RICERCHE
Devis Valenti
Le immagini multiple dell’altare: dagli antependia ai polittici Tipologie compositive dall’Alto Medioevo all’età gotica presentazioni di Giordana Trovabene e Sergio Marinelli
ILPOLIGRAFO
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RICERCHE collana della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Venezia
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LE IMMAGINI MULTIPLE DELL’ALTARE: DAGLI ANTEPENDIA AI POLITTICI Tipologie compositive dall’Alto Medioevo all’età gotica
presentazioni di Giordana Trovabene e Sergio Marinelli
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Il presente volume viene pubblicato con il contributo del Dipartimento di Filosofia e Beni culturali dell’Università Ca’ Foscari di Venezia
© Copyright novembre 2012 Il Poligrafo casa editrice srl 35121 Padova piazza Eremitani - via Cassan, 34 tel. 049 8360887 - fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it ISBN 978-88-7115-801-3
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INDICE
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Presentazione Giordana Trovabene
13
Presentazione Sergio Marinelli
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Premessa
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I.
LA MOLTIPLICAZIONE DEI CULTI E DEGLI ALTARI
27 36
1. 2.
La parcellizzazione degli spazi ecclesiastici romani La frammentazione liturgica nel Medioevo
45
II.
IMMAGINI E RELIQUIE: UN NUOVO ASSETTO DEGLI ALTARI
45 56 65
1. 2. 3.
Liturgia eucaristica e culto dei santi Le immagini d’altare: una progressiva accettazione Reliquiari e immagini: un destino comune
77
III. LE PRIME TABULAE D’ALTARE
77 127 141 154
1. 2. 3. 4.
Gli antependia La posizione dell’officiante La visibilità e l’accesso all’altare I primi retabli
181
IV.
LA DEFINIZIONE DELLE FORME
181 193
1. 2.
Il ruolo dell’oreficeria Il ruolo della pittura
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V.
LA COMPLICAZIONE DELLE FORME: IL POLITTICO
230 234 252 276 280 289
1. 2. 3. 4. 5. 6.
La pala di Cimabue del 1301 Alle origini del polittico senese Il laboratorio della cattedrale di Siena I polittici come microarchitetture Giotto Finti polittici
293
VI. VERSO L’IMMAGINE UNICA
293 297 304
1. 2. 3.
313
VII. LA COMPOSIZIONE DELLE IMMAGINI
313 317 342 350
1. 2. 3. 4.
373
VIII. ANALISI DELLE COMPOSIZIONI
375 375 386 400 420 434 435
1.
439 440 467 479 483 537 549 550
2.
La Pala Strozzi (1357) Firenze nella seconda metà del Trecento Taddeo di Bartolo: il ventaglio delle possibilità
Imago e Historia La combinazione delle scene Il caso della croce dipinta Le connessioni tra le scene
Gli antependia 1.1. 1.2. 1.3. 1.4. 1.5. 1.6.
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Composizione teofanica a registro unico Composizione teofanica a registri sovrapposti Composizione di tipo agiografico Composizione di tipo narrativo Composizione teofanica con scena narrativa centrale Composizione unificata
I retabli 2.1. 2.2. 2.3. 2.4 2.5. 2.6. 2.7.
Composizione teofanica a registro unico Composizione teofanica con scena narrativa centrale Composizione teofanica a registri sovrapposti Composizione di tipo agiografico Composizione di tipo narrativo Composizione di tipo narrativo con teofania centrale Composizione unificata
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554 559 562
3. 4. 5.
