soggetti rivelati
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Paolo Botti
vita della venerabile maria alberghetti, fondatrice delle dimesse di padova edizione critica commentata a cura di Andrea Maurutto
ILPOLIGRAFO
La storia delle donne è anche la storia di una progressiva, inarrestabile rivelazione. È stata, e continua a essere, una vicenda multipla, complessa, stratificata, che intravede da sempre nelle forme del dialogo e della narrazione la possibilità di porsi in relazione ad altro, di esplorare nuovi territori e nuovi mondi, reali e concreti non meno che immaginari, simbolici, metaforici. Ecco così emergere, con questa iniziativa editoriale, un’attenzione privilegiata per la scrittura e per le scritture femminili, per i momenti successivi di questa rivelazione, per le pratiche e per i moduli espressivi che hanno costruito nel corso dei secoli una soggettività di per sé narrativa e dialogica: ritratti di donne che hanno lasciato una profonda impronta nella letteratura, nella filosofia, nell’arte, ma anche nella scienza, nella religione, nella politica, nella storia del costume. Un simile approccio non implica semplicemente un cambiamento di oggetto o di metodo, ma esige, soprattutto, uno sguardo differente sulle cose e sulla realtà, la capacità di porsi in ascolto, di rimettere in discussione modelli, chiavi di lettura, prospettive solo apparentemente consolidate, per procedere oltre i rigidi confini di materie e discipline “canoniche”. I ritratti e le storie “rivelate”, più che tracciare una galleria in qualche modo definitiva di personaggi e di momenti, vogliono allora evidenziare il carattere irriducibilmente rizomatico, carsico, non lineare, di ogni percorso di libertà e di emancipazione. L’immagine da utilizzare potrebbe essere verosimilmente quella di un vasto arcipelago, in cui sia possibile muoversi e navigare, sulla base dell’ispirazione del momento, senza dover fare affidamento su un percorso preordinato, su una rotta già stabilita in partenza. Ogni singolo frammento può infatti ricollegarsi a ciò che sta prima come a ciò che lo segue: l’identità femminile si è costruita nel tempo “sedimentando” eredità di vario tipo, facendo leva proprio sulla ricchezza di tutte le esperienze di vita disponibili. In modo del tutto analogo, la storia delle donne potrà così assumere i caratteri di un cantiere aperto, mobile e modificabile, sempre pronto all’acquisizione di dati e conoscenze. L’identità è una storia in cammino.
soggetti rivelati ritratti, storie, scritture di donne collana di studi coordinata da Saveria Chemotti
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Paolo Botti
vita della venerabile maria alberghetti, fondatrice delle dimesse di padova edizione critica commentata a cura di Andrea Maurutto presentazione di Renzo Rabboni
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La presente pubblicazione viene realizzata con un contributo dell’Istituto delle Suore Dimesse Figlie di Maria Immacolata, Padova
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978-88-7115-876-1
INDICE
9 Presentazione Renzo Rabboni Andrea Maurutto Introduzione
Maria Alberghetti (1578-1664) la “tortorella” mistica del Signore 15 40 67 73 80 86
1. 2. 3. 4. 5. 6.
Premessa: la religiosità femminile nei secoli XVI e XVII Maria Alberghetti: un nuovo modello di misticismo La Compagnia delle Dimesse: cenni storici Paolo Botti: vita e opere Il manoscritto Aa.1.54 della Biblioteca Statale di Cremona Criteri di trascrizione
91
Paolo Botti Vita della venerabile Maria Alberghetti, fondatrice delle dimesse di Padova
Apparati 243
Cronologia della vita e delle opere di Maria Alberghetti
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Bibliografia
271
Indice dei nomi
Presentazione
Il Breve e succinto racconto della vita, morte e maraviglie della Venerabil M.D. Maria Alberghetti, opera del teatino Paolo Botti, qui edita per le cure attente di Andrea Maurutto, a cui spetta il merito del ritrovamento, appare un frutto maturo del clima culturale post-tridentino. Quando il rigore dogmatico, da cui discendono le cautele e le verifiche rigorose introdotte nella valutazione della disciplina monacale e dei requisiti della santità, specie se femminile, si apre a elementi di una spiritualità nuova, caratterizzata dagli spiccati tratti contemplativi e, insieme, dalla ricerca di una comunione ‘umana’ e amorosa col divino. La forma stessa del racconto, che è la riduzione di un originale dell’Alberghetti, lo dice mosso da intenzioni di modestia, oltre che di autenticità. Perché gli ornamenti e i lenocini dello stile, restano – per quanto possibile nel secolo delle ‘meraviglie’ – in secondo piano rispetto alle testimonianze fattuali e concrete di una vita elevata ad esempio di saviezza e umiltà. Mentre per quanto attiene all’affidabilità, appare garantita già dalla circostanza che indusse l’Alberghetti a farsi biografa di se stessa: Scrisse per ordine del confessore e però, a guisa di confessione, non riferì, né più né meno, di quello che le era occorso, non mancando in tal confessione una erubescenza grandissima.
