Viaggio nell'ermetismo del Rinascimento. Lotto, Dürer, Giorgione, Il Poligrafo

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Francesca Cortesi Bosco

VIAGGIO NELL’ERMETISMO DEL RINASCIMENTO Lotto Dürer Giorgione

ILPOLIGRAFO



biblioteca di arte 10



Francesca Cortesi Bosco

viaggio nell’ermetismo del rinascimento Lotto Dürer Giorgione

ILPOLIGRAFO


progetto grafico Il Poligrafo casa editrice Laura Rigon © copyright maggio 2016 Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova piazza Eremitani – via Cassan, 34 tel. 049 8360887 – fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it ISBN 978-88-7115-743-6


INDICE

11 Prefazione 13 16

I.

21

II.

“DORMIENS VIGILA” NELLA DIMORA DELL’ALCHIMISTA Note al capitolo primo

21 22 25 28

VENEZIA 1495. IL RITRATTO DI LUCA PACIOLI E UN DISCEPOLO. IL FASCINO DEI POLIEDRI

1. L’ingannevole mosca sulla data del ritratto 2. I poliedri della dottrina platonica degli elementi 2.1 La “quinta essenza” nel pensiero di Pacioli e di Ficino

3. I “corpi regolari finti di cristallo” nel perduto ritratto del Pacioli di Piero della Francesca 4. Il dodecaedro figura del “cielo/quinta essenza”, il poliedro di 26 basi figura del “misto elementare”

33 35

4.1 I Filosofi con poliedro del Parmigianino e Diogene alchimista

42 47 53 56 58 99 99 101 105 110 118 125 127 136 142

5. Il vetro nella tradizione ermetica del “lapis philosophorum” 6. Proporzione e geometria nella creazione del “lapis” 6.1 Analogia tra arte dell’alchimia e arte della pittura

7. Un’ipotesi sull’autore del Luca Pacioli Note al capitolo secondo III.

VENEZIA

1. 2. 3. 4. 5.

1495. IL “LEONE MELANCONICO” DELL’ALCHIMISTA DI DÜRER

La riflessione di Dürer sull’alchimia nel foglio dell’Alchimista L’arcano del vaso: il “lutum sapientiae” Intelletto, volontà, sapienza, ingegno nell’opera alchemica Il libro dell’Alchimista Il calore di Febo, il “Leone” uno e trino dell’arte dell’alchimia 5.1 Il dono divino dell’alchimia e della pittura

6. Melencolia I dopo l’Alchimista: la mente creativa di Dürer 7. L’incontro di Lotto con l’ermetismo Note al capitolo terzo


181 181 184 185 191 196 200 204 206 213

IV.

1. Lotto a Treviso negli anni del Monumento Onigo in San Nicolò 2. L’invenzione dell’affresco del Monumento Onigo 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5

231 237

Note al capitolo quarto V.

289

308 317 322

335 350

432 438

ASTROLOGIA ALCHIMIA MAGIA MEDICINA TRA VENEZIA E TREVISO

1. L’astrologia sull’orizzonte della storia in un carme dell’Augurello del 1495 2. Le tolemaiche forze celesti 3. Il cielo “padre” dei metalli, la terra “madre” 4. La ‘fisica’ di Pico della Mirandola e il “legame delle virtù occulte” in Cornelio Agrippa. Dürer fra astrologia e alchimia 5. Dürer e la magia. Uno sguardo da al-Kindi a Picatrix 6. Tra Pico e Ficino. Magia e dèmoni a Padova e a Treviso 7. Oroscopo delle religioni, congiunzionistica e astrologia dell’astrologo e medico Giovan Battista Abioso: l’Anticristo o il profeta? 8. L’insegnamento dell’Abioso nella Treviso di Lotto. Astrologia e “medicina universale”

294 298 302

417 417

Architettura dipinta Apparato decorativo Gli Armigeri della guardia d’onore Costruzione illusiva dello spazio Sulla coda della tritonessa: osservazioni tecniche

3. Il senso della decorazione nel “muto parlare” delle immagini 4. Il precedente del frontespizio miniato del Chronicon di Eusebio per Bernardo Bembo. Il geroglifico del Tempo e l’erma bifronte della quinta essenza 5. Gli umanisti Augurello e Bologni. Cultura antiquaria, platonismo, ermetismo e alchimia del “programma” dell’affresco Onigo 6. Per l’autore della decorazione

221

289

1498. LA DECORAZIONE DEL MONUMENTO ONIGO IN TREVISO

Note al capitolo quinto VI.