587
Conclusioni
591
Bibliografia
661
Indice dei luoghi
669
Indice dei nomi
I trittici laziali Le lunette Dittici, trittici, polittici portatili
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PRESENTAZIONE Giordana Trovabene
Questo libro di Devis Valenti, frutto di attente meditazioni successive alla sua già brillante tesi di Dottorato, apre con decisione una buona strada per la lettura chiara e approfondita delle molteplici forme strutturali e decorative degli altari cristiani di epoca medievale. L’arte di questo periodo, per la sua lunga durata, permette meglio che in altri casi di identificare visibilmente i numerosi cambiamenti che ne hanno caratterizzano l’evoluzione, le fasi e gli approcci in relazione ai fatti e agli eventi storici e culturali. L’analisi puntuale compiuta sulle varie tipologie degli altari appare subito tutt’altro che compilativa e pedissequa, supportata com’è da una profonda e solida indagine sull’evoluzione dei culti cristiani, succedutisi nel tempo, e sulle conseguenti variazioni, e incrementi, dei rituali che imposero, di volta in volta, modifiche anche di natura funzionale. La consultazione di numerose fonti del tempo ha permesso all’autore di scandagliare l’ampio ventaglio delle pratiche religiose che, nel periodo preso in esame, si dibattevano tra conservazione e innovazione, abitudine e desiderio di minore o maggiore enfasi. L’altare, come è noto, è da sempre l’unico elemento dell’arredo liturgico cristiano indispensabile per la sacralità dell’edificio di culto, luogo di preghiera, di devozione e di estasi, e che di queste pratiche è lo strumento: fin dall’età paleocristiana esso ha rappresentato il cardine della struttura edilizia che lo contiene e il fulcro della modalità itinerante del rito cristiano. Mentre nei secoli dell’altare resta logicamente incontrastato il ruolo, numerosi sono tuttavia i cambiamenti che il suo aspetto formale assume, non solo
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giordana trovabene
per gusto estetico e stilistico, ma sempre più per posizione e composizione strutturale, nonché per ubicazione e quantità. Il lavoro di Valenti si snoda con una elegante e precisa ricognizione di tali trasformazioni, nel tentativo di capire, attraverso la composizione complessiva dell’altare, il linguaggio che esso è in grado di trasmettere ai fedeli e la trama di relazioni iconograficospaziali con le altre decorazioni dell’edificio, non escluso il pavimento quando anch’esso dialoga col pubblico attraverso exempla e storie figurate. Lo studio delle forme e delle componenti degli altari medievali sottolinea ancora una volta la funzione non solo didascalica delle immagini che li compongono, bensì il ruolo attivo delle figure che in essi di volta in volta sono inserite, come personaggi teatrali cui sempre più spesso si aggiungono comparse per lo svolgimento dei rituali. Negli otto capitoli in cui il volume è strutturato passano in rassegna antependia, altari reliquiario, tavole d’altare, paliotti, retabli, polittici che, attraverso i numerosi esempi citati, prendono corpo nell’articolazione dello spazio sacro dell’edificio. Brillantemente lo studio mette in luce tutti gli aspetti relativi ai cambiamenti liturgici degli altari e, di conseguenza, il risalto delle immagini che pian piano entrarono a corredo dei medesimi, influenzando non solo nuove iconografie, ma anche la lettura condizionata delle figure inserite man mano in una gerarchia funzionale ai riti. Un ruolo non secondario è ovviamente riservato alle reliquie, responsabili fin dalla prima età cristiana di cambiamenti rituali nelle chiese, suggerendo o addirittura imponendo nuove serie di figure per veicolare e condizionare i nuovi culti. Per la decorazione e la composizione stessa degli altari medievali sono principalmente due le tecniche in campo, l’oreficeria e la pittura, a volte anche abbinate, poi accompagnate, soprattutto in epoca gotica, anche dalla scultura nelle sue varie formulazioni. Senza dubbio i tabernacoli hanno influenzato le successive fisionomie degli altari, in particolare i retabli, determinando il passaggio da forme tridimensionali a fogge bidimensionali, dove la pittura ha esercitato incondizionatamente il suo dominio grazie anche alle iconografie più numerose e all’organizzazione delle stesse.
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Infatti le diverse tipologie di immagini, a carattere sia teofanico sia narrativo, furono impostate in nuove e diverse composizioni, proprio per articolare la loro lettura durante i rituali. Nonostante il mutare delle esigenze liturgiche e delle “mode” culturali, gli impianti iconografici degli altari sembrano aver mantenuto i caratteri basilari: sottolineare cioè la sacralità del manufatto attraverso immagini venerabili, e mostrare la vicenda umana, storica, documentabile delle stesse, pur tenendo conto dei luoghi comuni dell’agiografia cristiana. L’importanza di questo volume, sia per il vasto contenuto, sia per l’originale impostazione di ricerca che, come un work in progress, esamina l’evoluzione storica del principale componente del luogo di culto cristiano, conferma la solida preparazione e l’acume scientifico dell’autore, sicuramente uno dei migliori di tutta la mia esperienza di insegnamento. Pertanto, un ringraziamento particolare deve essere rivolto a Devis Valenti per questo ulteriore contributo, sicuramente apprezzabile dagli studiosi della materia.
