Agro-networking on the road

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a parità di popolazione, bisogni e tenore di vita. Le montagne occupano i due terzi del territorio e nel rimanente terzo convive tutto il resto. Questo si riflette anche sulla dimensione delle imprese agricole. La stessa frammentazione che insiste sull’impresa italiana facendo del nostro paese una nebulosa di microimprese è presente anche in agricoltura. La pezzatura media delle aziende agricole in Italia è meno di un decimo di quella inglese. Integrare il piccolo e il grande, offrire a tutte le imprese il corretto livello di informazione e di assistenza nella transizione verso i nuovi modelli di business sono pertanto questioni vitali per tutto il settore.

agro-netwoRking on the Road di Maurizio Melis, bioingegnere e giornalista; collabora alla trasmissione “Moebius” di Radio 24

Tre analoghe esperienze di agro-networking; tre modelli diversi di integrazione multidisciplinare. Sia essa telematica, di competenze o sociale, il senso di una rete è nei nodi e nell’opportunità di unirli. E il senso dell’unione non può che essere, nell’era dell’informazione, metterne a sistema i rispettivi saperi. È perciò difficile non rintracciare un filo rosso nei tre profili di Alessandro Arioli, Carlo Carsana e Ivano Valmori. L’agricoltura si trova davanti a sfide dai contorni ormai ben delineati: efficienza (vale per tutti i settori merceologici), qualità e salubrità del prodotto alimentare, e ingresso nel terziario come fornitrice

di servizi sia ambientali che energetici. Si tratta di obiettivi che richiedono una trasformazione del modello di business e l’acquisizione di nuove competenze aziendali. Ecco perché le iniziative di coloro che si sono trovati un passo avanti lungo questa direzione, offrendo in anticipo un terminale di conoscenza a cui attingere, hanno riscosso attenzione. A questa ampia eterogeneità di saperi, a cui è sempre più necessario che il mondo agricolo sappia attingere, si aggiunge un elemento di specificità del nostro paese non aggirabile. La superficie arabile italiana è ridotta: circa un quarto di quella francese,

Il distretto delle agro-energie Integrare filiera lunga e filiera corta, e portare la produzione dell’energia il più possibile vicino alla fonte: sono le condizioni per sviluppare le energie da fonti agricole. La scommessa di Alessandro Arioli si chiama “sviluppo socio-rurale sostenibile” e ha ormai vent’anni di storia. È una scommessa con un raggio d’azione ampio, che spazia dal villaggio sub-sahariano al distretto tecnologico agro-industriale della Pianura Padana senza soluzione di continuità: “glocale” ne è l’espressione paradigmatica. Arioli oggi insegna all’Università del Piemonte orientale, ma la sua è soprattutto una storia imprenditoriale e, si può dire, di lobbying. Di quel lobbismo anglosassone e etico che si esprime aggregando e attivando le risorse buone presenti su un territorio. In oltre vent’anni, in Africa, ha partecipato a una cinquantina di progetti da socio o da consulente: «Il più grosso agro-business etico – perché se il capitale non ha la giusta retribuzione

si ricade nella logica dell’elemosina – è produrre derrate alimentari in Africa per gli africani, facendo investimenti di tipo aggregativo e corporativo in progetti di sviluppo sostenibile». Ovvero, a partire dalle risorse e dai talenti presenti nell’unità sociorurale di riferimento, cioè il villaggio, introdurre tecniche agricole innovative come l’irrigazione a goccia, la microfertilizzazione e la valorizzazione delle varietà locali, anche migliorandole con tecniche genetiche classiche non OGM; e in secondo luogo, impiantare una componente che si potrebbe definire microindustriale: ovvero portare l’impianto industriale alla popolazione locale, e non la popolazione locale all’impianto. Oggi, proprio in Italia, eccelliamo nella costruzione di microleifici containerizzati, microcaseifici, micromacelli: portare lo stabilimento alla comunità e non la comunità allo stabilimento è la vocazione di queste tecnologie. Questi minimpianti industriali stanno in un container standard: a Santo Antão, nell’arcipelago di Capo Verde, sta arrivando un caseificio. In Africa, un oleificio in container può servire una superficie agricola di 3000 ettari e dare da mangiare a 3200 persone. Il costo di uno di tali impianti, la cui vita è di un decennio, si aggira sui 300.000 euro, chiavi in mano. Così, con la disponibilità ambientale che c’è in Africa, una comunità transita rapidamente da un’economia di sussistenza a una realtà esportatrice di prodotti alimentari, capace di relazionarsi con un mercato ampio. Pare che la formula funzioni in maniera strabiliante, nei villaggi dai 500 abitanti in su. Più o meno in tutte le leggende e le storie popolari, seguendo l’arco dell’arcobaleno si approda inesorabilmente nel luogo più improbabile. Se ciò fosse vero e un arcobaleno si manifestasse a Santo Antão, allora di certo condurrebbe a Casei Gerola, sede dello storico


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