Annuario ABAV, 2014, Insegnare l'arte?, Il Poligrafo

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ABAV ILPOLIGRAFO

ANNUARIO ACCADEMIA di BELLE ARTI di VENEZIA

Insegnare l’arte?

Pedagogia e didattica dell’arte come filosofia dell’esperienza creativa

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Accademia di Belle Arti di Venezia



ABAV ILPOLIGRAFO

annuario accademia di belle arti di venezia a cura di Alberto Giorgio Cassani

Insegnare l’arte?

Pedagogia e didattica dell’arte come filosofia dell’esperienza creativa

2014


Annuario dell’Accademia di Belle Arti di Venezia a cura di Alberto Giorgio Cassani Annuario/Annuary 2014 Insegnare l’arte? Pedagogia e didattica dell’arte come filosofia dell’esperienza creativa Art Teaching? Pedagogy and Didactics of Art as a Philosophy of the Creative Experience comitato scientifico Gabriella Belli, Alberto Giorgio Cassani, Giuseppina Dal Canton Martina Frank, Marta Nezzo, Nico Stringa, Giuliana Tomasella Piermario Vescovo, Guido Vittorio Zucconi redazione internazionale Laura Safred per la realizzazione di questo numero si ringraziano in particolare Alessandro Di Chiara, Laura Safred referenze fotografiche Le immagini riprodotte provengono dall’Archivio fotografico dell’Accademia e dagli archivi personali degli Autori, salvo dove diversamente indicato. Si ringraziano: Claudia Giuliani, direttrice dell’Istituzione Biblioteca Classense di Ravenna per aver concesso gratuitamente la riproduzione delle immagini delle lettere del Carteggio Ricci e di quella di Corrado Ricci pubblicate nel contributo di Alberto Giorgio Cassani; Marina Andreose per le immagini fotografiche del contributo di Roberto Zanon Il progetto del gioiello in vetro

progetto grafico e realizzazione editoriale Il Poligrafo casa editrice Alessandro Lise, Sara Pierobon, Laura Rigon Copyright © giugno 2015 Accademia di Belle Arti di Venezia Il Poligrafo casa editrice Il Poligrafo casa editrice srl 35121 Padova piazza Eremitani - via Cassan, 34 tel. 049 8360887 - fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it www.poligrafo.it ISSN 2280-4498 ISBN 978-88-7115-903-4


Indice

13 Editoriale Alberto Giorgio Cassani 15 Presentazione Luigino Rossi 17 Presentazione Carlo Di Raco dossier Pedagogia e didattica dell’arte

come filosofia dell’esperienza creativa

a cura di Alessandro Di Chiara 21 Viktor Lowenfeld e la creatività artistica nella scuola Giorgio Nonveiller 49 Scienza e grammatica nell’arte Francesco De Bartolomeis 71 Educare all’arte: un compito “sempreverde” Franco Cambi 79 Pedagogia e didattica dell’arte Marco Dallari 91 Controeducazione estetica: la responsabilità simbolica nel mondo contemporaneo Paolo Mottana 1 03 L’arte come “messa in scena” per l’agire creativo Sara Nosari


1 09 Pedagogia dell’arte come autoeducazione alla libertà dell’atto creatore Alessandro Di Chiara Appendice Esperienze didattiche odierne e una mancata riforma di un secolo fa a cura di Alberto Giorgio Cassani 141 Progetto Arte Didattica Gaetano Cataldo 169 Art Education at Noordelijke Hogeschool Leeuwarden (NHL) Vincent van der Post 179 «Una folla d’inetti e di miseri»? La (mancata) riforma dell’insegnamento artistico di Corrado Ricci (1917) a cura di Alberto Giorgio Cassani saggi e studi 2 13 Il titolo dell’opera d’arte. Nascita di un dispositivo Laura Safred 2 35 Le stelle i viaggi Un ciclo astronomico nel portale centrale della Basilica di San Marco a Venezia (prima parte) Gloria Vallese 2 77 Elsa Schiaparelli, un’artista della moda Ivana D’Agostino 313 Sul restauro dell’arte contemporanea Diego Antonio Collovini 3 29 È vento Giulio Alessandri dipartimenti 3 41 Verso l’accordatura del Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto Nicola Cisternino 3 49 La Boot Messe 2014 di Düsseldorf (18-26 gennaio 2014). La partecipazione dell’Accademia di Venezia Gaetano Cataldo 355 Il gioiello e la sua funzionalità Roberto Zanon


3 63 Il progetto del vaso in vetro Roberto Zanon 3 67 Il progetto del gioiello in vetro Roberto Zanon fondo storico, archivio, biblioteca, progetto tesi, progetti europei 375 Piazzetta, Bartolozzi, Albrizzi e un Libro d’ore ritrovato Lorena Dal Poz 391 Progetto Tesi. Dai documenti conservati nel Fondo storico dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, anno accademico 2013-2014 Matteo Mazzocco 4 07 Progetto Tesi. Dai documenti conservati nell’archivio dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, anno accademico 2013-2014 Alessia Del Bianco eventi 4 35 Eventi 2014 Mostre, workshop, convegni, conferenze a cura di Giulia Parisi appendici 481 Riassunti 491 Abstracts 503 Autori 505 Indice dei nomi



Editoriale L’«Annuario» dell’Accademia di Belle Arti di Venezia – che con questa nuova stagione vuole riprendere idealmente una prassi comune, in passato, da parte delle Accademie – intende far conoscere l’attività di ricerca svolta dalla nostra Istituzione all’esterno, non solo alle gemelle strutture italiane ed europee (in gran parte opportunamente inserite, a pieno titolo, nel sistema universitario), ma anche ad un pubblico più vasto di operatori culturali del settore delle arti visive. L’«Annuario» è organizzato in cinque sezioni: la prima, «Dossier», affronta un tema specifico dell’ambito dell’arte; la seconda, «Saggi e studi», ha carattere più miscellaneo; la terza, «Dipartimenti», aggiorna sulla didattica e sulla ricerca artistica svolta all’interno dell’Accademia; la quarta, «Fondo storico, Archivio, Biblioteca, Progetto Tesi, Progetti Europei», informa sul patrimonio documentario custodito in Accademia e sugli studi e tesi ad esso dedicati; l’ultima sezione, «Eventi», rende conto di convegni, conferenze e mostre organizzati dall’Accademia, che vedono coinvolti docenti e studenti. Se l’«Annuario» accoglie principalmente i contributi dei docenti dell’Accademia di Venezia, intende però ospitare al suo interno anche testi di studiosi di chiara fama provenienti da altre istituzioni, accademie italiane e straniere, università ed enti culturali (musei, biblioteche ecc.). Sua ambizione, infatti, è quella di costituire il “luogo d’incontro” di esperienze, culture e saperi non ristretti alla secolare Istituzione veneziana, il quale dia spazio a un orizzonte più vasto, che oggi non può essere se non quello europeo e internazionale. Cercando di smentire la pur magistrale affermazione di Friedrich Nietzsche delle «cento profonde solitudini» che formano la sembianza di Venezia e che pur costituiscono «il suo incanto», vorremmo che, per quel che riguarda l’Accademia di Belle Arti di Venezia, l’«immagine per gli uomini del futuro» fosse invece quella di un arcipelago di saperi in dialogo tra loro. *** A questo quinto numero dell’«Annuario», dedicato nella sezione «Dossier» alla Pedagogia e didattica dell’arte come filosofia dell’esperienza creativa, s’impone un breve commento. Leon Battista Alberti, nel De re ædificatoria, aveva affermato, fiduciosamente, come, di fronte alla bellezza, anche l’ira del nemico giunga a placarsi.


Inoltre la bellezza è qualità siffatta da contribuire in modo cospicuo alla comodità e perfino alla durata dell’edificio. Giacché nessuno potrà negare di sentirsi più a suo agio abitando tra pareti ornate che tra pareti spoglie; né l’arte umana può trovare mezzo più sicuro per proteggere i suoi prodotti dalle offese dell’uomo stesso, anzi la bellezza fa sì che l’ira distruggitrice del nemico si acquieti e l’opera d’arte venga rispettata. Oserei dire insomma che nessuna qualità, meglio del decoro e della gradevolezza formale, è in grado di preservare illeso un edificio dall’umano malvolere. Gli avvenimenti di questi ultimi mesi – distruzioni dell’IS a Mosul e nell’antica Hatra, in Iraq, così come i danni causati alla «Barcaccia» del Bernini dai “tifosi” della squadra olandese del Feyenoord, a Roma – dimostrano, purtroppo, che nemmeno la “bellezza può salvare il mondo”, se non esiste una piena consapevolezza che l’opera d’arte ha un valore che va al di là di ogni ideologia e di ogni integralismo (religioso o sportivo). Anche se sappiamo, fin dai tempi di Pico della Mirandola, che «Niuna cosa semplice può essere bella. Di che segue che in Dio non sia bellezza perché la bellezza include in sé qualche imperfezione [...] Dopo Lui comincia la bellezza, perché comincia la contrarietà»; e che oggi, inoltre, la parola “bellezza” deve forse essere sostituita tout court da quella di “culture”, sempre che queste siano tali da ascoltare tutte le altre. Non sono infine così “ingenuo”; so bene che ogni arte è legata al suo tempo e a un’ideologia ben precisa. Ma l’arte rimane, nonostante tutto (mercato, propaganda ecc.), una delle poche cose che, come scrive Adolf Loos, «[...] vien messa al mondo senza che ce ne sia bisogno [...] non è responsabile verso nessuno [...] vuol strappare gli uomini dai loro comodi [...] è rivoluzionaria [...] indica all’umanità nuove vie e pensa all’avvenire [...]». Cosa possono fare la Scuola, inferiore e superiore, l’Accademia e l’Università, se non tentare di inculcare la convinzione dello stesso Alberti che, per gli Antichi, tre capisaldi della società civile come «diritto, vita militare, religione» (leges militia res divina), privati dell’ornamento della bellezza (pulchritudo), o culture che dir si voglia, si ridurrebbero «ad operazioni vuote ed insulse» (insipidum quid negocii et insulsum)? Con buona pace di ogni leguleio, militarista o fondamentalista.

