attivo con gli operatori, anticipando i loro “desideri” e rendendo molto più fluida l’interazione tra uomo e macchina. Inevitabile l’accento sugli analytics, uno degli strumenti che negli ultimi anni ha destato più interesse e attirato più investimenti. Entro il 2020, questi tool avranno ultimato il percorso da descrittivi a predittivi, per arrivare infine a essere “prescrittivi”, cioè a suggerire le azioni da intraprendere in conseguenza delle loro stesse previsioni. Inoltre, sempre entro un lustro, gli analytics saranno direttamente integrati nei processi di business, e non più una soluzione a sé stante. Sempre sotto i riflettori, infine, i temi del cloud e di Internet delle Cose, che sono nel mirino anche di Huawei, insieme al filone di Industry 4.0. La multinazionale cinese ha rilanciato la sua attività di ricerca, buona parte della quale viene realizzata in Europa in 19 innovation center. La costruzione di una rete 5G efficiente (in collaborazione con i principali operatori), l’evoluzione delle auto connesse (filone del grande tema IoT) e le fabbriche flessibili e automatiche del futuro sono i principali settori in cui nei prossimi cinque anni vedremo, secondo gli ingegneri di Huawei, i maggiori progressi. “Le aree a cui Huawei sta contribuendo maggiormente, soprattutto nel contesto europeo”, ha detto William Xu, alla guida del marketing strategico della multinazionale, “sono il data center in cloud, la gestione dei device in ambiente IoT e in particolare lo sviluppo di LiteOs, il sistema operativo più leggero del mondo”. Emilio Mango

IPERCONNETTIVITÀ: SIAMO GIÀ PRONTI?

La rivoluzione digitale fa da stimolo per la crescita delle imprese ma genera anche preoccupazioni. Il nodo delle competenze.

N

on tenere il passo dei nuovi trend legati all’ìperconnettività. È la preoccupazione della maggior parte dei 561 manager oggetto dello studio Hyperconnected Organizations condotto da The Economist Intelligence Unit per conto di Sap. Sei intervistati su dieci (il 59% per la precisione), in particolare quelli dei settori retail, tecnologico e finanziario, ritengono che non riuscire ad adattarsi alle dinamiche imposte dalla rivoluzione digitale sia il rischio più grande per la propria organizzazione. L’86% degli intervistati, per contro, pensa che il fenomeno stia avendo un impatto positivo sulla cultura aziendale, mentre i due terzi sostengono che il nuovo scenario presenta più benefici che minacce. Lo sforzo cui le aziende sono chiamate per giocare da protagoniste nell’economia digitale è però notevole: parliamo di un mondo in cui oltre due miliardi di persone possiedono

un dispositivo mobile sofisticato, in cui il 90% dei dati oggi disponibili è stato generato negli ultimi due anni e in cui gli investimenti in progetti IoT stimati per il 2015 superano quota 1,7 trilioni di dollari. Far evolvere le proprie organizzazioni è l’imperativo, come farlo è il compito (rischioso) dei Cio e delle aziende. La realtà dipinta dallo studio conferma come le aziende si stiano adattando all’iperconnettività, ma con un approccio graduale. Solo poco più della metà degli intervistati, per esempio, ha introdotto percorsi formativi per lo sviluppo di competenze digitali e meno di un manager su cinque (il 19%) crede che la propria organizzazione vada radicalmente ristrutturata per rispondere nel breve alle nuove sfide. L’impatto della rivoluzione di cui sopra, questa una delle chiavi di lettura dello studio, deve concretizzarsi in continuità con il passato, senza salti o cambiamenti troppo drastici.

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SCENARI | Digital transformation

LA DISRUPTION CHE FA PAURA prio approccio come “proattivo”. Solo un’organizzazione su quattro, insomma, si sta muovendo in modo adeguato per affrontare i cambiamenti imposti dalla rivoluzione digitale. I driver e i modelli del cambiamento

Quattro operatori incumbent su dieci perderanno la loro posizione di mercato entro i prossimi cinque anni, secondo uno studio di Cisco. E solo un quarto delle organizzazioni si sta muovendo in modo proattivo per affrontare i cambiamenti imposti dalla rivoluzione digitale.

G

li impatti della cosiddetta “digital distruption” sono enormi e hanno il potenziale di cambiare le carte in tavola sui mercati. Più velocemente di qualsiasi altra forza tecnologica nella storia. Sono di questo avviso gli autori dello studio “Digital vortex: How digital disruption is redefining industries” edito dal Global Center for Digital Business Transformation (Dbt), progetto nato dalla collaborazione fra Cisco e l’International Institute of Mana-

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gement Development di Losanna. Lo studio ha raccolto le impressioni di 941 business leader di aziende attive in 12 settori e 13 Paesi (Italia compresa) e lancia una sorta di allarme: la digital disruption, entro i prossimi cinque anni, farà perdere posizioni a circa il 40% degli operatori incumbent in ognuno dei settori analizzati. Un dato molto esplicito circa le dinamiche in atto, eppure il 45% delle aziende non ritiene il fenomeno meritevole di essere portato all’attenzione del board e della direzione. Superficialità di approccio, verrebbe da dire, che fa a pugni con l’idea condivisa invece dai tre quarti degli execuitve oggetto dell’indagine, secondo i quali la digitalizzazione è capace di dare più valore ai clienti. C’è però un 43% del campione che non riconosce i rischi della digital disruption (oppure non li ha affrontati in modo sufficiente) e c’è soprattutto solo un 25% di aziende che descrive il pro-

Fra i dodici settori presi in considerazione, quello dei prodotti e servizi tecnologici mostra il maggior potenziale di sviluppo nei prossimi cinque anni. In generale, il report evidenzia come le industry più sensibili al cambiamento siano quelle “data-driven” e che si basano maggiormente sulla Rete per “scambiare” valore digitale, ovvero media & entertainment, telecomunicazioni, servizi finanziari e retail. Ma che cosa traina la distruption digitale? Le forze motrici sono sostanzialmente tre: le nuove startup ben dotate di finanziamenti, una concorrenza più dinamica e la fusione fra settori diversi. Un terzo dei manager intervistati ha un approccio attendista al processo di trasformazione in atto, eppure, come spiega Michael Wade, direttore del Dbt Center e professore di Innovation and Strategy all’International Institute, “non sono solo i modelli di business a cambiare, ma anche le catene del valore e le offerte di prodotto. La digitalizzazione non sta solo trasformando i vari settori ma sempre di più sta sfumando i confini fra di essi”. Come sopravvivere all’evoluzione? La ricetta, secondo gli esperti, può essere la seguente: gli innovatori di maggior successo utilizzano un approccio combinatorio alla disruption, fondendo insieme molteplici fonti di valore (costi, esperienza, piattaforma) per creare nuovi modelli di business. Presumibilmente dirompenti e generatori di guadagni esponenziali. G.R.


SCENARI | Digital transformation

L’APP ECONOMY CAMBIA FACCIA ALLE AZIENDE Solo le imprese più reattive sapranno sopravvivere. Lo impone la rivoluzione tecnologica e lo conferma uno studio di Oxford Economics e Ca Technologies.

L

a trasformazione delle aziende passa anche attraverso le applicazioni e l’evoluzione del modo di sviluppare il software. È l’essenza di uno dei tanti paradigmi che segnano la vita della società digitale, e che eleva a priorità assolute la soddisfazione del cliente e la sicurezza dei dati. Uno studio di Oxford Economics, commissionato da Ca Technologies e condotto su un campione di 200 manager fra Europa, Usa e Asia, parte dal presupposto che, in risposta alle mutate esigenze dei consumatori/utenti, le aziende debbano adottare modelli e tecnologie all’avanguardia, senza smettere di innovare. L’alternativa è perdere terreno o, in certi casi, scomparire addirittura dal mercato. “Banche come Bnp o City Bank”, dice in proposito Marco Comastri, general manager a livello Emea di Ca Technologies, “hanno al loro interno più sviluppatori che non le grandi multinazionali del software”. La rivoluzione digitale, di cui le app sono una faccia, sta cambiando processi decisionali, modelli di business e le competenze dentro le aziende. Abbracciando inesorabilmente tutti i settori, da quello finanziario al retail, passando per i trasporti e la sanità. La cosiddetta “app economy”, insomma, impone delle regole che è bene fare proprie e senza perdere tempo. Siamo in un’era caratterizzata da un nuovo darwinismo digitale, dice ancora il manager italiano, in cui “solo le imprese più reattive al cambiamento sapranno sopravvivere”. Una riprova? Delle multinazionali presenti nella classifica For-

tune 500 dell’anno 2000, solo il 48% era ancora in attività l’anno scorso. In uno scenario in forte evoluzione spicca il fatto che il 64% delle nuove app sia progettato per generare fatturato extra e non più soltanto per offrire servizi al cliente. Una svolta radicale che impatta sulle strategie e su molteplici aspetti della vita aziendale, prestazioni finanziarie comprese. “Il digitale”, sostiene Jay Scanlan, head of global digital strategy di McKinsey, “è un game changer delle fondamentali dinamiche competitive, introduce nuovi elementi dirompenti nelle interazioni di business e nelle logiche di consumo, modificando il rapporto fra domanda e offerta”. Uber, AirBnb, Netflix e Amazon.com sono solo alcuni esempi di applicazioni, servizi e piattaforme che hanno cambiato il mercato. Gianni Rusconi

NEGOZI DIGITALI PIÙ AFFOLLATI Il numero di applicazioni mobili oggi in uso non è cresciuto di molto negli ultimi anni e neppure quello delle app scaricate mensilmente (la media 2014, negli Usa, è di 8,8). Lo rivela una ricerca di Bi Intelligence, che sottolinea come gli utenti passino circa il 70% del tempo solo su tre programmi. Una tendenza che esercita una pressione diretta sugli store (Google ed Apple, insieme, vantano a catalogo circa tre milioni di applicazioni) e sugli sviluppatori, chiamati a sostenere costi crescenti per mantenere gli utenti più fedeli.

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SCENARI | Digital transformation

LA TEMPESTA PERFETTA DEL CAMBIAMENTO Dal Social Business Forum organizzato da OpenKnowledge arriva un quadro dei nostri tempi: forze tecnologiche, ma anche culturali, trainano l’evoluzione dei modelli aziendali.

