Benevento e la trasformazione della città (III a.C. - IV d.C.), Silvana Rapuano

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biblioteca di archeologia 3



Silvana Rapuano

BENEVENTO E LA TRASFORMAZIONE DELLA CITTÀ (III a.C. -  IV d.C.) RICERCHE ARCHEOLOGICHE A CELLARULO (2008-2009)

presentazione di Marcello Rotili

ILPOLIGRAFO


Referenze delle illustrazioni Figg. 1, 7: IGM Firenze; 2-4, 11-12, 15, 17, 23-32, 36-48, 50, 53: Archivio Rotili; 5: Archivio di Stato di Roma (concessione a pubblicare ASR N. 13/2006); 6: RAF, VOLO 22.05.45, I.C.C.D., Laboratorio per la Fotointerpretazione e l’Aerofotogrammetria, Aerofototeca del Ministero dei Beni Culturali e le Attività Culturali (concessione n. 1000/1961); 8-10: ALISUD Portici; 13: Rotili 1986, fig. 29; 14, 54: S. Rapuano; 16, 18-22, 33-35, 49a-c, 51-52: rilievi di P. Sparago, rielaborati da E. Babilio - S. Rapuano; 55-60, 64-83: Archivio Rotili, S. Rapuano; 61-63: Archivio Rotili, rilievi di E. Petito. L’Autore e l’Editore ringraziano tutte le istituzioni che hanno gentilmente concesso l’autorizzazione alla pubblicazione delle immagini. L’Autore resta a disposizione per qualsiasi eventuale ulteriore obbligo in relazione alle immagini riprodotte.

progetto grafico e redazione Il Poligrafo casa editrice redazione Alessandro Lise © Copyright febbraio 18 Il Poligrafo casa editrice srl  Padova via Cassan,  (piazza Eremitani) tel.   - fax   e-mail casaeditrice@poligrafo.it www.poligrafo.it ISBN 978--9387-051-1


INDICE

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Presentazione Marcello Rotili

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Prefazione

scavo e struttura stratigrafica 19

I. Intervento archeologico in contrada Cellarulo (2008-2009)

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II. La struttura stratigrafica

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III. Prima campagna di scavo 2008

57 IV. Seconda campagna di scavo 2009 57 1. Area 1000 57 2. Settore 1 83 3. Settore 2: l’ambiente “voltato” 86 4. Settore 3: il banco di anfore 87 5. Settore 4: gli impianti per la lavorazione dell’argilla 88 6. Settore 5 89 7. Settori 6 e 7 95 8. Area 2000: la cinta muraria

i reperti di scavo 103

V. Classificazione e studio

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VI. Ceramica comune acroma

137 VII. Ceramica da fuoco 159 VIII. Ceramica a pareti sottili 169

IX. Ceramica sigillata

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X. Ceramica a vernice nera

179

XI. Ceramica a vernice rossa


181 XII. Le lucerne 191 XIII. Altre forme ceramiche 197 XIV. Gli scarti di fornace

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Abbreviazioni e bibliografia


BENEVENTO E LA TRASFORMAZIONE DELLA CITTÀ (III a.C. -  IV d.C.)



PRESENTAZIONE Marcello Rotili

1. Scavi archeologici di notevole estensione sono stati condotti dal Dipartimento di studio delle componenti culturali del territorio della Seconda Università di Napoli (oggi Dipartimento di Lettere e Beni culturali dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”), sotto la direzione scientifica di chi scrive, negli anni 2008 e 2009, d’intesa con la Soprintendenza archeologica di Salerno-Avellino-Benevento e sotto l’alta sorveglianza del Soprintendente, dr. Mario Pagano. La ricerca, svolta nell’ambito del POR Campania per la realizzazione del Parco archeologico e del verde di Cellarulo, era stata preceduta da una lunga fase conoscitiva, seguita agli scavi condotti dalla Soprintendenza archeologica in seguito all’individuazione di strutture di età romana durante la costruzione della tangenziale ovest di Benevento, un asse viario interquartiere progettato dal Comune. Interrotti i lavori di costruzione, la Soprintendenza effettuò ricerche archeologiche nel triennio 1990-1992, cui seguirono interventi di minore portata negli anni 1994, 1997 e 1998. L’esito delle indagini indusse l’Amministrazione comunale a rinunciare alla costruzione della tangenziale e ad avviare nel 2001, d’intesa con la stessa Soprintendenza, attività di diagnostica archeologica funzionali alla progettazione di un parco archeologico-naturalistico: affidate al Dipartimento della Seconda Università di Napoli sopra menzionato, tali attività vennero svolte sotto il coordinamento di chi scrive mediante lo studio delle fonti d’archivio, della cartografia storica e della cartografia IGM e avvalendosi della ricognizione diretta e sistematica dell’area, condotta grazie all’interpretazione dei rilevamenti aerei dal 1945 al 1988 e alle prospezioni geofisiche affidate dall’ITABC, Istituto per le tecnologie applicate ai beni culturali del CNR. I risultati vennero pubblicati nel volume Benevento nella tarda antichità. Dalla diagnostica archeologica in contrada Cellarulo alla ricostruzione dell’assetto urbano, a cura di Marcello Rotili (Napoli 2006), con testi di Giuseppe Ceraudo, Carlo Ebanista, Salvatore Garraffo, Luciana Jacobelli, Rosario Claudio La Fata, Virginia Lapenta, Paolo Mauriello, Maria Luisa Perrone, Fabio Piccarreta, Salvatore Piro, Marcello Rotili, Stefania Quilici Gigli.