COSE TERRENE, REALTÀ CELESTI E SOPRACELESTI IN GIORGIONE E LOTTO

1. La committenza di Lotto e Giorgione: gli Onigo e i Costanzo. Leonardo in Friuli e a Venezia 2. Astrologia a Castelfranco: il Fregio di Casa Marta 3. La filosofia dei Tre Filosofi. Una fonte per il Ritratto di Girolamo Marcello e per la “nocte” di Giorgione


452 462 471 475

4. Tra “cose celesti” e “cose terrestri”: Giorgione e la Tempesta 5. Il tema dell’Anima, tra filosofi, mistici, letterati e pittori

482 488

6. Lotto accanto a Galeazzo Facino, un umanista curioso di magia

545

5.1 Psicologia e teologia mistica di Gerson 5.2 Lotto interprete di Gerson: un’allegoria degli “appetiti” dell’Anima razionale Note al capitolo sesto ILLUSTRAZIONI

APPARATI

711 Indice dei nomi dall’antichità al sec. XVIII 729 Indice dei nomi dal sec. XIX al sec. XXI



viaggio nell’ermetismo del rinascimento



i. “dormiens vigila” nella dimora dell’alchimista

Quando verso il 1504 il pittore Lorenzo Lotto ideava a Treviso l’allegoria del Sonno vigilante dell’Anima1 (tav. XV, fig. 274) non poteva certo prevedere che nel 1595 un medico di Lipsia, Heinrich Khunrath, filosofo ermetico e cabalista cristiano, nel suo Amphitheatrum Sapientiae Aeternae avrebbe posto al centro di una vignetta che illustra la dimora dell’alchimista il motto DORMIENS VIGILA (“dormendo veglia”)2 (fig. 1). Tuttavia l’invito paradossale di quel motto offre lo spunto all’avvio dell’indagine, finora non tentata, dei primi contatti di Lotto con l’ermetismo3 al tempo della sua formazione fra Venezia e Treviso allo scadere del Quattrocento. Disegnata dal prospettico fiammingo Hans Vredeman de Vries su invenzione dello stesso Khunrath, e incisa ad Amburgo da Paul van der Doort, incisore di Anversa, la vignetta circolare mostra uno spazioso interno architettonico in prospettiva, una sorta di galleria inondata di luce che spiove da ampie finestre. Sul lungo tavolo in primo piano, insieme a materiale scrittorio e di studio, a strumenti musicali e a un album di musica, sono posati attrezzi per la pesatura di precisione e la saggiatura, una tavoletta col pestello e altri arnesi; accanto e sotto il tavolo, recipienti e apparecchi dell’arte dell’alchimia. Sulla destra c’è il LABORATORIVM, un’edicola su colonne e con timpano che attorno al camino con forgia riunisce diversi forni e l’athanor, come pure vari strumenti dell’attività fisico-chimica e vasi delle sostanze, tutti in bell’ordine (“Hyle”, “Ros celi”, “Azoth” ecc.). Sulla sinistra c’è una tenda a padiglione, l’ORATORIVM. Su di essa corre l’iscrizione HOC HOC AGENTIBVS / NOBIS ADERIT IPSE DEVS (“qui perciò Dio stesso starà vicino a noi che operiamo”), riferita all’orante umilmente genuflesso a braccia aperte, «cruciformiter», l’operatore che confida nell’illuminazione divina. La tenda sacra ripara un tavolo sul quale un libro