O

nda distruttrice, uragano, tempesta perfetta. Queste le metafore più ricorrenti ascoltate all’ultimo Social Business Forum per descrivere la trasformazione digitale che attraversa le aziende, ma anche la vita privata degli abitanti del Pianeta. L’evento, organizzato da OpenKnowledge, nell’edizione 2015 è uscito dai confini dei social media e degli strumenti 2.0, per abbracciare altri temi caldi intrecciati fra loro. “Negli anni siamo passati concetto di trasformazione social a quello di digital disruption, che include i social media ma anche il mobile, i Big Data, l’Internet delle cose e il cloud”, ha esordito Rosario Sica, cofondatore e chairman di OpenKnowledge. “La trasformazione 20

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digitale non è soltanto digitalizzazione: è il segno che dobbiamo cambiare. E questo non significa solo abilitare nuovi business con il digitale, ma cambiare il modo in cui facciamo business. Questa evoluzione impatta su tutte le industrie, dalla manifattura all’healthcare. E tutte le aree dell’azienda sono coinvolte, dal marketing, all’It, alle risorse umane”. Si parla di tempesta perfetta perché le forze in gioco sincronizzate sono di più tipi: tecnologiche e culturali. Come spiegato sul palco del Social Business Forum da Louis Richardson, storyteller and enthuisast di Ibm, oggi “non è la tecnologia a trainare la cultura, ma il contrario”. L’esplosione dei dati, per citare un esempio, non è dunque generata dall’aumento dei contenuti video ad alta

risoluzione più di quanto non lo sia dalla voglia di conservare e condividere esperienze, così come la presenza sui social network di un’azienda è dettata soprattutto dalla necessità di creare un legame più diretto con i clienti. Negli ambienti di lavoro, ha spiegato Richardson, oggi agiscono in particolare tre forze. La prima è il caos creato dall’eccessiva quantità di richieste, attività, interruzioni ed “è qui che intervengono gli analytics, aiutando a prevedere e comprendere che cosa sia davvero importante nella giornata lavorativa”, ha spiegato l’evangelist di Ibm. La seconda forza è la complessità. “Circa il 70% della conoscenza contenuta in un’azienda sta nelle persone e non nei documenti”, ha proseguito. “La complessità sta nel capire dove risieda la


conoscenza e in quanti modi sia possibile attingervi. Dunque è molto importante che i dati siano disponibili sul device che si desidera usare in un dato momento”. Infine, con l’avvento dei social media, la circolazione delle informazioni (anche aziendali) è diventata incontrollata e incontrollabile. “La digital disruption è come un urgano in arrivo”, ha concluso Richardson. “Si può reagire allo stesso modo: trovare una via per scappare o cogliere le opportunità che la tempesta offre e che altri non vedono. Al pari degli uragani, la disruption devasta ma porta alla luce anche nuovi tesori, in questo caso nuovi modelli di lavoro e di business. Alcune società, invece di cercare di influenzare i nuovi assunti con la loro cultura aziendale, dovrebbero assumere degli influencer”. Alla conquista dell’attenzione

Non è un mistero come l’area del marketing, delle vendite e delle relazioni con i clienti sia stata fin dagli albori dei social network fra quelle più investite dal cambiamento. Solo oggi, però, si inizia a ragionare non unicamente sulle logiche di comunicazione ed engagement, ma anche sull’utilizzo per scopi di analytics del patrimonio di dati raccolti da fonti eterogenee (i social e il Web, ma anche la geolocalizzazione, le applicazioni di e-commerce e l’analisi dei flussi di clienti sul punto vendita, monitorati da telecamere e reti WiFi). “Circa il 50% del lavoro di marketing che si faceva fino a qualche anno fa oggi è svolto in automatico da e algortimi che conducono analisi e previsioni”, ha spiegato Francois Ruf, principal group program manager di Microsoft Dynamics Crm. “Ma la creatività è ancora in mano alle persone”. L’elemento umano, quindi, non soccombe sotto l’onda della trasformazione digitale. Anche perché molta della tecnologia usata dalle aziende è tesa a rimarcare i valori di fiducia, personalizzazione e individualità offerti ai clienti.

Sul tema è intervenuto anche l’analista Ray Wang, fondatore e presidente di Constellation Research. “La digital disruption non è solo un cambiamento tecnologico, ma riguarda il modo in cui lavoriamo e ingaggiamo gli utenti”, ha detto Wang, spiegando poi come molte aziende oggi seguano il “modello Disney”, che non mira solo a smerciare dei prodotti (film e merchandising) ma so-

prattutto a vendere esperienze (con parchi tematici). “Siamo diventati un’economia dell’attenzione. Non si compete più con la concorrenza ma per conquistare il tempo delle persone”. Si sta passando, inoltre da una logica di prodotto a una di servizio, in cui si consuma e si paga on demand, come il modello del cloud computing ha ampiamente dimostrato. Valentina Bernocco

LEZIONE DARWINIANA Come nel modello darwiniano, anche l’evoluzione delle organizzazioni lavorative procede spesso per balzi. E oggi attraversiamo un momento di rottura, in cui alcuni avanguardisti hanno già adottato le “mutazioni genetiche” che garantiranno adattamento e sopravvivenza. “Ciascuna era della storia dell’uomo ha un modo molto specifico di concepire il management e la collaborazione sul lavoro”, ha spiegato durante il Social Business Forum Frederic Laloux, autore del saggio Reinventing organizations. A chi assomigliano le aziende “reinventate”? Per esempio a Buurtzorg, società olandese che dal 2006 fornisce servizi di assistenza infermieristica a domicilio a chi soffre di malattie croniche. Dopo anni passati a inseguire l’efficienza, assegnando le visite alle infermiere in base alla distanza dalla precedente destinazione e ad altri criteri salva-tempo, Buurtzorg ha ribaltato l’approccio: ciascun pazien-

te viene seguito da una sola persona, con cui instaura un rapporto di fiducia. E a migliorare non è stata solo la soddisfazione dei clienti ma anche la solidità dell’azienda, cresciuta fino a dare lavoro a 900 infermiere. Altre caratteristiche in comune alla cinquantina di organizzazioni selezionate da Laloux sono il self-management (assenza di una struttura gerarchica a favore di un modello a rete, di autorità distribuita in cui però i compiti di ciascuno sono ben definiti), l’interezza (le componenti emotive dell’individuo trovano spazio sul luogo di lavoro, attraverso incentivi e occasioni di incontro) e il fatto di assecondare una sorta di “intelligenza evoutiva” che va oltre la ricerca del profitto. “Nel nuovo modello le organizzazioni non credono nel controllo predittivo, bensì considerano le organizzazioni come un ecosistema vivente, dotato di una propria capacità di andare verso il futuro”, ha detto Laloux. Frederic Laloux

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SCENARI | Digital transformation

L’ACQUISTO DIVENTA UN’ESPERIENZA TOTALE Multicanalità e ominicanalità sono i paradigmi che segnano l’evoluzione del retail all’insegna delle tecnologie digitali. Come nel caso di Amazon e della “provocazione” di Foot Locker

I

l punto di contatto tra la diffusione di un marchio in Rete e gli utenti online che potrebbero trasformarsi (se già non lo sono) in consumatori finali; un’esperienza totale che permette di seguire il cliente a 360 gradi, su tutti i canali di contatto a disposizione, dal negozio fisico allo shopping su Internet. Nei concetti di multicanalità e omnicanalità c’è molto del futuro dell’industria retail e del successo dell’e-commerce. Il modo di acquistare è cambiato e questo mutamento sta contagiando una massa sempre più estesa di persone. Secondo i dati rilevati da Accenture nello studio “Strategy Global Consumer Pulse”, l’85% della clientela italiana ricorre ad almeno un canale digitale per la ricerca e la valutazione di prodotti e servizi di un brand. App, smartphone e tablet sono diventati parte del percorso di 22

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acquisto e questa “rivoluzione” impone un cambio di approccio da parte di chi vende: parlare di singoli canali non è più accettabile, perché il cliente deve essere gestito e ascoltato in maniera circolare. Per fare questo vanno sfruttate tutte le informazioni disponibili sul suo profilo e bisogna interagire su vari canali. In questo processo di mutazione, mettere al centro le esigenze della clientela rimane un aspetto chiave. Le sfide che le aziende devono affrontare sono altrettanto note: massimizzare la raccolta dei dati per cogliere opportunità di business ancora potenziali e dotarsi delle competenze necessarie per gestire (a tutti i livelli) l’integrazione tra digitale e fisico. Alla base di tutto serve un approccio culturale al cambiamento e al digitale, approccio che non sempre trova terreno fertile nelle imprese italiane.

Il fattore “customizzazione”

Nel negozi Foot Locker di Times Square, a New York, è possibile scegliere fra 48mila miliardi di combinazioni di scarpe New Balance. Come? Utilizzando un “customization kiosk”, un display touch grande quanto un televisore, installato dentro il negozio: si selezionano colori e materiali preferiti e si ricevono le scarpe su misura nel giro di pochi giorni lavorativi. La customizzazione (in questo caso, estrema) del prodotto è una delle anime del commercio in formato digitale? Assolutamente sì, prende vita dalle strategie di marketing e si concretizza con l’ausilio delle tecnologie di analytics per la profilatura del cliente. L’obiettivo finale è quello di offrire un servizio che sia il più possibile rispondente alle aspettative individuali, passando indif-


IL RETAIL E L'ARMONIA DEI CANALI

L’ La priorità è quella di integrare le attività online con quelle offline all’insegna di una cooperazione tra tutti i canali di vendita. Ma serve una piattaforma operativa adeguata.

ferentemente da una pagina Web a una vetrina “fisica”. Pensiamo in tal senso al caso di Amazon, il negozio digitale per eccellenza. Tutto il suo catalogo è oggi sfogliabile direttamente da smartphone tramite app, mentre ogni passaggio è completamente digitalizzato, dall’ordine al tracciamento delle consegne, dai pagamenti ai resi. Il tutto, con un livello di servizio che è uno dei segreti di un business in continua crescita. Il successo del colosso guidato da Jeff Bezos, come osserva Fabio Pascali di Emc Italia, ha però un’altra spiegazione ben precisa: “Si basa in gran parte sull’analisi dei dati e su un flusso di informazioni che, una volta gestite, hanno permesso di offrire un servizio sempre più personalizzato”. Ipotizzare per i retailer un futuro all’insegna dell’analisi predittiva dei dati e del mobile

e-commerce sta cambiando definitivamente la vendita al dettaglio in Europa, sia in riferimento al modo in cui i consumatori spendono sia nelle loro aspettative. Un’area in cui il commercio in formato digitale ha impattato maggiormente è quella dell’assistenza al cliente. Oggi gli acquirenti desiderano servizi di consegna sempre più tempestivi, cosa che non tutti gli attori di questo comparto sono in grado di assicurare. La prenotazione online con ritiro in negozio in Europa è ancora un servizio offerto da pochi; gli articoli vengono prelevati da un magazzino riservato solo agli store online e spediti ai punti vendita per essere ritirati qualche giorno dopo dall’acquirente. Questa pratica è ancora un’eccezione, ma rappresenta un’opportunità che le aziende dovrebbero cogliere al volo per soddisfare in modo più efficace le richieste dei clienti.

non è, quindi, utopia. Anzi. “Grazie ai data lake”, dice Pascali, “i nostri avatar digitali diventeranno personal shopper e ci raccomanderanno acquisti sulla base dei nostri gusti e abitudini. E i vendor dovranno tenere conto di questa nuova tendenza”. La trasformazione digitale cambierà dunque faccia al mondo del commercio, mentre strumenti ormai consolidati come i social network entreranno in gioco per gestire le consegne (se in combinazione con i droni, lo vedremo)

In Europa stanno emergendo alcuni trend che vale la pena prendere in considerazione. Lo sviluppo di forme ibride di retail, come il drive-in, sta agendo da incentivo per integrare le attività online con quelle offline, diffondendo l’importanza di una cooperazione armoniosa tra tutti i canali. Il modello omnichannel può portare buoni risultati, ma le aziende devono saper garantire servizi eccellenti in ognuno dei canali utilizzati. Per offrire ai consumatori una vera esperienza multicanale occorre eliminare il sistema dei silos dalla catena di fornitura e fornire la giusta preparazione ai dipendenti. Oggi molti retailer hanno una struttura adeguata ma non un personalealtrettando adeguato e qualificato. E il successo delle aziende che operano al dettaglio passa anche da questo. Henri Seroux, senior Vp Emea Manhattan Associates

e non più solo come veicolo di passaparola su un marchio o prodotto. Lo scenario attuale è fatto di oltre 700mila negozi digitali attivi in Europa e concentrati in Regno Unito, Germania e Francia. In Italia, nel 2014, il valore complessivo del “net retail” è cresciuto del 22,1% rispetto all’anno precedente (fonte Netcomm) e sono state concluse 200 milioni di transazioni online. Anche per l’e-commerce tricolore le aree su cui lavorare per la diffusione virale del marchio sono social media, app mobili, Web advertising e video. La strategia vincente è quella capace di dare le giuste risposte al consumatore, attraverso quanti più canali possibili, sfruttandone al meglio i tempi, le abitudini e la propensione a interagire. In forma digitale. Piero Aprile 23


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IL GESTIONALE VA SUL CLOUD E CAMBIA MARCIA Maggiore integrazione con gli altri sistemi aziendali, flessibilità, ma soprattutto più velocità per permettere alle aziende di competere meglio. Questo si chiede a un moderno Erp.

