Hector Nava

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HÉCTOR

NAVA HÉCTOR NAVA

Copertina He?ctor Nava:Copertina Héctor Nava stesa

ISBN 978-88-6202-033-6

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In copertina: En busca de agua (Le portatrici d’acqua), 1922 Sassari, collezione Banco di Sardegna (particolare)


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Questo volume è stato realizzato con il contributo di

Fondazione Banco di Sardegna S.p.A.

Provincia di Sassari

Grafica e selezioni colore Ilisso Edizioni Fotografia Dove non espressamente indicato le foto appartengono all’archivio Ilisso (nn. 3, 89 D. Tore, n. 83 F. Piras, le altre P.P. Pinna) ad esclusione delle nn. 9, 12, 38-59, 103-105 (Archivio Antonia Nava Cellini) Stampa Fotolito Longo Spa

Un ringraziamento particolare va, per l’aiuto e il sostegno prestati a vario titolo, ad Anna Cadeddu, Maria Grazia Cadoni e Gianmario Demartis; al Banco di Sardegna; a Pierfranco Fois e al personale della Soprintendenza ai Beni Architettonici, Paesaggio, Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico per le Province di Sassari e Nuoro che ha offerto la sua fattiva collaborazione: Salvatore Callea, Piero Fadda, Margherita Nieddu, Luigi Pacchioni, Giuseppe Pirisi, Carlo Antero Sanna.

2009 ILISSO EDIZIONI ©www.ilisso.it ISBN 978-88-6202-033-6


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INDICE

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Le architetture sarde nei dipinti di HĂŠctor Nava tra permanenza e trasformazione Stefano Gizzi

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HĂŠctor Nava, distinguido artista: la Sardegna vista con gli occhi di un pittore argentino Maria Paola Dettori

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Catalogo

La casa Francesco Cellini

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Nota biografica

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Bibliografia

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Itinerario espositivo


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appaiono quasi impresse sulla tela ed enfatizzate, pressoché in maniera astratta, con lunghe pennellate curvilinee, ove la torre campanaria, a base poligonale, posta al centro dell’elaborato, sembra voler raggiungere le vette dei monti sullo sfondo, mentre la strada di risalita è situata in posizione marginale. Anche le tonalità cromatiche sono totalmente integrate tra di loro: ai colori del terreno e dei campi corrispondono quelli delle facciate. Il campanile si evidenzia quale elemento dominante di molte sue opere: posto in posizione centrale dell’immagine, nella distribuzione delle masse pittoriche, spesso a toccare le cime dei massicci sullo sfondo; sovente le case appaiono come “di pendio”, simili a quelle definite dall’Ortolani – per l’Abruzzo – a struttura zoppa,5 cioè con camere a differenti livelli, poiché lo scoscendimento non ha l’inclinazione sufficiente per permettere la sovrapposizione dell’abitazione agli ambienti rustici (stalle, granai). Si aggiunge a ciò il motivo pittorico delle chiese campestri, quasi isolate, solitarie, che tuttora incarnano, forse, la caratteristica più indicativa dell’Isola, germogliate come chicchi, granelli o semi nell’intero territorio. Fra gli altri quadri aventi per soggetto i nuclei minori ricordiamo quello che ritrae un paese, di incerta identificazione, in cui i tetti delle case, nel loro rosso sanguigno, quasi cremisi, formano un insieme senza soluzione di continuità con il terreno e con le balze scoscese circostanti, presentando spuntoni rocciosi stagliati contro la linea dell’orizzonte, o l’altro, in cui si riconosce un piccolo borgo con la chiesa in alto rassomigliante a quella di Ardara o di Codrongianos, vista dal retro, verso la quale si dirige una duplice processione in leggera salita,

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16. Orosei, il complesso della chiesa-madre di San Giacomo e delle Grazie nel dipinto di Héctor Nava, 1923. 17. Orosei, il complesso della chiesa-madre di San Giacomo e delle Grazie in un acquerello di Bernardino Palazzi, 1939 (Archivio ISRE). 18. Orosei, il complesso della chiesa-madre di San Giacomo e delle Grazie, anni Cinquanta (foto M. Sin-Pfältzer, Archivio Ilisso).

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19. Orosei, il complesso della chiesa-madre di San Giacomo e delle Grazie oggi (foto S. Gizzi).


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20. Campagna sarda, dipinto di Héctor Nava, 1922, con la rocca sul massiccio montuoso a forma trapezoidale. 21. La rocca di Las Plassas, cui forse Nava si ispirò, nel territorio delle “Giare”, (foto Aeronike).

