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E D I T O R I A L E L’INFORMAFREEMAGAZINE nº 78 – anno XIV numero 1 gennaio-febbraio 2019 ISSN 1828-0722 Editore

GOLIARDICA EDITRICE srl a socio unico sede operativa: I – 33050 Bagnaria Arsa, Italy via Aquileia 64/a tel +39 0432 996122 fax +39 040 566186 info@imagazine.it Direttore responsabile Andrea Zuttion Condirettore responsabile Claudio Cojutti Responsabile di redazione Andrea Doncovio Area commerciale Michela De Bernardi, Francesca Scarmignan, Fabrizio Dottori Responsabile area legale Massimiliano Sinacori Supervisione prepress e stampa Stefano Cargnelutti Hanno collaborato Vanni Veronesi, Claudio Pizzin, Paolo Marizza, Vanni Feresin, Margherita Reguitti, Andrea Fiore, Livio Nonis, Cristian Vecchiet, Alfio Scarpa, Michele D’Urso, Michele Tomaselli, Manuel Millo, Andrea Coppola, Germano De March, Alberto Vittorio Spanghero, Renato Duca, Renato Cosma, Germano Pontoni, Isa Dorigo, Sandro Samez, Marianna Martinelli, Irene Devetak, Andrea Tessari, Astrid Iustulin, Eleonora Franzin, Antonio Amato, Eleonora Lulli Registrazione Tribunale di Udine n. 53/05 del 07/12/2005 Stampato in proprio Tiratura 70.000 copie Credits copertina Fiorenzo Niccoli Credits sommario :: Danilo De Marco :: :: Claudio Pizzin :: :: Francesco Cecconi :: :: Archivio M. Dean :: :: Archivio E. Andrian :: © goliardica editrice srl a socio unico. Tutti i diritti sono riservati. L’invio di fotografie o altri materiali alla redazione ne autorizza la pubblicazione gratuita sulle testate e sui siti del gruppo goliardica editrice srl. Manoscritti, dattiloscritti, articoli, fotografie, disegni o altro non verranno restituiti, anche se non pubblicati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta in alcun modo, incluso qualsiasi tipo di sistema meccanico, elettronico, di memorizzazione delle informazioni ecc. senza l’autorizzazione scritta preventiva da parte dell’Editore. Gli Autori e l’Editore non potranno in alcun caso essere considerati responsabili per incidenti o conseguenti danni che derivino o siano causati, direttamente od indirettamente, dall’uso improprio delle informazioni ivi contenute. Tutti i marchi citati appartengono ai rispettivi proprietari, che ne detengono i diritti. L’Editore, nell’assoluzione degli obblighi sul copyright, resta a disposizione degli aventi diritto che non sia stato possibile rintracciare al momento della stampa della pubblicazione.

Cari lettrici e lettori, l’anno appena iniziato è destinato fin da subito a farci comprendere se le evoluzioni epocali che stiamo vivendo ci condurranno verso la tempesta perfetta o se, nell’eterno stile gattopardesco, tutto continuerà a cambiare affinché nulla cambi. Di sicuro, i primi sei mesi del 2019 vedranno dipanarsi, in una maniera o nell’altra, nodi intricati dalle conseguenze tutt’altro che chiare. Se non avverranno altre modifiche, il primo appuntamento cruciale sarà il 29 marzo, quando entrerà ufficialmente in vigore la Brexit, ovvero l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. Meno di due mesi dopo, tra il 23 e il 26 maggio, sarà invece il turno dell’elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, che richiameranno alle urne gli elettori dei 27 Paesi membri dell’Ue, tra cui ovviamente l’Italia. Il tutto sotto la presidenza di turno di un Paese neofita del ruolo e il cui governo è additato da diversi osservatori, oltre che da larga parte della sua stessa popolazione, tra i più corrotti del continente: la Romania, che fino al prossimo 30 giugno ospiterà proprio i principali summit europei… Tutte queste nubi all’orizzonte, che ripercussioni avranno sull’economia italiana? Per il nostro Paese, più di ogni altro, è probabilmente impossibile saperlo. Perché nel mondo globalizzato di oggi, l’Italia continua a rappresentare un microcosmo di complicata interpretazione. A conferma di ciò, arrivano i dati sulle evoluzioni negli ultimi tempi di numerosi marchi made in Italy, il cui passaggio in mani straniere li ha inaspettatamente rilanciati (Ducati, Pirelli, Grom, Indesit, Ansaldo, per citarne alcune). Tuttavia, nonostante l’arrivo di capitali esteri dimostri nella maggioranza dei casi di portare maggiori benefici che danni, l’economia italiana sul tema è ancora indietro di parecchio. Secondo i dati Istat, nel 2017 erano 14.616 le imprese italiane a controllo estero, con oltre 1,3 milioni di addetti, che realizzano un discreta fetta del Pil: 573 miliardi di euro (bilanci 2016). Meno, però, degli altri: lo stock di capitale in mani estere, 346 miliardi di dollari, è pari al 18,7% del Pil dell’Italia contro il 45,5% del Regno unito, il 45,2% della Spagna, il 28,3% della Francia e il 22,2% della Germania. Questo, tuttavia, rappresenta un bene o un male? A tal domanda, gli esperti di settore non solo offrono risposte assai diverse, ma non si fidano nemmeno a dare giudizi universali, lasciando aperte tutte le interpretazioni. Curioso poi che, secondo un’indagine realizzata da Intesa San Paolo – primo gruppo bancario italiano per capitalizzazione e quote di mercato – assieme a Last Community Media Research, la caratteristica principale che gli italiani riconoscono di se stessi e gli altri Paesi ci invidiano risulti essere la resilienza. Vista come la capacità di restare sempre in equilibrio. In altri termini, l’arte di arrangiarsi, sempre e comunque. Visti i tempi e le capacità di analisi degli addetti ai lavori, allora, possiamo essere ottimisti. Perché nel prossimo futuro saper arrangiarsi risulterà molto utile. Non mi resta che augurarvi … buona lettura! Andrea Zuttion




& iMoney

dicono di noi... Da Maglie4you il servizio è molto rapido ed efficiente. La Dottoressa Curci è professionale e accogliente, così come accogliente e gentile è la titolare di Salone Francy. Da A modo mio il gelato è super. Stile è un negozio ricco di oggettistica di qualità. Da La Colombara il personale è molto accogliente e il locale è davvero carino. Raffaella Paoloni Porpetto Ho letto con interesse l’intervista alla musicista Annalisa Clemente sul numero 77 di iMagazine. La dimostrazione che puntare sulla cultura e sulla musica è sempre un investimento sul futuro dei giovani e della nostra società. L’auspicio è che l’attività di tutte le scuole di musica possa trovare non solo sostegno ma anche e soprattutto l’interesse da parte delle nuove generazioni. Carlo Vascotto Trieste Ottimo il servizio di Salone Luana: la titolare è brava, precisa e competente. Da A modo mio ho trovato un servizio veloce e professionale, con una buona offerta per la prima colazione. Francesca Farano Vicenza Al Postiglione la carne alla brace è di rara bontà. Il titolare del locale, poi, è un vulcano di simpatia. La location è molto accogliente e il calore del personale fa sentire gli ospiti come a casa loro. Lucia Martini 8

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gennaio-febbraio 2008

Udine

| L’INFORMAFREEMAGAZINE

Da imprintaonline il personale è super gentile e il servizio sempre efficiente. Michela Serra Trieste Segnalo la qualità delle pizze di La Napa e la cortesia ricevuto da Ary’s Boutique. Cinzia Furlan Trieste CasettaCreativa è un ambiente davvero originale: al suo interno si possono trovare mille idee per eventi o occasioni speciali. Un posto che merita di essere visitato. Silvia Visintin Monfalcone Complimenti per il magnifico allestimento di “Gorizia on Ice”. Assieme a mia figlia abbiamo frequentato in modo assiduo la pista di pattinaggio in piazza Vittoria e ci siamo divertite ogni volta come fosse la prima. L’accoglienza e il senso di casa hanno reso l’atmosfera speciale, confermando la location come posto ideale per trascorrere del tempo in allegria e serenità. Marta Bressan Gorizia Il menu di Al Galeone è variegato e di qualità. Art Keko è garanzia di lavori di qualità. Da Alla Fonda la pizza è ottima e da A modo mio il gelato squisito. Irma Paoloni Remanzacco Grazie ragazzi, siete fantastici e divertentissimi. Con Gorizia On Ice mi avete reso le giornate emozionanti... spero di rivedervi anche il prossimo anno. Martina Colacioppo Gorizia


Da Salone Francy la titolare è davvero simpatica e super innovativa: una garanzia per i look dei propri capelli. Marta Rosso San Giorgio di Nogaro Grazie per l’opportunità che la rivista iMagazine ci offre per dare spazio alla nostra attività. La nostra associazione è nazionale ma conta appena 300 soci perché chi balbetta ha ancora imbarazzo a uscire allo scoperto, nonostante da 31 anni facciamo informazione e sensibilizzazione (300 soci a fronte di un database di circa 7.000 persone). Avere maggiore visibilità è proprio il problema più grande per noi. Grazie ancora per il vostro sostegno. Piero Pierotti Presidente AIBACOM (Associazione italiana balbuzie e comunicazione) Da La Colombara la cucina di pesce è ottima: sia la scelta del prodotto che la sua preparazione sono sempre di livello. Una garanzia anche e soprattutto per pranzi o cene in cui si desidera fare bella figura con i propri invitati. Federica Boemo Monfalcone Da Prima IE sono stato trattato con estrema cortesia. La riparazione alla mia auto è stata eseguita in modo impeccabile ma, la cosa principale, è la massima gentilezza che viene riservata al cliente. Aspetto tutt’altro che banale e, anzi, sempre più raro in altri contesti. Simone Piovesan Gorizia

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Intervista a Flavia Gorza, titolare di salone Stile a Gorizia Flavia Gorza quando è nata l’idea di aprire il salone Stile? «Lavoro nel settore da molti anni, periodo nel quale ho potuto far propria una vasta esperienza. Il desiderio di esprimerla al meglio mi ha condotto, tre anni fa, a dare vita a questo salone». A proposito, come mai questo noFlavia Gorza me? «Ritengo che ogni persona, per mille ragioni diverse, possieda un suo stile che la identifica. E questo per me rappresenta la sfida quotidiana del mio lavoro: riconoscere quello stile e farlo esprimere». La sua passione per le acconciature come si è sviluppata? «Credo di non sbagliare se affermo che si tratti di una passione innata. Fin da piccola ho sempre desiderato dedicarmi alle acconciature: l’evoluzione in una professione è stata quasi naturale. Non avrei potuto fare altro». Quali sono a suo avviso i punti di forza di Stile? «La capacità di comprendere lo stile delle clienti, riuscendo a farlo esprimere in maniera non estroversa, ma elegante». Il mondo dell’acconciatura è un continuo divenire, correlato all’evoluzione delle mode: lei come fa a restare sempre aggiornata sulle nuove tendenze? «La risposta può apparire banale, ma per essere sempre aggiornati è necessario informarsi costantemente: personalmente frequento con regolarità corsi di aggiornamento». A proposito di tendenze, le acconciature femminili del 2019 cosa riserveranno? «Proseguirà la rivisitazione degli anni Ottanta, con particolare attenzione al “bob” adattabile a tutte le lunghezze di capelli e a tutte le acconciature, anche quelle più scalate». Da tempo Stile punta sul circuito di iMagazine per promuovere la propria immagine: come mai questa scelta? «L’ho provato per curiosità e l’ho confermato con convinzione: è un network serio che soddisfa quello che cerco». Stile fa anche parte del circuito iMoney: come valuta il progetto dei buoni valore di iMagazine? «La possibilità di far entrare nuove clienti nel mio salone attraverso gli iMoney è senza dubbio un aspetto molto interessante e vantaggioso». L’INFORMAFREEMAGAZINE | gennaio-febbraio 2008 | 9



S O M M A R I O

gennaio - febbraio 18

L’ANALISI di Paolo Marizza

15 La rivoluzione del lavoro PERLUIGI CAPPELLO di Vanni Veronesi

18 La libertà della parola SRI LANKA di Claudio Pizzin

22 Natura e misticismo 22

ROBERTO CAPUCCI di Margherita Reguitti

26 La moda e lo stile FRANCESCO GIOIA di Michele Tomaselli

30 Educare alla bellezza CARLO DE BAUBELA di Vanni Feresin

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34 Parroco di guerra

DOPO LA GUERRA di Alberto V. Spanghero

38 I prima anni della Venezia Giulia italiana 55

UMBERTO SABA E VIRGILIO GIOTTI di Margherita Reguitti

42 Il gioco dei libri

AUTOVELOX di Massimiliano Sinacori

46 È sempre legittima la multa? NUOVE TRUFFE di Polizia di Stato

48 Il finto vaglia online ATTESA E ASCOLTO di Cristian Vecchiet

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50 Riscoprire il silenzio ADOLESCENTI E SESSUALITÀ di Andrea Fiore

52 Mi annoio? Faccio sesso MILENA DEAN di Claudio Pizzin

55 Arte da tramandare

VECIE MURAIE di Renato Duca e Renato Cosma

58 Sobria essenzialità

COMITATO FRIULANO DIFESA OSTERIE di Michele Tomaselli

60 Portare cultura ovunque L’ARENELLA di Ivan Bidoli

62 L’astro che illuminò la bassa friulana BAIMAISELF di Antonio Sanson

65 Navigando per la libertà TEMPO E CAMBIAMENTO di Manuel Millo

68 Quel che resta del giorno SERGIO CECHET di Livio Nonis

70 La vita oltre il buio BOCCIOFILA CERVIGNANESE di Astrid Iustulin

72 Aggregatore sociale IVAN VERNIERI di Michele D’Urso

74 Fortebraccio da Manzano TURIPESCA di Livio Nonis

76 Torrente Versa CHEF…AME

79 La ricetta di Germano Pontoni 80 e segg. Gli eventi di gennaio e febbraio


: lettere alla redazione Gorizia – L’esibizione Dancing on Ice a cura degli atleti di Pattinodanza Gorizia e il grande spettacolo dell’ultimo dell’anno sono stati alcuni dei monti salienti vissuti GoriziaOnIce, la pista di pattinaggio su ghiaccio più grande del Friuli Venezia Giulia, allestita in piazza Vittoria fino al 27 gennaio, e di cui iMagazine è media partner.

▲ Sansepolcro (AR) – Le ginnaste dell’Asu Udine hanno chiuso il campionato di serie A salendo, con un punteggio di 100,500, sul secondo gradino del podio dopo la squadra già campione d’Italia nel 2017, la Faber Ginnastica Fabriano (103,200 punti), e a 8 punti dalle terze (a pari merito con 92,350), Armonia d’Abruzzo e Raffaello Motto di Viareggio. Il 26 gennaio prenderà intanto già avvio il nuovo campionato.

▲ Cividale del Friuli – Foto di gruppo in municipio dei partecipanti al concorso “Balconi e Giardini fioriti - Vetrine in fiore”, cui hanno partecipato 47 persone tra privati cittadini e titolari di attività commerciali, accomunati dall’amore per la cura del verde. L’annuale concorso, giunto alla decima edizione e organizzato dall’Assessorato comunale al Turismo, si è posto come obiettivo quello di premiare l’impegno di chi ha contribuito a valorizzare la città di Cividale con il proprio luogo fiorito, che sia balcone, giardino, vetrina o fronte commerciale. Sono stati premiati con la somma simbolica di 50 euro a testa tutti i 47 partecipanti: 42 cittadini dal pollice verde e cinque vetrine.

▲ Gorizia – L’Aula Magna dell’ISIS “Galilei” ha ospitato la seconda edizione del meeting di Grafica e Comunicazione organizzato dagli studenti d’indirizzo. La manifestazione, organizzata e curata dalla prof.ssa Anna Roviello, è stata presentata dagli studenti della classe terza, Eleonora Corbatto e Mattia Tuzzi. Quest’anno l’argomento della manifestazione era incentrato sul mondo della grafica e del cinema e a farla da protagonisti sono stati i lavori degli studenti della classe 5Agec che si sono cimentati nell’organizzazione, produzione, riprese e montaggio di documentari a interesse culturale.

▲ Udine – Sono quindici i primi laureati del corso di laurea in Tecniche di laboratorio biomedico interateneo tra le Università di Udine e Trieste. Francesca Irene Blarasin, Alice Cellot, Martina Cipriani, Elena Colonnello, Christian Fachin, Leonardo Frausin, Sandra Gortan, Sharon Lugnan, Angelica Migotti, Marta Moretti, Alice Emanuela Danielis, Linda Pagnutti, Gabriele Pellegrini, Francesco Rocchi, Giulia Vanin hanno discusso la tesi di laurea nella sede del polo medico di piazzale Kolbe. Tutti e quindici, su sedici studenti che hanno complessivamente intrapreso il percorso di laurea a Udine, hanno tagliato regolarmente il traguardo degli studi, nella prima sessione autunnale utile.

▲ Roma – I ragazzi e le ragazze dell’MMA – Family Fight Team di San Canzian d’Isonzo, guidati dal coach Renato Subotic, hanno conquistato per il secondo anno consecutivo il titolo di Campioni d’Italia. Ecco i risultati ottenuti nella Serie A, valida per le qualificazione ai campionati Europei e Mondiali oltre che per l’accesso alla Nazionale Italiana: Faizodin Azimi (Medaglia d’oro), Francesco Lo Galbo (Medaglia d’oro), Emanuele Palumbo (Medaglia d’oro), Gabriele Varesano (Medaglia d’oro), Marco Doda (Medaglia d’oro), Arziko Bregu (Medaglia d’oro), Fabiana Giampa (Medaglia d’oro), Alfons Doskja (Medaglia d’argento), Giorgia Fumagalli (Medaglia d’argento), Emanuele Bulbo (Medaglia di bronzo), Umberto Argentano (Medaglia di bronzo), Carmine Rambetti (Medaglia di bronzo).

È possibile inviare le proprie lettere e i propri commenti via posta ordinaria (iMagazine – via Aquileia 64/a – 33050 Bagnaria Arsa-UD), oppure via e-mail (redazione@imagazine.it).


▲ Trieste – Tradizionale concerto del Gruppo Bandistico Folkloristico Refolo di Trieste, nell’area di viale XX Settembre, la domenica precedente il Natale. Un appuntamento che ha catalizzato l’attenzione di numerosi cittadini e turisti, in cui era presente anche il maxischermo iMagazineVideoTruck, che anche quest’anno ha animato il periodo di dicembre nel capoluogo regionale.

◄ Venezia – Il Maestro Luigi Pistore, residente a Gorizia e figura di rilievo tra i casanovisti per aver fondato l’Accademia Casanova, ricoprirà la carica di Direttore Generale della nuova Fondazione G. Casanova fondata recentemente dall’imprenditore e mecenate Carlo Parodi.

▲ Reggio Emilia – Alcuni esponenti dell’Udinese Club “Lucio Aiza” di Joannis per la prima volta a seguito della squadra del cuore in trasferta. Al Mapei Stadium il presidente Riccardo, il vicepresidente Livio, il segretario Remo e il sostenitore Danilo hanno sostenuto a gran voce l’Udinese e fatto amicizia anche coi sostenitori locali che, alla fine, hanno salutato i tifosi venuti da lontano. – Errata corrige – Nell’articolo “Lo scrigno della storia” pubblicato a pagina 30 del numero 77 di iMagazine, la foto del Parco Coronini è stata erroneamente attribuita a Pierluigi Bumbaca, anziché a Erica Coceani. Ce ne scusiamo con gli interessati e con i lettori.



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BLOCKCHAIN E CENTRI PER L’IMPIEGO Rubrica di Paolo Marizza

L’ANALISI

La rivoluzione

del lavoro

Applicare le tecnologie emergenti al farraginoso sistema italiano che dovrebbe far incontrare le necessità occupazionali delle aziende con le competenze dei potenziali candidati. Una sfida ormai obbligata?

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Il DEF, Documento di Economia e Finanza del Governo italiano 2019-2021, prevede per il 2019 stanziamenti pari a 9 miliardi di euro per il reddito di cittadinanza (RdC) e un altro miliardo per potenziare la rete pubblica italiana di Centri per l’Impiego (CpI). In particolare, la riforma stabilisce che i Centri per l’Impiego: certifichino gli aventi diritto al RdC (platea stimata in 6,5 milioni di persone); propongano almeno 3 offerte di lavoro per ciascun beneficiario del RdC; istituiscano e gestiscano corsi di formazione e riqualificazione obbligatori; istituiscano l’obbligatorietà della prestazione di lavori socialmente utili. Ciò implica almeno un flusso di 19,5 milioni di domande di lavoro da parte delle aziende, l’assunzione di 25-30 mila addetti e massicci investimenti per la formazione, il rinnovamento tecnologico e l’infrastrutturazione dei CpI (attuali e nuovi). Non si intende qui commentare l’adeguatezza del sistema pubblico di avviamento al lavoro. Basti ricordare che attualmente il tasso di successo dei CpI nel collocamento è pari al 3%; in termini quantitativi, l’incidenza della spesa per le reti pubbliche di impiego sul PIL, cosi come il dimensionamento dei CpI, sono inferiori da 5 a 10 volte rispetto ai principali Paesi UE; in termini qualitativi i CpI necessitano di orientatori, psicologi, consulenti aziendali e del lavoro; si stima che circa 1/3 del personale CpI è addetto a mansioni di natura amministrativa; la governance, basata sul dualismo stato/regioni, genera differenze strutturali, di standard e di performances; l’avvio della riforma è previsto per marzo 2019.

Sorprende il fatto che in un’epoca di cambiamenti epocali, un sistema importante per la trasformazione sociale ed economica del Paese versi in condizioni così arretrate e lungamente ignorate. Da più parti si sottolinea che senza efficaci Centri per l’Impiego c’è il rischio reale che la riforma si riduca a una misura puramente assistenziale che disincentiva la ricerca proattiva di lavoro. In gioco però non è soltanto il successo di una misura di reddito universalistico, di base o minimo che dir si voglia, ma la riqualificazione complessiva del nostro ecosistema educativo, di avviamento al lavoro e dei correlati sistemi di welfare. Centri per l’Impiego: perché applicare la blockchain

Le tecnologie emergenti e il cambiamento delle dinamiche sociali ed economiche stanno trasformando il modo in cui le persone cercano e trovano lavoro, imparano e continuano a sviluppare le proprie competenze. Tuttavia, le istituzioni del mercato del lavoro e le istituzioni educative, le metodologie di accompagnamento all’accesso e di sviluppo delle competenze continuano a funzionare più o meno allo stesso modo della metà del 1700. L’assenza di innovazione in molte di queste istituzioni è evidente. La natura centralizzata e burocratica di numerosi sistemi di avviamento al lavoro ed educativi porta a inaccettabili disallineamenti tra gli incentivi alla ricerca proattiva di lavoro e i risultati delle cosiddette politiche attive, e tra gli incentivi per la riqualificazione e i risultati dell’apprendimento. Per chi cerca lavoro mantenere un alto livello di credibilità in un contesto in cui persistono livelli di fiducia non ottimali è un percorso a ostacoli: non |

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esiste una singola versione immutabile della “verità” relativa alle competenze, il che inficia le possibilità di qualificarsi per le opportunità di lavoro. Attualmente, i diversi attori nel settore del reclutamento e dello sviluppo delle competenze sono frammentati e sconnessi. Non esiste un modo efficace per gli attori (Centri per l’Impiego, Enti di accreditamento, reclutatori, imprese e Istituzioni educative) per ottenere un “record di verità” in merito alle qualificazioni del candidato, il quale deve raccogliere e trasmettere informazioni alle varie parti e, in molti casi, auto-dichiarare le proprie capacità. Il sistema è inefficace, dispendioso in termini di tempo, costoso e suscettibile di frodi e problemi di comunicazione. Ma forse nessuna tecnologia di piattaforma ha un potenziale più dirompente della blockchain per abilitare il ruolo dei CpI in modo “ecosistemico”. Mentre la maggior parte delle piattaforme di settore sono applicazioni gestite e controllate centralmente (e quindi mancanti delle qualità necessarie per supportare un ecosistema scalabile), la blockchain è un ecosistema decentralizzato in cui i partecipanti stabiliscono collettivamente le regole e gli standard della rete. La blockchain può essere il fattore abilitante fondamentale per la formazione di “ecosistemi” altamente scalabili e decentralizzati di creatori di contenuti, di accreditatori di competenze, di reclutatori e datori di lavoro, mettendo al centro lavoratori, disoccupati e studenti. L’utilizzo di adeguate configurazioni della blockchain può contribuire a ridurre le barriere alla “mobilità ascendente”, come lo stato socioeconomico e i pregiudizi etnico-demografici, consentendo a milioni di persone un maggiore controllo sui propri percorsi di sviluppo professionale e personale, sulla loro istruzione e prosperità economica.

terazioni peer-to-peer con i portatori di interesse, incontro tra domanda e offerta, progetti sul campo e stage. L’ obiettivo principale di chi è alla ricerca di lavoro non è quello di redarre un curriculum o quello di ottenere un buon punteggio in un esame standardizzato, ma piuttosto di sviluppare un portafoglio personale di esperienze verificabili di lavoro e di apprendimento, che consentano loro di attrarre offerte da potenziali datori di lavoro. Dare una maggiore visibilità e controllo alle prospettive professionali e di istruzione è in definitiva la missione dei Centri per l’Impiego: personalizzare le qualificazioni e allineare le attività di apprendimento dei candidati con i loro obiettivi personali e le aspettative della domanda, mantenendo la neutralità del proprio ruolo. Nell’ecosistema dei Centri per l’Impiego, i candidati potenziali non hanno necessariamente bisogno di un diploma universitario o anche di un diploma di scuola superiore. Ciò che importa è che abbiano motivazioni, capacità e disponibilità per migliorare la loro condizione lavorativa e di vita. In questo nuovo paradigma le competenze verificabili e i percorsi di qualificazione sarebbero più importanti di come o dove un candidato è stato educato e dotato di competenze. In teoria, non ci sarebbe differenza tra un laureato nelle Università più rinomate e un individuo autodidatta, purché entrambi possiedano analoghe capacità e abilità verificabili. Quale blockchain per i Centri per l’Impiego?

Per sviluppare un “ecosistema” di reclutamento e sviluppo delle competenze altamente funzionale è necessaria una base comune sotto forma di piattaforma blockchain che consente a reti di partecipanti ampie e interdipendenti di negoziare e comunicare tra loro utilizzando standard e protocolli comuni. In via preliminare si delineano alcuni principi e Come applicare la blockchain ai Centri per l’Im- criteri generali della “blockchain economy” applipiego: un approccio “ecosistemico” cabili ai CpI. Ci sono molte applicazioni blockchain, già operative e in fase di sperimentazione, per il re- Una blockchain ibrida clutamento delle risorse umane. Basandosi su tali L’ecosistema comprende sia soggetti pubblici che esperienze, in tempi ragionevoli può essere imple- privati e le informazioni spesso risiedono in datamentata una soluzione blockchain decentralizzata base proprietari con restrizioni normative per l’acin grado di dimostrare le storie di lavoro e le qua- cesso e l’uso. Un’architettura ibrida sembrerebbe aplifiche; certificare i percorsi di formazione richie- propriata poiché da un lato è decentralizzata, sicusti; migliorare il rapporto tra domanda e offerta; ra, trasparente e immutabile, mentre dall’altro artirazionalizzare l’intero processo per i vari sogget- cola e limita i diritti di visualizzare, modificare e agti coinvolti. giungere/approvare le transazioni in modo selettivo. Un approccio “ecosistemico” che riconosca le Il motore blockchain dei Centri per l’Impiepersone come individui con attitudini, competen- go gestisce tutto il flusso, dalla manifestazione ze e bisogni diversi, può consentire alle persone di interesse al colloquio, alla registrazione sulla di posizionarsi e qualificarsi in modo multidimen- blockchain. Il sistema utilizza un ampio set di dati sionale e asincrono. Le persone imparano a quali- che copre tutto il processo di ricerca, formazione, ficarsi e sviluppano le competenze attraverso una assunzione, compresi i requisiti di qualificazione/ combinazione di corsi online, lezioni in aula, in- certificazione e il post-assunzione. 16

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Gli standard e i protocolli di un ecosistema blockchain sono trasparenti e si applicano a tutti i partecipanti. La tecnologia blockchain e i servizi di identità digitale producono alti livelli di fiducia e riducono le frizioni delle transazioni e dell’interazione, migliorando l’efficienza complessiva dei CpI, dei cercatori di lavoro e l’incontro con i requisiti dei datori di lavoro. Il requisito dell’immutabilità garantisce la veridicità delle qualifiche delle persone, la trasparenza e l’integrità del processo. Il sistema protegge la privacy, mette al centro del processo i candidati, fornisce feedback in tempo reale con costi e tempi di risposta inferiori. Poiché la blockchain “automatizza la fiducia” tra i partecipanti all’ecosistema, stabilisce e applica regole e protocolli comuni e crea una univoca registrazione della “verità” in merito ai risultati del processo, il sistema potrebbe essere scalato a livello globale. Persone in cerca di lavoro e studenti provenienti da tutte le regioni e anche dall’estero, potrebbero idealmente unirsi alla platea inziale di aventi diritto.

ti fornendo informazioni ai partecipanti all’ecosistema. Le agenzie “online” (LinkedIn, Facebook, ecc.) vendono sia dati personali che aziendali. Esistono molti elementi di trasferimento di valore che la blockchain consentirebbe di far emergere e di valorizzare: la qualità dei curricula, la verificabilità e accessibilità dei CV, la certificazione dei processi di formazione. I contratti intelligenti potrebbero fornire regole di ingaggio e incentivi remunerati per riequiliUna blockchain intelligente brare l’appropriazione del valore delle informazioIn un ecosistema di reclutamento e sviluppo del- ni, dando anche alle persone in cerca di lavoro l’ople competenze basato su blockchain, ogni attore in portunità di monetizzare le informazioni che decigioco ha un’identità digitale unica. Attraverso i co- dono di fornire. siddetti “contratti intelligenti” l’identità è immutabilmente legata a tutti gli eventi programmabili e La blockchain per un mercato del lavoro equo verificabili: ai percorsi di ricerca lavoro, a tutti i In un sistema decentralizzato che ha le procorsi di qualificazione/ri-qualificazione, a qualsiasi prie regole e standard e che utilizza i servizi di progetto e a tutti gli accrediti che guadagnano, solo identità e certificazione digitale, le esperienper menzionare alcuni. ze professionali e le abilità individuali sono gli I “contratti intelligenti” sono programmi infor- aspetti più importanti. All’individuo, separato matici che assicurano ed eseguono il regolamen- dai suoi dati demografici e da altre informazioni to di accordi registrati tra persone e organizzazio- che non sono legate alle competenze, si conferini. Attraverso questi contratti, i vari partecipanti sce un maggiore controllo su cosa, come e dove possono determinare i termini dell’accordo, le pro- cercare lavoro e apprendimento, pensando a se cedure di monitoraggio, i metodi di applicazione stesso come partecipante all’ecosistema e curae le modalità di esecuzione dello stesso. I contrat- tore dei propri contenuti. ti intelligenti li fanno rispettare e possono includeLe sfide sono molte, ma vale la pena di affronre anche incentivi, al fine di incoraggiare compor- tarle con determinazione e impegno per creare un tamenti specifici e assicurarsi che le attività proce- ecosistema-bene pubblico che possa: rimuovere dano come concordato. intermediari e terze parti disfunzionali; supporDurante il percorso del candidato attraverso il tare i candidati per le loro capacità, esperienze e processo di impiego-reimpiego, lo scambio di dati reputazioni; supportare i datori di lavoro e fornie l’interazione con la piattaforma avverranno auto- re feedback sulla loro reputazione; far crescere una maticamente su funzioni programmate in contratti community che può valorizzare le proprie storie laintelligenti, eseguibili da applicazioni decentraliz- vorative personali, segnalando reciprocamente opzate, le cosiddette DApps. Le applicazioni decen- portunità basate sulla conoscenza dei set di abilità tralizzate (DApps) possono includere ad esempio nel rispetto della privacy; abilitare un’economia del un sistema di verifica delle competenze, di valida- mercato del lavoro dove le aziende risparmiano sui zione delle qualifiche, di validazione dei percorsi costi di reclutamento e i candidati sono incentivati formativi e di valutazione della reputazione (non da meccanismi endogeni allo stesso. solo dei candidati, anche dei datori di lavoro). Una blockchain incentivata (monetizzazione) In questo ambiente, la persona costruisce un portafoglio di percorsi, competenze e risultati verificabili, che possono poi essere anche monetizza-

Paolo Marizza Co-founder di Innoventually e docente DEAMS-UniTS |

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ALLA SCOPERTA DI...