Alberto Giorgio Cassani

 Leon Battista Alberti, L’architettura [De re ædificatoria], testo latino e traduzione a cura di Giovanni Orlandi, introduzione e note di Paolo Portoghesi, Milano, Il Polifilo, 1966, VI/2, p. 446 (testo latino, p. 447: «Aut quid alioquin tam obfirmatum effici ulla hominum arte poterit, quod ab hominum iniuria satis munitum sit? At pulchritudo etiam ab infestis hostibus impetrabit, ut iras temperent atque inviolatam se esse patiantur; ut hoc audeam dicere: nulla re tutum æque ab hominum iniuria atque illesum futurum opus, quam formæ dignitate ac venustate»).  Giovanni Pico della Mirandola, Commento sopra una canzone d’amore di Girolamo Benivieni [Commento], in Id., Opere, a cura di Eugenio Garin, 3 voll., Torino, Nino Aragno Editore, 2004 [prima ed. Firenze, Vallecchi, 1942-1952], I, De hominis dignitate, Heptaplus, De Ente et Uno, e scritti vari, pp. 443-581: 496.  Adolf Loos, Über Architektur, 1910, «Der Sturm. Wochenschrift für Kultur und die Künste», I, 42, 15 Dezember 1910, p. 334 (versione parziale), poi in Id., Trotzdem, 1900-1930, Innsbruck, Brenner Verlag, 1931, pp. 90-104, trad. it. di Sonia Gessner, Architettura, in Id., Parole nel vuoto, Milano, Adelphi, 19802 (1972), pp. 241-256: 253. Proprio per questo, però, per Loos, l’uomo «odia l’arte», ibid.  L.B. Alberti, L’architettura [De re aedificatoria], cit., p. 444 (testo latino, p. 445).


In un mondo globalizzato in cui più esasperata è la sfida economica, credo debbano essere sempre maggiori gli sforzi di istituzioni culturali come l’Accademia di Belle Arti di Venezia, che ho l’onore di presiedere, nel recuperare la propria originaria vocazione di promotrici di cultura. Che non è orpello, un vuoto contenitore di cui ci si possa privare nei momenti di crisi, ma semmai l’elemento che può costituire, per l’Italia, quel quid in più che la distingua dalle altre nazioni. Per questo uno strumento come l’«Annuario», che dal 2010 si è deciso di ripristinare, può essere assai utile non solo per esibire al pubblico le molteplici attività che l’Accademia svolge, ma anche, se non soprattutto, nell’ottica della conservazione di quanto si attua, per documentare nel tempo ciò che si è fatto. Se non possedessimo infatti – e ciò costituisce, a livello micro, quello che più in generale è stato fatto lungo i secoli in ogni parte d’Italia, e che consente a quest’ultima di vivere quasi di rendita – le testimonianze del nostro passato – documenti, incisioni, disegni, libri, dipinti, gessi e così via, che gli anonimi nostri antenati hanno capillarmente raccolto, e che rappresentano l’eredità più vera dell’Accademia – ora saremmo senza memoria, privi di un tesoro che invece abbiamo. E quindi, lo ribadisco, occorre cura nel raccogliere dal presente affinché in futuro anche i nostri pronipoti ne possano godere. Luigino Rossi presidente dell’Accademia di Belle Arti di Venezia



L’Accademia di Belle Arti di Venezia, come sede primaria di alta formazione artistica e di ricerca, si propone di favorire lo sviluppo di un clima di apertura, che consenta ai giovani artisti e ai docenti che operano nella nostra Istituzione di confrontare costantemente gli esiti della propria ricerca con la produzione artistica e scientifica contemporanea. A tal fine, l’Istituzione si impegna nella realizzazione di iniziative espositive ed editoriali rivolte a evidenziare la vitalità della produzione artistica ideata nei Laboratori e a promuovere tutte le attività di studio e approfondimento sviluppate nell’Accademia. L’Annuario, giunto alla quinta edizione, costituisce un riferimento fondamentale per la valorizzazione delle attività dell’Accademia, offrendo alla storica Istituzione veneziana nuovi strumenti per approfondire, attraverso il dialogo, i contenuti e le tematiche che qualificano i nostri percorsi formativi. Per la realizzazione di questo numero dell’«Annuario» si ringraziano, insieme al Presidente Luigino Rossi e ad Alberto Giorgio Cassani, tutti i docenti, gli studiosi e i giovani artisti che hanno offerto il proprio prezioso contributo; un ringraziamento particolare a Alessandro Di Chiara e Laura Safred. Carlo Di Raco direttore dell’Accademia di Belle Arti di Venezia



dossier Pedagogia e didattica dell’arte come filosofia dell’esperienza creativa a cura di Alessandro Di Chiara



Giorgio Nonveiller

Viktor Lowenfeld e la creatività artistica nella scuola

L’arte dei ciechi Se Cižek ha sviluppato la sua esperienza pedagogica fondandosi su un’ampia base intuitiva, Viktor Lowenfeld (1903-1960) si è basato invece su una più precisa sperimentazione scientifica, non solo legata all’arte, ma anche al dispiegamento delle attitudini creative, seguendo l’evoluzione psicologica del bambino, del preadolescente e dell’adolescente. Lowenfeld ha dimensionato le esigenze generali dello sviluppo mentale e percettivo a un’ampia sperimentazione didattica, che si sforza di rispettare il mondo interiore e l’esperienza genuina del soggetto in età evolutiva. Il Nostro inizia la sua esperienza educativa a Vienna, dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti, lavorando in un istituto per ciechi e ipovedenti, lo Hohe Warte Institute for the Blind, insegnando contemporaneamente ai bambini normovedenti. Nel 1928 entra in contatto con Ludwig Münz, studioso che ha dato un orientamento nuovo alla comprensione dell’attività plastica dei ciechi, che fu decisivo per le future ricerche in questo ambito, non solo di Lowenfeld. Münz pubblica nel 1934, assieme a Lowenfeld, il volume Plastiche Arbeiten Blinder, dove chiarisce la base comune delle concezioni formali e spaziali del cieco e del vedente. Nel 1937 Lowenfeld pubblica Blinderplastik (“Plastica dei ciechi”), e l’anno successivo un’opera capitale come La natura dell’attività creatrice. 1.

Il testo inedito è tratto dalla dispensa Educazione estetica e scuola attiva da Rousseau a Freinet, Accademia di Belle Arti di Venezia, corso di Pedagogia e Didattica speciali dell’insegnamento, a.a. 19881989, t. II, cap. X, pp. 346-370, custodito presso la Biblioteca dell’Accademia di Belle Arti di Venezia. Ludwig Münz, Viktor Lowenfeld, Plastische arbeiten blinder, Brno, Rohrer, 1934. Viktor Lowenfeld, Blindenplastik, Berlin, Blindenjahrbuch, 1937.  Esce dapprima a Vienna, nel 1938, e l’anno successivo è subito tradotto in inglese da Oskar Adolf Oeser, con il titolo: The Nature of Creative Activity (London, Routledge and Paul, 1939), ristampato nel 1952 e tradotto in italiano nel 1968 da Tina Tomasi e Lucia Tongiorgi Tomasi (La natura dell’attività creatrice, Firenze, La Nuova Italia), con prefazione di Giulio Carlo Argan. 