marcello rotili

2. La contrada Cellarulo, situata nell’area nord-occidentale di Benevento, dove il fiume Sabato confluisce nel Calore, è stata parte significativa della città romana fino ai secoli III-IV e riveste grande interesse per la conoscenza dell’evoluzione urbanistica fra tarda antichità e inizi dell’alto medioevo. Grazie agli scavi degli anni ’90 e del 2008-2009 e a quelli condotti fra il 2004 e il 2006 nell’area dell’arco del Sacramento, vicino alla cattedrale, è stato possibile datare al IV secolo il definitivo abbandono dell’area pianeggiante alla confluenza dei due fiumi e la costruzione della nuova cinta muraria, ristretta al colle della Guardia per motivi difensivi e di maggiore salubrità del sito. L’impegnativo intervento, che collimò con la ricostruzione conseguente al rovinoso sisma del 346 e ad un altro, meno probabile terremoto ipotizzato in base ad un’epistola di Quinto Aurelio Simmaco del 375 (Boschi (a cura di) 1999, p. 27, nn. 14, 17; Symmachi Epistulae, III, pp. 4-5), configurò Benevento come ‘città forte’ (La guerra gotica, III, 6), conferendole quella consistenza difensiva per la quale sarebbe stata scelta come centro del ducato che i Longobardi avrebbero istituito nel 576 (secondo la cronologia più accreditata), estendendone il territorio a buona parte dell’Italia meridionale continentale durante i periodi di governo di Zottone (576 ca - 590), Arechi I (590 - 640 ca), Romualdo I (671 - 687) e infine Gisulfo I (689 - 706), che portò il territorio “beneventano” alla sua massima espansione. 3. Gli scavi condotti nel 2008-2009 vengono ora integralmente pubblicati dalla dr.ssa Silvana Rapuano che vi ha partecipato attivamente e che ha accuratamente studiato la relativa documentazione e le classi di materiale rinvenute, per complessivi 22.484 frammenti ceramici. Nell’anticipare un più ampio volume (a firma della stessa autrice e di M. Rotili) sulla città fra tarda antichità e alto medioevo e sugli scavi all’arco del Sacramento (oltre che a Cellarulo), il libro che ora si presenta aggiorna sensibilmente i risultati delle ricerche condotte negli anni ’90, integrando la conoscenza del sito con le nuove, significative scoperte. Mentre sono state riportate in luce le strutture scavate dalla Soprintendenza archeologica che le fece reinterrare per consentirne la conservazione in attesa di futuri restauri, sono emerse le vestigia della cinta muraria in opera quadrata a blocchi di tufo (usm 2832); sono altresì tornati in vista i resti della torre quadrangolare 2006 posta all’estremità nord-occidentale della cinta stessa, oltre alla porta urbica a ingresso raddoppiato (usm 2807) il cui scavo è stato ampliato e completato e ai tratti della cloaca sottostante la strada; identificabile con il tracciato urbano della via dell’alto Sannio che raggiungeva Cellarulo attraverso il pons maior (figg. 2 n. 35, 13), l’arteria venne pavimentata con basoli in calcare probabilmente in età giulio-claudia: fra la deduzione di coloni nel 42 a.C. (Rotili 1986, pp. 40, 72 nota 109) e quest’epoca si registrò la massima espansione del quartiere che sembra essere stato strutturato nel I secolo d.C., sebbene tracce di produzione della ceramica possano essere collegate a fasi non di molto successive alla costruzione delle mura, attestate, oltre che dall’evidenza archeologica, dal Liber Coloniarum e da Livio (Ab Urbe condita, XXIV, 14; XXV, 13): nel primo caso l’annotazione relativa alla colonia reca la formula «colonia muro ducta», nel secondo, la descrizione delle due battaglie vinte dai Romani presso Benevento durante la guerra annibalica reca l’accenno alle mura della città (Rotili 2015, pp. 317-351). 4. Il pons maior fu distrutto non prima della tarda età longobarda e pertanto da allora fu definito ponte Fratto (Rotili 1986, pp. 28, 70 nota 80). Una comune convinzione sosteneva che i due tratti terminali di strada, individuati in destra del Calore, fossero


presentazione

entrambi rami della via Latina (Meomartini 1889-95, pp. 246-252), che dunque sarebbe entrata in città superando il Calore in due diversi punti. Ma da un’attenta analisi è risultato chiaro che essi non appartenevano alla stessa via ma erano i tracciati d’ingresso di due strade distinte, la Latina appunto e quella che, dirigendosi a Sirpium e a Saepinum, collegava Benevento con l’alto Sannio (Rotili 1977, pp. 16-17, nota 17; Id. 1986, pp. 28-29; Tocco Sciarelli 1999b, p. 678). L’orientamento del pons maior rispetto al prosieguo di quest’ultima arteria è tale da aver fatto credere, durante l’attività diagnostica, che essa muovesse da Cellarulo (fig. 2 n. 35) verso il complesso dei Santi Quaranta (fig. 11 n. 32), contrariamente a quanto sostenuto dal Meomartini, secondo il quale la strada era diretta dal pons maior verso il tempio della Madonna delle Grazie (Meomartini 1889-95, p. 250; Rotili 1986, pp. 28, 70 note 75-76). Gli scavi, che hanno consentito di rimettere in luce il basolato originario della strada, già indagato nelle precedenti campagne di scavo, hanno confermato l’intuizione e la validità del dato acquisito con le prospezioni geodiagnostiche. La via Latina, invece, doveva raggiungere Benevento attraverso contrada Pezza Piana, sede di una necropoli di età longobarda (Rotili 1977, pp. 9-21), attraversando il ponte sul Calore che portava direttamente al centro (fig. 2 n. 22). Peraltro, fuori città, dopo il tratto iniziale, dalla Latina ci si poteva immettere sulla via per l’alto Sannio. Significativo è che la Pianta della pontificia città di Benevento disegnata da Liborio Pizzella e incisa dall’Aloia entro il 1764 (Borgia 1764, p. 1), il contemporaneo Prospetto della pontificia città di Benevento e suo territorio inciso da Ignazio Lucchesini (Borgia 1764, p. 229) e l’analoga Pianta dimostrativa della Città di Benevento e suo contado situato nella Provincia di Principato Ulteriore nel Regno di Napoli (AS-RM, Cdp, I, 7) rappresentino l’inizio della «strada romana per la via di S. Germano», ovvero la via Latina, dall’antico ponte sul Calore che Luigi Vanvitelli, “Primo architetto” dei Borboni di Napoli dal 1751 al 1773, fu chiamato a restaurare nel 1766 e nel 1767 (Rotili 1977, pp. 28-29, 71 note 84-87) e che solo nel 1777, quattro anni dopo la sua morte, sarebbe stato ricostruito su suo progetto a breve distanza dal ponte romano (fig. 2 n. 22); quest’ultimo era detto “di S. Onofrio” dall’intitolazione della chiesetta del XVIII secolo che aveva preso il posto dell’omonimo monastero documentato almeno dal XII (Obituarium, pp. 6, 10). 5. I primi dati sulla cronologia e sull’impiego produttivo dell’insediamento hanno costituito gli esiti delle ricerche degli anni ’90, riassunte da chi scrive nel saggio d’apertura del volume del 2006 (Rotili 2006, pp. 19-37) in cui veniva indicato che il toponimo relativo all’area indagata compare due volte come iscla de Cellarulo, cum posta (postazione di pesca lungo il Calore) e vineam de Cellarulo nell’elenco dei beni fiscali passati dai principi longobardi alla Santa Sede nell’XI secolo (Proprietas que remansit curie de regalibus Beneventi, Borgia 1764, pp. 265-266, 270; Zazo 1956, pp. 135-136; Rotili 2006, pp. 9-18). Esso sembra essere derivato dall’originaria funzione di cellarium per lo stoccaggio di merci attribuita al vicino complesso di età romana dei ‘Santi Quaranta’ (Meomartini 1889-95, pp. 333-334), denominato così in rapporto alla dedicazione ai martiri di Sebaste (Σεβάστεια, Sebastia – odierna Sivas, nell’Anatolia centrale) di una chiesa in esso impiantata probabilmente tra il 1119 e il 1180 (Amore 1968; Falla Castelfranchi 1996, pp. 418-419; Rotili 2006, pp. 9-18; Ebanista 2006, pp. 179-208). Le novità derivanti dalle ricerche del 2008-2009 sono costituite anche dal rinvenimento, verso ovest, in direzione del fiume, delle fosse di spoliazione riferibili a un tratto delle mura (usm 2004) non lontano dalla porta 2807, anch’esso in opera quadra-