PIERLUIGI CAPPELLO Servizio di Vanni Veronesi

La libertà

della parola

Il 1 ottobre 2017 Pierluigi Cappello moriva nella sua casa di Cassacco. A poco più di un anno dalla sua scomparsa, iMagazine vuole ricordare questa figura eccezionale di poeta e di uomo. Con un omaggio appassionato.

L’anno zero

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Il 10 settembre 1983 è un sabato. Un sedicenne di Chiusaforte scende a Udine: è il grande giorno della gara di corsa, per la quale si è duramente allenato. Accanto a lui, ai blocchi di partenza, ci sono altri quattro sfidanti; «al “pronti” i cinque ragazzi inarcano le schiene […]; al “via”, lo scoppio di cinque corpi levigati si alza nella mattina di settembre, e cinque armonici sistemi di leve, modellati per due anni al solo scopo di coprire una distanza nel più breve tempo possibile, aggrediscono il tartan, che sotto i passi corre via veloce». Il sedicenne, però, ha una marcia in più: «La linea d’arrivo si avvicina, non vede nessuna schiena

davanti a sé, passa il traguardo e procede ancora per una decina di metri, adesso è un arco scarico. […] Si guarda attorno, vede i suoi compagni, il corpo è docile, non dà pensieri, lui è felice». Non sa, il ragazzo, che la sera stessa si troverà catapultato sull’asfalto cadendo da una moto, assieme a un amico che morirà sul colpo. Non sa che dovrà rinunciare ai suoi sogni di aviatore. Non sa che la sua vita, sbalottata da un ospedale all’altro, sarà per sempre inchiodata su una sedia a rotelle. Il racconto dell’anno zero del poeta Pierluigi Cappello è affidato al suo unico, stupendo romanzo uscito nel 2013: Questa libertà. 173 pagine in cui l’autore ricorda la sua infanzia fino all’uscita dall’ospedale, quando «la porta automatica si spalancò su un continente ignoto», ovvero la vita dopo l’incidente; 173 pagiA fianco: il fiume Fella visto dalla pista ciclabile ‘Alpe Adria’ a nord di Chiusaforte. Sopra: Pierluigi Cappello nella foto di copertina del libro Un prato in pendio (Rizzoli), uscito postumo nel settembre 2018 (ph. Danilo De Marco). Pagina accanto: l’imbocco su via Campolaro a Chiusaforte, dove Pierluigi Cappello ha vissuto l’infanzia e l’adolescenza.

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ne in cui Pierluigi − da qui in poi lo chiamerò così: unica concessione pubblica al nostro rapporto privato, che rimarrà tale – ricostruisce il suo universo di bambino e adolescente, in quella Chiusaforte che «non era l’Italia del Settanta [….] / ma una bolla, minuti raddensati in secoli / nei gesti di uno stare fermi nel mondo / cose che avevano confini piccoli, gli orti poveri, le cataste / di ceppi che erano state un’eco di tempo in tempo rincorsa / di falda in falda, dentro il buio» (Ombre).

Le prime raccolte

«Cominciai a disegnare alle medie, a Pontebba, quando la professoressa ci lesse la Chanson de Roland prima in originale e poi in traduzione: fu un impatto fortissimo. Disegnavo a china o matita – una passione che mi è rimasta – dame e cavalieri: disegnavo quando ancora non ero in grado di esprimere compiutamente l’eco che quelle letture avevano suscitato in me. Passato alla poesia, ero convinto che quella fosse la forma più semplice di letteratura: mi sbagliavo, era la più difficile». Così mi disse Pierluigi nel dicembre 2012, ripercorrendo le tappe del suo apprendistato letterario, culminato nel 1994 con l’uscita della prima raccolta ufficiale: Le nebbie. Ma il vero principio, nel giudizio severo che egli riservava a se stesso, è la seconda raccolta (1998): La misura dell’erba. Il titolo, emblematico, riprende una delle poesie ‘manifesto’ del libro: «Attieniti alla misura dell’erba / di questo prato che è largo / quanto si stende di verde / è qui che sei approdato, adesso; / ti sei svegliato / hai inforcato gli occhiali / hai calzato le scarpe / hai camminato, perfino». Il prato in cui Pierluigi può addirittura alzarsi e passeggiare è quello della letteratura, uno spazio mentale in cui le parole sono gambe che portano lontano: un cortile che ha limiti ben definiti, ai quali bisogna attenersi perseguendo una poesia limpida, un «cielo elementare / azzurro come i mari degli atlanti / la tersità di un indice che dica “questa è la terra, il blu che vedi è il mare”». Proprio la ricerca della purezza lo conduce alla poesia in friulano, la vera lingua ‘madre’ appresa quando ancora non si aveva paura di definirla ‘dialetto’, con tutta l’epica domestica racchiusa in questa parola: il focolare, la dignità dei genitori, il mondo rurale di Chiusa-

forte. Nascono così, nel 1999, le raccolte Il me Donzel e Amôrs, piccoli capolavori di vitalismo traboccante: «Tô la mê bocje amôr sul to savôr / la mê vergogne di vivi cumò / ch’o ti tocji ch’o ti sflori e o ti cor / come inte gnot un gjat adôr dai mûrs; / jo o ti cor come un gjat adôr dai mûrs / siben ch’o sai che intai conts di amôr / doi mancul un mancul di zeri al fâs / e un plui un un al varès di fâ, / siben che e reste cumò che tu vâs / la mê cerce di te su la tô piel / su la mê il risinâ dai tiei cjavei / e je dentri te tô la mê pôre / di smenteâmi di me» (Tua la mia bocca, amore, sul tuo sapore, la mia vergogna di vivere adesso che ti tocco che ti sfioro e ti corro, come un gatto nella notte rade i muri; io ti corro come un gatto rade i muri, sebbene sappia che nei calcoli d’amore due meno uno dia meno di zero e uno più uno dovrebbe dare uno, benché resti, adesso che vai, il mio cercarti sulla tua pelle, sulla mia lo stillare dei tuoi capelli, è dentro la tua la mia paura di smemorarmi di me).

La consacrazione

Il ritorno all’italiano con Dentro Gerico, nel 2002, segna una svolta nella poesia di Pierluigi, sempre più fluida e al contempo rigorosa, come nella preghiera laica di Isola: «Concedi loro di sopportare / per ogni ciglio sospeso alle tenebre |

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/ al tramonto di ogni palpebra sfinita / la pronuncia dell’alba e del crepuscolo / e il rombo immenso, che sale dall’uomo». Nel 2004 la sezione friulana Inniò e quella in italiano Ritornare danno vita a Dittico, dove svetta Assetto di volo, la poesia dedicata alla memoria di Gino Lorio che darà il titolo alla prima antologia della sua produzione letteraria (2006): «E io vi vedo una bellezza di cimieri abbattuti / e dentro la parola andare la parola compimento / e sono sicuro che lui sogna baci pieni di vento / mentre la volontà conquista le giornate a morsi, / schiaffo dopo schiaffo perché venga la sera / schiaffo dopo schiaffo, chiglia in piena bufera». Ma è con Mandate a dire all’imperatore (2010) che Pierluigi assurge alla ribalta nazionale, inaugurando una lunga stagione di premi e riconoscimenti: 40 poesie sublimi, un mosaico di immagini che raccontano un mondo intero. Ed ecco Campo Ceclis, 1978, istantanea sulle baracche del post terremoto, quando casa Cappello era ormai un ricordo, annientata dal sisma del 6 maggio 1976: «due cerchioni cromati, copertoni consumati / fino all’anima di metallo / un vecchio telaio Bianchi / una rete da materasso sfondata al centro / una quantità imprecisata di bottiglioni vuoti / un disordine slavo e un fusto di latta / un motore grippato su un cavalletto / la ruggine bagnata, il metallo di tubi Innocenti / addossati alla parete di legno / la libertà dei terremotati, / lo zenit dei prefabbricati». E poi il Friuli della ricostruzione, con il traumatico arrivo delle comunicazioni veloci raccontate ne L’autostrada: «Se la montagna frana, la mia faccia frana un poco al giorno / se il fiume si dissecca, il mio cuore è pronto a disseccare / se l’autostrada mette ombra all’ombra della valle / ne trovi il taglio qui, poco sotto l’ombelico / com’è vero che il cerchio si aggiunge al cerchio nel mutarsi del tronco». E poi ancora il ricordo della figura paterna, con momenti altissimi: «e se c’è un’uscita, papà, anche se non posso dire domani, / la sua luce sulla soglia / è questo stare dei tuoi occhi dentro i miei / questo pensarvi vivi, liberi e scalzi / le tasche piene di sassi, la memoria di voi / che trema in noi / come una stella incoronata di buio» (I vostri nomi). E in quel dicembre 2012, quando lo conobbi nella sua vecchia casa di Tricesimo (un prefabbricato donato dall’Austria ai terremotati del ’76), Pierluigi aveva già in cantiere il romanzo da cui siamo partiti: Questa libertà (2013), che deflagrò in me come una bomba, con la sua brutale e violentissima bellezza. Sapiente contraltare al delicato sguardo di Parole povere, il documentario che Francesca Archibugi ha dedicato al poeta di Chiusaforte nello stesso 2013.

La purezza finale

Questa libertà segna il passaggio alla Rizzoli: è il grande salto nell’editoria popolare, la consacrazione definitiva che si concretizza nella silloge Azzurro elementare, compren-

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dente tutte le precedenti raccolte da La misura dell’erba a Mandate a dire all’imperatore. Nel 2014 esce Ogni goccia balla il tango, dedicata alla nipotina Chiara: una deliziosa silloge di poesie per bambini, ma in fondo anche per adulti («Tutto tace e si fa notte / e dal manto delicato / fantasie sono tradotte / nel tuo sogno smemorato»). Nel 2015 arriva Il dio del mare. Prose e interventi, dove si distingue Bosco di Courton, 1918, stupenda lettura della lirica di Giuseppe Ungaretti «Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie»: è il Pierluigi esegeta che svela come nasce una poesia, con i suoi pieni e i suoi vuoti. Una riflessione sul mestiere del poeta che ritroviamo nella sua raccolta forse più matura, e proprio per questa più scabra ed essenziale: Stato di quiete (2016). Apriamo una pagina a caso: «Comincia con lo scrivere il tuo nome, / perché ne resti traccia, qualche segno di grafite / risonante nel bianco. Con poche lettere / sigla decenni di storia, il silenzio / della pagina pronto a spalancarsi, / ad accogliere e disperdere. / Spicca nel bianco e non è più bianco / ma voce la matita che attraversa il foglio, / e goccia a goccia qualcosa cede e ti si allarga dentro: / Pierluigi, e dopo Cappello, in un sussurro un nome; / e dentro un nome, l’uomo che non concede a sé / i suoi stessi lineamenti, protetti da un’ottusità misericordiosa. / Leggero, come la cenere. Fresco, come l’aria fra le dita. / Scomparso, come una nuvola». Niente è più complesso di questa semplicità, alla quale si arriva sporcandosi le mani e grondando sangue: è la conquista fi nale, l’ultima meta, il traguardo di una vita dedicata interamente alla parola. Fino a quel settembre 2017, quando il cancro era già in fase terminale e Pierluigi scriveva il suo testamento poetico: il sentiero sale […] e in cima piega a una svolta e non c’è modo di vedere cosa c’è al di là perché tu sei in basso e la salita in alto; ma quello che vedi oltre l’orlo del tracciato è un vuoto di colore, che lontano si fa giallino e più lontano ancora un infinito tutto e una gioia senza direzione*.

Vanni Veronesi * Dalla raccolta postuma Un prato in pendio (Rizzoli, 2018), comprendente tutte le poesie dal 1992 al settembre 2017. In queste pagine: copertine di alcune opere di Pierluigi Cappello. Ultima foto qui accanto: il poster del documentario di Francesca Archibugi Parole povere. |

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VIAGGI E METE SRI LANKA Servizio e immagini di Claudio Pizzin

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Natura e misticismo

A sud dell’India, circondata dall’Oceano, un’isola stato tramanda da secoli la cultura buddhista. Offrendo ai visitatori scenari naturali unici al mondo. Come la storia racchiusa nel suoi templi.

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Paesaggi di straordinaria bellezza, magnifiche spiagge, flora e fauna ricchissime, templi storici e monumenti antichi fanno dello Sri Lanka una meta ineguagliabile. Grazie alle distanze non certo proibitive, che consentono diverse escursioni in giornata, visitare questo Paese diventa una piacevole emozione. All’eccezionale fascino del paesaggio, infatti, va ad aggiungersi la calorosa ospitalità della sua gente, che accoglie il visitatore con un sorriso sincero. Appena giunti in Sri Lanka troviamo sistemazione a Negombo, a pochi chilometri dall’aeroporto. Da qui programmiamo il nostro tour, venendo indirizzati da Ananda, un autista in grado di parlare italiano, che ci accompagnerà nel viaggio. La tappa iniziale del nostro itinerario è Sigiriya, ma prima di raggiungerla visitiamo il tempio rupestre di Dambulla. Noto per le innumerevoli immagini di Buddha,

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appare ai nostri occhi solo dopo aver salito numerosi gradini. Dalle iscrizioni si deduce che le grotte dei templi e le grotte circostanti erano state donate ai monaci dalla famiglia reale. Ancora oggi è molto ben conservato, ricco di statue di Buddha raffigurato in diverse posizioni. Fa molto caldo ed è ora di riprendere il cammino: ci attende Sigiriya e una doccia ristoratrice. L’indomani, di buon mattino, si parte per la visita alla rocca di Sigiriya, fondata 1500 anni fa dal re parricida Kassapa, che trasformò la sommità del monte in una fortezza inaccessibile. Dopo Kassapa, Sigiriya fu abitata da monaci che vivevano nella foresta. Per raggiungere la cima occorre salire una serie di scale scavate nella roccia: sconsigliato a chi soffre di vertigini o non è in ottima forma. Lungo il tragitto ammiriamo dipinti murali di pregevole fattura: tra loro anche i meravigliosi intitolati “Fanciulle delle nubi”. Il panorama sulla pianura sottostante è unico. Il palazzo reale è sorprenden-


te, i giardini lasciano il visitatore stupito. Senza fiato, invece, lascia la scala esposta nel vuoto, attraverso cui raggiungiamo la sommità della terrazza dei leoni. Il giorno seguente arriviamo a Polonnaruwa, un tempo importante centro commerciale e religioso. Le tombe e le statue antiche, così come gli stupa (tipico monumento buddista), sono ancora testimonianza dei fasti del passato. Per visitare il Satmahalprasadalo stupa a sette piani dobbiamo togliere i sandali; le pietre e la sabbia sono roventi: per evitare ustioni siamo costretti ad accelerare il passo. La scena si ripete poco dopo, quando raggiungiamo il Vatadage: un reliquiario a pianta circolare. Il modo migliore per visitare il sito sarebbe in bicicletta, ma noi proseguiamo il giro a piedi per godere di tutte le sue bellezze. Una di queste è la sala delle udienze, dove sono incisi i nomi dei ministri e dei funzionari che vi si riunivano. Nel Gal Vihara sono invece conservate numerose sculture di Buddha che stupiscono per fattura e grandezza. La figura del Buddha coricato è lunga addirittura 15 metri. Riprendiamo il cammino verso Anuradhapura. Lungo la strada attraversa un elefante e, poco dopo, vediamo un signore dare da mangiare a un varano… Il paesaggio è caratterizzato da numerose risaie animate da donne di tutte le età impegnate nella semina del riso. Ci fermiamo a Ritigala per ammirare le rovine di un grande monastero immerso nella foresta. Il complesso, con oltre settanta grotte, fu luogo di ritiro dei monaci che volevano condurre una vita ascetica. A piedi affrontiamo la salita al monastero lungo un sentiero immerso nella foresta. Il tratto è lungo e faticoso, ma con la calma giungiamo alla meta. È pomeriggio inoltrato, invece, quando arriviamo ad Anuradhapura. Visitiamo la parte esterna del sito con il muro degli elefanti, incontrando moltissime scimmie. Ammiriamo lo Sri Maha Bodhi: l’albero più vecchio del mondo di cui ci è giunta notizia, portato in Sri Lanka dall’India da una monaca buddista, la principessa Sanghamitta. Si dice che fosse una talea dell’albero di Buddha Gaya in India sotto il quale il principe Siddharta Gautama ricevette l’illuminazione, divenendo così Buddha. Tutti i buddisti del mondo lo venerano come una reliquia. Si fa sera e il sito incomincia a illuminarsi e a riempirsi di fedeli. Decidiamo di visitare il Ruwanweliseya, il più grande stupa della città (alto 90 metri e decorato con corallo portato dal Mediterraneo). Mentre ci allontaniamo, sempre più fedeli si raccolgono in preghiera e nell’aria si espande un acre odore di candele. L’indomani siamo ancora ad Anuradhapura per visitare il tempio rupestre di Isurumuniya, costruito nel II secolo a.C.. Un bellissimo laghetto con ninfee ci accoglie mentre raggiungiamo il tempio centrale. Nella zona in cui c’era l’ospedale, alcuni giovani armati di badili stanno scavando alla ricerca di nuovi resti. Raggiungiamo Kuttam Pokuna ovvero i “doppi stagni”: i bagni dei monaci, risalenti al III secolo a.C.: unici. La guida

Polonnaruwa, sopra, resti dell’edificio dove fu deposta la reliquia del dente sacro di Buddha; sotto, il santuario Vatadage, a forma circolare, costruito nel VII secolo.

Ritigala, sopra, i resti del monastero; sotto, risaie.

Pagina accanto in apertura, Sigiriya, la terrazza dei

Leoni; in basso da sinistra, Dambulla, dipinti e panoramica del tempio; sempre a Dambulla, un esemplare di varano lungo il cammino

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ci conduce in riva a un altro lago, dove sorge una scuola gestita dai monaci, tutti seduti allineati a terra. Molte donne incinte offrono loro del cibo per facilitare il buon andamento della gravidanza. Una cerimonia suggestiva. Riprendiamo il viaggio alla volta di Mihintale. Qui, nel 247 a.C., fu introdotto il buddismo grazie alla conversione del re singalese Devanampiyatissa, che restò affascinato da un sermone del predicatore Mahinda. Mihintale divenne così un importante centro religioso sotto l’aspetto storico. Ogni anno durante la luna piena di giugno vi si recano moltissimi fedeli a ricordare la Anuradhapura, sopra, il Buddha disteso; sotto, i doppi conversione dell’isola al Buddismo. Lo stupa che si trova alla sommità della collina si raggiunge dopo 400 scastagni, o Kuttam Pokuna: erano i bagni dei monaci. lini da affrontare: una salita di 25 minuti, ma ne vale la pena. Come la visione dell’imponente statua del Buddha bianco scavata nella roccia. Sull’imbrunire, lungo la strada che ci porta a Kandi deviamo per raggiungere Aukana. Siamo in orario di chiusura del sito, ma riusciamo ad ammirare quella che viene considerata la più bella statua di Buddha dell’isola, risalente al V secolo e perfettamente conservata. Ripartiamo verso Kandy. Attraversando Matale restiamo colpiti dal tempio indù di Sri Muthumariamman Thevasthanam. Una musica soave ci invita a entrare. Restiamo sbalorditi dai colori. La musica è terminata e uno dei suonatori ci offre un dolce a base di riso. Accettiamo volentieri. Kandy può aspettare. Dopo una notte tranquilla, il giorno seguente siamo pronti per l’orto botanico reale. Una vera meraviglia. Ammiriamo diverse varietà di piante secolari e di fiori, oltre alle magnifiche orchidee custodite in serra. Inizia a piovere e ripararci sotto l’ombrello di queste meravigliose piante è qualcosa di magico. Così come magico è lo spettacolo folkloristico a cui assistiamo nel pomeriggio. Una danza accompagnata dal suono del tamburo, con costumi tradizionali ricchi di decorazioni. Nelle danze del “diavolo” i ballerini portano una maschera in legno, dipinta. L’indomani raggiungiamo il Dalada Maligawa, tempio della reliquia del sacro dente del Buddha. In mezzo ai moltissimi fedeli assistiamo a una cerimonia accompagnata dal suono dei tamburi. Ci rechiamo al secondo piano dell’edificio a due piani che si trova nel Cortile del Tamburo. Nel reliquiario tempestato è custodito il sacro dente di Buddha. Tutto attorno la devozione assoluta della gente. Veherehena, i dipinti del tempio. Prima di lasciare il palazzo visitiamo il Sri Dalada Mulkirigala, i bambini dell’asilo impegnati in un ballo Museum, in cui sono conservate le offerte in oro fatte al in onore degli ospiti italiani. tempio da capi di stato e leader buddisti del mondo. La mostra comprende lettere e diari dei tempi della dominazione inglese. Foto recenti raccontano lo scoppio, avvenuto nel 1998, di un camion-bomba che aveva pesantemente danneggiato il tempio. Prossima tappa Nuwara Elia. Lungo il tragitto osserviamo vaste piantagioni di tè; in una fabbrica assistiamo a tutte le fasi di lavorazione della bevanda. Giunti a Nuwara Elia, la prima cosa che balza agli occhi è la magnifica costruzione in stile inglese dell’ufficio postale. Gironzoliamo tra i mercatini della città, a 1800 metri sul livello del mare. Fa fresco e per dormire c’è bisogno di qualche coperta. Dopo una fugace ferma24

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ta a Ella, con una pioggia che ci limita nei movimenti ripartiamo verso Buduruwagala, dove possiamo ammirare le sette grandissime immagini scolpite nella roccia. Lungo il tragitto ci fermiamo nell’Udawalawe National Park. A bordo di una jeep visitiamo il parco, incontrando numerosi elefanti e alcune varietà di uccelli. Per i giorni successivi la nostra base d’appoggio sarà invece Mirissa, da dove ci spostiamo per visitare i principali siti di interesse. Il primo è quello di Mulkirigala, ove possiamo visitare i templi rupestri. Appena entrati ci affacciamo a una struttura che risulta essere un asilo. La maestra ci fa cenno di entrare, tra lo stupore dei bambini che ci osservano incuriositi. Dopo le reciproche presentazioni, su indicazione dell’insegnante gli allievi si mettono tutti in riga, intonando una nenia in nostro onore. Il tempo passa e bisogna salutare, venendo piacevolmente ricambiati. Dopo l’ennesima salita di 500 scalini, in cima a un dirupo visitiamo una serie di grotte al cui interno sono custodite statue di Buddha ben conservate. In equilibrio instabile saliamo ancora più in alto: si trova un piccolo dagoba (monumento sacro buddista), da cui si gode di una vista mozzafiato. Sulla strada del ritorno ci fermiamo nel paese di Veherehena dove sorge una delle statue più grandi del paese, base di un complesso religioso moderno costruito nel punto in cui sorgeva un tempio sotterraneo. La statua del Buddha ha un altezza di 39 metri e stupisce per la sua dimensione, ma non certo per il suo pregio. Il tempio è costruito in parte sotto terra e presenta nei suoi lunghi corridoi circa 20.000 raffigurazioni di vari Jakata (racconti che descrivono le vite precedenti del Buddha). Tra gli autori di queste pitture c’è un artista italiano, Cavallin. Il giorno seguente visitiamo Galle con il suo New Oriental Hotel: una costruzione risalente al 1684, realizzata dagli olandesi, un tempo adibita a caserma e oggi divenuta hotel. Accanto sorge la chiesa protestante olandese. Qui si fondono i bastioni del periodo coloniale portoghese, l’architettura olandese e inglese e la cultura della moschea islamica. La figura slanciata del faro domina invece il porto. Sulla strada di ritorno veniamo colpiti da un furioso temporale che riversa moltissima acqua al suolo. Terminata la burrasca e rasserenato il cielo, lungo la via possiamo ammirare i numerosi venditori di pesce. Ma le emozioni non sono ancora finite. Il giorno seguente, di buon mattino, con un tuk-tuk veniamo accompagnati al porto di Mirissa, dove un’imbarcazione ci attende per portarci in alto mare nella speranza di avvistare qualche cetaceo. Dopo un’ora avvistiamo un gruppo di delfini vicini all’imbarcazione. Improvvisamente, poco distante, ci accorgiamo del tipico spruzzo della balena. Tutti si spostano da quel lato per le foto: l’imbarcazione si inclina paurosamente per lo spostamento repentino dei passeggeri… Brividi. Poco dopo assistiamo all’immersione della balena. Alzando la sua lunga coda e sollevando litri d’acqua sembra volerci salutate a modo suo. Uno spettacolo unico. Gli ultimi giorni ci concediamo un po’ di relax in spiaggia.

Galle, improbabile mercato del pesce lungo la strada principale

Mirissa, la balena annuncia la sua presenza con uno spruzzo

La grande statua di Buddha eretta in ricordo delle vittime dello tsunami del 2004

È ora di ritornare a casa. Lungo il tragitto che ci porta in aeroporto ci fermiamo per visitare una mostra fotografica dedicata allo Tsunami del 2004, che provocò migliaia di morti. In loro ricordo è stato eretto un Buddha alto 18 metri, come l’altezza dell’onda che devastò l’isola. Lo Sri Lanka è anche questo: una terra magica che, come testimonia la sua storia millenaria, sa sempre rialzarsi. Claudio Pizzin

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PERSONAGGI ROBERTO CAPUCCI Intervista di Margherita Reguitti

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La moda e lo stile

Nella sua carriera ha vestito perfino Marylin Monroe. Per il film Teorema Pasolini gli affidò il compito di disegnare gli abiti di Silvana Mangano. «Il Friuli Venezia Giulia è la parte d’Italia più affine alla mia sensibilità». Tanto da sceglierla come sede della Fondazione che porta il suo nome.

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Plasma le sete e i tessuti come uno scultore plasma il marmo, il metallo e il legno. Progetta abiti come un architetto dà forma a volumi, linee e spazi. Lo stile di Roberto Capucci, sulla scena della moda mondiale dagli anni Cinquanta a oggi, ha una cifra inconfondibile: un mosaico di colori puri che danno vita a strutture di bellezza. I suoi abiti sono templi costruiti per esaltare il corpo della donna, in un’esplosione di creatività fantastica e di energia onirica. Roberto Capucci è uomo di grande raffinatezza, cortesia e gentilezza. Rigoroso nei suoi valori, ama la bellezza e la cultura, sottraendosi da sempre al clamore dei media a caccia di scandali ed eccessi. Un gentiluomo che nel mondo della moda ha sempre scelto di non assecondare la moda. Capucci dal 2004 ha un rapporto intenso con il Friuli Venezia Giulia tanto da scegliere Villa Manin di Passariano quale sede della Fondazione che porta il suo nome, realtà nata nel 2005 e la cui direzione è affidata sin dagli esordi a Enrico Minio Capucci. Nella dimora dei Dogi è infatti conservato, catalogato e studiato il patrimonio degli abiti che sono stati esposti nei musei di arte antica e contemporanea italiana e del mondo, assieme ai disegni originali delle creazioni, materiale fotografico, video e tanta documentazione che, debitamente catalogata, può essere facilmente consultabile. 26

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Maestro Capucci, come è nato questo amore per il Friuli Venezia Giulia? «Il rapporto è iniziato grazie all’incontro con Raffaella Sgubin, all’epoca soprintendente dei Musei provinciali di Gorizia e curatrice della grande mostra personale allestita nel 2004 a Palazzo Attems. Per la prima volta ho scoperto questa parte d’Italia così affine alla mia sensibilità, così diversa da Roma e da altri paesi dove avevo esposto le mie creazioni. Nelle fasi di allestimento ho incontrato e apprezzato l’atmosfera di queste terre interessanti e belle. Avevo lavorato a Venezia, Vienna, Graz e successivamente Lubiana, ma non immaginavo di scoprire un contesto tanto ricco e multiculturale nella sua varietà mitteleuropea». Negli anni Sessanta conobbe uno degli intellettuali più geniali, anticipatore inascoltato, amato e contestato con radici friulane: Pier Paolo Pasolini. «Ho disegnato gli abiti del film Teorema, in particolare per i protagonisti Silvana Mangano e Terence Henry Stamp. Pasolini mi disse: “Vesti il protagonista maschile con i golf di cachemire e i pantaloni che porti tu”». In apertura, Roberto Capucci, nato a Roma il 2 dicembre 1930 (ph. Fiorenzo Niccoli). Nelle pagine seguenti, alcune realizzazioni dell’ Atelier dei fiori di Capucci (ph. Claudia Primangeli).


Come fu l’incontro con Pasolini? «Quando seppi che mi voleva conoscere ero felice; era di poche parole, poche ma in grado di spiegare tutto. Affascinante e cortese, era incredibilmente facile innamorarsi della sua gentilezza. Soprattutto questo incontro fu l’occasione, che da tempo desideravo, di vestire la signora Mangano, una donna semplicissima e di gran classe, incredibilmente raffinata e elegante, molto più bella dal vivo che sullo schermo. Una principessa di rango». Come furono i vostri rapporti? «All’inizio gelidi, essendo entrambi poco loquaci. Le prove si svolgevano in silenzio. Lo dissi a Pasolini che mi suggerì di essere io il primo a rompere il ghiaccio. Così feci e scoprii una donna straordinaria con la quale nacque una profonda amicizia, proseguita anche successivamente al film. Dopo di lei non volli vestire più alcuna attrice. Lo considero il mio apice». Che effetto le fa essere ancora considerato il Maestro della moda internazionale? «Nel lavoro non sento alcun peso. Sono nato con la gioia di creare e lavorare, lo faccio da 70 anni. Vivo per disegnare, sognare e realizzare i miei sogni. Non mi sono mai curato delle cose inutili. Mi affascina accogliere gli aspetti interessanti del mondo, della natura, della cultura. Amo la bellezza, la mia vita è stata sempre una tensione verso il bello che è equilibrio e forza. Siamo un Paese che ha un patrimonio unico di bellezza. Nessun altro può vantare il nostro numero di artisti, scultori e architetti. Eppure guardi cosa accade: in Francia per i 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci organizzeranno grandi mostre e noi niente. Vede la differenza?» Nella fase creativa prende spunto dalla forma o dal tessuto per dare vita a un abito-scultura? «Quando creo mi concentro sul disegno geometrico, scultoreo, architettonico e solo in un secondo momento scelgo il tessuto che sempre è a tinta unita. Questa impostazione deriva dalla mia formazione. Sono entrato nel mondo della moda con un concetto diverso rispetto agli altri. Avendo frequentato prima il liceo artistico e poi l’accademia di belle arti la mia impostazione è artistico-accademica».