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Giorgio Nonveiller

Un aspetto essenziale del contributo di Lowenfeld consiste nell’identificare nel processo creativo una componente legata alla sensibilità corporea, vale a dire alle sensazioni tattili e propriocettive, mettendo in luce con la massima chiarezza gli aspetti “non visivi” dell’attività creativa legata alle tecniche artistiche. Non che mancassero intuizioni importanti in qualche autore precedente: per esempio William Stern nel 1930 aveva notato che «in un primo momento il bambino vede non solo con gli occhi, ma con tutta la persona», senza riuscire per altro a darne una spiegazione convincente. Lowenfeld riferisce molti aspetti iniziali delle attività creative alla sensibilità tattile propriocettiva e cinestesica, coinvolgendo pienamente il senso corporeo del soggetto, anche indipendentemente dalla visività in quanto tale, sicché quando reinterpreta molti fenomeni del disegno infantile, il riferimento fondamentale non è più soltanto l’incapacità grafico-rappresentativa (l’“incapacità sintetica” di Luquet), ma vengono considerati altri aspetti peculiari dello sviluppo. Così, ad esempio, l’alterazione delle grandezze e delle proporzioni nelle figure umane o animali sono dovute: a) al significato che il disegnatore dà a un oggetto o a una figura rispetto ad altre parti del disegno; b) al rapporto che queste parti hanno rispetto all’azione o al movimento rappresentato. Mentre quasi tutti gli studiosi che si sono occupati di disegno infantile hanno insistito sul valore della visività, dando una spiegazione in termini di percezione visiva (compreso il contributo di Rudolf Arnheim, anche se non in senso realistico), rimandando quasi sempre a una rappresentazione naturalistica o realistica, Lowenfeld ha potuto chiarire il ruolo primitivo e fondamentale della percezione corporea rispetto a quella visiva, designandola, appunto, con il termine di autoplastica in quanto riferibile all’io corporeo di chi disegna o modella. Tale modalità percettiva viene distinta da quella visiva, che pure mantiene un ruolo importante laddove la creatività artistica non è direttamente riferibile all’esperienza autoplastica. Ma nel contributo di Lowenfeld v’è di più: la scoperta che nei ciechi non vi è necessariamente una prevalenza tattile nell’orientamento spaziale e nella creatività artistica a compensare una carenza fisiologica di ordine sensoriale, ma vi è, come nei vedenti, sia una propensione visiva (legata a una “mentalità” visiva), sia una propensione tattile (legata a una “mentalità” tattile) nient’affatto connesse a un deficit di ordine fisiologico ma, probabilmente, a un generale orientamento mentale del soggetto, sfatando vecchi pregiudizi sull’arte del cieco di vista.

William Stern, Claude Stern, Psychologie der frühen Kindheit: bis zum sechsten Lebensjahre, Leipzig, Quelle & Meyer, 1914, citato da V. Lowenfeld, La natura dell’attività creatrice, cit., p. 5.  V. Lowenfeld, La natura dell’attività creatrice, cit., pp. 37-39.  Ivi, pp. 24-26, figg. 7e, 16.  Rudolf Arnheim, Art and visual perception, Berkeley - Los Angeles, University of California Press, 1954, trad. it. di Gillo Dorfles, Arte e percezione visiva, Milano, Feltrinelli, 1962, cap. IV. 


Viktor Lowenfeld e la creatività artistica nella scuola

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2. Arte infantile e arte primitiva Tra le attente analisi critiche di Viktor Lowenfeld merita particolare attenzione la revisione del rapporto fra disegno infantile e arte primitiva. L’analogia stabilita da molti studiosi agli inizi del secolo (fino agli anni Trenta) fra questi due tipi di arte, seguendo la legge biogenetica – che Cižek aveva dato per scontata –, viene da Lowenfeld accettata molto parzialmente. Egli, infatti, riprende l’impostazione data dal Verworn al parallelismo tra arte ideoplastica e disegno infantile, non trovando alcun nesso con l’arte fisioplastica, che è propria del cacciatore paleolitico. Verworn conclude che non esiste la minima possibilità di stabilire un parallelo tra lo sviluppo dell’arte infantile e quella preistorica, dato che l’arte esprime un grado più evoluto di mentalità rispetto all’ingenua arte fisioplastica preistorica. Non vi è dunque uno stadio fisioplastico che preceda quello ideoplastico nell’arte infantile. Lowenfeld tende tuttavia ad attenuare questo giudizio, avanzando l’ipotesi che l’arte del bambino normale manchi dei primi stadi evolutivi fisioplastici perché manca della padronanza muscolare presente in un artista paleolitico, stadio che si trova invece nell’arte del cieco e del debole di vista (di età maggiore rispetto alla prima infanzia). Lowenfeld mostra come la concezione tattile dello spazio venga simboleggiata dalla linea di terra, presente in tutti i disegni infantili intorno ai sei-sette anni, e come questa da esperienza soggettiva diventi uno schema generalizzato che ritroviamo in civiltà diverse, soprattutto nelle arti babilonese, assira ed egiziana. Il Nostro confronta due disegni di un ipovedente di quattordici anni riportati ne La Natura dell’attività creatrice (figg. 1 e 2 con il rilievo assiro riprodotto a fig. 3), mostrando come gli alberi crescano al di sopra della linea di base e come la linea orizzontale a metà del foglio rappresenti il confine dell’acqua. V. Lowenfeld, La natura dell’attività creatrice, cit., pp. 134 sgg. Max Verworn, Ideoplastische Kunst: ein Vortrag, Jena, G. Fischer, 1914.  Per Verworn, l’arte «fisioplastica» è connessa ai sensi esterni, intesa come dimensione sensoriale legata all’ambiente, all’imitazione della natura o alla ricerca dell’effimero, mentre l’arte «ideoplastica» è connessa ai sensi interni, intesa come dimensione immaginativa, propria di soggetti che si isolano dalla vita e non si interessano all’aspetto esteriore delle apparenze.  Cfr. V. Lowenfeld, La natura dell’attività creatrice, cit., pp. 137-138.  L’arte «ideoplastica» corrisponde agli sviluppi dell’arte neolitica. Marginalmente, potrei ricordare che si tratta di un dibattito ricorrente anche nella storia dell’arte, dalla considerazione per l’arte ortamentale in Alois Riegl e in Wilhelm Worringer, Abstraktion und und Einfühlung: ein Beitrag zur Stilpsychologie. Munich, Heuser, 1907 trad. it. di Elena De Angeli, Astrazione e empatia, Torino, Einaudi, 1975; i concetti di «organicità» e «astrazione» appaiono addirittura ribaltati sul presente negli anni Cinquanta a proposito dell’«arte figurativa» e dell’«arte astratta», su cui si vedano: Ranuccio Bianchi Bandinelli, Organicità e astrazione, Milano, Feltrinelli, 1956; Alberto Carlo Blanc, Dall’astrazione all’organicità, Roma, De Luca, 1958; fino al criticabile, ma stimolante capitolo “Disegno infantile e raffigurazioni preistoriche” in Cesare Brandi, Segno e immagine, Milano, Il Saggiatore, 1960.  V. Lowenfeld, Natura dell’attività creatrice, cit., p. 139.  Ivi, pp. 139-143.  


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Giorgio Nonveiller

Paragonando i disegni di due soggetti ipovedenti (riprodotti alle figg. 4 e 5) con la “caccia nel deserto”, rilievo egiziano (fig. 6), la cosa può apparire molto evidente. Così pure il rilievo assiro riprodotto in fig. 10 mostra come gli oggetti siano tutti riferiti alla linea di base, in maniera assai affine al disegno del debole di vista della figura 7; questo a sua volta può essere paragonato con i due disegni di un debole di vista nelle figure 8 e 9. Si tratta di casi nei quali una concezione tattile dello spazio è diventata una forma di figurazione dello “spazio oggettivo” (visivo). Ma non mancano esempi di transizione tra spazio oggettivo e quello soggettivo (tra quello visivo e quello tattile) nella figurazione egiziana di uno stagno con portatori che attingono acqua (fig. 12). Qui ogni lato diventa una linea di terra che funge da punto di riferimento per gli alberi che vi poggiano perpendicolarmente ma risultano ribaltati nell’insieme della figurazione. Così l’acqua è rappresentata in piano, mentre i portatori d’acqua in prospetto: il che è dato probabilmente dal fatto che l’acqua è circondata da alberi e da giunchi – in senso soggettivo – e i fiori di loto galleggianti non si vedrebbero se fossero disegnati dall’alto. Mentre figure umane e anfore sono rappresentate di prospetto perché le loro caratteristiche risaltano meglio così. La figura 13 mostra viceversa un modo soggettivo di trattare lo spazio: il vassoio su cui poggia il cesto è visto di prospetto, mentre il cesto e il suo contenuto sono rappresentati in piano, perché possano essere visti meglio. Lowenfeld propone poi il confronto tra vari disegni di deboli di vista, tra cui quello riprodotto nella figura 11. Molto interessante anche il confronto tra la figura 14 di un debole di vista e la figura 16 di una raffigurazione egiziana entrambe rappresentano lo spazio soggettivo secondo una raffigurazione a “raggi X”. La scala delle figure 8 e 14 è del tutto simile a quella della figura 15. L’espressione autoplastica. Tipo tattile e tipo visivo Negli ipovedenti Lowenfeld, con qualche riserva, fornisce degli esempi che potrebbero essere paragonati alle origini dell’arte del periodo paleolitico, mostrando la serie di ritratti di un soggetto visivo (fig. 17) e la serie di ritratti di un soggetto tattile (fig. 18). Questa seconda serie il Nostro la paragona con la maschera ancestrale del New Mecklenburg, riprodotta in figura 19, mentre confronta la serie visiva di figura 17 con la tavola riprodotta in figura 20 (in particolare “l’uomo arrabbiato” del secondo disegno). Nell’espressione autoplastica le parti muscolari appaiono innervate come nella scultura di un cieco di tipo tattile (fig. 21) che in maniera affine ritroviamo nella testa peruviana (fig. 22). Autoplastica è anche la testa del dio Hitchne-tao-te (fig. 23), dove le linee esprimono sensazioni muscolari non riferibili all’apparenza 3.