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marcello rotili

ta, com’è evidenziato da qualche residuo: le fosse individuate (uuss 158, 161, 163, 164; figg. 15, 52) indicano con chiarezza che la struttura venne smontata e che i blocchi di tufo rinvenuti (in dimensioni ridotte) nell’area circostante furono rilavorati. All’interno della cinta sono emersi inoltre i muri perimetrali di diversi ambienti, alcuni recanti ancora le tracce della pavimentazione originaria: nella maggioranza dei casi si tratta di botteghe per la lavorazione della ceramica. Si segnala nell’ambiente delimitato dai muri 1095, 1060, 1065 e 1245 la presenza di tracce di forge, che potrebbe documentare l’operatività di un’officina metallurgica. Particolarmente significativo è risultato, nel settore sud-occidentale dello scavo, un ambiente coperto da una volta (uussmm 10651095-1105-1255-1100-1250), databile agli inizi del I secolo d.C., che fu obliterato dagli strati di fango causati da un’esondazione del fiume Calore. Esso venne in gran parte svuotato e riutilizzato agli inizi del II secolo d.C. come discarica di materiale ceramico proveniente dalle limitrofe fornaci impiantate sugli strati alluvionali e come bacino di raccolta di acque reflue versate da un condotto proveniente dalla vicina area di lavorazione dei metalli. Ad est dell’ambiente voltato è stato rinvenuto un banco di anfore commerciali, datate al I-II secolo d.C., infisse nel terreno per esigenze di bonifica, drenaggio e consolidamento, a valle dell’episodio alluvionale. L’individuazione di elementi riferibili ad attività metallurgiche integra i dati sulla vocazione artigianale del quartiere scaturiti dalle ricerche degli anni ’90. 6. L’ubicazione degli impianti produttivi a Cellarulo era motivata dalla presenza di un banco di argilla che garantiva l’approvvigionamento della materia prima e dalla vicinanza del fiume che costituiva al contempo una riserva d’acqua e una via di trasporto, come comprova il rinvenimento, lungo la riva occidentale del Calore (nel corso di interventi di regolarizzazione dell’argine condotti nel 1991-92), di una struttura lineare in conglomerato cementizio entro blocchi di calcare e tufo, interpretabile come la banchina attrezzata di un porto fluviale destinato allo svolgimento di attività commerciali. Il quartiere artigianale presentava una razionale distribuzione degli spazi, occupati dalle fornaci e dalle strutture di servizio accessorie quali canalizzazioni, pozzetti, vasche. Un ulteriore aggiornamento delle conoscenze scaturito dalle ricerche della dr.ssa Rapuano è rappresentato dalla spiegazione dell’anomalia che caratterizza l’orientamento degli isolati del quartiere rispetto a quello delle insulae riferibili alla colonia pianificata nel III secolo a.C.: un’anomalia che trova le sue ragioni nell’esigenza di adattare alla morfologia del sito le strutture, datate al I secolo d.C. in base all’accurato studio delle murature e direttamente fondate sui vari banchi d’argilla di origine alluvionale che caratterizzano la geologia dell’ansa fluviale; la diversa cronologia e la più recente pianificazione rispetto all’impianto del III secolo a.C. costituiscono altre ragioni di quell’anomalia, peraltro giustificata dalle analogie con impianti di alcune città romane. Com’è stato accennato sopra, dai dati stratigrafici degli anni ’90 e dalle labili tracce allora individuate è emerso che il preesistente nucleo artigianale che produceva ceramica a vernice nera era stato costituito da istallazioni scarsamente strutturate e piuttosto precarie, realizzate con materiali deperibili. 7. Altro dato innovativo è rappresentato dall’individuazione delle varie fasi alluvionali cui fu soggetta l’area: il tratto della cinta muraria (usm 2832) coerente con l’andamento


