I Quaderni di Technopolis N°6

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NUMERO 06 | APRILE 2016

Storie di eccellenza e innovazione

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Scenari Strategia cercasi fra ritardi, promesse e governance

Tecnologie Il circolo virtuoso della rivoluzione robotica

Esperienze La manifattura intelligente della Motor Valley

Industria 4.0 DALLA PROGETTAZIONE ALLA LOGISTICA, IL DIGITALE STA CAMBIANDO IL MODO DI IMMAGINARE LA FABBRICA


SCENARI

Strategia cercasi fra promesse e ritardi Il 2016 sarà veramente l’anno buono per avviare in Italia i lavori della quarta rivoluzione industriale, recupendo il gap con gli altri Paesi? I temi e i propositi sul tavolo del Governo ci sono, ma un vero piano d’azione ancora no.

Testo di Gianni Rusconi

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l 2016 sarà, forse, l’anno in cui verrà definito e reso pubblico il documento di posizionamento strategico del Governo dedicato al tema della digitalizzazione del manifatturiero. Se tale documento dev’essere il primo passo per recuperare un gap temporale enorme (parliamo di diversi anni) rispetto ai Paesi, Germania in primis, che rappresentano il riferimento competitivo per le nostre imprese, la strada da percorrere appare tremendamente in salita. Perché le aspettative, per una svolta innovativa del tessuto industriale italiano, sono grandi e perché, al momento in cui scriviamo, la strategia Industry 4.0 è da mesi sul tavolo del Ministero dello Sviluppo Economico. O meglio, giace ancora in qualche cassetto. Il documento in questione doveva essere pubblicato il luglio scorso, per quindi fare capolino 52

al Digital Day di Venaria dello scorso novembre e, poi, trovare spazio alla tre giorni degli Stati Generali dell’Industria di fine febbraio. E invece nulla. Anche l’occasione dell’Internet Day del prossimo 30 aprile potrebbe venire meno a causa delle dimissioni di Federica Guidi, colei che della strategia Industry 4.0 si era fatta portavoce anche nei recenti colloqui con il commissario Ue, Gunther Oettinger. Allo stato attuale siamo fermi all’indagine conoscitiva avviata dalla Camera, in attesa del possibile nuovo “colpo di teatro” del premier Renzi. La realtà dei fatti ci dice, oggi, che manca una chiara visione, condivisa e strutturata su quali azioni il Paese debba intraprendere per la trasformazione in chiave digitale della manifattura. Quali i comparti interessati per primi? Con quali modalità occorre intervenire?

Con quali priorità e con quali risorse? Stefano Firpo, direttore generale per la politica industriale e la competitività del Mise, ha ribadito ancora di recente come Industria 4.0 sia “l’ultima sfida per rilanciare la produttività, una sfida che il nostro Paese sta clamorosamente perdendo”, e come la ricetta da seguire sia quella di “non creare solo valore aggiunto, ma anche aumentare produzione e occupazione”. Il progresso tecnologico e quello dei processi manifatturieri in Italia è in fase di prolungato stallo, mentre il divario con i maggiori competitor europei (come ricorda lo stesso Firpo) si è allargato, superando abbondantemente i dieci punti percentuali. Come si può invertire la tendenza? Interpretando i suggerimenti dettati dall’esperto del Mise, la strategia Industry 4.0 dovrebbe innanzitutto puntare


SCENARI

sulla crescita dimensionale del sistema imprenditoriale, perché è nelle micro e piccole aziende che si annida la principale causa del ritardo digitale italiano. In secondo luogo, si dovrebbe modificare l’attuale sistema di allocazione del credito, oggi inefficiente e riflesso di una politica di investimenti troppo rivolta ai capannoni e alla capacità produttiva tout court (oggi inutilizzata) e troppo poco alla ricerca e all’innovazione. Ma a pesare sull’Italia, conclude Firpo, c’è soprattutto un ritardo nella digitalizzazione del sistema produttivo, provocato dai bassissimi investimenti in capitale informatico. Senza le tecnologie è difficile, anzi impossibile, arrivare a un ecosistema interconnesso in cui far cooperare le risorse produttive (macchine, persone e informazioni) lungo l’intera catena di

fornitura, cambiando il modo di fare impresa e di organizzare il lavoro. In particolare, focalizzandosi sul superamento della tradizionale divisione fra prodotto e servizio. Tante eccellenze, poche certezze Dal Mise, in buona sostanza, arrivano un’analisi molto chiara della problematica e la conferma che l’azione di politica industriale del Governo abbia come obiettivo primario il recupero di produttività. Lo snodo cruciale è quello di superare lo stallo di governance che adombra oggi la strategia Industry 4.0, identificando da subito le fonti da cui attingere i 10 miliardi di euro di investimenti annui aggiuntivi. Questa, secondo le stime del Mise, è la cifra che serve per cogliere nell’arco del prossimo quinquennio la prime opportunità del processo di tra-

sformazione digitale del manifatturiero. Palazzo Chigi vuole far operare in modo sinergico manifattura, finanza e tecnologie: una strategia che appare logica e coerente. Ma fra promesse mancate, ritardi, carenze di governance e di progettualità, al momento i dati certi da cui ripartire sono pochi. Fra questi, il fatto che nel settore delle macchine utensili, della robotica e dell’automazione (uno dei fiori all’occhiello della manifattura italiana) il nostro Paese sia solo il terzo esportatore al mondo, dietro Giappone e Germania. L’industria italiana, tra valore diretto e servizi indotti, genera oltre il 50% del Pil ed esibisce a ragione numerose eccellenze. Per eccellere anche in futuro in settori segnati in modo indelebile dalle tecnologie digitali bisogna, però, fare un grande passo in avanti. Subito, e cominciando dalle Pmi. 53


SCENARI

La partita della digitalizzazione si vince guardando all’Europa Industry 4.0 è una sfida da giocare sia a livello di singoli Paesi, sia su base comunitaria. Il nodo centrale sono gli investimenti in NUOVE TECNOLOGIE. Ecco che cosa NE pensano a Bruxelles. Testo di Piero Aprile