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Ivi, p. 141 (per il commento dell’Autore).


Viktor Lowenfeld e la creatività artistica nella scuola

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visiva. Un paragone analogo può essere fatto tra l’“uomo in ascolto” di un tattile debole di vista (fig. 24) e la maschera del diavolo dell’arte senegalese (fig. 25). Lowenfeld ritiene che bisogna distinguere tra l’accentuazione autoplastica dei tratti facciali e l’accentuazione legata a parti particolarmente significative della figurazione, come le mani della statua lignea di figura 26, che sono importanti perché servono a captare il suono. L’autore conclude La Natura dell’attività creatrice riferendo le tendenze impressionistiche nell’arte al «tipo visivo» e quelle espressionistiche al «tipo tattile», distinzione poi accolta anche da Herbert Read, in una complessa proposta di classificazione tipologica del disegno infantile. Le esperienze condotte da Lowenfeld su ipovedenti e ciechi lo portano ad affermare che dapprima lo spazio e la percezione del disegno infantile sono legati allo spazio corporeo, tattile, motorio e di tipo cinestesico, con una forte valenza soggettiva. Poi si differenzierebbe in due tipi che andrebbero delineandosi in maniera sempre più netta nella preadolescenza, verso un orientamento visivo che ritroviamo nei disegni e nelle elaborazioni plastiche che ricorrono prevalentemente ai dati visivi della percezione (attenzione per la mutevolezza delle apparenze, per le proporzioni, per lo “spazio obiettivo” e così via), oppure verso un orientamento tattile, dove il soggetto non si serve degli occhi, se non quando vi è costretto. La sua creatività è caratterizzata dal ricorso a sensazioni tattili e “interocettive”, di ordine prevalentemente soggettivo, sia nella raffigurazione dello spazio che negli oggetti. Già nelle ricerche sui ciechi, Lowenfeld aveva notato (come abbiamo accennato sopra, nel paragrafo 1) che, come accade nei vedenti, vi è sia la tendenza a realizzare una figurazione naturalistica (quando è prevalente l’orientamento visivo), sia quella a realizzare una figurazione espressionista o tattile, laddove uno dei due orientamenti sia prevalente, tanto che l’appartenenza a uno dei due orientamenti è stata attribuita a fattori innati, che prescinderebbero dall’effettiva esperienza di un dato soggetto. Il Nostro studiò poi i soggetti normali, costruendo un test che somministrò a 1.128 soggetti normovedenti, e notò le stesse tendenze, e precisamente che il Ivi, pp. 143-145 (per i commenti relativi a queste figurazioni). Ivi, pp. 147-148.  Si veda Herbert Edward Read, Education through art, London, Faber and Faber, 1958, trad. it. di Giulio Carlo Argan, Educare con l’arte, Milano, Edizioni di Comunità, 1954, in part. pp. 117 sgg., 164 sgg. e 171 sgg. Per la serie tattile ed espressionista si vedano le figg. 26-29, 32, 33 e 38; per quella visiva e impressionista, le figg. 30 a-b, 50, 53, 56 a-b.  Per un’estesa descrizione dei due «tipi» si veda Viktor Lowenfeld, W. Lambert Brittain, Creative and Mental Grow, New York, MacMillan Publishing Co., 1982 [1952], trad. it. di Mauro Bonacci, Creatività e sviluppo mentale, Firenze, Giunti - Barbera, 1984, pp. 324-325, 382-393; ancora più ampia la descrizione nella prima edizione italiana tradotta da A. Baruzzi e R. Tettucci della stessa opera, condotta sulla quarta edizione americana (Firenze, Giunti - Barbera, 1967, pp. 284-309).  Viktor Lowenfeld, Test for visual and optical aptitudes, «American Journal of Psychology», 1 (78), 1945, pp. 100-1011, ristampato nel volume Readings in Art Education, eds Elliot W. Eisner David W. Ecker, Waltham (MA), Blaisdell Publishing Co., 1966, pp. 97-104.  


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Viktor Lowenfeld e la creatività artistica nella scuola

1-2. Cigni che nuotano. 3. Navigazione e pesca sul Tigri, rilievo assiro, da Otto Weber, Assyrische Plastik, Berlin, Wasmuth, 1920. Nelle pagine successive 4. G.R. (10 anni e 5 mesi), Strada che passa su una collina, introduzione di un simbolo che ha relazione con l'esperienza sensoriale. 5. K.V. (9 anni e 2 mesi), Strada che passa su una collina (la linea di base indica le variazioni del terreno). 6. Caccia nel deserto, part., da Heinrich Schäfer, Von Agyptischer Kunst besonders der Zeichenkunst: eine Einführung in die Beitrachtung ägyptischer Kunstwerke, Leipzig, J.C. Hinrich, 1919. 7. D.H. (8 anni e 9 mesi), Montagna, associazione schematica del simbolo della piano e rilievo.

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Viktor Lowenfeld e la creatività artistica nella scuola

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Giorgio Nonveiller

Giuseppe Marchiori testimone e storico del suo tempo, in Da Rossi a Morandi, Da Viani ad Arp. Giuseppe Marchiori critico d’arte, a cura di Sileno Salvagnini, Venezia, Cicero, 2001, pp. 241-243. Ricordo di Rodolfo Pallucchini, critico d’arte contemporanea, «Arte Documento», 15, 2001, pp. 66-71. Un’ipotesi forzata per una bella mostra. Puvis de Chavannes e la modernità, «Terzocchio. Trimestrale d’arte contemporanea», XXVIII, 2, giugno 2002, pp. 21-23. La donna che nuota sott’acqua di Arturo Martini, in Decimo e Undecimo incontro in ricordo di Michelangelo Muraro, 15 maggio 2001 e 2002, a cura di Giuseppina Menin Muraro e Daniela Puppulin, Sossano (VI), Centro di Studi Berici, 2003, pp. 33-63. Alcuni dipinti dimenticati di Filippo de Pisis del periodo veneziano, in Venezia, le Marche e la civiltà adriatica (per festeggiare i 90 anni di Pietro Zampetti), a cura di Ileana Chiappini di Sorio e Laura De Rossi, «Arte Documento», 17-19, 2003, pp. 572-577. Riflesso improvviso (saggio su Raimondo Sirotti), cartella con una serigrafia numerata e firmata, con uno scritto dell’artista, Rapallo, il ramo, 2004. Le ostentazioni minime di Roberto De Luca, in Ars Munda, a cura di Roberto De Luca, con prefazione di Tomáš Špidlík, con un saggio di Alessandro Di Chiara e un testo di Giuseppe Andreani, Rapallo, il ramo, 2004, pp. 23-28 e trad. tedesca di Nicole Bender, pp. 85-91. Il contributo di Albino Galvano al dibattito artistico in Galleria di Arti e Lettere e in Questioni, in Mario Lattes: narrativa e questioni di cultura, atti del convegno di Studi (Torino, 3-4 novembre 2005), a cura di Loris Maria Marchetti, con contributi di Giorgio Bàrberi Squarotti, Valter Boggione, Roberto Cavallera, Eraldo Garello, Claudio Gorlier, Loris Maria Marchetti, Laura Nay, Franco Pappalardo La Rosa, Mario Quaranta, Giovanni Ramella e Giulio F. Pagallo, Torino, Fondazione Mario Lattes, 2005, pp. 127-146. Un dittico per Mantegna, «Arte Documento», 22, 2006, pp. 75-88. Mostre personali e collettive Mostra personale alla galleria «Bevilacqua La Masa», Venezia, settembre 1965 (catologo di 20 pp. con autopresentazione, con 18 ill. di opere riprodotte). Mostra personale alla galleria «Il Canale», Venezia, novembre 1967 (catalogo di 16 pp. con presentazione di Albino Galvano, con 8 ill. di opere riprodotte). Mostra personale alla galleria «Duemila», Bologna, ottobre 1968 (catalogo con presentazione di Paolo Fossati, con 3 ill. di opere riprodotte). Mostra personale alla galleria «Nuovo Spazio 2», Folgaria (TN), agosto 1974 (catalogo con presentazione di Giuseppe Marchiori, con 1 ill. di opera riprodotta e note biografiche). Mostra collettiva alla 54a Collettiva Bevilacqua La Masa, Venezia, novembre 1966 (catalogo con un’opera riprodotta). Mostra collettiva alla 3a Biennale di Bolzano, 5-26 ottobre 1969 (catalogo con presentazione di Paolo Fossati, con 1 ill. di opera riprodotta). Invitato alla 14a Rassegna nazionale di Pittura Ramazzotti, Milano, settembre 1970 (catalogo con saggio di Giuseppe Marchiori e ill. di un’opera riprodotta).