A

nche nel comparto del software Erp, così come in molti altri settori It, il paradigma del cloud e la richiesta di velocità e flessibilità hanno modificato profondamente sia la domanda sia l’offerta. Le necessità del business si riflettono infatti in modo ancora più immediato sulle soluzioni che proprio il business governano (e dei cui dati si nutrono). Technopolis ha chiesto ad alcuni dei protagonisti di scattare una fotografia del mercato

italiano, per capire meglio dinamiche e tendenze. “Registriamo una buona disponibilità all’investimento da parte delle aziende italiane” dice Enza Fumarola, vice president sales Southern Europe di Infor, “che riconoscono l’importanza di un sistema informativo in grado di analizzare, qualificare e rendere disponibili dati aggiornati in tempo reale. Per essere vincenti nel business odierno, dove la parola chiave è velocità, è fondamentale disporre di un proces-

so decisionale ottimizzato per essere competitivi e soddisfare le mutevoli esigenze del mercato. Le aziende oggi devono fronteggiare numerose sfide legate per esempio alla sicurezza, a un diverso utilizzo della manodopera e a una gestione dei dati sensibili anche in contesti internazionali. Notiamo grande interesse per soluzioni user-friendly, verticalizzate, in grado di rispondere a esigenze specifiche di settore, con funzionalità avanzate out-of-the-box e che forniscano un rapido Roi. Inoltre SETTEMBRE 2015 |

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SPECIALE | Erp

trainarne l’evoluzione. Per rispondere alle esigenze attuali i sistemi gestionali si stanno sempre più aprendo verso nuovi modelli di fruizione e interfacce intuitive, in modo da migliorare sia l’efficienza aziendale, sia la produttività individuale. L’integrazione può rappresentare un vantaggio competitivo e per questo le aziende fanno sempre più affidamento su Erp in grado di capitalizzare best practice del settore di appartenenza e al contempo di rispondere in modo personalizzato alle esigenze delle specifiche realtà. La strategia e la roadmap di Microsoft Dynamics interpretano queste nuove tendenze e l’evoluzione della domanda per offrire ad aziende di qualsiasi settore e dimensione un elemento strategico su cui puntare per la ripresa, anche grazie alla collaborazione con un ecosistema di 26

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partner radicato sul territorio in grado di fornire consulenza su misura.” “La trasformazione digitale è pervasiva”, spiega Luisa Arienti, amministratore delegato di Sap Italia, “e tocca quotidianamente molteplici aspetti della nostra vita personale e professionale: questo si riflette sulle organizzazioni sotto forma di rischi e opportunità. Le aziende capaci di sfruttare il potenziale dell’iperconnettività sono quelle che avranno successo nella nuova economia delineata dalla trasformazione digitale. I clienti ci stanno chiedendo principalmente due cose: semplificazione e velocità. E qui si inserisce la nostra visione Run Simple, cioè aiutare le aziende a sem-

LUISA ARIENTI - SAP ITALIA

ENZA FUMAROLA - INFOR

RICCARDO SPONZA - MICROSOFT

vi è una crescente attenzione verso il cloud, che fornisce notevoli vantaggi quali flessibilità, riduzione dei costi e sicurezza. Sempre più aziende scelgono di implementare le applicazioni in un ambiente cloud ibrido, ma percepiamo interesse, potendo già condividere l’esperienza di vendita sui primi clienti, anche per implementazioni completamente in cloud”. “Quello degli Erp è un mercato maturo” le fa eco Riccardo Sponza, direttore marketing della divisione Dynamics di Microsoft Italia, “ma che mostra ancora margini di crescita. Sono in particolare i nuovi trend tecnologici del cloud computing, della mobility, del social e dei Big Data a

plificare i propri processi e sistemi e a gestire in modo più efficace il business in modo da liberare risorse da dedicare all’innovazione per competere con successo. Nell’ultimo trimestre fiscale, concluso lo scorso 30 giugno, i clienti che hanno scelto la nostra business suite di nuova generazione, Sap S/4 Hana, sono passati da 370 a oltre 900 su base mondiale. In Italia la forte presenza di Pmi sta creando un terreno ottimale per la crescita di Sap Business One, il nostro gestionale sviluppato per le piccole e medie imprese, che annovera tra i suoi clienti aziende leader nei rispettivi settori come Casa Montorsi, Rainbow e Subito.it. Sap Business One ha confermato nel corso del primo semestre 2015 la crescita a doppia cifra già fatta registrare nel 2014.”

L’ERP PRONTO PER IL FUTURO Prodotto storico, nato nel 1977 e dal 2005 patrimonio di Oracle, ma in continua evoluzione. Jd Edwards riassume in sé alcune delle tendenze tecnologiche più recenti: può essere installato onpremise ma anche nel cloud, vi si può accedere da dispositivi mobili ed è utilizzabile per scopi di analytics. “Storicamente, molti degli utenti di Erp lavoravano in uffici o fabbriche o nella distribuzione, ma oggi l’uso è esteso alla forza vendite e all’accesso mobile”, ha sottolineato Robert Monahan, vice president di Jd Edwards, spiegando che quella offerta attualmente è “una piattaforma open che i clienti possono estendere e integrare con le loro applicazioni mobili, con servizi Web o con il cloud”. Attualmente l’Erp è utilizzabile con 84 app per smartphone o tablet rivolte a diversi ruoli aziendali. “L’Italia è uno dei mercati europei in cui Jd Edwards è stato capito e apprezzato di più”, ha aggiunto Gianluca De Cristofaro, sales director applications for midsize enterprises Italy, citando i 900 clienti aziendali presenti nello Stivale. Fra le conquiste recenti spiccano Cremonini e Furla. Gianluca De Cristofaro


TECHNOPOLIS PER SAP

NELL’ECONOMIA DIGITALE, “DISRUPT OR BE DISRUPTED”

Secondo le stime di Gartner, entro il 2020 si conteranno 26 miliardi di dispositivi per l’Internet of Things. Asr Group International, il più grande raffinatore di canna da zucchero al mondo, ha scelto l’in-memory computing di SAP S/4HANA per ridurre la complessità. Mentre i numeri testimoniano uno scenario in veloce mutazione, la realtà è che le aziende stanno faticando a tenere il passo: come soddisfare costantemente bisogni di clienti iper-connessi e iper-informati? Come creare una visione d’insieme del proprio business con dati strutturati e renderli accessibili in tempo reale? Come accelerare i processi decisionali? A far fronte a queste sfide sono spesso sistemi informativi non all’altezza, frutto di sedimentazioni e di layer aggiuntivi, oggi troppo complessi e costosi da mantenere. Secondo una ricerca svolta a inizio anno da Cio Insight a livello globale su 300 responsabili It, per oltre

il 50% degli intervistati la complessità dei sistemi It limita la capacità delle aziende di soddisfare i clienti, di adeguare i processi di business al mercato e dunque di crescere. La parola chiave del nuovo scenario è “re-invenzione”: risultano vincenti quelle aziende pronte a mettersi in discussione rivedendo il proprio tradizionale modello di business per sfruttare le opportunità della digital economy. Con il potere del real-time computing, i responsabili possono ottenere i dati di cui hanno bisogno in tempo reale e verificare le loro intuizioni e strategie sul mercato in maniera tempestiva. Grazie a interfacce utente semplici e immediate possono usufruire dei dati senza rivolgersi a tecnici e con un dispositivo mobile possono accedervi sempre e ovunque. Questa forma di re-invenzione è il motore della real-time enterprise, che permette di rendere più fluidi e veloci i processi decisionali e il raggiungimento dei risultati. Come afferma Zoran Radumilo, innovation sales director di SAP Italia, la risposta di SAP a questo scenario è Run Simple: “Stiamo ridefinendo come il software può oggi creare valore per le aziende. Un chiaro esempio del nostro impegno è il recente lancio di SAP S/4HANA, la nostra business suite di ultima generazione, che si basa sulla più avanzata piattaforma di in-memory computing, SAP HANA, e incorpora avanzati principi di sviluppo, con SAP Fiori a garanzia di un’esperienza utente facile e intuitiva”. SAP S/4HANA abilita processi semplificati in diverse aree (modelli di dati, esperienza utente, processi decisionali), sfruttando al contempo i vantaggi provenienti da una gestione mirata dei Big Data, dall’IoT o da soluzioni mobile. Asr Group International, il più grande raffinatore di canna da zucchero al mondo con oltre 7 milioni di tonnellate di prodotto vendute ogni anno, ha deciso di intraprendere con SAP un processo di semplificazione basato su SAP S/4HANA e soluzioni in cloud, come ad esempio SAP Cloud for Sales e SuccessFactors per la gestione delle risorse umane. “Con SAP ogni attività e processo, dall’assunzione di un nuovo collega alla risposta a un reclamo di un cliente, possono essere gestiti in modo più efficiente”, ha dichiarato Don Whittington, vice president e Cio di Asr Group. Dal lancio della suite, avvenuto lo scorso febbraio, a livello globale hanno già scelto SAP S/4HANA oltre 900 clienti, tra cui Enel, Bayer e Geberit. È possibile accedere ai siti per il download tramite QR code (a sinistra, per la versione cloud; a destra, per la versione on-premise).

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Big Data Risk

workshop

Analytics

Summit

Cloud Computing

webinar

advisory

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Conference Cybersecurity

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Banking

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SPECIALE | Printing

LA STAMPA ENTRA NELL’ERA DEL SERVIZIO

Asso.it ha fotografato lo stato di salute del mercato, confermando come il vero driver della crescita sia la gestione del documento. Per le aziende e gli operatori di canale arriva un vademecum per affrontare il cambiamento.

C

ambia il modo di utilizzare la stampa in azienda, per ottimizzarne costi e benefici passando attraverso la rivoluzione dei servizi gestiti. Una rivoluzione che vede sempre più imprese indirizzarsi all’utilizzo della macchina piuttosto che al suo possesso. Il mondo del printing – fatto di fornitori, aziende utenti e operatori del canale – è alle prese con l’avvento di nuove tecnologie ma ancor più con nuove mo-

dalità di fruizione delle stesse, che devono stare al passo con le mutate esigenze della domanda. Una domanda che, oggi più che mai, chiede efficienza per i propri processi documentali. L’analisi è a firma di Massimo Pizzocri, presidente di Asso.It, l’associazione che comprende quasi tutti i vendor presenti in Italia (per un totale di oltre 3.500 addetti). Lo scenario in cui le aziende e i produttori sono chiamati a muoversi è di dimensioni consistenti. Parliamo, a livello

di regione Emea, di oltre 150 milioni di sistemi di stampa installati e di 30 milioni di nuovi apparati venduti ogni anno. A questi numeri si aggiungono i 400 milioni di prodotti consumabili distribuiti sul mercato in dodici mesi. Il printing interessa in maniera trasversale sia l’ambito consumer sia quello aziendale ma è quest’ultimo segmento, e quindi gli investimenti che ruotano intorno al mondo degli uffici, a generare il 90% del fatturato complessivo pur SETTEMBRE 2015 |