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ell’ultimo “Quadro di valutazione dell’innovazione” pubblicato dalla Commissione Europea emerge un allarme che non può passare inosservato, parlando di quarta rivoluzione industriale: quasi la metà delle imprese manifatturiere del Vecchio Continente non ha ancora utilizzato tecnologie di produzione avanzate, né ha intenzione di ricorrervi nel prossimo anno. Eppure diversi studi di società specializzate (come quello di Roland Berger, che citiamo nel box di pag. 55) dicono come l’iniezione di cospicui investimenti per Industry 4.0 porterebbe un valore aggiunto all’economia di centinaia di miliardi di euro , oltre a milioni di nuovi posti di lavoro. Manifattura additiva e stampa 3D, robotica e comunicazioni machine-to-machine sono solo alcune delle facce della rivoluzione digitale che sta interessando il settore produttivo e che dovrebbe via via portare all’integrazione delle nuove tecnologie

nei processi industriali. Come ben sappiamo, si tratta di un “work in progress” lungo e articolato ed è altrettanto chiaro come gli organismi comunitari abbiano particolarmente a cuore la problematica, tanto da destinare al tema dell’industria 4.0 circa 500 milioni di euro per i prossimi cinque anni, attingendo tali risorse dai fondi per la ricerca di Horizon 2020. L’agenda delle cose da fare su base nazionale è scritta da tempo – e spazia da interventi in materia finanziaria a quelli di ordine infrastrutturale, per arrivare al nodo irrisolto della mancanza di competenze – e l’imperativo è quello di accelerare per trasformare i progetti in piani operativi e concreti. L’Italia, più di ogni altro Paese fra quelli di prima fascia, è nella condizione di non poter più aspettare a cambiare passo. Per questo non solo l’Ue ma l’Europa tutta deve diventare un alleato vitale per vincere la partita della quarta rivoluzio-

INVESTIMENTI MILIARDARI PER L’IOT NEL MANIFATTURIERO Secondo lo studio “The IoT in Manufacturing Report” di Business Insider, nel 2015 le imprese attive nel comparto manifatturiero hanno investito a livello globale 29 miliardi di dollari per soluzioni legate all’Internet of Things. Numeri importanti e destinati a salire fino a 70 miliardi nel 2020. Gli oggetti connessi vengono impiegati oggi nell’industria per tenere traccia dei processi produttivi, rafforzare le control room e aumentare le capacità di analytics per la manutenzione predittiva. A detta degli analisti ci sono, però, ancora quattro grandi barriere che ostacolano l’adozione dell’IoT nelle fabbriche: la crescita dei cyberattacchi, la difficoltà di determinare il ritorno sugli investimenti, i problemi di carattere tecnologico e la riluttanza ad affidarsi all’automazione, che porterebbe al taglio della forza lavoro.

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ne industriale. Abbattendo i soliti e mai produttivi campanilismi. Khalil Rouhana, director for components and systems Dg Connect alla Commissione Europea, è intervenuto lo scorso marzo all’edizione 2016 del Mecspe di Parma offrendo un’interessante chiave di lettura del percorso di digitalizzazione che si appresta a compiere l’Ue nel comparto manifatturiero. Il piano strategico quinquennale varato da Bruxelles questo mese prevede 500 milioni di euro di risorse destinate a favorire l’accesso alle più recenti tecnologie a tutte le imprese (comprese quelle di piccole e medie dimensioni) e a generare investimenti in digitalizzazione da parte dell’industria per un controvalore di cinque miliardi. In ballo ci sono complessivamente 20 miliardi di finanziamenti che dovranno agevolare partnership pubblico/privato finalizzate all’innovazione del tessuto


SCENARI manifatturiero europeo, trovando sponda in diverse altre azioni da intraprendere a livello di standard, quadro normativo e mercato del lavoro. In tema di occupazione, in particolare, all’Europa mancheranno “circa 800mila professionisti digitali entro il 2020”, a detta del funzionario. Serve una piattaforma unica E l’Italia? Rouhana ci vede indietro nel processo di digitalizzazione dell’industria, ma promuove l’azione del Governo, dicendosi ottimista circa il fatto che potrà dare buoni frutti per colmare il gap e far uscire la Penisola dal gruppo dei Paesi attendisti. Ancora più convinto è nel ricordare la “piena convergenza in seno alla Commissione Europea circa l’analisi degli osservatori/operatori sul tema industria 4.0: siamo certi che questa nuova rivoluzione sia, per tutta l’Unione

e soprattutto per l’Italia, un’opportunità unica per espandere la base industriale”. Una rivoluzione che porta come elementi di discontinuità la completa integrazione delle tecnologie informatiche con tutti i processi economici/produttivi e il concetto “digital inside”. Si nota, spiega ancora Rouhana, “uno sconfinamento sempre più evidente tra ciò che è digitale e il non-digitale, nell’ottica di rispondere a specifiche richieste del mercato in fatto di maggiore sicurezza, efficienza e intelligenza nei prodotti”. Ed è proprio qui che sta la rivoluzione: nel produrre di più ma anche nell’aggiungere valore ai prodotti che già si fabbricano, coniugando la logica del servizio abbinato al bene materiale e aprendo le porte a nuovi attori come gli intermediari tra offerta e consumatori. Per raggiungere tale obiettivo, secondo Rouhana, va rafforzata la trasversalità

della catena del valore, stando attenti a non lasciare indietro anche solo un anello, con il rischio di vanificare l’intera opera. Ma va creata anche un’altra catena, una catena digitale, fatta di tecnologie e legami forti. Le fondamenta ci sono, e basti pensare che l’Europa produce il 35% del software embedded per uso industriale e un terzo dell’offerta mondiale di robotica. Quello che manca è, invece, una piattaforma digitale condivisa. “Bisogna mettere in campo una strategia unica su standard e normative, gestendo questi i due elementi a livello europeo per accelerare il corso della digitalizzazione”, conclude Rouhana. Che non poteva esimersi dal ricordare come fra i driver di questa accelerazione ci sia il cosiddetto “Digital Single Market”, uno dei punti cardine della strategia voluta dall’attuale direttivo della Commissione Europea.

UNA CHANCE IMPERDIBILE Un tempo cuore pulsante del manifatturiero mondiale, l’Europa occidentale ha perso negli ultimi due decenni il 10% di quota di mercato in favore delle economie emergenti: i Paesi in via di sviluppo detengono oggi il 40% della produzione manifatturiera globale, per un giro d’affari di oltre 6.500 miliardi di euro. L’Europa si ferma invece al 25% ma grazie all’Industry 4.0 ha ancora una (forse l’ultima) occasione di rilancio. E anche l’Italia può giocare un ruolo determinante in questa partita. Ne sono convinte le società di consulenza Roland Berger e Boston Consulting Group, i cui analisti si sono presentati a febbraio davanti alla commissione Attività Produttive della Camera dei Deputati. Secondo gli esperti, per recuperare terreno l’Europa dovrà investire 60 miliardi di euro in più all’anno, mentre la stima per il nostro Paese è di 5-6 miliardi. Una recente indagine condotta da Staufen Italia su un campione di circa 200 realtà manifatturiere nostrane rivela, però, che il 70% delle aziende oggi non si è ancora posto il problema del passaggio alla quarta rivoluzione industriale.