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mentre in basso una teoria di case basse – a un solo livello, più il piano terreno – si snoda a chiudere la composizione. Héctor Nava rileva pittoricamente questi e ulteriori modelli di architettura popolare o spontanea proprio negli anni in cui la storiografia architettonica italiana, con un giovanissimo Roberto Pane, con il sardo Giuseppe Capponi e, successivamente, con Persico e Pagano, iniziava a occuparsi del tema dell’architettura vernacolare per rinvenirne una matrice comune mediterranea.6 In tal senso appare, per noi, pregevole la documentazione di particolari tipologie che vanno progressivamente scomparendo anche nei centri più interni, compresi quelli alle falde del Gennargentu (edifici con scale esterne in pietra, o con ballatoi lignei, altrimenti definibili come “poggioli”,7 presenti anche nei cortili, e sempre accompagnati – nei dipinti – da strutture ad arco, o le più semplici case a schiera, e la dimora di pendio con ambienti sovrapposti e giustapposti, quali quelli dell’Ogliastra, o del Nuorese: Desulo, forse Aritzo), le stesse tipologie studiate, negli anni Cinquanta, da Vico Mossa, in quello che appare tuttora il primo e ancora fondamentale strumento di studio per la “casa domestica” in Sardegna.8 Secondo tale autore, la scarsa sopravvivenza dei ballatoi (istauleddu)9 e degli sporti in legno, soprattutto in Gallura e in Barbagia, sarebbe dovuta alle ordinanze ottocentesche (emesse in occasione della visita di Carlo Alberto) sulla sostituzione delle strutture lignee fatiscenti e pericolanti con altre più durature; i ballatoi avrebbero avuto anche una funzione sociale – correndo davanti a più aperture della casa – quale possibilità di incontro delle donne che vivevano all’interno.10 Con l’impiego delle strutture sporgenti al di fuori, su mensole, si cercava altresì di guadagnare spazio per l’abitazione.11 Il tema delle case con i lunghi balconi pensili esterni in legno12 che girano lungo una parte dell’edificio, presenti soprattutto nelle aree più interne dell’Isola, ha

22. Paese sardo, forse Aggius, in un dipinto di Héctor Nava, 1923. 23. Aggius in una foto della metà del Novecento.

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HÉCTOR NAVA, DISTINGUIDO ARTISTA: LA SARDEGNA VISTA CON GLI OCCHI DI UN PITTORE ARGENTINO Maria Paola Dettori

«L’artista vero non si forma nelle accademie ma al cospetto della natura. La scuola insegna soltanto il modo d’imparare, ma i mezzi migliori dobbiamo trarli dalle nostre energie, dalle nostre risorse. Chi ne ha in abbondanza balza su e si piazza in prima fila».

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38. Giulietta la mora, particolare della fig. 39.

Queste brevi frasi d’apertura sono tratte dall’unica intervista a Héctor Nava che possediamo, rilasciata nel 1922, o più probabilmente nel ’23, a un giornale che non è stato possibile identificare con certezza.1 Per quanto possa apparire strano è questa la sola testimonianza diretta del pensiero del pittore, dal momento che non si sono conservate lettere, appunti o un qualunque altro documento scritto di suo pugno. Per tale ragione esse appaiono oggi la migliore introduzione alla sua opera: è la voce stessa dell’artista a rivelarci infatti, almeno in parte, i presupposti teorici della sua pittura, dettati da orgoglio e passione insieme, da una scelta di indipendenza dall’insegnamento accademico e di fedeltà all’arte concepita come studio della natura, intesa in senso lato; assunto teorico dichiarato, per di più, proprio nel momento – dal 1920-21 sino all’inizio del 1923 – in cui egli lavora in Sardegna. Questo breve periodo e le opere in esso prodotte saranno il principale argomento di queste pagine, benché si comprenda come possa sembrare arbitrario e fuorviante estrapolare un intervallo assai limitato di anni dalla vicenda umana e artistica di un pittore, che, peraltro, ha dipinto per circa quarant’anni, per focalizzare su di esso la propria analisi; ci è parso però che fosse, in questo caso come in altri, possibile e utile farlo, per le ragioni che qui di seguito rapidamente si espongono. Nei tre anni menzionati Héctor Nava visse e viaggiò in Sardegna, alternando probabilmente i suoi soggiorni con brevi ritorni a casa, a Roma; in questa fase si immerse totalmente nella vita sarda, scegliendo di proposito di stare lontano dai due capoluoghi – le uniche due realtà “urbane” offerte dall’Isola –, per andare invece a «studiare all’aperto, nel gran libro della natura», fatto di luoghi e persone diversi, anche esotici, e noti magari soltanto attraverso racconti che li circondavano di un’aura mitica. Quindi ecco la Gallura, coi suoi paesaggi aspri e bellissimi, ancora oggi tra i territori meno popolati della Sardegna, alcuni luoghi del Sassarese e, soprattutto, il Nuorese e le sue genti, ritratti su tela, ma non solo: cartone e compensato servirono egregiamente per fermare le immagini in bozzetti di piccolo e medio formato, talora di rapidissima stesura; non mancano neanche alcuni disegni su carta, noti però solo dal titolo e non conservati. Il frutto di questo “vagabondare” per l’Isola – così lo definisce il pittore, che come di un vagabondo parla di sé nell’intervista citata2 – è un nucleo di opere in sé coerente e concluso, e segna, nell’arco della sua carriera, una fase particolarissima e importante, non certo priva di rimandi e consonanze con i lavori realizzati in altri momenti della vita, ma sicuramente dotata di autosufficienza. Ciò non soltanto per l’ovvia peculiarità iconografica dei quadri di personaggi in abiti tradizionali, ma anche per la scelta e la conduzione degli altri temi, trattati, anche quando coincidevano con motivi già esplorati in precedenza (come il ritratto o il paesaggio), con tecnica, colore e “occhio” nuovi. Comincia a delinearsi in Sardegna, infine, la svolta decisa degli ultimi anni del secondo decennio, arrivata nel 1928, dopo cinque anni di studi e prove che rimangono spesso a livello di bozzetto di piccole dimensioni, con la quasi totale assenza da esposizioni e mostre, fase dalla quale l’opera di Nava uscirà radicalmente cambiata. 19