Francesco De Bartolomeis

Scienza e grammatica nell’arte

Problemi che non finiranno mai di impegnarci riguardo all’arte. Come la varietà dei fatti della natura e della vita, scoperte, entusiasmi, passioni, amori, amicizie, delusioni, avversità, lutti, alimentano particolari composizioni che s’impongono per simboli e stile? Le soluzioni astratte hanno lo stesso potere delle soluzioni figurative di esprimere idee, sentimenti, sensazioni? Si può spiegare l’arte? L’arte comunica significati? La poesia, la narrativa, la musica, le scienze, le tecnologie quali stimoli danno alla creazione artistica? La critica aiuta a orientarsi tra realizzazioni artistiche sempre diverse? La critica. Mi riferisco a un’attività che si concentra sulle opere di particolari artisti ma avverte anche il bisogno di fare generalizzazioni sulle ricerche dell’arte e sui problemi che ne definiscono la natura. I due processi non possono essere scissi senza cadere in una critica priva di forza problematica (permeata da difficoltà e da incertezze) e in un’estetica che parla di arte trascurando il mezzo che ne determina la specificità di campo. Il mezzo, un insieme di interessi, di conoscenze, di competenze tecniche, di strumenti materiali, di abilità con un incalcolabile numero di variazioni personali. Ci sono fatti d’arte che richiedono il concorso di mezzi diversi senza che si creino confusioni e invadenza: scenografia per opere teatrali, liriche e balletti, fotografia e ancora scenografia per il cinema, accordo di senso estetico con la funzione, dall’architettura al design. Il bisogno di generalizzazione è forte nei grandi artisti. Kandinsky, Klee, Malevicˇ, Boccioni, Matisse – e sono solo alcuni nomi limitatamente alle Avanguardie del Novecento – lo testimoniano con scritti che sono contributi teorici indispensabili, che i riferimenti a vicende personali rendono particolarmente vivi e stimolanti. In Kandinsky, ad esempio: La prima idea mi si forma in vari modi: talvolta il primo impulso a una nuova idea mi viene fornito da un’impressione esteriore (un evento o un fenomeno naturale, la scena di una strada, un’illuminazione “casuale”, perfino una cassetta postale vi-


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Francesco De Bartolomeis

cino alla bottega del fruttivendolo, persone in un campo, caffè, teatro, tram ecc.); di questo fatto ci si rende conto soltanto più tardi [...]. Parlo nei miei ricordi di casi del genere: le cassette postali gialle della Baviera, i tram azzurri di Monaco, il nero a Venezia (quando avevo dai 3 ai 4 anni) ecc. Tutte queste sono impressioni esterne provate attraverso l’occhio. Spesso fui stimolato da suoni: musica vera e propria (ad esempio Wagner, Beethoven, e più tardi Mozart, Bach ecc.) oppure ancora “rumori” (un’asse che cade, mormorio dell’acqua, stridio di uccelli ecc.), ossia da suoni organizzati e non organizzati. Impressioni esterne attraverso l’orecchio. Certo hanno la forza di causare una stimolazione produttiva anche gli altri sensi: tatto, gusto, olfatto. In me, in ogni caso, i colori (e in parte anche la “forma”) sono connessi con questi sensi [...]. Oltre a queste stimolazioni esterne, ne esistono anche altre, interiori, le quali hanno poco o nulla a che fare con quelle esterne; esse sorgono per così dire senza motivo. Sono queste le cosiddette esperienze “psichiche” la percezione dell’atmosfera spirituale, una vibrazione in accordo o per contrasto.

La teoria si costruisce su modi di essere sempre nuovi dei prodotti artistici, ha dentro la vitalità di fatti particolari e ne approfondisce l’essenza. Ci sono aspetti comuni nella critica, che si occupi di arti visuali, di musica, di poesia o di narrativa, ma solo se si va oltre emergono le caratteristiche differenziali dell’identità dell’opera. I problemi dell’arte. Alcuni s’impongono all’improvviso e, senza volerlo, ci portano in mezzo a prospettive e a idee che richiedono tempo per una risposta; altri, che sembravano ben sistemati nella mente, attirano l’attenzione su aspetti nuovi, rendono inquieti, impongono di riprenderli e di approfondirli. Ho riproposto il tema inesauribile della composizione, insistendo sulla capacità di dominare le irregolarità, di avventurarsi sul terreno di accordi che sembrano impossibili. Wassily Kandinsky, Pablo Picasso, Alexey Jawlensky, Jackson Pollock, Willem de Kooning: una piccola documentazione esegetica, dominata dalla diversità. Livello di organizzazione di elementi diversi Di un’opera d’arte interessa quanto alto è il livello su cui sostiene irregolarità, contrasti, deformazioni capaci di realizzare un’originale congruenza compositiva con un particolare stile. Congruenza compositiva e stile dicono che il numero degli elementi che entrano nel produrre non vale per sé; quale sia la configurazione rappresentativa, il primo piano con carattere di necessità spetta sempre alla qualità. È principio che vale per ogni produzione creativa, ma problemi e procedimenti sono diversi secondo il mezzo. Se a questo punto entra in campo il termine “armonia”, non bisogna pensare a un’inconciliabilità con il rilievo dato all’inizio a irregolarità, contrasti, deformazioni. Armonia non ha significato univoco; ha una lunga storia di trasformazioni  Risposte a Paul Plaut (1928), in Wassily Kandinsky, Tutti gli scritti, II, Dello spirituale nell’arte, Scritti critici e autobiografici, Teatro, Poesie, a cura di Philippe Sers, Milano, Feltrinelli, 1974, pp. 187-188.


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così da estendersi dal rapporto tra la terra e le sfere celesti (Pitagora) alla struttura musicale e in genere di un prodotto estetico. Io tralascio le complicazioni e la varietà storiche nei campi di applicazione e considero “armonia” come equivalente a “composizione”. Si comprende come Schönberg possa mantenere il termine armonia nella definizione della musica atonale caratterizzata dalla dissonanza. E Kandinsky, nel definire la nuova armonia che realizza nelle sue opere, non solo la connota con il termine “dissonanza” ma, senza contraddirsi, può parlare contemporaneamente di grammatica dell’arte e di scienza dell’arte, che hanno funzione e fisionomia particolari in ogni artista, fanno tutt’uno con l’identità stilistica che ne distingue le opere. La dissonanza è una modalità compositiva che porta molto in alto le difficoltà, fronteggia le complicazioni riguardanti la variabilità degli elementi della composizione. Il fatto che non ci sia un centro a determinare limitazione e chiusura di spazio contro l’espansione, un centro di ordinamento della grande varietà di elementi, rinnova la composizione in imprevedibili direzioni. Kandinsky lo aveva detto in una conferenza del 1914: «Io distribuisco i pesi in modo che non abbiano nessun centro architettonico». Accompagnamento nero (1924) di Kandinsky sembra opera esagerata, tanti sono gli elementi di cui è costruita e tanto vari sono i loro modi di combinarsi. Linee tagliano forme o si iterano in isolamento, o si incrociano, o si inarcano come un getto d’acqua, o si aprono a ventaglio, o attraversano l’intera composizione; e sono anche trafitture. Una grande quantità di variazioni sia di elementi geometrici, sia di colori: distende o granula il colore, sovrappone forme di colori diversi con trasparenza e no, crea contrasti di cerchi e di triangoli, di archi e di punte, di linee e di loro attraversamenti, introduce mutamenti di scala e inversioni pienovuoto (di cerchi, di triangoli). Kandinsky aggiunge elementi necessari dove tutto già sembra completo. In basso a destra un piccolo quadro, appartato e irregolare, concorre ad accrescere le complicazioni della composizione non riconducibile «a un unico principio di costruzione concentrica». Un tipo di armonia che combina sistemi diversi e addirittura opposti in quanto autonomi e insieme subordinati. Accompagnamento nero, una sorta di polittico. Nei comparti un reperto­rio di linee, di angoli, di incroci, di forme semplici, di sovrapposizioni, di colori, di convergenze, di divergenze, di direzioni di forze, di distribu­zione di pesi. Interiorizzare il dipinto, pensarlo e sentirlo, scoprire a poco a poco la sua composizione, arrivando a viverla, dice Kandinsky, come non visibile e non comprensibile. Bagnanti (1934) di Picasso esemplifica a livello alto un altro tipo di spericolatezza compositiva: la capacità di dominare la difficoltà di fare coesistere nella composizione stili diversi. Nel disegno le forme delle donne, diverse all’estremo, danno credibilità stilistica all’antinaturalismo spinto, e il bianco e nero ha la massima forza cromatica. Sono violate proporzioni, forme, collocazione delle parti: teste piccole e discordanti rispetto a corpi variamente rappresentati. Il primo a sinistra è rigido, e il braccio e le gambe tendono a conficcarsi come parti prive di vita dal telo nella sabbia. La figura al centro è contortamente organica, in contrasto con la piccola testa rettangolare. La figura di destra, la più lontana dalla


