Moggio agosto 2013

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Direttore: Gaetano Fiacconi Editore: Ass.Culturale “Il Moggio” Direttore Artistico: Mario M. Marroni Grafica: Enrico Socciarello Stampa: Tipografia Pievese

PERIODICO DI CITTÀ DELLA PIEVE

e-mail: ilmoggiocdp@libero.it

“Il Moggio” Periodico di informazione e cultura a diffusione gratuita - Anno VI, Numero 2 - Agosto 2013 - Decreto Iscrizione n.825 del 04/06/2008 Tribunale di Orvieto

IL DUOMO I lavori proseguono

Don A.Gattobigio a pag. 2

Perché credere ancora alla carta stampata Nel salutare con entusiasmo il Corriere Pievese - primo giornale online di Città della Pieve - la riflessione per chi come noi crede ancora alla carta stampata viene spontanea. Una riflessione che ci portiamo dietro fin dalla nascita de “Il Moggio” fin dal momento in cui abbiamo pensato che la carta non era la sola ragione di esistere di un giornale, ma che - a maggior ragione per Città della Pieve - fosse necessaria una fucina di idee; abbiamo lavorato a lungo affinchè il giornale avesse una sua identità e una sua voce cittadina certi che ogni pievese potesse sentirsi tale ritrovando nelle pagine della “nostra” carta un pezzettino della sua “pievesità”. Del resto la chiave del successo dell’editoria tradizionale (un successo durato 500 anni) sta nella sua capacità di fornire un servizio ritagliato su misura dei suoi clienti. Così in questa riflessione ho trovato lo spazio della carta stampata e quello del web disposti su due file interrelate, ma distinte ed ho preso in prestito una frase di Alessandro Bottoni: “C’è uno strumento giusto per ogni cosa e la carta è lo strumento giusto per leggere in spiaggia, in treno, nella toilette, in attesa del medico; da far rileggere ad un nipote a distanza di anni […]”. Il prestito mi ha così definitivamente confermato che l’idea iniziale che “Il Moggio” potesse entrare nelle case dei pievesi per restarci - un prodotto da “mettere via” e tirarlo fuori come una di quelle testimonianze di identità - era buona. Come del resto è stato subito chiaro che l’immediatezza del web potesse assolvere ad altre funzioni della comunicazione e dunque … rasserenando i lettori che s’erano preoccupati … buona vita a tutti: giornali pievesi web e cartacei che siano, soprattutto perché la loro vita e i loro dibattiti continuano a ricordarci il potenziale culturale della nostra città, la sua vitalità e il suo desiderio di mostrarsi bella e preziosa.

LE DIMORE DELLA NOBILTÀ PIEVESE

IL REX È NATO A SALCI

NOLI ME TANGERE

L. Marchegiani a pag. 5

M.di Angelo a pag. 6

M.M.Marroni a pag. 8

Ultimo atto

IL PALIO FA LA PACE CON I TERZIERI

Mentre il Borgo Dentro esulta, i Terzieri portano a casa una buona notizia di Gaetano Fiacconi Mentre i giallo-neri festeggiano la vittoria tutti i Terzieri insieme esultano per il riconoscimento della Regione Umbria che ha finalmente dichiarato il valore storico e la qualità della manifestazione pievese. Se negli ultimi anni abbiamo ricordato il ancor più scenografica la parata. Palio con amarezze, ingiustizie e delusio- E visto che vogliamo dedicare questo ni – non solo per gli sconfitti – quest’an- numero di fine estate alla città, posno tutti potranno sfregarsi le mani per siamo dire che l’altra sfida l’ha vinta l’ottima riuscita della manifestazione. proprio la città anche con la risposta di Il Borgo Dentro se le sfregherà per tutto pubblico che – sebbene non supportata l’anno conservando gelosamente il Palio, da dati ancora certi – sembra aver resudato simbolo della vittoria, Casalino e galato a quei lunghissimi dieci giorni Castello dovranno progettare nuove stra- di eventi una buona partecipazione ed tegie per riappropriarsi dell’ambito tro- interesse. Infine la vittoria significatifeo. Si è dimostrata vincente la scelta di va che accomuna tutti i colori e deve posticipare la data del Palio permettendo accomunare – con soddisfazione – gli a contradaioli e turisti di vivere un’ulte- sforzi di tutti è da attribuire al riconoriore settimana in un clima di festa. La scimento che la Regione Umbria ha bellissima sfilata ha sfidato il maltempo finalmente decretato per il “Palio dei e sul campo ha reso una serie di emo- Terzieri”. continua a pag 6 zionante “visione di gruppo” che ha reso

ELOGIO DEL VUOTO

Riflessioni e idee per una città accogliente e turistica I - Parrebbe anacronistico, quando non addirittura imbarazzante, che uno si prendesse la briga di tracciare nero su bianco un elogio del vuoto. Il vuoto, infatti, evoca la sparizione, l’annullamento, l’assenza anche di tempo – pur trattandosi di

una dimensione spaziale. Eppure mi punge vaghezza, nel dover parlare della città, di stendere un vero e proprio panegirico in onore del vuoto. La cui dimensione recondita e segreta sfugge, ad un primo impatto con esso. Ma che conto di rivelare, al let-

tore che mi accorderà un minimo di simpatia, servendomi di esempi tratti dalla musica, dalla filosofia, ed anche dalla televisione. Dice: ma non si doveva parlare di città? Appunto, rispondo. Non so trovare escamotage più compiuto che quello degli

di Filippo Davoli

esempi incontrovertibili che ci giungono dalla quotidianità. Anzitutto che cos’è una città? Una città è uno slargo, uno spazio limitato; e come l’uomo ha sete di insaziabilità, di superamento del limite, così uno slargo con un limite tutt’intorno può sulle prime dar l’idea di un’occlusione. Ci soccorre Heidegger, con la sua illuminante teoria dello slargo, da intendersi invece come quello spazio che dà identità a una comunità di uomini, che differenzia un gruppo da ogni altro gruppo, che – in buona sostanza – dà un nome e un destino a una precisa realtà, geograficamente (e culturalmente) coordinata. continua a pag.15


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CATTEDRALE: I LAVORI PROSEGUONO A Città della Pieve “tutte le strade portano al Duomo”. Tutta la gente passa davanti. Tutte le foto del 2013 lo rappresentano chiuso. Altissimo e chiuso. Strettamente vigilato giorno e notte dal Campanile e dalla Torre. E sotto, il volo perenne dei piccioni. Giorno e notte. Il Duomo è stato e resta un sogno e un incubo, come un’immagine che ti chiama e ti respinge. Ogni turista porta con sé una domanda insieme ad uno spontaneo gesto di rassegnazione o di delusione. Quelle foto rimaste sulla sua macchina fotografica, quel desiderio che resta desiderio irrealizzato e rientra dentro l’anima e rimarrà dentro come una sentinella sveglia. Fino al prossimo Natale o fino all’anno prossimo, quando potrà ritornare a Città della Pieve. Per ora si porta con sé quella porta del Duomo che non si apre. Mentre passi ti sembra di sentire da fuori il profumo di quanto hai pensato e desiderato vedere: le cose che hai sentito, il restauro, qualche novità filtrata in qualche modo. E resti come chi aveva fame e aveva fretta: e passa davanti al forno dove il pane manda il suo profumo. Ma il pane non è cotto e devi partire. Peccato, ero qui. Non si può neppure dargli uno sguardo? Tra questo dialogo infinito scritto e recitato ogni giorno tante volte al giorno, c’è come una scoraggiante recinzione, come un guardiano senza cuore. Ci sono le regole del cantiere e la scelta di non anticipare immagini lontane da come saranno alla fine dei lavori.

Dietro questa protezione, dentro uno scrigno impressionante di opere d’arte e di storia cittadina, si muove un grande cantiere, una impresa complessa di figure professionali e istituzionali per la serenità e l’armonia delle scelte, per la fedeltà ai segni del tempo e ai passaggi della storia. Un cantiere delicato e sensibile dove, al servizio di un progetto unitario, si confrontano ipotesi e pensieri, soddisfazioni e sicurezze e perplessità. Ma su tutto, un unico, grande obiettivo: un volto rinnovato e giovane, una nuova luce, una immagine spiritualmente affascinante per l’Alleluja del Duomo. Una storia che continua senza interruzioni in questo tempo speciale dove la fatica di tanti vuol essere un contributo con amore

loce verso l’immagine finale. Che sembra sarà natalizia. Verso il Natale. I tempi erano lunghi già da soli, anche nel migliore dei casi. Imprevisti ritardi non allungheranno questi tempi previsti, ma ci hanno tolto la possibilità di tentare anticipi. Avremmo voluto regalare alla città che lo meritava, e forse lo attendeva, la grande sorpresa estiva. Lo meritava lo splendido entusiasmo e l’energia dei Terzieri, lo meritavano i turisti e tutti gli ospiti, così fortemente legati alla nostra città. Lo meritavano tutti gli operatori economici e commerciali. Alla fine la fretta comunque è stata valutata inutile e tenuta fuori. Ogni particolare riceve l’attenzione che merita. Da adesso a Natale verranno ultimati i lavori, ad un grande monumento della nostra storia. I ricreato il volto e l’atmosfera di un luogo di quindici mesi di cantiere saranno il tempo di un culto che è Cattedrale della Diocesi, insieme pensiero concreto importante che è rimasto per alla splendida Cattedrale di Perugia. Un preanni solamente un sogno. Ora il tempo corre ve- stigioso autentico scrigno di fede, di arte e di storia. Contemporaneamente prenderanno il via le iniziative per avviare un adeguato cammino di preparazione ai festeggiamenti per la solenne riapertura al culto. Non solo “tutte le strade portano al Duomo”, ma “tutte le strade gli girano intorno”. È la seconda parte del progetto in fase di realizzazione. Raccoglie in unità lavori e progetti che prevedono la nascita di un complesso “Percorso Museale” che lega gli spazi architettonici e cripte sotto l’Edificio Sacro e strade che vanno ad estendere lo spazio del Centro Storico sottraendo al decadente ruolo di periferia un percorso di strade e spazi da aprire alla godibilità del progetto. Ci attende un’attesa operosa per tutta la città e una speranza da far crescere e condividere. Città della Pieve attende il suo Duomo in un cresciuto e rinnovato centro storico. La Diocesi di Perugia Città della Pieve attende la sua Concattedrale.

4 AGOSTO 2013

LA GIORNATA DEL MALATO Si è svolta il 4 agosto la tradizionale “Giornata del Malato” realizzata dal gruppo UNITALSI di Città della Pieve. Questo evento ha chiamato a raccolta malati e volontari da varie parti dell’Umbria, per trascorrere insieme una giornata di festa in pieno spirito Unitalsiano. Intorno alle ore 10 sono arrivati nella piazza antistante il Santuario i primi ospiti, compresi quelli della locale Residenza Protetta Creusa Brizi Bittoni per un ristoro dopo il viaggio; a seguire, alle ore 11, si è svolta la S. Messa presieduta da Don Aldo, con la concelebrazione di Don Siro Nofrini. Durante l’omelia il sacerdote ha esortato i malati a diffidare di chi prova pietà nei loro confronti, e di instaurare un rapporto di fiducia solo con le persone che provano vero affetto verso di loro. Il malato è in uno stato di grazia in quanto, pur provando sulla propria pelle una sofferenza fisica anche pesante, ha nei propri occhi e nella pro-

di Elisabetta Costantini

pria anima costantemente la tenerezza di Dio. Questo porta queste persone ad essere elette poiché con la loro sofferenza hanno già percorso parte della tortuosa via della croce che ci porta a Lui. Ogni malato è portatore della croce di Cristo e, con la sua testimonianza, cerca di portare la fede nel cuore degli altri, come un vero e proprio missionario e discepolo. Dopo la Messa la giornata è continuata al ristorante ‘Vannucci’, con l’intrattenimento di Paolo Anichini. Al pranzo erano presenti più di 100 persone, pievesi e Unitalsiani di tutta l’Umbria, per un momento di condivisione e di gioia, sentimenti che rappresentano a pieno lo spirito dell’UNITALSI. Verso le 16.30 la giornata è terminata lasciando nel cuore di tutti noi, o almeno così speriamo, un piccolo momento di gioia che nasce dalla condivisione di esperienze e di emozioni con persone così speciali come coloro ai quali questa giornata è dedicata.