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capitolo primo

aperto mostra il «pentaculum Verbi» e il «sigillum Patris», il tetragramma del nome divino, che – scrive Khunrath nell’introduzione alla figura – l’anima unita a Dio deve imprimere dentro di sé. Il foglio posato sul tavolo, «charta virginea», mostra quale dev’essere l’anima stessa; lì accanto, la penna, «calamo cogitationum», fa allusione ai suoi pensieri e alle rette immaginazioni, da scrivere col «cinabrio» ardente del desiderio di conoscenza. La fila di libri ritti sulla lunghissima mensola e il sottostante pancale conducono l’occhio sul fondo dell’ambiente; qui, oltre la loggia, s’intravede il talamo col cortinaggio del letto e attraverso la porta spalancata un’altra stanza luminosa, lo scrittoio. Iscrizioni, motti, sentenze sono disposti un po’ ovunque e si prestano alla meditazione e all’esercizio della mente, ma non solo. Orazione, studio, lavoro, riposo, scandiscono l’attività dell’alchimista, volta a uno scopo che, come ammonisce la scritta sull’architrave del laboratorio, SAPIENTER RETENTATVM SVCCEDET ALIQVANDO (“ricercato sapientemente finalmente riuscirà”). Il fine dell’alchimia metallurgica, scienza della materia e degli elementi, è la fattura di un agente di trasmutazione che migliori e perfezioni i metalli, conferendogli la perfezione dell’oro. Come la scienza della medicina, l’alchimia è una scienza speculativa e al tempo stesso un’arte operativa e pratica, dotata di una teorica e ancorata all’esperienza di laboratorio. Nella vignetta lo mostrano, da un lato, i libri allineati alla parete e sparsi sui tavoli; dall’altro, le scritte RATIO ed EXPERIENTIA per l’appunto sui piedistalli del laboratorio con gli strumenti di lavoro dell’alchimista. Questi non condivide l’abituale disprezzo degli intellettuali per tecnica e pratica, secondo la scissione tra ‘nobile’ scienza speculativa e ‘servile’ arte operativa, che caratterizza altri campi del sapere. Nell’indagine della Natura l’alchimista, che si considera un filosofo, procede con lo studio delle dottrine e teorie tramandate dai testi e soprattutto con l’esperienza e con operazioni concrete manuali. Sono gli experimenta a caratterizzarne l’attività tra fornelli, fuochi, vasi, alambicchi, sostanze, acque, terre, vapori. È il ‘libro della Natura’ a dirigerne pensiero e pratica. L’agente di perfezione al centro della sua opera (opus) è la pietra filosofica (lapis philosophorum) ed è il sommo bene della Natura e dell’Arte, come dice Khunrath seguendo una tradizione più che millenaria; «donum Dei» nella misura in cui l’intelletto dell’artefice partecipando della luce divina attinge l’arcano principio formante della materia. Soltanto nella purezza l’anima può ricevere tale illuminazione4. È appunto in relazione a quest’aspetto che in limine è inciso il motto DORMIENS VIGILA al centro del fregio della loggia che introduce al talamo. All’origine del motto sta un versetto del Cantico dei Cantici (5, 2), Ego dormio et cor meum vigilat («Io dormo e il mio cuore veglia»), sono parole pronunciate dall’amata nella mistica ebbrezza amorosa. Nell’esegesi anagogica del Cantico l’unione della sposa allo sposo è l’unione dell’anima a Dio. L’ossimoro mistico5 esprime l’alto grado di vita spirituale attinto dall’anima che, nella sospensione della vita naturale dei sensi esterni, riceve nella purezza e nudità della mente la manifestazione di Dio. È l’estasi

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“dormiens vigila” nella dimora dell’alchimista

dell’anima nel ritrovato contatto col mondo divino al quale appartiene. Commenta Bernardo di Chiaravalle, il grande mistico benedettino del XII secolo: essa riposa dolcemente negli abbracci desiderati; certamente dorme ma il suo cuore veglia, perché con esso scruta, in quei momenti, gli arcani della verità, dei quali il ricordo ben presto, quando sarà ritornata in se stessa, la nutrirà.6

In un sermone sul Cantico – che cito da un’edizione in volgare del Quattrocento – ancora Bernardo osserva: questo vitale e vigilante dormire de la sposa illumina il senso interiore e caciata la morte dona vita sempiterna. E veracemente egli è una dormitione la quale però non ha a sopire cioè indormentare il senso ma levar.7