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PRESENTAZIONE Sergio Marinelli
Anche lo spazio figurato, nelle sue articolazioni, presenta mutazioni epocali. Nei corsi e ricorsi della storia, che qualcuno periodicamente teorizza, esse non si vedono nei grandi archi, che superano anche la durata delle vite, delle generazioni, dei secoli. Gli spazi della tarda antichità sono spesso solo le proiezioni di altri infiniti, come le teofanie delle grandi absidi, le teorie senza soluzione delle vergini e dei santi. Anche quelli degli iconoclasti, per quanto poco resta, significativamente non hanno limite. Iniziò poi, e sempre più progressivamente, la suddivisione delle immagini, anzi l’origine delle immagini stesse in quanto definite e limitate, che ebbe in seguito un’accelerazione impressionante verso la fine del Trecento, con polittici ordinati e complicatissimi, come quello di San Giovanni di Giusto de’ Menabuoi nel Battistero di Padova, con più di cinquanta pezzi. Ma anche il soprastante Paradiso di Giusto nello stesso Battistero contiene un insieme di figure giustapposte, comunque numerabile; non è infinito. Quanto tutto questo corrisponda agli sviluppi del pensiero filosofico Scolastico e alle sue distinzioni, non è facile determinare non genericamente, caso per caso. Come non è facile determinare quanto corrisponda alle gerarchie, sempre più complesse e istituzionalizzate, del potere temporale. Le iconostasi degli ortodossi, che si presentano indubbiamente come vasti polittici, pure staccano e moltiplicano le immagini sempre più a dismisura nel tempo. Icone cretesi tarde presentano, come figurine, tutti i santi del Paradiso. Si parla qui, beninteso, solo dello spazio sacro: dell’altro è ben più difficile una ricostruzione
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sergio marinelli
storica organica, ma forse esso fu assai meno frazionato, come la vita. E di quello occidentale: l’Oriente più lontano, come quello buddhista, sembra presupporre sempre, anche negativamente, l’infinito al finito. La situazione si chiarifica e semplifica alla fine nel Quattrocento umanistico. La grande pala centrale è il presente, il reale, lo spazio sulla terra. La centina raccoglie le figure dell’eternità e del cielo e perciò appunto è quasi sempre curvilinea, come la volta celeste; negli anni gotici precedenti poteva essere anche a forma di fiamma ascendente. Le predelle, memoria inconscia degli antichi antependia, raccontano la storia passata. C’è posto anche per tutti i santi correlati nei pilastrini della cornice. Ma presto la grande immagine si sbarazza di tutti i suoi satelliti, si impone nella sua unità assoluta. Anche se ancora nella tarda età barocca si ritrovano al di sopra delle pale, tra i marmi e gli stucchi degli altari, ovali con padri eterni e santi aggiuntivi, esclusi dalla logica dell’immediata rappresentazione sottostante. Quanto anche in questo abbia inciso la rilettura della Poetica di Aristotele, il libro più determinante, non forse per la storia dell’arte, ma per il farsi dell’arte stessa, con la sua teorizzazione dell’unità del tempo, dello spazio e dell’azione, sarà ancora da vedere, caso per caso. Ma, se gli inquadramenti generali sono suggestivi, più proficuo è seguire il corso degli eventi nei meandri della storia, che, si sa, è poi fatta solo di eccezioni. Questo sarà possibile lungo tutta l’età di mezzo con la guida sicura del libro di Devis Valenti, di cui non stiamo a enumerare i pregi, lasciandoli a beneficio e scoperta del lettore. Esso viene a porsi di collegamento, credo già come idea di partenza, con Polittici, di Caterina Virdis e Mari Pietrogiovanna, del 2001, che già recensimmo nello stesso anno. E questo non trattiene dall’esprimere ancora tutta la simpatia e il consenso a Caterina, compagna nello studio di Padova. A latere c’è stato tutto il lavoro dei filologi, da Federico Zeri ad Andrea de Marchi, che, nella ricostruzione dei polittici italiani smembrati, hanno dovuto anche interrogarsi, per ricomporli, sul loro significato e la loro funzione.
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Come già quello della Virdis, anche questo libro si muove in una rassegna di orizzonte europeo, la piÚ logica nell’ottica universalistica medioevale, dando tuttavia conto di tutte le diversità , come un nuovo strumento esplorativo e sistematico, ma senza tesi preconcette da dimostrare, per dare senso a una storia, che pareva anche sfuggire e perdersi in un labirinto nominalistico.