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SCENARI

Percorso a ostacoli verso la nuova industria

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’è chi è convinto che serva un modello “puro”, tutto italiano, per la digitalizzazione della manifattura nazionale. Non appiattito sull’esempio tedesco o su quello americano, bensì frutto dell’evoluzione di un tessuto industriale per certi versi unico. Ma è proprio vero che non vi sono esempi da cui prendere spunto? E ci riferiamo alla Germania e al suo programma Industry 4.0 (a cui concorrono in modo sinergico aziende fornitrici di automazione come Siemens e Bosch, vendor Ict come Sap e centri di eccellenza come il Fraunhofer Institute), ma anche agli Stati Uniti e all’Advanced Manufacturing Partnership (che coinvolge aziende manifatturiere del calibro di P&G e Caterpillar, enti di ricerca e grandi nomi dell’information technology quali Cisco, Hp, 56

Intel e Ibm). Quel che è certo è che, se l’obiettivo è quello di creare una “smart manufacturing platform” per integrare dati e orchestrare i processi di business di tutte le imprese della filiera, serve una strategia comune puntata in questa direzione. Una strategia che all’Italia, pur sempre la seconda industria manifatturiera d’Europa e tra le prime dieci al mondo, ancora manca. Technopolis ne ha parlato con Andrea Bacchetti, del Rise (Research & Innovation for Smart Enterprises) dell’Università di Brescia. È vero che la strategia Industry 4.0 del Governo è in stallo? È difficile giudicare. Il continuo rimbalzo di responsabilità fra il Mise e Palazzo Chigi e la confluenza nel piano di altri tavoli di lavoro, partiti in contemporanea,

non ha aiutato. La gestione centralizzata di quattro progetti convergenti è una buona idea, ma la realtà dice che a oggi probabilmente non c’è neppure una bozza del piano strategico. Eppure i benefici di Industry 4.0 sono noti: un aumento su base annua dell’1% del Pil e 400mila nuovi posti di lavoro. Si parla di modello italiano… Forse è una rivendicazione puerile. Prendere spunto dai progetti avviati negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Germania, assumendone i vantaggi e pescando elementi funzionali al nostro contesto, sarebbe molto utile alla causa. Usa e Uk sono realtà totalmente diverse dalla nostra a livello di tessuto industriale, mentre la Germania è molto polarizzata e vicina alla penetrazione delle nostre Pmi.


SCENARI

IL PARADIGMA DELLA “SERVITIZZAZIONE”

LA STRATEGIA INDUSTRY 4.0 DEL GOVERNO è ANCORA in stallo. intervenire è possibile, anche ispirandosi ai modelli esteri.

Testo di Gianni Rusconi Le medie imprese tedesche, però, sono di norma organizzate con un management esterno alla proprietà, quelle italiane no e risentono del fallimento dei tanti progetti di reti, distretti e cluster di impresa. Paghiamo lo scotto di un limite culturale che, forse, verrà superato in futuro. Quale può essere la scintilla per far scattare il momento di Industry 4.0 in Italia? E chi potrebbe accenderla? Il governo tedesco ha messo sul tavolo nel 2012 circa 300 milioni di euro, delineando come si debba cavalcare il futuro della manifattura attraverso tecnologie come l’IoT, le stampanti 3D e le interfacce uomo macchina. Nel nostro Paese il livello di adozione delle nuove tecnologie è basso e mediamente arretrato. Scontiamo un ritardo significativo, dal 50% al

L’industria sta conoscendo una trasformazione radicale, contrassegnata da un’importanza sempre maggiore riservata ai servizi. E l’ingresso del digitale nelle imprese ne è la prima causa. Usando i dati e l’intelligenza degli oggetti sarà presto possibile modificare anche il modello di utilizzo di un prodotto, vendendo i singoli componenti in un’ottica “as-a-service”: macchinari a consumo, lavatrici come voci della bolletta dell’energia elettrica e così via. Si parla non a caso di “servitizzazione”, e cioè del processo attraverso il quale un prodotto viene proposto e venduto in combinazione con un servizio. I costruttori di macchine industriali che sfruttano con successo i servizi, per esempio, possono creare modelli di business innovativi e generare ricavi in base a risultati concreti, come la disponibilità degli impianti. Un nuovo paradigma, dunque, una trasformazione che sta investendo più o meno tutte le aziende manifatturiere, se è vero che l’86% di esse mette ormai al centro della propria strategia di crescita il passaggio dai modelli di ricavo centrati sul bene fisico a quelli orientati al servizio. Il dato in questione emerge dalla ricerca “The digital manufacturer: resolving the service dilemma”, condotta da Cisco su 625 responsabili di aziende manifatturiere di 13 Paesi (Italia inclusa). La chiave di volta, come detto, è il digitale, con la sua capacità di innescare la trasformazione. Il 79% dei professionisti intervistati è convinto che nei prossimi tre anni questo approccio porterà un cambiamento moderato o importante nelle loro imprese, mentre il 93% crede che i modelli di ricavo orientati ai servizi dipenderanno in maniera determinante dalle nuove tecnologie, tra cui domineranno cloud, IoT e analytics. Se la strada sembra segnata, molte realtà del manifatturiero stanno però conoscendo serie difficoltà nella transizione verso il “modello servizi”, o comunque non si stanno muovendo abbastanza rapidamente. L’ostacolo principale, evidenziato dal 34% dei manager, è un’eccessiva complessità nella gestione del ciclo di vita di prodotti e servizi. Seguono una maggiore dipendenza dai fornitori (citata nel 30% dei casi) e la difficoltà nel realizzare un modello in cui si vendono i due elementi contemporaneamente (nel 23%).

100% in alcuni casi, rispetto ai Paesi guida. E non credo possano essere i “digital champion” a risolvere un problema che è strutturale. Che cosa serve, allora, per invertire la tendenza? Servono tante cose. Il tema chiave è forse quello delle competenze presenti in azienda: sono necessarie, cioè, una riconfigurazione degli skill attualmente disponibili e una riforma del sistema scolastico in proiezione futura, più che sgravi fiscali sulla tecnologia da acquistare e installare. Lavorare sugli incentivi per favorire gli investimenti è sicuramente un passo ma anche la semplificazione del quadro normativo ha la sua importanza, seppure non sia questo oggi il freno inibitore per lo sviluppo di Industry 4.0.