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SPECIALE | Printing

essendo responsabile solo per del 40% dei volumi. Qual è la situazione in Italia? A fronte di una leggera flessione delle vendite a livello europeo (si è scesi dai 36,2 miliardi di euro del 2012 ai poco più di 36 miliardi del 2014), il comparto del printing nostrano ha evidenziato una piccola ma costante crescita, passando da 3,04 miliardi a 3,1 miliardi di euro. A guidare l’ascesa sono principalmente i servizi di stampa gestita, i cosiddetti Managed print services (Mps), il cui peso dal 2012 è aumentato del 6% circa all’anno. Secondo Pizzocri siamo di fronte a un mercato “che certamente ribolle, anche se non sta ancora esplodendo” e che potrebbe fare il vero salto grazie al canale, “a cui è affidato il compito di portare una diversa cultura della stampa nelle aziende”. I cambiamenti in atto sono tanti. I documenti non vengono più semplicemente stampati e archiviati su carta, ma anche conservati in digitale, mentre sempre più si passa da una logica di possesso fisico della stampante o multifunzione a una logica di utilizzo di un servizio. Cambia, inoltre, anche il perimetro del mercato, con un’incidenza

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minore del printing e una crescita delle attività di gestione documentale. Una tendenza, quest’ultima, che porta con sé un’evoluzione delle competenze richieste, le quali vanno necessariamente ad abbracciare le tematiche del cloud, del mobile, della sicurezza, del document management e dell’outsourcing. Secondo Asso.it, i servizi di stampa gestita da qui al 2017 cresceranno del 10% ogni anno, e il loro impatto sul giro d’affari complessivo delle soluzioni di printing salirà dal 19% al 23%. Le regole della “buona stampa”

Il ruolo del printing nelle aziende italiane era e rimane importante, e lo sarà anche in futuro. A questo mondo resta legato un fardello di complessità: riuscire a individuare il fornitore e le soluzioni più adatte alle proprie esigenze. A questa complessità contribuiscono l’abbondanza di offerta di modelli e tecnologie, | SETTEMBRE 2015 e poi le numerose normative che dettano la corretta gestione e il buon utilizzo delle macchine e dei consumabili. In questo panorama Asso.It ha cercato di fare un po’ di chiarezza, da una parte sulla sostenibilità dei sistemi di stampa e dall’altra sul rapporto fra questo mondo e i nuovi paradigmi tecnologici sulla

bocca di tutti, come il cloud, i Big Data e la mobility. Le indicazioni prendono spunto da una ricerca che raccoglie le indicazioni di tutti i vendor dell’associazione e che sarà costantemente aggiornata a beneficio dei buyer delle imprese, delle centrali d’acquisto degli enti pubblici e del canale di rivenditori e dealer. L’obiettivo, in poche parole, è quello di evitare dispersioni e aiutare a orientarsi fra gli oltre 500 prodotti presenti sul mercato e le 70 normative che regolano il comparto. Uno sforzo nella direzione della semplificazione, dunque, ma anche dell’aggiornamento delle buone pratiche d’uso in linea con l’evoluzione tecnologica. Sfatando alcuni miti. “In pochi sanno”, puntualizza Pizzocri, “che il 61% dell’impatto ambientale di un dispositivo di stampa è generato nella sua fase di utilizzo e non, come comunemente si crede, dai consumabili o dalle problematiche legate al riciclo degli stessi o della macchina a fine vita”. Dunque è il modo in cui la stampante viene usata a pesare di più sull’impatto ambientale e sulle performance, e per questo la manutenzione e il rispetto dell’equilibrio dei parametri originali del sistema sono fondamentali per raggiungere il miglior risultato in termini di prestazioni, resa qualitativa, affidabilità, costi di gestione e durata. “Per fare chiarezza su molti punti”, conclude il presidente di Asso.it, “abbiamo voluto lavorare insieme per definire alcuni standard, per esempio nella classificazione dei dispositivi di stampa, evitando il proliferare delle definizioni, per consentire una migliore comparazione o per definire le specifiche dei livelli di servizio”. Un vademecum completo, insomma (non mancano neppure i suggerimenti inerenti la partecipazione ai bandi di gara e le best practice per formularli) che forse non è sinonimo di innovazione ma che, almeno sulla carta, può aiutare le aziende a orientarsi verso il miglior acquisto e il giusto utilizzo. Loris Frezzato


SPECIALE | Printing

SOLUZIONI INTELLIGENTI E SU MISURA La nuova offerta di prodotti e servizi ha catturato l’interesse delle aziende, ma per convincere gli It manager servono applicazioni “smart” e offerte differenziate per fasce di clientela.

S

ono tanti i fattori che stanno modificando profondamente il modo di utilizzare le soluzioni di stampa e, più in generale, di gestione documentale. La mobilità e la richiesta di servizi in luogo di prodotti sono però, come abbiamo visto nelle pagine precedenti, due degli elementi più importanti. La mobilità è smart

Una ricerca Idc condotta per conto di Ricoh ha evidenziato come l’utilizzo di tablet e soprattutto smartphone anche per stampare e gestire i documenti sia una tendenza reale e non solo un’ipotesi di studio. Ricoh, non per niente, ha integrato nella propria offerta app e soluzioni che permettono di stampare in sicurezza dai dispositivi mobili, soluzioni che per la multinazionale vanno di pari passo con il crescente utilizzo del Web e delle infrastrutture cloud. Ricoh Cloud Enabler, ad esempio, è una soluzione che consente di archiviare nella nuvola i documenti acquisiti e di consultarli in modo semplice e veloce tramite un portale Web, anche da smartphone. Pure Hp associa la stampa in mobilità con il cloud. Con i nuovi modelli di stampanti ha introdotto la nuova suite Hp JetAdvantage, un insieme di soluzio-

ni che soddisfano con la massima efficacia tutte le esigenze di mobilità, sicurezza e workflow delle aziende di qualsiasi dimensione. La tecnologia JetAdvantage Private Print, in particolare, risolve tutti i problemi di privacy ed efficienza della stampa condivisa e in cloud. Con JetAdvantage, i lavori di stampa, fax e scansione vengono organizzati in una coda virtuale, gestita a tutti gli effetti in cloud, e vengono eseguiti dalla periferica scelta solo quando l’utente lo chiede espressamente, avvicinandosi fisicamente alla macchina e digitando un pin personale o strisciando il badge. In questo modo viene garantita la privacy (nessun utente può prelevare per sbaglio i documenti di un altro) e vengono abbattuti i costi (non è più possibile che i lavori di stampa vengano abbandonati). Servizi sì, ma differenziati

I servizi di stampa gestita interessano molto gli utenti business, ma la chiave del successo pare essere la differenziazione. “Per cercare di esser sempre più vicini

al cliente”, dice Davide Balladore, Solution Business Developer Manager di Canon, “abbiamo segmentato l’offerta in tre differenti tipologie. Per i clienti corporate abbiamo approntato il servizio Project. È un’offerta a 360 gradi, basata su progetti personalizzati e costituita da un insieme di servizi certificati. Per lo small e medium business abbiamo lanciato tre anni fa l’offerta Essential. Abbiamo industrializzato questo servizio entry level e siamo in grado, grazie a una rete di partner certificati, di rivolgerci a clienti con un parco che parte da cinque macchine. Offriamo semplici servizi di integrazione che partono dalla semplificazione dei flussi per arrivare alla gestione della sicurezza delle informazioni. Nel mezzo, c’è la terza classe di offerta, lanciata più di recente. Si tratta del servizio Select, destinato ai clienti che hanno dai 500 ai 5.000 utenti. Queste tre tipologie di Managed Print Services hanno il pregio di avere lo stesso feeling nei confronti del cliente e soprattutto di dare gli stessi vantaggi, sia pur in scala diversa”. 31


TECHNOPOLIS PER WESTERN DIGITAL

IL PERSONAL CLOUD DAL CONSUMER ALLE AZIENDE diverse. Come avete soddisfatto quelle delle aziende? L’utente aziendale ha bisogno di capacità di memorizzazione ma anche di soluzioni per l’active directory e l’Ftp e noi gliele abbiamo fornite, soddisfacendo al contempo le esigenze di performance e velocità. I nuovi Nas hanno processori “seri”, potenti e performanti come Intel Atom e Celeron, oppure Marvell Armada.

Luca Marazzi, country manager di Western Digital per il Sud Europa

Protagonista nel mercato degli hard disk, WD sta guadagnando rapidamente quote in quello dei Nas Leader storico nel mercato consumer e in particolare nel segmento dei dischi esterni, Western Digital ha da un paio di anni lanciato la sua sfida nel comparto dei Nas, estendendo la propria area di influenza anche ai professionisti e alle piccole imprese. Technopolis ha intervistato Luca Marazzi, country manager di Western Digital per il Sud Europa, per capire meglio come è stato implementato il concetto di “personal cloud”, declinato dall’utente consumer alla Pmi. Perché siete entrati in un settore, quello dei Nas, già presidiato da alcune aziende specializzate? Abbiamo lanciato il primo Nas per il mercato consumer, MyCloud, nell’ottobre 2013, perché il mercato chiedeva soluzioni ad alto tasso di tecnologia e innovazione. Noi abbiamo interpretato questa esigenza sia in un’ottica consumer, con il concetto del personal cloud, sia in quella professionale e aziendale, sposando il private cloud. Abituati a fornire dischi ad alte prestazioni per i Nas di altri fornitori, è stato naturale progettare e realizzare anche dispositivi senza dischi, a due e quattro baie, in grado di arrivare a 24 Terabyte di capacità. Consumer e business, però, hanno esigenze 32

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Tutto questo sul fronte hardware, ma il software? Abbiamo lavorato molto sulla semplicità d’uso, sviluppando sistemi operativi e app che offrissero un vero valore aggiunto per i clienti. Il mercato ci ha premiato, non solo con le vendite, ma anche con riconoscimenti da parte degli utenti: la nostra applicazione per la gestione del personal cloud da smartphone e tablet è stata pluripremiata. La stessa tecnologia l’abbiamo poi trasferita anche nel segmento professionale e aziendale, perché anche questa tipologia di utenti cerca semplicità ed efficienza. Su quest’ultimo fronte abbiamo guadagnato molti punti offrendo soluzioni con il sistema operativo pre-installato: acquisti il Nas, lo colleghi e puoi subito iniziare a lavorare. Siete soddisfatti dei risultati sul fronte commerciale? I responsi del mercato sono molto lusinghieri. Siamo molto forti sia nel segmento dei Nas consumer sia in quello dei dispositivi già corredati di dischi, e stiamo crescendo molto velocemente anche in quello dei Nas diskless. Abbiamo buoni riscontri sia dagli utenti privati sia dagli studi professionali e dalle Pmi. Quali saranno i vostri prossimi passi sul mercato? Il settore dei Nas cresce a due cifre, tra il 14 e il 15%, e i nostri ingegneri ovviamente non smettono di studiare nuove soluzioni per poter cavalcare questa crescita. Avremo presto, ad esempio, nuove app sia per la videosorveglianza, un segmento molto promettente, sia per la sicurezza e la protezione dai virus. Un altro comparto in cui stiamo studiando soluzioni a valore aggiunto è quello della gestione dei documenti elettronici, particolarmente interessante per aziende e studi professionali. Sul fronte hardware, invece, arriveranno presto i dischi da 10 TB, che consentiranno di aumentare drasticamente le capacità dei Nas.


ECCELLENZE.IT |

Ferrero

UN DATA WAREHOUSE TUTTO NUOVO PER IL RE DEI DOLCI Oltre seimila utenti del gruppo piemontese utilizzano Sap Hana per accedere alle informazioni di business. Un progetto realizzato in soli sette mesi e che ha permesso di integrare tutti i dati in un unico ambiente.