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VOGLIO MANDARVI TUTTI IN PARADISO “Voglio mandarvi tutti in Paradiso!”, queste parole di san Francesco annunciano da ottocento anni l’indulgenza del 2 Agosto, conosciuta come “il Perdono di Assisi”. Anche noi il primo Agosto, come ogni anno, ci siamo messi in cammino per ricevere il dono della misericordia, partendo in vari gruppi durante tutta la giornata, per raggiungere a piedi la chiesa della Madonna degli Angeli. I ragazzi sono partiti il mattino, le famiglie nel pomeriggio; tutti insieme abbiamo pregato i Vespri nella stupenda chiesetta e cenato poi in fraternità. Per tutta la notte sono proseguite l’adorazione eucaristica e le confessioni grazie alla possibilità di pernottare nelle tende allestite dalla Protezione Civile di Città della Pieve, che come ogni anno si rende disponibile. Meravigliosa la S.Messa dell’alba, alle 5 del mattino, ad inaugurare un giorno di grazia e misericordia per tutti... Maria Elena Vecchi

Grest 2013

IL REGNO DELLA FANTAGIOIA Anche quest’anno, l’Oratorio di Città della Pieve, ha coinvolto decine di bambini e ragazzi (quasi un centinaio), nel Grest ispirato al capo-

lavoro di Michael Ende: “La Storia Infinita”. Suddivisi in più squadre, i giovani hanno affrontato prove di abilità, hanno giocato e mangia-

to insieme, hanno anche condiviso ri che, come sempre, è stato ampiamomenti di riflessione, prenden- mente ripagato dalla gioia di tutti i do spunto dai personaggi del libro. bambini e delle loro famiglie. Prezioso l’impegno degli animatoNada Camilloni


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TRATTI NOSTRI

Immagini per ricordare, scoprire, curiosare, provocare 

a cura di Mario Marroni

Vi n c o l i e r i f l e s s ioni

TANTO PE’ SOGNÀ

... “voi ve sete accorto di gnente?” ... Statime n’ po’ a sentì. Ho fatto ‘n sogno strano che me pare proprio bono da raccontà. ‘Nsomma uno di chelli che te fanno pensà quando te arisveji co’ le cipicchie nell’occhi. Ma venimo al sodo, cioè al sogno. Me so ritrovato ne ‘na Pieve tutta diversa, e ‘n ve dico come. Esco da casa, tanto dove stò lo sapete. Svolto a la Fontana di Mignolino, vo’ verso l’Casalino e nel balzolo di Paolino te trovo ‘n omino che me fa - “Voi ve sete accorto di gnente?” - E io di rimando, - “Veramente di qualcosa si, da quando me so affacciato pel Casalino a fa la specola” -. E questo allora me s’ è messo giù a sciurinà come ‘na machinetta e io a stallo a sentì - “Ma voi lo sapete che a chelli che comandono j’hanno cambiato la testa? Ora je gira pel verso giusto. Hanno smesso di fa le fregnacce e se so’ messi a fa solo le cose serie. ‘Nvece di fasse la canizza uno co’ l’ altro che n’ arrivavono mai a gnente di bono, ora se so arinboccate le maniche e fanno! Guardative ‘ntorno, lo vedete anche voi che ‘n c’è ‘na machina fori posto. ‘L traffico lo chiudono solo se ce fanno qualcosa di bono, ‘nsomma se la gente che gira c’è sul serio. Se girate pe’ le botteghe le trovate tutte sistemate a dovere, si ppoi entri, anche se sei ‘no straniero te capiscono al volo, trovi tutto chello che te serve e tanta cortesia, insomma prima n’erono male ma ora so’ anche mejio. Se te movi pel paese te fanno vedé tutto, c’è chi te spiega e ‘n tutte le lingue, ma quello che me piace di più è che ora so’ tutti fregni de la Pieve che hanno studiato apposta. Hanno sistemato le case, ‘ndo’ vai le trovi abbelite co’ le piante e poi i palazzi, le chiese, le strade, i viali, i giardini, le passeggiate,

i quadri, le statue, i musei. Ora sembra di esse sempre davanti a ‘n capolavoro o mejio dentro ‘na cosa curata che t’ accojie e t’ accompagna. Se vai ‘n comune, a la posta o là pe’ l’ uffici, fai presto, ‘n te

sta ragione e menomale senno’ tra ‘n po’ i fiji cominciavono a nasce co’ la testa a forma di pallone. Dentro e fori la Pieve ritrovi le vecchie botteghe de’ l’ artigiani, certo ‘n so’ piu’ come chelle de ‘na vol-

trattono mai male e ppoi se c’hai ‘n problema te lo risolvono di sicuro. Le scole so’ tutte modernizzate, funzioneno come orologini svizzeri e i fiji so’ tutti bravi e contenti e soprattutto vengono fori che so’ strutti. Hanno anche ‘n po’ ridimenzionato chelli del pallone, che tanto ‘n ce cavono gnente. Nel campo nero ora ce so le piscine che pareva tanto difficile a falle. Anche chelli di quell’altri giochi so’ ora piu’ soddisfatti, j’hanno dato giu-

ta, ma servono e funzioneno, la gente ce va, eccome. ‘L forestiero che viene ‘n fa piu’ l’ arriva e lo scappa, com’era prima, ora je piace di fermasse perchè je dà gusto, se diverte, se svagola, vede e rimane soddisfatto. ‘L’alberghi sia chelli de la citta’ che chelli de la campagna, ora funzionono a pieno regime e quindi n’ se lamentono più de la crisi. Ppoi oltre a lo zafferano aritrovi pure ‘l vino e l’ojio che so tanto bboni. De le fiere, i mercati, le

Il “Tempietto”

LA MADONNA DELLA NEVE Una tradizione che si rinnova ogni anno

Ogni anno, nel mese di maggio, in occasione del mese mariano, viene recitato il Santo Rosario presso il tempietto della Madonna della Neve, ed il 5 agosto, in suo onore, viene organizzata la Processione. Il “tempietto” è situato sul versante di ponente del paese; una stradina di campagna sottostante la chiesa di San Pietro conduce alla “Madonnina” che il 25 agosto 1750 fu proclamata dal Consiglio Comunale, patrona di Città della Pieve. Per secoli la Madonna della Neve ebbe venerazione e culto e anche oggi, in suo onore, nel mese mariano, la cittadinanza

rinnova l’impegno d’amore filiale verso la “Madre di Dio Regina dei cuori”. In passato l’edicola è stata più volte bombardata dalle artiglierie nemiche, restaurata nel 1780, è stata per lungo tempo abbandonata e solo nel 1985 restituita, nel massimo splendore, alla cittadinanza pievese. Ad essa siamo tutti chiamati verso quella strada di preghiera dove nel silenzio campestre è possibile udire la nostra voce interiore, per attingere momenti di quiete ed offrire alla “Virgo Dolorosissima” il nostro contributo di devozione e di fede. Serenella Fornaciari

mostre, i concerti ‘nvece di continuà a cercalle come i serpi gialli, hanno fatto misdea e smesso di fa’ crede che Cristo è morto dal freddo e ora co’ le novelle idee stamo a fa’ cappotto. L’ associazioni, che a la Pieve semo chelli che ce n’hanno di più ‘n tutta l’ Italia, ‘nvece di fasse le scarpe vanno d’accordo e anche questo funziona parecchio. I Terzieri continuono a fasse la guerra, ma solo quella giusta, fanno, giocono, se divertono, se sfottono ma poi amici più di prima e la Pieve ce guadagna, n’ ve dico quanto. N’emo più paura di chelli che contono, n’ le mandamo più via pe’ la paura che ce ne dicono quante a’ ‘n cane, anzi l’andamo a cercà, le portamo a la Pieve, se ce viene bene le sprememo come limoni, in senso bono senza faje del male, e questi so’ contenti, je piace e ce ritornono o mejio ce rimangono. Se devi magnà, do’ coji coji, te va sempre bene e, come se dice, te pieni la panza e te lecchi i baffi, anche se n’ ce l’ hai. La Pieve, Ponticelli, Po’ Bandino, Moiano n’ so’ più quattro feudi che cercono di fassela a ogni piè sospinto hanno cominciato a sentisse ‘na cosa sola, quattro teste e ‘n corpo solo. ‘Nvece se te senti male, ‘n pizzico di pulce o ‘l torci budelli devi attaccatte, fischia’, tira forte e spera ‘n Dio. Per questo manco’l sogno je l’ ha fatta.” Poi a ‘n certo punto, s’ è messo a chiamà ‘n altro che passava e n’ sò come ma me so’ svejato, sarà stato l’argomento, ‘no sguardo di quà ‘n’altro dillà e m’e’ venuto da di’ “sta a vede’ che sognavo”, ce rivedemo!!!


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LE DIMORE DELLA NOBILTÀ PIEVESE: SCOPERTE, CURIOSITÀ E RIFLESSIONI La cultura e il patrimonio artistico: zavorra o veicolo di rilancio e di sviluppo? Visitando il salotto rosso di Palazzo Scaccia Alberti, durante una delle visite delle Domeniche di Pieve Vivibile - alla scoperta degli edifici civili della nostra città - una riflessione sui valori della Nazione Italiana ai suoi albori connessi ad arte, cultura e letteratura arriva spontanea. I decori, eseguiti alla fine del XIX secolo, di chiara ispirazione Risorgimentale, appaiono di gusto neo-rinascimentale contornati, al centro da ricchi motivi vegetali e zoomorfi, volteggiano tre putti, uno con elmetto, che brandisce una spada, coperto con un panno con i colori del tricolore nazionale, rappresenta l’Italia unita, ai lati gli altri due, uno con gli attributi della musica e della letteratura, l’altro della pittura, evidente richiamo alle arti minori e maggiori e al dibattito intellettuale che nel corso dei secoli vi è stato e che solo a partire dal Rinascimento ha iniziato ad equiparare per importanza le due. Una bella immagine questa che ha voluto dare l’esecutore del soffitto di un’Italia fra le arti, vero elemento di unione nazionale e strumento tra i più importanti per risollevarci come nazione. Giunta oramai alla seconda edizione, la “Domenica di Pieve Vivibile” sui “…Mai visti” nelle dimore della nobiltà pievese è di grande attrattiva per gli autoctoni e per i turisti perché consente di conoscere angoli appunto “mai visti”, ma soprattutto una cultura che a lungo è stata caratterizzante della nostra città e della sua “altezza” culturale. Se l’iconografia del Palazzo Scaccia, in una delle ultime tappe della passeggiata dedicata alle scoperte del patrimonio culturale cittadino, ha suscitato la considerazione sulla cultura e se la stessa sia ancora per la nostra società moderna veicolo di rilancio e sviluppo in un dialogo armonico come nella citata iconografia risorgimentale o se forse la cultura e il patrimonio artistico possono essere una zavorra ingestibile, le altre

tappe suggeriscono curiosità ed elementi di storia per costruire – in tasselli – le vicende pievesi. Numerosi gli edifici visitati, da palazzo Orlandi, antica dimora del Podestà, edificio completamente ristrutturato nel 1894 in stile neorinascimentale, dell’originale impianto conserva un’antica scala a chiocciola ed una ampia e curiosa cucina novecentesca, a Palazzo Bandini, primo edificio che porta in città le innovazioni del Rinascimento fiorentino, con le bellissime mostre in pietra serena, la bugnatura angolare, la loggia di ordine tuscanico, gli interni frutto di numerosi interventi, conserva volte arricchite dai pedicchi in pietra serena di diversa foggia, soffitti a cassettoni. A proposito di “mai visti” la visita si è soffermata sul singolare e sconosciuto ai più … grandioso salone, con decori di illusione

ti la campagna d’Italia, qui un Napoleone in veste anti papalina, visto, forse, come un liberatore da parte della nobiltà cittadina. Forse omaggio ad uno dei proprietari dell’edificio. Altra tappa palazzo Farina, antica residenza dei principi Bonelli di Salci, all’interno conserva tre bellissimi soffitti di Mariano Piervittori, grande pittore marchigiano e cantore del Risorgimento umbro, ad inizio secolo fino agli anni trenta fu animato da un salotto intellettuale da Maria Cola Farina mamma dell’attuale proprietario. Un’altra bellissima opera del Piervittori ci viene incontro nella giornata: il sipario storico del Teatro degli Avvaloranti con rappresentato Pietro Perugino, la moglie Chiara Fancelli, Raffaello e la Scuola. Vicino al teatro, si trova Palazzo Paraciani con bellissimi decori di stampo patriottico e risorgimentale. Ancora patriottica e risorgimentale a Palazzo Andreoli una Venezia liberata con colori brillanti e scene di vita quotidiana. Ancora tappe preziose come il neoclassico Palazzo Taccini, con stanze decorate e architettura particolarissima sicuramente obbligata dalla vicinanza con il prezioso affresco di Pietro Vannucci. La domenica poi si conclude ogni volta con la visita al Villino Mazzuoli, posto in posizione panoramica e affacciato in ciò che resta dell’antico e più ampio circolo delle mura medievali della città, di cui conserva un integro camminamento, all’interno del Villino un giardino d’inverno a trompeottica, in cui su pestaggi romantici ed esotici, si staglia- l’oeil. Proprio nel giardino della Villa nella splendida no curiose architetture che ci ricordano quelle dei di- convivialità dei proprietari i volontari di Pieve Vivibile versi continenti, capanne africane, architetture gotiche salutano gli avventori. A tutti i proprietari (anche quelli e vestigia classiche greche e romane, tra queste alcuni che non abbiamo citato in questo articolo) va uno spealberi disegnano l’inconfondibile profilo di Napoleone ciale ringraziamento per la sensibilità culturale che deBonaparte. Questo lascia supporre e datare il ciclo nei nota anche amore per la città. primi anni del XIX secolo negli anni poco precedenLuca Marchegiani

TRASIMENO INVENTA EVENTI Piccoli assistenti crescono all’Avvaloranti Grazie ad un progetto di Frontiera Lavoro quattro studenti pievesi hanno vissuto un’esperienza per misurare e spendere la propria creatività. L’estate 2013 è stata un’occasione di scambio e crescita per questi ragazzi del Liceo Scientifico Calvino della nostra città che hanno partecipato agli stage del progetto “Trasimeno Inventa Eventi” promosso da Frontiera Lavoro e finanziato dalla Regione Umbria. Il progetto, che rientra nelle attività di promozione della creatività giovanili ha come obiettivo principale quello di non limitare gli interventi alla sola espressione creativa, ma anche all’acquisizione di competenze spendibili nel tessuto economico e culturale del Trasimeno ed in particolare della nostra città. Attraverso laboratori formativi extracurricolari i ragazzi del Calvino che avevano aderito al progetto durante l’inverno e la primavera hanno acquisito competenze di grafica pubblicitaria, animazione grafica ed elaborazione delle immagini. I docenti ed i tutor hanno accompagnato i giovani nella scoperta delle proprie competenze artistiche e nell’acquisizione di nuove competenze per unire all’aspetto ludico ricreativo quello delle eventuali abilità connesse a mansioni e/o funzioni del mondo professionale.

