Borghi rinati. Paesaggi abbandonati e interventi di rigenerazione, di Carlo Berizzi, Lucia Rocchell

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fatto il punto sulle pratiche e le esperienze innovative per ripopolare i borghi, trasferibili al contesto alpino, contando che sono 2/3000 i borghi abbandonati in Italia, ma che si stima si possa arrivare a 10.000 se si considerano anche quelli ancora abitati ma in fase di spopolamento. Nuto Revelli li aveva definiti nel suo libro Il mondo dei vinti, eppure alcune esperienze recenti e una nuova sensibilità ci fanno pensare a una controtendenza. È il caso dell’albergo diffuso di Santo Stefano di Sessanio in Abruzzo promosso dall’imprenditore italo-svedese Daniele Kihlgren (si vedano pp. 44-47). ospitalità e residenza nei borghi

Giancarlo Dall’Ara, dopo il terremoto del 1976 del Friuli, ha dato vita alla formula di un nuovo tipo di ospitalità, capace di rianimare case vuote, creando un turismo condiviso, anche a 5 stelle. Sono passati trent’anni dalla prima intuizione di Dall’Ara, esperto di marketing del turismo e presidente dell’Associazione Nazionale Alberghi Diffusi. Il format dell’albergo diffuso è ormai copiato anche all’estero (fino in Giappone nei borghi di Ishinomaki e Maze): gli ospiti alloggiano in stanze o appartamenti ricavati nelle case di piccoli paesi, castelli, poderi, in contatto con la gente del posto, con le loro storie, la loro cucina, il loro artigianato. La principale differenza fra un albergo classico e uno diffuso è che la colazione si può fare al bar del paese, il pranzo a casa di una famiglia, la hall è una piazzetta con balconi fioriti e panni stesi ad asciugare. «Un albergo diffuso non si apre in luoghi con pochi abitanti – sottolinea Dall’Ara – perché il suo scopo è proprio quello di far condividere agli ospiti la vita locale». Da Portico di Romagna, 300 abitanti in provincia di Forlì-Cesena, a Santu Lussurgiu in Sardegna nell’Oristanese, sono centinaia le realtà italiane, “un po’ casa e un po’ albergo”. Tra le storie di successo si distinguono quelle in cui l’occhio dell’architetto fa la differenza come progettista ma anche come committente. Correva l’anno 1968 quando Yvan Van Mossevelde, architetto fiammingo specializzato nel recupero di edifici storici, si trova nel borgo di Labro, 356 abitanti della provincia di Rieti, durante uno dei suoi occasionali viaggi in Italia. Il sogno e il desiderio di proteggere questo splendido borgo cominciano a prendere vita dopo l’incontro con la marchesa Ottavia Nobili Vitelleschi nel Castello di Labro, la quale dà fiducia e credibilità al progetto di recupero. Grazie a finanziamenti esteri, nell’aprile del 1969 si concludono i primi 31 atti notarili e si preserva il borgo da interessi guidati da logiche speculative. Con il consenso e la volontà politica del Comune di Labro e del Ministero dei Beni culturali, e grazie al delicato intervento di recupero seguito direttamente dall’architetto Van Mossevelde, oggi il borgo continua a risplendere della sua unicità, uniformità e omogeneità architettonica.

 | paola pierotti


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