N

on è sempre vero che le aziende italiane affrontano la digital transformation a spizzichi e bocconi, con azioni tattiche e non strategiche. Lo dimostra Ferrero, che con il suo progetto di migrazione del data warehouse in ambiente Sap Hana ha vinto perfino un premio nel corso dell’ultimo Sap Quality Award, salendo sul palcoscenico nella prestigiosa sede Sap di Walldorf insieme alle eccellenze di tutta Europa. Si tratta di un progetto dalle proporzioni e dai numeri impressionanti, visto che ha coinvolto, giusto per dare un ordine di grandezza, circa seimila utenti del gruppo piemontese. Abbandonando la vecchia piattaforma, con la quale l’It di Ferrero gestiva ormai oltre 13 Terabyte di dati, la multinazionale ha imboccato una strada che l’ha portata, nell’arco di sette mesi e con l’aiuto di Syskoplan Reply (società del gruppo Reply specializzata in servizi di consulenza e implementazione su tecnologia Sap) a ridurre lo spazio su disco fino a 2,5 Terabyte e a dimezzare il tempo necessario a eseguire la maggior parte delle query. Il progetto è nato da due esigenze principali: la realizzazione di una piattaforma in grado di cavalcare l’onda dei big data e, al contempo, la volontà di rinnovare non solo i sistemi informatici ma anche i processi legati alle attività commerciali e di pianificazione della produzione. Forse, la sfida più difficile. L’obiettivo tecnologico ultimo era integrare il data warehouse (così come sono integrate le società del gruppo Ferrero) in modo da eliminare i tanti silos di dati e da poter utilizzare le informazioni con

LA SOLUZIONE L’ambiente Sap Hana, installato nella versione 1.7, gira su hardware Ibm e su appliance progettate per Hana e basate su architettura Intel. La soluzione complessiva prevede anche Sap Bw in versione 7.4 e Business Objects 4.1. Il data warehouse attuale, che occupa un quinto dello spazio del precedente grazie alle migliori capacità di compressione di Sap Hana, è costituito da oltre mille infocubi.

una velocità di reazione più adatta ai tempi e alle condizioni del mercato. Su questa linea l’It di Ferrero si è mosso da tempo, arrivando con la migrazione a Sap Hana a fare uno dei passi più importanti del percorso. Stregati dalle potenzialità della tecnologia in-memory, che consente di avere tutti i dati importanti subito disponibili per qualsiasi tipo di analisi, i responsabili It di Ferrero hanno scelto Sap Hana anche perché in azienda la piattaforma Erp della multinazionale tedesca era già abbondantemente usata e conosciuta. Iniziato alla fine del 2013, il progetto si è concluso a metà dell’anno successivo, e oggi molti dei processi (finanza, vendite, pianificazione) sono già operativi sulla nuova architettura. Il cambio di paradigma è stato notevole, non un salto nel buio (anche grazie al supporto di Syskoplan Reply) ma comunque un rischio che non tutte le imprese avrebbero affrontato. I risultati, però, hanno premiato il coraggio del team guidato da Paolo Pennisi, head of project management office della multinazionale, se è vero come è vero che alcuni processi di reporting che prima venivano “fatti girare” con cadenza settimanale oggi possono essere eseguiti più volte alla settimana grazie alla maggiore velocità di elaborazione della nuova piattaforma. Al momento attuale Ferrero ha implementato una vasta serie di dashboard per le varie funzioni aziendali e per le tante società del gruppo, e sta proseguendo nello sviluppo di nuovi strumenti di analisi. Per arrivare, in un futuro non troppo remoto, a uno scenario di “predictive analytics” con dati real time. SETTEMBRE 2015 |

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ECCELLENZE.IT |

Rcs Libri

LA LIBRERIA VOLTA PAGINA, FRA TRADIZIONE E TECNOLOGIA La storica Galleria Rizzoli milanese si rinnova con server, maxi-schermi, mini-Pc e tablet basati su chip Intel. L’esperienza del cliente migliora con l'interazione fra strumenti digitali e spazi del punto vendita.

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a libreria del futuro è un racconto scritto a quattro mani dalla tradizione e dalla tecnologia. Da un lato il profumo della carta e il piacere di gironzolare senza fretta fra gli scaffali, dall’altro gli strumenti hi-tech che possono espandere l’esperienza di ricerca e di acquisto dei libri. Rcs Media Group ha sposato questa visione trasformando la storica Galleria Rizzoli, uno dei simboli milanesi la cui inaugurazione, a una manciata di passi dal Duomo, risale al 1949. Da allora molto è cambiato nel mondo dell’editoria e nel rapporto fra lettori e tecnologie, ma non l’importanza del punto vendita fisico: un luogo dove non solo si acquista, ma dove si trascorre del tempo. Dopo un restyling durato quattro mesi, la nuova Galleria Rizzoli è oggi uno spazio tappezzato di tecnologie, tutte dal “cuore” Intel: server, maxi-schermi, mini-Pc e tablet in cui lavorano processori delle gamme Xeon, Atom, Core i3, Core i5. Installati a parete in ciascuno dei tre piani del negozio, gli schermi trasmettono informazioni su classifiche e titoli bestseller, su autori e nuove uscite. I server supportano il flusso di contenuti video ma anche le attività di gestione del punto vendita e l’archiviazione di dati, garantendo un basso consumo energetico grazie al loro formato compatto. Sette mini-Pc, installati su altrettanti monitor nei punti informazione del negozio, hanno permesso di migliorare il servizio clienti. Per questi ultimi sono a disposizione dieci tablet Acer Iconia Tab, sui quali si può esplorare il ricco catalogo di Galleria Rizzoli e individuare la collocazione del titolo di proprio interesse. 34

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Al primo piano, inoltre, è stata allestita una “area kids” completa di tablet a misura di bimbo di MyMaga, con la suite Intel Education Software preinstallata. A completamento del restyling è stata lanciata un’app per iOS e Android, BookToBook, che fornisce informazioni su titoli e classifiche, aiuta a trovare l’ubicazione di un libro e scorta l’utente in un tour virtuale fra gli scaffali. “La nuova Galleria Rizzoli”, ha spiegato Laura Donnini, Ceo di Rsc Libri (la divisione editoriale di Rcs Media Group), “è stata progettata e costruita per essere uno spazio il più flessibile e accogliente possibile, adatto a ospitare eventi, mostre e conversazioni. L’obiettivo finale è quello di creare un forte legame con la comunità. La flessibilità dello spazio fisico è fondamentale nella strategia del nuovo negozio ed è ciò che i retailer online non potranno mai offrire”. Parole che trovano conferma nei risultati ottenuti dopo la riapertura: nel primo

mese le vendite sono salite del 40% rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente e si è registrata un’affluenza di settantamila visitatori. LA SOLUZIONE I server utilizzati da Galleria Rizzoli impiegano processori Intel Xeon E5 2620 v2 e gestiscono il flusso di contenuti video trasmessi sui maxi-schermi. I dieci Acer Iconia Tab da 8 pollici, con processore Intel Atom Z3745, permettono ai clienti di consultare il catalogo della libreria. I sette mini-Pc a disposizione del personale del negozio utilizzano processori Intel Core i3 e i5 di quarta generazione. I tablet MyMaga (i modelli Flux e Flux Mini) dell’area bimbi impiegano, invece, piattaforma Intel Atom Z2520.


ECCELLENZE.IT |

Azienda Energetica Reti

IL DATA CENTER FA RIMA CON EFFICIENZA E LEGGEREZZA LA SOLUZIONE La dotazione server è stata razionalizzata in un unico blade Fujitsu Primergy BX900, affiancato da quattro sistemi rack. L’infrastruttura comprende ora venti server fisici e 150 virtuali, gestiti in ambiente Vmware vSphere Esx 5.5. Il rinnovamento ha riguardato tutte le componenti del data center, inclusi storage, connettività, Ups e condizionatori.

La società attiva nella produzione, distribuzione e vendita di elettricità e gas in Alto Adige, nonché nella manutenzione dell’illuminazione pubblica, ha scelto le tecnologie Fujitsu per ridurre il numero dei server.

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n data center più grande non significa necessariamente maggiore capacità di calcolo, archiviazione e gestione dei dati. L’altoatesina Azienda Energetica Reti – Etschwerke Netz (AEWne) è un esempio di come con un hardware più nuovo e con la virtualizzazione si possa ridurre la dimensione “fisica” delle infrastrutture a fronte di un aumento di potenza di calcolo e di un taglio di costi. Parte di Gruppo Azienda Energetica, storica realtà fondata nel 1897, oggi AEWne conta 215 dipendenti e si occupa di produzione, trasporto, distribuzione e vendita di energia elettrica, nonché di distribuzione e vendita di gas e riscaldamento e della manutenzione dell’illuminazione pubblica intorno a Bolzano e Merano. Due anni fa la utility ha deciso di modernizzarsi assecondando tre necessità: ampliare lo spazio a disposizione di applicazioni e dati, migliorare capacità di gestione e bilanciamento dei carichi

e ridurre lo spazio fisico occupato dai server, una quarantina. “Oltre ad avere una sala server saturata dalla presenza di macchine fisiche”, ricorda Massimiliano Baldessarini, amministratore di rete e di sistema di Azienda Energetica Reti, “non tutte le risorse erano situate nel data center e questo ne complicava la gestione. Inoltre i sistemi avevano raggiunto il termine del loro naturale ciclo di vita”. L’obiettivo di svecchiamento dell’hardware è stato raggiunto con Fujitsu e con un progetto durato meno di nove mesi, dal bando di gara al kick off. “Avevamo individuato nelle configurazioni blade la soluzione ideale per soddisfare le nostre esigenze”, spiega Baldessarini, “e abbiamo optato per la proposta di Fujitsu perché rispondeva pienamente alle priorità che avevamo individuato, garantendoci la possibilità di crescere nel tempo, oltre a offrire una piattaforma tecnologica allo stato dell’arte e una notevole

facilità di gestione anche da remoto”. Grazie ai consulenti di Advnet sono state selezionate le configurazioni più appropriate per i nuovi server, per poi pensare all’integrazione delle componenti di storage e networking. I risultati? Al posto dei quaranta sistemi fisici (e dei sessanta di cui avrebbe bisogno oggi per gestire le sue attività), AEWnet ne usa ora una ventina, associati a circa 150 macchine virtuali. Questo ha permesso di tagliare i costi, di rendere l’infrastruttura It più flessibile e di attivare un sistema di monitoraggio dei consumi. Altri vantaggi riguardano la sicurezza, come la possibilità di centralizzare la gestione degli utenti con Microsoft Active Directory. L’azienda, inoltre, potendo contare sui server virtuali ha già pianificato l’espansione dei servizi per i propri utenti interni (per esempio, per il controllo remoto degli allacciamenti e degli impianti di distribuzione dell’energia). SETTEMBRE 2015 |

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ECCELLENZE.IT |

Dallara

DAI VIRTUAL DESKTOP AI PROTOTIPI (QUASI) PERFETTI La società di progettazione per il settore automotive ha superato le barriere geografiche e moltiplicato la capacità computazionale grazie alla tecnologia di virtual desktop di Citrix.

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al mondo fisico a quello digitale, amplificato e reso più abile dalla virtualizzazione. Dallara Automobili è un esempio di italiano di azienda che ha saputo far crescere le proprie attività e i propri conti grazie alla tecnologia di virtual desktop. Nata nel 1972, è oggi una realtà da 60 milioni di fatturato annuo che non solo rappresenta un vanto italiano nel mondo delle automobili da corsa, ma che ha anche progressivamente allargato il suo business della progettazione, sia per le vetture destinate alla pista sia per quelle ad alte prestazioni che viaggiano su strada. Così l’amministratore delegato, Andrea Pontremoli, riassume la sfida tecnologica affrontata e vinta in tempi recenti: “Siamo LA SOLUZIONE Con l’intervento del system integrator Sinthera, Dallara Automobili ha adottato Citrix XenDesktop su centinaia di postazioni. Nello sviluppo di ogni nuovo prodotto, partendo dalla simulazione computerizzata la percentuale di errore sui modelli è infinitesima rispetto all’impostazione precedente. Questo diverso approccio ha permesso di velocizzare le attività e abbattere i costi.