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LE IMMAGINI MULTIPLE DELL’ALTARE: DAGLI ANTEPENDIA AI POLITTICI
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I LA MOLTIPLICAZIONE DEI CULTI E DEGLI ALTARI
1. La parcellizzazione degli spazi ecclesiastici romani La frammentazione degli spazi all’interno delle chiese, in base a quanto oggi rilevabile, non solo risale a un’epoca estremamente precoce (sicuramente già a partire dal VI secolo con papa Simmaco1), ma essa è praticata in larga misura anche a Roma ove si è spesso creduto che il rigoroso impulso tradizionalista avrebbe escluso la suddivisione in cellule secondarie dell’unitarietà dell’impianto basilicale paleocristiano. In realtà le fonti, sia archivistiche che archeologiche, e le rare attestazioni materiali ancora individuabili contraddicono questa visione di spazi liturgici romani non parcellizzati. Nei secoli successivi il fenomeno divenne più frequente: ad esempio ai tempi di papa Gregorio III (731-741) la basilica di San Paolo fuori le Mura era dotata di almeno cinque altari, mentre la chiesa di Santa Prassede, eretta da papa Pasquale I (817-824) possedeva 1
Ad esempio papa Simmaco (498-514) fece costruire cappelle e oratori dedicati ai santi di cui si conservavano le reliquie. Tra questi anche l’adattamento della rotonda tardo-antica in cappella di Sant’Andrea in cui ognuna delle nicchie fu provvista di un altare proprio: “Hic fecit basilicam sancti Andreae apostoli apud beatum Petrum, ubi fecit: tiburium ex argento purissimo et confessionem, pens. lib. CXX; arcos argenteos III, pens. lib. LX; oratorium sancti Thomae apostoli: ex argento, pens. in confessionem lib. XX; arcum argenteum, qui pens. lib. XVI; confessionem sancti Cassiani et sanctorum Proti et Yacinti ex argento, pens. lib. XX; arcum argenteum, pens. lib. XII; oratorium sancti Apollinaris: ex argento in confessionem cum arcum, pens. lib. XXXI; oratorium sancti Sossii: ex argento confessionem, pens. lib. XX” (Liber Pontificalis, LIII, 6). Su questo passo si considerino anche le valutazioni di Braun (1924, I, pp. 368-373) e De Blaauw (1994, II, pp. 485-486). Su questa problematica vedi anche Nussbaum 1965, pp. 279-281.
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capitolo primo
due cappelle al suo interno2. L’esempio però più calzante è quello di Santa Maria Antiqua che attraverso le sue fasi architettoniche e decorative tra VII e IX secolo fu dotata di tre cappelle di cui una privata e un altare secondario nella navata sinistra3. Anche nella chiesa inferiore di San Clemente è testimoniata la presenza di altari laterali dedicati a culti specifici, assegnabili al IX secolo4. Le emergenze archeologiche degli esempi citati lasciano presupporre che queste suddivisioni interne delle chiese non consistevano in genere in ambienti separati e completamente indipendenti. Si trattava piuttosto di parcellizzazioni spaziali delimitate da transenne o muretti bassi che non compromettevano del tutto il senso di unità spaziale della chiesa5. Benché non esistessero delle norme che regolassero l’utilizzo di questi altari secondari, è plausibile che almeno nel suo dies natalicii fosse celebrata una funzione religiosa a commemorazione del santo titolare della cappella le cui reliquie erano state traslate dalle catacombe, determinando anche un arricchimento del calendario liturgico relativo alla chiesa ospitante6. Oltre a queste celebrazioni ufficiali, corrispondenti alla crescente stratigrafia cultuale dei singoli edifici ecclesiastici, la proliferazione di altari secondari contribuì alla pratica delle preghiere individuali, in un sistema in cui era possibile per il cristiano una forma di personalizzazione della fede attraverso un itinerario stazionale tra le cappelle. La distinzione tra un altare maggiore e una serie di altari secondari comportò inevitabilmente una dicotomia tra le celebrazioni comunitarie e quelle individuali, ovvero le messe votive e private, officiate per adempiere a delle richieste specifiche del fedele come quelle di intercessione per i malati o i defunti7.
2
Bauer 1999, p. 408. Per la storia complessa dell’edificio si consulti la bibliografia riportata in Bauer 1999, alle note delle pp. 408-412. 4 Guidobaldi 1992, pp. 205-208. 5 Bauer 1999, p. 415. 6 Jounel 1965. In San Pietro i decreti liturgici di papa Gregorio III (731-741) determinarono lo sviluppo di centri liturgici secondari, in corrispondenza delle tombe dei santi (Bauer 1999, pp. 425-432 e bibliografia riportata). 7 Braun 1924, I, pp. 375-376; Bauer 1999, pp. 438-441. 3
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la moltiplicazione dei culti e degli altari
Del resto l’elevato numero di reliquie nella città di Roma dovette favorire la decentralizzazione della liturgia. La cripta, la cappella e l’altare secondario sono elementi essenziali, anche se non indispensabili, della chiesa del primo Medioevo. Essi costituiscono zone chiuse, a sé stanti, all’interno di tutto l’edificio, pur essendone parte, e mettono in questione l’unità dello spazio sacro orientato verso l’altare principale, scindendola in una molteplicità di centri liturgici secondari.8
Dal nostro punto di vista, quello che più interessa, ovvero l’assunzione di immagini, singole o multiple, in contatto con gli altari, appare chiaro che in coincidenza con queste dinamiche, a partire soprattutto dal secolo VIII, i riferimenti a supporti figurati, con iconografie relative a Cristo, alla Vergine e ai santi titolari, aumentarono9. La progressiva polarizzazione degli spazi delle chiese determinò da un lato l’enfatizzazione dell’altare maggiore e della confessio, riservati al clero e inaccessibili ai laici, e dall’altro lo sviluppo di luoghi secondari di preghiera, organizzati attorno ad altari minori, presso i quali era consentito un approccio più intimo con la divinità.