La veneziana fu in effetti non meno santa nella vita che prolifica nella scrittura. Coltivò diffusamente sia la produzione in versi, che risulta forse il suo lascito maggiore, sia quella in prosa, e al suo interno i generi privilegiati della scrittura monacale: la biografia, il trattato e il dialogo. Il suo lascito, conservato nel prezioso Archivio
renzo rabboni
delle Dimesse di Padova, è a dir poco imponente e consiste di un centinaio e passa di volumi, tra autografi e apografi, dedicati a biografie e autobiografie (restando da stabilire il rapporto del nostro “abbozzo” con le due narrazioni conservate nei mss. 38, 39 e 40), sermoni, discorsi, meditazioni, esercizi spirituali, lettere e raccolte di versi: quest’ultime infine ‘riunite’ e probabilmente incrementate, con pezzi spuri, a oltre settecento nell’edizione postuma del Giardino di poesie spirituali, 1674. Si tratta di una produzione impressionante, che fa della Venerabile Madre una delle voci più singolari e caratteristiche del rinnovato slancio interiore nel Seicento. Anche al di là del giudizio sulla riuscita artistica, peraltro condizionato per troppo tempo dall’affermazione tranchante di Benedetto Croce sulle scrittrici minori del secolo: «Scarsissimo o nullo è il valore di tutta cotesta letteratura ascetica e rimeria spirituale, nella quale non si trova neppur l’ombra di una Caterina da Siena o di una santa Teresa». Oggi, grazie alla ripresa degli studi sulla spiritualità popolare, la scrittura femminile e la letteratura post-tridentina – penso alle indagini di Antonio Niero, Pamela Giorgi, Francesca Medioli, Giovanna Paolin, Lucetta Scaraffia, Gabriella Zarri – e grazie, inoltre, al superamento di pregiudizi vissuti troppo a lungo, siamo in grado di valutare con animo sgombro la straordinaria energia di questa protagonista autentica della rinata religiosità veneta. La quale merita di stare accanto, per fare un solo nome, ad Arcangela Tarabotti, di lei più giovane di una generazione, sia per l’efficacia della scrittura, sia per la lotta contro gli aspetti più disumani della costrizione conventuale femminile, che furono direttamente responsabili, peraltro, del degrado dei costumi del monachesimo contro cui, in primo luogo, si era appuntata la stretta controriformista. Si potrà ricordare a questo proposito che la congregazione delle Dimesse, alla quale l’Alberghetti dedicò la sua vita, fu originata dall’esigenza femminile di condurre vita religiosa in comune, ma senza l’obbligo dei voti e della clausura, in modo da unire alla contemplazione anche e soprattutto l’attività pastorale, attraverso l’insegnamento del catechismo, la visita alle inferme e la predicazione, anche fuori dalle mura del convento. L’azione dell’Alberghetti si esplica, dunque, in questa duplice direzione: da un lato, la rinuncia al corpo, la sua umiliazione, le «notti
presentazione
intiere in vigilia et orationi», seppure – si badi – senza isterismi, essendo questa l’unica via percorribile alla donna del tempo – come ha notato Pamela Giorgi – per affermare la propria dignità («Nel momento in cui comunicava direttamente con Cristo, la donna giungeva a ottenere una reale autonomia, in virtù della quale i comandi degli uomini sulla terra divenivano irrilevanti e la stessa autorità maschile, contro la quale si era ribellata, la poneva in una posizione di forza, riconoscendone la totale dipendenza dal volere divino»); dall’altro, l’apostolato terreno, la piena convinzione nel suo ruolo di Madre delle Dimesse e il desiderio di condividere con atti concreti, con le sorelle e il prossimo, l’amore per Dio. Si potrà notare che anche il Botti non appare insensibile alla novità e al fascino della sua protagonista, nonostante l’armamentario retorico dispiegato, da esperto autore qual era di opere devote (dalla Giornata spirituale nella quale si consacrano à Dio l’operationi umane proportionate a tutte l’ore, 1663; al Parlar alle grate. Discorsi