L’estate è stata poi l’occasione per investire e spendere tali competenze nel tessuto dell’associazionismo pievese ed in particolare in quelle associazioni che si distinguono nel territorio per attività culturale ed artistica con eventi significativi anche in collaborazione con le Amministrazioni Comunali, attraverso Stages di Orientamento.

È stato così che Ariele, Jessica, Ludovico e Noel hanno vissuto per circa un mese fianco a fianco con l’equipe del Teatro dell’Opera di Philadelphia facendo da “assistenti junior” a Karen Saillant. Un’occasione per spendere la propria creatività considerato che la tutor li aveva incaricati di valutare, ritoccare e infine selezionare le immagini per la cartella

UNA DELLE TIROCINANTI PIEVESI CON KAREN SAILLANT IN UN MOMENTO DI PAUSA

stampa, i social network e il sito, e di sostenere scenografo e costumista nelle attività quotidiane, nella ricerca degli artigiani e del materiale, ma al tempo stesso un’occasione per misurarsi con i ritmi del mondo produttivo e conoscere da vicino cosa vuol dire lavorare mettendo a frutto la propria creatività. Ariele, Jessica, Ludovico e Noel hanno inoltre vissuto a stretto contatto con artisti di tutto il mondo in quella che è – oramai da sempre – la formula della grande compagnia del Teatro dell’Opera di Philadelphia; un’occasione per conoscere altre culture, parlare altre lingue e confrontarsi con il pensiero degli altri per crescere, per vedere come all’estero ed in Italia la creatività diventa lavoro e lavorare attraverso la propria creatività non sempre è un’utopia. Inoltre i ragazzi hanno potuto comprendere quali sono le competenze ed abilità necessarie per affrontare un mondo in continua evoluzione, fortemente selettivo come quello dell’arte. Sicuramente un’esperienza che Ariele, Jessica, Ludovico e Noel vorrebbero ripetere anche per la speciale full immersion nella lingue inglese che forse in Italia non sarebbe stata possibile. Gaetano Fiacconi


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Forse non tutti sanno che ...

IL REX È “NATO” A SALCI “Era il primo agosto 1931, esattamente 80 anni fa e il “Rex” scendeva in mare trionfalmente, ripreso dagli obiettivi dei fotografi di grido e dagli operatori della Regia Aeronautica imbarcati su numerosi idrovolanti. A terra, il re “soldato”, Vittorio Emanuele III era accanto alla regina Elena, madrina della immensa nave. Fu un giorno di festa, il preludio di anni felici, di record, di successi a livello internazionale”. Potrà sembrarvi incredibile eppure proprio il celebre Rex, transatlantico italiano gloria della Marina degli anni Trenta che rappresentava uno dei vanti del regime fascista e assieme al “Conte di Savoia”, costruito al cantiere San Marco di Trieste, fu l’unica nave italiana in grado di competere coi grandi transatlantici francesi, tedeschi e britannici. Uno dei padri progettisti della nave fu Achille Piazzai, cittadino salcese. Un segno in più per ricordare il piccolo borgo che come spesso in queste pagine abbiamo scritto è dimenticato da troppi. Il Rex era lungo “fuori tutto” 268,20 metri, largo 29,5.

Ecco come descrive nel suo volume dedicato al Rex il momento della discesa in mare. “La Regina si avvicinò a un piedestallo posto sulla balaustra del podio, ben visibile alla massa della gente sottostante. Al centro c’era un vistoso pulsante rosso che doveva rilasciare la bottiglia di spumante Gancia. Un attimo dopo la nave si sarebbe mossa. Teso in volto l’ingegner Achille Piazzai, direttore del varo, urlò a squarciagola: “Madrina, in nome di Dio taglia”. Come una scossa percorse tutti e divenne l’urlo di Prima di quel viaggio, fu proprio Achille centomila persone che saltarono, si abPiazzai a dirigere il varo così come lo ri- bracciarono e applaudirono, le sirene corda lo storico navale Maurizio Eliseo: urlanti del cantiere, i fischi dei rimorL’immersione a pieno carico superava di poco i dieci metri. La stazza lorda era di 51.062 tonnellate. L’apparato motore era costituito da quattro gruppi di turbine a vapore che azionavano quattro eliche di cinque metri di diametro. La potenza dichiarata era di 120 mila cavalli che, con la definitiva messa a punto, divennero 136 mila. Il viaggio inaugurale iniziò a Genova il 27 settembre 1932 con a bordo 1872 passeggeri, destinazione New York.

Matteo Leoni di Angelo chiatori, il tuono delle salve d’onore dei cannoni dei cacciatorpedinieri”. La storia del transatlantico è poi un po’ come quella triste di Salci, arrivò a Trieste il 15 agosto 1940 e fu ormeggiato al molo nel tentativo di proteggerlo dai bombardamenti aerei della Seconda Guerra Mondiale. A lungo ha contrassegnato il paesaggio triestino nei quattro anni di permanenza “in disarmo”; qualche foto, qualche arredo, una scialuppa, posate, piatti, coperte, mobili depredati dai tedeschi dopo l’8 settembre e dopo l’uscita dell’Italia dalla guerra e da Trieste che fu aggregata al Reich. Fu poi bombardato della Royal Air Force che lo colpirono con 123 razzi incendiari. Bruciò per quattro giorni e il suo scafo si adagiò sul basso fondale a 350 metri di distanza dalla strada costiera che a Semedella corre lungo la riva. Così come uno scomodo “oggetto” del quale disfarsi aspettò l’oblio della memoria, un po’ come Salci che dopo mille tentativi ed iniziative, il degrado, l’abbandono, l’incuranza della sua bellezza hanno la meglio.

Racconti di una comunità dentro la fiaba di Chiara Bazzotti

LE TALPE FURBINE

Fantasia, disegni e messaggi positivi per lettori in erba La comunità delle “talpe furbine” anima la favola per bambini scritta da Chiara Bazzotti ed illustrata da Elisa Cherubini; il racconto vivo nella fantasia dei più piccoli fa vivere i simpatici animaletti in un giardino chissà dove e chissà quando aiutando i lettori in erba ad entrare in un mondo che solo la fantasia può ubicare, ma che contiene messaggi per uno stile di vita positivo ed assertivo. Insoddisfatte del clima sempre grigio le Talpe scelgono con cura e furbizia un “mondo dove il tempo è sempre bello, i colori risplendono al sole e la vita scorre nel rispetto della natura. La storia incredibile solo all’apparenza ha risvolti di astuzia che la giovane antropologa poliziana “mette qua e là” per stimolare il lettore a vivere della propria abilità e fantasia, ma socontinua dalla prima PALIO: IL BORGO ESULTA Il “finalmente” non vuole aprire polemiche in tempo di pace e contentezza, ma certo il Comitato Tecnico Scientifico che riconosce tali le manifestazioni di interesse storico istituito nel 2009 ci ha fatto sospirare in questi quattro anni; anni in cui soprattutto dal punto di vista qualitativo il Palio aveva già raggiunto risultati mirabili in tutti e tre i Terzieri in materia di impegno, aderenza storica, qualità dei materiali impiegati e nell’ingegno dell’artigianato locale. Un riconoscimento che accomuna i pievesi nell’orgoglio di avere per oltre quarant’anni lavorato affinché la città possedesse una manifestazione degna di questo nome; al tempo stesso accomuna quelli che sono rivali “di colore” ed incredibilmente i vivi ai morti. Non vi sembri uno sproposito; piuttosto - in questa

condivisione d’orgoglio - ogni Terziere sentirà vicini quelli che il Palio lo guardano da lontano, in infinita gratitudine per aver reso anche solo un pezzettino di tanto successo. Lo scorso anno avevamo sollecitato i Terzieri, ma con loro l’Amministrazione Comunale che ha la titolarità sull’Ente Palio, a diventare grandi, a vivere del Palio non solo ad agosto, ma tutto l’anno e fare così di Città della Pieve la città del Palio per qualità, tradizione storica, tradizione artistica e turismo. Al momento non ci risulta che l’ente Palio abbia istituito delle commissioni per validare l’aderenza storica nel corteo e nelle manifestazioni accessorie, né commissioni per validare e soprattutto far rispettare regole disciplinari non solo in campo, ma – e soprattutto – in materia di rispetto dei materiali altrui, dell’uso indisciplinato di alcolici e altro nel corteo e nella manifestazione, e in quei piccoli furti che sembrano goliardici e invece – magari – arrecano danno. Tutto questo ci piacereb-

prattutto a rispettare la natura così che in cambio se ne possa avere “sempre bel tempo”. Un percorso narrato anche attraverso immagini evocative e suggestive di Elisa Cherubini che porta insieme divertimento e messaggi educativi e lascerà nella memoria di chi legge un piccolo segno; del resto una favola è un po’ come la tessera di un puzzle che ti rimane attaccata dentro e che per tutta la vita racconterà un po’ di te. L’augurio è che tutti i giovanissimi lettori che sogneranno con le parole di Chiara e le immagini di Elisa possano un po’ volare e poi da grandi ripercorrere l’idea del riciclo come sostenibilità del mondo e rispetto della natura. (Per info e acquisti chiarabazzotti@gmail.com). Matteo Leoni di Angelo be nascesse senza ulteriore aggravio economico, senza dover retribuire qualcuno, ma piuttosto attingendo a quella mirabile vitalità di volontari che i Terzieri faticano ad avere, ma che magistralmente sfoggiano ottenendo risultati preziosi. Ci risulta ancora che l’Ente Palio sia ancora composto da sole quattro persone così da

inficiare eventuali votazioni da mettere a maggioranza … Siamo certi però che questo importante riconoscimento della Regione Umbria oltre a portare impulso vitale, impulso economico, possa essere il primo gradino per diventare davvero grandi. Gaetano Fiacconi


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Judo: l’avventura continua

INIZIANO LE ATTIVITÀ PER IL NUOVO ANNO Aperte le iscrizioni ai corsi 2013-14

corsi di Judo, si sono ritrovati tutti insieme per l’esame finale. Bambini, Fanciulli, Ragazzi, Esordienti, Cadetti, Juniores, Seniores e Master, un gruppo ben affiatato di trentanove giovani appassionati di questa disciplina sportiva che ormai da più di quaranta anni svolge un ruolo ludico-educativo con serietà e competenza. L’atmosfera dell’evento, importante e festosa allo stesso tempo, ha avuto momenti diversi, i ragazzi con al seguito genitori, parenti e amici, sembravano i meno preoccupati per le varie prove da affrontare, tra gli “spettatori”, numerosi, un po’ di apprensione che però si è sciolta man mano. Soddisfazione per tutti al momento della consegna dei diplomi. Il nove settembre riprenderà l’attività consueto appuntamento del passaggio di Il presidente Furiani e gli istruttori Della del Judo Club Città della Pieve. Aveva- cintura. Gli atleti che durante l’anno ave- Ciana, Baffoni e Socciarello hanno chiamo terminato il 2012-13 a giugno, con il vano partecipato con serietà e passione ai mato uno ad uno tutti gli atleti e conse-

gnato loro il meritato riconoscimento. Da evidenziare l’anno sportivo eccezionale delle categorie, Bambini, Fanciulli e Ragazzi, che hanno conquistato il primo posto nel Campionato Regionale. Impegnativa e ricca di soddisfazioni l’attività dei più grandi. Poi tutti insieme al ristorante per una pizza in allegria. L’anno che sta per iniziare ci vedrà impegnati su vari fronti sia a livello regionale sia nazionale. A tutti coloro che fossero interessati si ricorda che per avere informazioni e visitare la struttura, l’appuntamento è per il 9 settembre presso la palestra del Poggio dei Papi, quando riprenderà l’attività. A “vecchi” e “nuovi” judoka l’augurio di ritrovarci tutti sul tappeto con la grinta e l’entusiasmo di sempre. A.S.D. Judo Club Città della Pieve

Andrea Di Nardo

UNA PASSIONE PER LO SPORT E UNA FILOSOFIA EDUCATIVA Fermenti e novità nella pallavolo pievese fin da settembre

Dopo una serie di appuntamenti falliti per colpa mia, ho incontrato Andrea di Nardo, classe 1965, sul terreno virtuale del cyberspazio per farmi raccontare la sua passione e prima ancora la sua esperienza di sportivo per provare a capire se c’è una filosofia dello sport a Città della Pieve e se, visto che tutti gli sport hanno pari dignità, per una volta ci si può esimere dal parlare del calcio, restando nel terreno dell’educazione sportiva e della disciplina. D. – Andrea, qual è la tua idea di sport? “La mia idea di sport, nasce dall’educazione ricevuta, mi piace ricordare che tutti gli sport sono disciplina, per un “sovversivo solitario” come me la parola fu occasione di discussione, ma poi la realtà degli allenamenti, le regole, la convivenza forzata all’interno della squadra, hanno acceso la luce sulla forza costruttiva dello sport in generale. Per esperienza personale è stato un percorso evolutivo non solo come atleta ma come persona, il confronto innanzitutto con se stessi, con i compagni, gli allenatori, soprattutto da giovane con i “più grandi”, la consapevolezza che il campo ti rende uguale a loro, gli stessi diritti le stesse responsabilità e doveri, senza differenze di età, e mi piace ricordarlo senza colore o sesso. In sintesi lo sport ti fa crescere, i risultati migliori sono a livello personale non tanto sportivi, siamo abituati a vedere le eccellenze, osannati come moderni eroi greci, ma ognuno con la giusta educazione trova il suo “percorso sportivo”, il difficile nella società attuale è accettare le sconfitte, spesso causa di abbandono dell’attività, ma poi il discorso diventa troppo complesso… diciamo che in sintesi lo sport è una “scuola di vita” nel quale si impara a conoscere il proprio corpo, se stessi, e gli altri”.