Merita attenzione l’illuminazione del senso interno che nell’estasi amorosa si volge alla luce divina della mente. Per Khunrath, il versetto Ego dormio et cor meum vigilat «descrive il Sole nascente in noi»; «la Mente inebriata da Dio vede come in uno specchio Dio in se stessa e se stessa in Dio, e così tutto ciò che vuole o desidera»8. La conoscenza dell’assoluta verità, dell’intelligibile, degli arcani del mondo superiore e inferiore, celeste ed elementare, si attinge in una condizione di perdita della sensibilità. Solo così è possibile che la nostra mente, lontana dalla contagione delle cose terrene, si unisca profondamente a Dio con la contemplazione degli arcani, così che nell’interno del suo talamo godendo delle delizie sopra Celesti, Macro e Micro Cosmiche, Cristiano-Kabbalisticamente, Divino-Magicamente e Fisico-Chimicamente, essa manifestando la propria gioia con la voce e col cuore possa esclamare con Isaia 24, 16: secretum meum mihi, secretum meum mihi! 9

Nella vignetta, alla mistica unione allude appunto il talamo, una metafora dell’interiorità. Il talamo, la tenda sacra e analogamente il fornello alludono ai momenti della conoscenza intima e illuminata che guida le azioni e le operazioni del sapiente alchimista. La conoscenza procede dallo Spirito di Sapienza senza il soffio del quale nessuno sarà un grande uomo, secondo la nota sentenza di Cicerone, che si legge incisa sulla trave centrale della dimora, SINE AFFLATV DIVINO NEMO VMQVAM VIR MAGNVS10. Significativamente, appesa alla medesima trave arde una lampada a sette braccia, quanti i doni dello Spirito santo. Importa, a completamento del tema del “vegliare dormendo”, un altro dato. Nel trattare dell’estasi o excessus o ratto in Dio dell’anima quale momento della conoscenza ottenuta per illuminazione divina, Khunrath richiama per l’eccellenza della dottrina ispirata dallo Spirito divino l’esordio del Pimander, nel De Potestate et Sapientia Dei di Ermete Trismegisto, il primo dei trattati del Corpus Hermeticum11. La traduzione dal greco in latino dei trattati propriamente filosofici attribuiti all’insegnamento di Ermete – dagli alchimisti considerato il fondatore della sapienza alchemica – il Mercurii Trismegisti liber, era stata curata nel 1463 da Marsilio Ficino

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v. astrologia alchimia magia medicina tra venezia e treviso

1.

L’astrologia sull’orizzonte della storia in un carme dell’Augurello del 1495

Il carme Augustino Barbarico Principi Inclyto Imminentium temporum Querela (fig. 155) che Giovan Aurelio Augurello aveva inserito nella raccolta poetica del codice dedicato allo scadere del 1495 al vescovo di Treviso Nicolò Franco – già nunzio pontificio a Venezia (1485-1491) e suo patrono1 – indizia fin dal titolo quale occasione del componimento l’incombere minaccioso degli eventi, dopo la discesa dell’esercito francese di Carlo VIII in Italia nel settembre 1494. Essa poneva fine, in modo traumatico, all’equilibrio dell’assetto politico uscito dalla pace di Lodi durato quarant’anni. L’insufficienza militare degli stati italiani di fronte alla potenza dell’esercito invasore, la rapidità e la facilità della conquista del regno di Napoli, avevano lasciato gli animi sgomenti. A Venezia il 31 marzo 1495 si stipulava una lega degli stati italiani contro la Francia. Il 6 luglio, le milizie dei veneziani e dei milanesi sul campo di Fornovo non riuscivano, nonostante la strenua battaglia, a sbarrare il cammino all’esercito francese diretto al Nord, sulla via del ritorno Oltralpe. Nella flagranza dei fatti, la discesa di Carlo VIII e la reazione degli stati italiani erano state descritte da Augurello in modo circostanziato, in versi che occupavano quasi i due terzi dei centonovanta complessivi del carme. Quando nel 1505 il poeta affiderà ad Aldo Manuzio – per l’edizione che sarebbe uscita nell’aprile – una raccolta di suoi poemi, vecchi e nuovi, coi Sermones dedicati al Franco, interverrà nel carme Imminentium temporum Querela con cospicui tagli sulla parte più esplicitamente storica, omettendo la dedica e i versi contestualmente indirizzati al doge Barbarigo che nel frattempo era defunto (1501)2. A distanza di dieci anni dalla sua composi-