8
Bauer 1999, pp. 385-387. L’allestimento figurativo collegato direttamente al culto delle reliquie è attestato dalla preziosa e rara testimonianza fornita dal sacello privato della domus posta al di sotto della chiesa romana dei Santi Giovanni e Paolo. Si tratta di un complesso caratterizzato dalla successione di numerose fasi architettoniche, ma che per il contesto che ci interessa è direttamente riferibile alla famiglia del senatore Pammachio e della moglie Paolina, alla fine del IV secolo. In corrispondenza della nicchia riservata alla custodia delle reliquie sono sopravvissuti alcuni lacerti di affresco, in parte di tipo narrativo, con episodi martiriali, in parte di tipo agiofanico con un santo in posa orante, oltre alla reiterazione dei ritratti dei devoti, forse i membri della famiglia proprietaria, tra cui gli stessi Pammachio e Paolina. La necessità di contrassegnare in modo così marcato anche un luogo di culto privato, in un periodo di grande diffusione a Roma di “ecclesiae domesticae” (secondo la definizione di Gerolamo, epistola 108), può avere in qualche modo influito anche sulle consuetudini all’interno delle chiese vere e proprie, spesso eredi di queste primordiali cappelle del patriziato romano (lo stesso sacello di Pammachio e Paolina fu plausibilmente donato alla chiesa a ridosso della sua costruzione, agli inizi del V secolo). Vedi per tutta la questione interpretativa Munk 2009. 9
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capitolo primo
Uno di questi spazi è stato ricostruito da Tronzo e riguarda la chiesa inferiore di San Clemente (fig. 1)10. L’altare sarebbe stato addossato alla parete, sormontato da un arcosolio e circondato da un recinto composto da plutei. Sul muro al di sopra di esso rimangono i resti di un affresco di IX secolo che svolgeva un ruolo parallelo a quello di un retablo bassomedioevale e che rappresentava l’episodio conclusivo e trionfante del ciclo cristologico dipinto sulla stessa parete: l’Ascensione di Gesù11. La scena unificata, con la schiera degli apostoli in basso e Cristo in alto, racchiuso entro una mandorla sorretta da quattro angeli, era visivamente bipartita da una fascia divisoria al cui centro si interponeva la Madonna orante. In questo modo la composizione, pur nell’unità di tempo e spazio, poteva essere concepita come la somma di un settore inferiore rettangolare, improntato alla narrazione drammatica dell’evento, e uno superiore a forma di lunetta incentrato su un tema a carattere teofanico. Nei secoli successivi la Riforma Gregoriana comportò a Roma una fervida attività edilizia di rinnovamento degli edifici religiosi12. Se la componente più appariscente di questa fase sembra essere, come evidenziato da Toubert, il “renoveau paléochrétien”, altri aspetti vanno ulteriormente considerati13. Al di là del conservatorismo dettato dal programma di recupero del cristianesimo originario, anche nella città dei papi le nuove esigenze di culto richiesero un adattamento degli spazi interni della chiesa. Come espresso negli scritti di Bruno di Segni (1045-1023)14, Onorio di Autun (1080-1054)15 e di Sicardo di Cremona (1155-1215)16, l’architettura 10
Tronzo 1987, pp. 477-489; vedi anche: Matthiae 1987, pp. 177-181; Bauer 2000, pp. 114-115. 11 Bertelli 1994, p. 222. 12 Sulla riforma si indicano qui solo alcuni riferimenti bibliografici di base: Violante 1965; Miccoli 1966; Morghen 1974; Cowdrey 1986 e 2000. 13 Toubert 2001. 14 Bruno di Segni, Tractatus tertius. De sacramentis Ecclesiae, mysteriis atque ecclesisticis ritibus, in PL, 165, coll. 1089B-1110A; De figuris ecclesiae, in PL, 165, coll. 875A-902B; De ornamentis ecclesiae, in PL, 165, coll. 901B-942D. 15 Onorio di Autun, De gemma Animae, in PL, 172, coll. 541-738. 16 Sicardo di Cremona, Mitrale seu De officiis ecclesiasticis summa, in PL, 213, coll. 13-433.