Creare un abito di alta moda per valorizzare e rendere unica una donna passerà mai di moda? «Ci sono le donne che desiderano, vogliono e decidono una cosa particolare, esclusiva. Un abito su misura perfetto, pensato per esaltarne la bellezza ma anche la personalità è destinato a durare oltre le mode». I suoi abiti non sono facili da indossare... «Vero, non possono essere indossati da tutte. Sono pensati non solo per vestirle ma per interpretarle e suscitarne rispetto e ammirazione. Sono dunque destinati a creature dalla personalità e dal temperamento decisi. Per donne quindi che li sanno portare, ma non ne sono portate». Cosa pensa del fashion business di oggi? «Troppa pubblicità! Oggi va di moda ciò che fa scalpore. La gente ama la follia. Un vestito è bello se strambo, mentre una linea elegante ed equilibrata viene ignorata. I giornali e le riviste si occupano della parte meno affascinante e nobile della moda. Le notizie sono gridate, mentre il lettore e il compratore dovrebbero essere educati. È un mondo fatto di impicci e stracci, fuori dalla mia cultura e dal mio modo di vedere il lavoro». |

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Il suo è dunque un giudizio negativo… «Un “non giudizio”, in quanto troppo lontano da me. Certo che oggi la moda è specchio dei tempi, interpreta una politica al ribasso. Guardi ad esempio i pantaloni rotti portati da ragazzi e signore: nessun buongusto». Quali sono le donne che ha vestito con maggiore soddisfazione? «Sono tante: dalla principessa Pallavicini alla deliziosa Levi Montalcini, dalla spiritosa Franca Valeri a Gloria Swanson e Marylin Monroe, senza dimenticare Doris Duranti e Elisa Cegani e tante altre. Tutte donne per le quali ho scelto i colori, le linee, i tessuti più adatti a esaltarne bellezza e personalità». La sua è una creatività senza sregolatezza, fatto raro nel mondo della moda. «Confesso sono un uomo di regole, non fumo, non bevo e non faccio uso di droghe. Sono rigoroso e mi fa piacere arrivare sempre in largo anticipo a un appuntamento. Sono ordinato. Magari noioso». Ama la musica e la natura: quali sono le sue letture preferite? «Mi piace leggere le biografie serie e documentate dei grandi uomini e donne. Al momento sto leggendo quella di Ovidio, molto affascinante, uno spunto nato dalla visita della mostra allestita in questi mesi alle Scuderie del Quirinale». Ha più volte affermato che per lei la natura è fonte di ispirazione. «È vero, la natura è affascinante. La bellezza dei fiori, le loro forme e i loro colori sono così perfetti e mi riempiono di stupore. Non mi curo delle cose inutili ma di ogni forma d’arte che tiene lontana dalle cose brutte. Oggi manca nella vita la bellezza che è ciò che per me conta e cerco». Le sue creazioni sono state esposte in musei importanti e di lei hanno scritto esperti del settore e giornalisti. Ultimi in ordine di tempo il volume Roberto Capucci. Lo scultore della seta e il catalogo della mostra di Gorizia L’atelier dei Fiori. Gli abiti di Roberto Capucci incontrano le immagini di Massimo Gardone. «Due volumi importanti. Il primo, curato dal giornalista del Corriere della Sera e scrittore Gian Luca Bauzano, analizza la storia delle mie creazioni che sono state esposte fra l’altro alla Galleria Nazionale di Arte moderna di Roma, a Palazzo Strozzi a Firenze, ma anche al Kunsthistorisches Museum di Vienna e alla Biennale d’Arte di Venezia. Due volumi davvero ben riusciti con immagini stupende. È stato per me un piacere partecipare alle loro presentazioni a Milano e al museo della Moda di Borgo Castello a Gorizia». Quali sono i suoi progetti per il futuro? «Continuare a creare e lavorare. Ogni giorno disegno e mi sento bene, sereno e felice di non aver avuto paura delle mie scelte, di aver detto anche molti no, magari a clienti importanti con le quali non mi sentivo in sintonia». Margherita Reguitti

L’atelier dei fiori - Gli abiti di Roberto Capucci incontrano le immagini di Massimo Gardone La mostra nasce dall’incontro tra i fiori eterei del fotografo Massimo Gardone e quelli materici del maitre couturier Roberto Capucci, serici velluti, rasi e taffetas. Un incontro casuale di sensibilità artistiche molto affini, di linguaggi diversi a confronto. Il tutto in un’inattesa e sorprendente armonia. Visitabile fino al 14 febbraio 2019. Museo della Moda e delle Arti Applicate - Borgo Castello 13 – Gorizia. Apertura: da martedì a domenica dalle 9 alle 19; Chiuso il lunedì. Organizzato da: ERPAC - Ente Regionale per il Patrimonio Culturale della Regione Friuli Venezia Giulia Telefono 0481 533926 / 0481 530382 www.musei.regione.fvg.it email: musei.erpac@regione.fvg.it |

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PERSONAGGI

FRANCESCO GIOIA Intervista di Michele Tomaselli Immagini di Francesco Cecconi

Educare alla bellezza

Doveva fare l’avvocato, ma ascoltando Mozart si mise a piangere: «Lì capii dove dovevo andare». Da sei anni, con la sua orchestra, porta la grande musica sinfonica nei piccoli centri della regione. «Perché il pubblico dimostra di gradire sempre qualità e serietà».

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“AUDiMuS” è un’orchestra friulana nata da un’idea di Francesco Gioia e Matteo Ziraldo, che un anno fa ha festeggiato il primo lustro di attività. In latino il nome significa ascoltiamo, udiamo, mentre come scritto delinea l’acronimo di Artisti Uniti per la Diffusione della Musica Strumentale. È una formazione composta da una quarantina di giovani professori d’orchestra e che sempre più si fa sentire sui palcoscenici della musica sinfonica. Ne parliamo col suo direttore: il Maestro Francesco Gioia, noto per aver ottenuto il secondo premio al concorso di direzione d’orchestra a Budapest con la “Duna Simphony Orchestra” e per una “Menzione di merito” dalla giuria al “Black Sea Conducting Competition” di Costanza. Francesco, iniziamo col motto di “AUDiMuS”: se le persone non possono andare nei grandi Teatri per ascoltare la musica sinfonica, saranno le melodie a spostarsi negli auditorium o nelle sale dei Comuni più piccoli. Un progetto che sembra ambizioso e mirato a far arrivare la musica sinfonica nelle maglie del quotidiano. Ci state riuscendo? «In parte sì, perché ormai da anni stiamo portando la musica sinfonica in piccoli e medi centri che hanno saputo apprezzare il nostro sforzo. Però bisogna anche 30

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dire che si incontra spesso molta diffidenza, nonostante i nostri costi contenuti per eventi di questo tipo e la notevole qualità espressa». Da chi è costituita la vostra orchestra? «L’orchestra è costituita da musicisti friulani molto seri e preparati, la cui età media si aggira attorno ai 27 anni. Alcuni sono molto giovani, altri più esperti. La sinergia che si crea è davvero magica». L’Associazione culturale e musicale “AUDiMuS” in poco tempo ha registrato un ampio numero di soci e sostenitori. Il banco di prova è stato quindi superato? «Senza falsa modestia azzardo un sì. Le prove anche più delicate sono state superate con sempre largo apprezzamento di pubblico e critica, credo soprattutto grazie a due componenti: il grande desiderio di fare del proprio meglio, pur consapevoli dei propri limiti, e la dedizione accorata al progetto». Nell’ambito del vostro lustro di vita, avete organizzato al Palamostre di Udine un momento intenso di grande musica con due colossi sinfonici, la quinta di Beethoven e la nona di Dvořák. Che esperienza è stata? In apertura, un primo piano di Francesco Gioia. Pagina accanto, Francesco Gioia mentre dirige l’orchestra AUDiMuS.


«È stata un’occasione di straordinaria condivisione tra orchestra (aumentata nelle dimensioni per l’occasione) e pubblico che ha risposto occupando fino all’ultima sedia il Palamostre, con numerose persone purtroppo rimaste escluse, impossibilitate a entrare. Le sensazioni in quella serata sono state magnifiche e ammetto che queste occasioni fungono anche da spinta motivazionale per continuare il lavoro con ancora più convinzione». Si dice che oggi per un musicista non sia più sufficiente vincere un primo premio importante, bensì avere le carte in regola per affrontare la reale vita concertistica. Quali sono le doti che un musicista deve possedere? «Ritengo siano importanti in primis la voglia di imparare sempre qualcosa di nuovo, anche affrontando repertori noti, e poi il pelo sullo stomaco per ingoiare rospi che, ahimè, si rivelano sempre numerosi. Ma certamente sono importanti anche la capacità di relazionarsi con gli altri e, in alcune professioni (solista o direttore), il carisma». Si direbbe anche che per il successo di un concertista conti molto la vastità e l’originalità del repertorio. «Oggi più che mai spaziare dall’antico al moderno conta e, personalmente, ritengo che sia giusto studiare repertori di epoche diverse. Ciò che invece considero esperienze davvero misere sono le contaminazioni tra generi differenti fatte con il mero scopo di “vendere un prodotto”. I grandi contaminatori, come fu ad esempio Gershwin, meritano la più alta stima ma le operazioncine commerciali, che oggi purtroppo prolificano, sono una vergogna del nostro tempo». Parliamo di lei. Pur sempre attratto dalla musica classica con un diploma in Discipline Musicali a indirizzo interpretativo compositivo, è un avvocato mancato che si è convertito alle sette note. Quando ha capito che la musica era la sua vita?

«La laurea in legge è stata un’esperienza altamente formativa che ha contribuito a fare di me la persona che sono oggi. Se devo trovare un momento specifico in cui ho capito che avrei fatto il musicista la mente va al mio primo ascolto dell’aria della Regina della notte dal Flauto Magico di Mozart. L’utilizzo così impetuoso ma allo stesso tempo raffinato e seducente della voce femminile mi fece piangere a dirotto per minuti interi. Lì capii dove dovevo andare». Lei ha studiato clavicembalo, musica da camera, didattica e direzione d’orchestra con importanti maestri, ma quali dei suoi mentori oggi ricorda più ben volentieri? «Ricordo con piacere l’eclettismo di Valter Sivilotti con cui mi sono diplomato. Ho profonda stima e gratitudine per Ilario Gregoletto e Daniele Zanettovich. Nella direzione d’orchestra sono stati importanti Lior Shambadal, Romolo Gessi ed Ennio Nicotra. Ma più vicini al mio cuore sono Donato Renzetti per la direzione, Giancarlo Gori, mio primo maestro di pianoforte, e Giovanni Canciani che per me è stato un vero Maestro di vita, oltre che di musica e di etica della musica». Nella sua sperimentazione artistica quale toccasana consiglierebbe per dar voce all’orchestra classica? «Il mio modesto suggerimento è quello di ritrovare il coraggio di investire nella Cultura con la C maiuscola, nel patrimonio dell’umanità (italiano e non), senza paura che l’audience non apprezzi, perché nella mia esperienza anche il pubblico più eterogeneo dimostra sempre di gradire la qualità e la serietà. Certo la musica va spiegata, illustrata, affinché l’ascoltatore abbia una chiave di lettura. Nei concerti infatti inizio sempre con una presentazione dei brani. Malauguratamente invece oggi ci si preoccupa solo di “vendere il prodotto”, di fare l’affare e questo sta facendo disperdere la nostra immensa ricchezza culturale». |

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Musicista e non solo, lei è anche l’autore di un manuale del tutto peculiare sui prodigi della tecnica di un poeta sublime del campo musicale. In che cosa consiste Il Metodo Chopin? «Si tratta di un libro che raccoglie gli esercizi ideati da Chopin per rafforzare le dita e trasmessi oralmente ai suoi allievi. Non ne esisteva traccia scritta. Grazie al Maestro Giovanni Canciani, che ne ha avuto testimonianza dal suo maestro Gian Luigi Centemeri, ho potuto dare forma scritta a questo affascinante metodo». La matematica è spesso vista dagli studenti come una materia ostile e ardua da studiare, ma il professore Francesco Gioia ha trovato un rimedio musicale per farla assimilare con rilassatezza. Vuole spiegarci di che si tratta? «Non mi permetterei mai di insegnare la matematica, ma con il collega e amico ingegnere Giulio Pravisani abbiamo creato una conferenza dal titolo “Matematica&Musica” che abbiamo presentato in vari comuni, in conservatorio a Udine e in alcune scuole. Presto la terremo al Politecnico di Milano. Illustra i punti di vicinanza e di differenza tra le due materie». Tra le sue affermazioni ha trovato una che mi ha particolarmente colpito: “La mente dei bambini è come una spugna; ciò che gli si insegna resterà loro per sempre”. Qual è allora il metodo vincente per far arrivare i giovani alla musica? «Difficile dire quale sia il metodo vincente. Di sicuro se educhiamo seriamente i bambini alla musica, avre-

mo degli adulti che andranno volentieri ai concerti. Ma la musica nelle nostre scuole è poca cosa e spesso insegnata molto male (se chiedete a un ragazzo delle superiori di leggere un facile pentagramma spesso non saprà farlo. Se gli chiedete chi era Beethoven o Wagner non avrete risposta). Mi ripeto: bisogna cambiare passo, avere il coraggio di educare alla bellezza». Se delle associazioni o enti volessero scritturarvi per un concerto, come dovrebbero fare e quali costi dovrebbero sostenere? «È sufficiente contattarmi al 339 4857667 o via mail gioia_francesco@libero.it o sul mio sito www.gioiafrancesco.weebly.com. I costi, in rapporto a quelli standard di un’orchestra, sono contenuti: per avere un’idea approssimativa diciamo circa 2.000 euro per orchestra d’archi (16 persone), 3.500 euro per orchestra completa (30 persone)». Siamo arrivati alla fine. Col nuovo anno quando e dove potremo assistere ai vostri concerti? «Il 3 febbraio suoneremo a Udine in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura, in occasione del 210° anniversario della nascita di Mendelssohn, eseguendo alcune delle sue sinfonie per archi. In aprile a Tavagnacco suoneremo gli ottetti di Mozart per fiati. Il 1° maggio, probabilmente in chiesa a Pradamano. A fine luglio saremo impegnati con il festival “Ottoni a Nordest” tra Pozzuolo e Udine». Michele Tomaselli


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ALLA SCOPERTA DI...

CARLO DE BAUBELA Servizio di Vanni Feresin

Parroco di guerra Responsabile della chiesa di San Rocco, durante il primo conflitto mondiale il principe arcivescovo gli affidò la complessa gestione parrocchiale dell’intera città di Gorizia. Divenendo faro prezioso per l’intera comunità.

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A cento anni dalla fi ne del confl itto e a novant’anni dalla morte, è opportuno riportare alla memoria il ricordo della figura di monsignor Carlo de Baubela. Fu parroco di San Rocco negli anni compresi tra la fi ne dell’Impero e i primi anni del fascismo, ricoprendo il complesso incarico di parroco interinale della città di Gorizia per volontà del principe arcivescovo di Gorizia monsignor Francesco Borgia Sedej che aveva lasciato la città fi n dal luglio del 1915. Don Carlo venne eletto per acclamazione parroco di San Rocco nel maggio del 1895 e iniziò a operare a favore della sua comunità fi n da subito. Nel 1897 iniziarono i lavori per attuare l’atteso completamento della facciata della chiesa che verrà benedetta nell’agosto del 1899 da mons. Luigi Tomsig Decano del Capitolo: “Sulla facciata della chiesetta di San Rocco viene posizionata una statua del Santo Patrono eseguita in fi no marmo di carrara con grande maestria. Specialmente il volto del santo è molto espressivo”. Anche a San Rocco si diede grande rilievo al Giubileo Imperiale (cinquant’anni di regno di 34

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Francesco Giuseppe I, agosto 1898) e come si legge dalle cronache “il Borgo si distingue per patriottismo e per attaccamento alla augusta persona di Sua Maestà”. Ma i festeggiamenti furono interrotti immediatamente quando la popolazione venne a conoscenza che, il 10 settembre, l’Imperatrice Elisabetta era stata brutalmente assassinata. Il 17 settembre venne officiata una liturgia funebre: “la chiesa era zeppa di devoti. Nei primi posti i bravi militi in congedo, i quali assistettero con contegno edifi cante alla sacra funzione”. Questi anni a cavallo del secolo furono anche segnati dalle polemiche fra la parte slovena e quella italiana: ogni occasione, anche la più futile, era valido motivo per scontri ideologici ai quali era legata spesso una gratuita violenza che sfociava anche in risse mortali. Il 1900 fu l’anno della visita dell’Imperatore alla città ma anche della prima messa a San Rocco di don Carlo Piciulin, sacerdote di anIn apertura, Ottobre 1926, nozze d’oro sacerdotali di mons. Carlo de Baubela. Da sinistra in alto: Pietro Piciulin, Giovanni Culot, Giovanni Zotti. In seconda fila: Luigi Nardin, Antonio Cumar, Giovanni Cumar, Antonio Zotti, Luigi Madriz. Seduti: Michele Zotti, Francesco Francovig (con il figlio Guido), il parroco, Giovanni Culot e Luigi Nard.


tica origine del Borgo. Nel 1902 il Borgo di San Rocco venne illuminato a gas sostituendo l’antiquata illuminazione a petrolio e nel 1910 si aprì fi nalmente la via dei Lantieri così il Borgo poteva essere collegato al centro della città. Lo studente serbo Gavrilo Prinčič, oltre a mettere fi ne all’esistenza terrena dell’Arciduca Francesco Ferdinando e a quella di sua moglie Sophia, mandò in pezzi un mondo che già presentava gravi segni di decadenza. Molti giovani sanroccari vennero mandati a combattere su fronti lontani, la chiesa di San Rocco subì, come gran parte delle abitazioni cittadine, danni ingenti: il soffitto crollò totalmente e gli aff reschi raffiguranti la vita di San Rocco andarono definitivamente perduti, la cantoria e l’archivio della corale furono distrutti e la quasi totalità degli antichi spartiti bruciati; anche l’archivio parrocchiale fu distrutto. Si salvarono solo i libri parrocchiali delle nascite e dei morti. Il 17 agosto del 1916 venne levato dalla chiesa il Santissimo e da quel momento i neonati del Borgo ricevettero il battesimo nella cappella dell’Immacolata mentre i matrimoni si celebravano nella chiesa dei frati Cappuccini. Fra gennaio e ottobre 1917 don Carlo de Baubela fu chiamato a reggere oltre alla propria parrocchia anche le altre tre parrocchie in cui ec-

clesiasticamente era divisa allora Gorizia. Questo accadde poiché il 27 luglio del 1915 l’Arcivescovo Sedej, su sollecitazione dei comandi militari, aveva abbandonato la sua residenza (nelle cui vicinanze erano cadute centinaia di granate italiane) e la città. Dopo alcune soste a Vipacco e Rauna (paese vicino a Circhina, luogo natale del presule) fece defi nitivamente sosta, insieme agli studenti del seminario, presso il monastero cistercense di Zatičina (Stična – Sittich), nella bassa Carniola. Mons. Sedej (che farà ritorno in città solo nella primavera del 1918) nominò prima monsignor Francesco Castelliz Direttore dell’Ordinariato, ma questi lasciò la città al momento dell’entrata delle truppe italiane, l’8 agosto del 1916. Il 7 dicembre dello stesso anno venne nomitato monsignor Giuseppe Peteani, già parroco decano di Cormòns, Vicario Foraneo per tutte le parrocchie del Friuli e del Collio, il quale comunicò a don Carlo de Baubela la nomina a “curato interinale di tutte le parrocchie della città di Gorizia e rappresentante degli interessi del Capitolo della Metropolitana e dei Seminari Arcivescovili, concedendo a un tempo tutte le facoltà di cui godono i decani nell’Arcidiocesi di Gorizia stessa per ciò che riguarda gli effetti canonici”.



Inizialmente don Carlo non volle accettare in quanto l’età avanzata (era nato a Villa Vicentina il 31 gennaio del 1852) non gli avrebbe consentito più la lucidità mentale per fare fronte alle gravi necessità del momento. Il 21 gennaio del 1917 dovette, suo malgrado, accettare la nomina ma pose come condizione indispensabile che venisse lasciata al cappellano militare di Gorizia, don Otello Tamburini, la custodia degli edifici e dell’oggettistica ecclesiastica in modo da potersi dedicare totalmente alla cura pastorale dei fedeli. L’autorità ecclesiastica gli garantì che tali richieste sarebbero state prese in considerazione ma ciò non avvenne e don Baubela dovette farsi carico anche dei beni di tutte le chiese goriziane, occupandosi dello svuotamento dei tabernacoli, della salvaguardia delle documentazioni (purtroppo in gran parte andate perdute) e del recupero dell’oggettistica sacra più preziosa. Oltre all’attività ordinaria di parroco di San Rocco e di custode delle strutture ecclesiastiche cittadine don Carlo riceveva continue richieste di informazioni, dal Friuli e da Roma, su goriziani che risultavano scomparsi o dispersi o anche notizie sullo stato di conservazione di beni immobili abbandonati a causa della guerra. L’8 maggio del 1917 divenne confessore delle Madri Orsoline nel Monastero dove era già stato cappellano dal 1876 al 1907, ma l’attività che lo vedeva maggiormente impegnato era la celebrazione di numerosi funerali di persone vittime di granate sparate dai due eserciti in conflitto, nella maggioranza delle situazioni si trattava di bambini che trovavano la morte “giocando” per “l’esplosione di granata a mano”. Don Baubela si trovò a celebrare anche le esequie di alcuni condannati a morte come il venditore di frutta “Kravos Emilio di Carlo, nato a Gorizia nel 1880” che “venne fucilato dagli austriaci in via Blaserna attigua alla Vertoibiza et ivi sepolto”. La situazione degli sfollati era molto critica in quanto diversi goriziani, per mettersi al si-

curo, dovettero raggiungere paesi lontani e così il governo centrale italiano si fece promotore di una serie di contatti tra la Croce Rossa Italiana e quella austriaca per permettere lo scambio di notizie tra gli evacuati; proprio grazie al lavoro di don Baubela fu possibile ricostruire la dinamica della diaspora di decine di famiglie goriziane. Il 17 ottobre del 1917, a pochi mesi dall’inizio del suo mandato, le truppe austriache sfondarono le posizioni italiane presso Caporetto e dilagarono nella pianura friulana: don Carlo Baubela, il 24 dello stesso mese, si vide costretto a lasciare la città e a trovare rifugio a Viareggio, dove risiederà fino all’aprile del 1918. Molto amato dalla popolazione locale per la grande fermezza e l’opera svolta in quei mesi cruciali per Gorizia, al ritorno dalla prigionia dovette far fronte alla difficile ricostruzione della chiesa di San Rocco completamente distrutta, solamente la facciata si salvò parzialmente. Non riuscì a vedere la riconsacrazione della Chiesa in quanto spirò l’anno precedente alla riapertura ufficiale. Vanni Feresin

In alto, affresco della chiesa di San Rocco prima e dopo il restauro; di fianco, la firma don Carlo de Baubela. |

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DOPO LA GUERRA Servizio di Alberto V. Spanghero

I primi anni

della Venezia Giulia italiana

Nei complessi procedimenti di sostituzione dell’amministrazione pubblica austriaca con quella italiana, un’attenzione particolare venne riservata alla scuola. Ecco come cambiarono in programmi didattici. Ma anche il suo rapporto con la Chiesa.

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Con l’Ordinanza del 19 novembre 1918, veniva istituito da parte del Governo Italiano il controllo sulla gestione dei servizi civili e sulle amministrazioni locali nei territori occupati delle vecchie province austriache. Tale compito veniva esercitato dal Comando Supremo a mezzo del Segretario Generale per gli affari Civili gen. Conte Carlo Petiti di Roreto. Al sistema amministrativo, rispetto all’ordinamento austriaco incentrato sui capitani distrettuali, subentrarono le figure dei Commissari civili: ufficiali militari italiani, richiamati e provenienti dalla carriera militare amministrativa, si insediarono nei vari distretti del Litorale e della Principesca Contea di Gorizia e Gradisca. Ad amministrare il distretto di Monfalcone, con sede logistica a Cervignano, fu nominato il cap. Raimoldi. L’esperienza dei governi militari, esclusa la Dalmazia e la città di Fiume, terminava ai primi di agosto 1919. Con il Trattato di Rapallo, siglato nel novembre del 1920, si ridisegnarono i confini nella parte orientale; Trieste, Gorizia e Gradisca, l’Istria e alcuni distretti della Carniola furono annessi all’Italia. La città di Zara, le isole del Quarnaro, Cherso, Lussino, Pelagosa e Lagosta furono assegnate all’Italia. L’articolo 4 del trattato, inoltre, prevedeva che la città di Fiume potesse avere un “Corpus separatum”, una specie di “status” di città libera con una ulteriore striscia di territorio che le garantisse continuità con il Regno d’Italia. 38

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Fatti i debiti conti, l’Italia ebbe poco più di quello che le era stato offerto gratuitamente dall’AustriaUngheria nel 1915, solo per rimanere neutrale. E invece, con il primo conflitto mondiale, solo per l’Italia si contarono 650.000 morti, 2.500.000 feriti, dei quali 463.000 invalidi permanenti e mutilati di guerra, 74.600 storpi, 21.000 rimasti senza un occhio, 2.000 senza entrambi gli occhi, 200 senza mani, 3.250 muti, 6.750 sordi, 5.450 mutilati al viso e 40.000 circa con patologia psichiche. Più migliaia e migliaia di vedove e orfani. Per ritornare al Governatorato della Venezia Giulia, esso cessò di funzionare il 4 agosto 1919 e tutte le pratiche inevase passarono all’autorità civile subentrante: una nuova macchina burocratica ancora più farraginosa e complessa di quella di prima. Infatti furono creati una lunga serie di Commissariati ripartiti a loro volta in Divisioni. Ne citiamo alcune: Affari generali; Amministrazione civile, governativa e locale; Istruzione pubblica; Giustizia; Culti; Risarcimenti e riparazioni; Sezioni di sanità; Affari economici, industria, commercio, credito e previdenza; Trasporti e sevizi marittimi; Agricoltura, lavori pubblici e ricostruzione. Inoltre i problemi più urgenti che la nuova amministrazione italiana dovette affrontare riguarda-

In apertura, la scuola popolare Regina Elena di Turriaco, nei primi anni Venti.


vano nell’immediato la questione dei prigionieri ex militari dell’esercito austriaco, i superstiti, la ricostruzione, il rientro dei sacerdoti internati e i rapporti con il clero, il nuovo ordine pubblico e le misure restrittive, la consistenza e l’attività dei partiti emergenti collegati con i movimenti sindacali, le questioni economiche e, soprattutto, i problemi della nuova scuola italiana nei territori occupati in sostituzione di quella austriaca, con nuovi programmi e nuovi insegnanti. Della lunga serie di problemi presi in considerazione dalla nuova amministrazione, molti trovarono subito facile soluzione mentre per altri le cose si protrassero per mesi, anni se non per decenni. Uno su tutti, la scuola italiana in sostituzione di quelle austriaca nelle ex province. Iniziamo da quest’ultima che per diversi motivi riteniamo estremamente significativa sia per la salvaguardia dell’occupazione italiana del territorio, sia per controllare che il processo di annessione seguisse un corso regolare sugli assetti definitivi. Non tardarono ad arrivare nei vari Circoli Didattici montagne di proclami, circolari, illustrazioni e libri con il precipuo intento di operare la redenzione spirituale e di aprire la mente degli scolari alla conoscenza della nuova Patria. Per infondere questo spirito innovativo si introdussero nei programmi scolastici nuovi metodi applicativi che prevedevano l’insegnamento del canto con inni italiani di carattere patriottico; nuovi libri di storia del tipo eroico-risorgimentale; nozioni di vita all’aperto; educazione fisica nelle scuole, negli educatori e negli ambienti educativi, tenendo conto della peculiarità della situazione linguistica. I maestri furono scelti in massima parte tra quelli militari che avevano già insegnato nelle scuole delle terre redente in tempo di guerra, in mancanza dei quali si provvide ad assumere maestri regolarmente abilitati e provenienti, in massima parte, dalle regioni peninsulari e del sud Italia. A fianco delle scuole regolari, probabilmente già all’inizio dell’anno scolastico 1919-20, fu istituito un corso di recupero “anni perduti” della durata di un anno, tanto per allineare con gli altri quegli alunni che, a causa della guerra, non poterono portare a termine un regolare ciclo di studi. A Turriaco gli alunni iscritti al “corso di perfezionamento” furono quelli nati dal 15 settembre 1905 al 15 settembre 19071. L’elenco fu compilato da quel dovizioso sacerdote che fu Eugenio Brandl. Il numero complessivo fu di cinquantanove maschi e di quaranta femmine.

Il legionario fiumano Francesco Memoli in una foto del 27 marzo 1944. Partito da Ronchi al seguito di Gabriele D’Annunzio per occupare Fiume, fu protagonista del primo matrimonio celebrato tra un legionario e una donna in città. Per l’occasione ebbe come testimone di nozze proprio D’Annunzio. Dopo la cacciata di quest’ultimo da parte della Regia Marina, sempre a Fiume Francesco, in piena Seconda guerra mondiale, ebbe modo di conoscere e sposare Irene Biasutti, la sua seconda moglie, nativa di Turriaco. Terminato il conflitto Francesco si stabilì a Turriaco dove continuò a fare il calzolaio fino alla sua morte, nel 1982.

A destra dall’alto: i gravi danni subiti dalla scuola di Lucinico; la scuola popolare di Capriva semi distrutta. |

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L’anno scolastico 1918-19 iniziò sotto il segno dell’incertezza in tutti i territori occupati. Molti edifici scolastici infatti risultarono distrutti, altri gravemente danneggiati o bisognosi di essere riattati, come quello di Turriaco che nel periodo della guerra fu usato come ospedale militare. La questione degli insegnanti si presentò estremamente grave, in quanto alla pianta organica di prima della guerra mancavano all’appello, solo nel Distretto della provincia di Gorizia, un quarantina di unità. I motivi di questa riduzione vanno ricercati al particolare momento e luogo dove si svolsero le operazioni di guerra. Per cui molti risultarono dispersi, altri deceduti e altri ancora partiti per destinazioni ignote. Uno dei problemi che maggiormente dovettero essere affrontati per l’avvio dell’attività didattica e il funzionamento delle scuole fu quello della scelta dei libri e della destinazione degli insegnanti già utilizzati nelle scuole austro-ungariche. La sostituzione dei libri di testo si presentò con una certa facilità nelle zone di lingua italiana, mentre le cose si complicarono notevolmente dove si parlava in lingua slovena, croata o tedesca, come nelle scuole della Slovenia, della Croazia e nel Trentino. Nell’attesa di risolvere questi problemi fu concesso agli insegnanti l’uso di libri di testo austriaci in lingua italiana e tedesca, compresi quelli delle scuole slovene e croate. Il permesso, dal carattere prettamente provvisorio, fu concesso a patto che le parti contenute nei testi, esaltanti il passato governo e gli Asburgo, venissero tolte. La regolare distribuzione di libri di testo italiani quindi ebbe inizio verso la metà del dicembre 1918. Molti insegnanti si resero promotori di varie iniziative anche a scopo propagandistico come la raccolta fondi per l’acquisto di bandiere italiane (alcuni riferimenti sono stati tratti da Adriano Andri-Giulio Mellinato, Scuola e confine. Sciarada, Trieste 1994). L’edificio scolastico di Turriaco, per esempio, rimase inagibile per qualche anno a causa degli ingenti danni riportati; si pensi che furono divelti persino i pavimenti in legno e asportate le porte e le finestre. Per cui i lavori di riparazione, disinfestazione, riattamento all’uso si protrassero fino all’apertura dell’anno scolastico 1920-21. A causare tale ritardo furono le pastoie burocratiche che gli amministratori dovettero affrontare per poter accedere ai finanziamenti derivanti dai danni di guerra che l’Austria, in quanto Paese sconfitto, dovette pagare al Governo italiano. La “Scuola Popolare” sotto l’Austria fu velocemente ribattezzata “Regina Elena” sotto l’Italia. I problemi riguardanti il passaggio del personale insegnante e amministrativo dal sistema austriaco a quello italiano, il trattamento economico, norme e doveri degli stessi furono regolati da un pressante susseguirsi di circolari e di controlli incrociati fra i vari comandi militari, non ultimo quello fornito dai Reali Carabinieri sulla condotta politico-morale dei sin40

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Pagina accanto dall’alto: la scuola popolare civica di Gorizia gravemente danneggiata; olio su tela di Felice Ludovisi (3.11.1918): Gli italiani sbarcano a Trieste; olio su tela di Felice Ludovisi: Ore 15.15 del 3 novembre 1918: gli italiani entrano a Trento. Qui accanto: Turriaco scuola popolare Regina Elena: prima classe elementare mista, nati nel 1913, anno scolastico 1919-20. goli maestri interessati. Per “educare” il personale insegnante al nuovo sistema furono organizzati corsi di formazione a carattere provinciale atti alla diffusione tra gli insegnanti di quei temi dal carattere prettamente nazional-patriottico tipici della propaganda italiana di allora. Il corso di informazione che fece più notizia degli altri fu quello tenuto a Trieste, nell’estate del 1919, dal già noto professore Giovanni Gentile, che parlò del suo sistema filosofico e pedagogico relativo ai problemi riguardanti l’educazione dei fanciulli nei territori occupati. Non mancarono i primi segni di insofferenza tra la nuova classe politica italiana e le gerarchie ecclesiastiche delle Nuove Province, determinate in massima parte dai contrasti in campo nazionale. L’Italia, erede della grandezza di Roma, doveva ispirarsi ai principi del Risorgimento, alla parola di Mazzini, al sangue dei martiri, entusiasmarsi per la magica spada di Garibaldi, lasciarsi guidare dal senno di Cavour e sentirsi affratellata nell’esercito di Vittorio Emanuele III. Questo voleva significare in buona sostanza l’idea di eliminare il “confessionalismo asburgico”, le pratiche religiose e le cure praticate dal governo austriaco, a iniziare dall’istruzione religiosa nelle scuole. Tali impostazioni, prese a livello amministrativo dal Governo centrale e sostenute dal liberalismo anticlericale dei socialisti e irredentisti della Regione Giulia, non mancarono di avere i primi contraccolpi anche a livello periferico. Infatti, nel Distretto Scolastico di Monfalcone non mancarono le iniziative in questo senso, di eliminare cioè il rappresentante religioso in seno ai Consigli scolastici, sia distrettuali che locali. Il parroco di Turriaco, don Eugenio Brandl, ancora di fede austriaca, era profondamente convinto che la scuola, dopo la famiglia, fosse l’istituzione più importante per la comunità e, anche se non pubblicamente manifestata, non mancò di reagire e prendere posizione di fronte a quelle che secondo lui erano delle vere e proprie ingiustizie. Questa atmosfera d’incertezza fra Stato e Chiesa sulla presenza dell’insegnamento religioso nelle scuo-

Ritratto di Gabriele D’Annunzio nel 19° dell’impresa di Cattaro. le delle “vecchie Province” si protrasse fino alla riforma Gentile. Riforma che in qualche maniera attenuò momentaneamente la tensione, senza peraltro eliminarla. Si dovrà infatti aspettare il Concordato dei Patti Lateranensi fra Stato e Chiesa del 1929 per chiarire le varie posizioni politico-religiose, dando come si dice in gergo “un colpo alla botte e uno al cerchio” accontentando entrambi.