Una ricetta per evitare che il gap italiano si allarghi ulteriormente? È necessario pensare a un progetto di sistema che deve attecchire a livello di imprese e di centri di ricerca, oltre che in chiave istituzionale. Faccio un esempio: nel 2012 è partito il cluster “Fabbrica Intelligente”, ma non è chiaro che cosa abbia fino a ora prodotto e che cosa voglia produrre. È un’iniziativa sporadica e isolata, priva del coinvolgimento delle istituzioni. Si dovrebbero invece mettere a fattor comune le dieci migliori università italiane e le innovazioni cui questi soggetti hanno dato vita nel tempo, magari con il patrocinio del Miur, che mai si è mosso in tal senso. Se non cambiamo approccio corriamo il rischio di una dispersione di risorse e di risultati che non fanno sistema. 57


TECNOLOGIE

Rivoluzione robotica I sistemi intelligenti capaci di interagire direttamente con gli esseri umani sono una delle facce della fabbrica di domani. Ma si deve investire in nuove tecnologie, inseguendo gli obiettivi di Industry 4.0. Testo di Davide Di Domenico, partner managing director di The Boston Consulting Group, e Jacopo Brunelli, principal di The Boston Consulting Group

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Incremento della produttività e trasformazione radicale nei modelli operativi, cambiamenti che hanno trasformato la società e gli stili di vita: sono le conseguenze più evidenti del progresso tecnologico, scandito in maniera chiara dalle rivoluzioni industriali. La prima delle quattro sperimentate fino a oggi risale al tardo Settecento e fu dovuta all’invenzione della macchina a vapore e alla meccanizzazione. La seconda, collocata all’inizio del Novecento, fu determinata dalla divisione del lavoro e dalla produzione di massa (taylorismo e fordismo). La terza ha avuto luogo negli anni Settanta del secolo scorso, legandosi alla prima fase della robotizzazione e all’avvento dell’elettronica e dei computer. Oggi ci troviamo nel pieno di una quarta ondata di progresso, una rivoluzione scatenata da nuove tecnologie destinate ad avere un forte impatto sulla produzione per i prossimi dieci o quindici anni. Industry 4.0 sta introducendo dei cambiamenti radicali, in particolare grazie al digitale e alle opportunità offerte dall’Internet of Things e dai Big Data. Grazie, quindi, alla possibilità di far comunicare tra loro macchine, prodotti e persone, nonché a quella di processare in tempo reale grandi quantità di informazioni. Alla trasformazione dell’intero processo produttivo contribuiscono inoltre le tecniche di additive manufacturing (come la 58

stampa in 3D) e la robotica avanzata (con nuovi sistemi intelligenti capaci di interagire direttamente con gli esseri umani). Lo scenario di una sostituzione completa della forza lavoro da parte dei robot sembra comunque scongiurato. Gli automi saranno impiegati sempre più spesso, interagiranno con le persone ma al contempo, secondo le nostre previsioni, occorreranno nuove figure professionali con specifiche competenze che coprano aree differenti: dagli sviluppatori di software agli esperti meccatronici, fino agli specialisti in cybersecurity. Aumentano, in linea generale, le possibilità di progettare e testare prodotti e sistemi in modo virtuale, senza dovere realizzare prototipi, attraverso un modello di sviluppo che consentirà una vistosa contrazione dei tempi di accesso al mercato e una maggiore flessibilità e vicinanza alla domanda dei singoli mercati. Un nuovo modello di competitività Parliamo al futuro, ma siamo già immersi in questa realtà. Numerosi Paesi lo hanno capito, a partire dalla Germania, che nel 2012 ha chiesto a un gruppo di lavoro composto da rappresentanti della grande industria e della ricerca di esprimere alcune raccomandazioni per impostare una politica industriale capace di “garantire un futuro all’industria manifatturiera tedesca, consapevoli che ormai ci troviamo agli


TECNOLOGIE inizi della quarta rivoluzione industriale”. Oggi quello di Industry 4.0 è uno dei dieci “progetti per il futuro” (Zukunftsprojekte) identificati dal governo tedesco nella sua High-Tech Strategy 2020. Berlino ha già previsto di stanziare 300 milioni di euro per lo sviluppo dell’iniziativa e, secondo le rilevazioni di The Boston Consulting Group, le ricadute positive sull’economia tedesca saranno notevoli, con un aumento stimato di circa l’1,1% annuo del Pil nel prossimo decennio, pari a circa 40 miliardi di euro annui di ricavi aggiuntivi. Senza dimenticare il suo impatto sull’occupazione, con la creazione di circa 400mila nuovi posti di lavoro. La Germania è uno dei principali competitori dell’Italia nel manifatturiero e gli investimenti in Industry 4.0 permetteranno alle industrie tedesche di guadagnare quote più facilmente, perché grazie alle nuove infrastrutture potranno affiancare ai loro

tradizionali punti di forza – ripetitività del processo produttivo, standardizzazione e affidabilità – anche l’adattabilità garantita dal modello di fabbrica digitale. L’eccellenza di un prodotto con elevate performance, disegnato sull’esigenza del cliente e realizzato con estrema professionalità e flessibilità, costituisce invece il principale fattore competitivo dei produttori italiani. Per il nostro Paese è quindi giunto il momento di agire. Il prossimo decennio decreterà i vincitori e i vinti sul piano della competitività. Abbiamo l’opportunità di abbracciare questa rivoluzione perché abbiamo competenze in settori ad alto valore aggiunto come l’automazione, la robotica, la componentistica industriale. Per farlo serve però affrontare al più presto e indirizzare in maniera sistemica alcune grandi tematiche di politica industriale e sociale, a cominciare dalla riqualificazione della forza lavoro.