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capitolo quinto

zione, privato degli elementi del contesto per il quale era nato con tagli che dell’originale conservavano poco più di una sessantina di versi, il carme doveva essere sembrato ad Augurello oltre che degno di stampa ancora di attualità, giusta le recenti previsioni degli astrologi per gli anni appena trascorsi e a venire. Previsioni sulle quali dovremo tornare più avanti. In un denso contributo sull’umanesimo astrologico a Treviso, visto sullo sfondo delle credenze astrologiche tra Quattro e Cinquecento, indagate dalla storiografia del XX secolo, Manlio Pastore Stocchi3 si è soffermato sul carme Imminentium temporum Querela nell’edizione aldina, ignorandone però l’esatto contesto storico e il dedicatario, con conseguenti non lievi sfasature critiche4. Oltre all’altissima qualità poetica, ciò che a suo giudizio rende il testo di estremo interesse è soprattutto «la sicurezza con cui vi è registrata la fine di un mito umanistico che aveva sognato, nello splendore pacifico delle arti e delle lettere e nella “librûm numerosa facultas” il ritorno dell’età dell’oro»5. Lamenta infatti il poeta: [...] illa potens ˛etas iam prisca redire Cœperat, astrorum volvendis cursibus acta: Nunc eadem retro citius sublapsa refertur, Quam nova tantarum Rerum primordia poscant.6 (vv. 155-158)

E – nota lo studioso – quando «ferito dal venir meno delle illusioni e dall’orrore della guerra che teme prossima» Augurello prosegue: Implacidum sidus nobis hoc vulnus inurit.7 (v. 159)

«non si tratta di una generica e metastasiana accusa al cielo, ma del preciso rilievo di una condizione denunciata dagli strumenti della scienza astrologica»8. Occorre soffermarsi più attentamente sull’indirizzo del pensiero astrologico dell’umanista – ereditato dal Medioevo e radicato nella dottrina aristotelica della causalità dei cieli secondo l’ordine verticale e discendente delle cause universali9 – poiché il poeta depreca sì i tempi calamitosi annunciati dagli astri: Heu quos infelix genus inclinamus ad annos. Sed quid inexplete ˛ voces Lamentaque tanta Profuerint? si fata iubent et sidera monstrant Exitium infandum, et nulli exuperabile monstrum.10 (vv. 18-21)

ma al contempo riconosce al saggio – il Principe nella circostanza – la possibilità della volontà (diva voluntas), evocatrice del libero arbitrio, di fronteggiare gli eventi dei quali gli astri sono la causa, ma ai quali nessuno è costretto a sottostare se non per sua scelta: Sed si causa manet ce ˛ lo, non illa subire Vim fati subigit quenquam, nec diva voluntas Servili nisi sponte jugo dat Libera colla. Nos igitur que ˛ cunque parent, que ˛ cunque minentur Sidera, Prudentes non evitare nequimus. Sunt ea, ni fallor, que ˛ impendent dira, nec ulli

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astrologia alchimia magia medicina tra venezia e treviso

Non gravia, et varijs non inconnexa periclis Sed vitanda tamen: Possunt ea quippe minora Reddi, siquisquam rerum qui tractet habenas.11 (vv. 160-168)

E dunque, secondo Augurello, la conoscenza degli eventi futuri tratta dagli astri doveva indurre a intervenire per prevenirli per quanto possibile con l’agire prudente. Il rapporto dell’individuo con gli astri era un tema presente anche nel carme responsivo, pure inserito nel codice Franco, che il Riminese dedicava in quei mesi all’amico Girolamo Bologni12, l’umanista trevigiano cultore di antiquaria di cui si è parlato nel precedente capitolo. Augurello esordiva col motivo dell’astro dominatore nell’oroscopo al momento della nascita13, che si riteneva influisse sul fisico e la personalità dell’individuo e sulle sue inclinazioni: Quisque suum sequimur sidus Fatale Bononi, Quo trahit, et nobis illud sic imperat, ut vix Efugiat quisquam mandata subire, Licebit Sit nulli penitus hominum parere necesse.14 (vv. 1-4)