alle Reverende monache morali, e spirituali sopra gli Evangelii dell’Avvento, e della Quaresima, 1678; alla Santità venerata con miracolosi successi dagl’elementi tutti, cioè: dalle creature sensate, e senza senso; ragionevoli, e prive di ragione; corporee e spirituali, 1690 ecc.), e nonostante il cipiglio inquisitorio evidenziato, che fa il paio con l’ossessione esaminatrice dei padri spirituali – segnatamente il francescano Antonio Pagani –, dei confessori e di quanti, insieme e dopo di lui, furono chiamati, anche in vita, a verificare l’ortodossia della condotta e degli scritti dell’Alberghetti. Tanto che la religiosa diventa qui l’eroina autentica di un racconto epico, di cui viene declinata la genealogia, proprio come un personaggio romanzesco o cavalleresco, e rivela già nel nome i segni del suo glorioso destino; anzi, ancor prima, nelle virtù degli avi, e poi nei numerosi avvisi che fin dalla culla la fanno una santa predestinata. Sicché il racconto gravita, con evidenza, verso la sanzione di quelle doti ‘potenziali’, rappresentata dal momento della scelta dei voti: quando i preannunci acquistano concretezza e si inverano nell’umiltà della condotta verso le consorelle, nella pazienza con cui sopporterà, sempre, le velenose insinuazioni dei ‘momi’, nello zelo con cui saprà sollecitare le sue ‘suddite’ e suscitare in loro, grazie alla parola e all’esempio, «un odio inesplicabile contro il vitio et
renzo rabboni
altrettanto amore alla virtù, particolarmente della pudicitia». Fino ad avvolgerla in un’aura di magia, dotandola di doti di preveggenza, di poteri taumaturgici, di virtù miracolistiche, e chiudere con un «vero ritratto», quello delle virtù sanzionate dalla vita, che rappresentano il segno più alto di questa prodigiosa esistenza. L’esistenza di una santa certo, ma di una santa che resta donna, di una «grand’anima» capace di lottare fino allo stremo delle forze per affermare i diritti delle sorelle nel momento in cui la Congregazione padovana è minacciata di soppressione, quando «il debito, alla compagnia addossato, non solo assorbiva il valore delle case, delle suppellettili e d’ogn’altra sua facoltà presente e futura, ma di gran lunga lo trapassava; non vergognandosi gli pretendenti, con ingiuriose parole, minacciare di scacciar le Dimesse da quel albergo». Si trattò di una prova che, come tutte le altre, la Venerabile seppe superare con la forza della fede, unitamente alle risorse di un’intelligenza e una tenacia incrollabili: «così Iddio medesimo, fatto suo protettore e delle di lei figlie avvocato, operò sì che le pretensioni de gli avversari fossero conosciute irragionevoli, approvata l’innocenza della compagnia». Alle opere della scrittrice fu riservata in passato una grande attenzione, seppure decrescente e solo fino alla metà dell’Ottocento. Abbiamo ora, grazie al lavoro di Maurutto, l’occasione per cominciare a riscoprirne l’importanza anche come riformatrice religiosa. Renzo Rabboni Università di Udine
INTRODUZIONE
MARIA ALBERGHETTI (1578-1664) LA “TORTORELLA” MISTICA DEL SIGNORE
Andrea Maurutto
Sigle e abbreviazioni ADPd ADUd APVe BSCr PG PL
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col./coll. colonna/e
1. Premessa: la religiosità femminile nei secoli XVI e XVII Prima di indagare nello specifico la carismatica personalità della Venerabile Maria Alberghetti, appare opportuno inquadrare, in senso generale, le grandi tematiche relative alla religiosità femminile, soprattutto quella monastica, tra Cinquecento e Seicento; se l’operazione potrebbe, a prima vista, apparire meramente compilativa, è invece convinzione di chi scrive il ritenerla fondamentale per definire esattamente la posizione in cui la fondatrice delle Dimesse padovane si colloca. Dal punto di vista religioso, i secoli XVI e XVII furono protagonisti di una radicale rivoluzione, sostanzialmente polarizzatasi in due fenomeni tra loro inscindibili: la Riforma e la