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Francesco De Bartolomeis

morfologia umana, è presa dal movimento come la figura centrale. Dall’acqua emerge una testa, quasi parte di un manichino. Come ne Les demoiselles d’Avignon (1907) coesistono stili diversi che rinnovano l’armonia dell’insieme. La grandezza di Picasso: la creatività e la necessità dell’arbitrio. Scienza nell’arte Ci sarebbero buone ragioni per non usare i termini “scienza” e “grammatica” nella definizione della natura dell’arte. La scienza tende a stabilire leggi di comportamento dei fenomeni, a ricercare cause, a dare spiegazioni, invece l’arte non ha interessi e strumenti per questo genere di cose. Quanto alla grammatica, ha come scopo principale le proprietà di correttezza e di efficacia della comunicazione mediante il linguaggio verbale, mentre la comunicazione dei significati, se non proprio estranea, è secondaria dell’arte. Il riferimento alla scienza e alla grammatica serve a capire come in cose diverse ci siano aspetti comuni trasformati. Perché per le invenzioni dell’arte non sono impropri richiami alla scienza? Secondo Kandinsky una teoria della composizione è scientifica se favorisce l’uso creativo dell’intuizione e del sentimento, in vista di forme che, anche se semplici, abbiano «forza e profondità d’espressione». Niente di più lontano da un esclusivismo razionalistico. Inoltre non è in questione la cultura scientifica in senso stretto che l’artista può avere o non avere e utilizzare in modi diversi. Kandinsky nel periodo di Parigi (1933-1940) si avvale dei suoi studi naturalistici su organismi unicellulari, piastrine del sangue ecc. Ciò che è piccolo nasconde una grande varietà di particolari e di connessioni. In forme organiche visibili solo al microscopio l’artista rappresenta le prime fasi dell’evoluzione della vita, la nascita, la germinazione. Entrano nell’iconografia amebe, cellule, embrioni, sacchi amniotici, larve, forme vermicolari, struttura molecolare del sangue (eritrociti, leucociti, piastrine), sezioni di tessuto, spermatozoi, vita di profondità marine, forme geometriche della natura. Altri artisti si sono occupati di mineralogia, altri di botanica. È la varia cultura degli artisti. Ma l’arte strutturalmente ha una sua particolare scientificità non limitata alla geometria, di cui ha bisogno per il controllo dello spazio in cui fare nascere le opere. L’arte non è chiusa nelle cose particolari che rappresenta, siano fatti di natura, eventi, situazioni, strutture non figurative e – non importa quanto grande sia il supporto – supera tutto questo con indizi di mondo. Nell’andare oltre le creazioni morfologiche, l’arte esplora e rivela fatti della realtà approfondendone il mistero, che resta definitivo, dà vita a un mondo nuovo con un’indefinita varietà di soluzioni, rivoluziona i punti di vista. Costruzioni materialmente finite hanno un valore che va oltre ogni limite, oltre le cose particolari. Nell’incertezza c’è bisogno di infinito, di partecipazione cosmica, di penetrare segreti della vita. Non è soltanto l’illusionismo che amplia le raffigurazioni fino a farle perdere in aperture di cielo o di effetti tridimensionali della pittura in


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3. Pablo Picasso, Bagnanti, 1934, inchiostro di china su carte, cm 25 × 35, Torino, collezione privata. 4. Alexej von Jawlensky, Meditazione, olio su pannello telato, 1935, cm 15,5 × 12


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5. Jackson Pollock, Luce bianca, 1954, olio, smalto e pittura a base di alluminio su tela, cm 122,4 × 96,9, New York, The Museum of Modern Art.


Alessandro Di Chiara

Pedagogia dell’arte come autoeducazione alla libertà dell’atto creatore

Il «prigioniero liberato»: l’educatore come artista della conversione Platone apre il VII libro della Πολιτεία [Repubblica] con la celebre allegoria della caverna, dove Socrate vuole fare intendere al suo interlocutore Glaucone la sostanziale differenza fra l’educazione (παιδεία) e l’assenza di formazione (ἀπαιδευσία). Socrate, attraverso la figura retorica, immagina il modo in cui il filosofo supera le cose sensibili della terra per assurgere all’idea originaria dove alberga il bene e il bello. E il mezzo attraverso il quale l’anima può elevarsi al mondo intelligibile si realizza tramite una particolare opera d’arte, τέχνη, della παιδεία: la conversione (περιαγωγή). 1.

[518 d] Τούτου τοίνυν, ἦν δ’ ἐγώ, αὐτοῦ τέχνη ἂν εἴη, τῆς περιαγωγῆς, τίνα τρόπον ὡς ῥᾷστά τε καὶ ἀνυσιμώτατα μεταστραφήσεται, οὐ τοῦ ἐμποιῆσαι αὐτῷ τὸ ὁρᾶν, ἀλλ’ ὡς ἔχοντι μὲν αὐτό, οὐκ ὀρθῶς δὲ τετραμμένῳ οὐδὲ βλέποντι οἷ ἔδει, τοῦτο διαμηχανήσασθαι.

[Dunque esiste, dissi io, un’arte della conversione, che insegni il modo più facile ed efficace di girare quell’organo. Non si tratta di infondervi la vista, presupponendo che l’abbia, ma che non sia rivolto nella giusta direzione e non guardi là dove dovrebbe, di adoperarsi per orientarlo da questa parte.]

Il filosofo non educa instillando la scienza (ἐπιστήμη), bensì ri-cerca, attraverso la dialettica (διαλεκτική), una metodologia ontologico-metafisica che, come hanno già evidenziato alcuni interpreti di Platone (Albert Jay Nock, Werner Wilhelm Jaeger, Giovanni Reale), invita l’uomo a operare nella giusta postura del suo organo per volgere la testa e drizzare gli occhi verso il bene (ἀγαθὸν) divino: la luce (φῶς). Lo sguardo dell’uomo che si libera dalla prigione e dalle catene rimane prima abbacinato dai raggi del sole, in quanto egli è abituato alle ombre proiettate all’interno della caverna; ma poi inizia a discernere, attraverso gli og

Tutte le traduzioni tra parentesi quadre sono dell’autore.


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Alessandro Di Chiara

getti riflessi nell’acqua e la tenue illuminazione della luna e delle stelle, la realtà superiore della luce solare che dischiude a vedere la realtà sovra-sensibile (ἰδέα). Si tratta di una visione diretta del sole: come è (ἔστιν) nella sua realtà e nella sua dimora. L’uomo platonico vede il sole faccia a faccia, in quanto il sole è parte del suo essere, come il suo essere è parte del sole. Viceversa, nell’ambito della tradizione metafisica occidentale, Agostino ricorda, nell’epistola De videndo Deo liber, come a nessuno sia concesso di vedere la Luce facie ad faciem: [147,8 20]: Unde quo responsum est Moysi verum est, quia nemo potest faciem Dei videre, et vivere; id est, nemo potest eum in hac vita videre vivens sicuti est. Nam multi viderunt; et quo voluta elegit, non quo natura formavit. [Di conseguenza è vera la risposta data a Mosè, poiché nessuno può vedere la faccia di Dio e vivere, cioè nessuno da vivo può vederlo in questa vita come egli è. Sì, è vero, lo videro molti; ma nell’aspetto scelto dalla sua volontà, non in quello formato dalla natura.]

Per Agostino la visione del vedere è limitata all’intuito che non può aprire verso una visione diretta ma solo per speculum et in ænigmate. Invece Platone vuole vedere dentro l’idea che non è solo intuita, in quanto è costitutiva unione ontologica tra la luce del sole e l’occhio dell’uomo. Questo non significa che la vista dell’uomo non possa essere offuscata dalle tenebre della caverna che egli può solo tentare di illuminare, in quanto gli abitatori della stessa deridono e temono l’ascesa del prigioniero liberato verso il mondo intelligibile e che elargisce παιδεία sotto il segno della verità e dell’intelletto (νοῦς). La figura del prigioniero liberato rappresenta nel mito platonico l’educatore-filosofo in grado di fondare, per mezzo dell’arte della conversione e attraverso il lungo cammino della «seconda navigazione», la conoscenza massima (μέγιστον μάθημα) per formare l’uomo a volgere lo sguardo verso il bene e per raggiungere la capacità di vedere l’insieme (σύνοψις) che dischiude alle «Isole Beate». Martin Heidegger ricostruisce, nella sua ermeneutica del mito della caverna, l’originaria concezione paideutica platonica attraverso il passaggio dalla ἀπαιδευσία alla παιδεία come apertura alla storia dell’esser-ci (Geschichte des Daseins) e come tensione ontologica (Seinsertrebnis). La pietra d’inciampo, secondo la prospettiva heideggeriana, della tradizione meta-fisica del pensiero occidentale si trova nell’avere smarrito e frainteso l’origine semantica e filosofica della parola παιδεία che scaturisce nella libera scelta e come sostegno dell’uomo per la sua propria essenza (sein eigenes Wesen) e per la ricerca della verità (ἀλήθεια). Heidegger di-mostra come l’idea di verità platonica non sia solo un valore che si può facilmente costruire per un’assiologica edificazione dell’uomo; si tratta invece di un evento (Ereignis) dove l’essere della persona mette in gioco la propria identità e ciò implica ineludibilmente anche il rischio della caduta, dell’insuccesso e della «non verità». Da questa prospettiva il  Martin Heidegger, Vom Wesen der Wahrheit. Zu Platons Höhlengleichnis und Theätet, Frankfurt am Main, Klostermann, 1988, trad. it. L’essenza della verità. Sul mito della caverna e sul «Teeteto» di Platone, a cura di Franco Volpi, Hermann Mörchen, Milano, Adelphi, 1997.  M. Heidegger, Vom Wesen der Wahrheit, cit., p. 115.