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la moltiplicazione dei culti e degli altari
1. Ricostruzione di un altare laterale in San Clemente a Roma con affresco dell’Ascensione, sec. IX (Tronzo 1987).
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VII LA COMPOSIZIONE DELLE IMMAGINI
1. Imago e Historia Le tavole d’altare, sia quelle destinate a ricoprirne la fronte, sia quelle posizionate al di sopra della mensa, dal punto di vista dell’organizzazione delle immagini si strutturano attraverso l’impiego di un linguaggio binario, composto cioè da scene teofaniche e da altre narrative. È essenzialmente attraverso una diversa combinazione di questi due elementi che si articolano e si differenziano tra loro le forme di decorazione figurativa degli altari. È vero che, oltre all’allestimento di queste partizioni, concorrono a formare le caratteristiche di una tavola d’altare anche gli aspetti stilistici e tecnici, che riguardano non solo il modo di realizzare una scena, ma anche il tipo di inquadramento entro il quale essa viene inclusa (ad esempio l’incorniciatura esterna, oppure la maniera in cui i vari riquadri sono separati tra loro). Le caratteristiche estetiche, però, sono perlopiù relative ad una certa epoca e ad un contesto geografico più o meno definibile, mentre l’aspetto che in questo lavoro si intende evidenziare consente di seguire in senso diacronico la storia delle immagini multiple lungo il crinale della loro eventuale continuità. L’antependium o il dossale italiani, dunque, nonostante le esigenze liturgiche mutate e il susseguirsi delle mode, mantengono alcune caratteristiche pressoché immutate. Essi, cioè, mostrano in molti casi un forte conservatorismo nell’organizzazione dei cicli iconografici, in parte anche a causa dei limiti imposti dalla loro collocazione, limitata dalla necessità di rapportarsi, seppure in modo diverso, all’altare. Non mancano, però, anche esempi che
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capitolo settimo
136. Rilievo con Onfale ed Ercole, Napoli, Museo Archeologico Nazionale, età ellenistica. 137. Valve del dittico “dalle cinque parti”, Milano, Tesoro del Duomo, sec. V.
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narrativa è ad esempio poco utilizzata nelle grandi tavole d’altare medievali, ove si preferisce invece la scansione attraverso pannelli chiusi che isolano la scena, sia che si tratti della rappresentazione ieratica della divinità, sia che si tratti di un episodio agiografico4. La separazione si manifesta semplicemente grazie all’utilizzo di cornici, siano esse solo dipinte, come su molti antependia catalani e nordici, o in rilievo, come negli oggetti di oreficeria, nelle sculture lapidee o nei polittici, ove le tavole fanno parte di una complessa impalcatura architettonica. 2. La combinazione delle scene Nel processo di “familiarizzazione” delle immagini con l’altare, in un lento e graduale avvicinamento, i primi contatti si sono attuati grazie all’uso di strumenti liturgici necessari alla celebrazione della messa. Del resto la mediazione operata dai materiali preziosi come l’avorio, l’oro o l’argento, grazie al loro significato nobilitante e alla loro essenza ultramaterica, rese più tollerabile l’abbinamento tra immagine e altare che, fino alla sua piena accettazione tra XI e XII secolo, risultava molto delicato. Queste prime forme di immagini multiple offrono numerosi spunti ai fini di una migliore comprensione delle dinamiche compositive di quelle che poi diverranno le tabulae d’altare vere e proprie. Si prendano in esame le due valve del dittico “dalle cinque parti” del Tesoro del Duomo di Milano (V secolo), utilizzato come coperta di evangelario (fig. 137)5. I due scomparti presentano una strutturazione molto interessante, non solo per l’assemblaggio di cinque tavolette corrispondenti ciascuna ad ogni partizione tematica, ma anche per il modo in cui le scene sono organizzate all’interno di questa forma rettangolare. Innanzitutto i due avori si compongono entrambi di parti narrative insieme ad altre di carattere simbolico. Al centro della composizione si trova in un caso la croce gemmata, 4 Il flusso narrativo interrotto al centro è ad esempio nel retablo di SaintEustache di Saint-Denis (p. 170). 5 Bovini 1969.
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nell’altro l’Agnus Dei, ovvero due rappresentazioni che in modo criptico alludono al Sacrificio di Cristo, ovvero la conclusione logica della Sua vita raccontata nelle altre formelle. In un certo qual modo le scenette narrative che contornano su tutti i lati la tavoletta centrale si sublimano nell’iconografia simbolica che le riassume. Si osservi il settore centrale delle coperte, strutturate a trittico, con il grande riquadro centrale intero e le due “ali” laterali tripartite con gli episodi evangelici. Il tipo di composizione sembra anticipare di parecchi secoli quella che sarà una delle modalità preferite di costruire e accostare le immagini, come negli antependia romanici o nei vita panel gotici, ma anche nelle icone agiografiche bizantine. Possiamo inoltre sostenere che l’elemento simbolico che funge da fulcro delle valve sostituisce la rappresentazione teofanica, la divinità stante o seduta sul trono immersa in una dimensione immutabile che “blocca” il flusso narrativo delle partizioni circostanti. Inoltre le due formelle oblunghe, superiore e inferiore, chiuse ai lati da clipei ospitanti gli Zodia e i busti degli evangelisti corrispondenti, nella loro struttura a fregio orizzontale, serrano l’insieme come due predelle, prive però di una funzione di sostegno. Se invece si esaminano le due valve dell’evangelario di Lorsch, d’inizio IX secolo (Musei Vaticani e Victoria and Albert Museum, fig. 138)6, un altro ordine di considerazioni sarà possibile, pur riprendendo lo schema a cinque pannelli degli avori milanesi. Il registro principale è organizzato in una successione di tre arcate, ciascuna corrispondente ad una formella di avorio. La strutturazione è anche in questo caso a forma di trittico, ma all’interno di un’omogeneizzante impalcatura architettonica che contiene le teofanie: al centro delle due coperte Cristo giovane e Maria con il Bambino, affiancati rispettivamente dagli arcangeli e da san Giovanni Battista e Zaccaria. L’impostazione dei tre pannelli ricorda anch’essa quella di un trittico, effetto tra l’altro accentuato dal taglio obliquo dei riquadri laterali, quasi fossero due ante aperte in prospettiva, ma sembra anche anticipare il frontale lapideo dell’altare di Saint-Sernin di 6
Reudenbach 1994.
