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SOCIETA’ CATTOLICA DI ASSICURAZIONE DAL 1896
PAOLO SIMONE CALDIROLA Agenzia Generale di Tortona Largo Carabinieri d’Italia 15057 TORTONA (AL) Tel. 0131861175 Trasformiamo il futuro in un orizzonte di obiettivi e sicurezze
PRIMO PIANO
Giovedì 19 aprile 2012 IL POPOLO
SOCIETA’ CATTOLICA DI ASSICURAZIONE DAL 1896
PAOLO SIMONE CALDIROLA Agenzia Generale di Tortona Largo Carabinieri d’Italia 15057 TORTONA (AL) Tel. 0131861175 Trasformiamo il futuro in un orizzonte di obiettivi e sicurezze
25 APRILE: CELEBRIAMO LA FESTA DELLA LIBERAZIONE CON UN PEZZO D’AUTORE, IN DUE PUNTATE
Il “Greco” e il Generale Montagna l’un contro l’altro armati pagina a cura di FABRIZIO BERNINI
Andrea Spanoyannis, detto “Il Greco”, all’inaugurazione del Monumento al Partigiano, Casteggio, 1982
PRIMA PUNTATA Quello de’ il “Greco” in tempo di guerra civile in Oltrepò era un nome che incuteva rispetto da parte dei partigiani di ogni tendenza politica e paura da parte dei fascisti. Al secolo era Andrea Spanoyannis, un ex militare ellenico liberatosi dalla prigionia dopo 1’8 settembre 1943 e postosi a capo di una banda di ribelli composta principalmente di greci, sudafricani, russi ed italiani stanziatasi in val Tidone dove operò mantenendosi sempre fieramente autonoma dalle politicizzate brigate garibaldine, gielline e matteottine. Dall’autunno del 1943 alla sua morte nel giugno 1944, il colonnello Guido Alberto Alfieri, fondatore della notissima Sicherheits Abteilung, una formazione di polizia al servizio dei tedeschi, tenterà inutilmente di catturarlo, tanto da farne una vera e propria questione di prestigio che non poté però realizzare. Alfieri lasciò, quasi una consegna militare, quel compito al suo successore, il colonnello Felice Fiorentini che tenterà di stanarlo dal suo rifugio di Costalta
presso Pecorara con poderosi rastrellamenti. Fallirà anch’esso, mentre il Greco invece non demorderà dalla lotta organizzando per il 9 luglio 1944 un azzardatissimo tentativo di sequestro del Luogotenente Generale della Milizia Renzo Montagna nella villa di Monteceresino di Santa Giuletta dove lo stesso si trovava in quei giorni in licenza di convalescenza. Montagna era stato uno dei più noti e celebrati comandanti nel corso della guerra etiopica del 1935-36. Aveva poi aderito alla Repubblica Sociale ed era stato, nel gennaio 1944 tra i giudici del famoso “Processo di Verona” ai gerarchi traditori del Gran Consiglio che avevano provocato la caduta del regime. In quell’occasione si dissociò da Pavolini tentando, solo tra i componenti la corte giudiziaria, di salvare la vita a Galeazzo Ciano, genero del Duce. Il tentativo di sequestro da parte del Greco precedeva di poche settimane l’assegnazione al Montagna del delicato quanto prestigioso incarico di capo della Polizia di Salò, nella qual carica si mantenne sino alla mattina del 26 aprile 1945.