Sebbene il poeta sembri fare eco al verso di Manilio (Astron. IV, v. 22) «sors est sua cuique ferenda» («la propria sorte ognuno ha da sopportare»), al suo determinismo fatalistico, consapevole della razionalità delle leggi naturali e dell’unità della natura15, in realtà anche in questa circostanza l’umanista reagisce infine positivamente circa il rapporto fato-libertà, dando credito al monito astra inclinant, non necessitant, senza ignorare altresì il noto aforisma, attribuito a Tolomeo, il «Saggio dominerà le stelle»16, quantunque i saggi siano una minoranza rispetto ai più che seguono gli impulsi naturali e l’impeto delle passioni. Sulla traccia della teoria tolemaica delle predizioni di eventi generali, il poeta richiamava all’amico il negativo dominio astrale di Marte e il protrarsi degli effetti dell’ultima eclissi. Gli accenni astrologici, sebbene alquanto più estesi, per tono e sostanza non differivano da quelli del carme indirizzato al doge17. Di questi eventi, va ricordato, aveva trattato dieci anni prima nei Prenostica ad viginti annos duratura (1484) Paolo da Middelburg, l’astronomo della corte urbinate da poco fatto vescovo di Fossombrone, in un più ampio quadro di astrologia congiunzionistica ciclica e unitamente alla previsione di un morbo epidemico18, confermata dal diffondersi del “morbo gallico” portato dall’invasore francese (figg. 176, 177). Augurello, nel riferire sulle potenze in gioco dei pianeti – ai quali limita la propria riflessione astrologica – e sugli eventi quali effetti delle medesime, attingeva al Quadripartitum (Tetrabiblos) di Tolomeo, il trattato sulla scienza degli astri e dei loro effetti nel mondo sublunare, stampato, unitamente a importanti testi ermetici, nel 1493 a Venezia con il commento dell’arabo ‘Alı- ibn Rid.wa-n (XI secolo) o Haly Heben Rodan – noto al Medioevo come Haly Abenrudianus – nella versione latina condotta nel 1271-1275 dall’«yspanico» da Egidio de’ Tebaldi di Parma, per incarico di Alfonso X il Saggio, re di Castiglia e León (1252-1284), cultore della scienza astronomi291


capitolo quinto

ca e magico-astrologica19. La qualità benefica o malefica degli eventi era ricondotta da Tolomeo alle proprietà attive dei pianeti, benefici o malefici, che presiedono i punti chiave del cielo e alla configurazione geometrica dei corpi celesti fra di loro e con i luoghi dello zodiaco che li ospitano in relazione coi sottostanti luoghi sublunari, con effetti sull’atmosfera, sulla terra, sulle acque, sul mondo vegetale e animale, nonché sugli esseri umani. Dalle eclissi, dal dominio di Saturno e di Marte, l’astronomo faceva dipendere gli eventi umani di carattere generale negativi: guerre, lotte civili, prigionie, schiavitù, rivolte popolari, ire dei governanti, resi peggiori se con detti astri si combina l’azione dell’ambiguo Mercurio, sotto il cui controllo, per altro, cadono i periodici cambiamenti nei costumi o nelle istituzioni per un’azione sempre associata con i pianeti con i quali esso si incontra. E ancora, Saturno Marte e Mercurio insieme danno luogo ad altri eventi naturali: tuoni e uragani, folgori, terremoti, esondazioni, malattie e moria di animali, incendi, carestie. Rispetto alle loro nature non possono nulla i pianeti dagli effetti positivi come Giove e Venere20. E Augurello proseguiva non mancando di segnalare detti eventi21. Ma erano soprattutto i preannunci astrali di altre guerre la grande preoccupazione del momento, guerre alle quali con la mente obnubilata i governanti sembravano già pronti: Bella sed imprimis portendunt horrida Bella, Que ˛ fore iam posset quisquis pre ˛ scire, quod atram Principibus mentem videat bellare paratis.22 (vv. 39-41)