Controriforma. La storia della Chiesa del XVI secolo è costellata di esempi di corruzione e immoralità, peccati di cui si macchiarono alti prelati della Curia e gli stessi pontefici. Roma divenne la sede centrale di un sistema, che ebbe come obiettivo prioritario non la cura delle anime, ma la speculazione per fini personali e familiari. A ciò si deve aggiungere lo stato di ignoranza in cui versava il basso clero, incapace spesso di esercitare un’efficace azione pastorale. A livello europeo, la risposta a tale degrado della Chiesa si tradusse, da una parte, nella diffusione del Luteranesimo e del Calvinismo e, dall’altra, nello Scisma anglicano (1534). Il grande processo di riforma avviatosi nel nord Europa non si ridusse a una sola questione morale, ma fu particolarmente dirompen L. Cristiani, La Chiesa al tempo del Concilio di Trento, in Storia della Chiesa, a cura di A. Fliche, V. Martin, Roma-Torino, SAIE, 1956-1991, pp. 490-492. Ivi, pp. 137-138, 186-193, 325-332.
andrea maurutto
te soprattutto per le tematiche teologiche che affermò, scardinando violentemente un sistema ecclesiastico consolidatosi ormai da secoli. Le divergenze si svilupparono su questioni che non erano state esplicitamente trattate nelle antiche confessioni di fede, come il ruolo della grazia, la relazione tra la fede e le opere dell’uomo e, soprattutto, tra le Sacre Scritture e il magistero della Chiesa. Il mondo cattolico reagì con decisione a quelle correnti riformiste, che minavano alla base il sistema dogmatico e organizzativo della Chiesa, convocando a Trento un Concilio, i cui lavori durarono, seppur con numerose pause, quasi vent’anni, dal 1545 al 1563. La complessità dei problemi affrontati durante il Concilio, le decisioni maturate e il rinnovamento della Chiesa hanno aperto, nel corso degli anni, un dibattito molto acceso, che è diventato il problema interpretativo di un’intera epoca storica, non più circoscritta ai lavori del Concilio tridentino, ma estesa nel tempo e nello spazio. A cominciare dall’opera del frate veneziano Paolo Sarpi, autore di una Istoria del concilio tridentino (1619), una parte della storiografia, cioè quella liberale, ha sottolineato gli effetti negativi dell’operato della Chiesa di Roma, spinta a intervenire solo dopo la diffusione del Protestantesimo. In quest’ottica, le riforme della Chiesa furono una risposta puntigliosa della latinità allo spirito germanico, apportatore di un nuovo impulso vitale nella storia europea, al cui proposito si deve parlare di Controriforma, attribuendo al termine l’accezione negativa E. Bonora, La Controriforma, Roma-Bari, Laterza, 2003, pp. 45-58. Com’è noto, tre furono a tal proposito i punti focali del dibattito teologico: il primo riguardò la Bibbia, che secondo i protestanti doveva essere l’unica autorità per il cristiano, perché Dio parlava direttamente in essa – mettendo così in secondo piano l’autorità dei pontefici e dei concilii – e poteva essere letta e interpretata da tutti senza intermediari; il secondo i Sacramenti, che per la Chiesa erano segni tangibili ed efficaci della grazia, mentre per i protestanti, che riconoscevano solo il battesimo e l’eucarestia, erano privi di ogni sacralità; e infine il terzo il sacerdozio universale di tutti i credenti, negando l’esistenza di una figura di mediazione tra l’essere umano e Dio e, di conseguenza, svuotando di significato il ruolo del clero. L. Cristiani, La Chiesa al tempo del Concilio di Trento, cit., pp. 377-387; M. Regazzoni, Cinque e Seicento. L’epoca delle riforme e della Controriforma, in Storia della spiritualità italiana, a cura di P. Zovatto, Roma, Città Nuova, 2002, pp. 303-308. E. Bonora, La Controriforma, cit., pp. 58-59; G. Cozzi, L. Cozzi, Paolo Sarpi, in Storia della cultura veneta, 4.2., Il Seicento, Vicenza, Neri Pozza, 1984, pp. 28-33; P. Prodi, Chiesa e Società, in Storia di Venezia, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1994, VI, p. 320.