D. Rispetto alla realtà locale di Città D. Anche in relazione a queste ultime ridella Pieve qual è l’approccio allo sport flessioni, pensi che lo sport possa essere ed il suo futuro? ancora considerato un “luogo sano di educazione” oppure l’agonismo “ci ha un po’ “Città della Pieve, è una cittadina in cui le preso la mano”? dimensioni modeste delle risorse umane ed anche economiche, creano un model- “Come già accennato l’idea che passa lo di sviluppo ad hoc per lavorare sulle adesso è quella del “successo”, le telequalità umane, è l’ideale per un progetto visioni investono una montagna di soldi nel quale il centro sia l’atleta piuttosto per vendere il prodotto sport, qualunque che il risultato, non possiamo pensare di esso sia, basta che poi generi un profitto. avere squadre di carattere nazionale, ma Per fortuna c’è ancora un intero mondo possiamo fare in modo che in un sistema fatto di realtà minori, dalla UISP al CSI organizzato e coerente, gli atleti eccel- che promuovono lo sport in maniera dilenti possano emergere. È difficile fare versa. Questo resta comunque un tema progetti a medio lungo termine, poiché dolente, a mio avviso - come ho già detspesso l’idea che prende il sopravven- to - l’idea del partecipare piuttosto che to è quella del risultato immediato, con vincere è scarsamente praticata a tutti i il quale si valuta la riuscita del lavoro, livelli”. ma avendo lavorato spesso con i giovani i frutti del lavoro spesso si raccolgono D. La realtà sportiva che sostieni e frea tempo debito. C’è poca “educazione” quenti è in fermento per la ripresa ausportiva, lampante è l’assenza o la caren- tunnale delle attività? Puoi darci qualza dello sport nelle scuole. Il nodo cen- che anticipazione? trale sono le risorse economiche, prevalentemente private, gli sponsor, che devono sostenere tutte le attività in modo spesso disomogeneo e poco puntuale… Adesso mi occupo di pallavolo, ma ho fatto il calciatore per tanto tempo ed ho scelto di “fuggire” dall’ambiente del calcio: troppi soldi, poche idee, e molta maleducazione… Dunque è su questa ultima disciplina che posso pronunciarmi in merito alla realtà locale e ad un possibile futuro; la pallavolo “alla” Pieve è esclusivamente femminile: tanti problemi, poca visibilità e idee ancora antiquate sul ruolo della donna. Bisognerà lavorare molto sia sulle ragazze sia sull’ambiente: l’idea è quella di promuovere il più possibile questo movimento sportivo che offre un’alternativa alle ragazze giovani per fare una “esperienza” anche di autostima”.

“La Geo Volley, ha iniziato il 26 di agosto con la preparazione della prima squadra, poi i primi di settembre le under 14/16 e quando riaprono le scuole tutto il mini ed il super e l’under12, ci sono in tutto una settantina di tesserate, e con la presidente Chiara Calcioli ed il consiglio c’è una certa affinità di intenti. L’idea di fondo (la mia) è quella di centrare il lavoro sulle persone, ed a breve di ottenere i successi di squadra, che ci possano dare visibilità e prospettive, anche economiche, per il futuro, allargare l’offerta alle frazioni e provare a diventare un modello di sviluppo sportivo per le ragazze”. Grazie Andrea auguriamo a te, Chiara, ma soprattutto alle ragazze che seguite, che le idee ambiziose – come dici tu – siano un punto di partenza e la vostra presenza di volontari diventi riferimento sportivo, ma soprattutto umano per chi – anche nello sport – cresce. Gaetano Fiacconi


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“NOLI ME TANGERE” Ultimo atto

di Mario Marco Marroni

zione mi è bastata, non ci sarà un altro “Noli me tangere”, la storia di questa città e la mia cultura non me lo permettono. Anzi colgo l’occasione per suggerire, a chi di dovere, di utilizzare le poche risorse disponibili in questi tempi di magra, per fermare i degradi più urgenti ed evitare così le irrimediabili perdite. Per i completi ripristini si possono aspettare anche tempi migliori. Si potrebbero anche ricercare opportunità che pure ci sono e che si perdono per sciocche barriere ideologiche alzate, fuori da questo tempo e da questa storia, da certi personaggi pubblici.

Il “Noli me tangere” e la sala che lo contiene assieme ad altri significativi affreschi, sono finalmente oggetto delle cure e delle attenzioni di cui hanno bisogno. Certo di tempo ce n’è voluto, qualche anno, e, come accade in queste circostanze, il malato si aggrava, la patologia da lieve diventa preoccupante ed il medico non può far altro che salvare il salvabile. Il paradosso è che tutto si è realizzato alla luce del sole. E sì poiché, l’iniziale lento degrado, ed il successivo decisamente più rapido, sono stati osservati e più volte segnalati a chi di dovere senza ottenere nulla. Ordunque si è trattato di vera e propria incuria. Il risultato di tutto ciò è ben evidente basti guardare le immagini di seguito riportate. Pensate, per evitare lo scempio bastavano poche ore di un intervento tutto sommato semplice. Purtroppo chi ha visto cadere a terra i frammenti si è preoccupato di spazzarli, gettando un po’ di storia in chissà quale pattumiera. Oggi il povero “Noli me tangere” ce lo ritroviamo ancor più mutilato di quanto già non fosse ed anche se l’intervento di restauro viene condotto con la necessaria perizia, come si suol dire, il danno è stato fatto. A me, che scrivo queste note, rimane il rammarico di essere stato “buono” soprattutto per non aver usato l’odioso sistema della denuncia. Di certo non dovevo aspettare che l’amico Sgarbi scuotesse le acque, come sa far lui, per rimuovere gli intoppi che c’erano. State certi la le-

Qualcuno ancora pensa che la disciplina e l’esercizio di parte possano premiare. Logica ottusa questa, e di certo non porta lontano. Stante la situazione le prospettive non potranno che essere buie, e la necessità sarà di elaborare una valida controcultura. Di questo si tratta, ne sono fortemente convinto.

L’Accademia “Pietro Vannucci” ha presentato

“COME SI DICE?”

Raccolta di proverbi e modi di dire a cura di Orietta Rossi Nel 2005 la Libera Università pubblicava un testo titolato “Per un archivio lessicale pievese”, curato da Gianni Fanfano. Fu quello un primo valido contributo alla riscoperta del dialetto pievese, purtroppo scomparso dalla letteratura locale dal tempo in cui era formidabile pratica di Gino Porzioli. Otto anni dopo, siamo nel Febbraio 2013, ecco un altro tassello. L’Accademia “Pietro Vannucci” pubblica un nuovo testo dal titolo “Come si dice?”, curato da Orietta Rossi. Ordunque, quando la volontà e la passione non fanno difetto e si accompagnano alla necessaria competenza ciò che ne scaturisce non può non essere che di pregio e qualità. Questo, in sintesi, quanto mi vien da dire del lavoro di Orietta Rossi. Il testo - “Come si dice?” - affronta un argomento che sembra essere scontato; luoghi comuni, modi di dire, proverbi. Eppure, basta leggere l’opera, il cammino fra la consistente varietà che di que-

sti ne viene proposta, induce il lettore, con grande suggestione, ad una sorta di costante riflessione e, perché no, ad una felice riscoperta. L’organizzazione per settori tematici di sicuro orienta e facilita chi legge ed anche il meno curioso finisce per compiere questo piacevole esercizio. Insomma una produttiva fatica, questa di Orietta, da considerare quale validissimo contributo ad una letteratura volta all’estinzione e che con ciò ritrova attenzione giusta e meritata. La fluidità e la semplicità di stesura non cadono mai nella mera elencazione, risultano piuttosto sostenute da organicità e scientificità, qualità, queste, che sicuramente avvicinano non solo gli addetti ai lavori. Una notazione significativa è rappresentata da una componente costante e strettamente legata al dialetto locale, esercizio linguistico ormai difficile e che qui viene esercitato con rispondenza ed efficacia. A tratti tale aspetto è così

appropriato e stimolante da consentire al lettore un gioco del comunicare anch’esso ormai perso. Facili anche i richiami ai personaggi tipici di questa realtà, i quali facevano abbondante uso di tali espressioni e lo facevano rafforzando la loro già forte identità ed anche per riaffermare quel senso di appartenenza alla città ed alle categorie sociali in questa presenti. Chiudo la nota con una memoria tante volte ricordata da mio padre, “Toni”, relativa ad un personaggio pievese noto ai più, Corinto Trenta, questi, rivolgendosi ad un gruppo di pievesi che contestavano il padrone per ottenere il dovuto, così si espresse - “State boni tanto quando la pera è fatta casca da sé”. Intendeva con ciò dire che il padrone era quasi arrivato a cedere e dunque bastava pazientare. Vi invito infine a prendere in mano questo testo e, se lo fate, non avrete a pentirvi. Mario Marco Marroni


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La capacità di osservare guida le nostre azioni

EVITIAMO LA SCONFITTA Marco Gabriel Perli Nasce a Caracas nel 1970, torna in Italia e si stabilisce a Città della Pieve nel 1978. Per motivi familiari e di lavoro torna di frequente in Venezuela. Ha studiato Belle Arti ed è questo l’ambito nel quale ama vivere. Ha scoperto da pochi anni, la passione per il reportage, soprattutto quello fotografico. Ha lavorato per alcune ONG Italiane che affrontano il problema dell’agricoltura, sia industriale sia familiare. Mi piacerebbe poter aprire un dibattito sulla capacità che abbiamo d’osservare. Questa è una delle qualità che più ammiro nelle persone. Osservare vuole dire guardare con attenzione, analizzare ciò che si vede per formulare un pensiero. Vuole dire avere quell’intelligenza necessaria che ci porta a costruire le nostre opinioni, che sono, secondo me, l’aspetto principale della nostra persona. La capacità di osservare, comunque, ci pone per forza di cose di fronte a scelte che facciamo quotidianamente per guidare le azioni che muoviamo all’interno delle nostre convinzioni. Ecco, le azioni. Potremmo dire che la capacità di osservare è la guida per le nostre azioni. Migliore è la capacità che abbiamo di osservare, migliori saranno le nostre azioni. Osservare ed agire sono i binari lungo i quali far scorrere il dibattito che vorrei aprire. Ovviamente siamo vivi e presenti oggi su questo territorio che ci ospita, che ci permette di camminare sul suo suolo e respirare la sua aria. La nostra presenza è temporanea, la più longeva possibile, ma comunque limitata. Le azioni che muoviamo, invece, sono durevoli nel tempo ed hanno la potenzialità di rimanere nella storia come testimonianza delle nostre vite, del nostro volere, del nostro pensiero. Ogni singola azione deve quindi essere accompagnata dalla capacità di osservare la realtà che ci circonda, per far sì che il nostro operato si rapporti col resto delle cose e giunga alle generazioni future come sinonimo di armonia. Ciò che facciamo è espressione del tempo in cui viviamo e porta con sè quella contemporaneità che cambia di generazione in generazione. Non possiamo rimanere imprigionati nel passato negando qualunque sorta di modernità, ma non possiamo nemmeno distruggere