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Tolosa (p. 116) con il quale mostra stringenti analogie. Come appare evidente anche in questo caso le più basilari composizioni delle tavole d’altare medioevali reinventano modalità di impaginazione delle immagini in buona parte già assorbite nella tradizione iconografica corrente. La funzione di predella narrativa ante litteram nel dittico di Lorsch si fa ancora più evidente poiché qui il racconto è dispiegato per tutta la lunghezza della placchetta: nell’esemplare di Roma in un allestimento scenico perfettamente simmetrico, con la reiterazione speculare dei Magi, a sinistra al cospetto di Erode e a destra in atto di ossequio a Gesù e alla Madonna in Maestà. L’articolazione è meno lineare nell’altra valva, ove il racconto in simultanea e la forma costretta della formella inducono a suddividere in tre parti l’episodio della Natività con l’annuncio ai pastori, come se si trattasse di tre momenti distinti della storia. Degna di particolare attenzione è anche la placchetta di coronamento superiore a soggetto glorificante, con i due angeli che sorreggono in volo un clipeo ospitante in un caso una croce, nell’altro il busto di Cristo benedicente. Se l’iconografia è tipicamente bizantina, la collocazione in quella posizione è molto suggestiva, dal momento che anticipa una gerarchia iconografica che si ritroverà poi anche nei retabli medievali, con le cimase contenenti Cristo e gli angeli. Ma nello stesso tempo è anche l’ordine di livelli imposto dai grandi apparati teofanici come le absidi. La teoria di arcate con personaggi è ampiamente documentata negli avori, anche in epoche precedenti, a testimonianza di una prassi compositiva che doveva essere ripetuta anche in altri tipi di manufatti perduti. Anche il frontale della cattedra di Massimiano del Museo Arcivescovile di Ravenna (prima metà del VI secolo, fig. 139), in un modo che anticipa certi antependia, già utilizza questo tipo di soluzione7. Questi codici visivi che organizzano i temi sacri secondo formule reiterate e, come si vuole precisare in questa sede, non peculiari di uno specifico supporto o di una particolare tipologia di oggetto, si ritrovano anche a livello della pittura monumentale. 7
Ravenna 1990, n. 98, pp. 253-257.
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138. Valve dell’evangelario di Lorsch, Roma, Musei Vaticani (a) e Londra, Victoria and Albert Museum (b), inizi del sec. IX (con schemi compositivi).
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139. Frontale della cattedra di Massimiano, Ravenna, Museo Arcivescovile, prima metĂ del sec. VI.
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140. Affreschi, Malles, chiesa di San Benedetto, sec. IX (con schema compositivo).