L’umanista richiamava pertanto all’amico Bologni il dovere di ciascuno, di ogni saggio, di non restare a guardare, ma di far sentire la propria voce al fine di far desistere gli animi dei potenti induriti dalle guerre. E non senza slancio, infine, lui per primo chiudeva il carme col monito accorato di Anchise al figlio Enea: Ad quos pro se quisque preces intendere supplex Debeat, ut tantis desistant, et mihi iam nunc Carmine sublimis Libet exclamare Poëte ˛ Ne Proceres ne tanta Animis assuescite bella.23 (vv. 42-45)

Occorre rilevare che nell’attingere alla celebre visione virgiliana premonitrice della missione storica di Roma, dell’incontro di Enea e Anchise nell’Elisio, Augurello apporta un lieve quanto significativo ritocco al monito (Eneide VI, v. 832): «ne pueri, ne tanta animis assuescite bella» («o figli, non indurite l’animo in simili guerre»), adattandolo al contesto col sostituire proceres a pueri. Pertanto non sembra che i due sermones possano essere considerati una testimonianza dello «spirito di pessimistica attesa del peggio» di cui, come ritiene Pastore Stocchi, sarebbe stato impregnato l’umanesimo trevigiano24. Piuttosto, con la presa d’atto – non senza angoscia nel frangente dell’invasione francese – di quanto i pianeti già avevano provocato e ancora annunciavano per il futuro, va colta l’indicazione della linea di condotta da tenere da parte del saggio, nella consapevolezza che se la previsione di calamità

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astrologia alchimia magia medicina tra venezia e treviso

naturali non avrebbe consentito di evitarle, ma di attenuarne per lo meno gli effetti, era invece possibile evitare le guerre, quando i Principi avessero saputo far uso della diva voluntas25 e non delle armi per risolvere i conflitti. Di ciò andavano persuasi i governanti, ed è appunto con un intento civile – sempre attuale – che Augurello aveva indirizzato il carme al doge Barbarigo. Già l’attenzione all’alchimia, e più in generale alla cultura ermetica attestata dai poemi del Riminese e dall’elaborazione del programma della decorazione del Monumento Onigo, presi in esame nel precedente capitolo, implicava un collegamento con l’astrologia, fondamento teorico dell’alchimia e della magia, come vedremo oltre. Sebbene non sia dato sapere in che misura Augurello avesse approfondito gli studi di astrologia, nondimeno la certezza che se ne era occupato non superficialmente è fornita dai contemporanei, oltre che dal Bologni, i quali accennano ai suoi interessi per la fisica, per l’alchimia e per le discipline matematiche (mathematicae), che all’epoca comprendevano l’astronomia e l’astrologia nei loro aspetti teorici e pratici26. I suoi interessi si estendevano alle scienze mediche e naturali, come attesta il carme indirizzato a Ermolao Barbaro, In Dioscoridis traductionem, pubblicato la prima volta a Verona nel 1491, nella raccolta da lui dedicata al sedicenne Pandolfo IV Malatesta signore di Rimini27; Barbaro aveva intrapreso il commento dell’opera del medico greco nel 1481-1482, concludendolo entro il 1489. La sensibilità dell’Augurello ai temi astrologici, attestata come abbiamo visto dai sermones del 1495, qualche anno dopo sarebbe stata sollecitata anche dai pronostici dell’astrologo, matematico e medico campano Giovan Battista Abioso, che poco oltre la metà del 1497 risulta stabilito a Treviso. Le previsioni dell’Abioso, come vedremo, indurranno il Bologni ad attaccare i prognostica, gli astrologi fallaces, e le anime credule. C’è da aggiungere – se giusta la ricostruzione fatta delle vicende del Monumento Onigo e della sua decorazione – che nel 1498 approdava a Treviso anche Lotto, pertanto ben difficilmente il pittore avrebbe potuto sottrarsi al clima emotivo suscitato da quei pronostici. Ma ci si deve anzitutto soffermare sull’astrologia di Tolomeo, sul suo Quadripartitum, prosecuzione e completamento, sul versante pratico, del manuale di astronomia Mathematiké Syntaxis, diffuso nel Medioevo col titolo arabizzante Almagesto, testo base della disciplina, in epoca rinascimentale utilizzato anche per l’insegnamento delle matematiche. Pur se criticata e criticabile dai filologi, che solo nel Cinquecento avanzato appronteranno edizioni in greco e traduzioni dal greco del Tetrabiblos28, nondimeno la versione di Egidio de’ Tebaldi e la traduzione anteriore di Platone di Tivoli (1138) da una versione araba, restano insostituibili poiché fu attraverso queste versioni “corrotte” e di stile “barbaro” che il Quadripartitum fu letto, studiato e citato nell’Occidente latino, fino agli anni di cui qui ci stiamo occupando, insieme al Centiloquium dello pseudo Tolomeo e il suo commentario di Ah.mad ibn Yu-suf ibn al-Da-ya, inclusi nel curriculum degli studi di medicina, come all’università di Bologna, accanto all’Introductorium iudiciorum astrorum di Alchabitius (al-Qabı-sı-, secolo X).