Alberto Vittorio Spanghero

Ricercatore e storico di Turriaco NOTA: 1. ASPT, Atti 1921. busta N° 68.

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ALLA SCOPERTA DI...

UMBERTO SABA E VIRGILIO GIOTTI Intervista di Margherita Reguitti

Il gioco dei libri

Il loro sodalizio umano e professionale nella Trieste degli anni ’20 fu un unicum nella letteratura italiana. In un volume fresco di stampa, due esperti del settore ci spiegano perché.

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Umberto Saba e Virgilio Giotti, due poeti che diedero vita dal 1919 al 1932 a un sodalizio umano e professionale unico nella letteratura italiana. In un contesto culturale triestino di grande vivacità, questo duo di intellettuali dai diversi talenti si divertirono a creare giocattoli librari, rari e di grande valore filologico. Marco Menato e Simone Volpato raccontano a due voci questi 13 anni di attività private press (stampa privata) inquadrandoli nel contesto triestino e nazionale; un’esperienza approfondita nel volume scritto a quattro mani La biblioteca di Virgilio Giotti e il suo sodalizio con la libreria di Umberto Saba edito da Biblohaus, con premessa di Anna Moderna e a cura di Massimo Gatta. Saba e Giotti due poeti, l’uno libraio, l’altro pittore, assieme editori: come nacque il sodalizio? «Ambedue sono soprattutto finissimi poeti, l’uno in lingua e l’altro in dialetto. È probabile che il sodalizio nasca proprio dal comune sentire poetico (non dimentichiamo che fu Saba a promuovere la pubblicazione della prima silloge poetica di Giotti per Ferrante Gonnelli nel 1914 dopo aver tentato anche con La Voce) dal fatto che ambedue avevano pure i medesimi interessi lavorativi, almeno inizialmente (Giotti gestiva una rivendita di giornali e libri usati, con molta meno fortuna di Saba)». 42

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Qual era la suddivisione dei compiti nella private press triestina? «In primis è l’unico esempio di private press della letteratura italiana del Novecento costruita attorno a due personalità differenti anche per maestri spirituali. Sotto l’egida e la fascinazione di Giambattista Bodoni, il duo individua nella pubblicazione di plaquette a stampa, manoscritte e dattiloscritte, tre obiettivi: il primo è quello di finanziare la loro attività commerciale (scriveva il poeta dialettale e avvocato Ernesto Calzavara che il suo essere avvocato aiutava a pagare il suo essere anche poeta); il secondo di promuovere il nome della Libreria di Umberto Saba; il terzo, beffardo, di creare libretti pieni di varianti per costringere i filologi a diventare matti nello studio. In ogni caso a Saba spettava la scelta delle poesie e la copiatura e la ricerca dei clienti mentre a Giotti competeva la scelta delle carte, l’ideazione del formato e del rapporto tra bianco e nero, la selezione delle carte marmorizzate per fare le legature e infine le illustrazioni con incisioni o propri disegni». Vi è una similitudine fra il rapporto di Saba con Giotti e il vostro: l’uno direttore di Biblioteca statale (Menato) e l’altro librario antiquario (Volpato)… «Per noi si tratta di collaborazione aperta e franca da ogni invidia. Entrambi siamo studiosi di bibliografia e nel caso di questa ricerca abbiamo scoperto che questi versanti di ricerca erano del tutto, ingiustificatamente, ignorati dagli italianisti, i quali non avevano mai studiato in modo attento questo aspetto mercantesco-umanistico di Saba e nemme-


no avevano compreso che la famosa Libreria, alla fine, era anche la biblioteca privata di Saba e quindi un materiale di grande potenzialità per studiare le fonti di uno dei maggiori poeti del Novecento». Quanto tempo è durato il lavoro di ricerca dei volumi e quanto lo studio per arrivare a questo libro? «Un paio di anni, dato che ambedue gli argomenti, la libreria di Saba e la biblioteca di Giotti, erano noti solo superficialmente, in qualche modo “orecchiati” senza aver davvero mai messo le mani nelle pratiche bibliografiche». Quale geografia umana e letteraria emerge attraverso gli autori amati da Saba e Giotti? «Bisogna fare un distinguo tra il Saba libraio, e quindi imprenditore di se stesso, e il Saba poeta, che certamente prendeva spunto dalle molte letture che gli capitavano tra le mani ma che poi le faceva sue, quasi obliandone l’origine. Nei suoi cataloghi passa di tutto, dai codici membranacei agli incunaboli scompleti, alle cinquecentine, alle edizioni di Bodoni (illustre tipografo al quale si ispira e al quale dedica apposite sezioni), ai libri illustrati (perfino quelli medici), alle carte geografiche. Quindi come libraio Saba ama molti autori e si dimostra accorto nelle scelte e nelle descrizioni, tanto che in una lettera afferma che è quasi più orgoglioso della libreria che è riuscito a tirare su dal niente che della sua poesia della quale lui ne prende i frutti. Giotti, almeno fino a quando l’amicizia e la collaborazione tecnica con Saba rimangono, usa certamente la libreria come fosse una biblioteca (in un appunto Saba lo informa che ha acquisito dei dizionari dialettali e che se vuole può venire a consultarli, ma non glieli può prestare perché altrimenti non li potrebbe vendere)». Giotti possedeva una bibliotechina, quali le sue caratteristiche? «La biblioteca di Giotti, attualmente conservata nel Centro studi Giotti di Trieste, ammonta 417 esemplari, 8 numeri di riviste e 2 estratti, catalogata in questo volume. Qualcosa sarà andato perduto nei numerosi traslochi, qualcosa sarà stato rubato, altri libri vennero dallo stesso Giotti donati all’amica Anita Pittoni che poi li raccolse, assieme ai suoi manoscritti, nel Centro di Studi Triestini Giani Stuparich, che alla sua morte nel 1982 venne completamente disperso e solo da qualche anno ricostruito e ritrovato». Chi erano i destinatari di questi volumi e volumetti, rari e accuratamente scelti dal punto di vista filologico per la pubblicazione? «I destinatari erano i collezionisti, divisi in due generi: quelli che erano amanti del libro raro e quelli che erano amanti della poesia di Saba. Saba aveva individuato un meccanismo solido per garantire alla sua libreria sia un ingresso finanziario sia un nome, che

Pagina accanto in apertura, a sinistra la copertina del libro La biblioteca di Viorgilio Giotti e il suo soldalizio con la libreria di Umberto Saba; a destra la stanza di Virgilio Giotti con bibliotechina.

doveva essere legato a un poeta vivente, non a un morto. Un’operazione per l’epoca molto avanzata e che ha avuto certamente successo. Nella biografia di Saba scritta da Stelio Mattioni si ricorda come egli avesse questa maniaca pratica di creare plaquette sia per diffondere la propria opera in attesa che fosse stampata sia per suscitare una rivalità tra collezionisti per ottenere l’agognata copia unica. In realtà Saba creava molte copie uniche, differenziando una copia dall’altra con l’aggiunta di una introduzione, la diversa disposizione delle poesie, l’inserimento di un commento, di un colophon». In che contesto letterario e culturale triestino si realizzò l’esperienza di collaborazione fra i due artisti? «Nel volume di Giani Stuparich, Trieste nei miei ricordi (Garzanti, 1948), viene raccontato questo mondo, di grande povertà materiale, ma di ricco trasporto di sogni e ideali: è la letteratura che si crea attorno ai tavoli dei molteplici caffè di Trieste o nella stessa libreria di Saba. In uno stesso momento compaiono sulla scena i fratelli Fano, Bazlen, Giotti, Svevo, Stuparich, Bolaffio, Voghera i quali sono grandi lettori perché Trieste era ricchissima di librerie e di biblioteche circolanti con libri in varie lingue. In breve vi era un humus culturale di estrema raffinatezza. Del resto il collezionismo librario Novecentesco valuta con grande interesse e qualità la ricerca delle prime edizioni di autori giuliani». Che rapporto ebbero Saba e Giotti con gli editori italiani? «Saba fu un poeta di successo, ebbe come editori Einaudi e Mondadori, oltre a essere stato all’inizio editore lui stesso delle sue opere, quindi ha sempre goduto di una posizione eminente. Diversa storia ebbe Giotti, che dovette aspettare di essere sul letto di morte per intravedere il successo letterario, e non ovviamente quello economico. Visse sempre in ristrettezze, con in più il dramma di due figli scomparsi in terra di Russia durante la Seconda guerra mondiale». Quanto c’è ancora da scoprire su come Saba seppe scandagliare l’animo umano esprimendone la complessità con semplicità di parole? «Sul Saba poeta si è detto molto e ci sarà sempre da comprendere meglio, in quanto il poeta parla all’animo umano e in qualche modo è universale, al di là del tempo e della storia (con la s minuscola), altrimenti perché dovremo leggere ancora Omero o Catullo?» Margherita Reguitti |

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sioni e un continuo rimettere in discussione ciò che l’uomo dava per scontato e fondante nella sua esistenza. Un fallito tentativo di suicidio genera l’idea bizzarra di mettere in piedi, insieme ad altri tre compagni di sventura, una surreale “Agenzia della buona morte” (alla maniera delle agenzie di lavoro interinale) che aiuti tutte le persone tristi, in crisi, e, spesso, vittime dell’ottimismo televisivo, a uscire dal dolore nel miglior modo possibile, il più blando e più rapido. Incredibilmente il progetto è destinato a un enorme successo, che subito i media tenteranno di cannibalizzare e far diventare parte del circo mediatico…

gelizzatrice degli Slavi. O come quella della misteriosa Madonna Nera con tre mani venerata a Sacuidic, nel cuore delle montagne. E poi i pirati del Tagliamento, efferate vicende di briganti e banditi conservate nell’archivio storico di San Daniele del Friuli. E ancora, i misteri dell’operazione della CIA “Stay Behind” durante la Guerra Fredda e quelli relativi alla frontiera con il blocco socialista jugoslavo. Tutti percorsi inediti sulla storia del Friuli, terra di frontiera plurale e complessa, ancora tutta da scoprire.

ne mandato nei paesi della bassa friulana, dove è nato e cresciuto. Qui spera di trovare nuovamente forze che lo stanno abbandonando, forse anche la fede che sta perdendo. Ma tutto è cambiato e si trova a vivere in una condizione di segreta marginalità e solitudine. Sarà un incontro con un’altra forma di isolamento ed estraneità a dargli il coraggio e la fiducia che aveva perso nel suo confronto con se stesso e con il mondo degli uomini.

la bassa, l’autore racconta un mondo che non c’è più, ma che torna a rivivere attraverso i suoi versi. 33 componimenti, con prefazione del professor Mario Matassi, nei quali la poesia diventa strumento privilegiato per parlare di comunicazione, natura, società e politica, con un’interconnessione strettamente correlata al territorio di riferimento dell’autore.

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AU TO E CO N T R AV V E N Z I O N I

Autovelox,

è sempre legittima la multa?

Rubrica a cura di Massimiliano Sinacori

D I R I T T O

Dalla corretta segnalazione dei limiti di velocità a quella della presenza dei rilevatori. Che devono essere stati sottoposti a revisione periodica. Ecco quando è possibile contestare la sanzione. Prestando anche attenzione ai tempi di notifica e alla correttezza dei verbali…

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Quante volte capita di sentire quell’improvviso senso di paura, in genere seguito da una rapida occhiata al conta chilometri, quando, mentre stiamo percorrendo un tratto di strada, ci accorgiamo di aver appena superato un autovelox? Paura che, in genere, è seguita da diversi giorni di suspance in cui si teme di ricevere la raccomandata contenente la temuta multa per eccesso di velocità. Esistono modi per opporsi a una sanzione di questo tipo? E se sì, quali sono? Ovviamente l’ordinamento mette a disposizione delle tutele per l’automobilista che, più o meno colpevolmente, si vede recapitare la sanzione. Cerchiamo di vedere insieme alcune di queste tutele. Notifica della multa e Autorità competente L’art. 210 del codice della strada prevede che qualora non sia possibile effettuare la notifica a mani (come appunto nel caso in cui la violazione sia individuata dall’autovelox) la stessa vada recapitata al trasgressore entro 90 giorni dalla sua emissione e dal momento della notificazione inizia a decorrere il termine per l’impugnazione che può essere fatta, a mente degli articoli 203 e 204-bis del co|

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dice della strada, rispettivamente davanti al Prefetto (entro 60 giorni) o al Giudice di Pace (entro 30 giorni), in entrambi i casi a patto che non si sia già pagata la multa. Cosa deve essere indicato nel verbale L’impugnazione, che va promossa con ricorso, deve esporre i motivi e le conclusioni: cerchiamo di capire quali sono i principali motivi di contestazione. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17022 dell’11 agosto 2016, ha ribadito che: “In tema di sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada, il verbale di contestazione delle infrazioni deve contenere gli estremi dettagliati e precisi della violazione, tra cui il giorno, l’ora e la località della avvenuta infrazione”. Inoltre, a mente dell’art. 201 del Codice della strada, vanno indicati anche i motivi che hanno reso impossibile la contestazione immediata (che nel caso di specie saranno dipendenti dal fatto che a rilevare la presunta violazione sia stato un apparecchio meccanico e che quindi era impossibile provvedere a una contestazione istantanea). Più in generale possiamo dire che il verbale deve contenere tutti quegli elementi in grado di definire bene l’accaduto, tra i vari: il tempo e il luogo; le modalità dell’infrazione e quin-


di la norma che si assume violata; il soggetto che si ritiene abbia commesso la violazione (o, se questo non è possibile, in base al principio di solidarietà di cui all’articolo 196 del codice della strada, il proprietario del mezzo con il quale è stata commessa la violazione); il mezzo usato; la sanzione che deriva e le modalità con cui va adempiuta; le Autorità competenti per il ricorso. Autovelox: le contestazioni in caso di multa Dopo molto tempo e diverse elaborazioni giurisprudenziali (alcune recentissime), possiamo dire che sono sostanzialmente tre gli elementi da valutare per accertarsi che la sanzione comminata a seguito della fotografia scattata dall’autovelox sia legittima, e sono: l’autovelox deve essere stato sottoposto alla revisione periodica; deve essere ben indicato il limite di velocità; deve essere ben segnalata la presenza dell’autovelox. Il primo punto, quello della revisione periodica, muove dal presupposto che si tratta di oggetti meccanici e che, come tali, si possono logorare con il tempo e, di conseguenza, le risultanze che ne derivano possono non essere sempre affidabili. Ecco perché è intervenuta addirittura la Corte Costituzionale per affermare l’obbligo di revisione periodica dell’autovelox come requisito di validità della multa. Più precisamente la Corte ha affermato che: “[…] appare evidente che qualsiasi strumento di misura, specie se elettronico, è soggetto a variazioni delle sue caratteristiche e quindi a variazioni dei valori misurati dovute ad invecchiamento delle proprie componenti e ad eventi quali urti, vibrazioni, shock meccanici e termici, variazioni della tensione di alimentazione. Si tratta di una tendenza disfunzionale naturale direttamente proporzionata all’elemento temporale. […] I fenomeni di obsolescenza e deterioramento possono pregiudicare non solo l’affidabilità delle apparecchiature, ma anche la fede pubblica che si ripone in un settore di significativa rilevanza sociale, quale quello della sicurezza stradale”. A proposito del limite di velocità e della sua segnalazione basti appena segnalare cosa la Corte di Cassazione ha stabilito sul punto: “[…] la preventiva segnalazione univoca ed adeguata della presenza di sistemi elettronici di rilevamento della velocità costituisce un obbligo specifico ed inderogabi-

le degli organi di polizia stradale demandati a tale tipo di controllo, imposto a garanzia dell’utenza stradale, la cui violazione non può, pertanto, non riverberarsi sulla legittimità degli accertamenti, determinandone la nullità […]”. Quello che interessa maggiormente, anche in ragione della sua “attualità”, è proprio il terzo punto del nostro elenco, quello che prevede che anche gli autovelox siano segnalati. Già l’anno scorso il Tribunale di Belluno aveva riconosciuto illegittime delle multe in ragione della mancata segnalazione dell’autovelox. Questo orientamento sembra ormai consolidato anche a seguito di una recente pronuncia del Giudice di Pace di Frosinone il quale ha stabilito che: “ai fini della validità del verbale di contestazione è necessaria la presenza di segnaletica di preventiva informazione, agli automobilisti in transito, del posizionamento dell’apparecchio autovelox” ed ancora: “le postazioni di controllo sulla rete stradale per il rilevamento della velocità devono essere preventivamente segnalate e ben visibili, ricorrendo all’impiego di cartelli o di dispositivi di segnalazione luminosi […] la segnaletica deve essere idonea per dimensionamento, visibilità, leggibilità e posizionamento […] la violazione di solo uno di questi parametri può provocare l’illegittimità dell’accertamento secondo prudente apprezzamento”. Ecco allora a cosa stare bene attenti quando si passa in prossimità di un autovelox e a cosa prestare attenzione una volta ricevuta la contestazione. Come detto, infatti, la mancanza di anche uno solo dei tre punti sopraindicati determina l’illegittimità della violazione. In generale, come lo si può intuire, la materia è ricca di sfaccettature e di sfumature dove si possono nascondere problemi ma anche soluzioni a vicende spiacevoli e non sempre legittime, dove l’aiuto di un valido professionista è indispensabile per gestire al meglio la situazione.

Massimiliano Sinacori Per approfondimenti ed esame di alcune pronunce e della casistica in materia è possibile rivolgere domande od ottenere chiarimenti via e-mail all’indirizzo:  massimiliano@avvocatosinacori.com |

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NUOVE TRUFFE

Il finto vaglia online

Rubrica a cura della Polizia di Stato della Provincia di Gorizia

P O L I Z I A D I S TA T O

Quando a essere raggirato non è il compratore ma il venditore. Dal commercio on line nuove tattiche ideate dai truffatori. Ecco i comportamenti da evitare assolutamente. Sta prendendo piede anche nel nostro territorio la truffa del finto vaglia online che, in pochi giorni, ha già colpito alcune persone che si sono viste sparire migliaia di euro dai propri conti correnti. Il raggiro si concretizza nell’ambito del vastissimo mercato dell’e-commerce; ma se finora il rischio di subire una truffa era per il compratore, con questo nuovo metodo è il venditore a essere “fregato”. Come funziona quindi la nuova modalità di truffa? Caio (venditore/vittima) mette in vendita su internet, ad esempio, il suo vecchio smartphone per un valore di 300 euro. Viene contattato da Tizio (acquirente/truffatore) che si dice interessato all’acquisto e

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che propone di effettuare il pagamento mediante vaglia postale online. Caio risponde di non avere un conto corrente postale ma Tizio lo tranquillizza dicendo che non è necessario, basta avere un bancomat o una carta di credito e recarsi presso uno sportello ATM (Postamat) di un qualsiasi ufficio postale. Caio, perplesso, dice che non ha mai fatto un’operazione del genere ma nuovamente Tizio lo tranquillizza, assicurandolo che lo guiderà telefonicamente durante tutta la procedura. Caio, felice dell’imminente arrivo del denaro e rincuorato dalla manifestata sicurezza di Tizio, si reca presso uno sportello Postamat per concludere la transazione. Una volta inserito il bancomat o la carta di credito, Tizio lo guida passo passo nelle operazioni da eseguire, suggerendo perfino i pulsanti da cliccare sullo schermo, dicendo di inserire l’importo pattuito e dettandogli il codice di quello che dovrebbe essere il vaglia online che Caio sta aspettando di incassare. Se Caio durante la procedura ha qualche minimo dubbio, Tizio è prontissimo a tranquillizzarlo con frasi del tipo “fidati, non ti preoccupare, in questo modo potrai avere immediatamente i soldi che ti sto mandando direttamente sulla tua carta”. Caio, quindi, completa la procedura cliccando sul tasto “Esegui”, ignorando gli avvisi che compaiono sullo schermo del Postamat, fidandosi ciecamente del “simpatico e rassicurante” Tizio. Caio si accorgerà ben presto che, invece di ricevere il denaro, l’importo dei 300 euro è uscito dal suo conto corrente per andare a finire sulla carta PostePay del truffatore, carta il cui nu-


“La nuova tipologia di truffa avviene soprattutto nel fine settimana, quando sportelli bancari e postali sono chiusi” mero è proprio quello che Tizio gli ha dettato, dicendogli che era il numero del suo vaglia online. Nella provincia di Gorizia i casi denunciati nell’ultimo periodo alla Polizia di Stato e ai Carabinieri sono almeno tre, con importi che in un caso sono ben più alti dei 300 euro portati ad esempio, anche perché si trattava di un anticipo per l’acquisto di un’autovettura. Il contatto del finto acquirente avviene quasi sempre nel fine settimana, quando banche e uffici postali sono chiusi e, quindi, risulta impossibile ottenere informazioni attendibili sull’operazione che si sta per eseguire. Poste Italiane, opportunamente interpellata dalla Polizia Postale e delle Comunicazioni, tiene a sottolineare che queste modalità non hanno nulla a che vedere con le reali procedure dei vaglia postali. Inoltre, in questo tipo di compravendite, anche per oggetti di poco valore, molto spesso il finto compratore invia via e-mail o via WhatsApp copia di documenti personali, quali carta d’identità o codice fiscale, chiedendo al venditore di fare altrettanto. Quest’ultimo, convinto della serietà del possibile acquirente, risponde positivamente alla

richiesta, ignaro del fatto che la carta d’identità o il codice fiscale ricevuti non corrispondono al finto compratore, bensì a una terza persona alla quale erano stati precedentemente carpiti con lo stesso stratagemma. Il truffatore, così, ha appena “rubato” l’identità del malcapitato e utilizzerà i documenti inviatigli per attivare una SIM telefonica, con la quale telefonerà e chatterà con le future vittime, nonché per aprire un conto corrente dove si farà recapitare da queste il denaro per i finti acquisti. La Polizia di Stato ribadisce di non spedire mai copia dei propri documenti personali in nessuna trattativa di compravendita tra privati su Internet e, nel caso che l’invio fosse già avvenuto, consiglia di richiedere il rilascio di nuovi, in quanto quelli spediti potrebbero essere compromessi. In Internet si fanno spesso degli ottimi affari ma l’attenzione deve essere sempre molto alta: meglio effettuare compravendite con soggetti in zona o che comunque consentano di incontrarsi di persona sia per visionare l’oggetto sia per effettuare il pagamento.

“Mai inviare via web a sconosciuti i propri documenti di identità: i dati vengono utilizzati per attivare SIM telefoniche e truffare nuove persone”

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AT T E S A E A S C O LT O

Riscoprire il silenzio

Rubrica di Cristian Vecchiet

P E D A G O G I A

Dall’attenzione sui banchi di scuola all’abbandono delle attività sportive, fino all’incapacità di accettare i rimproveri sul luogo di lavoro. La frenesia del mondo di oggi sembra annullare la capacità di riflessione dei giovani. Si ritiene comunemente che la nostra società sia caratterizzata dalla velocità, dalla frenesia e dal rumore. Tutto avviene di fretta e nel frastuono. L’esempio lampante è la frenesia del consumo. Il mercato spinge non solo a produrre, ma soprattutto a comprare e ancor di più a consumare subito per poter tornare a comprare. Si registra una sorta di compulsività indotta all’acquisto e al consumo. Tutto possibilmente senza troppa riflessione e autoriflessione. Certo non tutti, ma molti sono coinvolti in questo gioco sottile. Un fenomeno che si esprime in forme diverse. Chi insegna nota come negli anni i ragazzi abbiamo affievolito la capacità di stare fermi al banco, di fare silenzio, di prestare attenzione dall’inizio alla fine delle ore di lezione. La capacità di tenuta e di resistenza pare essersi attenuata un po’ in tutti gli ambiti di vita. Si pensi al lavoro. Non sono pochi i datori di lavoro che registrano le difficoltà dei ragazzi ad accettare i rimproveri e le critiche e a durare nel tempo. Oppure allo sport: il fenomeno del drop-out (ritiro) è emblematico di una tendenza sempre esistita ma che sembra accentuatasi nel tempo. È quindi probabilmente vero che dobbiamo riscoprire la capacità di fare silenzio, di fare attenzione, di ascoltare. E dobbiamo pertanto riattivare la capacità anche di educare al silenzio, all’attenzione, all’ascolto. Non è un caso che il tema del silenzio si sia fatto strada nella pubblicistica negli ultimi anni. Evidentemente se ne avverte da più parti la necessità. E cosa vuol dire fare silenzio? Chiaramente c’è silenzio e silenzio. Qui si allude al silenzio inteso come la capacità di far spazio al prossimo e a se stessi, l’arte di ascoltare l’altro, le sue ragio50

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ni e persino il suo mondo interno, come pure l’arte di ascoltare se stessi e la propria interiorità. Il silenzio, inteso in questo modo, è una modalità di rapporto con gli altri e con se stessi, e anche con la natura e l’universo. Non ogni forma di silenzio è positiva. Infatti il silenzio può anche essere quello dell’indifferenza, del menefreghismo di chi semplicemente non è interessato a cosa pensano o fanno gli altri, a quello che provano, alle loro paure e speranze, oppure della complicità di chi sa e tace o non fa niente, o di chi omette parole e azioni che per paura o pigrizia non pronuncia o preferisce non commettere. Ma perché è importante il silenzio buono, quello dell’ascolto e dell’attenzione verso il prossimo, verso se stessi e la natura? È importante perché vuol dire darsi la possibilità di incontrare davvero l’altro e se stessi, darsi la possibilità di un incontro profondo, non superficiale, capace di far maturare uno stile di pensiero, di sentimento e di vita più autentico, più vero. Stare sempre alla superficie può portare a non cogliere la realtà per quello che è, a fraintendere il significato degli avvenimenti, a perdere il vero sapore degli eventi e soprattutto a non entrare in contatto con la profondità sempre insondabile delle persone. Il silenzio non è qualcosa di immediato e spontaneo, soprattutto quando si tratta di un silenzio consapevole, fatto di ascolto profondo, di attesa, di desiderio di scoprire e lasciarsi scoprire, di costruire qualcosa che vada al di là dell’immediato. Il silenzio è frutto di educazione, esercizio, lenta maturazione, così come accade per tutte le cose di valore. L’educazione al silenzio passa in primo luogo attraverso le relazioni tra i ragazzi e gli adulti significativi. L’adulto educa all’interno di una relazione in cui


sa accogliere, ascoltare e riconoscere l’altro per quello che è. Quando un bambino o un ragazzo esprime un’opinione, questa va ascoltata senza banalizzarla. È meglio non ripetere di continuo frasi come: «Taci tu che non capisci». Oppure: «Non si può aver paura per scemenze». O ancora: «Non piangere per stupidaggini». Quando un bambino o un ragazzo esprime un’emozione, questa va riconosciuta. Accogliere non vuol dire giustificare o accettare tutto, ma capire e dare il giusto peso. L’adulto ha anche il dovere, quando opportuno o necessario, di prendere le distanze dai comportamenti, dalle parole o dalle omissioni dei ragazzi. Però sempre all’interno di una relazione calda e di fiducia. Al di fuori di un rapporto di fiducia e di riconoscimento, è difficile per chiunque di noi riuscire a cogliere il valore anche della critica o dell’assenso. Proprio perché accettato e accolto, un ragazzo può più facilmente fidarsi dell’adulto. Proprio perché si fida, un bambino o un ragazzo può seguire le indicazioni, i suggerimenti dell’adulto. La fiducia alimenta la credibilità. Le indicazioni esplicite possono essere importanti: «Ho ascoltato le tue ragioni, adesso ascolta tu le mie». Costruire uno stile relazionale esplicitando anche delle regole minime può essere utile. È decisivo per la crescita di una personalità adulta e responsabile educare ad ascoltare le ragioni dell’altro, a non esprimere giudizi affrettati, a presumere che l’altro abbia dei motivi che di primo acchito si possono non cogliere e non capire. L’altro può avere delle ragioni che neanche sospettiamo. In ogni ambito di vita è possibile insegnare e quindi imparare l’arte del silenzio, dell’ascolto e dell’attesa. A scuola è importante insegnare e quindi imparare che,

prima di scrivere un tema, bisogna saper comporre delle frasi corrette, prima di svolgere un’espressione, bisogna studiare e saper svolgere i singoli calcoli, prima di esprimere un’opinione, bisogna studiare quello che altri in passato hanno pensato, detto, scritto. Tutti i grandi compositori, poeti, scrittori, matematici, calciatori sono passati attraverso esercizi ripetuti, compiendo piccoli passi, seguendo un maestro, qualcuno che aveva esperienza e a sua volta ha fatto fatica e ha imparato progressivamente. E soprattutto sono fioriti attraverso la fiducia verso chi ne sapeva di più. Anche il talento o l’intuizione geniale non maturano se non per passaggi progressivi e all’interno di rapporti che fanno crescere. Tutti, gli adulti prima e i ragazzi poi, dobbiamo imparare che bisogna prima ascoltare e quindi parlare, prima studiare e poi esprimere la nostra opinione, prima mettere in discussione noi stessi e poi eventualmente anche gli altri. E dobbiamo imparare che non tutto si può capire subito ma che, per crescere, è necessario anche fidarsi. E gli adulti è bene che non dimentichino che i giovani imparano a fidarsi solo all’interno di una relazione fatta di accoglienza e che la fiducia nasce solo di fronte a esempi buoni, ossia ad atteggiamenti e comportamenti onesti e coerenti.

Cristian Vecchiet

Docente di Teologia dell’Educazione presso l’Istituto Universitario Salesiano di Venezia


A D O L E S C E N T I E S E S S UA L I TÀ

Mi annoio? Faccio sesso

Senza attenzione, senza precauzione, senza legame: la superficialità della società contemporanea ha invaso anche la sfera più intima dei giovani. Con ripercussioni pericolose per la salute fisica e psicologica.

S O C I E T À

Nelle scorse settimane ha fatto molto scalpore la notizia ripresa da diverse testate nazionali dell’aumento dei casi di ragazzine che concedevano il proprio corpo a compagni di scuola in cambio di ricariche telefoniche o, addirittura, ripetizione scolastiche. Una situazione che, tuttavia, non sorprende noi operatori dei servizi e tutti coloro che operano a stretto contatto con il mondo adolescenziale.

Rubrica a cura di Andrea Fiore

Il sesso come il videogame

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A balzare subito all’occhio, oltre alla precocità dei rapporti sempre più diffusi tra i quattordicenni, è la totale banalizzazione dell’atto in sé. Nella grande maggioranza dei casi il rapporto sessuale tra adolescenti non è la conseguenza di un rapporto sentimentale: invece di trascorrere il tempo facendo altro, lo trascorrono facendo sesso. Con estrema superficialità, quasi con disattenzione. Scordiamoci qualsiasi senso etico, nella loro visione del mondo e delle cose la sessualità perde ogni valore morale. Diventa semplicemente un passatempo per allontanare la noia, da praticare senza particolare attenzione.