MANI ARTIFICIALI E AUTOMI FINANZIATI DALL’UNIONE EUROPEA Il futuro del Vecchio Continente passa anche dal sapere immaginare i quartieri e le città di nuova generazione, concentrandosi sullo sviluppo del tessuto produttivo del domani. Ecco perché l’Unione Europea, tramite due bandi, ha messo sul piatto 98 milioni di euro per supportare 19 progetti di ricerca e innovazione della durata quinquennale che spaziano dalla robotica per le smart factory ai trasporti intelligenti. L’elenco delle iniziative che si sono aggiudicate i fondi, pubblicato di recente, include anche diverse realtà italiane. È soprattutto il mondo universitario a dominare la scena, ma non mancano piccole imprese e startup della Penisola. Telerobots Labs, per esempio, è un’azienda di Genova che progetta automi su misura per compiti speciali, come gli interventi negli impianti nucleari o su attrezzature off-shore. La pisana Qrobotics, invece, ha realizzato una mano robotica “intelligente” in grado di adattarsi all’ambiente circostante: controllabile in modo naturale, può rendere ancor più millimetrici i lavori di precisione. Il principale campo di applicazione degli automi è stato fino a oggi quello industriale, dove i grandi robot hanno in parte preso il posto dell’uomo, soprattutto nei compiti ripetitivi o pericolosi. Ma nel futuro le cose potrebbero cambiare: i più A rischio, secondo un report del World Economic Forum (Wef), sarebbero i cosiddetti “colletti bianchi”. La fondazione stima che entro il 2020 cinque milioni di posti di lavoro potrebbero sparire a causa di macchine capaci di impattare su professioni impiegatizie, di contabilità e del settore finanziario. Lo studio “The future of jobs” del Wef, che ha censito i top manager delle 350 maggiori società al mondo, sottolinea in proposito che “i progressi nell’intelligenza artificiale, nell’apprendimento automatico e nelle interfacce basate su interazioni naturali, come il riconoscimento vocale, permetteranno di automatizzare le attività di intelletto”. Operazioni che, fino a ieri, si credevano impossibili da affidare a delle macchine. La buona notizia è che il progresso tecnologico porterà contestualmente alla creazione di nuove figure professionali: l’indagine, infatti, stima che il 65% dei bambini che oggi frequentano le scuole elementari finirà a svolgere lavori che attualmente non esistono. A.A.

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TECNOLOGIE

Digital manufacturing: un cambiamento necessario LA FABBRICA DEL FUTURO RICHIEDE INFRASTRUTTURE PRONTE, MATURITà TECNOLOGICA E NUOVI MODELLI DI BUSINESS. I VANTAGGI SONO TANGIBILI, MA L’ITALIA è INDIETRO.

Testo di Giuseppe Padula delegato all’Innovazione dell’Università degli Studi di San M arino 60

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l nostro Paese non ha voluto o potuto presidiare il settore dei software di controllo di automazione, oggi in mano ad aziende straniere, al momento della migrazione dal controllo di processo meccanico a quello di tipo meccatronico. E ha iniziato a occuparsi di digital manufacturing in ritardo rispetto alle altre economie, in parte per una diffusa resistenza di una cultura del business tradizionalmente centrata sul prodotto, in parte per il mancato avvio di programmi coordinati istituzionali. Quello americano di Industrial Internet, sostenuto da General

Electric con un focus iniziale in tema di efficienza energetica, e quello tedesco di Industry 4.0 godono di diversi anni di anticipo rispetto alle nostre prime iniziative, anche se parlando con i responsabili di ricerca & sviluppo delle aziende italiane tecnologicamente più avanzate ci si sente dire che “i cyber physical system e i sistemi machine-to-machine li sviluppiamo da anni, ma non li abbiamo mai chiamati in questa maniera”. Le iniziative individuali sono sicuramente importanti, ma è fondamentale operare in una cornice di infrastruttura pronta,


TECNOLOGIE nella quale le singole aziende possano far crescere e affermare la propria maturità digitale: il timore che economie più organizzate forzino l’adozione di uno standard “Industry 4.0-ready”, per esempio sui protocolli di scambio dati, è particolarmente sentito dai costruttori italiani che non vogliono essere costretti a modificare le proprie tecnologie in funzione di quelle scelte dai concorrenti, con conseguenti aggravio di costi e perdita di competitività. Il grave ritardo digitale italiano segnato dal quart’ultimo posto nell’edizione 2015 dello studio Desi (Digital Economy and Society Index), pubblicato dalla Ue, ha ripercussioni anche nell’industria, tanto che Accenture ci colloca al terz’ultimo posto (prima di India e Russia) tra le maggiori economie del pianeta quale ambiente favorevole all’introduzione dell’Industrial Internet of Things. Innovazione di lungo periodo Il mondo dell’IoT è il primo ad attrarre gli interessi di grandi corporation: lo dimostrano, per esempio, la decisione di Cisco di investire 100 milioni di euro per lo sviluppo del digital manufacturing italiano o quella di Telecom di assegnare alla controllata Olivetti, nell’ambito del nuovo piano industriale, un ruolo portante di fornitore delle piattaforme di trasporto dati nei processi aziendali. Ma gli investimenti privati in infrastrutture per l’Internet delle cose su scala industriale non sono sufficienti se non si salda il ponte con la catena del valore locale: il ritardo strutturale va a sommarsi alla resistenza culturale tipica del settore manifatturiero a muoversi da processi tradizionali “product-centric” a processi “service-centric”, gestiti in modo ibrido su piattaforme digitali. La “servitizzazione” delle risorse produttive ha visto come pioniere Rolls-Royce che, a partire dagli anni Novanta ha iniziato a vendere non più l’impianto (la turbina dell’aereo) ma il servizio (le ore di volo ), trasformando per il cliente il costo in conto capitale di investimento (CapEx) in un costo operativo di esercizio (OpEx). Oggi l’utilizzo massiccio di sensori e dei Big Data permette la conoscenza dettagliata del comportamento operativo di

LE APPLICAZIONI PER LA FABBRICA SMART Lo “smart manufacturing” è il paradigma dell’industria manifatturiera del futuro ed è un volano anche per l’Italia, secondo Paese europeo per volumi di produzione in questo comparto. Ma i grandi numeri “tradizionali” non bastano, per poter crescere serve innovazione. Oggi, invece, la Penisola sembra ancora impantanta e rallentata da fattori di contesto, culturali e organizzativi. Eppure qualcosa sta iniziando a muoversi. I dati raccolti dall’ultima edizione Osservatorio Smart Manufacturing della School of Management del Politecnico di Milano descrivono 135 applicazioni di manifattura intelligente in ambiti molto diversi tra loro. La maggior parte di queste applicazioni fa riferimento alla “smart execution”, il cuore dell’attività industriale, composto da processi come produzione, logistica, manutenzione, qualità e sicurezza e compliance. Il balzo in avanti è stato reso possibile da tecnologie come Internet of Things e Big Data, mentre il cloud manufacturing e la ”advanced human machine interface” si sono già candidate a diventare le prossime innovazioni di riferimento. Un’altra area caratterizzata da una grande ricchezza applicativa è la “smart integration”, riguardante i processi che interagiscono con il mondo della fabbrica, come il product lifecycle management. Il grande assente, a causa soprattutto della giovane età delle soluzioni hardware e software disponibili, è risultato essere il cosiddetto “smart planning” ovvero l’insime delle attività di pianificazione della produzione, a cominciare dalla gestione intelligente dell’inventario. Uno dei pilastri della quarta rivoluzione industriale, come spesso si è detto, è l’Internet delle cose: è lui l’anello di congiunzione fra la manifattura tradizionale e gli oggetti connessi, affiancati dal loro continuo flusso di dati. Secondo l’Osservatorio, l’IoT in per l’industria presenta tassi di crescita nettamente superiori rispetto ai connected device sviluppati per altri settori, come quello domestico. Affinché possa dare la spinta utile per compiere un vero e proprio salto digitale del sistema, è però necessario strutturare un processo manifatturiero che comprenda tutte le singole componenti della produzione, estendendosi dalla progettazione fino a tutto il ciclo di vita dei beni.