Pedagogia dell’arte come autoeducazione alla libertà dell’atto creatore

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pensare filosofico dischiude alla ricerca pedagogica non come una disciplina specialistica o una forma della tecnica, ma come un radicale domandare che tras-forma l’uomo nel suo essere e nella sua esistenza. 2. La formazione come opera d’arte La fondazione di una filosofia dell’educazione artistica scaturisce da un confronto critico ed ermeneutico con le categorie del sapere interdisciplinare che costruiscono la formazione dell’uomo e in particolare dell’artefice dell’opera: l’artista. I contenuti del processo creativo impongono una rivisitazione dello statuto della pedagogia dell’arte e del complesso dei fondamenti teorici della didattica dell’arte; da ciò emergono alcuni concetti indispensabili che determinano la sua specificità rispetto alle altre forme della ricerca filosofica e pedagogica con le quali essa condivide un humus comune, ma anche una particolare complessità euristica pregna di elementi storici e gnoseologici che ne mettono in luce l’originaria problematicità soprattutto nei suoi aspetti etici, estetici e sacri. Il paradigma della formazione artistica ruota intorno a questioni centrali che ne costituiscono l’identità filosofica e la generalità eidetica tra teoria (θεωρία) e prassi (πρᾶξις) dell’educazione e della tras-formazione: sensazione, creatività, fantasia, immaginazione, intuizione, coscienza, memoria, rappresentazione, ascolto, parola, silenzio. Sono solo alcuni importanti lemmi della disciplina che, per sua natura, dialoga con tutte le forme della conoscenza, e in particolare con la pittura e la scultura, la musica e la poesia, l’architettura e l’iconologia, il mito e la religione, la prosa e il teatro, il gioco e la scienza, il cinema e l’estetica delle nuove tecnologie, la scenografia e l’anatomia, il disegno e l’incisione, la fiaba e il fumetto, la storia delle idee e del linguaggio, la sociologia e la politica, la neurologia e la psichiatria, la bioetica e l’ecologia. La differenza tra i vari metodi dell’educazione e i vari generi dell’esperienza artistica costituisce la sua struttura che s’apre a una molteplicità di segni e di significati che ne costituiscono la naturale inter-intratrans disciplinarità. Quindi, ogni segno che la forma necessita di una costante interpretazione e de-costruzione, in virtù di un processo ermeneutico che possa creare nell’artista i contenuti del suo fare poetico. Lo spazio in cui essa trova dimora non è solo museale e accademico o universitario, e scolastico in tutte le sue ramificazioni; bensì essa trae alimento da ogni luogo in-definito e illimitato, in quanto la pedagogia dell’arte si muove in un’estensione spirituale dove l’origine è la domanda che non ri-cerca risposte ma ulteriori questioni da sviluppare. Per questo essa è in costante dialogo non solo con se stessa ma, in quanto amante della sapienza, filo-sofia (φιλο-σοφία), s’apre a tutte le forme della bellezza e della conoscenza, e in particolare agli archetipi dell’immaginario e al simbolo nei suoi aspetti etici (das Schöne ist das Symbol des Sittlichguten) e trascendentali (alle unsere  Immanuel Kant, Kritik der Urteilskraft, hrsg. Wilhelm Weischedel, Frankfurt am Main, Suhrkamp taschenbuch wissenschaft, 1974, p. 297, trad. it. di Alfredo Gargiulo riveduta da Valerio Verra, Critica del Giudizio, Roma-Bari, Laterza 1982, p. 217.


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Erkenntnis von Gott bloß symbolisch). Essa, attraverso un atteggiamento di simpatia e di collaborazione verso le altre forme disciplinari, mette in luce la sua decisiva incidenza, che non può essere sterile e supina soggezione, ma piuttosto foriera di uno sguardo analitico, di una costruttiva critica e di una rigorosa verifica che non è mai incline alle ideologie o alle mode caduche del tempo in virtù della ricerca all’autenticità della vita e alla verità dell’essere. L’opera d’arte s’alimenta dalla formazione dell’artefice, che trae fecondi stimoli dalla rie-vocazione e dal riconoscimento di un pensiero rammemorante, che egli sa innovare alla luce del suo stile e della sua maniera e della sua originalità creativa che realizza ex nihilo una nuova forma. Johann Christoph Friedrich Schiller descrive con queste illuminanti e paradigmatiche parole, nella fondamentale serie di lettere Ueber die ästhetische Erziehung des Menschen [1795, Lettere sull’educazione estetica dell’uomo], l’attesa presenza della forma che si tras-forma (verwandeln) nell’epifania dell’atto creativo: So wie sich ihm von außen her, in seiner Wohnung, seinem Hausgeräte, seiner Bekleidung allmählich die Form nähert, so fängt sie endlich an, von ihm selbst Besitz zu nehmen und anfangs bloß den äußern, zuletzt auch den innern Menschen zu verwandeln. Der gesetzlose Sprung der Freude wird zum Tanz, die ungestalte Geste zu einer anmutigen harmonischen Gebärdensprache; die verworrenen Laute der Empfindung entfalten sich, fangen an, dem Takt zu gehorchen und sich zum Gesange zu bige. [La forma, come gli si avvicina a poco a poco dal di fuori, nella sua dimora, nelle sue suppellettili, nelle sue vesti, così finalmente inizia a prendere possesso di lui stesso e a trasformare da principio solo l’uomo esteriore, e infine anche quello interiore. Lo sregolato salto di gioia diventa danza, il gesto informe diventa una graziosa, armonica mimica; i suoni confusi del sentimento si sviluppano, cominciano a obbedire al ritmo e a modularsi al canto.]

Il salto che diventa danza dischiude al movimento (Bewegung) verso la nobile educazione dell’uomo, che per la filosofia della guarigione, elaborata da Friedrich Wilhelm Nietzsche, si trova nell’autoformazione e nella nuova vita trasformata dallo spirito libero (Freigeist) della creatività come superamento dalla decadenza della cultura metafisica occidentale. In questa ricerca pedagogica (Bildung) verso la filosofia della luce del mattino (Philosophie des Vormittages) si manifesta il senso originariamente educativo dell’esperienza artistica come linfa delle radici intime della natura umana e come fedeltà alla natura e alla terra. E attraverso la danza che trasforma lo spirito di gravità (Geist der Schwere) nel superamento che va oltre (Überwindung) le speranze degli uomini deboli, l’artista crea il suo essere libero nella volontà di generare (Wille zur Zeugung), attraverso il suo gioco, la grande salute dove si manifesta il vero domandare e dove inizia la tragedia; egli scrive nell’ultima frase dell’aforisma 382 dell’opera della maturità Die fröhliche Wissenschaft [1882, La gaia scienza] che nell’ideale del bene essere:

Ibid.


Pedagogia dell’arte come autoeducazione alla libertà dell’atto creatore

1. Friedrich Nietzsche, 1875 ca (foto Johann Friedrich Hartmann-Scherzer, Basilea). 2. Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling, 1848.

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Alessandro Di Chiara

Der grosse Ernst erst anhebt, das eigentliche Fragezeichen erst gesetz wird, das Schicksal der Seele sich wendet, der Zeiger rückt, die Tragödie beginnt... [La grande serietà solleva il vero punto interrogativo, il destino dell’anima ha la sua svolta, la lancetta si muove, la tragedia comincia...]

Questa forma in tras-formazione costituisce la condizione ontologica della creatività dell’uomo in tutte le sue fasi evolutive dall’infanzia alla senilità. Nel breve saggio di Giovanni Gentile, Preliminari allo studio del Fanciullo, il filosofo dell’attualismo evidenzia come la formazione dell’essere si sviluppi in un processo continuo che è in costante maturazione e che rappresenta la manifestazione della spiritualità vitale: durante tutto questo processo di trasformazione, che è quanto dire durante tutta la nostra vita, in qualunque momento che possa dirsi il nostro momento attuale, noi non ci accorgiamo del nostro difetto di esperienza, della nostra imperfezione, e siamo totalmente nella nostra sensazione, nel nostro pensiero, nel nostro sogno, nel nostro stato di coscienza attuale. Solo più tardi, oggettivandoci nel nostro passato, avvertiremo la relativa fanciullezza ed imperfezione della nostra vita spirituale, che continuamente matura, e procede.