il bello tramandatoci da altre generazioni. Per donare al tempo la nostra vitalità dobbiamo operare con intelligenza, con spirito critico e costruttivo ed essere un ponte tra ciò che è stato e ciò che verrà. Ovviamente non tutto può rimanere perché in caso contrario avremmo già consumato tutto il territorio naturale. Noi viviamo in una natura “alterata”, nel senso che le modifiche apportate dall’uomo sul territorio sono piuttosto evidenti. Basta guardare le campagne che ci circondano, dove i campi coltivati sono un segno tangibile di quello che sto dicendo. Non credo che la lavorazione della terra si possa considerare come un elemento di disturbo grave come lo può invece essere il sopruso derivante dall’eccesso di cementificazione. Sono sicuro che la richiesta di “cubatura” sia nettamente inferiore al numero di edifici costruiti ed evidentemente rimasti vuoti. Ogni Comune deve stare attento a salvaguardare la propria terra, deve proteggerla osservando con attenzione ogni singola azione che viene proposta. Vi sembra normale che le aree piene di capannoni possano proliferare su tutto il territorio a macchia di leopardo? Sono stati realizzati dei disastri catastrofici. Purtroppo quelle brutture sono il risultato di scelte mal ponderate che consegneremo alle generazioni future, le quali, trovandosi a crescere in questo scempio, non potranno fare altro che confondersi pensando che i nostri disastri siano sinonimo di armonia e benessere. Il risultato più grave è la conseguente diseducazione che fa precipitare sempre più in basso la capacità critica di ogni individuo. A proposito di giovani, vorrei portare un altro esempio: piazza Unità di Italia. Al progettista di quello spazio è sfuggito l’importante particolare che si tratta di un’area antistante alle scuole e che molto probabilmente sarebbe stato meglio creare una zona verde fruibile dai bambini e ragazzi. Capisco che lo spazio nel piano interrato sia stato sfruttato per fare un posteggio probabilmente utile alla cittadinanza, ma so anche che in un Paese civile non si dovrebbe perdere un’occasione così bella per creare qualcosa di speciale per i piccoli ed i giovani che portano in loro la nostra speranza per il futuro. Quel piazzale desolato non è una bella opera architettonica, come invece pretende di esserlo, e non è nemmeno un lavoro ben realizzato visto che dopo soli due anni si è dovuto intervenire nuovamente per la manutenzione della pavimentazione. Possibile mai che non sia venuto in mente a nessuno che sarebbe stato meglio creare una zona alberata con tanto verde, fiori e panchine?

di Marco Gabriel Perli

Trovo invece che i nuovi marciapiedi realizzati intorno a Sant’Agostino siano stati una buona soluzione per ripulire tutta l’area intorno alla chiesa e ridare dignità ad un edificio importante per la sua tipicità architettonica di mattoni rossi, caratteristici di Città della Pieve. I mattoni di questa città sono evidentemente un elemento che la distingue, ma non possono, secondo me, essere vincolanti per ogni tipo di ristrutturazione. Se pensiamo onestamente ed osserviamo bene, possiamo renderci conto che non tutte le facciate degli edifici sono così belle da essere lasciate scoperte. Anzi, molte di queste meriterebbero di essere intonacate per avere un aspetto più dignitoso. In passato le case erano colorate e molto allegre e davano alle città un aspetto completamente diverso da quello che vediamo noi oggi.

La moda di avere pietre e mattoni a vista sui prospetti dei palazzi è recente e non rispecchia la realtà di quel passato che si vorrebbe rispettare. Basta guardare con attenzione quadri ed affreschi dei maestri pittori vissuti nel passato ed osservare come veniva rappresentata nelle loro opere la realtà che li circondava. Non posso fare un elenco di cose che considero belle e cose che ritengo brutte, ma spero che questi pochi esempi siano utili per far capire agli amministratori, ai progettisti, ai costruttori ed a tutti noi, che imporci un senso civico è segno di civiltà, di capacità di osservazione e sintesi critica. Dobbiamo pretendere da parte di tutti e da noi stessi quell’educazione che conduce alla bellezza e all’armonia, perché sono le uniche armi che abbiamo per migliorare la vita.


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A chiare lettere La penna ai lettori…

SCUOLA: QUANTO COSTA UNA DECISIONE POLITICA

La decisione dell’Amministrazione pacianese è costata molto in termini di posti di lavoro In questo ultimo periodo ho notato un forte interesse nei confronti delle problematiche relative alla scuola. Incontri, articoli sui giornali, assemblee pubbliche, tutto scaturisce da una fattiva voglia di contribuire a migliorare e caratterizzare l’organizzazione scolastica da parte di un gruppo di genitori che fanno parte del Consiglio d’Istituto del Comprensivo di Città della Pieve. Non è mia intenzione, in questo momento, entrare nel merito dei vari problemi: nuovo edificio, accorpamento di vari istituti all’interno del comune o nel territorio circostante, … Quello che mi preme fare è informare quanti leggeranno questo articolo di come certe scelte vanno ad influire su vari aspetti economici ed organizzativi e quindi le decisioni che vengono prese devono essere ben ponderate per il bene della scuola e di chi nella scuola lavora. A settembre dello scorso anno siamo stati sopraffatti dalla “valanga Paciano”: il sindaco e la giunta di questo comune hanno scelto di tagliare

il legame che lo univa alle scuole pievesi per aggregarsi alla realtà di Panicale. Al di là che molti genitori sia di Paciano sia di Panicale non condividevano tale scelta, sembrava che questa decisione potesse portare miglioramenti per l’Istituto Comprensivo di PanicaleTavernelle. Così non è stato perché il numero esiguo di iscrizioni non ha permesso di risolvere i problemi di sottodimensionamento. Purtroppo questa scelta ha fatto sì che anche l’Istituto Comprensivo di Città della Pieve si ritrovasse con lo stesso problema. E fin qui la storia è nota. Quello che forse non è noto è che questo “giochetto” ha provocato una perdita di posti di lavoro. Sono ben quattro i giovani docenti che non saranno nominati a settembre: alla nostra Scuola Primaria sono stati attribuiti 23 docenti invece dei 27 dello scorso anno. Inoltre il Vannucci ha perso un posto per il personale ATA e ad oggi non c’è ancora certezza sul numero dei collaboratori scolastici che verranno assegnati.

C’è una incongruenza di fondo in tutta questa vicenda: può un’Amministrazione operare una scelta che provoca la perdita di cinque o più posti di lavoro? La decisione fortemente voluta dal comune di Paciano, ma non avversata da nessuna altra forza politica, né dal gruppo dei sindaci umbri, né dalla Provincia, che ha dato parere favorevole, né dalla Regione, che ha votato la nuova riorganizzazione, contraddice tutte le dichiarazione che i politici fanno in merito all’occupazione giovanile. Bastava fare due conti per avere chiara la situazione: addizioni e sottrazioni sotto il mille si imparano in terza “elementare”. Credo che il lavoro sia un diritto e in un periodo di così forte crisi sia importante evitare che si giochi con la vita delle persone. Si tenga conto di tutto questo quando si prenderanno decisioni in merito alla scuola ed alle scuole pievesi in particolare. Luisa Binaretti

Non solo divertimento; solidarietà e aggregazione

MOTORIAMENTE MUSICAL

Canto, ballo e recitazione - una produzione di qualità per l’eterno fanciullino Da sempre Città della Pieve appare ai più come una fucina d’arte e di idee; una testimonianza in più è rappresentata degnamente dal giovanissimo (per età) gruppo di attori e cantanti che per il secondo anno portano in scena un musical. Genere teatrale e cinematografico, il musical, nasce negli USA tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, ma trova anche in Italia, con la commedia musicale e l’operetta, una significativa testimonianza di sviluppo e fama. L’azione che vede insieme diverse tecniche comunicative, dalla recitazione al canto, vede in gioco artisti poliedrici e completi. Conosciuto in America e in Inghilterra fin da sempre, tornato in voga in Italia solo negli ultimi anni il Musical è approdato anche all’Avvaloranti con una compagnia stabile tutta pievese che riesce ad integrare le diverse necessità artistiche del genere con giovanissimi che per passione o professione si mettono in gioco. Un punto di vista della città assolutamente nuovo e particolare che fin dalla primissima esperienza de “La Bella e la Bestia”, celebre musical ispirato al cartone disneyano, ha lanciato il gruppo e l’ha coeso intorno all’esperienza artistica. Per il 2013 ancora un classico disneyano con l’eterno fanciullino “Peter Pan” nella versione musicale di Edoardo Bennato. Una “fatica” ampiamente ripagata per quelli di “Motoriamente Musical”; rinnovato successo e maggior clamore per la compagnia che ha riempito il teatro per ben sei repliche con uno spettacolo della durata di due ore e mezzo, trascorse da grandi e piccini con grande entusiasmo e partecipazione. I pievesi sono riusciti a mettere in scena il lavoro di Bennato riunendo tutti i linguaggi comunicativi della commedia musicale grazie ad una orchestrazione ele-

BAGLIONI ANDREA & C. SNC Via P.Vannucci, 98-100 Città della Pieve

gante, affiancandoli in una compresenza ben integrata e armonizzata, grazie anche alla maturità espressiva raggiunta dagli interpreti. La finalità dello spettacolo, come per il precedente ed in sintonia con le linee guida dell’Associazione, è stata quelle della beneficenza; e cioè dare sostegno a quelle associazioni che operano nel volontariato, laddove c’è sofferenza. In questo caso gli incassi sono stati devoluti a tre associazioni: a quella perugina intitolata a “Daniele Chianelli” e a quella intitolata a “Peter Pan” (piena sintonia col tema del 2013!) di Roma, infine Motoriamente Musical non ha voluto dimenticare nemmeno l’associazione “Coccinelle” di Chianciano; tutte e tre operano nell’ambito ospedaliero. Le finalità a scopo benefico sono evidenti e arrivano al cuore di tante persone sofferenti, ci sono però in questa lodevole opera di volontariato sociale altre finalità che tengono conto della città, della sua evoluzione e delle sue necessità. Motoriamente Musical è riuscita nell’intento di creare un luogo di aggregazione giovanile, compito difficile a Città della

Pieve e più in generale nel tessuto giovanile della città moderna. Fatto tesoro della lunga esperienza che Motoriamente possiede nella interrelazione con bambini, adolescenti e giovani nel tema dello sport, è nata Motoriamente Musical che consente ai giovani di crescere e maturare a livello psicofisico e, passando dai talenti sportivi, stimola e accompagna i giovani a mettere in mostra gli altri talenti. L’azione positiva del “fare gruppo” promuove l’autostima, lo spirito di collaborazione, l’empatia e la solidarietà. Pilastri e canoni che possono dare alla crescita dei giovani e giovanissimi punti di riferimento mentre diffondono uno stile di vita sano. Al tempo stesso la città guadagna in immagine; non solo ritrova una compagnia teatrale tutta locale competente e di qualità, ma mostra un volto positivo di sé stessa anche all’esterno. Mentre Motoriamente rivolge un ringraziamento ed un plauso all’Amministrazione Comunale per il patrocinio concesso e tutti quelli che - secondo le loro possibilità hanno dato sostegno nella produzione - ricorda che: “Uniti si possono fare grandi cose!”. Rossana Rossi, la regista, e Manuela Bruno per la produzione ringraziano tutti gli interpreti: (in ordine alfabetico) Badalucco Matteo - Casodi Michela - Chimenti Carol - Conti Elia – Daniele Damiano - Fanfano Valentina - Fattorini Ilaria - Ferrara Eleonora - Martinelli Francesco - Massarelli Elena - Neri Silvia - Pasquariello Marco - Pietrini Daniele - Ponziani Gianluca - Ranco Giorgia - Rossi Stella - Sonnati Michele - Stollo Alessio - Vanni Nicoletta ed i tecnici del suono e delle luci, Castellani Luca e Abdo Santino, aspettandoli per il prossimo appuntamento. Matteo Leoni di Angelo


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Guarda dove metti i piedi

UN PERCORSO ARTISTICO DIMENTICATO? Speranza e dignità per Antonio Circignani detto il Pomarancio ... ma di “Castel della Pieve” Una lapide posta sulla facciata del “Mutuo Soccorso”, ricorda come spesso la memoria di noi uomini sia corta e di come ci si dimentichi facilmente anche di quelle persone che con il loro genio ci hanno reso onore. I soci in quella lastra chiesero a gran voce che la città onorasse in maniera degna Pietro Vannucci, e scrissero che aspettavano un monumento in suo onore. La città “se la cavò” con poca cosa … anni dopo fu posta una lapide sulla facciata di quella che conosciamo come casa del Perugino. Promesse da marinaio? Del resto sembra anche oggi lontano l’intento di omaggiare il Perugino; la proposta di Antonio Seccia lanciata anche sulle pagine del nostro giornale sembra passata sotto silenzio… eppure in una delle rotonde cittadine la figura del Vannucci potrebbe essere un bel biglietto da visita della città. Se al Perugino è andata male con il monumento all’altro illustre cittadino pievese, celebre anche lui per meriti artistici, è andata ancora peggio. Sembra quasi che su Antonio Circignani sia calato addirittura un damnatio memoriae. Antonio Circignani, meglio noto come Pomarancio, figlio d’arte (il padre era il pittore Nicolò - di Pomarance in Toscana da cui anche il figlio prese il soprannome di Pomarancio - e Teodora Catalucci) ebbe i natali nella nostra città nel 1567. Nel febbraio del 1595 sposò a Città della Pieve Aurelia di Lodovico Fetti. Il primo documento che lo riguarda è del 1589, quando compare come aiuto del padre negli affreschi dell’Abbazia di Valvisciolo, presso Sermoneta.