un impianto lungo tutto il ciclo di vita, permettendo alle aziende produttrici di macchine di definire in maniera accurata i costi e poter procedere a offerte di servizi in modalità “pay per use” che oggi sono già standard per i software Cax (Computer-Aided Technologies) erogati in cloud. Seguendo questo modello l’organizzazione aziendale migrerà verso una struttura di “service-oriented architecture”, di cui l’analisi a scopo strategico dei Big Data è il fulcro. Sarà più facile definire metriche economiche e finanziarie sulle quali costruire piani di intervento, con relativi ritorni di investimento. Risulta quindi fondamentale individuare l’agente del cambiamento all’interno delle aziende, una figura come il “digital manufacturing architect” in grado di disegnare e creare nuovi servizi a valore aggiunto per

il cliente e il fornitore, attraversando i processi esistenti e utilizzando le tecnologie necessarie “on the shelf”. Senza adottare uno schema rigido e pronto come quello proposto alla grande impresa dai fornitori vicini al modello Industry 4.0. In Italia molte aziende avanzate, anche leader di mercato nel proprio settore, tendono però ancora a considerare innovazione quelle che sono richieste commerciali provenienti dai clienti e dai mercati, immaginando di costruire su queste, che sono già specifiche di prodotto, progetti di ricerca. Cosi facendo l’azienda si muove al traino di cambiamenti di breve orizzonte che sono già di dominio pubblico e non riesce ad anticipare e proporre soluzioni innovative. Colpa della scarsa conoscenza della catena del valore interaziendale e della tendenza a non voler sperimentare. 61


ESPERIENZE

Stampa 3D, ma anche design computazionale e intelligenza artificiale: Bercella fa dell’innovazione del processo produttivo la strategia per servire i colossi del mondo motoristico, ferroviario e aereospaziale.

Testo di Alessandro Andriolo

La manifattura intelligente della Motor Valley

C’

è una linea immaginaria che taglia trasversalmente l’EmiliaRomagna, partendo dai colli piacentini e arrivando fino al mare Adriatico. Un fil rouge caratterizzato da tecnologie avanzate e innovazione, ma ben ancorato all’eredità di alcuni grandi nomi dell’imprenditoria italiana. Figure come Enzo Ferrari, Ferruccio Lamborghini, Alfieri Maserati e Antonio Ducati portarono sotto i riflettori, già nel secolo scorso, piccoli borghi adagiati tra la pianura Padana e gli Appennini. Nacque così la Motor Valley, che nel corso dei decenni si è affollata di altre piccole e grandi aziende specializzate nell’automotive. A pochi chilometri da Fornovo si trova Varano de’ Melegari, sede dell’autodromo 62

“Riccardo Paletti” e di un altro marchio famoso nel circo delle corse automobilistiche, Dallara. Ed è anche grazie allo stabilimento fondato nel 1972 da Gian Paolo Dallara che Franco Bercella ha potuto dare il via, nel 1996, alla propria azienda. Nata come fornitore di parti in carbonio per il settore automotive (in primis Dallara, da cui dista pochi metri), Bercella si è poi evoluta nel tempo arrivando a offrire un servizio integrato di progettazione, dimensionamento, verifica e successiva produzione dei componenti o degli assiemi commissionati da terzi. La società, a conduzione familiare, vanta oggi oltre 50 dipendenti, forniture in 40 Paesi e decine di clienti tra cui grandi nomi nel comparto motoristico e ferroviario, oltre che

nella difesa e nell’aerospaziale. Al centro dell’attività di Bercella si trova la lavorazione dei materiali compositi. Quelli in fibra di carbonio, in particolare, sono tra i protagonisti di una nuova rivoluzione industriale, alimentata da tecniche di “generative design” e dall’additive manufacturing. Campi in cui l’azienda di Varano sta sperimentando e in cui sta investendo grandi risorse. “Oggi realizziamo parti in plastica con stampanti 3D, avvalendoci di un’ampia rete di fornitori per i componenti in metallo”, spiega Massimo Bercella, responsabile sales and business development. “Stiamo sviluppando inoltre la parte di progettazione legata all’additive manufacturing. L’evoluzione tecnologica, che


ESPERIENZE riguarda i materiali e le soluzioni informatiche, trasformerà a breve le modalità produttive. Vogliamo essere pronti quando i compositi passeranno da un processo artigianale a uno effettivamente industrializzato”. Oggetti creati in modo totalmente nuovo, grazie alla stampa 3D. Ma non solo: per concretizzare davvero il concetto di Industry 4.0 servono anche strumenti di lavoro differenti, da affiancare ai designer di domani. Ecco che a cambiare è quindi anche il software: basta sistemi Cad tradizionali, entrare nella nuova era significa “iniettare” nelle macchine un soffio vitale dato dall’intelligenza artificiale. “Il traguardo di questo percorso”, commenta Massimiliano Moruzzi, principal research scientist di Autodesk, “è realmente quello di insegnare alla macchina a progettare, grazie al design computazionale, e rendere poi i materiali in grado di comunicare con l’operatore: è questa la vera missione dell’Internet of Things, che va oltre il controllo di un termostato con il cellulare”. Il colosso statunitense, con il programma Dreamcatcher, sta collaborando con decine di realtà come Bercella per sperimentare sistemi capaci di assorbire dati e input dall’esterno, restituendo decine di combinazioni in grado di soddisfare i requisiti di design imposti dal professionista. “Vogliamo comunicare alla piattaforma il problema da risolvere, senza spiegare come sono fatti i singoli componenti”, aggiunge Moruzzi. Bercella e Autodesk sono attualmente impegnate anche nel progetto Hack Rod, la prima macchina al mondo costruita con l’intelligenza artificiale grazie ai dati raccolti con misurazioni effettuate su un veicolo di prova e poi “digeriti” nel cloud. L’azienda parmense, in particolare, ha sviluppato la “skin” del veicolo utilizzando una fibra di carbonio “intelligente”, dotata di sensori in forma di nanostrutture affogati nel materiale stesso e realizzati con il medesimo composito. La scocca, stampata in 3D, non presenta così elementi estranei (diminuendo il rischio di rottura) ed è in grado di comunicare le sollecitazioni che riceve. “Ma è solo un primo passo”, conclude Moruzzi. “Ancora oggi, infatti, l’additive manufacturing presenta un tasso di fallimento del 70%”.