presentazione

del fiume, demolito in parte prima dell’età tardoantica, appare fondato su uno strato di limo argilloso di origine fluviale (uuss 145, 146) tagliato dalla fondazione della porta monumentale 2807. Inoltre, la presenza di numerosi crolli, documentati, ad esempio, dai resti della torre 2006, sembra alludere agli effetti di un terremoto probabilmente risalente alla fine del I - inizi del II secolo d.C., la cui datazione è stata possibile grazie al rinvenimento, in ambienti collocati nel settore est dell’area di scavo, di lucerne a perline di nuova produzione: la loro giacitura induce a ritenere che siano cadute da una scaffalatura sulla quale erano state ordinatamente disposte. Le ricerche della Rapuano hanno chiarito che, dopo quest’episodio, l’area fu quasi del tutto abbandonata; le ultime attestazione insediative, databili al III secolo d.C., sono i muri 1115 e 1125 (a quota -182 cm), costruiti con ciottoli e malta sui resti della fornace 1325-1355, fondata sugli strati alluvionali, interpretabili come resti di vasche o comunque di strutture legate a un’attività artigianale, e il canale di scolo 1265 (a quota -210 cm), realizzato con tegole piane poste in fila, parallelo al muro 1130. Le ricerche hanno altresì chiarito che dopo l’abbandono del quartiere, nonostante sporadici episodi di frequentazione per uso funerario e per il prelievo di materiale da costruzione, nel III-IV secolo d.C. ebbe luogo la progressiva ruralizzazione della zona, causata da generali fattori di declino e dagli eventi sismici dei quali si è parlato; come si è visto, ai loro devastanti effetti, rapportabili all’elevata magnitudo macrosismica, si può attribuire l’ampio processo di ristrutturazione della città che peraltro trova le sue ragioni nelle esigenze e nei mutati assetti della società e dell’economia tardoantiche e che fu il momento conclusivo di un lunga e inarrestabile trasformazione. Essa si concretò nel dimezzamento (almeno) della superficie urbana (con abbandono della parte pianeggiante più esposta ad attacchi e al rischio di allagamenti) e nell’arroccamento collinare sul colle della Guardia: fu un fondamentale momento di svolta nella storia della città perché l’intera vicenda urbanistica, fino all’unità d’Italia, si sarebbe svolta entro la nuova cinta ristretta. Il volume della dr.ssa Rapuano, con valide analisi e dati interpretativi di piena affidabilità, contribuisce a consolidare, sul versante tardo antichistico, questa interpretazione delle trasformazioni urbane che chi scrive da tempo ritiene fondamentale per comprendere quali fossero la struttura e l’immagine di Benevento alle soglie della riconquista giustinianea dell’Italia e dell’inizio della dominazione longobarda. 8. Si ringraziano l’ing. Fausto Pepe, Sindaco di Benevento negli anni di svolgimento delle ricerche archeologiche, il dr. Aldo Damiano, Assessore ai Lavori Pubblici, l’ing. Roberto La Peccerella, Dirigente dello stesso Settore che, in quella fase, resero possibili le indagini nell’ambito dei lavori per la realizzazione del Parco archeologico-naturalistico di Cellarulo (R.U.P. arch. Mario De Lorenzo, direttore dei lavori arch. Andrea Scocca). Si ringraziano altresì, per la collaborazione nella direzione dello scavo, il dr. Mario Pagano, all’epoca Soprintendente archeologo per le province di Salerno-Avellino-Benevento, e la dr.ssa Maria Luisa Nava, già Soprintendente per i Beni Archeologici di Salerno-Avellino-Benevento- Caserta. Alla realizzazione degli scavi hanno collaborato Silvana Rapuano, Maria Raffaella Cataldo, Pietro Sparago, Lester Lonardo, Amalia Bovino, coadiuvati nelle attività di laboratorio da Stefano Forgione, Sabina Giuliano, Francesco Ferraro, Riccardo Iaccarino, Irma Rossi ed Enzo Petito, al quale si devono i rilievi delle anfore commerciali impiegate nell’opera di drenaggio e bonifica.

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I. L’INTERVENTO ARCHEOLOGICO IN CONTRADA CELLARULO (2008-2009)

1. Le indagini archeologiche condotte in contrada Cellarulo, ubicata a 14° 75' 95,71'' di longitudine est da Greenwich e 41° 13' 78,07'' di latitudine nord, nell’area nord-ovest della città di Benevento, dove confluiscono i fiumi Sabato e Calore (figg. 1-3, 11-12), sono iniziate il 23 giugno del 2008 e proseguite fino al 6 agosto per poi riprendere l’anno successivo con una seconda campagna di scavo (marzo-giugno 2009) e hanno riguardato le particelle catastali 472 e 473. L’area suburbana, il cui toponimo rimanda alla originaria funzione di cellarium per lo stoccaggio di merci attribuita al vicino complesso di età romana dei “Santi Quaranta” (fig. 4; Meomartini 1889-95, pp. 333-334), era nota da tempo per il suo potenziale archeologico (Rotili 1986, pp. 52-55). Negli anni ’90 del secolo scorso fu interessata dai lavori di costruzione della tangenziale ovest di Benevento, un asse viario interquartiere progettato dal Comune, che furono interrotti proprio in seguito alla scoperta di resti materiali d’età romana. Furono condotte allora indagini dalla Soprintendenza archeologica negli anni 1990-1992, 1994, 1997-1998 (Rotili 2006, pp. 19-20). 2. Nel 2001 il Comune di Benevento affidava al Dipartimento di studio delle componenti culturali del territorio della Seconda Università di Napoli (ora Dipartimento di Lettere e Beni Culturali dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli), in seguito alle intese che entrambi gli enti avevano raggiunto con la Soprintendenza archeologica di Salerno-Avellino-Benevento, l’incarico di contribuire alla progettazione del Parco archeologico e del verde di Cellarulo mediante attività di diagnostica archeologica funzionali all’individuazione delle aree nelle quali svolgere ricerche di campo nell’ambito della futura realizzazione del parco. Le attività di diagnostica archeologica si sono basate sullo studio delle fonti d’archivio, della cartografia storica e della cartografia IGM, sull’interpretazione di rilevamenti aerei dal 1945 al 1988 (figg. 6-10; Piccarreta-Ceraudo 2006, pp. 101-122) e delle prospezioni geofisiche eseguite dall’Istituto per le tecnologie applicate ai beni culturali del CNR (fig. 11; Garraffo-Gabrielli-Mauriello-Mascellani-Piro 2001; Garraffo-Mauriello-Piro 2006, pp. 123-130) e sulla ricognizione diretta e sistematica. L’esame della docu-

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capitolo primo

1. IGM foglio 173 II N.O. Benevento (1:25.000), levata del 1957, part.

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l’intervento archeologico in contrada cellarulo