I rischi? Quelli sono reali…

La disattenzione nei rapporti coinvolge anche la salute. Perché per i giovanissimi che si avvicinano al sesso, le precauzioni rappresentano quanto di più sconosciuto. Ecco allora che il rischio di una nuova stagione per le malattie sessualmente trasmissibili diventa una delle proble|

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matiche che la nostra società dovrà mettere in conto nel prossimo futuro. L’assenza di cultura preventiva si evidenzia anche nella scarsa attenzione alla vaccinazione contro il papilloma virus, che sta tornando in auge tra le giovani donne. Proprio le ragazze, infatti, risultano le più precoci in ambito sessuale: tendendo a relazionarsi con ragazzi più grandi, già a 14-15 anni praticano regolarmente il sesso, spesso con partner diversi e quasi sempre senza precauzioni. Con conseguenze talvolta pericolose per la salute della cervice uterina. Senza scordare gli impatti psicologici e sociali che la precocità sessuale porta con sé, a iniziare dalla rapida adultizzazione degli adolescenti, ponendoli fin da giovanissimi a confronto con nuove problematiche che non sempre sono pronti ad affrontare.

Social e voyerismo

Nella sua banalizzazione assoluta, il sesso viene visto da molti adolescenti come una merce di scambio: si concede un rapporto in cambio di qualcosa, non per forza denaro. Ecco allora che il proprio corpo diventa uno strumento di persuasione per raggiungere determinati obiettivi. E affinché questo strumento sia efficace, deve essere promosso attraverso i mezzi di comunicazione che le nuove generazioni sanno utilizzare con estrema semplicità. Così dai social network alle chat sugli smartphone la diffusione e condivisione di foto e video espliciti del proprio corpo diventa un’abitudine comune, trascinata anche dai modelli culturali impartiti dalla nostra società, dove divi e personaggi famosi si comportano esattamente così.


Un adolescente, tuttavia, non sempre ha la percezione della reale portata delle proprie azioni. Pensa che inviare un’immagine a una singola persona escluda che possa essere successivamente condivisa da questa con altri. Invece accade più spesso di quanto si pensi, scatenando attacchi alla reputazione individuale che i soggetti più fragili non sono in grado di sopportare.

Cambiare le cose? Utopia…

I casi fin qui descritti, in base alle esperienze sul campo, sembrano destinati ad aumentare ancora nel prossimo futuro. A invertire la tendenza potrebbe essere solo un fattore esterno imprevedibile. La storia ci insegna che ciclicamente, quando si raggiungono degli estremi, si sviluppano fattori che portano le persone a cambiare drasticamente i propri atteggiamenti. In passato, nei comportamenti sessuali, questi fattori si sono rivelati le gravi malattie. Oggi sono state in parte debellate o arginate, ma nulla può escludere che in futuro possano svilupparsi nuove patologie finora sconosciute. Contrariamente, la precocità delle esperienze con il sesso da parte dei nostri giovani continuerà a essere una realtà. E se perfino gli ambienti religiosi, come ad esempio la Chiesa cattolica, stanno allentando le proprie rigidità in materia con concezioni meno assolutiste sui rapporti prematrimoniali, invertire la rotta al momento appare inimmaginabile.

dott. Andrea Fiore

Medico delle Farmaco-Tossicodipendenze, psichiatra andrea.fiore@imagazine.it


MOSTRE IN FVG (calendario aggiornato su www.imagazine.it) 12 gennaio – 22 febbraio ▶ LA RICERCA DELL’IDENTITÀ (AL TEMPO DEL SELFIE) Mostra collettiva. Trieste. Studio Tommaseo, via del Monte 2/1. Orario: mar-sab 17-20. Ingresso libero. Info: www.triestecontemporanea.it Fino al 16 gennaio ▶ NINO MIGLIORI Un fotografo d’avanguardia nell’Italia del Neorealismo. Trieste. Bastione Fiorito del Castello di San Giusto, piazza della Cattedrale 3. Orario: mar-dom 10-17. Ingresso € 10. Info: www.imagemuseum.eu Fino al 17 gennaio ▶ LA TRAMA DEL SEGNO Esposizione personale di Viktoriya Hnenyuk. Monfalcone (GO). Caffè Carducci, via Duca d’Aosta 83. Orario: mar-dom 7.3022. Ingresso libero. Info: www.imagazine.it Fino al 25 gennaio ▶ CONTINUO INFINITO PROVVISORIO Personale fotografica di Alessandro Ruzzier, anche nelle sedi del Kinemax e dello Spazio belo189. Gorizia. studiofaganel, viale XXIV Maggio 15/c. Orario: lun-ven 9.3013/16-19. Ingresso libero. Info: https://studiofaganel.com

Fino al 26 gennaio ▶ ELIA BOZZI – LA FORZA DEL SILENZIO I pochi segni, spesso geometrie solitarie, oppure due fanciulle un po’ misteriose e appena accennate, dialogano con lo spazio in maniera metafisica e scandiscono bilanciamenti compositivi assolutamente sotto controllo. Pordenone. Due Piani, via Ospedale Vecchio 4. Orario: mar-sab 14.30-18. Ingresso libero. Info: www. due-piani.it

Fino al 30 gennaio ▶ARTE NEI TRANSATLANTICI Un viaggio nella bellezza, nell’innovazione, nel lavoro. L’esposizione è articolata in tre sezioni, una di queste dedicata ai grandi artisti del Novecento. Monfalcone (GO). MuCa, via del Mercato 3. Orario: gio 10-13, ven-sab 1018, dom 10-13. Ingresso € 8. Info: www.mucamonfalcone.it Fino al 31 gennaio ▶X-MAS ART SHOW Mostra collettiva. Si va dalle famose grafiche digitali e sculturine di vetro e latta di Andy Prisney alle sculture più preziose in legno e bronzo di Paolo Polenghi. Trieste. EContemporary, via Crispi 28. Orario: giosab 17-20. Ingresso libero. Info: cantori.elena@gmail.com Fino al 31 gennaio ▶DELLE PERDUTE COSE L’esposizione delle installazioni di LCDDS è accompagnata da una mostra bibliografica curata da Antonella Gallarotti della Biblioteca Statale Isontina di Gorizia. Mossa (GO). Municipio, via XXIV Maggio 59. Orario: 8.30-13.30. Ingresso libero. Info: www.imagazine.it Fino al 3 febbraio ▶ARMANDO PIZZINATO 19102004. LA GRAFICA Nell’ambito della 37^ edizione della Triennale Europea dell’incisione. Udine. Casa Cavazzini, via Cavour 14. Orario: mardom 10.30-17. Ingresso € 5. Info: www.civicimuseiudine.it

Fino al 3 febbraio ▶A BASSA VOCE La mostra a cura di Luca Geroni e Marina Dorsi, ricostruisce il percorso creativo di Armando Depretis. Monfalcone (GO). Galleria Comunale d’Arte Contemporanea, piazza Cavour 44. Orario: ven-sab 10-13/15-

18, mer/dom 10-13. Ingresso libero. Info: 0481 494280 9-24 febbraio ▶MULTICREATIVITÀ ARTISTICA Mostra personale di Ivan Bidoli. Fiumicello Villa Vicentina (UD). Municipio di Fiumicello, via Gramsci 8. Orario: lun-sab 16-19, dom 1012.30/16-19. Ingresso libero. Info: www.ivanbidoli.it Fino al 14 febbraio ▶L’ATELIER DEI FIORI Gli abiti di Roberto Capucci incontrano le immagini di Massimo Gardone. Gorizia. Museo della Moda e delle Arti Applicate, borgo Castello 13. Orario: mar-dom 9-19. Ingresso € 6. Info: www.musei.regione.fvg.it Fino al 17 febbraio ▶IAPODES I reperti esposti provenienti dalla collezione giapodica del Museo Archeologico di Zagabria introducono alla cultura materiale dei Giapodi e al loro stile specifico e ben riconoscibile. Trieste. Museo d’Antichità, piazza della Cattedrale 1. Orario: mar-dom 10-17. Ingresso libero. Info: www. museostoriaeartetrieste.it Fino al 24 febbraio ▶ZUCCHERI & ZUCCHERI. NATURA E POESIA Una dedica a due grandi artisti del territorio, Luigi Zuccheri e Toni Zuccheri, celebrati per la poetica cifra stilistica dedicata all’osservazione della natura e degli animali, tradotta in pastello e sculture in vetro. Pordenone. Galleria Sagittaria, via Concordia 7. Orario: mar-dom 1619. Ingresso libero. Info: 0434 365387.

della propria storia e degli artisti più importanti. Pordenone. PAFF!, viale Dante 33. Orario: mar-ven 15.30-18.30, sab-dom 1020. Ingresso € 8. Info: info@ paff.it ▶ MAMMA ROMA DI PIER PAOLO PASOLINI Esposizione fotografica che porterà i visitatori direttamente sul set del celebre film diretto nel 1962 da Pasolini e interpretato da una superba Anna Magnani. Casarsa della Delizia (PN). Centro Studi Pasolini, via Pasolini 4. Orario: lunven 15 -19, sab-dom 10.3012.30/15-18.30. Ingresso libero. Info: 0434 870593 Fino al 28 febbraio ▶UNA CITTÀ DENTRO LA GUERRA. UDINE 1914-1918 Curata da Lucio Fabi e Tiziana Ribezzi, in collaborazione con Giancarlo Martina, Giovanna Marselek e Gaetano Vinciguerra, si avvale di documenti, dipinti, fotografie, apparati testuali e multimediali. Udine. Museo etnografico, via Grazzano 1. Orario: mar-dom 10.30-17. Ingresso € 5. Info: www.civicimuseiudine.it Fino al 17 marzo ▶OCCIDENTALISMO Mostra interamente dedicata ai kimono. Non kimono qualunque, ma quelli prodotti in Giappone tra il 1900 e gli anni ‘40, pezzi che riflettono la volontà imperiale di occidentalizzare il Paese. Gorizia. Museo della Moda e delle Arti applicate, Borgo Castello 13. Orario: mardom 9-19. Ingresso € 6. Info: http://studioesseci.net Fino al 17 marzo ▶METLICOVITZ, L’ARTE DEL DESIDERIO Le opere esposte (73 manifesti, tre dipinti e una ricca selezione di “grafica minore”) sono organizzate in otto sezioni espositive, una delle quali a Palazzo Gopcevich. Trieste. Museo Revoltella, via Diaz 27. Orario: merlun 9-19. Ingresso € 8. Info: www.museorevoltella.it

Fino al 24 febbraio ▶ GRADIMIR SMUDJA: DA LEONARDO A PICASSO Un excursus di oltre cento opere dell’artista serbo che ripercorre un meta-viaggio dell’arte all’interno

I COSTI E GLI ORARI DI APERTURA POSSONO VARIARE SENZA PREAVVISO. VERIFICARE SEMPRE RIVOLGENDOSI AGLI APPOSITI RECAPITI.


MILENA DEAN Intervista di Claudio Pizzin Immagini: archivio M. Dean

PERSONAGGI

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Arte da tramandare

Dalle sculture lignee ai dipinti su tavola. Da oltre trent’anni la restauratrice friulana collabora con Musei, Diocesi, Soprintendenze e Comitati privati. «Se l’opera d’arte è un bene collettivo, spetta anche alla collettività il compito di preservarla».

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Una professione complessa e appassionante. Quando Milena Dean parla del suo lavoro traspare un’intensità contagiosa. Originaria di Fiumicello, dopo il liceo ha frequentato la Scuola di Conservazione e Restauro di Botticino (BS), dove si è specializzata in restauro della scultura lignea. Terminati gli studi, nel 1986 ha iniziato l’attività come libera professionista a Belluno, dove si era trasferita. La specializzazione in scultura lignea si rivelò provvidenziale, da un lato per la quantità e la qualità dei manufatti in legno presenti su quel territorio, dall’altro per la mancanza nel bellunese e in Veneto, in quegli anni, di restauratori con questo tipo di qualifica.

Milena Dean, restauro di sculture lignee, ma non solo: lei si occupa anche di restauro di dipinti su tavola. «Scultura lignea e dipinti su tavola sono accomunati dallo stesso tipo di supporto (sono opere in legno) e spesso gli strati pittorici nella scultura lignea si avvicinano tecnicamente alle policromie dei dipinti su tavola: simili sono le tecniche e i materiali che li caratterizzano». Lei è originaria di Fiumicello ma la gran parte della sua attività professionale si è svolta in Veneto: come mai? «La mia attività professionale ha inizio nel bellunese, dove mi ero trasferita, e anche oggi che sono nuovamente in Friuli continuo a lavorare su opere di quel territorio e per i Musei di quel territorio. Dal 2003 ho iniziato a lavorare anche a Venezia e Padova, collaborando con Musei, Diocesi, Soprintendenze e Comitati privati. Ho eseguito un unico intervento in Friuli, un restauro ministeriale su un grande crocifisso quattrocentesco, opera d’intagliatore veneziano, della parrocchiale di Porcia. Direi che è andata così».

In apertura, Milena Dean mentre restaura il crocifisso risalente alla fine del Trecento di San Francesco della Vigna (Venezia). In queste pagine alcuni suoi interventi di restauro. Di fianco, Michele Giambono, san Crisogono (1450 circa), chiesa di San Trovaso, Venezia. |

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Da sinistra, Sacra Conversazione, attribuita a Matteo Cesa, 1500 ca, chiesa di Santo Stefano, Belluno; Andrea Brustolon, Altare delle Anime, 1687, chiesa di San Floriano, Pieve di Zoldo (BL); Crocifisso, intagliatore veneto, 1500 circa, parrocchiale di San Michele al Tagliamento (VE). Sotto, Madonna della Misericordia, intagliatore veneziano, 1430 circa, Museo Correr, Venezia.

Nella visione degli interventi di restauro di opere antiche ci sono a suo avviso differenze tra il Veneto e il Friuli Venezia Giulia? «Direi di no, l’approccio agli interventi, le considerazioni che li precedono, le metodiche che vengono applicate si equivalgono. Va ricordato che molti restauri eseguiti in Friuli Venezia Giulia sono considerati delle eccellenze a livello nazionale: nei laboratori di restauro della Soprintendenza, a Udine, è stato eseguito uno dei restauri più importanti di questi anni: il crocifisso ligneo di Donatello della chiesa di Santa Maria dei Servi a Padova».

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Tra i restauri da lei eseguiti quali sono quelli che ritiene più importanti? «Forse quelli eseguiti sulle opere lignee di Andrea Brustolon, perché si scalano lungo gli anni della mia attività. Il primo restauro su un’opera dello scultore l’ho affrontato nel 1989 e l’ultimo l’ho concluso a settembre di quest’anno. Ho avuto la fortuna d’intervenire su una trentina di manufatti autografi dell’autore, opere di grandi dimensioni e piccole sculture, eseguite con tecniche diverse: monocrome, policrome, dorate, a legno patinato... I dati emersi nel corso dei lavori, le indagini scientifiche eseguite per l’occasione unitamente alle ricerche d’archivio, hanno permesso di accumulare un bagaglio di conoscenze anche tecnologiche sullo scultore che sono sfociate in studi utili a colleghi e storici dell’arte». Quali sono le qualità indispensabili per chi svolge il suo genere di attività? «È una professione complessa non solo artigianale, ma anche artigianale, che richiede una buona conoscenza di storia dell’arte, di filosofia e di storia della tecnica, una solida formazione scientifica e che prevede un costante aggiornamento professionale». Restaurare un’opera significa restare fedeli alle sue origini e al suo contesto storico. Quanto studio e conoscenza sono necessari prima di iniziare operativamente ogni singolo intervento? «Ogni intervento di restauro è sempre un’operazione critica: in questo complesso lavoro sono coinvolte figure professionali con competenze distinte e la qualità dell’intervento è determinata da questo lavoro in equipe. Il restauratore è in costante e costruttivo confronto con lo storico dell’arte, a cui spetta la direzione dell’intervento; si avvale spesso delle competenze


dell’archivista, e dei risultati delle indagini scientifiche eseguite da chimici, fisici, biologi sull’opera. Va considerato che le singole opere d’arte sono in rapporto e dialogo costante con i contesti architettonici in cui sono inserite. Nel caso della scultura lignea, si tratti di un singolo manufatto o di un complesso architettonico, la funzione culturale e liturgica sono elementi che vanno sempre considerati e mai sottovalutati e quindi il confronto con la proprietà, diocesi e per estensione le parrocchie, è necessario per risolvere parte delle problematiche che le opere pongono». Il patrimonio artistico in Italia è pressoché sterminato: come giudica il suo stato di conservazione e la politica di restauro a esso correlata? «Le figure professionali che si occupano della materia in Italia sono riconosciute anche all’estero come delle eccellenze e non parlo solo dei restauratori, ma mi riferisco ai Centri di Ricerca, agli Istituti di Alta Formazione, ai nostri preparatissimi e poco considerati funzionari di Soprintendenze e Musei, che si trovano a combattere in un panorama politico che da sempre considera di poco conto l’investimento nei beni culturali, anche se ne parla molto». I mancati interventi di restauro quali conseguenze possono avere sul patrimonio artistico? «Il restauro è sempre l’ultimo atto. Prima esistono una serie d’interventi meno invasivi e spesso più utili per la corretta conservazione del manufatto artistico e che possiamo descrivere come interventi di manutenzione o minimo intervento conservativo. La mancata manutenzione può avere conseguenze disastrose sul patrimonio e portare di necessità a interventi più complessi e costosi. Un restauro è sempre un’operazione invasiva e le motivazioni che lo precedono devono essere forti e chiare». Rispetto a quando ha iniziato a svolgere la sua attività di restauro, la sensibilità sulla tutela delle opere d’arte nel nostro Paese è aumentata o diminuita? «Se l’opera d’arte è un bene collettivo, come io credo, il suo riconoscimento come bene da preservare e da trasmettere alle future generazioni spetta anche alla collettività a cui appartiene. I restauri eclatanti su opere clamorose di autori che sono delle icone della storia dell’arte smuovono di certo grande interesse e hanno una copertura mediatica di gran lunga superiore oggi rispetto al passato. Ma il vero patrimonio in Italia è dato dalle innumerevoli opere sparse sul territorio, spesso di autori poco conosciuti o sconosciuti e la cui tutela e conservazione è, almeno in parte, demandata alle comunità che principalmente ne fruiscono. Una maggiore sensibilità si determina dal sano e costante rapporto di collaborazione fra gli enti preposti alla tutela e le comunità locali». Come negli altri campi, le moderne tecnologie trovano applicazione anche nell’ambito del restauro: come si sono evolute le tecniche nel corso degli anni? «L’apporto delle nuove tecnologie è stato significativo in questi ultimi decenni anche in questo campo.

Maestro della Croce di san Pantalon, Croce stazionale, 1335 circa, chiesa di San Pantalon, Venezia

Ha contribuito a una migliore conoscenza delle problematiche conservative dei manufatti su cui s’interviene e consente oggi di eseguire interventi sempre più mirati. Per esempio l’impiego del laser nella pulitura, l’apporto delle nanotecnologie nella selezione di nuovi materiali da impiegare negli interventi, lo sviluppo che ha avuto la diagnostica non distruttiva, fondamentale nelle fasi preliminari del restauro ma non solo. Ma questa professione rimane, per me, sempre e comunque legata anche a una dimensione artigianale del fare, in cui sensibilità e manualità sono ugualmente indispensabili per la qualità del recupero dell’opera». Claudio Pizzin Valentino P. Besarel, particolare dell’altare maggiore, 1885, chiesa di San Michele Arcangelo, La Valle Agordina (BL)

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ALLA SCOPERTA DI...

LA CASA RURALE E LE “VECIE MURAIE” Servizio di Renato Duca e Renato Cosma. Immagini e disegno di Alfio Scarpa

Sobria essenzialità Cosa resta oggi della case coloniche del territorio monfalconese? Ecco com’erano fatte e, soprattutto, perché è importante non disperdere la testimonianza locale dell’architettura contadina.

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L’evoluzione del regime fondiario e delle pratiche di campagna, il progresso tecnologico e la dilatazione degli insediamenti urbani, intervenuti nella seconda metà del secolo scorso, hanno progressivamente mutato l’utilizzo storico della casa dominicale, usata anche come centro aziendale, attorno cui si era articolata per secoli l’attività agricola nel Monfalconese. Parallelamente, hanno subito radicali ristrutturazioni a usi abitativi e altro le tradizionali case coloniche, testimonianza locale di un’architettura contadina dei tempi andati, sobria ed essenziale. Altresì, stanno scomparendo pure le vecchie muraglie (le vecie muraie), che in passato cingevano le grandi braide e i parchi delle ‘ville padronali’ del territorio monfalconese, anch’esse sacrificate alle esigenze dell’urbanizzazione incalzante. Edifici e muraie, caratterizzati nelle strutture dall’impiego prevalente di pietra carsica, grazie alle cave presenti a Sagrado, Redipuglia, Selz, Doberdò e Monfalcone. Pietra carsica, simbolo di ‘pietra viva’, storicamente presente in Bisiacaria anche nelle chiese, nei campanili e nelle grandi opere (il Ponte romano al Zochet, le alte mura de Mofalcon, la Presa di Sagrado, la diga della Quarantia).

Viene omesso in questa sede un approfondimento sul tema casa e villa dominicale per dare spazio, invece, a una riflessione sugli edifici agresti presenti fino a non molti decenni fa nel territorio. Un patrimonio edilizio che, malgrado le devastazioni della Grande Guerra e le inevitabili modifiche operate nella ricostruzione, aveva conservato i propri caratteri peculiari. La casa rurale del Monfalconese può essere definita una variante ‘bisiaca’ del tipo friulano. Nella maggioranza dei casi essa era costituita da un complesso edilizio disposto su due sezioni: una destinata ad abitazione e annessi, l’altra costituente il rustico vero e proprio. Il tutto, compresa l’ampia corte di disimpegno (curtivo), era delimitato di solito da un recinto di tipo misto: in corrispondenza della pubblica via con muro di pietra (muràia) intestato agli edifici, mentre verso la campagna (braida) con pali e rete metallica (palada) o siepe. Nei pressi del recinto o a ridosso della muraia venivano sistemati il pollaio (pulinar), il porcile (stalot del porsel), la latrina (cesso) e la concimaia (ledemar). Nel cortile, verso la stalla, si trovava la pompa (ponpa de l’aqua), raramente un pozzo, con l’abbeveratoio (àlbio) in pietra; il rinnovo dell’acqua nello stesso avveniva tramite un collegamento volante (gorna) costituito, a seconda dei casi, da uno spezzone di grondaia, da una o più sezioni di vecchio tubo da stufa, oppure da due assi di legno inchiodati a V. Sempre nelle adiacenze della stalla, erano sistemati i depositi di strame e di paglia (méda de patus e de pàia) per il lettime degli animali; in assenza di un deposito, il legname per il focolare ( fogolar) trovava colIn apertura: muraia a Selz “col capitel dela Madoneta”. Di fianco: muraia merlata a Selz, con pietre squadrate del Ponte romano di Ronchi. Pagina accanto: disegno di una tipica casa rurale monfalconese.

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locazione in apposite cataste (in muc), situate a fianco del pollaio, del porcile o sotto qualche tettoia. Il rustico era costituito da un’unica struttura: al piano terreno erano ubicati la stalla (stala) e il portico (portigo, portego), mentre al piano superiore c’era il fienile (teza), adibito talvolta anche a deposito di balle di paglia. Ogni stalla era dotata di tromba, ovvero di apposita struttura in legno collegata al pavimento del fienile, per consentire lo scarico diretto del fieno per il bestiame ricoverato; vi erano, poi, la mangiatoia (grìnpia) e gli stalli (poste) per i bovini, cavalli, vitelli ed eventualmente per il puledro (puíer). Spesso, il portico veniva integrato con una tettoia (totòia), ottenuta prolungando con elementi ondulati di metallo (amarini, lamarini) il tetto del portigo e rinfiancando le pareti con foglie di granoturco (reste) e canne palustri (canele) o falasco (patus); sotto il portico e la tettoia trovavano ricovero (a sotet), in vario ordine o disordine, il carro e gli altri attrezzi da lavoro. Il tetto della stalla-fienile era costituito da elementi portanti in legno (tràu del colmo, travi) e copertura con tegole curve (cópi); raramente esso risultava separato da quello dell’abitazione tramite il cosiddetto muro rompifiamma. Generalmente, sotto il tetto della teza o dei staloti venivano sistemate le piccionaie (colonbare) . Nei pressi della stalla c’era anche il ricovero per il cane da guardia (casot del can), il quale poteva muoversi entro un certo raggio grazie a una lunga catena ancorata a un picchetto (tubo de ponpa) o a un lungo filo di ferro teso in alto. Né il rustico né l’abitazione erano serviti da ballatoi o poggioli, com’era diffusa consuetudine nelle campagne friulane. Tre erano le costanti nell’ambito dei complessi rurali bisiachi: la pèrgula, la sénta de piera e il cocolar, cocoler. La pèrgula, un pergolato vitato solitamente d’uva di San Giovanni (San Zuan), di San Giacomo (San Iacun), oppure di Bacò (incrocio francese Vitis Vinifera-Vitis Riparia), Clinto (detto anche Americano, incrocio dell’America Settentrionale-località Clinton) o Fragola (Vitis labrusca), era sistemata davanti al fabbricato destinato a dimora della famiglia contadina e assicurava nelle giornate estive assolate il ristoro ombroso a chi stava seduto sul grosso sedile di pietra (sénta de piera), collocato di fianco alla porta della cucina; il cocolar-cocoler, invece, era sistemato nelle adiacenze della ponpa dell’acqua e dell’àlbio. La sezione abitativa si articolava su un piano terreno, un primo piano e un solaio-sottotetto: i tre piani erano serviti da una scala interna in legno, raramente in pietra: in tale seconda ipotesi, ciò avveniva solo per il primo piano. Al piano terreno era ubicata la cucina (cusìna), stanza spaziosa e sufficientemente illuminata, con pavimenti in

cemento, in lastroni di pietra o in mattoni (paviment de modoni, de pieracota), cui si accedeva direttamente dalla corte attraverso una porta a due ante, parzialmente vetrata: la cucina, mediante un’ampia porta a vetri, dava nella cusineta o fogolar, costituente di solito il corpo sporgente dell’edificio (casa cul sburt in fóra). Dalla cucina si accedeva a uno spazio ricavato sotto le scale che portavano al piano superiore, destinato ad angolo acquaio-lavello e deposito dei secchi dell’acqua (secíar) per il quotidiano uso domestico. Inoltre, accanto alla cucina si trovava la stànzia, un vano talvolta oscurato, adibito a ripostiglio, cantina e deposito di derrate alimentari. Al primo piano c’erano le camere da letto, tutte a soffitto rustico (sufit cun i travi), per lo più intercomunicanti perché prive di corridoio di disimpegno. Il solaio (granar-graner) veniva destinato al deposito di frumento, granoturco, patate, fagioli e altro. Fino ai primi decenni del Novecento i sacchi di derrate venivano portati a spalla; poi, gradualmente, trovò larga diffusione il caricamento mediante carrucola (carùcula), ancorata a una trave del tetto, in corrispondenza di una delle finestrelle di aereazione. In chiusura, non poteva mancare un veloce richiamo alle citate muraglie in pietra di braide e parchi, da qualificare come ‘elementi incisivi’ di arredo ambientale. La linea architettonica e le dimensioni delle muraie erano piuttosto standardizzate, a seconda dell’ambito circoscritto, con colmo ‘a triangolo’, coperto spesso con coppi, raramente con spiovente (piovarin) tutto verso l’interno o verso l’esterno. Molto diffusa era, poi, la consuetudine di utilizzare un lato del muro quale appoggio per l’orditura portante (pali di acacia o pino) del pergolato di vite (la pergula). Riteniamo che censire quel poco che è rimasto delle vecie muraie de piera sia operazione opportuna nel quadro dell’articolata e diffusa attività di ricerca e valorizzazione della storia e delle tradizioni locali, della biografia di personaggi eminenti, del recupero di documenti e reperti posti in essere da tempo da istituzioni, studiosi e volontari appassionati.

Renato Duca e Renato Cosma

Renato Duca è stato direttore del Consorzio di bonifica Bassa Friulana; Renato Cosma è stato condirettore del Consorzio di bonifica Pianura Isontina |

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COMITATO FRIULANO DIFESA OSTERIE Servizio e immagini di Michele Tomaselli

Portare cultura ovunque Nella società globalizzata anche in ambito enogastronomico, il Friuli continua a preservare le proprie tradizioni culinarie. A Udine è attiva ormai da 34 anni una realtà determinata a difendere questo patrimonio. Come richiesto anche dal Presidente della Repubblica.

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Di una cosa il Friuli ha un’abbondanza straordinaria che quasi non esistono eguali nel resto d’Italia, il suo patrimonio di osterie, bar, caffè e ristoranti dove i clienti non mancano mai, perché per il friulano c’è un rito, quella del bere un buon bicchiere di vino prima di andare a casa per il pranzo; per lui l’osteria è qualcosa di “sacro” che viene subito dopo la Chiesa. Una tradizione che lo può portare a fare la via crucis delle osterie, visitandone 7 come si fa con le Chiese nel giorno del Venerdì Santo, per avere i favori di un santo che ancora non c’è... Sono passati trentacinque anni dalla nascita del Comitato Friulano DifeOsterie sa Osterie: in quel tempo oramai lontano, un gruppo di udinesi e friulani veraci decise d’intraprendere una battaglia, tutt’oggi in corso, contro fastfood, pizzerie, kebab, cineserie e altri locali 60

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non ben definiti, non fedeli secondo loro alla civiltà friulana del buon bere e del mangiare. L’osteria è il luogo che incarna al meglio la cucina friulana: una cucina semplice, priva di sofisticazioni ed eccessi e, pertanto, genuina. Un ambiente non solo destinato per “bere e mangiare”, ma anche per incontrare chi ha voglia di stare insieme, per raccontare della vita e per trovare quei valori come il calore e la solidarietà. Lo Statuto del Comitato, che sancisce questi postulati, fu coniato nel 1984 grazie alla visione illuminata del suo primo presidente: Luciano Feruglio; da allora, nonostante siano passati sette lustri, periodi belli, buoni e brutti, e malgrado tanti amici non ci siano più, questi princìpi ritornano attuali. Nella società odierna, infatti, sono in costante ascesa gli investimenti nel turismo enogastronomico per vivere il cibo come cultura ed esperienza, per sviluppare da esso il patrimonio storico e artistico del luogo. Così, in tempi di rinnovamenti, alla presidenza del Comitato Friulano Difesa Osteria non c’è più il volto noto di Enzo Driussi, ma un altro Enzo, più conosciuto come il maresciàl Mancini, il quale con forza ed entusiasmo sta portando avanti la difesa delle osterie. La sua storia è nota: di origini per metà napoletane, è figlio di Ulrico, pure lui maresciallo; a 42 anni, dopo l’agognata pensione, rileva con Gigi Il Rosso la gestione dell’osteria “al Vecchio Stallo” di Udine, che porterà avanti fino al compimento del sessantesimo anno di età, lasciando poi la conduzione dell’attività ai suoi due fratelli Mario e Maurizio. Una ventata d’aria nuova insomma, dove spiccano le attività realizzate, come quella nel ristorante “da Toni” a


Gradiscutta di Varmo, una partecipazione alla trasmissione Sereno Variabile di Raidue e tantissime altre iniziative. Prospettive che fanno ben sperare nel raggiungimento dell’obiettivo di fare rete attorno alle osterie e di promuovere le eccellenze del territorio. Peraltro, in occasione di un recente incontro del presidente Enzo Mancini col Comune di Udine, il sindaco Pietro Fontanini e l’assessore Maurizio Franz si sono impegnati a riportare il Comitato tra i protagonisti del XXV Friuli DOC, come avveniva già in passato, con l’augurio che le osterie cittadine possano lanciare un menù fisso di piatti friulani, uguale per varietà e prezzo. Inoltre, per mantenere la tradizione di quaresima legata alla renga e al baccalà, nella ricorrenza del mercoledì delle ceneri che apre le porte a primavera, hanno proposto la realizzazione di un menù degli osti, identico per tutte le osterie. L’incontro a palazzo d’Aronco è proseguito con un “monito” affinché nei locali non si disperdano quei valori di promozione e riscoperta, insiti nei sapori antichi di una volta, oltre che nelle tradizioni e nell’ospitalità friulana. Tra i prossimi progetti, anche seguendo il consiglio contenuto in un discorso pubblico del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, “di portare cultura ovunque, anche nelle osterie”, è stata prevista, assieme all’Associazione Cervignano Nostra, di organizzare un’iniziativa denominata “Osteria In Libri”. Trattasi di alcune presentazioni con gli autori che si terranno tra febbraio e marzo, all’interno di alcuni locali affiliati al Comitato e che vedranno la partecipazione di scrittori come Angelo Floramo, Ferruccio Tassin e tanti altri. Gli incontri si svolgeranno tra Cervignano del Friuli e Udine. Nel frattempo è stata lanciata la campagna adesioni 2019 denominata “Il Comitato ha bisogno di ossigeno”. Per aderire al Comitato Friulano Difesa Osterie e alle sue iniziative, nonché per ricevere il giornale L’osteria friulana, gli interessati possono trovare i riferimenti sul sito www.osteriafriulana.it o chiamare il 339 6394067. Michele Tomaselli

Pagina accanto in apertura, a sinistra la copertina del libro La biblioteca di Viorgilio Giotti e il suo soldalizio con la libreria di Umberto Saba; a destra la stanza di Virgilio Giotti con bibliotechina.