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passati in pochi anni dall’avere un centinaio di dipendenti e collaboratori ad averne 350. Il numero degli addetti alla produzione non è cresciuto, mentre sono aumentati gli ingegneri e i membri dello staff e quindi, conseguentemente, le postazioni informatiche ad alte performance”. Postazioni da cui è necessario eseguire applicazioni impegnative, come quelle di progettazione dei componenti in fibra di carbonio, quelle per la simulazione dei crash test e per le prove di aerodinamica. Tutta questa attività “digitalizzata” ha acquisito un peso crescente a fianco delle prove empiriche realizzate nella galleria del vento, permettendo di velocizzare e rendere più economiche le fasi di progettazione e verifica dei nuovi prodotti. Due ostacoli, però, si frapponevano tra l’intenzione di diventare più “digitali” ed efficienti e la realizzazione di questi obiettivi: la potenza computazionale e le distanze. E la soluzione a entrambi è stata la tecnologia di Citrix. “Avevamo la necessità di far lavorare insieme su medesimi progetti persone dislocate su sedi diverse, in Italia e negli Stati Uniti”, spiega Pontremoli, “ma anche quella di mettere a disposizione di tutti delle

potenze elaborative che una classica postazione non avrebbe mai potuto garantire”. Dopo una fase di valutazione e di benchmark Dallara ha scelto di affidarsi a Citrix, vendor a cui era già legato per l’utilizzo di altri prodotti. “Il costo dell’implementazione”, ha aggiunto l’amministratore delegato, “rappresenta una piccola frazione rispetto ai benefici che abbiamo ottenuto. Crediamo che la tecnologia sia un elemento abilitatore di business, che ci permette e ci ha permesso di fare cose diverse e nuove”. Così è stato con la virtualizzazione: mentre prima ciascun progettista era legato a una postazione fisica e a un Pc, adesso lavora con un terminale che sfrutta la potenza eleborativa di un sistema fisico, un supercomputer, il quale la distribuisce là dove serve. “Per rendere un’idea dei vantaggi ottenuti”, conclude Pontremoli, “prima ci volevano anche dieci giorni per completare un calcolo crash su un componente in fibra di carbonio, mentre ora tutti i calcoli che eseguiamo stanno sotto le otto ore. Se l’elaborazione è lanciata la sera, al mattino il risultato è pronto e disponibile in Italia e dall’altra parte dell’oceano”.


ECCELLENZE.IT |

Ubi Banca

LA RIVOLUZIONE DELLA BANCA MULTICANALE Per adeguarsi ai clienti, sempre più smart, Ubi Banca ha realizzato insieme a Oracle una soluzione basata su Web che ha cambiato radicalmente la customer experience.

N

el 2014 il Gruppo Ubi Banca ha avviato un progetto globale di innovazione digitale, destinato, tra le altre cose, ad aiutare l’azienda a rispondere meglio ai nuovi stili di consumo dei clienti. La diffusione degli strumenti mobili (smartphone e tablet) e la maggior consapevolezza degli utenti richiedevano infatti modelli diversi di interazione, implementabili con le soluzioni digitali e multicanale in grado di offrire una moderna ed efficace customer experience. Con questi obiettivi ben chiari il team di progetto capitanato da Giuseppe D’Antonio, responsabile dei canali digitali di Ubi Banca, si mette al lavoro, iniziando dal sito Web, dall’internet banking e dal remote selling. “Si trattava del classico gioco win-win”, racconta D’Antonio, “dove può vincere la banca, che guadagna in efficienza, ma anche il cliente, che trova una più vasta e soddisfacente scelta di canali e, in un’ultima analisi, una maggiore qualità del servizio”. Il nuovo “customer journey” richiedeva però l’implementazione di un progetto

LA SOLUZIONE Il progetto di Ubi Banca consiste nel rinnovamento completo dei canali diretti. Sono stati utilizzati diversi prodotti Oracle che vanno dal customer engagement e web content management (Oracle Web Center Sites) a piattaforme tecnologiche prestazionalmente molto evolute (Weblogic ed Exalogic) passando ovviamente per le soluzioni di gestione dei dati strutturati e non strutturati. Il fattore differenziante, unitamente alla piena funzionalità delle singole componenti, è stata l’integrazione end-to-end della piattaforma che ha consentito sviluppi agili e a rischio contenuto. La piattaforma è stata quindi il fattore abilitate di un progetto in continua evoluzione, in grado di portare un rinnovamento continuo a tutti i nuovi canali digitali di Ubi Banca.

decisamente complesso, che coinvolgesse le piattaforme di backoffice e di erogazione dei servizi core, il sistema di Customer Relationship Management e la marketing automation per l’esecuzione di efficaci azioni commerciali. “Per affrontare un compito così difficile”, prosegue D’Antonio, “abbiamo creato un open space concettuale, ma anche fisico, dove abbiamo messo insieme competenze (marketing, commerciali, legali e It) e persone. Abbiamo lavorato per mesi in team, e ancora oggi utilizziamo questa modalità, per noi rivoluzionaria, che ci permette di parlare tutti la stessa lingua. Tra le altre cose, sviluppiamo in casa molte delle applicazioni, basandoci però su soluzioni solide e standard”. Lavorando in regime di sviluppo continuo, Ubi Banca aveva bisogno, per contrasto, di una tecnologia di base consolidata, oltre che di un partner affidabile. Per tutte le attività basate sul Web la scelta cade su Oracle, che garantisce, tra le altre cose, prestazioni elevate, un ecosistema efficace per l’integrazione dei componenti e lo sviluppo applicativo, oltre a una sicurezza intrinseca ovviamente molto apprezzata in ambiente bancario. “Quando siamo partiti”, racconta D’Antonio, “non eravamo percepiti certo come una banca tecnologica: eravamo posizionati sul mercato come istituto solido e tradizionale. In pochi mesi abbiamo colmato il gap, riuscendo a trattenere la clientela più smart. Il livello di penetrazione dell’internet banking ora supera il 55% se consideriamo i conti correnti e il 40% se esaminiamo i clienti, che accedono ai loro conti online con una frequenza mensile piuttosto significativa (da 7 a 10 volte)”. SETTEMBRE 2015 |

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ITALIA DIGITALE

LAVORI IN CORSO PER TRASFORMARE IL PAESE Identità digitale, banda ultralarga, fatturazione elettronica: le voci forti dell’Agenda iniziano a trovare concretezza. Ma il ritardo rispetto all’Europa impone l’ennesima riflessione: imprese e Pa hanno imparato la lezione?

Q

uando, lo scorso giugno, la Commissione Europea ha rilasciato il Digital Agenda Scoreboard 2015, molti addetti ai lavori guardando ai dati relativi all’Italia hanno storto ancora una volta il naso. Perché questo? Presto detto. Se nel suo complesso l’Europa ha leggermente accelerato per raggiungere gli obiettivi fissati per il 2020, il Belpaese si è confermato una lumaca, fermandosi al 25esimo posto su 28 Paesi. Facile e anche condivisibile l’affondo del partito degli scettici: non ci siamo. Eppure a inizio agosto il Cipe ha approvato il piano da 12 miliardi di euro (di cui 7 pubblici e 5 privati) per la banda ultralarga. Annunci e buoni propositi non hanno però partorito (ancora) l’effetto sperato, che è quello di ridurre il gap digitale italiano rispetto a gran parte del Vecchio Continente. La rincorsa che, sulla carta, è scattata con il varo dell’Agenda Digitale nel 2012, si intravede appena. Ma perché, ci siamo chiesti nell’analizzare gli ultimi dati dell’Ocse (vedi articolo a pag. 9), la Penisola fa così fatica a marciare 38

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a passo spedito sulla strada della digitalizzazione? La risposta va ricercata forse in un quadro più ampio di quello italiano. Come ha sottolineato Giancarlo Capitani di Net Consulting, in sede di presentazione dell’ultimo rapporto Assinform, nel 2014 la crescita della spesa in tecnologie su scala europea è stata contenuta perché “la digitalizzazione non è ancora vista come lo strumento per superare la crisi e tornare a correre”. Applicata al nostro Paese, questa considerazione si specchia nei dati di consuntivo del mercato Ict (in discesa dell’1,4% rispetto al 2013) e nelle cause

della flessione degli investimenti degli ultimi anni. Cause che secondo Capitani sono essenzialmente due: il deficit di crescita di piccole imprese (fino a 49 addetti) e mercato consumer e la staticità di settori come servizi, distribuzione e, soprattutto, Pubblica Amministrazione. Guardiamo ora al bicchiere mezzo pieno. Le proiezioni per il 2015 lasciano intuire una possibile inversione di tendenza: si prevede un aumento della spesa a fine anno dell’1,1%, verso quota 65 miliardi di euro. E, cosa più importante, la crescita del mercato Ict italiano si spiega con un processo di digitalizza-


zione che è finalmente partito, dice il Rapporto, anche se in modo spontaneo e non ancora sistemico. Le indicazioni più confortanti arrivano quindi da settori nativamente digitali, come quello della pubblicità online, e molto meno da quelli più tradizionali quali il software applicativo e l’hardware. La trasformazione digitale è però l’obiettivo primario delle imprese italiane e in tale solco si evidenziano i fattori abilitanti del processo di digitalizzazione. Che sono, in ordine sparso, la dematerializzione dei documenti (fattura elettronica), l’adozione dei servizi cloud e delle soluzioni di mobility e l’Internet of Things. La sfida della nuova Agid

Il ritardo accumulato in questi anni nei confronti dell’Europa rimane significativo e si misura nell’incidenza della spesa digitale sul Pil: parliamo di un deficit di 1,7 punti percentuali rispetto alla media dell’Ue a 28. In soldoni, si tratta di circa 23 miliardi di euro non spesi ogni anno. Il governo e la comunità Ict, in altre parole, devono affrontare quell’emergenza digitale che ci mette al 25esimo posto nello Scoreboard. “È un ritardo di sistema”, dice Capitani, “che si articola dalla connettività alle competenze, dal capitale umano all’utilizzo di Internet, fino alla digitalizzazione del settore pubblico”. I rimedi, sulla carta, sono già stati definiti e sono i pia-

L’incidenza della spesa Ict sul Pil è inferiore di 1,7 punti percentuali rispetto alla media dell’Ue a 28. Sono circa 23 miliardi di euro non spesi ogni anno

ni per la banda ultralarga e la crescita digitale. Ma per renderli operativi, come ci ripetiamo da tempo, serve un approccio di tipo sistemico e servono interventi non più procrastinabili. All’Agid vanno dunque dati i poteri per l’execution, un messaggio chiaro che si specchia nel nuovo corso dell’Agenzia per l’Agenda Digitale. Intervenuto in Expo a inizio

luglio alla presentazione del Rapporto Assinform, il numero uno di Agid Antonio Samaritani ha provato a dare sostanza alla sua missione ricordando innanzitutto come il piano di Crescita digitale contenga “la strategia per rendere progettuale le varie azioni e metterle in pratica”. L’Agid, inoltre, sta lavorando “a macchia di leopardo e con una logica di coerenza” sia a progetti di accelerazione (come Italia Login) sia a progetti infrastrutturali abilitanti (come Spid, il sistema pubblico di identità digitale e come la razionalizzazione dei data center in chiave cloud). Le priorità rimangono le stesse di qualche tempo fa: Spid, appunto, e la piattaforma dei pagamenti per dare vita a Italia Login. Anche l’obiettivo ovviamente non cambia, quello di aumentare il livello di utilizzo dei servizi digitali. Come? La ricetta è fatta da vari ingredienti, compresi i provider di diverso tipo, gli sviluppatori e i designer che dovranno fornire supporto attivo per la sperimentazione del-

la nuova piattaforma e portare in tempi brevi le Pa pilota a bordo di Spid. E la riduzione dello spending pubblico? È una sfida che la nuova Agid si sente di affrontare? Sì. Perché, dice Samaritani, “i progetti come Italia Login devono cambiare i rapporti di collaborazione con le società pubbliche, a partire da Consip per le attività di procurement e da Sogei per i servizi Ict”. La sensazione è che ora ci sia un approccio più pragmatico all’attuazione dei piani dell’Agenda; si intuiscono i razionali di un’infrastruttura tecnologica che dovrà gestire circa 30 milioni di utenti e si registra l’intento di voler fare dei progetti digitali degli “apriscatole” di nuovi mercati. La fatturazione elettronica, secondo Samaritani, è un esempio “perché apre lo spazio a soluzioni integrate di gestione contabile e di pagamento e a servizi a reale valore aggiunto”. Un ecosistema virtuoso, insomma, di cui il Paese ha tremendamente bisogno. Gianni Rusconi