mentazione cartografica (Rotili 2006, p. 50) ha permesso di costatare che la parte nord dell’ansa del Calore, di natura alluvionale, è venuta assumendo la configurazione attuale in tempi recenti: le tavole IGM della Carta d’Italia in scala 1:50.000, nelle levate del 1870 e del 1909, hanno evidenziato, nell’apice dell’ansa stessa, la presenza di un isolotto, in seguito scomparso a causa dello slittamento verso nord-ovest del letto fluviale e del parallelo accumulo di materiale e detriti portati dalle acque. L’isolotto è testimoniato anche dalla mappa Monte S. Pietro (fig. 5), foglio n. 12 del Catasto gregoriano (AS-RM, CPG, 277), in cui figura il toponimo Cellarolo. L’aereofotointerpretazione ha consentito di leggere una traccia di forma lunata della lunghezza di 275 m circa nella zona settentrionale dell’area (figg. 8-10), interpretabile come ansa fossile del fiume o come un argine lungo il corso d’acqua (Garraffo-Mauriello-Piro 2006, figg. 3, 8) e inoltre degli allineamenti di strutture (edifici e/o strade) nella parte meridionale, dati confermati anche dalle indagini geofisiche (fig. 11). Queste ultime (Rotili 2006, p. 48; Garraffo-Mauriello-Piro 2006, p. 123; fig. 11), eseguite su una superficie di 8,5 ha con tre diverse metodologie, hanno restituito delle anomalie geofisiche dalle forme ben definite che individuano allineamenti estesi e relativamente netti. Le ricognizioni (Rotili 2006, pp. 48-49; Ebanista et al. 2006, pp. 131-133), svolte in aree individuate in rapporto ai risultati delle parallele indagini geodiagnostiche e alla praticabilità dei luoghi (assenza di colture pregiate o bosco o di edifici), e soprattutto lo studio dei materiali rinvenuti hanno evidenziato l’abbandono di Cellarulo nei secoli III-IV. Dopo le indagini preliminari (i cui dati sono editi in Rotili (a cura di) 2006) sono stati condotti i nuovi scavi che, da un lato, hanno permesso di approfondire e ampliare la conoscenza delle strutture in parte già emerse negli anni ’90, dall’altro hanno evidenziato altre consistenti porzioni del giacimento archeologico. 3. Durante gli scavi condotti dalla Soprintendenza (realizzati in forma estensiva negli anni 1990-1992, sotto la direzione di Daniela Giampaola, e, per saggi di approfondimento, su piccole porzioni di terreno, nel 1994, 1997 e 1998, sotto la direzione di Giuseppina Bisogno) furono individuati i resti di un quartiere artigianale con impianti per la produzione di ceramica, racchiuso entro una cinta muraria in opera quadrata a blocchi di tufo. Nei resoconti della Soprintendenza viene presentata la seguente interpretazione del sito: l’avvio dell’attività produttiva potrebbe essere datato al tempo della deduzione della prima colonia latina, nel 268 a.C. (Ab Urbe condita, XV; Rotili 1986, pp. 31, 71 nota 103), in base al rinvenimento di un grande quantitativo di ceramica a vernice nera del III secolo a.C.; la fase di massima espansione del quartiere, ormai organizzato con una razionale distribuzione degli spazi occupati dalle fornaci e dalle strutture di servizio, dovrebbe coincidere con il periodo compreso tra la seconda deduzione di coloni, nel 42 a.C. (Rotili 1986, pp. 40, 72 nota 109), e l’età giulio-claudia; la fase di abbandono del sito (dopo l’uso prevalentemente abitativo del quartiere, a causa di un primo, limitato spostamento degli impianti produttivi) risalirebbe al II secolo d.C., per la presenza di due consistenti cumuli di scarti di fornace, costituiti esclusivamente da lucerne del tipo “a perline” databili al I-II secolo d.C., e avvenne in seguito ad un sisma catastrofico e ad una violenta esondazione che avrebbe asportato i crolli delle strutture provocando la formazione di un deposito alluvionale (Manzelli 2001).

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capitolo primo

Cellarulo 3. Veduta generale degli scavi archeologici. 4. Complesso dei Santi Quaranta. Esterno prima dei bombardamenti del 1943.

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l’intervento archeologico in contrada cellarulo

5. Mappa ridotta Monte S. Pietro. Roma, Archivio di Stato, CPG, 277 n. 12. 6. Cellarulo, veduta area, 22 maggio 1945. 7. Benevento, veduta area del centro storico, di Cellarulo e del rione Ferrovia, 14 settembre 1954.

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capitolo primo

8-9. Foto aerea 1969, Alisud di Portici, particolari. 10. Foto area 1978, Alisud di Portici, particolare.

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l’intervento archeologico in contrada cellarulo

4. Con gli scavi degli anni 2008-2009 sono state riportate in luce le strutture già scavate negli anni ‘90 e allora reinterrate per consentirne una migliore conservazione nell’attesa di futuri restauri (peraltro dopo una vistosa rasatura effettuata probabilmente quando si pensava di poter ancora realizzare la tangenziale ovest) e scoperte delle altre di notevole rilievo. Le nuove ricerche hanno sensibilmente modificato la prospettiva interpretativa formulata dopo gli scavi degli anni ’90 (Cipriano - De Fabrizio 1996, pp. 201-203; Lupia 1998b, p. 83; Tocco Sciarelli 1999, pp. 245-346). Tra le strutture reinterrate che sono state riportate in vista, oltre agli ambienti e alle canalizzazioni funzionali agli impianti produttivi che hanno consentito di individuare la natura artigianale del quartiere, sono riemersi i resti della cinta muraria in opera quadrata (usm 2832; fig. 50 nn. 3-4), quelli della porta urbica a ingresso raddoppiato (2805-2807-2008-2002-2832, il cui scavo è stato peraltro completato con la scoperta della torre 2006 a base quadrata che la muniva e di un tratto delle mura; fig. 51). Inoltre sono state riportate in vista nuove parti della cloaca (uussmm 1740, 1745) sottostante la strada proveniente dall’alto Sannio. Grazie a nuovi scavi, in direzione del fiume, verso ovest, sono stati rinvenuti altri tratti della cinta muraria (2004) e fosse di spoliazione relative al suo smontaggio (fig. 53). Nella parte centrale dell’area indagata sono stati individuati i muri perimetrali di diversi ambienti, alcuni dei quali recanti tracce di pavimentazioni (figg. 15, 16-20, 23, 44, 49) e vari impianti idrici collegati alla lavorazione dell’argilla (le vasche 1395, 1425 e 1430, i canali 1815, 1860 etc., i pozzi 1290, 1500, 1690 etc.). Sono stati rinvenuti i resti delle fornaci 1535-1575-1585 (fig. 46) e 1325-1355 (fig. 33) e quelli di un ambiente coperto da una volta (1065-1095-1105-1255-1100-1250), costruito con conci calcarei legati da malta di buona qualità (figg. 15, 32, 38). Lo scavo ha consentito di raggiungere il piano di posa delle sue strutture, a quota -3,85 m da 0.00 (pari a +111,92 m s.l.m.). Con l’asportazione dell’interro presente al suo interno (fig. 37 n. 4), è stato documentato che l’ambiente fu invaso intorno ai primi anni del I secolo d.C. da strati alluvionali e poi in parte svuotato per essere utilizzato come butto di materiale ceramico e come discarica di acque reflue (figg. 31, 37 n. 3). Ad est dell’ambiente “voltato” è stato rinvenuto un banco di anfore commerciali (figg. 40-41), poste in modo ordinato nel terreno, probabilmente per bonificare e drenare il terreno eccessivamente umido in seguito all’alluvione. L’area era già stata soggetta ad episodi alluvionali tanto che la stessa cinta muraria 2832 e la porta monumentale 2807 (figg. 50-51) furono costruite su uno strato di limo argilloso di origine fluviale (uuss 145, 146 a quota -598 cm; fig. 51), evidentemente depositatosi prima del III secolo a.C. I risultati delle ricerche, come già detto, confermano e integrano quelli delle precedenti indagini archeologiche. Si è accertata la frequentazione dell’area dal III secolo a.C. fino alla fine del II secolo d.C. ed è stato chiarito che l’abbandono fu causato probabilmente da un terremoto di cui sono state individuate consistenti tracce come la condizione di crollo delle torre 2006 (figg. 50-51) e il rinvenimento di coeve lucerne a perline, di nuova produzione, la cui giacitura ha fatto ritenere che fossero cadute da una scaffalatura (sulla quale erano state ordinatamente sistemate) ribaltata dall’onda sismica (figg. 28-29). Ed è probabile, come sostengono le conclusioni relative alle precedenti indagini, che una nuova esondazione abbia asportato i crolli delle strutture, danneggiate dal sisma, con il deposito di un consistente strato alluvionale.