Pagina acconto in apertura, incontri d’autunno del Comitato nel ristorante “da Toni” di Gradiscutta di Varmo. Da sinistra: Enzo Mancini, Vittoria Mancini, Aldo Morassutti, Luigi Strizzolo, Alfonso Aldo Toffoletti; in basso il giornale L’osteria friulana. In questa pagina, dall’alto: - Cervignano del Friuli, consegna del caratteristico piatto del Comitato, al locale “Antica Osteria Italia”, entrato a far parte nel 2018, dei locali affiliati al Comitato. Da sinistra: l’assessore Federica Maule del Comune di Cervignano, le gestrici del locale Francesca di Mattia e Stefania Fantin, ed Enzo Mancini; - Da sinistra: Michele Tomaselli, Enzo Mancini, il sindaco di Udine Pietro Fontanini e l’assessore Maurizio Franz, Alfonso Aldo Toffoletti, Alessandro Chittaro, a Palazzo d’Aronco. - Il Comitato a Sereno Variabile. Da sinistra: Simone Lugano, il conduttore Osvaldo Bevilacqua, Enzo Mancini, Michele Tomaselli. Qui a sinistra, il logo del Comitato Friulano Difesa Osterie. |

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L’ARENELLA Servizio di Ivan Bidoli. Immagini di Archivio Enzo Andrian

L’astro che illuminò la bassa friulana Nel 1960 aprì a Fiumicello un locale che nel tempo avrebbe ospitato grandi nomi dello spettacolo italiano, come Pippo Baudo e Mike Bongiorno. Dalle scelte futuristiche per l’epoca alla sua controversa chiusura: il suo ideatore e fondatore ripercorre un’epopea lunga 25 anni.

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Fin da piccolo la mia vocazione era quella di diventare architetto. E la strada sembrava spianata. Terminato infatti il liceo artistico a Venezia, fui presentato a Max Fabiani che, abbandonato il ruolo di rettore della cattedra di architettura proprio a Vienna, si era sistemato a Gorizia per trascorrere gli anni della pensione. Dopo aver visionato i miei progetti, si offrì di impartirmi lezioni di architettura, garantendo che mi avrebbe seguito durante l’intero percorso universitario, fi no alla laurea. Nei due anni successivi ebbi il privilegio di frequentare il suo studio: condizione che si interruppe bruscamente nel momento in cui venni chiamato a svolgere il servizio di leva. Al mio ritorno, infatti, i miei genitori mi comunicarono due cose. La prima, che non avevano più le possibilità economiche per sostenere i miei studi. La seconda, che avevano acquistato un terreno nel nostro paese natio, Fiumicello. Si trattava di una porzione di una grande fattoria in cui erano presenti mucche e tori. Situato in via Gramsci, il suo nome era tutto un Il logo ufficiale dell’Arenella

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programma: “Ledamar di Gasparut” (in friulano, letamaio di Gasparut). Ma forte dell’esperienza acquisita proprio con Max Fabiani, mi misi subito al lavoro. Perché in quel luogo io vedevo già altro. Progettai un edificio a due piani, con appartamento e locali da adibire a bar. Trovai un geometra, Gino Basutto, che firmò il progetto consentendo il via ai lavori di costruzione. I miei genitori, nel frattempo, avevano deciso di affidare la gestione del loro negozio di alimentari in centro paese a mio fratello Tonino. Nel 1956, terminati gli interventi, aprii il mio bar. Come fatto per la struttura esterna, decisi di optare per soluzioni futuristiche anche nella scelta degli arredi interni. Una soluzione audace per l’epoca, al punto che il giorno dell’inaugurazione il prete giunto per la benedizione di rito disse perplesso: «Il locale non lavorerà perché è troppo lussuoso». Invece fu un successo. Nel giro di poco tempo dovetti attivarmi per ampliare lo spazio dedicato alla sala tv, per far fronte al numeroso pubblico. Tuttavia, avevo ancora diverse novità da introdurre. La prima era un Jukebox, destinato a mio avviso a prendere rapidamente piede. Mio fratello era contrario, sostenendo che avevamo già troppi debiti. Ma io feci di testa mia, e in società con un rappresentante, lo acquistai e lo sistemai proprio nella sala tv. Fu un altro grande successo, tanto che in poco tempo riuscii a saldare il debito. La novità attirò ancora più persone che, oltre a scegliere le proprie musiche preferite, si scatenavano ballando. E così dovetti pagare una tassa perché si balla-


va… La mia creatività, inoltre, non mi dava pace, sollecitandomi sempre a fare un passo più in là. Così mi rimisi a progettare, per mettere nero su bianco la mia nuova visione: un locale circolare con orchestra in mezzo. Terminati tutti i disegni, come fatto in passato mi ripresentai dal geometra Basutto per ottenere la firma del professionista. Questa volta però non solo si rifiutò, ma andò anche dai miei genitori a dire che ero pazzo perché avevo progettato una cosa folle. Non fu sufficiente per scoraggiarmi. Trovai un altro geometra che firmò il miei progetti, consentendomi di realizzare il mio sogno. Una struttura circolare come un’arena che, su suggerimento dell’altro mio fratello Glauco, battezzai con il nome “Arenella”. Era il 1960. Avendo contratto ulteriori debiti per la realizzazione del nuovo locale, dovetti inventarmi soluzioni innovative e di poco costo per l’arredamento. Per l’illuminazione puntai a inserire delle lampadine all’interno dei gusci delle noci da cocco appesi al soffitto. Sopra l’orchestra feci sistemare una tendina circolare in raffia, mentre altre zone furono decorate con bambù. Realizzai inoltre personalmente enormi mascheroni in stile africano da appendere alle pareti, alternandoli con quadri da me dipinti raffiguranti scene di balletti africani. Una scelta che il pubblico gradì ampiamente, spingendomi a un passo ulteriore: attrezzare il locale con una cucina per adibirlo a ristorante. Non solo, decisi anche di proporre la pizza che, all’epoca, in provincia era una cosa pressoché sconosciuta. Avendo difficoltà a trovare un forno a legna, mi rivolsi a tre anziani artigiani di Buia che lavoravano per il museo di Aquileia. Su richiesta, realizzarono i radiali per un forno circolare. E anche questa mia idea si trasformò in realtà. Inizialmente la pizza non ebbe successo, ma pian piano ne esplose il consumo. Per valorizzare il servizio ristorante, inoltre, proposi anche il piatto di mezzanotte: una pastasciutta condita con sughi di mia invenzione. Così come di mia scelta erano le orchestre chiamate a esibirsi all’Arenella. Una sera, mentre ascoltavo un complesso a Trieste, rimasi colpito da un giovane mentre cantava una canzone: lo volli a tutti i costi nel mio locale. Il suo nome era Lorenzo Pilat. A Fiumicello cantò per diversi anni, prima di affiancare Celentano e divenire per tutti Pilade. Nel frattempo il mondo e la società continuavano a evolversi, così anch’io, negli anni ’70, decisi di rivoluzionare il locale.

I Gatti di Vicolo dei Miracoli ospiti all’Arenella. Pagina accanto in apertura, interno del Dancing Arenella negli anni ’70, con addobbi e pareti realizzati dal pittore Ivan Bidoli.

Sopra e sotto, due immagini dell’Arenella con il suo arredamento innovativo

Mimmo e Pippo Santonastaso con il fotografo Enzo Andrian dopo lo spettacolo di Cabaret all’Arenella.

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Sopra, una tipica serata da tutto esaurito all’Arenella negli anni ’70; sotto, la pista da ballo del Dancing Arenella negli anni ’70

Tra i personaggi dello spettacolo passati all’Arenella c’è anche Enrico Beruschi, immortalato qui sotto durante una sua esibizione a Fiumicello.

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Chiusi con la pizza, ormai inflazionata dalle numerose pizzerie sorte sul territorio, e puntai sulla cucina di pesce. Il forno continuai a utilizzarlo per gli arrosti e per cuocere il pane. Comprai anche un pianoforte, che posizionai proprio nel ristorante. Il banco bar venne completamente rinnovato, così come la sala da ballo arredata da box semicircolari imbottiti. Feci costruire un palco girevole per l’orchestra che, nella roteazione, si alternava con un disc jockey. L’area centrale del locale dove in precedenza suonava l’orchestra venne invece adibiti a pista da ballo, attorniata da vetrate che decorai personalmente con uccelli e fiori, mentre sul soffitto feci realizzare dei rosoni illuminati. La mia passione per l’arte, intanto, mi aveva riavvicinato alla pittura. Il locale era aperto dal venerdì alla domenica nei mesi invernali. Nel resto del tempo esponevo le mie opere in mostre in giro per l’Italia e all’estero. A Milano ebbi l’occasione di esporre al “Derby”, famoso locale di cabaret, dove strinsi amicizia con il proprietario. Un legame che mi permise di portare all’Arenella molti personaggi famosi che si esibivano nel suo locale. Così a Fiumicello i venerdì sera videro arrivare artisti quali Silvan, Mike Bongiorno, Mauro Di Francesco, Ezio Greggio, Gerry Calà, Lino Toffolo, Pippo Baudo, I Gatti di Vicolo dei Miracoli, Enrico Beruschi e molti altri. Incuriosita dalla fama crescente dell’Arenella, una troupe cinematografica venne addirittura a girare diverse scene di un film di Fabio Testi. Intanto, la gestione del supermercato di mio fratello risultò sempre meno redditizia: Tonino decise di affittarlo e tornò a lavorare con me. Agli inizi degli anni ’80 decisi di adibire a ristorante anche il primo piano della struttura, caratterizzandolo con vetrate dipinte con lacca per le unghie, sedie in giunco e soffitto a quadroni con la stampa di un mio disegno plastificato. Nel frattempo con mio fratello la situazione andava degenerando. Tonino curava l’aspetto amministrativo e i contatti con i fornitori, ma non condivideva il mio modo di gestire e di arredare il locale. Appariva chiara la sua voglia di gestirlo in proprio. Io ero stanco del clima che si era creato: la pittura mi dava sempre maggiori soddisfazioni, così andai da mia madre manifestando l’intenzione di voler lasciare a Tonino la gestione del locale. Lei si mise a piangere, pregandomi di restare. Nel 1986 presi la decisione definitiva. Facemmo scambio di attività: Tonino mi passò il suo super mercato e io gli cedetti l’Arenella, con immensa gioia di mio fratello. Infatti diede subito il via alla trasformazione in un locale secondo le sue idee e il suo gusto. L’Arenella venne completamente trasformato. In poco tempo fu spogliato di tutto ciò che io avevo creato e inventato: non gli vennero tolti solo gli arredi e i mobili, gli venne tolta l’anima. Diventò un locale completamente diverso, destinato a subire un lento ma inesorabile declino che lo portò alla chiusura. Ivan Bidoli


VIAGGI E METE BAIMAISELF Servizio e immagini di Antonio Sanson

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Navigando per la libertà Stressato dai ritmi serrati della vita, nel 2013 un pizzaiolo di Grado decise di mollare tutto e salpare con la sua barca per una navigazione attorno al mondo. Un viaggio lungo 1.165 giorni. Che l’autore racconta così.

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Nell’estate 2007 rividi a distanza di anni il film Waterworld, con Kevin Kostner. La prima volta non mi aveva entusiasmato; la seconda visione, invece, mi mandò le bollicine al cervello. Potrà sembrare assurdo, ma nacque così la mia passione per la vela. A Grado, dove lavoravo, frequentai un corso per utilizzare il catamarano e, subito dopo, acquistai un Hobbie Cat usato. Giusto il tempo di imparare a usarlo per due mezze stagioni, che una tromba d’aria me lo distrusse. Decisi allora di passare a un piccolo cabinato a deriva mobile, con il quale iniziai a sognare in grande il giro del mondo. Un desiderio che iniziò a prendere forma nell’autunno del 2011, quando ebbi l’onore di salire a bordo dell’imbarcazione del velista Vittorio Malingri per partecipare alla sua traversata dell’Oceano Atlantico: per me fu una scuola impareggiabile. Sarei andato avanti fino alla fine dei giorni, ma il dovere mi richiamò all’ordine e tornai a casa. Tuttavia non ero felice. Sebbene gratificante, il mio lavoro era molto pesante. Mi sentivo stressato, spinto fuori giri dai ritmi della nostra società. Dovevo trovare una via d’uscita per la mia salute. Pensai che il giro del mondo mi avrebbe aiutato: fu un’eccellente medicina.

Nel 2012 acquistai un Moana 33 di nome Baimaiself. Sarebbe stata la barca che mi avrebbe portato in giro per il globo. Ci volle quasi un anno di preparazione, sia per sistemare e adattare l’imbarcazione sia per progettare le rotte. L’8 giugno 2013 partii da Grado. I due mesi che precedettero la partenza e i due mesi successivi all’inizio del viaggio furono uno dei periodi più difficili della mia vita. Lasciare la famiglia, gli amici, il lavoro e tutto il resto per un’avventura di cui non potevo conoscere i risvolti, fu davvero dura. Ma con il passare del tempo, con lo scorrere dei diversi Paesi e delle diverse isole, con la conoscenza dei diversi personaggi che incontrai lungo la mia rotta, il viaggio verso l’ignoto si trasformò in un’avventura straordinaria. Seguendo le stagioni dei venti favorevoli, impiegai un anno e mezzo per raggiungere la Nuova Zelanda: il tempo necessario per purificare la mia mente dal-

In apertura, Oceano e isole: per tre anni il panorama che Antonio Sanson ha visto dalla sua barca. A destra, Sanson (in centro) accolto dalle autorità di Grado al rientro dal giro del mondo. |

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le scorie di questa società. La Nuova Zelanda è anche il Paese dove gran parte dei navigatori trascorre al riparo la stagione degli uragani che si snoda da novembre ad aprile, colpendo in particolare l’area tra il 10° e 30° parallelo sud. Altri navigatori, invece, proseguono la rotta verso l’Oceano Indiano. La mia avventura, invece, una volta salpato da Grado, si sviluppò così…

Dall’alto, momenti di vita a bordo di Baimaiself: il pesce pescato viene preparato per la cena; operazioni di pulizia allo scafo della barca; la strumentazione GPS da tenere costantemente in funzione. Sotto, firma ricordo incisa sul legno: usanza tipica dei navigatori che approdano nelle isole sperdute negli oceani.

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Dopo aver toccato Grecia, Sicilia e Spagna, entro settembre devo tirarmi fuori dal Mediterraneo: in quel periodo, infatti, il meteo cambia drasticamente e navigare può diventare pericoloso. A fine mese solco così le Colonne d’Ercole, commettendo tuttavia uno dei pochi errori per mancanza di esperienza. Mi ritrovo infatti nella corsia delle navi, e anche se il meteo dava 10-15 nodi, per l’effetto Venturi, mi becco oltre 50 nodi in poppa. Si balla di brutto, con onde impetuose. Spesso la barca va in straorza. In questi momenti mi accorgo che non tutte le barche ce la possono fare… Alle Canarie, prima della traversata dell’Atlantico, accolgo a bordo Pasquale. Ha solo un mese di tempo, ma entrambi pensiamo che sia sufficiente. Invece il meteo cambia in continuazione obbligandoci a tornare indietro. Altra lezione imparata: mai avere a bordo una persona che ha un biglietto aereo con scadenza. Errore che non commetterò in futuro. Una volta ripartito, la traversata scorre senza difficoltà. Raggiunta Panama, salgono a bordo dei ragazzi che rimarranno con me anche dieci mesi, fino alla Nuova Zelanda. Ragazzi conosciuti attraverso le bacheche dei bar, dei porti e delle marine. A bordo ci dividiamo le spese in comune, che consistono in cambusa, carburante, permessi ed eventuali marine. La spesa media sostenuta da me lungo gli oltre tre anni intorno al mondo si può quantificare in circa 500 euro mensili, senza rinunciare a nulla. Ovviamente per contenere i costi si cucina a bordo. La barca poi è anche magia, tutto ha un sapore più intenso, tutto è buonissimo. Vivo dei risparmi di molti anni di lavoro. A terra di professione faccio il pizzaiolo stagionale, quando non lavoro viaggio per il mondo. Quello in barca a vela infatti per me è il secondo giro attorno al globo, il primo lo avevo compiuto via terra-aria. Sono un viaggiatore da sempre. Non avendo moglie e figli mi posso muovere molto facilmente, anche se lungo la mia rotta ho incontrato diversi navigatori stranieri con prole al seguito. In Italia questo non è ancora possibile. La prima traversata atlantica è in compagnia di Rudi. Partiti da Capo Verde impieghiamo 19 giorni per percorrere le 2.100 miglia che ci separano dalla Martinica, e poi giù fino alle San Blas, dove nel Mar dei Caraibi prendo la prima e unica burrasca al largo del Venezuela e della Colombia. Un’onda incrociata di diversi metri mi fa scuffiare: albero e tutta la barca finiscono


sott’acqua. Due candelieri piegati e la cappottina strappata sono il prezzo che pago. A marzo 2014 tocca al Canale di Panama, emozione unica. Quindi le Galapagos, non belle come me le aspettavo. E poi 3.100 miglia fino al paradiso terrestre chiamato Polinesia Francese: quattro mesi bellissimi. A fine settembre 2014 giunge il momento di mettersi al riparo dagli uragani e faccio rotta verso il Paese dei Kiwi per far passare la stagione. Anche Baimaiself ha bisogno di essere risistemata, di rifarsi il trucco. Ad aprile 2015 salgono a bordo Nadj e Sabele, rispettivamente 19 e 26 anni, mai saliti su una barca a vela. Con loro trascorrerò il periodo più bello. Tre settimane di allenamento in una baia per trasmettere loro quello di cui ho bisogno. Una volta pronti salpiamo verso le Tonga Vau Vau. Da qui prua sulle Fiji, ma la prima notte dopo la partenza si rompe il timone a vento e nessuno riuscirà poi ad aggiustarlo. Due piloti automatici a braccetto, di quelli più piccoli, percorreranno le rimanenti 25.000 miglia mancanti delle oltre 40.000 percorse. Fortunatamente il pericoloso Stretto di Torres si rivela una passeggiata. Sono entrato nel famigerato Oceano Indiano. Di volta in volta attracchiamo a Timor Leste, Christmas Island, lo splendido atollo di Cocos Keeling. Luoghi meravigliosi a cui fanno da contraltare le 2000 miglia per arrivare a Rodriguez, piene zeppe di plastica. Una tristezza per il cuore. Raggiungo le Mauritius e poi, da Reunion, proseguo in solitaria fino al Sud Africa nel pericolosissimo Mar delle Mascarene. Il mio meteorologo Fabrizio mi invia quotidianamente il bollettino meteo: con le sue indicazioni precise mi controlla come un angelo, dimostrandosi fondamentale per me. In quel tratto di mare, per la prima volta, mi sono sentito un marinaio. Arrivo finalmente in Sud Africa ma manca il vento. Sono così costretto a percorrere il Capo di Buona Speranza a motore… A Città del Capo sale a bordo Andrea che sarà mi mio compagno di viaggio fino ai Caraibi, 6000 miglia di Atlantico da sud a nord. Un tragitto che ci permette di visitare la bella Namibia, la lussureggiante Sant’Elena, Panorama suggestivo a Maupiti, nella Polinesia Francese.

L’arrivo di Baimaiself nel porto di Grado.

Ascension Island, lo splendido e costosissimo arcipelago brasiliano di Fernando de Nhorona. Le ultime 2700 miglia sono le più fastidiose, con onde e venti contrari fino ai Caraibi. Siamo a maggio inoltrato, non si può più fare rotta diretta alle Azzorre: il rischio di ritrovarsi per moltissime miglia senza vento è troppo alto. E allora bolina fino alle Bermuda e poi la prua in direzione est. Nel frattempo salgono a bordo due olandesi e il loro cagnolino. Dei tre, il cane si rivelerà il più pulito. Raggiungiamo le Azzorre, splendide e lussureggianti. Poi altre 800 miglia fino a Gibilterra, con l’esperienza dell’uomo a mare. Rientro nel Mediterraneo, rientro nella centrifuga europea con tutto il suo casino. Il 18 agosto attracco a Grado dopo 3 anni, due mesi e quindici giorni da uomo libero sugli oceani. Decido di mettere nero su bianco la mia esperienza in un libro. E mentre scrivo Baimaiself (edito da Il Frangente, ndr) le bollicine ricominciano ad arrivare al cervello. Presto sarà ora di ripartire… Antonio Sanson Antonio Sanson (nella foto a Capo di Buona Speranza, meta raggiunta il 18 gennaio 2016), classe 1966, è originario di una povera famiglia di pescatori della Laguna di Grado. «Dopo pochi giorni dalla nascita – racconta – i miei genitori mi portarono con la “batela” nel piccolo isolotto di famiglia, e durante il tragitto, mio padre colse con la mano un po’ di acqua della laguna e, ancor prima del prete, mi battezzò. Così avvenne il mio primo contatto con il mare».

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TEMPO E CAMBIAMENTO

Quel che resta del giorno

Rubrica di Manuel Millo

S O C I A L E

La nostra vita sembra sempre più una maratona. Che, a differenza di quella fisica, nella sua percezione sensoriale sta diventando senza fine.

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Forse un giorno sarà capitato anche a voi di essere quasi per caso immersi nella lettura di un libro, o in buona compagnia, e accorgervi che il tempo è passato in fretta più di quanto pensavate. È successo così anche a me quando, quasi per caso, dalla mia biblioteca ho stretto tra le mani un piccolo libro di racconti Zen, nel quale un capitolo inizia con la frase “Trovare il Buon Tempo”. “Non è necessario – dice il terzo Maestro Zen Sosan – pensare al passato o al futuro. Pensate semplicemente a quell’istante di mezzo che è il qui e ora”. Dopo aver letto tale affermazione, la prima cosa che ho desiderato (e in qualche modo fatto) è stato cominciare a fare proprio tutto il contrario di quello che il testo suggeriva: mi sono gettato a capofitto nei ricordi passati e negli amici che hanno condiviso quel tempo e, dall’altra parte, ho eseguito dei voli pindarici alla ricerca del futuro perduto. Che confusione. Poi alla radio passa una canzone che in qualche modo ha segnato la storia della musica italiana, nella sua leggera semplicità di affermare un tempo che, sep|

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pur relativo, cambia ogni cosa: Il ragazzo della via Gluck. La ricordate? Inizia proprio dicendo: “Questa è la storia di uno di noi, anche lui nato per caso in via Gluk, in una casa fuori città, gente tranquilla che lavorava…” E poi: “Là dove c’era l’erba ora c’è una città, ma quella casa in mezzo al verde ormai dove sarà… Passano gli anni ma otto son lunghi e quel ragazzo ne ha fatta di strada”. Ecco questa poderosa introduzione letteraria e canora per parlare di una storia, la storia di uno di noi, nato nella ruota casuale della vita, che vede trascorrere il tempo e cambiare le cose. La domanda di oggi è: cosa vorremmo cambiare e cosa vorremmo che non cambiasse? E se è cambiata, cos’è successo dentro e fuori di noi? La canzone a un certo punto dice: “ma un giorno disse vado in città…” Questa frase presenta una verità attuativa e vitale molto incisiva. Nella nostra vita seguono dei momenti in cui arriva un “ma”, un tempo di svolta, di scelta che prevede un movimento, un andare verso qualche cosa che sentiamo ma che ancora non vediamo. Questo sentimento inte-


riore, questo sentire che c’è un resto del giorno, ci fa comprendere che una parte di quel tempo in qualche modo si è spesa: ciò che conta è poter prendere consapevolezza che in ogni relazione stretta nel corso del nostro tempo, in quel qui e ora che mentre leggiamo e scriviamo sta passando, possiamo cogliere la delicatezza di un bene a cui tutto potrebbe concorrere in base alla scelta su cui noi puntiamo di percorrere la nostra vita. È noto ormai che il nostro quotidiano sta passando davvero in grande fretta. Sembra quasi una corsa contro un tempo che sfugge sempre più rapidamente al nostro controllo, a volte anche in modo schizofrenico. Diciamo che non abbiamo tempo e ci inventiamo innumerevoli scuse per ottimizzare la gestione delle nostre ore circadiane e poi, come se nulla fosse, passiamo altrettanti e più innumerevoli movimenti di lancetta cronologica a spostarci da un social all’altro. E in tutto questo compiamo degli atti che privano la nostra creaturalità di quel tempo di maturazione, efficace più che efficiente, per essere pienamente noi. E l’azione potrebbe essere anche la più semplice (nella volente o apparente casualità, anche la nascita in “via Gluk”, che a quel punto deriverebbe non da una nostra azione ma dall’azione o scelta di chi ci ha preceduto); il punto è il modo in cui compiamo, scegliamo, agiamo o reagiamo nella sfera di un singolo atto o di uno ripetuto. Portiamo un esempio che in linea generale ci attraversa; semplice, leggero, cogente: i nostri pasti. Come si è trasformato il modo non solo di preparare, ma di gustare il cibo a tavola? È una delle azioni che più corrisponde alla socialità e alla ritualità dell’essere umano rispetto a tutti gli esseri terrestri. Il principio corrispondente al fondo è lo stare insieme, che include anche dedicare attenzione e cura non solo ai cibi preparati ma anche a chi li prepara. Abbiamo in qualche modo delegato e relativizzato certi momenti della vita in funzione di una maratona che, a differenza di quella fisica, nella sua percezione sensoriale sta diventando senza fine. Eppure in qualche misura percepiamo quel che resta del giorno, e a vol-

te sentiamo che non sia poi così infinitamente illimitato. Non c’è un contratto, non c’è una garanzia di soddisfatti o rimborsati; dunque potrebbe essere determinate evocare alla nostra mente la funzione primaria della nostra dedizione. In questo disorientamento che sta colpendo il mondo giovanile ma anche quello adulto, cerchiamo di riprendere e catturare l’attenzione alla realtà attuale che pare assuefatta da un moderno tecnologico che cerca di scansare la routine settimanale con una visione ideologica di un “noi” illusoriamente senza spazio né kronos (tempo) – aggiungerei nemmeno kairos, inteso come tempo qualitativo. Ora non vogliamo denigrare il progresso. La considerazione attuale è che pur portando con sé innumerevoli vantaggi, stiamo in qualche misura aggrovigliando il nostro essere in una spirale divisoriamente fugace ed errabonda che, salvo catastrofi naturali e climatiche, pur avanzando si perde in una nuvola di indeterminata incertezza. Continuando la nostra riflessione potremmo trovare ancora mezzi comunicativi che, pur velocizzando la comunicazione o il confort, non hanno semplificato molto la nostra esistenza. La comunicazione infatti è diventata istantanea rispetto alle lettere che un tempo si spedivano, ma mentre si gustava l’attesa della risposta come un piacere stesso, oggi gestiamo il disagio del non poter essere veloci nei modi di richiesta che arrivano da ogni dove (mail, sms, social…). Ci siamo chiesti semplicemente che se “quel che resta del giorno” è quello di adesso meno il prima di quando abbiamo cominciato a leggere, la differenza di qualche semplice riga potrà aggiungere al dopo qualche attimo di presente che è “già ma non ancora”? Filosoficamente provocatorio ma dovutamente essenziale, fiducioso che la risposta sia già in voi.

Manuel Millo

Membro Onorario AGCI Ass Gen Cooperative Italiane


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PERSONAGGI

SERGIO CECHET Intervista di Livio Nonis

La vita oltre il buio Un’esplosione gli portò via gli occhi e una mano. Ma non i sogni. E da allora, trascinato da un’incessante determinazione, ha scoperto una nuova esistenza. Dai record sportivi alla passione per la pittura, una storia da condividere affinché possa essere di esempio per altre persone con handicap: «Con coraggio e caparbietà si possono raggiungere tutti gli obiettivi».

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Nel 1982 lo scoppio di una bomba durante un normale controllo di routine nella sua attività militare, lo ha reso cieco e privo della mano sinistra. Superato lo shock, dopo aver pensato anche al suicidio, Sergio Cechet, Capitano in ruolo d’Onore dell’Aeronautica, ha trovato la sua ragione di vita nello sport e nella divulgazione delle tematiche sui portatori di handicap. Per ritrovare la libertà fisica, Cechet ha scelto acqua e cielo. Dapprima ha stabilito il record mondiale di immersione con bombole, categoria disabili (grazie all’aiuto di Jacques Mayol), e ora sta cercando, primo in Europa, di ottenere un brevetto di volo da non vedente. Una grande lezione di vita, per disabili e normodotati. Sergio, infatti, si è rimboccato le maniche, non si è pianto addosso, ha saputo reagire, ha seguito un corso per centralinista e un corso braille all’Istituto “Rittmeyer” di Trieste, riuscendo a entrare con le mansioni di centralinista nell’azienda sanitaria goriziana, presso l’Ospedale di Monfalcone. Nel frattempo si è iscritto a un corso “Open Water” (1° livello) H.S.A. (Handicap Scuba Association). Con un’escalation di livelli e successi nella disciplina subacquea è diventato istruttore 3 stelle CMAS, “director trainer specialist”, insegnante degli istruttori della comunicazione sott’acqua rivolta ai disabili. Nel 2006 è stato tedoforo a Udine quando, in occasione delle Olimpiadi invernali di Torino, ricevette la fiaccola dallo scrittore e scultore Mauro Corona e, dopo un breve percorso, la consegnò all’allora allenatore dell’Udinese Serse Cosmi. È stato anche Nazionale di sci per disabili con il conseguimento di svariati premi, fra i quali la medaglia d’oro nello slalom gigante ai Campionati Italiani 1994. 70

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Sergio, dopo lo scoppio della bomba e le sue ripercussioni, quale fu la tua reazione a caldo? «È stato un momento molto difficile, avevo due scelte da fare: vivere o morire. La ragione mi ha fatto pensare che avevo ancora tante cose da fare e che non potevo rimanere a casa a piangermi addosso. Mi sono imposto di uscire e di vivere il mondo; da subito mi sono riproposto di imparare cose che mi sarebbero servite per il futuro». Ami il mare e gli sport a esso correlati, nei quali peraltro hai ottenuto grandi soddisfazioni. Come mai questa scelta così... bagnata? «La passione per il mare nasce dalla mia infanzia. Ero appassionato dei documentari naturalistici di Folco Quilici, delle imprese di Jacques Mayol ed Enzo Maiorca: la televisione era il solo mezzo che potevo utilizzare per vedere le bellezze della natura. Poi a Cuba ho avuto la possibilità di toccare con mano il corallo Cervello, enormi spugne, le gorgonie e tante altre cose. Successivamente, all’isola d’Elba, accompagnato da Jacques Mayol e dal Jurassic Diver Raimondo Bucker, ho stabilito il record mondiale di immersione alla profondità di 47,80 metri; record che successivamente ho migliorato raggiungendo i 55 metri. Alla scomparsa del grande Jacques Mayol ho progettato, fatto costruire e inabissare una statua commemorativa». Oltre alla subacquea hai praticato altri sport, peraltro impegnativi. Non stai mai fermo... «Voglio vivere la vita al massimo. Non lascio nulla di intentato, mi sono gettato con una guida con il paracadute da 4000 metri: adrenalina pura. Il primo minuto è stato incredibile, sentivo il vento, l’aria che mi segnava il viso, fino alla lenta apertura del paracadute e poi dopo tre miIn apertura, Sergio Cechet in discesa accompagnata con il paracadute.