Alla morte del padre, con il quale aveva collaborato e dal quale aveva appreso l’arte della pittura, egli divenne erede universale della bottega e dei saperi ed iniziò la sua carriera di pittore autonomo. Sebbene la sua produzione artistica sia poco studiata ed in parte trascurata esistono due documenti fondamentali per conoscere da vicino questo pregevole pittore pievese: la biografia a cura di Giovanni Buglione nella sua opera “Vite de’ Pittori, Scultori, Architetti, ed Intagliatori” del 1642; e ancora lo studio pubblicato da Pollak nel 1931.

In quest’ultimo saggio si riporta la trascrizione di una “richiesta” avanzata dall’artista per poter terminare un’opera incompiuta del Roncalli. Per avvalorare le sue competenze Pomarancio descrive un lungo curriculum

artistico - testimonianza incredibile - ricordando gli affreschi eseguiti nel portico di Santa Maria Nova, oltre che le opere realizzate in molte città del Gran Ducato e ancora Narni, Amelia, Spoleto, Assisi, Sezze, Modena, Urbino. Per ciò che concerne le opere umbre - a differenza di quelle presenti in Emilia - spesso sono confuse con quelle del padre o con quelle - appunto - del Roncalli; eppure fare luce sulla sua vena artistica, le connessioni e la preziosità di un pievese pittore potrebbe essere una risorsa - anche economico-turistica - per Città della Pieve. Interessanti le commissioni romane dove la sua vasta attività lo pone a contatto con l’ambiente cosmopolita cittadino e a confronto con le più importanti avanguardie del tempo. Il suo linguaggio si aggiorna sugli esempi più importanti dell’ultimo manierismo, mostrando interesse per l’opera del Cavalier d’Arpino, che maturando approda ad effetti luministici “moderatamente” caravaggeschi. Sarebbe davvero interessante che le opere pievesi, una pregevole “Presentazione al Tempio” nella sacrestia di Santa Maria dei Bianchi e le altre dislocate nel complesso francescano, oggi Santuario della Madonna di Fatima, nella Chiesa del Gesù e chiaramente nel Duomo, fossero messe in relazione e studiate per trarne un ulteriore - eccellente - percorso artistico che affiancato a quello sul Vannucci possa arricchire l’offerta della città ai cultori dell’arte, magari anche restituendo agli artisti quell’onore che li faceva sentire pievesi. Chissà quando accadrà? Luca Marchegiani

Un sogno realizzato

PIEVE SOTTERRANEA Valorizziamo la nostra città

…metti una bella sera d’estate a cena al ristorante, con la tua famiglia, nel tuo paese natio, la Pieve…. …metti un amico, Luca, che si siede dietro di te e vedendoti ti dice: “..proprio a te pensavo!”, …metti due passioni che ci legano, la cultura e il nostro paese..

Nasce così la mia collaborazione con il gruppo di Pieve Vivibile che, nonostante io, per motivi familiari, non sia più residente in Città della Pieve, ha chiesto la mia collaborazione per aiutarlo a realizzare un percorso, sicuramente faticoso, ma importante, per cercare di far “Rinascere” la Nostra bella Pieve e concedetemi di chiamarla così, perché il paese, non è solo di chi lo vive, ma soprattutto di chi lo ama e per me questa sarà sempre “Casa mia”! Così mi sono ritrovata coinvolta nelle attività di un gruppo di Volontari amici pievesi, con molti dei qua-

li, in verità, non avevo mai nemmeno scambiato più di qualche parola, ma solo semplici saluti. Ma ciò non è stato importante, l’importante è stato sentirsi tutti coinvolti in un unico grande progetto, fossimo del Casalino, del Castello o del Borgo Dentro, architetti, ingegneri, archeologi o qual si voglia altro mestiere, il cui unico comune denominatore fosse il bene, la salvaguardia, la riscoperta, la valorizzazione di Città della Pieve. Così è arrivata per me, la prima domenica che mi ha visto coinvolta in una delle attività del gruppo il 28 luglio con la visita denominata “Pieve Sotterranea”. Sono laureata in Beni Culturali con indirizzo Archeologico e non sono nuova ad accompagnare gruppi e a fare loro non tanto da guida, titolo di cui non mi approprio visto che non possiedo, quanto da accompagnatrice attraverso percorsi ed itinerari di interesse storico culturale, ma vi assicuro che svoltare l’angolo di via Fiorenzuola e vedere una marea di persone che alle 9:00 del mattino erano tutte pronte ed entusiaste per partire al nostro seguito, è stata per me un’emozione fantastica. Ancora di più è stato vedere che di quelle 110 persone (attestate per certo dalle firme sulle liberatorie) quasi tutte erano pievesi e molte di loro giovani, amici d’infanzia, il cui unico scopo era conoscere qualcosa di nuovo sul loro paese. In effetti, la gioia più grande è stato parlare con le persone che testimoniavano la loro infinità curiosità per cose che in realtà sarebbero sotto gli occhi di tutti, ma che in fondo, nessuno conosce! E così per tanti, vedere quei cunicoli sotterranei, con cisterne, pozzi, cortine è stato un modo nuovo di conoscere, anzi di Riconoscere e Scoprire il paese che altrimenti a volte, si rischia solo di subire passivamente dando per scontato che c’è ed è tangibile solo ciò che si vede…invece non è così. Quindi, tra la visita del mattino e del pomeriggio, abbia-

mo macinato strada, parole, ci siamo scambiati opinioni, idee, impressioni, approssimato ipotesi, ma soprattutto abbiamo trascorso ore in allegria, rischiando anche di “scapicollarci”, ma comunque posso dire che ne sia valsa proprio la pena.

Mi auguro che questa ventata d’aria nuova possa portare al Mio Paese ciò che si merita, ovvero una riscoperta in ambito culturale, con l’apertura di nuovi circuiti, perché è già tutto qui, sotto i nostri occhi, sotto i nostri piedi, a nostra disposizione, serve solamente la Grande Volontà, scusate il gioco di parole, di Volerlo e di impegnarci insieme affinché questo sia possibile! Benedetta Droghieri


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Voce Chiara LA RISPOSTA DI CHIARA D’ASSISI Quasi dodicimila figlie di Chiara di Assisi, sparse in tutto il mondo, ripetono oggi la sua stessa vita in povertà, castità, obbedienza e clausura. Perché? Cosa ha da dire Chiara, in quest’alba del XXI secolo, a tutti noi, lei che Francesco chiamava anzitutto «cristiana»? Chiara è una donna affascinata. Che ha respirato l’implacabile passione, l’eros e insieme l’agape di Dio, che si è sentita cercata, inseguita, penetrata dal fascino del Signore Gesù. La sua bellezza avvertita come il bene più grande, un bene troppo «altro» da ogni bene umano, il «più» che Chiara ripete in una sua lettera: la sua potenza è più forte, la sua nobiltà più elevata, il suo aspetto più bello, l’amore più soave e ogni favore più fine. Non può non essere conquistata. Quando sperimenti sulla tua pelle che le tue frenesie e le tue inquietudini, i tuoi smarrimenti e il tuo peccato, le tue domande e le tue aspirazioni, non cadono nel nulla ma hanno un approdo, quando ti senti amato e amato gratis, da quel Dio che ha creato i cieli e i fiori del campo, allora desideri rispondere con altrettanto amore. All’oggetto del proprio fascino si obbedisce, lasciando prevalere le ragioni del cuore su quelle del buon senso.

Chi è Costui, l’In-nominabile, che ha voluto rivelarsi nella voce? Che ha parlato ad Abramo così come parla l’uomo ad un altro uomo? Era l’Insolito. Diverso da tutto ciò che un umano potesse pensare di Lui. Esplicava – quindi aspettava una risposta… (GIOVANNI PAOLO II, Trittico romano)

Di fronte al generale scetticismo e disorientamento, al vagabondare senza riferimenti e senza meta, la tua vita come risposta a un dono che viene dall’Alto, a un «Tu» che incessantemente ti rivolge la parola e ti vuole come elemento prezioso nel suo Disegno di salvezza e di gioia. Chiara è una donna universale. Radicalità dell’amore per il Signore Gesù e amore per la Chiesa, il suo Corpo vivo e reale, vanno insieme. Con Lui Chiara arriva ad ogni uomo sulla faccia della terra. Nel suo cuore, sotto gli occhi di Lui, avvengono le fatiche e le lotte di tutti. Sa che tutto entra nella sua vita, sa che cosa significa portare in sé il mondo, come una madre custodisce in grembo il proprio figlio fino a darlo alla luce. I grandi scenari della guerra e della pace, come i gesti spiccioli e concreti della vita dell’uomo. La sua speranza e la sua gioia, la sua paura, la sua sofferenza e la sua disperazione.

In una società in cui prevalgono l’indifferenza e l’autoaffermazione, il successo ad ogni costo, Chiara dice comunione e servizio, relazione e perdono. Ti insegna che ogni bene seminato lungo la strada ti rende Chiara è una donna che rimane. Entra a S. Damiano, la sempre più a Sua immagine e ti introduce un po’di più prima chiesetta riparata da Francesco, senza certezze, nell’eternità, perché è Lui stesso l’Autore di quel bene. senza prospettive sicure. Tra quelle mura, la scelta del limite anche spaziale e la percezione della distanza Se dopo ottocento anni lo Spirito Santo – questa Persona da Lui si fanno struggente nostalgia d’infinito. Non ci della Santissima Trinità cui non difettano mezzi e sono più in Chiara neppure le selve e i dirupi, come per fantasia!– continua a tenere acceso e a custodire il dono Francesco, tra i quali vagare in cerca del proprio Dio: di Chiara, forse è perché la Vita nasce sempre da un anche questi ha reso al Signore. Nuda fede e pienezza di cuore che si apre per tutti. Lui, per quarantadue lunghi anni, di cui ventotto nella E, se oggi non ci fosse Chiara, il mondo e la vita di malattia. ognuno di noi sarebbero più poveri di speranza. Una vita di quotidiane, piccole fedeltà, una vita «persa» per Lui. A dire l’abissale sopraffazione di Dio, alla quale Sr. MARIA MANUELA CAVRINI Monastero Clarisse di Città della Pieve (PG) non puoi rispondere che con la tua abissale povertà.

Il giusto verso SIGNORA LUIGIA

TRENTO DI PO’ DEL VENTO

Nonna tu, luminosa meteora, attraversavi il tratto di cielo innanzi al mio volo nello spazio del tempo. Tu, mia sorgente affiorata tra i pallidi monti, mi sei discesa nel cuore, oramai tuo solo custode. Circe misteriosa del mio rendiconto, vorrò prenderti per mano e salire con te fino agli alpeggi, con la gerla di sale, e ansanti guardarci negli occhi giù fino all’anima. Ed afferrarti fuggevole visione per averti mia, e insegnarti a ridere.

Anche tu uomo senza tempo sei andato nell’ade, nel paese eterno dov’eri lungamente atteso. Sorridendo, con l’espressione acuta di chi ha molto vissuto e visto. Nevicava nei giorni della merla, i pini affaticati piegavano nel peso e talvolta crettavano, io tornavo in cantina a Po’ del Vento, dove frangevi la solitaria vita, in strada pigne, rami spezzati, quasi un presagio della tua scomparsa. La neve era disciolta e tu con lei Trento, con il suo e il tuo candore novello Ulisse.

Renato Stefanini

Renato Stefanini


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vento dall’anima

IL SENSO DEI MIEI GIORNI Ho compreso che avrei dovuto portare il brivido più forte al mondo, ho compreso che avrei dovuto investire su di me, come una scommessa, ancora da giocare. Non siamo mai, con le mani che toccano il sereno, in maniera completa, ci manca sempre un tassello, siamo sempre alla ricerca di una pergamena da leggere, siamo sempre alla ricerca di un trofeo da mostrare, ma cosa vogliamo compiere? Un gesto fuori dall’ordine del cuore, che non accumula questo tipo di tesori, ma quelli più veri. Abbiamo da chiedere forza, a Colui che ci ha invitati a indossare la veste più preziosa, la vita, abbiamo perso qualche attimo più intenso del cammino, dobbiamo andare verso il senso. Chi percorre un sentiero, il consiglio che può dare, è trasmettere alle creature il caro soffermarsi, e fare silenzio, per ascoltare, ascoltare. Ma cosa dobbiamo ascoltare, qualcuno potrebbe dire! Mille volte potremo replicare, questo semplice gesto,

ma mille volte dovremo richiederlo, se lo perdiamo, perché se ci mettiamo in silenzio, il senso dei giorni prende vita, vita. Ed io, posso solo dire, che ho respirato le mie stagioni, per renderle parte di ogni mano bisognosa, ed io posso solo credere che un giorno, tutto questo mio scrivere, diventi un piccolo lume. Spero che un mattino, possiate svegliarvi e avere desiderio di andare incontro alla gioia vera, spero che un giorno il sentiero, che ho attraversato, non sia tenuto come un miraggio ma solo, come il senso, dei miei giorni. Ho dimenticato il peso del passato, ma non la sua consistenza, ho lasciato che cadessero stelle e in quel momento, ho condiviso un sogno, con chi è restato in un davanzale, pregando, una semplice “Ave Maria”. Valentina Guiducci valentinaguiducci77@gmail.com

VALENTINA GUIDUCCI, AMICA DE ‘IL MOGGIO’ PUBBLICA IL SUO QUINTO VOLUME Ospitiamo da tempo alcuni brani di Valentina Guiducci che è arrivata alle pagine de “Il Moggio” grazie ad un contatto della nostra vicedirettrice Vania Bartoccioni, oggi, in occasione dell’uscita del suo recente libro: “Le Carezze dell’Amore” – quinta fatica che esce in libreria – vogliamo raccontarvi qualcosa in più sulla sua esperienza e sulla sua attività. È lei stessa a raccontarci che: “Ho iniziato a scrivere da bambina, una vocazione che ormai mi ha avvolta completamente, ho sempre cercato attraverso la scrittura il servizio per un prossimo che poteva percepire il mio linguaggio forse poco comune, ma lo stesso un linguaggio da vivere, scrivendo dall’infanzia, adolescenza fino ad oggi. Alcuni libri sono stati come tappe del mio cammino, che fin dal primo momento in cui ho preso una penna in mano non sapevo dove Come mai seguire così presto una vomi portasse, dove potessi arrivare”! cazione impegnativa e coraggiosa?