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capitolo quarto

1

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3

47. Area 1000, Settore 6: 1, vasche 1630; 2, canale 1725 con pozzo 1730; 3, ambiente con pavimento 1775.

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seconda campagna di scavo 2009

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48. Area 1000: 1, Settore 6, pavimento 1900; 2, Settore 7, condotto fognario 1740-1745; 3, area vecchi scavi, basolato della via proveniente dall’alto Sannio; 4-6, vecchi scavi, pavimenti e sistemi idrici.







I REPERTI DI SCAVO



V. CLASSIFICAZIONE E STUDIO

1. La notevole quantità di ceramica emersa dallo scavo, insieme agli scarti di produzione (fig. 54), ha confermato la destinazione artigianale del quartiere. Sono stati rinvenuti 22.484 reperti. Le classi di ceramica individuate sono: ceramica comune acroma da mensa e da dispensa, ceramica comune da fuoco, ceramica a pareti sottili, ceramica a vernice nera, ceramica a vernice rossa e terra sigillata. La maggior parte dei materiali esaminati proviene dal butto dell’ambiente “voltato” (uuss 125, 130), il più consistente fra i tanti ritrovati nell’area (Settore 1, us 73; Settore 5, us 87; Settore 6, us 111 etc.). Per le classi più numerose, si attestano pezzi pressoché integri e manufatti dal basso grado di frammentarietà. Nella maggior parte dei casi non si riscontrano segni d’usura, pertanto si può parlare di materiale scartato prima di essere commercializzato. La produzione locale riguardava la ceramica comune da mensa e da fuoco. Il repertorio formale è costituito soprattutto da bottiglie e brocche, per quanto riguarda la ceramica da mensa, e da olle, pentole e tegami, per quanto riguarda la ceramica da cucina. Il vasellame fine da mensa è registrato in bassa percentuale nei ritrovamenti e appartiene perlopiù alla ceramica a pareti sottili. Alcuni frammenti di questa classe presentano difetti di cottura che fanno ipotizzare a una piccola produzione locale. In bassissima quantità, pur se piuttosto coerenti con la cronologia, sono i reperti in vernice nera e sigillata. Si tratta verosimilmente di materiali residuali, in giacitura secondaria, dato che generalmente si presentano in pessime condizioni di conservazione. I materiali esaminati possono essere datati dal I sec. a.C. e al II sec. d.C. 2. Oltre alle tipiche forme da mensa e da cucina, è stato rinvenuto un vario repertorio di ceramica usata in diversi contesti della vita quotidiana. Sono stati ritrovati contenitori di grandi dimensioni impiegati nello stoccaggio e nel trasporto delle derrate alimentari. Sono stati individuati manufatti destinati: alla tessitura, come pesi da telaio; agli usi rituali, come gli incensieri e balsamari; ad un impiego decorativo come le maschere




capitolo quinto

54. Distribuzioni delle classi ceramiche.




classificazione e studio

fittili e le protomi di animale. Infine, sono state documentate, in gran numero, le lucerne, che erano prodotte nel quartiere a livello industriale. 3. Sono state redatte per i manufatti selezionati apposite schede di RA (reperto archeologico), riportate in calce ai singoli paragrafi sulle classi ceramiche. Le schede riportano i dati dell’analisi macroscopica dei reperti e l’attribuzione di ciascuno di essi alla rispettiva fase. L’osservazione macroscopica dei colori delle argille, indicati con i valori delle tavole Munsell soil color charts, degli inclusi, delle dimensione dei vacuoli e della durezza ha permesso di effettuare, tenendo conto della classe di appartenenza dei reperti, una campionatura degli impasti, riportata qui di seguito. Ceramica comune CC1: impasto cotto in ambiente ossidante, di colore rosso (2 YR 5/8 red; 2.5 YR 5-7/6 light red; 2.5 YR 5-7/8 light red; 10R 7/4 pale red; 10R 4-7/8 red; 10R 4/6 red), depurato con fratture irregolari, rari vacuoli e poche inclusi di calcare, mica, chamotte (0-0,5 mm). È attestato nel 42,85% dei casi. CC2: impasto cotto in ambiente ossidante, di colore arancio (5YR 6-7/6 reddish yellow; 7.5YR 6/6 reddish yellow; 10YR 8/6 yellowish red) depurato con fratture irregolari rari vacuoli nonché inclusi di calcare e chamotte (0-0,5 mm). È attestato nel 38,46% dei casi.

impasto cotto in ambiente ossidante, di colore rosa (5YR 7/3 pink; 7.5YR 7/4 pink), depurato con fratture regolari, numerosi vacuoli nonché inclusi di calcare e mica. È presente nel 7,69% dei reperti. CC3:

CC4: impasto cotto in ambiente ossidante, di colore cuoio (2.5YR 6/4 light reddish brown; 7.5YR light brown; 10YR 6/3 pale brown; 10YR 8/4 very pale brown) depurato

con fratture irregolari, rari vacuoli nonché inclusi di calcare (0-0,5 mm). È documentato per il 4,39%.