Partendo da sinistra: Sergio Cechet in divisa davanti al Sacrario di Redipuglia; impegnato in una gara di sci; mentre realizza una sua opera pittorica

nuti ho toccato terra. Molto bello e rilassante è stato anche il volo con il parapendio, una mezzoretta tra le colline della Slovenia. Ora spero di frequentare un corso nel poligono di tiro, vorrei prendere anche il brevetto di tiratore. Ogni prima domenica di dicembre, dal lontano 1986 - e altre rare date - partecipo al raduno “Off-road” di Gradisca d’Isonzo con la mia macchina, conducendo personalmente l’auto alla partenza. Attualmente sto prendendo il brevetto di pilota di ultraleggero». Un’altra tua passione è la pittura. Come ci riesci da non vedente? «Nelle mie opere riesco a inventarmi sempre qualcosa, le ho divise in tre fasce: “l’esplosione, il mare e pittura in generale della mia fantasia”. Ripercorrono un po’ le fasi della mia vita. Di solito i quadri li realizzo io, per alcuni mi faccio guidare. Ma li dipingo come li vedo io, con la mia mente e con i miei ricordi. Ho già esposto in alcune occasioni, come alle Antiche Mura di Monfalcone, all’Agosto Ronchese di Ronchi dei Legionari, all’Isola d’Elba, e anche in Francia, ad Antibe vicino a Nizza, e in altri posti ancora». Hai portato la tua storia anche al grande pubblico partecipando alla trasmissione televisiva Il bivio, con Enrico Ruggeri. Che esperienza è stata? «Un’esperienza bellissima. Dapprima i responsabili della trasmissione hanno voluto vedere le mie condizioni fisiche, visti i tempi temevano barassi… Abbiamo “girato” in regione, anche a Rivolto nella sede delle Frecce Tricolori, poi in studio con il grande Enrico: una trasmissione di 20 minuti che ha ripercorso gli eventi traumatici della mia vita. Lo scorso settembre, in occasione del suo concerto alla Sagra de le Raze di Staranzano, ho potuto riabbracciare Ruggeri: ci siamo stretti forte». Cosa vorresti dire alle persone che, come te, sono costrette a convivere con un handicap? «Voglio dire di vivere bene, di fregarsene degli altri, di fare qualsiasi cosa piaccia: la vita è bella e dobbiamo godercela, con coraggio e caparbietà si possono raggiungere tutti gli obiettivi. Si può giungere dove si vuol arrivare». Livio Nonis

Sopra Sergio Cechet in immersione. Sotto mentre omaggia la statua dedicata a Jacques Mayol sul fondo del mare

Sergio Cechet su un ultraleggero

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SPORT

BOCCIOFILA CERVIGNANESE Servizio e immagini di Astrid Iustulin

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Aggregatore sociale Affrancato dallo stereotipo di “sport per vecchi”, il gioco delle bocce è invece una disciplina in grado di unire persone di tutte le età. E, come avviene a Cervignano del Friuli, anche le persone con disabilità.

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Quando si sente parlare per la prima volta del gioco delle bocce, di solito la reazione è sempre la stessa. «Uno sport per vecchi» è la defi nizione con cui più comunemente viene etichettato da parte di coloro che lo conoscono solo superficialmente, ma è anche lo stereotipo che più di tutti suscita l’esasperazione degli addetti ai lavori. Questa è, infatti, una descrizione riduttiva e alquanto impertinente: basterebbe guardare le cose appena un po’ più da vicino per accorgersi che questo sport è, più di altre discipline con maggior forza attrattiva verso i cosiddetti “giovani”, un fortissimo aggregatore sociale. Le bocce off rono infatti la sorpresa di unire persone di

tutte le età e con diverse abilità, cosa rara e molto più complicata in altre discipline. A questo proposito, l’ASD Bocciofi la Cervignanese si presenta come un modello virtuoso grazie al suo impegno volto alla diffusione generalizzata della conoscenza del gioco delle bocce. Tutte le fasce d’età, senza distinzioni, sono ugualmente ricercate e coinvolte. Sono ormai molti anni che l’associazione si distingue per il suo impegno sportivo e sociale allo stesso tempo, e le sue iniziative hanno un buon impatto sul territorio. Il contributo della Bocciofi la si articola su vari livelli. Anzitutto, da alcuni anni il bocciodromo di Cervignano non è a disposizione soltanto dei soci di più o meno recente acquisizione, ma anche dei ragazzi diversamente abili di Cervignano, Sottoselva e Corniolo. È abitudine ormai consolidata che, nei mesi invernali, questi intraprendenti allievi si ritrovino con gli istruttori della Bocciofi la Cervignanese una mattina alla settimana per imparare i rudimenti delIn apertura, foto di gruppo dei volontari della Bocciofila Cervignanese assieme ai ragazzi diversamente abili e, foto a fianco, durante una lezione. Pagina seguente, i volontari della Bocciofila Cervignanese impegati nelle attività didattiche all’interno delle scuole.

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lo sport, che li aiuta a migliorare la coordinazione e i movimenti attraverso una serie di giochi studiati appositamente per loro. La passione e soprattutto la grande forza di volontà di questi ragazzi sono encomiabili. Durante l’ultima lezione, per verificare i miglioramenti ma soprattutto per continuare a divertirsi, gli atleti disputano un torneo alla fi ne del quale i migliori vengono premiati. Questo progetto è reso possibile grazie all’impegno dei volontari Luigino Toffolo e Pietro Vignola, che da tempo si impegnano con costanza e dedizione. Oltre all’attività con i ragazzi diversamente abili, alcuni volontari della Bocciofi la Cervignanese si impegnano da vari anni per diffondere la conoscenza dello sport delle bocce nelle scuole primarie del circondario. Gli istruttori, che hanno seguito appositi corsi di specializzazione, si sono distinti nella partecipazione alle mattinate sportive organizzate dal CONI volte a pubblicizzare gli sport cosiddetti minori. Il fi ne di queste iniziative è dimostrare ai ragazzi che esistono sport diversi dai ben più comuni calcio e pallavolo, e soprattutto per far provare loro in prima persona queste “insolite” discipline. Oltre a questo genere di manifestazioni, nei mesi invernali gli stessi volenterosi istruttori della Bocciofi la si attivano per tenere un ciclo di lezioni direttamente nelle scuole. Queste lezioni sono volte all’insegnamento di alcuni giochi fisico-educativi correlati al gioco delle bocce. Per ora, la Bocciofi la Cervignanese è stata attiva nel Cervignanese nelle località di Terzo d’Aquileia, Aquileia e Villa Vicentina, ma talora è stata chiamata anche in paesi più lontani da altre associazioni che desideravano comprendere come impostare l’approccio con gli istituti scolastici. Gli istruttori tengono le lezioni in orario curricolare, nelle palestre o, in caso di bel tempo, nei giardini delle scuole. I giochi proposti fanno semplicemente riferimento alle tante discipline in cui è diviso il gioco delle bocce piuttosto che rispecchiarle fedelmente, perché si tratta di eser-

cizi propedeutici volti a interessare e ad appassionare i più giovani a uno sport che, il più delle volte, considerano inadatto o distante da loro. Le fi nalità di queste lezioni sono principalmente quelle di insegnare ai ragazzi il coordinamento motorio e il gioco di squadra nell’ambito di uno sport che richiede una costante attenzione al dosaggio della forza e allo sviluppo dell’agilità. Responsabili di questa attività sono Mario Iustulin (presidente della Bocciofi la stessa), Luciano Cao, Arveno Contin e Astrid Iustulin. L’attività della Bocciofila Cervignanese dimostra che lo sport delle bocce ha una versatilità che, a tutta prima, non sembra possedere: non solo può essere insegnato e giocato da ragazzi di tutte le età e con diversissime abilità, ma può diventare anche lo strumento adatto a creare inaspettati sodalizi e a migliorare le proprie capacità. Anche se talora sono state riscontrate iniziali diffidenze verso quello che è “uno sport per vecchi”, dopo alcune lezioni l’entusiasmo degli allievi è stato generale e sincero e la voglia di partecipare è stata contagiosa. Fra i molti modi che, indubbiamente, esistono per unire un gruppo divertendosi, questo è certamente un metodo collaudato e che funziona, indipendentemente dal pregresso dei nuovi giocatori. Provare a giocare a bocce, pertanto, è un invito che va rivolto a tutti. Astrid Iustulin |

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F I G L I D I U N O S P O R T M I N O R E o v v e r o , s a r a n n o ( s t a t i ) q u a s i f a m o s i !

Fortebraccio da Manzano Sembra il nome di un cavaliere medioevale, un nome foriero di chissà quali storie riguardanti battaglie, sfide, duelli e, magari, tenere fanciulle da salvare. Invece è solo il nomignolo che mi ha ispirato Ivan Vernieri, giovane atleta manzanese, fresco vicecampione italiano di braccio di ferro, una disciplina che tutti abbiamo provato almeno una volta per gioco, ma che pochi hanno avuto il coraggio di praticare agonisticamente. Ivan, parliamo prima del braccio di ferro e poi di lei; essere lì senza la possibilità di allontanarsi, di spostarsi, e usare ogni goccia di energia in quello sforzo immane, ovvero andare ‘Over the Top’, oltre il massimo, come recitava il titolo del famoso film di Silvester Stallone, lo definirebbe una sfida o un incontro? Ivan Vernieri durante le fasi di accreditamento di una gara di braccio di ferro

«Una gara di braccio di ferro, prima che contro i propri avversari, è una sfida contro se stessi. In quei momenti la tensione è altissima ed è molto facile lasciarsi andare allo sconforto; e poi, essere su un palco, davanti a decine di persone, basta già di per sé a metterti a disagio. Io, fortunatamente, riesco a isolarmi da tutto ciò che mi circonda e mi immergo completamente nell’incon74

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tro, ma sicuramente su questo ho ancora molto da lavorare». Come si svolge una gara? «Una gara di braccio di ferro è strutturata secondo categorie di peso e anzianità, a cui possono partecipare sia uomini che donne. Le categorie di peso vanno dalla ‘Meno 50kg’ alla ‘Più 110kg’, e all’interno delle stesse troviamo ulteriori suddivisioni in base alle età e alle esperienze dell’atleta. Le speranze dai 14 ai 16 anni, gli juniores dai 17 ai 19 anni, gli esordienti e i senior dai 20 ai 40 anni, i master A dai 40 ai 50 anni e infine i master B dai 50 anni in poi. Le gare si svolgono secondo il principio della doppia eliminazione, ovvero un atleta deve perdere due incontri prima di uscire dalla competizione». Come si arriva al Campionato Italiano? «Esiste un calendario delle gare annuali, messo a disposizione dalla Federazione Italiana di Braccio di Ferro. Le gare sono aperte a tutti, senza distinzione di sesso o di età». Se qualcuno volesse assistere a delle gare o avere maggiori informazioni? «È sufficiente rivolgersi alla federazione ufficiale e alla S.B.F.I. (Sezione Braccio di Ferro Italia). La potete trovare sia su internet sul sito www. bracciodiferroitalia.it, che sui social (Facebook e Instagram). Lì troverete tutte le informazioni del caso, tra cui il calendario delle competizioni future». Lei ha esordito agonisticamente nel powerlifting; come si è avvicinato al braccio di ferro? «Mi sono sempre piaciuti tutti gli sport di forza. Seguivo il braccio di ferro già da tempo, guardando soprattutto video su internet. Lo ritenevo (e lo ritengo tutt’oggi) uno sport molto affascinante e complesso. Ho iniziato dalla palestra classica e poi mi sono avvicinato agli allenamenti al ‘tavolino’, il nostro campo di gara. Mi trovo spesso con altri atleti per allenarci assieme. All’inizio, non disponendo di un tavolino regolamentare, ci allenavamo su delle artigianali imitazioni, ma recentemente ne abbiamo acquistato uno professionale, ed è tutta un’altra storia». Ritiene la sua disciplina più vicina alla pesistica o alla lotta? «Diciamo che la preparazione per il braccio di ferro è simile alla pesistica, perché i muscoli vengono allenati con il principio del sovraccarico, ma durante una gara è una vera e propria lotta…»


Vernieri sul secondo gradino del podio al campionato nazionale

Farà ancora gare di powerlifting? «Credo proprio di sì. Tutt’ora mi sto allenando come un powerlifter. Ritengo che gli allenamenti di powerlifting siano i migliori per aumentare la forza in tutto il corpo, soprattutto per un atleta natural. Sono un appassionato di sollevamenti di panca piana e credo che continuerò a gareggiare in questa alzata». Per avere tutta quella forza, come si allena? «Mi alleno dalle quattro alle cinque volte a settimana, concentrandomi su esercizi base, come ad esempio la panca piana e lo stacco da terra. I miei allenamenti hanno volumi e tonnellaggi molto elevati (sposto tanto peso per molto tempo), e in ogni seduta alleno tutto il corpo. Alla fine inseriVernieri durante un incotro di braccio di ferro

sco qualche esercizio complementare per le braccia, cercando di simulare i movimenti delle varie tecniche eseguite durante un incontro. Una volta a settimana, poi, mi ritrovo con i miei compagni di allenamento e facciamo esercizi specifici al tavolino. È chiaro che ho anche una adeguata alimentazione: non mangio solo gli spinaci, come ‘Braccio di Ferro’, il personaggio dei fumetti». Fino a quando non diventerà un campione ricco e famoso, cosa fa nella vita? «Al momento non ho una occupazione stabile. Mi piacerebbe molto, in un prossimo futuro, dedicarmi completamente al mio sport. Per ora però testa bassa e tanta costanza: il tempo darà i suoi frutti». Usciamo dallo sport. Sul suo profilo social lei posta spesso foto del Cilento… Come mai? «Sono nato in provincia di Salerno e ogni anno vado a visitare quei posti sia per salutare i parenti sia per rivivere emozioni che sprigionano in me un’energia primordiale che mi dà la carica per affrontare il futuro. Energia che poi metto a frutto in Friuli…» E così è nata la leggenda di Fortebraccio da Manzano, per il momento ‘solo’ vicecampione italiano di braccio di ferro, ma posso garantirvi che il ragazzo ci darà ancora tante soddisfazioni… Stay tuned!

Michele D’Urso Chiunque voglia segnalare “un mito della porta accanto”, può scrivere alla redazione di iMagazine:  redazione@imagazine.it


TURIPESCA Rubrica di Livio Nonis Supporto tecnico di Dario Vetta

Torrente Versa Dopo aver preso in considerazione il torrente di montagna, su questo numero affronteremo quello di pianura. E il Torrente Versa, che nasce dal monte Quarin e si getta nello Iudrio subito prima dell’abitato di Versa, è un ottimo esempio.

Torrente di pianura

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Il torrente di pianura, contrariamente a quello di montagna, non ha pozze, cascate o laghetti dove la fauna ittica può continuare a vivere nei momenti di magra prolungata. Esso ha rare fosse dal fondo coperto di limo e un letto di ghiaia che, passate le violente “piene” dei periodi di pioggia intensa, permette, a quella poca acqua che eventualmente dovesse continuare a scorrere, di farlo in maniera ipogea, senza apparire in superficie. Detto ciò sembra facile dedurre che lo stesso non sia il posto più favorevole per esercitare la pesca sportiva ma, qualora si conoscesse la collocazione di una di quelle rare pozze, diventa possibile testare la propria abilità.

Pesca

Non è raro trovare in quelle fosse grossi cavedani, furbi e sospettosi. La loro cattura (con relativo rilascio) può dare grosse soddisfazioni. Ecco l’attrezzatura consigliata: una bolognese sui sette metri per pescare senza farsi vedere; un mulinello leggero con in bobina filo abbastanza fino da dare possibilità al pesce di non farsi catturare; un galleggiante molto sensibile a goccia affusolata da 1/1,5 grammi; pallini spaccati dal peso giusto per bilanciarlo; una piccola girella; un terminale dal diametro di 0,10 e lungo 60/80 cm (dipende dal fondo); un amo da 8/12 a seconda del tipo di esca. Posizionare i pallini a scalare in modo da favorire un lento e naturale affondare dell’esca che a questo punto dovremmo procurarci. A tal proposito è consigliabile cercare nella prossimità della pozza prescelta un cespuglio con bacche mature, more di gelso, di rovo, rosa canina, marasche selvatiche o altro, farne scorta e preparare la canna. Avvicinarsi all’acqua restando bassi, silenziosi e in manieIn questa pagina, due immagini che mostrano come l’acqua possa scorrere in maniera ipogea; dal confronto delle due foto si comprende l’essenza del torrente: in quella in basso, a letto asciutto, si riesce a intravvedere all’orizzonte una piccola pozza alimentata da un flusso ipogeo; nella foto in alto, scattata dopo una leggera pioggia nella pedemontana, si nota una discreta corrente d’acqua, destinata a scomparire in breve dopo la fine della pioggia.

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Canna “Bolognese” da 7 metri, montatura con amo del 10, galleggianti fusiformi di grammature varie, filo di 0,12 mm, torpille grammatura varia. In questo caso si sarebbe potuto utilizzare anche una canna “Fissa”, ma l’uso del mulinello facilita la cattura.

ra defilata, prediligendo sempre la parte soleggiata del torrente: quindi lanciare nella parte in ombra, meglio se sotto qualche cespuglio. Probabilmente, dopo un po’, il pesce inizierà ad “assaggiare” l’esca, avremo il riscontro sul galleggiante ma non bisognerà ferrare: l’esca sarà tra le labbra ma non ancora inghiottita. Dopo un paio di spostamenti il galleggiante affonderà lentamente anche per più di un metro e questo sarà il momento giusto per ferrare con colpo secco ma senza metterci troppa forza, il terminale dello 0,10 non ci mette tanto a spezzarsi. Ora starà alla vostra abilità “lavorare” il pesce senza rompere la lenza e portarlo a tiro del retino. Una volta catturato bagnatevi le mani per raffreddarle, afferratelo e tagliate il terminale più vicino possibile all’amo. In breve il pesce se ne libererà. Se sarete riusciti a fare questo giochino con un cavedano di oltre un paio di chili, potrete tranquillamente assegnarvi una medaglia!

Turismo

Una volta in zona vale davvero la pena una visita all’Ara Pacis di Medea, monumento dedicato ai caduti di tutte le guerre. All’interno vi è l’Ara che contiene le terre provenienti da 800 cimiteri di guerra e le ampolle contenenti l’acqua dove affondarono le navi durante il conflitto. Da questa opera architettonica molto particolare avrete anche una bella visuale su tutta la pianura. Facile da raggiungere, appena giunti a Medea seguite le indicazioni Ara Pacis. Sempre in zona è consigliata una tappa al Castello del Monte Quarin, raggiungibile dopo una ripida salita che conduce alla Chiesa della Beata Vergine del Soccorso. Anche da qui la vista paEsemplare di cavedano.

noramica sulla sottostante Cormòns è molto suggestiva. Giunti poi alla sommità del monte, si incontreranno i resti dell’Osservatorio del Re. Arrivati quindi nel prato antistante i resti del castello (solo mura), troverete a disposizione dei cannocchiali panoramici che consentiranno al vostro sguardo di spaziare dalla Slovenia alla laguna. Possibile anche una visita a Gradisca d’Isonzo con il suo Castello (datato 1480) circondato da un fossato e da mura lunghe circa duemila metri. Sono tuttora visibili la Torre del Portello, la Torre della Calcina, la Torre della Spiritata, la Torre della Marcella, il Torrione Grande e la Torre di San Giorgio: proprio da quest’ultima, un tempo, si apriva la Porta Vecchia, oggi sostituita dalla Porta Nuova, la cui cancellata si chiudeva in caso di pericolo. Livio Nonis

Gastronomia

Per rifocillarsi dopo l’attività di pesca, a due passi dal ponte sul torrente, vicino a Mariano del Friuli, l’“Hostaria Cantiniere” offre piatti tipici, stuzzichini e splendidi vini di produzione propria. Le loro specialità sono i formaggi e gli affettati.

Hostaria Cantiniere: via Bellini,61 (S.S. Udine Trieste) Tel. 39 048167461 cantiniere@cormons.com Come arrivare Cormòns, Gradisca d’Isonzo e Mariano del Friuli sono raggiungibili dall’autostrada A4 Venezia Trieste, uscendo al casello di Villesse. Proseguire verso Gorizia e uscire a Gradisca d’Isonzo: le tre località sono limitrofe e si potranno seguire le indicazioni (serviranno 5 o 7 chilometri per raggiungere le mete). Solo Cormòns è raggiungibile in ferrovia sulla tratta Udine–Trieste. Per Gradisca e Mariano si può scendere a Sagrado. Le tre cittadine sono collegate a Gorizia, Monfalcone, Udine, Grado, Trieste per mezzo di pullman di linea. |

novembre-dicembre | gennaio-febbraio 2019 2018 | 77


F Viale Borgo Palazzo, 137 BERGAMO Tel 035 3230911 www.promoberg.it

13-15 GENNAIO

▶BAF

Arte moderna e contemporanea 13-21 GENNAIO

▶IFA

Italian Fine Art

Firenze Fiera s.p.a. Piazza Adua, 1 FIRENZE Tel 055 49721 www.firenzefiera.it

8-11 GENNAIO

▶PITTI IMMAGINE UOMO

Moda maschile

17-19 GENNAIO

▶PITTI IMMAGINE BIMBO

2-4 FEBBRAIO

Moda bambini

Salone del matrimonio

23-25 GENNAIO

▶BERGAMO SPOSI

15-17 FEBBRAIO

▶AGRI&SLOW TRAVEL EXPO

Fiera del turismo agri e slow

Viale della Fiera, 20 BOLOGNA Tel 051 282111 www.bolognafiere.it

16-17 GENNAIO

▶MARCA

Alimentari, prodotti per casa e persona 1-4 FEBBRAIO

▶ARTE FIERA

Fiera internazionale d’arte contemporanea 9-10 FEBBRAIO

▶ NERD SHOW

Fumetti, videogiochi, cosplay 15-17/22-24 FEBBRAIO

▶FESTIVAL DELL’ORIENTE

Arti marziali, yoga, discipline bionaturali

▶PITTI IMMAGINE FILATI

Tessuti, filatura, maglieria 2-4 FEBBRAIO

▶FIRENZE HOME TEXSTYLE

Biancheria per la casa, tessile per arredamento e nautica 2-4 FEBBRAIO

▶IMMAGINE ITALIA & CO.

Anteprima collezioni intimo e lingerie

21-24 FEBBRAIO

▶DANZAINFIERA

Tutto per il ballo e la danza 22-24 FEBBRAIO

▶TOURISMA

Salone internazionale dell’archeologia e del turismo culturale 28 FEBBRAIO – 3 MARZO

▶CONOSCERE E CURARE IL CUORE

Convegno medico nazionale

17-19 APRILE

26-27 FEBBRAIO

▶ALMA ORIENTA

Giornate dell’orientamento

Piazzale J. F. Kennedy, 1

GENOVA Tel 010 53911 www.fiera.ge.it

26 GENNAIO – 3 FEBBRAIO

▶ANTIQUA via della Fiera, 11 FERRARA Tel 0532 900713 www.ferrarafiere.it

12-13/19-20 GENNAIO

▶WINTER WONDERLAND

Parco di divertimenti indoor

E

R

E

Fieramilanocity Piazzale Carlo Magno 1 MILANO Fieramilano Strada statale del Sempione 28 RHO Tel 02 49971 www.fieramilano.it

Salone dell’alto antiquariato 9-10 FEBBRAIO

▶WORLDCATS

Mostra felina

15-18 FEBBRAIO

▶ARTE GENOVA

Mostra mercato d’arte moderna e contemporanea

Via Rizzi, 67/a PARMA Tel 0521/9961 www.fiereparma.it

15-17 FEBBRAIO

▶TRAVEL OUTDOOR FEST

▶PTE

Oggetto pubblicitario, tessile promozionale, personalizzazione Fieramilanocity

25-28 GENNAIO

▶HOMI

Salone degli stili di vita Fieramilano

5-7 FEBBRAIO

▶MILANO UNICA

Salone italiano del tessile Fieramilano

10-12 FEBBRAIO

▶BIT

Borsa internazionale del turismo Fieramilanocity

10-13 FEBBRAIO

▶MICAM

Esposizione internazionale della calzatura Fieramilano

10-13 FEBBRAIO

▶MIPEL

Pelletteria e accessori moda Fieramilano

20-22 FEBBRAIO

▶MYPLANT & GARDEN

Manifestazione internazionale di florovivaismo Fieramilano

20-22 FEBBRAIO

▶LINEAPELLE

Calzatura, pelletteria, abbigliamento, arredamento 20-22 FEBBRAIO

▶SIMAC

Tecnologia per calzatura e pelletteria Fieramilano

22-24 FEBBRAIO

▶ Hobby Show

Salone della creatività Fieramilanocity

22-25 FEBBRAIO

▶THE ONE MILANO

Moda prêt à porter

Fieramilano

Salone del matrimonio Udine

24-27 GENNAIO

▶AGRIEST

▶EXPOMEGO

Fiera campionaria Gorizia

12-20 GENNAIO

▶PORDENONE ANTIQUA Viale del Lavoro, 8 Salone dell’antiquariato VERONA Tel 045 8298111 12-20 GENNAIO www.veronafiere.it ▶PORDENONE ARTE

Arte moderna e contemporanea

26-27 GENNAIO

▶MOSTRA DEL DISCO

Vinile, Cd da collezione, memorabilia 9-11 FEBBRAIO

▶CUCINARE

Salone dei “foodies” e dei professionisti dell’ospitalità 13-14 FEBBRAIO

▶AQUA FARM

Acquacoltura sostenibile euro-mediterranea 15-17 FEBBRAIO

▶HOBBY SHOW

Creatività manuale femminile

Via Emilia, 155 RIMINI Tel 0541 744111 www.riminifiera.it

19-23 GENNAIO

▶SIGEP

Gelateria, Pasticceria, Panificazione Artigianali e Caffè 9-10 FEBBRAIO

▶AUTOMOTOCICLO D’EPOCA

Mostra scambio

16-19 FEBBRAIO

▶BEER ATTRACTION

Specialità birrarie, birre artigianali, food e tecnologie

17-20 GENNAIO

▶MOTOR BIKE EXPO

Salone del motociclismo 7-10 FEBBRAIO

▶LEGNO & EDILIZIA

Mostra internazionale su impiego del legno in edilizia 7-10 FEBBRAIO

▶ECO HOUSE

Sostenibilità e risparmio energetico in edilizia 16-17 FEBBRAIO

▶COSMO BILE SHOW

Il festival delle bici

21-24 FEBBRAIO

▶TRANSPOTEC & LOGITEC

Salone dei trasporti e della logistica

Via dell’Oreficeria, 16 VICENZA Tel 0444 969111 www.vicenzafiera.it

18-23 GENNAIO

▶VICENZAORO

Oreficeria, gioielleria, argenteria e pietre preziose 18-23 GENNAIO

▶T.GOLD

Macchinari per l’oreficeria e preziosi 9-11 FEBBRAIO

▶HIT SHOW

Caccia, protezione individuale, sport 16-18 FEBBRAIO

▶KOINÈ

Arredi, oggetti liturgici e componenti edilizia di culto

23-25 FEBBRAIO

Ottica, Optometria e Oftalmologia

12-14 GENNAIO

▶UDINE SPOSA

14-17 FEBBRAIO

Viale Treviso 1 PORDENONE Tel 0434 23 21 11 www.fierapordenone.it

Fieramilanocity

▶MIDO

Tel 0432 4951 www.udinegoriziafiere.it Via della Barca, 15 GORIZIA

Salone delle attività all’aria Agricoltura, agraria, zootecnica aperta Udine

23-25 GENNAIO

Fieramilano

▶DEVOTIO

Prodotti e servizi per il mondo religioso

I

Via Cotonificio, 96 Torreano di Martignacco (UD) UDINE

23-25 FEBBRAIO

▶PESCARE SHOW

Salone internazionale pesca sportiva


chef…ame! Morbidose di pizza ai profumi mediterranei Ricetta del Maestro di Cucina Germano Pontoni

Preparazione Con un coltello affilato tagliare la pizza a pezzetti (compresa la crosta se non è bruciacchiata) e mettere in una bacinella. Aggiungere il latte tiepido e lasciare ammollare, aggiungere l’uovo e la ricotta e passare al mixer–robot fino a ottenere un impasto morbido di giusta consistenza; nel caso l’impasto sia troppo morbido aggiungere poco pane grattugiato, al contrario del latte. Regolare di sale e lasciare riposare. Nel frattempo foderare una padella bassa con carta forno bucherellata e appoggiare sopra le polpettine ovali(*) distanti pochi centimetri una dall’altra. Versare il brodo bollente e portare al fuoco, cuocere a calore dolce per circa 15 minuti. (*)I francesi le chiamano “quenelle”: polpettine ovali ottenute con 2 cucchiai.

Arte del riciclo e riuso in cucina Ci sono stati momenti in cui il cibo che non veniva consumato durante i pasti andava “buttato”. Ma in questo nuovo millennio molte cose sono cambiate, in particolare in famiglia. Nell’ambito della ristorazione collettiva, invece, a causa di norme rigide a riguardo, questo riutilizzo non può avvenire. La stretta economica che stiamo attraversando ci ha spinto ad aguzzare l’ingegno per riutilizzare con fantasia il cibo avanzato e rimesso in frigorifero. Sono molte le pubblicazioni a riguardo, firmate sia da valenti professionisti dei fornelli, sia da istituzioni legate ai consumatori, che hanno dato ampio spazio a questa cultura del riutilizzo, volgarmente definita riciclo. Certo, per farlo al meglio ci vuole tempo a disposizione e un pizzico di buon senso nel conservare adeguatamente ciò che si vuole riutilizzare in breve tempo: dai contenitori all’involucro, alla temperatura, al tempo di conservazione e altre regole elementari. Diversamente si rischia di incorrere in problematiche di salute con cui è bene non scherzare. Tra le diverse pietanze, il risotto ancora oggi viene riciclato con fantasia per ottenere crocchette, arancini farciti, ma anche verdure e ortaggi trasformati in timballi, sformatini e passati serviti con crostini e polpettine.

Ingredienti per circa 300 gr di pizza farcita rimasta -

1/2 bicchiere di latte 3 bicchieri di brodo vegetale 1 uovo 1 cucchiaio di ricotta sale q.b.

Se la pizza è poco farcita e in frigorifero ci sono pezzetti di formaggio, del prosciutto cotto o altri ingredienti piacevoli possono essere utilizzati in proporzione. Pomodori passati o a pezzetti, cotti per guarnizione con foglie di basilico o gocce di pesto.

Il Natale e le feste sono trascorse e in queste occasioni una buona parte del cibo rimasto è stato riutilizzato subito attraverso il fornetto a microonde. Ma può accadere che dopo le preparazioni festaiole rimangano dei barattoli aperti o dei contenitori di formaggi o altri ingredienti che Germano Pontoni durano un po’ di più. Maestro di Cucina 347 3491310 Dopo aver letto con at- Cell: Mail: germanoca@libero.it tenzione le etichette di scadenza, questi prodotti possono arricchire una preparazione di riciclo, dando un tocco piacevole e creativo. Spesso i giovani sono poco attratti da questo riuso, e la pizza diventa così la loro alternativa, magari con consegna a domicilio. E la maxi pizza viene molto gradita… Ma qualora dopo aver gustato alcuni spicchi ne rimanga un buon quarto o una metà, l’indomani viene di nuovo consumata? Il fornetto la farebbe asciugare e, anche arricchendola con altri ingredienti, la parte esterna più dura verrebbe ugualmente scartata. E il ciclo dello spreco ricomincerebbe… |

gennaio-febbraio 2019

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I tuoi eventi su iMagazine!

FOLKLORE

Visita il sito www.imagazine.it, entra nella sezione eventi e segnala direttamente on line le tue iniziative.