“Ho scelto di proseguire su quella direzione anche in maniera silenziosa, anche se a volte ho detto no, no a quelle righe che sembravano senza un frutto, ma solo dedizione di tutta me stessa. Credo ci voglia tanta determinazione per continuare a scrivere nonostante gli ostacoli che si possono trovare. Ho visto la bellezza delle cose semplici trovandomi nel creato, aprendo il cuore come una lode continua, vivendo l’essere francescano all’aria aperta come un tutt’uno con me, come essere una cosa sola”. Oltre alla recente collaborazione con il giornale web “Testata d’Angolo” e “Buona Novella” un blog di condivisione teologica, Valentina pubblica con Zona ed ha all’attivo “La vita che si matura”, “Le mani rivolte... verso il padre” e ancora “L’amore che si Dona” ed “Eccomi”. Il nuovissimo “Le Carezze dell’Amore” è recensito con entusiasmo sul web …

A.L.I.Ce. Umbria

“Esiste l’umiltà, esiste un faro, e ogni passo che fa, e farà, questa persona, non sarà soltanto per arricchirsi internamente, ma anche per mettersi un giorno a vivere, a vivere quelle stelle, a vivere quella cara amata natura, sapendo che non ha perduto il suo tempo, ma ha vissuto il suo Tutto. E se un giorno, alle prime luci dell’alba, ci fossero i suoi piedi che vanno nel mondo, lasciate, lasciate che vadano perché non vi è solitudine, perché le carezze dell’Amore sono in lei, e di questo dite grazie, dite grazie, perché non ha smesso di credere, di credere che tutto fosse di nuovo armonia. Non è un sogno, non è una sensazione che va e viene, ma è una gioia, che non puoi togliere da dentro di te, perché quando si ama, l’amore ti accarezza il cuore, perché quando si ama la vita sente la Vita e non puoi fare altro che lasciarti vivere per la sua Verità”. Gaetano Fiacconi

GIORNATA MONDIALE DELL’ICTUS CEREBRALE A Città della Pieve la IX edizione

Tutti gli eventi collegati alla Giornata mondiale si svolgeranno a Città della Pieve il 25 e 26 ottobre.

La Giornata mondiale dell’ictus cerebrale, promossa dalla World Stroke Organization, giunta nel nostro Paese alla sua nona edizione, non solo vuole diffondere la prevenzione come cura, ma anche la consapevolezza che l’ictus può essere prevenuto e che per quanti sono stati colpiti è possibile tornare alla vita di sempre, se curati adeguatamente nel tempo e sostenuti.

Il programma prevede, tra i momenti più rilevanti, il 25, la riunione del Consiglio Direttivo nazionale, dove saranno presenti i Presidenti e i Delegati di tutte le Regioni, a seguire la Conferenza stampa; la serata terminerà con uno spettacolo teatrale presso il teatro comunale degli Avvaloranti. La giornata del 26 prevede un convegno il cui titolo è “Ictus e donna”, al quale parteciperanno neurologi di tutte le Regioni e di alcuni Paesi esteri. Con queste giornate A.L.I.Ce. vuole riconfermare il suo scopo principale, che è quello di migliorare la qualità della vita delle persone colpite e dei loro familiari e prevenire l’evento alle persone a rischio. A.L.I.Ce. Città della Pieve


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PIEVESI CREATIVI ALLA RIBALTA NEL PICCOLO E GRANDE SCHERMO Il nome di Città della Pieve in giro per il mondo

Una nuova azienda nasce da una scommessa che porterà il nome di Città della Pieve in giro per il Mondo attraverso lavori di pregio ed interesse. Perugino, Pomarancio, Villa, Melosio, Fratini... i Pievesi pittori, santi e poeti, pagine di notorietà vecchie e nuove tratteggiano una carattere sanguigno, ma anche altamente creativo sia nel passato sia nel presente. Per ciò che concerne le arti figurative la lista è lunga e dalla scuola di Cappannini a quella di Marroni ancora oggi la testimonianza di moltissimi è viva e presente; il bello è che anche per le “nuove arti” ci siamo attrezzati! Due giovanissimi hanno fatto della loro passione artistico/creativa un lavoro, con sacrifici e impegno riuscendo sicuramente a fare qualcosa di produttivo e piacevole insieme. Parliamo di Gianmarco Giometti e Gianni Ferrara, 33 e 38 anni, pievesi di nascita e pieni di belle idee e speranze! Raccontano di essersi conosciuti sul set della prima serie di Carabinieri e dopo un breve periodo di lavoro separato sempre nel settore della video arte, la svolta. “Quasi due anni fa” dice Gianmarco “ci siamo spesso visti per caso in ambienti lavorativi comuni e ci siamo resi conto di essere pronti per provare a creare una produzione indipendente “nostra”: Lafresia Media Productions. Il nome lo abbiamo preso da un cartone animato di cui eravamo dei fan sfegatati, Capitan Harlock, infatti Lafresia era la Regina Cattiva”.

Il lavoro inziale li ha visti collaborare attivamente l’uno nei progetti dell’altro, “sfruttando” i contatti ed i clienti che ognuno aveva in precedenza e poi, grazie agli ottimi risultati che si iniziavano ad inanellare, si sono aperte molte porte anche in ambito internazionale.

Così Lafresia Media Productions ha iniziato a diventare un punto di riferimento per la creazione di documentari di tipo divulgativo o cinematografico, spot, campagne pubblicitarie e molti altri servizi nel campo della video arte e del reportage. I due pievesi sono riusciti a mettere insieme un’équipe che si avvale di operatori di provata competenza capaci di spaziare in diversi settori sia che si tratti di un documentario naturalistico, un’inchiesta, o piuttosto invece un’opera creativa da personalizzare. “Consapevoli delle difficoltà che i giovani affrontano per entrare nel mondo del lavoro”, prosegue Gianmarco “sopratutto in ambito cinematografico, abbiamo comunque scommesso sul successo della nostra iniziativa offrendo serietà, professionalità ed impegno, attraverso l’uso dei mezzi tecnologici più moderni”. E per specificare ancora meglio di cosa si occupano, Gianmarco aggiunge “I nostri Clienti sono gruppi musicali, compositori e musicisti per cui realizziamo videoclip, aziende private per creazione di spot e pubblicità, agenzie di eventi per reportage e backstage delle loro attività, istituzioni e associazioni per realizzazione di documentari e registi-sceneggiatori per cortometraggi o film”. Per tutti gli altri pievesi curiosi vi rimandiamo al loro sito ufficiale www.lafresia.com dove sbirciare gli ultimi lavori e le loro abilità senza dimenticare di seguirli alla pagina facebook /LafresiaMediaProductions. Gaetano Fiacconi

Ponticelli in festa

ROCK FOR LIFE

Grande partecipazione alla XI edizione Anche quest’anno si è tenuto dal 18 al 21 luglio presso i giardini pubblici di Ponticelli Rock for Life, manifestazione organizzata dall’Ass. Tur. ProLoco che è arrivata alla sua XI edizione. Ricordiamo che la prima edizione si tenne nel 1997 poi ci fu interruzione dal 2001 al 2008, anno in cui proprio con la nascita della ProLoco i ragazzi di Ponticelli decisero di riprendere il sogno da dove lo avevano interrotto e portare di nuovo il rock nel nostro piccolo paese, tanto da far diventare il “Rock for life” un’immancabile appuntamento dell’estate pievese! L’altra grande novità di questa edizione da sottolineare è stato il B(r)and new for life Umbria, l’idea degli organizzatori è stata quella di tornare allo spirito del 1997, quando fu creato RFL con l’obiettivo di dare spazio e visibilità a tutte quelle band locali emergenti che magari trovano poche occasioni per esibirsi e quindi farsi conoscere dal grande pubblico. Il B(r)and new for life è stata una vera e propria competizione tra sette band emergenti provenienti dall’Umbria e dal vicino Senese, selezionate da una votazione avvenuta sulla pagina facebook di RFL. I gruppi hanno suonato dalle 18 alla mezzanotte di domenica 21 in una vera e propria gara con tanto di giuria Gli appassionati di musica quest’anno hanno potuto di esperti presieduta dalla voce storica di Radio Subadivertirsi con la variegata offerta musicale che ha spa- sio, Stefano Pozzovino, che è rimasto dapprima stupito ziato dal raggae degli Africa Unite, al rock dei Ministri e poi galvanizzato da tutta l’organizzazione dell’even(ritorno doveroso dopo l’annullamento del concerto di to, dalla musica e dalla cucina: tanto da essersi prenotato 2 anni fa a causa della pioggia), fino al folk di Tonico Carotone, nome di spicco dell’edizione 2013; anche se la pioggia è caduta nelle prime due giornate del festival, fortunatamente solo nel pomeriggio, la gente non si è fatta scoraggiare, tanto da avere avuto un numero di presenze maggiore a quelle dell’anno scorso, e nelle tre serate principali siano girate in totale circa 6.000 persone. Quest’anno due grandi occasioni, il ritorno sul palco di RFL degli Africa Unite con la “vecchia” formazione (quella del 2000 che portò a Ponticelli 1500 spettatori paganti), che si è riunita solo per il 2013 per tornare a fare musica in tutta Italia ed anche a Ponticelli!

per tornare anche l’anno prossimo! I vincitori sono “Le Chiavi del Faro” una band di Gubbio che avrà la possibilità l’anno prossimo di salire di nuovo sul palco di RFL e di suonare una serata all’Urban di Perugia. Il sogno è quello di poter sviluppare il B(r)and new for life al di fuori dal contesto di RFL, sempre con l’obiettivo di dare spazio a chi vive di musica, con la prospettiva di farne un festival che attiri le band emergenti di tutta Italia.

Oltre alle novità anche tante conferme, come la buona cucina, il servizio veloce e ben curato, l’ospitalità, la cortesia dei volontari (almeno un centinaio) che ogni giorno hanno lavorato per la buona riuscita della manifestazione. Insomma a conti fatti, anche quest’anno tante soddisfazioni per tutto lo staff tecnico ed artistico della ProLoco, proprio uno degli organizzatori Giosi Pantini ci dice” Mi auguro che lo spirito con il quale è stato creato Rock For Life possa essere trasmesso alle nuove generazioni che dovrebbero portare avanti questo progetto nel futuro; questi sono momenti di aggregazione fondamentali per la vita di un paese, noi ci mettiamo l’impegno, la fatica, il nostro tempo libero per offrire uno spettacolo di qualità: quando vediamo tutte quelle persone che si divertono penso che l’obiettivo del nostro progetto sia centrato”! Al prossimo anno con Rock for Life! Francesca Anemona