Gentile, due anni dopo la pubblicazione dei Preliminari, nell’importante Sommario di Pedagogia come scienza filosofica dedica, nell’ambito della terza parte del primo volume intitolato Pedagogia Generale, il breve ma pregnante capitolo V all’Educazione estetica ed educazione umanistica. Qui sintetizza il suo pensiero pedagogico che vuole affermare l’esperienza artistica nella sua vera funzione liberatrice dello spirito. E soprattutto Gentile mette in luce l’unità dell’arte e della religione come soluzione della loro dualità. Ma questa identità gentiliana tra il processo creativo e l’esperienza religiosa sembra limitare il carattere sacro dell’atto artistico alla fenomenologia del religioso per realizzare, nell’autoctisi, il proprio essere «che ha in sé la sua verità, il suo valore immortale».

p. 22.

Giovanni Gentile, Preliminari allo studio del Fanciullo, Roma, C. De Alberti editore, 1924,

Giovanni Gentile, Sommario di Pedagogia come scienza filosofica, Bari, Laterza, 1926, I, p. 236. Eugenio Garin scrive nella sua opera fondamentale, Storia della filosofia Italiana, III, Torino, Einaudi, 1978² [1966], queste parole che bene testimoniano l’impegno pedagogico del filosofo di Castelvetrano: «Del Gentile i seguaci – e non solo loro – apprezzavano lo slancio, la fede, l’ottimismo: quel suo vivere così a fondo il rapporto educativo per innalzarlo a esperienza esemplare della vita spirituale», p. 1333. In realtà, la questione della proposta pedagogica gentiliana è complessa e oggetto di critica più di quanto potevano apprezzare i suoi “seguaci”. Non solo per la deriva ideologica dell’idealismo gentiliano, ma soprattutto per la sua totale identificazione, di matrice in parte vichiana e soprattutto hegeliana, dell’educazione e dello sviluppo dell’uomo con lo sviluppo dello spirito. Questa posizione gentiliana s’espone al rischio di ridurre la differenza e l’autonomia dell’essere, costitutivamente irri-ducibile a ogni forma di oggettivazione, all’identità con lo spirito assoluto. In merito alla tesi gentiliana della religione come Objektivierung è acuta e originale l’interpretazione di Alberto Caracciolo, La religione nel pensiero di G. Gentile pubblicata nella silloge caraccioliana La religione come struttura e come modo autonomo della coscienza, Milano, Marzorati, 1965, pp. 191-235. Si tratta della re


Pedagogia dell’arte come autoeducazione alla libertà dell’atto creatore

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Viceversa, la vera tras-formazione dalla paidia dischiude all’autonomia dell’atto creativo che porta seco le antinomie della ragione estetica che è per sua natura a-poretica e irriducibile a ogni de-finizione oggettiva; si tratta di una forma di auto-determinazione che educa verso la radicalità del domandare sulle cause e i principi primi dell’esperienza artistica e che mette al centro l’orientazione dell’uomo nel mondo in tutte le sue declinazioni evolutive. Il contributo formativo della pedagogia dell’arte dischiude all’attivazione propulsiva di energie spirituali innovatrici che possono trasformare le strutture della realtà attraverso l’opera creativa e interattiva dell’umanità; sia nell’aspirazione a liberare gli uomini da forme di abitudine passiva e da rapporti sociali oppressivi e da tutto ciò che le genera, che in virtù di attività sorgive da una fantasia assecondante la creatività autocosciente e da un’immaginazione in grado di unire l’ideale al reale, la natura allo spirito. 3. Kαλὸς καὶ ἀγαθός e arte del male: aspetti ancipiti della morale estetica L’endiade bello (καλὸς) e buono (ἀγαθός) rappresenta la costitutiva unione semantica e concettuale tra l’esperienza artistica e l’esperienza morale. La parola καλοκαγαθία unisce, nel linguaggio della Grecia antica, due aggettivi che sono speculari in quanto ciò che è bello è necessariamente buono, così come ciò che è buono è necessariamente bello. L’armonia tra queste due categorie dello spirito esprime una bellezza ideale che opera una sintesi tra anima (ψυχή) e corpo (σôμα). Un equilibrio tra le parti che nell’arte greca si manifesta in un’educazione psico-corporea integrale, dalla quale scaturiscono capolavori di forme scultoree e architettoniche, i versi dei lirici e dei tragici e la dialettica dei filosofi, da Fidia a Ictino, da Saffo a Eschilo, da Platone a Plotino. Ma il bello non è solo apollineo, armonia e proporzione delle parti, non è solo meraviglia e splendore, misura e convenienza esteriore; esso è ciò che seduce e attrae lo sguardo e porta seco la bellezza interiore che come tale scaturisce da ciò che si cela dietro la superficie anche nelle sue parti oscure e tenebrose, nel male e nel de-forme. Si tratta di quella violazione della classica concezione del bello che anima l’uomo dalla sua origine all’epoca contemporanea, dove la bellezza dionisiaca trae fondamento dall’estetica dell’oltre misura: estetica del malvagio, del demoniaco e del brutto. Cioè di quel particolare sentimento dilettevole da cui lazione letta il 29 aprile 1964 nell’ambito del convegno Giornate Gentiliane (29-30 aprile) promosso dall’Università degli Studi di Genova.  Oltre il noto studio dell’allievo filosofo e pedagogista di Georg Wilhelm Friedrich Hegel: Karl Rosenkranz, Ästhetik des Häßlichen, Königsberg, Bornträger, 1853, trad. it. di Sandro Barbera, Estetica del brutto, a cura di Remo Bodei, Bologna, il Mulino, 1984; è significativa, nell’ambito della saggistica contemporanea dedicata al male e al brutto nell’arte, l’opera voluminosa del teista speculativo, inizialmente hegeliano e poi sempre più vicino a posizione schellinghiane: Christian Hermann Weisse, System der Ästhetik als Wissenschaft von der Idee der Schönheit, [Sistema di estetica come scienza dell’idea di bello], II, Leipzig, C.H.F. Hartmann, 1830; mentre per una interpretazione degli aspetti assiologici dei «valeurs négatives» cfr. Raymon Polin, Du laid, du mal, du faux, Paris, Presses


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10. Vincent van Gogh, Tessitore al telaio (veduta frontale), Nuenen, maggio 1884, olio su tela, cm 70 × 85, [F 30, JH 479], Otterlo, Rijksmuseum, Kröller-Müller. 11. Vincent van Gogh, Il seminatore (da Millet), Saint-Rémy, ottobre-novembre 1889, olio su tela, cm 64 × 55, [F 689, JH 1836], Otterlo, Rijksmuseum, Kröller-Müller.

Alessandro Di Chiara


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12. Vincent van Gogh, La sedia di Vincent con pipa, Arles, dicembre 1888, olio su tela, cm 93 × 73,5, [F 498, JH 1635], Londra, National Gallery. 13 Vincent van Gogh, La ronda dei carcerati (da Doré), Saint-Rémy, febbraio 1890, olio su tela, cm 89 × 64, [F 669, JH 1885], Mosca, Museo Puskin.

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Alessandro Di Chiara

14. Vincent van Gogh, Sentiero nel bosco, Parigi, estate 1887, olio su tela, cm 46 × 38,5, [F 309, JH 1315], Amsterdam, Rijksmuseum Vincent van Gogh, Vincent van Gogh Stichting. 15. Vincent Van Gogh, Japonaiserie: ponte sotto la pioggia (da Hiroshige), Parigi, settembre-ottobre 1897, olio su tela, cm 73 × 54, [F 372, JH 1297], Amsterdam, Rijksmuseum Vincent van Gogh, Vincent van Gogh Stichting.


Pedagogia dell’arte come autoeducazione alla libertà dell’atto creatore

16. Vincent van Gogh, Dolore di un vecchio uomo (“Alle porte dell’Eternità”), Saint-Rémy, aprile-maggio 1890, olio su tela, cm 65 × 81, [F 702, JH 1967], Otterlo, Rijksmuseum, Kröller-Müller.






17. Vincent van Gogh, Pietà (da Delacroix), Saint-Rémy, settembre 1889, olio su tela, cm 73 × 60,5, [F 630, JH 1775], Amsterdam, Rijksmuseum Vincent van Gogh, Vincent van Gogh Stichting. 18. Vincent van Gogh, Autoritratto, Saint-Rémy, settembre 1889, olio su tela, cm 65 × 54,5, [F 627, JH 1772], Parigi, Musée d’Orsay.

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Pedagogia dell’arte come autoeducazione alla libertà dell’atto creatore

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19. Vincent van Gogh, Natura morta con Bibbia, Nuenen, aprile 1885, olio su tela, cm 65 × 78, [F 117, JH 946], Amsterdam, Rijksmuseum Vincent van Gogh, Vincent van Gogh Stichting. 20. Vincent van Gogh, La resurrezione di Lazzaro (da Rembrandt), Saint-Rémy, maggio 1890, olio su carta, cm 50 × 65 [F 677, JH 1972] Amsterdam, Rijksmuseum Vincent van Gogh, Vincent van Gogh Stichting.


ISSN -

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,

ISBN ----


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