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ii. venezia 1495. il ritratto di luca pacioli e un discepolo

20. Ugo da Carpi su invenzione di Parmigianino, Filosofo con poliedro (Archimede), chiaroscuro, ca 1528. Vienna, Graphische Sammlung Albertina. 21. Raffaello, Nudo maschile seduto con un libro aperto. Vienna, Graphische Sammlung Albertina, inv. 137.

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ii. venezia 1495. il ritratto di luca pacioli e un discepolo

22. Gian Giacomo Caraglio su invenzione di Parmigianino, Diogene alchimista, incisione, ca 1528. 23. Dodecaedro piano solido, in Luca Pacioli, Divina proportione, Venezia 1509.

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ii. venezia 1495. il ritratto di luca pacioli e un discepolo

24. Ugo da Carpi su invenzione di Parmigianino, Diogene, chiaroscuro. 25. Diogene, part. del libro con l’iscrizione del nome di entrambi gli autori.

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ii. venezia 1495. il ritratto di luca pacioli e un discepolo

26. William Davidson, Philosophia pyrotechnica, Paris 1635 (da Alchimie: art, histoire et mythes, 1995).

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iii. venezia 1495. il “leone melanconico” dell’alchimista di dürer

42a. Albrecht Dürer, part. del Ratto di Europa.

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iii. venezia 1495. il “leone melanconico” dell’alchimista di dürer

42b. Albrecht Dürer, part. dell’Alchimista.

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iii. venezia 1495. il “leone melanconico” dell’alchimista di dürer

43. Athanor e alchimisti, in Ps. Geber, De Alchimia libri tres, Strasburgo 1529. 44. Forno alchimistico in forma di torre, in P. Ulstadius, Coelum philosophorum, Strasburgo 1528. 45. Hans von Kulmbach, Conrad Celtis nello studio e divinità mitologiche, in Conrad Celtis, Libri Amorum IV, Norimberga 1502.

574


iii. venezia 1495. il “leone melanconico” dell’alchimista di dürer

46. Albrecht Dürer, Philosophia, in Conrad Celtis, Libri Amorum IV, Norimberga 1502.

575


vi. cose terrene, realtà celesti e sopracelesti in giorgione e lotto

XII. Luca Signorelli, Testamento di Mosè, part. del giovane stante di spalle.

Roma, Città del Vaticano, Cappella Sistina.

704


vi. cose terrene, realtĂ celesti e sopracelesti in giorgione e lotto

XIII. Giorgione, Adorazione dei Magi, ca 1497, part. del palafreniere stante di spalle. Londra, National Gallery.

705


vi. cose terrene, realtĂ celesti e sopracelesti in giorgione e lotto

XIV. Giorgione, La Tempesta, ca 1502-1503.

Venezia, Gallerie dell’Accademia.

706


vi. cose terrene, realtĂ celesti e sopracelesti in giorgione e lotto

XV. Lorenzo Lotto, Allegoria del Sonno vigilante dell’Anima, ca 1504. Washington, National Gallery of Art.

707


e

,

ISBN ----


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