IL MODELLO DIGITALE CHE VIENE DALLA BRIANZA L’Industry 4.0 deve abbracciare sia la produzione sia la logistica, per non fermarsi alla mera automazione dei processi industriali. Questa la strada verso il futuro tracciata durante l’ultima edizione di Mecspe, la fiera internazionale delle tecnologie per l’innovazione di Parma, evento che ha portato al centro del proprio programma l’iniziativa “Fabbrica Digitale – Oltre l’automazione”. L’obiettivo era quello di dimostrare la validità di un modello di fabbrica articolata, capace di coprire tutto il ciclo vita di un prodotto, dalla sua progettazione alla consegna del pezzo al committente. A Mecspe 2016 è finita sotto i riflettori Cia Automazione, azienda di Albiate (piccolo centro in provincia di Monza-Brianza) attiva nel campo dell’automazione industriale avanzata. La società è stata selezionata come soggetto integratore delle fasi di produzione e logistica dei cerchioni per il veicolo Idra: un prototipo di automobile a idrogeno realizzato dal Team H2polito del Politecnico di Torino e pronto a partecipare (a fine giugno) alla prossima Shell Eco-Marathon di Londra. “Il nostro obiettivo era quello di realizzare un sistema dimostrativo funzionante, che si rifacesse al concetto di fabbrica 4.0”, ha spiegato Angelo Galimberti, amministratore delegato di Cia Automazione. Nella fase logistica, in particolare, è stata unita sia la gestione manuale sia quella automatizzata delle cassette contenenti i pezzi, tramite navette intercettate da un robot nell’operazione di pallettizzazione. Lungo tutta la linea di produzione, invece, i cerchi sono stati tracciati con transponder equipaggiati con tag Rfid e quindi individuabili in ogni momento, mentre un software intelligente monitorava il tutto via Web. Un mix di tecnologie applicate alle varie fasi del processo, dunque, rispetto a una filosofia di innovazione che Galimberti ha così riassunto: “Integrazione e intelligenza sono i due paradigmi della fabbrica 4.0. Stiamo affrontando interessanti esperienze nella fresatura robotizzata e nella sbavatura, che segnano un altro passo avanti nel campo delle lavorazioni per asportazione su superfici complesse anche se le precisioni non sono confrontabili con le macchine utensili. L’automazione e la robotica, grazie alla riduzione dei costi e alla semplicità di utilizzo, possono essere un valido supporto allo sviluppo industriale e alla competitività anche per le piccole e medie imprese”. Ed è questo, forse, il messaggio più importante che arriva dall’esperienza portata avanti dall’azienda brianzola.

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ESPERIENZE

Alla scoperta della manifattura aumentata Le tecnologie indossabili e le applicazioni di realtà virtuale POSSONO DIVENTARE strumenti di monitoraggio dello stato di funzionamento di una macchina o del design di un prodotto. Testo di Piero Aprile ed Emilio Mango

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ettere a disposizione delle aziende nuovi strumenti di intelligenza distribuita, e quindi informazioni e funzioni di controllo e gestione estremamente potenti su macchine, linee di produzione e processi, al fine di introdurre nuovi modelli operativi per la manutenzione e l’esercizio di sistemi, impianti e infrastrutture. È una delle tante facce dell’industria del futuro, quella in cui per un operatore diventa vitale, ai

fini della produttività, avere disponibili online dati sullo stato di un dispositivo e dei suoi parametri di funzionamento e al contempo libertà manuale, visibilità, strumenti portatili e usabili in condizioni ostili. La realtà aumentata, già sfruttata in contesti molto critici quali la medicina e l’aviazione, risulta di grande aiuto anche in questi ambiti: grazie ai visori, permette infatti di accedere alle informazioni in

PROVE DI “MADE IN ITALY” SMART Il design italiano può diventare ancora più prestigioso, sin dalla fabbrica. Almeno in un’ottica di Industry 4.0 e di tecnologie e oggetti intelligenti, in grado di capire e prevedere le esigenze dei consumatori finali. Ne sono convinti alla Sda Bocconi, che in collaborazione con Messe Frankfurt Italia ha lanciato il progetto di ricerca “Ripartire dalla fabbrica per valorizzare il design italiano”. L’obiettivo è quello di ripensare i modelli produttivi in settori come l’arredo e il design d’interni, per incrementare la competitività delle aziende. L’iniziativa, coordinata a livello scientifico da Carlo Alberto Carnevale Maffè e Gabriella Lojacono del Dipartimento di management e tecnologia, vuole portare al centro soprattutto l’innovazione digitale e, in estrema sintesi, le soluzioni dell’Internet of Things. I punti chiave del progetto, i cui risultati saranno presentati alla fine del 2016, sono l’impiego strategico degli oggetti smart, il raggiungimento della sostenibilità ambientale ed economica nella loro fabbricazione e un time-to-market più rapido. Il primo passo da fare, dicono da Sda Bocconi, sarà sondare il mercato e le realtà produttive sul territorio per capire se esistano le premesse necessarie per procedere.

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modalità dinamica e sincronizzata con la macchina o il sistema di produzione. E l’immediatezza delle informazioni ricevute con tale tecnologia si trasforma altrettanto immediatamente in un potente incremento di efficienza. In questa direzione si muovono per esempio Alleantia e HeadApp, rispettivamente società pisana specializzata nel campo dell’Industrial Internet of Things e startup torinese nata con l’obiettivo di


ESPERIENZE sviluppare soluzioni indossabili dedicate ai contesti operativi mission-critical. Insieme, in occasione del recente MecSpe di Parma, hanno dato vita a un sistema di fabbrica digitale che adopera la tecnologia di realtà aumentata per rendere disponibili in tempo reale, grazie ad appositi smart glasses per uso industriale, una serie di informazioni sullo stato dei macchinari. È sufficiente puntare lo sguardo su comuni codici a barre, apposti, sui macchinari, per far sì che la telecamera integrata nei visori acquisisca le informazioni e geolocalizzi l’oggetto. La strada è tracciata e secondo Paolo Pari, cofondatore e Ceo di HeadApp,“l’introduzione dei dispositivi wearable e in particolare degli smart glasses sul mercato del largo consumo ha consentito di aprire nuovi scenari per ottimizzare l’interfaccia tra operatore e macchina. Nel contesto dell’Industrial Internet of Things, la cre-