CC5: impasto cotto in ambiente ossidante, di colore marrone (5YR: 6/4 light reddish brown; 7.5YR 4/6 strong brown), poco depurato con fratture irregolari, rari vacuoli nonché inclusi di calcare e litici (0-0,5-1 mm). È attestato nel 3, 29% dei casi. CC6: impasto cotto in ambiente riducente, di colore grigio (5YR 5/2 reddish gray; 2YR 4/5PB dark bluish gray), fratture regolari. Rappresenta il 3, 29% dei casi esaminati.

Ceramica comune da fuoco impasto cotto in ambiente ossidante, di colore rosso (2YR 4-5/6 red; 10R 6/8 light red) con fratture irregolari, frequenti inclusi di calcare e quarziferi (0-0,5 mm). È documentato per il 33,9% dei ritrovamenti. CF1:

impasto cotto in ambiente ossidante, di colore cuoio (5YR 6/6-8 reddish yellow, 4/4 reddish brown) con fratture irregolari, frequenti inclusi di calcare e quarziferi (0-0,5 mm). È documentato per il 30,18% dei reperti. CF2:

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capitolo sesto




ceramica comune acroma

64-65. Ceramica comune acroma da mensa e da dispensa.

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X. CERAMICA A VERNICE NERA

1. La ceramica a vernice nera è documentata al 1,17% nei rinvenimenti ceramici. La definizione di “ceramica a vernice nera” si applica a quell’insieme di produzioni caratterizzate da un rivestimento superficiale vetroso di colore nero o nerastro e dal corpo ceramico di color nocciola, nelle sue diverse sfumature, o grigio. Era un vasellame fine da mensa diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo tra il V-IV sec. a.C. e la metà circa del I secolo a.C., in casi regionali fino agli inizi del I sec. d.C. Durante lo scavo stratigrafico di Cellarulo sono stati ritrovati pochi frammenti (la maggior parte proviene dalle uuss 188, 189, 15, 31, 125 e 130, 29-78-93-94-125), mentre un grande quantitativo è emerso dai terreni di scarico delle precedenti attività di sbancamento svolte nell’area per la realizzazione della già citata arteria stradale. La maggior parte dei frammenti è molto rovinata, in alcuni casi si è riscontrato la perdita quasi totale del rivestimento, anche le dimensioni sono molto ridotte (mediamente i pezzi sono lunghi poco meno di un decimetro). Dal punto di vista formale sono stati individuati soprattutto orli e pareti. Dall’us 125 provengono cinque coppe: tre a corpo profondo e due di diametro ampio e corpo poco profondo. Entrambe le forme sono attestate in un ampio un arco temporale che va dal III al I secolo a.C. Si rifanno ai tipi Morel 2141AL, 2848AL, 2822BL, 2965AL, 1784D3, che rientrano nel repertorio morfologico della produzione “Campana A”. Anche all’interno dell’ambiente voltato, l’us 130, ricoperta in parte dall’us 125, ha restituito due frammenti di ceramica a vernice nera pertinenti ad una coppa con piede ad anello (Morel 2653) ed ad un balsamario dal collo troncoconico ed ampio labbro svasato. Dal terreno 189, si segnalano tre frammenti: due pareti di coperchio relativo a pisside globulare, decorati rispettivamente con un motivo vegetale e con figure di difficile interpretazione, e una presa di coperchio decorato con un motivo radiale. Tutti reperti confrontabili con ceramica di IV secolo a.C. ritrovata a Ruvo di Puglia (Montanaro 2007, p. 289).

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capitolo decimo

216 area 1000 settore 2 us 125 fase 2 (I-II secolo d.C.) fig. 78 oggetto: coppa  frammento: parete con orlo  tecnica: tornio veloce colore: 10YR7/6 cottura: omogenea impasto: depurato e molto duro  fratture: irregolari  superficie: colore 2GLAY2.5/1 h: 3 cm  Ø: 14 cm spessore: 0,4 cm  descrizione: coppa profonda e con orlo dritto confronti: tipo Morel 2141AL  datazione: produzione locale o regionale III sec. a.C. 217 area 1000 settore 2 us 125 fase 2 (I-II secolo d.C.) fig. 78 oggetto: coppetta  frammento: orlo con parete  tecnica: tornio veloce colore: 10YR7/6 cottura: omogenea impasto: depurato e molto duro  fratture: irregolari  superficie: colore 2GLAY3/1 h: 3,2 cm  Ø: 10 cm spessore: 0,5 cm  descrizione: coppa profonda  confronti: tipo Morel 2848AL  datazione: produzione locale o regionale III sec. a.C. 218 area 1000 settore 2 us 125 fase 2 (I-II secolo d.C.) fig. 78 oggetto: coppa  frammento: orlo con parete  tecnica: tornio veloce colore: 5YR6/6 cottura: omogenea impasto: depurato e molto duro  fratture: irregolari  superficie: colore 1GLAY3/1 h: 3,5 cm  Ø: 20 cm spessore: 0,4 cm  descrizione: coppa dal cavetto poco profondo confronti: tipo Morel 2822BL  datazione: produzione locale o regionale I sec. a.C. 219 area 1000 settore 2 us 125 fase 2 (I-II secolo d.C.) fig. 78 oggetto: coppa  frammento: parete con orlo  tecnica: tornio veloce colore: 5YR6/6 cottura: omogenea impasto: depurato e molto duro  fratture: irregolari  superficie: colore 1GLAY3/1 h: 2,6 cm  Ø: 26 cm spessore: 0,5 cm  descrizione: coppa dal cavetto poco profondo confronti: tipo Morel 2965AL  datazione: produzione Campana A, II-I sec. a.C. 220 area 1000 settore 2 us 125 fase 2 (I-II secolo d.C.) fig. 78 oggetto: coppa  frammento: parete con orlo  tecnica: tornio veloce colore: 5YR7/6 cottura: omogenea impasto: depurato e molto duro  fratture: irregolari  superficie: colore 2GLAY2.5/1 h: 1,7 cm  Ø: 26 cm spessore: 0,4 cm  descrizione: coppa dal diametro ampio, orlo poco rientrante. Il frammento presenta la parete esterna quasi completamente priva del rivestimento, quella interna conserva una vernice nera opaca e piuttosto rovinata  confronti: tipo Morel 2784D3  datazione: produzione campana A, II sec. a.C. 221 area 1000 settore 6 us 189 fase 1 (IV-III secolo a.C.) fig. 78 oggetto: coperchio  frammento: parete  tecnica: tornio veloce argilla colore: 7.5yr 8/3 pink  cottura: omogenea impasto: depurato  fratture tipo: nette sensazioni al tatto: lisce inclusi tipo: quarzo grandezza: >0,5 mm frequenza: molto rari superficie: colore: 7.5yr 8/3 pink trattamento: dipinta larghezza: max cons. 8,8 cm h max cons. 7,8 cm spessore: 1 cm  descrizione: parete di coperchio di pisside globulare decorazione: motivi decorativi (palmetta?) (colore 2.5y 2.5/1 black) confronti: Ruvo di Puglia (Montanaro 2007, p. 289, n. 34.9)  datazione: seconda metà IV sec. a.C. 222 area 1000 settore 6 us 189 fase 1 (IV-III secolo a.C.) fig. 78 oggetto: coperchio  frammento: parete  tecnica: tornio veloce  argilla colore: 7.5yr 8/3 pink  cottura: omogenea impasto: depurato fratture tipo: nette 


ceramica a vernice nera

78. nn. 216-222, ceramica a vernice nera; nn. 226-228, ceramica a vernice rossa.