introduzione
di un periodo dominato dal formalismo, dal legalismo, dall’ipocrisia e dalla cristallizzazione intellettuale. Opinioni opposte hanno espresso gli storici cattolici, che si sono ispirati all’opera apologetica del cardinale Sforza Pallavicino, autore della Storia del concilio di Trento (1644). Il più autorevole interprete cattolico è stato lo storico tedesco Hubert Jedin, che enunciò i numerosi meriti del Concilio e polemizzò sull’uso del termine “Controriforma”, adoperato dai detrattori del Cattolicesimo romano, ritenendo molto più veritiera e storicamente giustificata l’espressione “Riforma cattolica”. Secondo Jedin, infatti, il rinnovamento della Chiesa precede il 1517, anno in cui Martin Lutero affisse al portone della cattedrale di Wittemberg le 95 tesi sulla dottrina delle indulgenze, come dimostrano i numerosi Ordini religiosi e le congregazioni, la cui fondazione è precedente o contemporanea a quegli anni. Nel 1497 venne fondata a Genova un’associazione di laici ed ecclesiastici, chiamata Oratorio del Divino Amore, che si proponeva il duplice scopo di affinare la sensibilità spirituale dei suoi adepti e di soccorrere i bisognosi (orfani, prigionieri, malati, mendicanti). Nello stesso anno cominciò la sua attività anche la Pia opera di Santa Corona, fondata dal domenicano Stefano da Seregno, il cui intento era quello di perfezionare l’esercizio della carità, offrendo una regola di vita cristiana e un nutrimento spirituale. Congregazioni simili sorsero quindi in molte città italiane e garantirono la restaurazione spirituale e temporale del popolo di Dio, esercitando il loro influsso sulla religiosità del primo Cinquecento, attraverso un rigoroso ascetismo e uno spiritualismo apostolico, ispirato alle primitive comunità cristiane. Entro il 1540, in Italia, indipendentemente dall’eco della Riforma, germogliarono alcuni nuovi istituti di chierici regolari, i cui meriti, secondo la storiografia cattolica, travalicarono i limiti della polemica antiluterana o anticalvinista e interessarono la società del tempo, svolgendo un proficuo lavoro di educazione e di assistenza: i Cappuccini (1520), i Teatini (1524), E. Bonora, La Controriforma, cit., pp. 13-14. H. Jedin, Storia del Concilio di Trento, Brescia, Morcelliana, 1949, I, pp. 13-33. L. Cristiani, La Chiesa al tempo del Concilio di Trento, cit., pp. 16-20; M. Regazzoni, Cinque e Seicento, cit., pp. 231-233. M. Regazzoni, Cinque e Seicento, cit., p. 243.