Legenda Caffetteria

Afterhour

Birreria

Eventi a tema

Enoteca

Sale convegni

Special drinks

Musica dal vivo/karaoke

Stuzzicheria

Musica da ballo

Vegetariano/biologico/regimi

Happy hour

Cucina carne

Giochi

Cucina pesce

Internet point

Paninoteca

TV satellitare/digitale

Pizza

Giochi e spazi per bambini

Gelateria

Pernottamento

Catering

Buoni pasto

Organizzazione feste

Parcheggio

18-20 gennaio ▶ Snow Art

Quarta edizione del festival internazionale delle sculture di neve. Per un lungo week end, artisti del ghiaccio e semplici appassionati realizzeranno le proprie opere che saranno valutate da un’apposita giuria. Pontebba (UD). Info: www.gsdvalgeris.it

ristorante

Il range di prezzo indicato (ove applicabile) si riferisce al costo medio di un pasto, escluse bevande alcoliche. I dati segnalati sono stati forniti direttamente dal Gestore del locale. Qualora doveste verificare delle discordanze, Vi invitiamo a segnalarcelo.

17/24 febbraio – 3 marzo ▶ Carnevale di Sappada

Le tre domeniche che precedono la quaresima, per camuffarsi completamente e non farsi riconoscere dai compaesani, vengono usate maschere in legno (lòrvn) intagliate da artigiani locali e tramandate spesso di generazione in generazione. Sappada (UD). Info: 0435 469131

ristorante

e inoltre... 11-27 gennaio ▶ Sagra di Sant’Antoni

Gastronomia, concerti, teatro, sport. Casarsa della Delizia (PN). Località San Giovanni. Info: 347 0908758

25-27 gennaio ▶ Festa di Sant’Agnese

Rievocazione, mercatino, sport, gastronomia. Aiello del Friuli (UD). Località Joannis. Info: www.turismofvg.it


scopri tutti gli eventi in regione su www.imagazine.it

ristorante

Sarà la sfilata di Gorizia, quest’anno, a inaugurazione la serie di appuntamenti della kermesse isontina. La parata vedrà la partecipazione di diversi carri e gruppi mascherati alle spalle della banda di Fiumicello. Gorizia. Info: www.comune.gorizia.it

trattoria

24 febbraio ▶ Carnevale isontino

bar

28 febbraio – 5 marzo ▶ Carnevale monfalconese

Il giovedì grasso dà il via ai festeggiamenti in tutta la città. Dal “Carneval dei putei” alla grande sfilata del martedì grasso, dopo la lettura del testamento di Sior Anzoleto e la Cantada in piazza. Monfalcone (GO). Info: www.monfalcone.info

25 gennaio – 3 febbraio ▶ El purcit in ostarie

Degustazioni a base di carne di maiale. Martignacco (UD). Area festeggiamenti. Info: www.elpurcitinostarie.it

28 febbraio – 6 marzo ▶ Carnevale di Muggia

Ogni giorno appuntamenti in maschera. Muggia (TS). Info: www.carnavaldemuja.com


CLASSIC ARTS

30 gennaio – 3 febbraio

▶ Cenerentola on Ice

Uno spettacolo di perfezione tecnica, interpretato da pattinatori di assoluto valore artistico e atletico. “L’Imperial Ice Stars è nel pattinaggio ciò che il Cirque du Soleil è per il circo: ispirato, originale, grande teatro” ha decretato il Sunday Telegraph di Sydney. Trieste. Politeama Rossetti. Ore 20.30 (sabato e domenica anche 16.30). Info: www.ilrossetti.it

6 febbraio

▶ Pesce d’aprile

Come anche una brutta malattia può diventare un atto d’amore. Tra il riso e il pianto, una donna prigioniera di un corpo che smette di obbedirle e un uomo che da compagno di vita diventa bastone, nutrimento, supporto necessario. Cormòns (GO). Teatro Comunale. Ore 21. Info: www. artistiassociatigorizia.it

e inoltre... 26 gennaio ▶ Galà di Stelle

Con 12 danzatori étoile internazionali. Gorizia. Teatro Verdi. Ore 20.45. Info: www.comune.gorizia.it/teatro

5 febbraio ▶ La guerra dei Roses

Con Ambra Angiolini e Matteo Cremon. Cervignano del Friuli (UD). Teatro Pasolini. Ore 21. Info: www.teatropasolini.it


w w w.imag azine.i t

12-13 febbraio

▶ Mamma mia!

Uno show divenuto un autentico fenomeno “pop” che, dal suo debutto a Londra nel 1999, ha totalizzato una serie incredibile di record di spettatori e di gradimento. La nuovissima produzione italiana offre un allestimento tecnologico e spettacolare. Cividale del Friuli (UD). Palasport. Ore 21. Info: www.azalea.it

15-16 febbraio

▶ Come quando fuori piove

Il giorno del suo 50° compleanno un uomo si ritrova in macchina, insieme a un misterioso autostoppista, a fare un bilancio della propria vita. L’autostoppista sembra Dio, ma non è facile credergli. Monfalcone (GO). Teatro Comunale. Ore 20.45. Info: www.teatromonfalcone.it

7-9 febbraio ▶ Il conte Tacchia

Musical. Con Enrico Montesano. Udine. Teatro Nuovo Giovanni da Udine. Ore 20.45. Info: www.teatroudine.it

19 febbraio ▶ Scugnizza

Operetta. Gradisca d’Isonzo (GO). Nuovo Teatro Comunale. Ore 21. Info: www.artistiassociatigorizia.it


L I V E

M U S I C

4 febbraio ▶ Malika Ayane

Unica tappa in Friuli Venezia Giulia per il nuovo Domino Tour della cantautrice fra le voci più amate nel panorama musicale italiano, che festeggia i 10 anni di carriera. Udine. Teatro Nuovo Giovanni da Udine. Ore 21. Info: www.azalea.it

8 febbraio ▶ Ray Gelato & The Giants (UK)

Il leggendario ‘Padrino dello Swing’ e la sua band festeggeranno i 25 anni di attività con una serata ad alta energia che non smette mai di trascinare la folla e di farle battere i piedi. Trieste. Teatro Miela. Ore 21.30. Info: www.miela.it

e inoltre...

31 gennaio ▶ Emanuele Arciuli

American Landscapes. Pianoforte. Pordenone. Teatro Verdi. Ore 20.45. Info: www.comunalegiuseppeverdi.it

14 febbraio ▶ Ensemble Symphony Orchestra

Omaggio in musica a Ennio Morricone. Trieste. Politeama Rossetti. Ore 21. Info: www.ilrossetti.it 84

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settembre-ottobre 2007

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www.imagazine.it

9 febbraio ▶ Marc Ribot 4et

Uno dei più straordinari chitarristi al mondo con Songs of Resistance conferma che la sua vocazione è il jazz e l’avanguardia, quella del giro newyorchese di John Zorn. Un progetto nato dopo l’elezione di Trump a presidente degli Stati Uniti. Cervignano del Friuli (UD). Teatro Pasolini. Ore 21. Info: www.euritmica.it

18 febbraio ▶ Sonig Tchakerian

La magnifica violinista armena sarà accompagnata dall’Orchestra di Padova e del Veneto, per un concerto dedicato alle musiche di Mozart in un progetto ideato da Giovanni Sollima. Monfalcone (GO). Teatro Comunale. Ore 20.45. Info: www.teatromonfalcone.it

15 febbraio ▶ Les Babettes

Lo swing del terzetto femminile triestino. Premariacco (UD). TeatrOrsaria. Ore 20.45. Info: www. comune.premariacco.ud.it

26 febbraio ▶ Jan Lisiecki

Concerto del pianista canadese. Sacile (PN). Fazioli Concert Hall. Ore 20.45. Info: www.fazioli.com L’INFORMAFREEMAGAZINE

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settembre-ottobre 2007

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SPORT

26 gennaio

▶ Vertical Race Notturna

Gara di Sci Alpinismo Individuale aperta a tutti. Partenza da quota 890 m. Cronometraggio con microchip. Risalita fino sul Monte Zoncolan (1750 mt). Dislivello di 860 m., per una lunghezza di 4 km. Ravascletto (UD). Partenza ore 19 da piazzale funivia. Info: www.verticalracezoncolan.it

27 gennaio

▶ Maratonina del Collio

Evento che apre la stagione della maratonine in FVG. Il percorso si snoda in prevalenza lungo le piste ciclabili che attraversano il Parco naturale del Preval offrendo suggestivi scorci tra i vigneti del Collio goriziano. Capriva del Friuli (GO). Ore 10. Info: www.marciatorigorizia.it

e inoltre... 27 gennaio ▶ Sciiivolata

Evento di parapendio con gli sci. Forni di Sopra (UD). Info: 329 4133588

2 febbraio ▶ Ski Krono Varmost

Cronoscalata di scialpinismo in notturna. Forni di Sopra (UD). Partenza ore 17. Info: www.for-adventure.it


w w w.im a gazi ne.i t

26-27 gennaio

▶ Alpe Adria

Sesta edizione del torneo internazionale di judo. La competizione è rivolta ai giovani judoka maschi e femmine, under 18 e under 21. Attesi nella città balneare un migliaio di atleti dall’Italia e dall’estero. Lignano Sabbiadoro (UD). EFA Village. Info: www.alpeadriajudo.it

15-17 febbraio

▶ Transcavallo

Gara a squadre che si svilupperà tra le nevi dell’Alpago e di Piancavallo, toccando Col Indes, il Castelat, il Cornor e la vetta del Guslon con i suoi 50-55° di pendenza. Tutto senza nessuno spostamento di autovetture per una sorta di viaggio agonistico eco-sostenibile. Aviano (PN). Piancavallo. Info: www.transcavallo.it

24 febbraio ▶ Trofeo Balto

Gara di Sleddog per Baby-junior Musher. Tarvisio (UD). Piana di Fusine. Info: www.ararad.net

24 febbraio ▶ Marcia del Dono

Manifestazione podistica di 6, 12 e 18 km. Campolongo Tapogliano (UD). Info: www.fiaspudine.it L’INFORMAFREEMAGAZINE

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settembre-ottobre 2007

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M E E T E I N G w w w. i m a g a z i n e . i t 3 febbraio ▶ Islam – Sunniti contro Sciiti

A muovere i due progetti l’Arabia Saudita, che con i petrodollari lavora alla unificazione salafita dell’Islam; l’Iran degli ayatollah, decisi a spezzare l’isolamento. Ne parla il giornalista Domenico Quirico. Udine. Teatro Nuovo Giovanni da Udine. Ore 11. Info: www.teatroudine.it

18-25 gennaio ▶ Trieste Film Festival

Festeggia trent’anni l’evento cinematografico con focus sulle opere dell’Europa centro-orientale. Per oltre una settimana in programma proiezioni – anche fuori concorso – e incontri con ospiti internazionali. Trieste. Info: www.triestefilmfestival.it

e inoltre... 20 gennaio ▶ La ragazza di Chagall

Presentazione del libro di Antonella Sbuelz. Cividale del Friuli (UD). Teatro Ristori. Ore 18. Info: www.cividale.net

24 febbraio ▶ 1989. La rivoluzione democratica

Incontro con Valentine Lomellini a 30 anni dalla caduta del Muro di Berlino. Trieste. Teatro Verdi. Ore 11. Info: www.teatroverdi-trieste.com


Y O U N G w w w. i m a g a z i n e . i t 24 febbraio ▶ La regina dell’acqua

Lo spettacolo vive del forte coinvolgimento del pubblico, che dovrà aiutare i Cuccioli a risolvere i problemi che via via si presenteranno. Salvando l’acqua che scorre nel regno. Età consigliata dai 3 agli 8 anni. Cormòns (GO). Teatro Comunale. Ore 16. Info: www. artistiassociatigorizia.it

26 gennaio ▶ Gretel e Hänsel

Questa è una storia di fame e di miserie, è il racconto di chi non ha nulla, è il riscatto di due fratelli e la loro sfida contro le difficoltà. Teatro di figura, dai 4 anni in su. Monfalcone (GO). Teatro Comunale. Ore 17. Info: www. ertfvg.it

e inoltre... 20 gennaio ▶ Il mago di Oz

3 febbraio ▶ Storie di pirati e di sirene

Cartoni e attori. Età consigliata dai 4 anni in su. Teatro. Età consigliata dai 3 ai 10 anni. Gorizia. Teatro Verdi. Ore 16. Info: www.comune.go- Trieste. Teatro Bobbio. Ore 11. Info: www.contrarizia.it/teatro da.it


F U O R I

R E G I O N E

T R E V I S O 25 gennaio – 3 febbraio

▶FESTA DEL RADICCHIO ROSSO DI TREVISO Non solo degustazioni e mercato, ma anche numerosi appuntamenti culturali, musicali e con la tradizione contadina. Immancabili gli abbinamenti gastronomici più svariati ma con il radicchio protagonista principale. Casier. Località Dosson. Info: www.radicchiorossodosson.it 26 gennaio – 16 febbraio

▶NICOLA STRADIOTTO  LOST IDENTITY Raccolta di illustrazioni surrealiste in bianco e nero. Rappresentano la perdita d’identità dell’essere umano, privato dei tratti somatici che caratterizzano l’individuo a fronte di una omologazione dettata dall’odierna società. Castelfranco Veneto. Spazio Zephiro. Info: www.spaziozephiro.it 27 gennaio

▶GRAN GALÀ DEI PAPPAGALLI Attesi numerosi pappagalli e specie esotiche anche di grande taglia come turachi, normalmente contraddistinti da una livrea verde, e tucani. La competizione premierà gli esemplari giudicati più belli. Vazzola. Località Visnà. Info: www.grangaladipappagalli.org 2-4 febbraio

▶VINI DA TERRE ESTREME Tre giorni di eventi e iniziative sulla viticoltura eroica, ovvero a quei vini coltivati in aree cosiddette estreme: montagna, forti pendenze, terreni rocciosi, terrazzamenti, gradoni, sabbie, piccole isole. Treviso. Palazzo Bonifacio Variolo. Info: www.vinidaterrestreme.com Fino al 3 febbraio

▶DA TIZIANO A VAN DYCK. IL VOLTO DEL ‘500 La suddivisione delle opere mira a mettere in risalto l’evoluzione della pittura veneta a partire dalla tradizione belliniana e dalla rivoluzione giorgionesca, per illustrare la maniera delle grandi botteghe rinascimentali e manieriste. Treviso. Ca’ dei Carraresi. Info: www.casadeicarraresi.it Fino al 3 febbraio

▶ELLIOTT ERWITT  I CANI SONO COME GLI UMANI, SOLO CON PIÙ CAPELLI La mostra raccoglie una straordinaria selezione di fotografie dedicate a questo tema. In un percorso che spazia dagli anni cinquanta fino ai giorni nostri le immagini sono tutte realizzate “dal punto di vista dei cani”. Treviso. Ca’ dei Carraresi. Info: www.casadeicarraresi.it Fino al 10 febbraio

▶PROFILI, DAL COLORE AL BIANCO E NERO Nello storico spazio espositivo di Ca’ Lozzio, già diretto da Gina Roma e ora sotto la direzione artistica di Cesco Magnolato, una nuova personale del pittore e fotografo Ottavio Pinarello. Oderzo. Ca’ Lozzio. Info: www.calozzio.org


F U O R I

R E G I O N E V E N E Z I A Fino al 20 gennaio

▶IDOLI Più di cento reperti archeologici, dal 4000 avanti Cristo sino al 2000, esposti in una rassegna che ha il pregio di un’ampia copertura geografica: le opere sono ritrovamenti dalla valle dell’Indo all’Iran, dalla Mesopotamia a Cipro, fino alla Spagna. Venezia. Palazzo Loredan. Info: www.istitutoveneto.it Fino al 20 gennaio

▶FRAMMENTI 1990 Le immagini provengono dal repertorio di “frammenti” che Paolo Bertuzzo riordina trasformandoli, ma “essi hanno il sopravvento e si riappropriano del loro mondo esterno, reale, rivivendo nell’opera d’arte”. Venezia. Arte Spazio Tempo. Info: www.artespaziotempo.it 25 gennaio – 18 marzo

▶DAL GESTO ALLA FORMA Nel 2012 ottanta opere del dopoguerra si sono aggiunte alle collezioni della Fondazione Solomon R. Guggenheim, un lascito di Hannelore B. Schulhof, che collezionò le opere insieme al marito Rudolph B. Schulhof. Venezia. Collezione Peggy Guggenheim. Info: www.guggenheim-venice.it Fino al 3 febbraio

▶CHI SONO IO? In mostra una cinquantina di fotografie di cinque affermate fotografe italiane, con cui Concita De Gregorio ha a lungo conversato per il suo libro e che si muovono non solo nel campo dell’auto-rappresentazione. Venezia. Fondazione Bevilacqua La Masa. Info: www.bevilacqualamasa.it Fino al 9 febbraio

▶LINEA DI PRINCIPIO La mostra indaga l’importanza del concetto di linea nella pratica di due artisti come Cvijanović e Morbin, la cui ricerca è caratterizzata dall’analisi formale e politica e dalle modalità in cui i due campi di indagine reciprocamente si condizionano. Venezia. Fondazione Berengo. Info: www.fondazioneberengo.org 16 febbraio – 5 marzo

▶CARNEVALE DI VENEZIA Per tre settimane la città lagunare ospiterà eventi e spettacoli dedicati al mondo carnevalesco. Nei locali e nelle calli spazio alla tradizione veneziana delle maschere. Venezia. Info: www.carnevale.venezia.it 20 febbraio

▶ALEXANDER GADJIEV Recital pianistico dell’artista nato a Gorizia e riconosciuto dalla critica come uno dei principali talenti emergenti del panorama internazionale. Venezia. Gran Teatro La Fenice. Ore 20. Info: www.teatrolafenice.it


O L T R E

C O N F I N E

C R O A Z I A 17 gennaio – 5 marzo

▶CARNEVALE AD ALBONA Il giorno di Sant’Antonio inizia ad Albona il periodo più pazzo dell’anno. Per oltre un mese in programma feste, sfilate e giochi: tutto rigorosamente in maschera. Albona. Info: www.rabac-labin.com 18-19 gennaio

▶ANTONJA Rassegna enologica e dell’olio d’oliva. L’evento viene introdotto dal festival della supa istriana durante il quale si può assistere alla preparazione di questo piatto della tradizione. Villa di Rovigno. Info: udruga.agrorovinj@pu.t-com.h 3 febbraio

▶BLIK Nuova tappa del campionato istriano di boulder: attività di arrampicata su massi artificiali, da compiere nel più breve tempo possibile per battere la concorrenza. Pola. Info: www.istra.hr 16 febbraio

▶BRTONIGLA ADVENTURE TREKK Gara di trail run con elementi di orientamento: il concorrente riceve la mappa con i punti di controllo e decide da solo quale percorso scegliere per raggiungerli nel più breve tempo possibile. Verteneglio. Info: info@istria-brtonigla.com 16-17 febbraio

▶CHOCO & WINE FEST Dagli showcooking alle degustazioni, i visitatori potranno scoprire tutti gli abbinamenti per unire insieme il vino e il cioccolato, mescolandone gusti, sapori e profumi. Verteneglio. Info: info@istria-brtonigla.com 20-23 febbraio

▶PROMOHOTEL Fiera internazionale di cibo, bevande e equipaggiamento per il turismo. Si terrà su 4500 mq di spazio espositivo interno e 500 mq di spazio esterno, destinata a tutto il settore Horeca. Parenzo. Info: www.promohotel.hr 23 febbraio

▶CARNEVALE A POLA Oltre 700 partecipanti dal Quarnaro alla Slovenia sono attesi a Pola per la tradizionale grande sfilata mascherata, guidata dall’Orchestra di fiati della Città di Pola e dalle Majorettes cittadine. Pola. Info: www.pulainfo.hr

18-19 gennaio

▶SCHLAG DAS ASS La gara di sci più lunga del mondo con 25,6 chilometri di piste e 6.400 metri di dislivello lungo il comprensorio dell’Alpe Nassfeld. Hermagor. Info: www. schlagdasass.at 18-20 gennaio

▶EIS TOTAL Al rifugio Pitzal cascate di ghiaccio dalle forme bizzarre, una parete a sbalzo per le scalate e una vivace atmosfera da campo base attendono gli alpinisti provenienti da tutte le Alpi. Mandarfen. Info: www.mc2alpin.at 22 gennaio – 1 febbraio

▶TOUR ALTERNATIVO DELLE 11 CITTÀ OLANDESI Il più grande spettacolo mondiale di pattinaggio sportivo con 3.000 concorrenti per le maratone di pattinaggio da 50, 100 e 200 km che si svolgono sul letto del lago ghiacciato. Weissensee. Info: www.booking.weissensee.com


O L T R E C A R I N Z I A 24-27 gennaio

▶NASSFELD FREERIDE CAMP Quattro giorni da vivere letteralmente fuori pista. Assieme a guide esperte e specializzate si scierà sulla neve non battuta in mezzo a meravigliosi angoli naturali. Nassfeld. Info: www. nassfeld.at 23-24 febbraio

▶WEEKEND ITALIANO Un fine settimana dedicato alle grandi canzoni della musica italiana, con una serata speciale in cui non mancherà anche l’accompagnamento gastronomico con le delizie culinarie del Belpaese. Hermagor. Gartner-kofel Talstation. Info: www. nassfeld.at 2 marzo

▶SABATO GRASSO La città diventa palcoscenico per trampolieri, giocolieri e personaggi in costume che animano il corteo seguito ogni anno da 10.000 spettatori. Villach. Info: www.villacher-fasching.at

C O N F I N E S L O V E N I A 18 gennaio

▶ORCHESTRA DELL’ESERCITO SLOVENO Concerto speciale per il 700esimo anniversario della Scuola di musica di Capodistria. Dirige Andreja Šolar. Solisti Samanta Škorja (clarinetto) e Tomaž Bizailj (tromba). Portorose. Auditorium. Ore 19. Info: www.portoroz.si 25-27 gennaio

▶I CASTELLI DI NEVE DI RE MATJAŽ Squadre provenienti dall’intera regione dell’Alpe Adria si sfideranno nella costruzione di castelli di neve. Numerosi gli eventi collaterali, tra cui uno slalom in notturna sugli sci. Črna na Koroškem. Info: http://crna.si 30 gennaio – 1 febbraio

▶MENT Il festival che mira a lanciare gli artisti musicali del prossimo futuro. Cantanti, band e DJ di tutti i generi di musica si esibiranno in un contesto unico, che richiamerà 300 musicisti professionisti per una conferenza internazionale. Lubiana. Info: www.ment.si 1-2 febbraio

▶GOLDEN FOX Il circo bianco fa tappa a Maribor con la tradizione due-giorni dedicata alla Coppa del Mondo di sci alpino femminile, con le gare di slalom gigante e slalom speciale. Maribor. Info: www.goldenfox.org 6-10 febbraio

▶WINTER LJUBLJANA FESTIVAL Più breve dell’edizione estiva, anche nei cinque giorni della stagione invernale la kermesse vedrà impegnati musicisti e attori in diverse location della capitale. Lubiana. Info: www.ljubljanafestival.si Fino al 10 febbraio

▶DIPINGERE È QUALCOSA DI MERAVIGLIOSO Per commemorare il suo centesimo anniversario, la Galleria Nazionale della Slovenia, ospita l’esposizione dedicata alla vita e ai lavori di Ivana Kobilca, una delle più grandi artiste della storia del Paese. Lubiana. Galleria Nazionale. Info: www.ng-slo.si Fino al 24 marzo

▶ISTRA FOTO INTERNATIONAL Mostra collettiva internazionale che mira a porre in risalto il ruolo dell’emancipazione attraverso lo scatto fotografico. Presenti opere di fotografi provenienti da tutto il mondo. Pirano. Galleria. Info: majda.bozeglav-japelj@obalne-galerije.si


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my

7 gennaio Tanti auguri Marzia! Stefano 11 gennaio Auguri zia Saby! Cinzia e Nick 14 gennaio Buon anniversario Francesco! Elena 21 gennaio Buon compleanno Nicola! Luca, Loredana, Sebastiano 28 gennaio Tanti auguri Sandro Giulia e Nicla 2 febbraio Buon compleanno Jenny! Simona F, Simona C, Elisa 12 febbraio Felice anniversario a Franco e Carmela Mimmo e Sara 21 febbraio Buon compleanno Marina! Andrea, Mattia, Elisa, Riccardo, Graziana, Cesare, Luisa, Eugenio 24 febbraio Auguri Sofia! Elisa, Sonia e Benedetta 26 febbraio Buon compleanno Rita Davide Mandaci entro il 1º febbraio i tuoi auguri per le ricorrenze di marzo e aprile! Li pubblicheremo gratuitamente su iMagazine! Segnalaci giorno, evento, mittente e destinatario e spedisci il tutto via e-mail (info@imagazine.it), via posta ordinaria (iMagazine, c/o via Aquileia 64/a, 33050 Bagnaria Arsa – UD) o via fax (040 566186).


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marzo-aprile 2015

FARMACIE DI TURNO

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Fonte: Federfarma Gorizia e Udine

AL PONTE via Don Bosco 175 Gorizia, tel. 0481 32515 ALESANI via Carducci 40 Gorizia, tel. 0481 530268 BALDINI corso Verdi 57 Gorizia, tel. 0481 531879 COMUNALE 1 via San Michele 108 Gorizia, tel. 0481 21074 COMUNALE 2 via Garzarolli 154 Gorizia, tel. 0481 522032 D’UDINE piazza San Francesco 5 Gorizia, tel. 0481 530124 MARZINI corso Italia 89 Gorizia, tel. 0481 531443 MADONNA DI M. via Udine 2 Lucinico, tel. 0481 390170 PROVVIDENTI via Oberdan 3 Gorizia, tel. 0481 531972 TAVASANI corso Italia 10 Gorizia, tel. 0481 531576 TRAMONTANA via Crispi 23 Gorizia, tel. 0481 533349 FARO via XXIV Maggio 70 Brazzano, tel. 0481 60395 STACUL via F. di Manzano 6 Cormons, tel. 0481 60140 ALLA MADONNA via Matteotti 13 Cormons, tel. 0481 60170 ROJEC via Iº Maggio 32 Savogna d’Is., tel. 0481 882578 PIANI via Ciotti 26 Gradisca d’Is., tel. 0481 99153 BACCHETTI via Dante 58 Farra d’Is., tel. 0481 888069 CINQUETTI via Manzoni 159 Mariano d. Fr., tel. 0481 69019 MORETTI via Olivers 70 Mossa, tel. 0481 80220 LAZZARI via Petrarca 15 Moraro, tel. 0481 80335 DELLA TORRE via Latina 77 Romans d’Is., tel. 0481 90026 SORC piazza Montesanto 1 S. Lorenzo Is., tel. 0481 80023 LABAGNARA via Monte Santo 18 Villesse, tel. 0481 91065

TRESCA via XXIV Maggio 1 Aiello d. F., tel. 0431 99011 CORRADINI c.so Gramsci 18 Aquileia, tel. 0431 91001 SORANZO via Vittorio Veneto 4 Bagnaria Arsa, tel. 0432 920747 RUTTER c.so Marconi 10 Campologo Tapogliano, tel. 0431 999347 COMUNALE via Monfalcone 7 Cervignano d.F., tel. 0431 34914 SAN ANTONIO via Roma 52/1 Cervignano d.F., tel. 0431 32190 LOVISONI p.zza unità 27 Cervignano d.F., tel. 0431 32163 DEBIASIO via Gramsci 55 Fiumicello, tel. 0431 968738 MONEGHINI via Roma 15/A Ruda, tel. 0431 99061 SATTI via 2 Giugno 4 Terzo d’Aquileia, tel. 0431 32497 GRIGOLINI p.zza del Popolo 2 Torviscosa, tel. 0431 92044 SANTA MARIA via San Antonio Villa Vicentina, tel. 0431 967263 FLEBUS via Montello 13 Visco, tel. 0432 997583 FAVARO via Roma 48 S. Vito al Torre, tel. 0432 997445 FACINI borgo Cividale 20 Palmanova, tel. 0432 928292 LIPOMANI borgo Aquileia 22 Palmanova, tel. 0432 928293 MORANDINI piazza Grande 3 Palmanova, tel. 0432 928332 RAMPINO piazza Venezia 15, San Canzian d’Is., tel 0481 76039 DI MARINO via Redipuglia 77, Fogliano, tel 0481 489174 CORAZZA via Buonarroti 10, Capriva del Friuli, tel 0481 808074 RAJGELJ CHIARA via Scuole 9, Medea, tel 0481 67068

COMUNE DI GORIZIA Dati: N.P.

Recapiti: 0481 383276, www.comune.gorizia.it

COMUNE DI VILLESSE

Abitanti: 1.694

(dati Anagrafe ott-nov 2018) nati 1, deceduti: 1, immigrati: 26, emigrati: 6, matrimoni: 1 Recapiti: 0481 91026, www.comune.villesse.go.it

COMUNE DI MOSSA

Abitanti: 1.554 (dati Anagrafe giu-lug 2018) nati 3, deceduti: 3, immigrati: 12, emigrati: 10, matrimoni: 9 Recapiti: 0481 80009, www.comune.mossa.go.it

COMUNE DI MEDEA Dati: N.P.

Recapiti: 0481 67012, www.comune.medea.go.it

COMUNE DI GRADISCA D’ISONZO Dati: N.P.

Recapiti: 0481 967911, www.comune.gradisca-d-isonzo.go.it


09-15

02-08

23-01

16-22

09-15

02-08

FEBBRAIO

26-01

19-25

12-18

05-11

GENNAIO

       Le farmacie contrassegnate dal fondino arancione anticipano di un giorno le date di turno indicate.

           

            

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COMUNE DI CERVIGNANO DEL FRIULI Abitanti: 13.829

(dati Anagrafe set-ott 2018) nati 16, deceduti: 23, immigrati: 135, emigrati: 91, matrimoni: 13 Recapiti: 0431 388411, www.cervignanodelfriuli.net

COMUNE DI FARRA D’ISONZO Abitanti: 1.690

(dati Anagrafe ott-nov 2018) nati 3, deceduti: 5, immigrati: 4, emigrati: 13, matrimoni: n.p. Recapiti: 0481 888002, www.comune.farra.go.it

COMUNE DI MARIANO DEL FRIULI Dati: N.P.

Recapiti: 0481 69391, www.comune.marianodelfriuli.go.it

COMUNE DI S. LORENZO ISONTINO Abitanti: 1.550

(dati Anagrafe ott-nov 2018) nati 2, deceduti: 1, immigrati: 9, emigrati: 4, matrimoni: 1 Recapiti: 0481 80026, www.comune.sanlorenzoisontino.go.it

COMUNE DI CORMÒNS Abitanti: 7.335

(dati Anagrafe mar-giu 2018) nati 17, deceduti: 37, immigrati: 87, emigrati: 70, matrimoni: 4 Recapiti: 0481 637111, www.comune.cormons.go.it


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marzo-aprile 2012

maggio-giugno 2015

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G - F O RI FLO ISO ARRA ZIA- ED G N I RO RIAN TINOCD’ISO RADI ZION MA O D - EC NZ SC E P A R NS EL ORVCEO - D ER D’I COL MIOGRMO ’ISO LE SO LI NGNS VIRA NZ FA NZ O - O-ADNGRO O M 32798|/22 O - M ROLIONA- M - CA IGL 0011 VIL ARI EZGDI NO PR IE 029 LES AN NAEA LOSSA IVA DI SE O D DEFLRD-ESA DE - CE EL COI LN L F RV FRIU ULLLI FLROR RIU IGN LI OI- IEUN LI AN - M SAN LZO O D EDE I . F. A -

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Leto novo zivljenje novo. Ampak nove poloznice se niso spremenile. Neues Jahr, neues Glück. - Aber die neue Rechnungen sind immer dieselben!

Ano novo, vita nova. Però le nove bolete no xe cambiade!

An gnûf vite gnove. -Dut câs lis gnovis boletis no son cambiadis! Anno novo vita nova Però le nove bolete no xe cambiade

Per le traduzioni si ringrazia: Irene Devetak (sloveno), Isa Dorigo - Regjon autonome FVG Servizi lenghis minoritariis (friulano), Andrea Coppola Università di Trieste (tedesco), Marianna Martinelli (bisiaco), Alessandro Samez (triestino).




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