LA PA DIGITALE? UN’UTOPIA Il capitolo dedicato al digitale del rapporto “Government at a glance 2015” dall’Ocse, che analizza le capacità e performance delle istituzioni pubbliche, purtroppo parla chiaro. Se l’Italia se la cava con i social network (siamo quasi a metà classifica, con l’account Twitter @Palazzo_Chigi che raduna un numero di follower pari a circa lo 0,3% di tutta la popolazione nazionale) ci sono parametri più importanti che certificano la Penisola come un’entità in grande affanno. Prendiamo per esempio il numero di progetti Ict con valore superiore ai dieci milioni di dollari avviati dal governo centrale: il dato italiano, aggiornato a fine 2014, si ferma sotto i venti, mentre il capofila Messico ne conta 120, la Nuova Zelanda più di 80 e

il Giappone 70. Differenze che si commentano da sole, con l’aggravante che i progetti italiani hanno una durata media superiore ai tre anni e sono quindi esposti, scrive l’Ocse, “a un maggior rischio di fallimento e a un probabile aumento del budget stanziato inizialmente”. Il punto più basso, però, l’Italia lo tocca con la percentuale di persone fisiche che nel 2014 ha utilizzato Internet per interagire con enti pubblici: ci fermiamo al 20%, penultimi in classifica, lontani da una media di poco inferiore al 50%. A livello aziendale va decisamente meglio, perché sono state otto su dieci le imprese che hanno utilizzato il canale digitale per inviare documenti o contattare enti pubblici. Ma siamo ancora sotto la media.

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ITALIA DIGITALE

LA SVOLTA È ANCORA TROPPO LONTANA L’Italia ha il punteggio più basso in fatto di densità digitale e un ecosistema fra i meno sviluppati rispetto al resto d’Europa. Lo dice uno studio di Accenture. Che ci spiega perché siamo in ritardo.

I

l Belpaese è indietro. Il gap italiano è evidente in molti aspetti di quella che Accenture, in uno studio redatto in collaborazione con Oxford Economics, chiama “densità digitale”. Di che cosa stiamo parlando? Di un indice, il “Digital Density and Productivity” per l’appunto, che misura l’impatto delle nuove tecnologie ed evidenzia come un elevato livello di digitalizzazione contribuisca a raggiungere migliori performance economiche, sia a livello di singolo settore sia di intera nazione. Le virtù e la mentalità digitale di un Paese sono scientificamente misurabili attraverso diversi parametri di valutazione (18 nel complesso) che rispondono a quattro domande: quanto le tecnologie 40

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possono creare nuovi mercati e abilitare trasformazioni in quelli esistenti; come le aziende possono utilizzarle a supporto del business; come queste cambiano i processi di procurement e il lavoro; quanto il contesto istituzionale e socioeconomico ne favorisce l’adozione. Una valutazione molto articolata, quella di Accenture, la cui chiave di lettura è però facilmente riassumibile: maggiore è la densità digitale di un Paese, migliori sono le sue prestazioni. L’aumento di dieci punti del Digital Density e il relativo aumento di produttività, facendo un esempio concreto, potrebbero generare una crescita media annua di 0,25 punti percentuali di Pil nei prossimi cinque anni. In un’economia come quella italiana questo significherebbe un

incremento del prodotto interno lordo dell’1,8% entro il 2020. La realtà ci dice invece che l’Italia, oggi, risente pesantemente di un approccio poco incisivo. I segnali del fatto che le imprese riconoscano nel digitale un elemento importante della loro strategia non mancano, ma i benefici scaricati a terra sono pochi, pochissimi. Nonostante alcuni casi di industrie che fanno un uso eccellente delle tecnologie digitali, l’innovazione è ancora poco integrata nei processi aziendali e nel mercato di riferimento. Lo studio parla non a caso di un’economia che è stata lenta a migrare verso il business online, di imprese che sono pigre nell’abbracciare le nuove tecnologie, di consumatori che sono connessi peggio


Aumentando di dieci punti il proprio indice di densità digitale l’Italia potrebbe avere una crescita media annua dello 0,25% del Pil nei prossimi cinque anni

rispetto al resto d’Europa, di un Paese che nel suo complesso fa poco per catalizzare i progressi favoriti dalla digitalizzazione. Il nostro sistema paga dazio anche in fatto di flessibilità organizzativa e del lavoro, nonché di difficoltà di accesso al credito. Aggiungiamo a queste considerazioni un capitale umano avaro di qualificate competenze in It e un livello da record negativo di investimenti in ricerca e sviluppo, ed ecco spiegato perché abbiamo il punteggio di densità digitale più basso rispetto a tutto il campione europeo. E un ecosistema (digitale) fra i meno sviluppati. Da qui la necessità che tutti gli stakeholder collaborino in modo sinergico all’obiettivo di accelerare l’evoluzione. Ma rispetto a quali linea guida?

L’ITALIA S’È DESTA CON IL MANIFESTO? “Digitale per crescere. Manifesto per l’Italia che ci crede”: il vademecum di Assinform va inteso come un “esplicito sostegno all’Italia che sta puntando sull’innovazione per riprendere la via della crescita”. Il documento identifica sette priorità per ognuna delle quali sono previste azioni che coinvolgono istituzioni, imprese e amministrazioni. Si va dalla cultura digitale alla sicurezza, dallo sviluppo di ecosistemi e di reti di collaborazione all’estensione dell’e-business e dell’e-commerce in tutti i settori produttivi, per arrivare alla valorizzazione del capitale necessaria a creare nuova imprenditorialità. Nell’annunciarlo, il presidente di Assinform e Ad di Cisco in Italia, Agostino Santoni, ha disegnato questo scenario: “L’industria Ict non ha compreso ancora l’effetto di consumerizzazione a livello applicativo, mentre è stato già digerito quello a livello di device. Il cloud non è un piccolo disegno

La ricetta per cambiare passo

Technopolis le ha chieste a Marco Morchio, managing director Accenture Strategy ed Expo project lead, secondo cui le azioni necessarie “sono su quattro direttrici e soprattutto devono essere sistemiche, perché la loro efficacia per la crescita dipende da sincronia e collaborazione tra esse”. Si va quindi dal potenziamento dell’uso del digitale nei processi aziendali al cambiamento culturale per aumentare l’adozione di servizi e strumenti fra i cittadini; dall’adeguamento dell’assetto infrastrutturale e regolatorio nella Pubblica Amministrazione a investimenti più decisi sia nell’Internet delle cose sia nell’espansione dell’e-commerce. L’agenda degli interventi per aumentare

infrastrutturale ma il nuovo paradigma infrastrutturale del settore tecnologico. Il modo di scrivere e distribuire software è cambiato e deve interessare tutti i soggetti, Pa compresa”. Indicazioni chiare, concrete, che fanno il paio con la volontà di agire. “Fare cultura digitale”, questa la ricetta del manager, “è andare sul territorio e spiegare agli imprenditori che l’efficienza portata in dote dalla digitalizzazione ha effetti misurati sui costi della macchina pubblica e sulla qualità dei servizi offerti al cittadino e alle imprese”. Ciò che auspica Assinform è una rivisitazione dei processi delle aziende, a partire dalle 550mila imprese del manifatturiero, e il completo ripensamento della struttura pubblica in chiave digitale. “La visione su che cosa si debba fare”, confida Santoni, “l’Italia ce l’ha, è nei piani del governo e nelle strategie delle aziende Ict e dell’industria tutta. E ci sono anche le competenze”.

la “densità” dello Stivale è quindi ricca e secondo Morchio i progressi necessari a livello di infrastrutture (leggi: banda larga) e l’adozione del digitale in specifiche aree “devono accadere di pari passo con gli altri cambiamenti, altrimenti non ci sarà una vera crescita strutturale e in tempi adeguati. Un ruolo fondamentale di accelerazione l’avranno per questo i meccanismi di open innovation collaborativa tra grandi e piccole aziende o startup”. Nel suo complesso quella di Accenture rimane un’analisi impietosa. Cambiare marcia sfruttando il volano delle nuove tecnologie è l’imperativo. Per non considerare pura utopia l’idea di aumentare di dieci punti il nostro indice di densità digitale. G.R. 41


OBBIETTIVO SU | IBM

L’ITALIA CHE VOLA SUL CLOUD Il nuovo data center a certificazione Tier 4 di Ibm, vicino a Milano, è connesso a un network globale di altri quaranta centri gemelli. Per servire le aziende e anche la Pa.

O

ltre duemila metri quadri di superficie e undicimila server, scalabili fino a 15mila. È questa la risposta di Ibm al fabbisogno di servizi cloud dell’impresa italiana. Il colosso statunitense ha infatti inaugurato lo scorso giugno un data center dedicato esclusivamente ai servizi gestiti sulla nuvola, situato tra i comuni lombardi di Cornaredo e Settimo Milanese. Una sala macchine ai massimi livelli di affidabilità, certificata Tier 4 e basata su tecnologia SoftLayer, compagnia votata al cloud e acquisita da Ibm nel 2013. La struttura, realizzata con un investimento di 50 milioni di euro, è parte integrante del campus milanese della compagnia di Armonk,

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costituito da altri cinque data center, ed è interconnessa al centro di Roma per il disaster recovery. La sala macchine appartiene a un network globale di oltre quaranta centri gemelli, collegati a velocità da 10 a 40 Gbps. Il suo compito è quello di servire imprese di ogni dimensione e settore, oltre alla Pubblica Amministrazione e alle agenzie governative. I dati (e i backup degli stessi) presenti nei server risiedono completamente in Italia e il centro può rispondere in modo esauriente alle norme in materia di trattamento delle informazioni e ai bisogni di sicurezza. La sala macchine lombarda è parte di un investimento complessivo di 1,2 miliardi di dollari, realizzato da Ibm a livello globale.


Maurizio Ragusa

IL FABBISOGNO ELETTRICO È DI 4,2 MEGAWATT, MA L'IMPIANTO È SCALABILE FINO A 60.

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OBBIETTIVO SU | IBM

IL DATA CENTER È STATO COMPLETATO DOPO SEI MESI DI LAVORI ED È OPERATIVO DA GIUGNO 2015.

POLO TECNOLOGICO La nuova sala macchine di Ibm, divisa tra i comuni di Cornaredo e Settimo Milanese, è parte di un campus di eccellenza che potrebbe ospitare altri otto data center. Tutti i dati risiedono in Italia e, secondo i piani dell'azienda, entro un anno il centro verrà sfruttato per il 70% da organizzazioni attive nel nostro Paese.

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LA CAPACITÀ DI CALCOLO VIENE ALLOCATA CON MODELLI PAY-AS-YOU-GO: SI SPENDE IN BASE AL REALE UTILIZZO.

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VETRINA HI-TECH

INDOSSABILI AVANTI TUTTA Alcuni limiti tecnologici rallentano l’avanzata dei wearable device, ma l’offerta continua a crescere con modelli di orologi e fitness band sempre più sofisticati e belli.