azione di partnership verticali tra competenze altamente specialistiche consente oggi di offrire soluzioni che possono abilitare un potenziale produttivo ancora inespresso”. La cava di Reply Snellire le fasi di design di un prodotto riuscendo, al contempo, a esaminare le molte diverse possibili configurazioni. Spiegare il funzionamento di macchinari complessi o difficilmente accessibili, formare in totale sicurezza il personale in contesti che altrimenti sarebbero rischiosi per la salute e l’incolumità. Sono queste alcune delle possibilità offerte da Area 360, il centro per la realtà virtuale e aumentata che fa parte della vasta rete di imprese facenti capo a Reply e che viene ospitato nel parco scientifico e tecnologico Como Next a Lomazzo. “Secondo uno studio Digi-Capital”, dice Filippo Riz-

zante, Cto di Reply, “il mercato mondiale della realtà virtuale e aumentata varrà quasi 20 miliardi di dollari nel 2017, per poi superare i 40 miliardi l’anno successivo. Con Area 360 abbiamo fatto un passo concreto, anche in Italia, per offrire alle imprese una serie di servizi in questo ambito, e già oggi vantiamo importanti collaborazioni con aziende come Abb, Chicco, Daikin e Magneti Marelli”. A Lomazzo, Area 360 mette a disposizione delle imprese, tra le altre cose, una delle poche “cave” esistenti in Europa: una stanza che permette di immergersi completamente in un ambiente di realtà virtuale, grazie a tre pareti servite da retroproiettori, a un complesso apparato di sensori e a un sistema di visione 3D. Tutto questo assetto è governato da potenti server in grado di ricostruire in modo realistico e immersivo gli interni di un automobile o di un impianto petrolifero.

L’INDUSTRIA 4.0 VOLA SULLE ALPI Valle d’Aosta e Piemonte hanno siglato un accordo quadro per realizzare insieme iniziative e partenariati per lo sviluppo della fabbrica di nuova generazione. La piccola Regione alpina ha approvato di recente un bando da un milione di euro (promosso dall’Assessorato delle Attività produttive, energia e politiche del lavoro) per sostenere la ricerca, l’innovazione e il trasferimento tecnologico fra le imprese sul proprio territorio e quelle piemontesi. L’intesa prevede anche il finanziamento in favore di quelle aziende valdostane che parteciperanno a progetti collaborativi nei settori industriali applicabili alla “Fabbrica intelligente del futuro”. I contributi a fondo perduto non potranno superare i 500mila euro per le grandi imprese, i 250mila per le medie e i 150mila per le piccole. Il bando della Regione Piemonte, invece, prevede una selezione a due fasi: i soggetti interessati dovranno presentare un progetto preliminare e solo chi supererà questo scoglio potrà presentare il piano in modo dettagliato.

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ESPERIENZE

L’innovazione sfreccia sulle quattro ruote L’esempio di Dallara conferma come le nuove tecnologie, abbinate alle competenze, possano migliorare tutti i processi e non solo quelli di produzione. Testo di Gianni Rusconi

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ndrea Pontremoli ha passato 27 anni della sua carriera professionale in un gigante dell’industria tecnologica come Ibm, di cui è stato anche amministratore delegato della filiale italiana. Nel 2007 è entrato in Dallara (in veste di amministratore delegato e direttore generale) cavalcando la sfida di dare continuità di crescita a una media impresa che sviluppa e produce automobili da corsa. Oggi, parlando dell’impatto del digitale dentro le fabbriche, si fa portavoce convinto di un messaggio: le nuove tecnologie possono cambiare in meglio “il modo di produrre, i modelli di business e l’organizzazione dell’intera impresa”. La casa emiliana ha sposato la stampa 3D sin dal 2001 per modellizzare i prototipi da testare in galleria del vento e oggi ricorre alla manifattura additiva anche per la produzione di serie di alcuni componenti delle auto di F1. Qualche esempio? Il “roll hoop” in titanio (la copertura che protegge il casco del pilota in caso di ribaltamenti) prodotto con le macchine di stampa a tre dimensioni è del 38% più resistente di quello, sempre in titanio, creato con il sistema tradizionale a fusione. Ma i vantaggi, come conferma Pontremoli, sono anche e soprattutto altri, ovvero la maggiore velocità nel dare vita ai prototipi e la possibilità di cambiare il progetto più volte in corso d’opera. “L’additive manufacturing”, dice il manager, “trasforma non solo il paradigma della produzione, ma anche quello della progettazione. Ed è un esempio evidente di un cambio di mentalità strategico che parte dalla testa, perché la tecnologia è un fattore abilitante 66

e non l’intelligenza che modifica il processo”. L’esperienza digitale di Dallara, non a caso, ha il suo vero fiore all’occhiello nel simulatore “home made” a cui possono lavorare da remoto, in tempo reale, tecnici ubicati in tre diversi continenti. Il tutto grazie a un supercomputer in esercizio

nella sede di Parma e grazie a un team di professionisti che deve sviluppare le proprie competenze attraverso progetti di formazione condivisa. “L’open innovation”, assicura l’Ad, “è questa, e le competenze e la formazione sono asset irrinunciabili per migliorare tutti i processi”.

SCANNER 3D E CLOUD MANUFACTURING PER L’ORTOPEDIA La sperimentazione di tecnologie digitali nel campo della salute è un tema che va di moda. L’Istituto Ortopedico Rizzoli ha guardato anche oltre, abbracciando le opportunità del cloud per la personalizzazione completa di plantari ortopedici da utilizzare dentro le calzature da lavoro. È l’essenza del progetto CloudSme, finanziato dalla Commissione Europea e che ha avuto come partner anche l’Università di San Marino e l’azienda specializzata Base Pro. Le patologie da sovraccarico sono comuni nei lavoratori che passano la maggior parte del tempo in piedi o camminando, e tali disturbi spesso sono associati all’uso delle calzature antinfortunistiche. Per questo motivo i ricercatori dell’Istituto Rizzoli hanno pensato di testare su un gruppo di operai di un’industria metalmeccanica l’efficacia di solette realizzate su misura ricorrendo a un sistema innovativo di laser scanning 3D per la rilevazione dell’impronta del piede. Al problema dei costi e alla scarsa disponibilità negli studi dei podiatri di software specializzati (costosi e generalmente non in dotazione) ha sopperito la piattaforma CloudSme, consentendo di completare via Web (browser) la selezione della calzatura di sicurezza più idonea alle mansioni del lavoratore. I file dell’impronta del piede e dell’interno della calzatura vengono inviati a un’applicazione cloud, che genera il disegno della soletta personalizzata. Quest’ultima può, quindi, essere prodotta da un blocco di materiale plastico con una semplice macchina fresatrice a tre assi.



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