andrea maurutto
Bisogna, però, aggiungere che se il complesso delle opere s’impone per la mole, lo stesso non può dirsi dello stile, che è privo di preoccupazioni di carattere stilistico e metrico, essendo tutto concentrato nella forza dei concetti. La scrittura dell’Alberghetti, infatti, non risalta tanto per la creatività o l’eccezionale visionarietà del linguaggio mistico, ma per una nitida consapevolezza, che attinge la propria forza e ragione d’essere nel tentativo incessante di raccontare un rapporto in genere quotidiano e pacato, ma non per questo meno intenso, con Dio. Ciò si ricava dalle lunghe meditazioni devote, dalle canzoni e dagli inni spirituali, dai memoriali, dall’ingente quantità di lettere indirizzate a laici e religiosi e, ancora di più, dalle due autobiografie, scritte per obbedienza al proprio confessore, veri e propri testamenti spirituali: la prima composta in gioventù e la seconda negli anni della maturità. Nelle sue autobiografie, l’Alberghetti racconta il percorso spirituale della sua vita e la propria esperienza interiore, delineando con chiarezza e coerenza il concetto guida di annichilazione, orientato alla contemplazione dell’esinanizione del Verbo nella persona umana di Cristo, corrispondente con la verità teologica della kenosis del Figlio. La cifra individuale della sua vocazione consiste, soprattutto, nella normale, continua e mai interrotta consuetudine alla scrittura, che copre di fatto l’intero corso della sua lunga esistenza. L’interesse che destano i suoi scritti e, in particolare, le due autobiografie, risiede dunque nella medietà del suo stile e, nel contempo, in un’attitudine che può definirsi professionale nei confronti dei testi scritti, originatasi dalla necessità e dall’esperienza e non da un regolare corso di studi, come peraltro accadeva alle donne, anche a quelle di condizione elevata come la sua, cui era in genere garantita un’educazione basica, ma di norma estranea ai circuiti ufficiali di produzione e riproduzione della cultura. Non si può dimenticare che, per quanto possa essere imporcarte segrete». Si è già avuto modo di osservare come il Concilio di Trento rapprensenti una sorta di spartiacque nella storia della Chiesa occidentale. Già dalla fine del Cinquecento, dunque, e poi per tutto il Seicento, le disposizioni dell’assemblea conciliare ebbero una notevole importanza e influenza sulle forme della religiosità, registrando in campo mistico «una moltitudine di anime mistiche sperimentali», sia maschili che femminili, che alimentarono l’aspetto più tipico della spiritualità italiana di quel secolo, cioè l’ottimismo cristiano, vissuto però, secondo gli insegnamenti di san Filippo Neri, con una profonda libertà cristiana, assicurata nell’ascesi, nella mortificazione e nella penitenza.
1. Ritratto di Maria Alberghetti, incisione tratta dalla lastra di rame realizzata in occasione dei suoi ottanta anni (1657), Padova, Istituto delle Suore Dimesse Figlie di Maria Immacolata.
4. Autografo di Maria Alberghetti (ADPd, ms. 7, c. 74v).
5. Autografo di Maria Alberghetti (ADPd, ms. 7, c. 75r).
6. Autografo di Maria Alberghetti (ADPd, ms. 24, c. 1r).
7. Pagine di un fascicolo con schizzi autografi di Madre Alberghetti (ADPd).
10. Edizione a stampa delle Meditationi divote (Padova, 1658) con correzioni autografe manoscritte di Maria Alberghetti.
11. Frontespizio di Maria Alberghetti, Discorsi sopra li Evangelii correnti nelle domeniche per l’anno..., Padova, Sebastiano Sardi, 1656.
All’indomani della chiusura del Concilio di Trento, un nuovo modello di santità si impone nell’universo cattolico. A incarnarlo in tutte le sue sfaccettature è la fondatrice della Compagnia delle Dimesse di Padova, la veneziana Maria Alberghetti (1578-1664), il cui messaggio mistico conserva ancora intatta tutta la sua forza originaria. La biografia della religiosa – qui proposta in un’edizione critica commentata – è stata scritta al tramonto del XVII secolo dal teatino cremonese Paolo Botti. Con uno stile agile e fresco, una sintassi ricca, semplice e scorrevole, libera dall’ampollosità retorica tipica della prosa secentesca, l’opera consegna alla storia il ritratto di una delle personalità più autentiche della Controriforma in terra veneta. Nella sua lunga, serena e operosa esistenza, la Alberghetti seppe conciliare gli impegni quotidiani della vita religiosa con una prolifica attività letteraria. La sua figura spicca in un contesto monastico – quello della Serenissima tra Cinquecento e Seicento – generalmente ricordato per la condotta dissoluta delle monache e per i soprusi subiti da giovani donne, relegate in un ruolo marginale all’interno della famiglia e della società, alle quali veniva imposto il velo con la forza. Le virtù e le doti morali di Maria Alberghetti sono valorizzate dalle pagine di Botti, che, nel tratteggiare il suo ritratto, sa offrire al lettore anche un vivido quadro dell’epoca. Andrea Maurutto, laureatosi in Scienze del testo e del libro presso l’Università degli Studi di Udine, è docente di materie letterarie. Attualmente la sua ricerca è rivolta alla scrittura femminile in ambito monastico.
in copertina Ritratto di Maria Alberghetti, incisione, 1657
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