S

ono la “next big thing” nel campo delle tecnologie rivolte all’utente finale. Ma di grande c’è ancora poco nel fenomeno degli smartwatch, a parte il potenziale e l’aspettativa che aleggiano su questa categoria di prodotto in attesa del boom. Pur ancora non esplosivi, i numeri sono però in forte crescita: secondo i dati di Idc, nel primo trimestre di quest’anno sono stati smerciati 11,4 milioni di dispositivi indossabili (categoria che include gli orologi smart ma anche i più economici fitness band e altri gadget dotati di sensori), con un incremento del 200% rispetto all’anno precedente.

Quanto al valore del mercato, per i wearable device nel loro complesso le stime di ImSearch scommettono sul superamento dei 6 miliardi di dollari già nel 2016. Il traino di Apple Watch

Molte delle attese stanno sulle spalle dell’Apple Watch, il modello tecnologicamente più avanzato e l’incarnazione di un marchio che ha spesso fatto da apripista. Anche in questo caso, pur essendo l’azienda di Cupertino arrivata sui polsi degli utenti dopo Sony, Samsung, Lg e altri vendor, gli analisti affidano alla Mela la responsabilità di far cresce-

re questo mercato sia dal punto di vista dell’innovazione, sia della domanda. Uno dei filoni evolutivi riguarda il design, la leggerezza e la bellezza di oggetti che non devono essere solo utili ma anche un vanto da sfoggiare, e che quindi stanno diventando più sottili e personalizzabili (scegliendo il colore e il materiale del cinturino) e sempre più simili a un orologio classico. La sfida principale riguarda però l’autonomia: in buona sintesi, chi oggi compra uno smartwatch deve rassegnarsi a metterlo in carica ogni notte per poterlo utilizzare il giorno dopo. L’altra area di miglioramento è quella delle funzionaSETTEMBRE 2015 |

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VETRINA HI-TECH

L’INVASIONE DELLA REALTÀ VIRTUALE Il “sogno dimenticato” degli anni Novanta, oggi tornato in voga, sarà presto destinato a esaudirsi: la realtà virtuale diventerà un fenomeno di massa. Ne è convinto TrendForce, ennesimo osservatore pronto a predire un boom per i visori e per i contenuti di realtà immersiva 3D. Secondo le sue stime, dai 14 milioni di dispositivi che saranno venduti nel 2016 si passerà a 22 milioni nel 2018 per poi arrivare a 38 milioni nel 2020. La crescita sarà dunque

lità, legate al corredo di sensori integrabili nella cassa dell’orologio ma anche al numero di applicazioni disponibili per ciascun sistema operativo. Con uno smartwatch oggi si può, a seconda dei modelli, tenere traccia del proprio consumo calorico, della salute del cuore o della qualità del sonno; si può trovare la strada sfruttando il Gps o avere sott’oc-

più accelerata verso la fine del decennio, ma il punto di svolta è già collocabile nei prossimi dodici mesi. A fare da traino ci saranno i contenuti (e i soldi) dell’industria del gaming e dell’intrattenimento, ma anche una maggiore domanda favorita dal calo dei prezzi dei visori. I nomi in pole position sono quelli di Sony (con Project Morpheus), Facebook (con Oculus), Samsung (Gear VR) e Htc (con un prodotto atteso entro la fine dell’anno).

chio gli appuntamenti in agenda; si può far partire una telefonata tramite comando vocale o essere avvisati in tempo reale della ricezione di un’email. La bellezza della scelta

Fra i modelli di punta, più belli o più evoluti, spiccano i nomi di Apple ma anche di Asus, Garmin, Samsung,

Sony, Lg, Motorola. La scelta non riguarda più soltanto il sistema operativo (iOS, Android Wear, Tizen e altri) o la forma del quadrante, ma anche i colori e materiali del cinturino. La personalizzazione è uno dei concetti su cui fanno leva i produttori, arrivando – nel caso dello Zen Watch di Asus – a proporre un centinaio di diverse schermate che l’utente può impostare e modificare in base al suo umore o abbigliamento. Il premio per l’eleganza spetta forse all’Lg G Watch Urban, racchiuso in una sottile cassa in acciaio e dotato di cinturino in vera pelle impunturata: un accessorio di moda, ancor prima che di tecnologia, tant’è che la sua versione rosé viene venduta in gioielleria. Fra le ultime novità, già presentate ma ancora non disponibili sul mercato, c’è Huawei Watch. Le indiscrezioni parlano di un prezzo intorno ai 400 euro per un dispositivo che vanterà uno schermo circolare Amoled con risoluzione 400x400 pixel e rivestimento in vetro zaffiro. Valentina Bernocco

APPLE WATCH

ASUS ZEN WATCH

LG WATCH URBAN

Display: 1,5” o 1,7”, 312x390 pixel

Display: 1,63“, 320x320 pixel

Display: 1,3”, 320x320 pixel

Funzioni: Bluetooth, WiFi, notifi-

Funzioni: Bluetooth, notifiche,

Funzioni: Bluetooth, WiFi, notifiche,

che, navigatore, sensore cardiaco,

comandi vocali, sensore cardiaco,

comandi vocali, navigatore, sensore

monitoraggio attività fisica, gallerie

monitoraggio attività fisica, controllo

battito cardiaco, monitoraggio attività

fotografiche, controllo del lettore

remoto fotocamera del telefono,

fisica, lettore musicale indipendente e

musicale dell’iPhone

lettore musicale

controllo del lettore dello smartphone

Peso: 81 grammi

Peso: 50 grammi

Peso: 64 grammi

PREZZO: DA 669 EURO

PREZZO: 199 EURO

PREZZO: DA 349 EURO

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PERSONAL TRAINER A PORTATA DI POLSO Non tutti amano l’idea di uscire a fare jogging o di allenarsi in palestra con un dispositivo troppo pesante (e costoso) al polso. Per gli sportivi l’alternativa più leggera ed economica agli smartwatch è rappresentata dai fitness band, la cui offerta attuale copre una miriade di marchi, prezzi e funzioni. Colorato e impermeabile, il Vivofit 2 può essere indossato anche sotto la doccia e permette di monitorare l’attività fisica, il consumo calorico e la qualità del sonno. E funziona anche da “motivatore”, perché consente di impostare programmi di allenamento e inoltre pungola l’utente (con un segnale acustico) quando costui è fermo da troppo tempo. Il prezzo si aggira intorno ai cento dollari, mentre chi volesse spendere qualcosa in meno può orientarsi su Jawbone: il marchio propone modelli dall’aspetto davvero molto simile a

MOTOROLA MOTO 360

un bracciale e capaci di arrivare fino a dieci giorni di autonomia. Microsoft Band è invece una proposta che fa da collante fra gli smartwatch veri e propri e i bracciali fitness. Il suo punto di forza non sta né nel design né nell’autonomia (due giorni), bensì nel corredo di tecnologie che rac-

chiude: tre accelerometri, giroscopio, Gps, un sensore di luminosità, uno di prossimità, misuratore di battito cardiaco, termometro, rilevatore di raggi Uv, microfono e un sensore che misura la risposta galvanica della pelle (per controllare i livelli di sudorazione o di stress).

SAMSUNG GALAXY GEAR S

Display: 1,56”, 320x290 pixel

Funzioni: Bluetooth, WiFi, 2G/3G,

SONY SMARTWATCH 3

Funzioni: Bluetooth, notifiche,

notifiche, comandi vocali, telefonate

Display: 1,6”, 320x320 pixel

scanner, comandi vocali, navigato-

(con auricolare Bluetooth), navigato-

Funzioni: Bluetooth, notifiche, coman-

re, sensore cardiaco, monitoraggio

re, sensore battito cardiaco, monito-

di vocali, navigatore, monitoraggio

Display: 2” (curvo), 360×480 pixel

attività fisica

raggio attività fisica, lettore musicale

attività fisica

Peso: 49 grammi

Peso: 67/84 grammi

Peso: 45 grammi

PREZZO: 249 EURO

PREZZO: 399 EURO

PREZZO: 229 EURO

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VETRINA HI-TECH

LO SMARTPHONE SI FA SEMPRE PIÙ GRANDE Il Galaxy S6 Edge+ di Samsung abbina qualità estetiche a doti funzionali e usabilità con uno schermo decisamente più ampio del suo predecessore. Rimane l’handicap dell’assenza dello slot Micro Sd.

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| SETTEMBRE 2015

È stato lanciato in coppia con il Galaxy Note 5, che non arriverà per il momento in Italia, ed è la versione evoluta ed allargata dell’S6 Edge, di cui conserva l’estetica di base e i materiali di pregio (alluminio e vetro). Uno dei suoi punti di forza è sicuramente il display. Per il suo nuovo smartphone ammiraglia, il produttore coreano ha pensato infatti a uno schermo da 5,7 pollici (contro i 5,1 del primo S6 Edge) a risoluzione Quad Hd Super Amoled da 2.560×1.440 pixel (518 punti per pollice). Le dimensioni ultralarge si combinano con lo spessore assai ridotto (6,9 mm) e con il fattore “dual edge” dell’apparecchio: la curvatura dei bordi su entrambi i lati, per garantire la buona maneggiabilità del dispositivo anche con una sola mano. Con uno swipe del pollice, per esempio, si potrà accedere (visualizzandoli in verticale) ai cinque contatti preferiti e alle cinque applicazioni più frequentemente utilizzate operando sulla “linguetta” (il cosiddetto dock, sempre disponibile e non solo sulla schermata home) posizionata su uno dei due lati esterni del telefono. Molto curata è la componente multimediale dell’S6 Edge+. Alle avanzate capacità di video recording (l’obiettivo si fregia di uno stabilizzatore ottico anche per i filmati) che griffano la fotocamera con sensore da 16 megapixel (quella secondaria arriva a 5 megapixel) fanno infatti eco quelle garantite dalla funzione Live Broadcast, che assicura nell’arco di pochi secondi la riproduzione in streaming su YouTube di un filmato appena registrato con il telefonino. Nel cuore dell’apparecchio operano un nuovo processore proprietario Exynos 7420 a 64 bit e otto “cervelli”

da 14 nanometri, coadiuvato da una memoria Ram di 4 GB (rispetto ai 3 GB dell’Edge), e l’ultima versione di Android, la 5.1.1 Lollipop corredata dall’interfaccia proprietaria TouchWiz, alla voce sistema operativo. Lo spazio di archiviazione interno è di 32 o 64 GB. Potenza di elaborazione e spazio per archiviare “on board” video, foto e documenti quindi non mancano ma l’assenza dello slot Micro Sd rimane una pecca nonostante la presenza di memorie Ufs (Universal flash storage) 2.0, ben più veloci in lettura e scrittura delle schede Secure Digital. La batteria da 3.000 mAh, infine, offre una più che buona autonomia e si può ricaricare in modalità wireless in soli 120 minuti, un tempo inferiore del 27% rispetto a quello necessario per riempire completamente di energia il “vecchio” S5. Per farlo serve però una tavoletta di ricarica da acquistare separatamente. LE CARATTERISTICHE A COLPO D’OCCHIO Sistema operativo: Android 5.1 Connettività: 4G Lte Cat.9/Cat.6 Processore: Exynos Octa core da

2.1GHz Quad + 1.5GHz Quad Memoria: 4 GB di Ram, 32/64 GB Ufs 2.0 Schermo: 5.7” Quad Hd Super Amoled da 2560 x 1440 pixel (518ppi) Fotocamera: posteriore da 16 MP (F1.9) e frontale da 5MP (F1.9) Batteria: 3.000 mAh Sensori: Accelerometro, giroscopio, lettore di impronte digitali, barometro Dimensioni: 154.4 x 75.8 x 6.9 mm Peso: 153 grammi PREZZO: CIRCA 800 EURO



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