Contro una cotale figura del fascismo repubblicano si stava ponendo dunque il Greco, reduce tra la fine di giugno e l’inizio luglio 1944 dal disarmo dei presidi fascisti di Bressana Bottarone e S. Maria della Versa. Ma perché il Greco si decise per una simile arrischiata impresa? Sino ad oggi nessun indagatore delle vicende della Resistenza, com-
presi Giulio Guderzo ed Ugo Scagni, hanno avanzato ipotesi; si sono invece limitati ad attingere al rapporto che fece il questore di Pavia nei giorni successivi, circostanziato alla dinamica dell’evento. La spiegazione ci viene invece dallo stesso Greco che in un’intervista del 1982, rilasciata in un fumoso caffé di piazzetta Gabetta, l’antica “polleria” di Voghera, così narrò: “Verso la fine di maggio 1944 avevano arrestato a Pianello Val Tidone, dov’era sindaco, il mio fraterno amico e collaboratore Attilio Lazzati. A Zavattarello seppi che lo stesso era stato rapidamente trasferito nelle carceri di Pavia per porlo al di fuori della mia portata, temendo un mio intervento per liberarlo. Non riuscivo a darmi pace al pensiero del mio amico in catene. Il tempo passava ed io, non disposto a rassegnarmi, venni nell’idea per cui l’unica soluzione praticabile per riaverlo nella mia banda era quella di proporre al nemico uno scambio con altro prigioniero, allora una prassi in uso, assai consolidata. Vagliai una infinità di ipotesi e di informazioni per individuare il soggetto più adatto a cui volgere le mie attenzioni. Finalmente quello giusto si propose alla mia attenzione. Era il generale Montagna della Repubblica di Salò, che mi dissero trovarsi nella sua residenza presso Santa Giuletta, in una massic-
cia villa su di un colle, difesa da non più di una decina di uomini. Nonostante siano passati moltissimi anni da allora, non riesco ancora a perdonarmi di non aver agito di persona! Preparai immediatamente un accurato piano di azione per il quale utilizzai un ex sergente dell’Esercito Regio, a capo di una piccola banda partigiana dello stradellino che operava a stretto contatto con il mio comando. Costui si offrì di realizzare il mio piano conoscendo bene, non solo la zona interessata, ma soprattutto, personalmente, il generale Montagna. Quindi in grado di identificarlo. L’area, teatro dell’operazione, doveva essere circondata per tempo, dalla sera precedente, senza dare nell’occhio per poi attendere il momento giusto, versa l’alba, per l’azione. Chiunque fosse uscito per primo dall’abitazione del generale da quel momento doveva essere costretto, pistola alla nuca, a far entrare i partigiani nella villa. Preso il generale, raccolte le armi disponibili in luogo, i partigiani sarebbero risaliti velocemente verso la montagna con la preziosa preda. Nel caso fossero insorte difficoltà tali da rendere problematica la cattura, si concordò di mantenere in atto l’assedio alla villa e di inviare nel contempo una staffetta al mio comando per richiedere il mio aiuto.
Non so che cosa passò per la testa di questo ex sergente. Sta di fatto che non si attenne al piano concordato. Giunto per tempo a Santa Giuletta, invece di presidiare la villa, considerando la cattura come cosa ormai fatta, fece aprire apposta all’una di notte una trattoria per mangiare e bere. Verso l’alba lui ed il suo gruppo salirono sul cucuzzolo dove è la villa. Trovarono il cancello antistante il cortile inaspettatamente aperto. Facendosi scudo con una donna, sorpresa nei pressi, raggiunsero l’interno e portarono fuori il generale ancora in pigiama, senza prima disarmare le sue guardie del corpo che riposavano. Probabilmente Montagna, quando si rese conto di quanto stava consumandosi contro di lui, chiese, alzando le mani, di poter rientrare nella casa per vestirsi. Gli fu concesso e fu un errore madornale, roba da sprovveduti. Salito quindi al primo piano, Montagna svegliò i suoi soldati e fece aprire il fuoco sugli aggressori che, colti di sorpresa si precipitarono fuori dalla villa dove cadde ucciso il più giovane dei partecipanti all’impresa, Maggiorino Bigoni, un mio prezioso collaboratore. Neppure il piano di riserva fu messo in atto dall’ex sergente che si precipitò col gruppo al mio comando senza presidiare esternamente la villa, come concordato. (continua sul prossimo numero)
Il Duce a Eboli intrattiene con cameratesca cordialità il Generale Renzo Montagna comandante del 6° Gruppo CC NN