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La parete di fondo della cappella di San Benedetto di Malles (IX secolo, fig. 140)8, ad esempio, si presenta come schermo scenico, ritmato da tre nicchie, assimilate a delle absidiole, che ripetono un’impaginazione visiva a trittico, predisposta per le tre rappresentazioni teofaniche. Le arcate, anche se in forme rustiche e irregolari, ancora una volta sono il mezzo glorificante di inquadramento di un allestimento visuale gerarchizzato, dal quale, infatti, sono esclusi i due personaggi viventi, il cavaliere e il chierico, pur inseriti nelle due pareti di rilievo ai lati della Maiestas Domini. L’unità è comunque garantita dal sistema di trabeazione che collega gli archi tra loro, a formare una sorta di portico, a mo’ di fastigium imperiale di età tardo-antica. Un altro aspetto importante è quello delle modalità con cui le storie e le teofanie vengono combinate tra loro. Le due soluzioni più estreme sono quelle che prevedono una successione di sole scene narrative o, al contrario, la presenza unica di ritratti di santi. Nel primo caso l’artista deve suddividere la superficie del supporto a seconda degli episodi che deve narrare e ad essi deve attribuire un filo logico che colleghi i differenti momenti della storia. Sarà poi compito dell’osservatore fare lo sforzo di decifrare i passaggi del racconto e ricostruire il senso generale dell’insieme. In genere si tratta della storia evangelica, canonica o apocrifa, di un ciclo mariano o agiografico. Nel caso di una rappresentazione interamente teofanica, invece, il senso di unità della tavola sarà dato, non dal filo logico della narrazione, ma piuttosto dalla composizione e dall’accostamento dei diversi ritratti, che non devono apparire isolati l’uno dall’altro, ma coerenti con il ciclo iconografico complessivo. Questo effetto è in genere ottenuto attraverso la creazione di un fulcro visivo verso il quale convergono tutti i personaggi. Tale sistema si incardina dunque su un impianto gerarchico che prevede al centro la figura principale (in genere Cristo o la Vergine) e ai lati di essa quelle secondarie. Risulta ovvio che con questa impostazione l’importanza del santo è direttamente proporzionale alla sua vicinanza rispetto al centro. Il perno iconografico è 8
Imhof, Winterer 2005, pp. 179-181.
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157. Icona con Storie della NativitĂ , Sinai, monastero di Santa Caterina, sec. XI (con schema compositivo).
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158. San Nicola e storie della sua vita, Peccioli, Prepositura di San Verano, seconda metĂ del sec. XIII. 159. Maestro di San Martino, dossale della Madonna con Bambino e storie di Gioacchino ed Anna, Pisa, Museo Nazionale di San Matteo, sesto o settimo decennio del sec. XIII.
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160. Giunta Pisano, Pisa, Museo Nazionale di San Matteo (a) e Maestro del dossale di Santa Croce (Maestro del San Francesco Bardi, Coppo di Marcovaldo?), chiesa di Santa Croce, Firenze (b), “vita panels” francescani, metà del sec. XIII. 161. Giunta Pisano, Pisa, Museo Nazionale di San Matteo (a) e Maestro del dossale di Santa Croce (Maestro del San Francesco Bardi, Coppo di Marcovaldo?), Firenze (b), “vita panels” francescani, partt. del Miracolo della guarigione dello storpio.
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162. Frontale della chiesa di Sant’Andrea di Sagàs, Solsona, Museu Diocesà, fine del sec. XII, part. della Passione. 163. Frontale della chiesa di Sant’Andrea di Sagàs, Solsona, Museu Diocesà, fine del sec. XII, part. del Peccato originale.
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164. Frontale di San Clemente di Taull, Barcellona, Museu Nacional d’Art de Catalunya, seconda metà del sec. XIII, part. 165. Paliotto della Vergine del Coll, Vic, Museu Episcopal, ultimo quarto del sec. XII, part.
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Nella lunga storia dell’arte medievale emerge, in connessione con l’altare, una preferenza per gli apparati figurativi complessi, a discapito dell’iconografia unica e a vantaggio, invece, di suddivisioni interne che associano entro una superficie limitata una crescente varietà di immagini. “Immagini multiple” che, davanti o sopra la mensa d’altare, sviluppano in maniera originale un intero sistema figurativo e riassumono in sé valenze dogmatiche, devozionali, celebrative e autocelebrative. Dagli esemplari più antichi di antependia, legati a tematiche apocalittiche e alla glorificazione di Cristo, si giunge, attraverso fasi successive, in parallelo con l’affermazione del retablo, all’avvento di nuovi soggetti iconografici: in primis la Vergine con il Bambino, ma anche i santi, testimoni di culti locali e compartecipi o protagonisti assoluti nella rappresentazione sacra, fino all’esito ultimo di questa progressiva moltiplicazione di immagini, il polittico. Nel volume l’attenzione è rivolta alle caratteristiche compositive delle opere d’arte medievali, con particolare riguardo alla lettura del rapporto tra imagines e historiae, ovvero le rappresentazioni teofaniche e gli episodi narrativi, alle strategie che strutturano le immagini multiple e alla correlazione tra le scene, codificandone le tipologie ricorrenti: le composizioni a riquadri narrativi, il modello della tavola agiografica nelle sue varie declinazioni, lo schema basato sulla successione teofanica di santi e le loro possibili reciproche contaminazioni, entro cui viene comunque salvaguardato lo spirito unificante. Devis Valenti, docente a contratto di Storia dell’arte medievale presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, si occupa di scultura bizantina e altomedievale tra Veneto, Romagna e Marche e di temi iconografici legati alla rappresentazione del potere. Ha pubblicato La scultura altomedioevale nel Montefeltro (a cura della Società di studi storici per il Montefeltro, ).
in copertina Timpano di Saint-Honoré, portale del transetto sud della cattedrale di Amiens, ca.
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