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capitolo tredicesimo

81. nn. 262-266, maschere e protomi animali; n. 267, matrice; n. 268, peso da telaio.

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altre forme ceramiche

82. Maschera, matrice, lucerne e peso da telaio.




capitolo tredicesimo

potrebbe trattarsi anche di una protome architettonica e trova confronti con gocciolatoi, diffusi in ambito campano di epoca imperiale (Pellino 2006, tav. XIV). È stata trovata, infine, una piccola matrice raffigurante una maschera di gorgoneion (fig. 86 n. 267), databile alla seconda metà del I secolo d.C. Una analoga raffigurazione del gorgoneion è impressa su una antefissa ritrovata nella villa N. Popidi Narcissi Maioris a Scafati (Conticello de Spagnolis 2002, cat. 238-239, pp. 319-320). figg. 81, 82 262  area 1000 us 11 fase 3 (II-III secolo d.C.) oggetto: maschera/protome fittile frammento: forma quasi integra (composta da 3 frammenti)  tecnica: a stampo  cottura: omogenea impasto: CC4 superficie: colore: 7.5YR 6/4 light brown; tipo: lisciata con stecca  h max cons.: 3,2 cm spessore: 0,4 cm  descrizione: parte di maschera/protome fittile rappresentante un muso di cinghiale, con due fori ai margini della bocca per l’alloggiamento delle zanne confronti: contesti campani (Pellino 2006, tav. XIV)  datazione: I sec. a.C. - I sec. d.C. 263 area 1000 settore II us 31 fase 2 (I-II secolo d.C.) figg. 81, 82 oggetto: maschera  frammento: capigliatura  tecnica: a stampo  cottura: omogenea impasto: CC3 superficie: colore: 7.5YR 7/4 pink; tipo: lisciata con stecca h: 6,6 cm spessore: 1 cm  descrizione: frammento di chioma a boccoli cilindrici rigidi e paralleli della parte inferiore sinistra della maschera. Reca anche il limite sinistro e inferiore della stessa confronti: contesti campani (Pellino 2006, tav. XIV)  datazione: I-II sec. d.C. 264 area 1000 settore II us 31 fase 2 (I-II secolo d.C.) figg. 81, 82 0ggetto: maschera  frammento: occhio con sopracciglio e parte di capigliatura  tecnica: a stampo  cottura: omogenea impasto: CC3 superficie: colore: 7.5YR 8/3 pink; tipo: lisciata con stecca h: 8 cm  larghezza: 6.8 cm spessore: 1.2 cm  descrizione: frammento occhio sinistro con sopracciglio e capelli recanti il limite superiore della maschera confronti: contesti campani (Pellino 2006, tav. XIV)  datazione: antecedente al 79 d.C. 265 area 1000 settore II us 31 fase 2 (I-II secolo d.C.) figg. 81, 82 classe: ceramica comune  oggetto: maschera  frammento: naso con labbro  tecnica: a stampo  cottura: omogenea impasto: CC3 superficie: colore: 7.5YR 8/4 pink; tipo: lisciata con stecca h: 5.1 cm  larghezza: 3.8 cm spessore: 3 cm  escrizione: frammento di naso con parte del labbro superiore. 266  area 1000 us 11 fase 3 (II-III secolo d.C.) figg. 81, 82 oggetto: maschera/protome fittile frammento: forma quasi integra (composta da 3 frammenti)  tecnica: a stampo  cottura: omogenea impasto: CC3 superficie: colore: 7.5YR 6/4 light brown; trattamento: h max cons.: 6 cm spessore: 0,4 cm  descrizione: parte di maschera/protome fittile rappresentante unsatiro confronti: contesti campani (Pellino 2006, tav. XIV)  datazione: I sec. a.C.-I sec. d.C. 267  area 1000 sporadici figg. 81, 82 oggetto: matrice  tecnica: a stampo  cottura: omogenea impasto: CC3 superficie: colore: 7.5YR 8/4 pink; tipo: lisciata h: 5.1 cm  larghezza: 4.8 cm spessore: 3 cm  descrizione: gorgoneion confronti: villa N. Popidi Narcissi Maioris a Scafati (Conticello de Spagnolis 2002, cat. 238-239, pp. 319-320)  datazione: I sec. a.C. -  I sec. d.C. 


altre forme ceramiche

2. i pesi da telaio I pesi da telaio sono di forma tronco piramidale con foro per la sospensione. Rinvenuti in grande quantità, rappresentano una tipologia molto diffusa che abbraccia un ampio arco cronologico che va dall’età repubblicana a quella tardo-imperiale; per la semplicità della forma priva di sigilli e decorazioni, si possono confrontare con reperti del secolo I secolo d.C. venuti alla luce nello scavo della villa Numeri Popidi Narcissi Maioris a Scafati (Conticello de Spagnolis 2002, pp. 309-315). 268 area 1000 settore V us 22 fase 3 (II-IV secolo)  figg. 81, 82 oggetto: peso da telaio frammento: forma integra  tecnica: a matrice  cottura: omogenea impasto: CC3  superficie: colore: 10YR very pale brown; trattamento: consistenza: dura h max cons.: 9,3 cm spessore: 2,4 cm; larghezza: 5,5 cm  descrizione: peso da telaio troncopiramidale con foro per la sospensione confronti: Scafati (Conticello de Spagnolis 2002, pp. 309-315)  datazione: I sec. d.C.




Finito di stampare nel mese di febbraio 2018 per conto della casa editrice Il Poligrafo srl presso E.b.o.d. (Milano)




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