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gine (che non sa più decifrare le icone con cui la Chiesa per millenni ha evangelizzato gli analfabeti, a meno di ELOGIO DEL VUOTO potenti e super-esemplificative didascalie…) è bloccata sul corpo delle cose e perde progressivamente la consaMa a differenza del più antico e irrisolto (non irrisol- pevolezza della carne. Crede che il pieno corporale che vibile, almeno secondo me…) quesito, qui si sa chi è le tocca in sorte sappia parlare, mentre invece il suo runato prima, tra l’uovo-città e la gallina-cittadino. Anzi, more di fondo, il suo disturbo continuo, è quanto di più la risposta lapalissiana a questa domanda fornisce rispo- efficace ad azzerare il flatus vocis, la carne. Le nostre sta anche all’altra, che parrebbe destinata a riperpetuarsi ultime generazioni ricevono, servito su un piatto d’arsenza soluzione. Se Dio, cioè, ha creato le specie, non ha creato in primis l’uovo ma la gallina. E così è la gallina che fa l’uovo, così come è l’insieme dei cittadini che fa la città. Eccoci dunque ad un ossimoro: il vuoto – ossia l’assenza di cittadini – non fa una città, ma il suo ricordo. Un museo, un ossario, dove la stessa arte dei muri e delle vestigia di pregio perde di spessore e si deteriora. Allora perché elogio del vuoto? Ci arriverò in meno di quanto si possa sospettare. Ma ora mi concedo un piccolo approfondimento di questa faccenda della presenza umana. Ricollegandomi alla grande lezione di un critico come Jean Clair, allorquando una volta di più precisa che i musei sono tombe dell’arte. Prendete un piccolo centro dell’Umbria, come potrebbe essere Città della Pieve: sarebbe folle dimenticare – per la Pieve, come pure però per Siena o per Firenze o per Freiburg in Germania, etc. – che le pale d’altare, le pregevoli sculture, le stesse chiese, furono volute e “sponsorizzate” anche a livello economico da chi viveva i borghi: significavano gento, un corredino di nozioni – meglio se sterminate un prestigio che era comunitario, una volontà dedicato- nel loro numero – così da non doversi porre lo splendido ria o protettiva che riguardava tutti e tutti coinvolgeva. problema di pensare autonomamente. No: non c’è più il Estrapolare le opere dal loro contesto originario, cioè, vuoto. Non c’è più la pausa, fecondo simbolo temporale diviene davvero una tomba: un ossario in cui non c’è della partitura, evocativa del silenzio (che è l’opposto più un corpo – ancorché segnato dai secoli – bensì una del tacere). Non c’è più la piazza. Non c’è più la voce. teoria asettica di pezzi e documenti senza più anima; Non c’è più l’uomo. senza più il sangue circolante della gente che li volle, li visse e li difese. Che li abitò, in buona sostanza. IV - Un caro amico maceratese, poeta tra i migliori della Si capisce, insomma, che per fare una città servono tan- sua generazione, Remo Pagnanelli, si uccise nel 1987 a to i cittadini quanto le loro opere. 32 anni infilandosi in bocca il tubo di scappamento della Il museo delle opere d’arte assemblate ma tirate fuori propria auto. Aveva tappato il buco della voce, aveva dal loro contesto – proprio come il borgo senza abitanti scelto di tacere. Non di stare in silenzio, che è l’esatto – è come un sasso rotondo e pieno, su cui il vento sbatte contrario: il silenzio è aprirsi all’ascolto della voce, è ma non produce – non può produrre – alcun suono. fare un passo indietro perché nel vuoto il respiro emetta il suono. Scegliendo per sé la morte – un orrido che II - Scrive Giovanni Piana nel suo saggio Filosofia tuttavia è possibile, ancorché innaturale e folle – Remo della musica che, perché si dia il suono, è necessario testimonia a tutti noi, ancora oggi, che il pieno conduce l’incontro tra il respiro e una cavità; una bocca piena e alla morte: apparente (nel senso di un lasciarsi vivere serrata, cioè, non emette suoni, al passaggio dell’aria. nella più borghese e avvilente delle ripetitività quotidiaPerché esca la voce, è necessario che la bocca sia vuota ne) o invece reale (sono i, per fortuna, pochi casi di una e aperta. L’attinenza di questa semplice considerazione coscienza lucida, vivissima, e tragica). Il pieno – più con la vita delle nostre città è altissima. A differenza di ancora – è la morte. È l’assenza di ogni stupore, il cielo quanto accade nei quartieri della nostra contemporanei- chiuso sopra, la mancanza di direzione, una circolarità tà – i cosiddetti quartieri dormitorio, dove abbondano vichiana chiusa su sé stessa. Una condanna ineluttabile. supermercati, poliambulatori, giornalai, panetterie, sale Il nostro presente rischia di essere sempre più un temgiochi, ristoranti e bar, ma manca il felice vuoto di una po morto. Le nostre città, sempre di più, boccheggiano piazza – nei borghi antichi, sia romani prima che medie- credendo che l’ossigeno possa venire dai centri comvali e rinascimentali poi, il cuore pulsante della vita di merciali, dove le piazze vengono ricreate; ma non in uno slargo era la piazza. E che cos’è la piazza, se non un funzione umanissima e fondante, bensì dietro la spinta grande vuoto, meglio se circolare, in cui il vento si incanala proprio come il respiro in una bocca? La piazza è il luogo dell’incontro e dell’identità, del confronto e della riconoscibilità, dello scontro e della crescita; il punto di fuga e di concentrazione, il centro dello slargo, lo snodo vitale della comunità. Non è sorprendente che lo Stato paternalista e moralista tenda a riempire di ogni servizio possibile i nuovi quartieri e le nuove città, privandoli tuttavia delle piazze? Non risponde, a ben guardare, ad un progetto progressivo e tenace di spersonalizzazione e di automizzazione, in cui in teoria non manca nulla ma viene a non esserci più la facoltà di autodeterminarsi, di maturare un’autocoscienza, di dare senso e carne alla propria umanità oltre la natura corporea che lo riguarda? III - Il filosofo francese Michel Henri ha scritto un interessantissimo libro dedicato al corpo e alla carne: il corpo, come fenomeno, manifestazione esterna, delimitazione confinale di ciò che è l’uomo. La carne come noumeno, sua essenza profonda, ciò che dà nome e unicità all’esterno. La nostra cosiddetta civiltà dell’imma-

del consumo che a lungo andare annichilisce. V - Anche la televisione sposa il pieno e il vuoto. Chi ricorda la lezione fenomenale degli spettacoli del sabato sera di Antonello Falqui? Lo studio bianco e totalmente vuoto, dal cui fondo appariva il respiro vivificante della figura di Mina che risaliva sola e solenne fino al proscenio… c’era tempo e modo di riflettere, di lasciarsi abbagliare dalla bellezza, di restare incantati in attesa che cominciasse a cantare, di buttare l’occhio sulle giraffe (i microfoni di una volta), sulle americane (i riflettori alti), sui cavi e sui macchinisti, sui cameramen. Il bianchennero chiariva che non si trattava di uno spazio quotidiano, ma che era un sogno, per quanto reale; era qualcosa d’altro che si materializzava da vicino, senza tuttavia perdere la sua distanza. Non era uno spettacolo buttato là per riempire il vuoto spaziotemporale: ogni mossa era studiata, provata fino allo spasimo. Ogni parola centellinata. Nel tempo c’era spazio per sottotempi, tutto era calibrato, preciso, voluto. Ma nel rispetto della cavità destinata ad accogliere e raccogliere lo show. Oggi, invece? Oggi è tutto pieno: la scenografia non consente buchi; luci, sedili, fregnacce, strumenti, schermi, riempiono tutto quello che è possibile. Il colore ha creato il mostro della specularità col quotidiano (che poi non è mai realmente tale, ma chi sta di qua finisce per crederci). È un quartierone con un mercato di tutte le merci possibili, in cui però non c’è più spazio per camminare con la propria testa. Anche nella musica è così: non ci sono più, non devono esserci – costi quello che costi – le pause disorientanti e magiche dell’incipit del Coriolano di Beethoven (ricordate la pubblicità del Petrus, con quel pugno di ferro che calava a martello sul tavolo?). Tutte le sonorità grondano effetti, devono produrre suoni compatti e senza soluzione di continuità; tutte le nuove voci devono somigliarsi, essere sovrapponibili, medie, senza escursioni al di là del birignao gratuito; qualora esuberino, vanno rieducate da maestri di povero lignaggio assurti a dèi ex-machina nei format della rai e di mediaset che pretendono insegnare a chi non ha il talento come si fa per averlo (riuscendo contemporaneamente a mortificare il talento di chi il talento ce l’ha). VI - La novità deve ripartire dalla città. Solo la città può salvarci. Come? Uscendo dagli individualismi virtuali e internettiani, spegnendo i cellulari, e riconquistando gli spazi che la grande e geniale creatività dei precursori ci ha guadagnato e consegnato da secoli. Toccando i muri delle case, su cui si appoggiarono cento, duecento, mille anni fa, chissà quali altri nostri concittadini, magari percorsi dai nostri stessi tormenti. E riconsegnando la nostra carne a quella di chi ci vive a fianco. Perché sia una sola storia, uno slargo che si rivivifica, un puntino minuscolo ma tenace che si intigna a non farsi buttare via. E che – va a finire… - fa da scuola, e da stimolo, a tutto ciò che gli si muove intorno. Filippo Davoli


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MANTENERE IL PASSO COI TEMPI

Nasce un nuovo sito web: www.confraternitadeibianchi.it

… nel XIII secolo grazie al nuovo contesto sociale urbano, insieme al profondo rinnovamento ecclesiale promosso dagli Ordini francescano e domenicano, nascono le Confraternite, per iniziativa di laici e da laici composte e guidate. Sospinte da fede pura e da semplice azione sociale. Al crescente bisogno generale pertanto non si risponde solo con l’elemosina, ma con l’assistenza organizzata di molti… (da “Le Confraternite nella Società di Città della Pieve dal Medioevo a oggi”). Col passare dei secoli queste organizzazioni strutturate hanno adeguato il loro modo di agire alle esigenze del momento. Generalmente ogni Confraternita aveva un

proprio Ospedale, dove il povero e il viandante potevano trovare ricovero e assistenza in maniera totalmente gratuita. Grazie ai meriti acquisiti nella loro opera, godevano della fiducia e della riconoscenza di molti. Con l’andare del tempo la gestione assistenziale è passata in mano allo Stato e le Confraternite hanno perduto quella che era la loro principale missione. Ai giorni nostri ciascuna delle cinque associazioni pievesi si è “riciclata” mantenendo lo spirito di fratellanza e volontariato nel servizio. La Confraternita di Santa Maria dei Bianchi ha l’incarico di mantenere e gestire la “chiesarella” e di prestare

servizio all’Oratorio dove è custodito il celebre affresco del Perugino: L’Adorazione dei Magi. Partecipa attivamente alla vita parrocchiale e alle solenni processioni paesane. Molti suoi componenti sono presenti in alcune associazioni di volontariato. Prima fra tutte “A.L.I.Ce.”, un’associazione che si impegna per rendere meno traumatica la vita di chi ha avuto un ictus cerebrale. L’appello lanciato è rivolto soprattutto ai giovani affinché decidano di impegnarsi nel sociale. L’apertura del nuovo sito internet ha lo scopo di rendere più trasparente l’attività della Confraternita.

IS TA N TA N E E D I R A F FAELLA FRANCI Un volto, un paesaggio, un angolo, un pescatore, un animale e via discorrendo, solo apparentemente immagini e basta. In realtà ognuna di esse rappresenta una storia, un momento, un vissuto unico e irripetibile. In questo esordio fotografico di Raffaella Franci, ci viene raccontato, con la forza di un fotoreporter e la sensibilità di una poetessa, un viaggio di Ulisse durato trent’anni, attraverso i quali la scelta di queste immagini ci rivelano situazioni e sensazioni di due continenti ai quali non servono luoghi conosciuti o riconoscibili per parlarci ogni volta di una cultura diversa con infallibile esattezza. Si ha la sensazione di stare in un set cinematografico guardando queste immagini che ci restituiscono storie che sembrano appartenere un po’ a tutti e che pure ema-

nano una soggettività fortissima e unica. Sono, si diceva, momenti non eclatanti, ma frammenti di vita che ci esaltano e ci restituiscono un occhio attento a quei personaggi e situazioni che rischierebbero di rimanere prive di narratore. La distanza con la cinematografia di Pasolini è breve, ma la Franci la rielabora dando la parola ai suoi muti interlocutori la cui parola è semplicemente restituita da uno sguardo, da un sorriso immediato davanti all’obiettivo come lo si vedesse per la prima volta. Ecco quindi la totale temporalità di queste immagini, assai di rado popolate da elementi che possano richiamare la chiassosa temporaneità. I paesaggi spaziosi, rivisitati da una sorta di Gauguin dei nostri tempi, il semplice gesto del lavacro di un elefante gestito con un

fare materno, un bambino con la scimmia addosso come referente per amico. Ancora una volta quella quotidiana semplicità che non fa altro che commuoverci e farci diventare spettatori di questo viaggio cominciato chissà dove e mai finito. È difficile dare un inizio e una fine a ciò che è eterno poiché tutto ciò che ci fa sentire piccoli, troppo piccoli, anche quando ci troviamo davanti all’orrore dell’olocausto. I colori che di rado vengono utilizzati, appaiono con parsimonia monacale, o in casi ancora più rari, squillanti come un dipinto di Klint. L’aria di grande arte che da sempre si respira nella sua famiglia, fa sì che la Franci ce la restituisca con un balsamo ancora più potente, specie quando la modella è sua sorella celebre cantante che posa tuttavia non da artista

d i D a v id P e tr i

ma semplicemente da donna colta in un suo momento intimo al quale è stata concessa l’apertura di una finestra benevola nei nostri confronti. Anche il teatro come luogo sacro per eccellenza è mostrato a noi attraverso angolazioni parziali come se il tutto apparisse come una grande prova. I volti di tutti coloro che appaiono ritratti si mostrano quali immoti testimoni dell’infinito, senza pudori, privi di nozionistiche stereotipazioni, di luoghi comuni. I protagonisti per eccellenza, essi ci guardano, ci sorridono, ci parlano senza raccontare nulla di preciso proprio come nei film di Antonioni. Un viaggio, questo, dal quale tutti noi ci auguriamo nuove tappe all’insegna di una onesta e pura visione della realtà come quella di Raffaella Franci.


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