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Gli esordi Conviene dunque fare un passo indietro, e ricordarne qui in breve gli esordi, in considerazione del fatto che la figura di questo artista è, a oggi, quasi sconosciuta; pur partecipando attivamente, infatti, alla vivace vita culturale della Roma d’inizio Novecento, ed esponendo in numerose mostre sia in Italia che all’estero (a Roma, Buenos Aires, San Francisco e Parigi), dopo la morte pare sia stato destinato a scontare una condizione di mancata cittadinanza, che ha impedito l’inquadramento – e pertanto il riconoscimento – della sua opera nelle correnti artistiche dell’uno o dell’altro paese. Elogiato in vita e annoverato dai contemporanei tra gli iniziatori della moderna pittura urbana portegna (J. Maria Lozano Moujan) e, in generale, tra i più importanti artisti argentini dal critico José León Pagano, nell’opera El arte de los Argentinos (1938), è stato poi quasi del tutto dimenticato, al punto che i due maggiori studiosi dell’arte argentina del XX secolo, Romualdo Brughetti e Cordova Iturburu, gli dedicano appena qualche parola: il primo lo cita tra quanti aderirono al gruppo Nexus, fondamentale per la svolta artistica del paese; il secondo riconferma il suo ruolo per gli inizi della pittura urbana argentina, ma non ne commenta l’opera.3 In conseguenza di ciò la sua pittura venne trascurata – se si eccettua una limitatissima e simbolica presenza nella Exposición de la Pintura y Escultura Argentinas de este siglo (Buenos Aires 1952) – fino al 1971, quando fu ricordato con una piccola mostra presso la sede dell’Ambasciata della Repubblica Argentina, la Casa Argentina di Roma; poi, nel 1973, anno del centenario della sua nascita, grazie alle pazienti e amorevoli ricerche della figlia, la grande storica dell’arte Antonia Nava Cellini, e al contributo critico di Antonello Trombadori, fu finalmente celebrato con una più ampia retrospettiva a Palazzo Braschi, ancora a Roma.4 Vent’anni dopo, nel 1993, è nuovamente la Casa Argentina a ospitare una ristretta selezione – soltanto 27 – dei suoi lavori. Nelle tre esposizioni non mancano mai di figurare diverse opere “sarde”: ben 5 su un totale di 33 nella prima, addirittura una decina nella seconda, mentre nella terza, prevalentemente orientata sugli anni ’30, sono due quelle scelte a illustrare il periodo sardo. Héctor Nava nasce dunque a Buenos Aires nel 1873; la sua famiglia è di origine italiana – i genitori si erano trasferiti in Argentina solo verso il 1840 – ma la provenienza e le radici familiari sono anche spagnole: la ricchezza dell’appartenenza a ben due culture europee e il recente arrivo dall’Italia contribuiranno a influenzare la vita e le scelte del pittore, che manterrà sempre con la madrepatria uno stretto e nostalgico rapporto, ma non vi tornerà mai definitivamente, al contrario di quanto faranno molti altri artisti argentini suoi contemporanei. A Buenos Aires compie gli studi sotto la guida di Eduardo Sivori e Giuseppe Quaranta, due dei maestri della cosiddetta Generación del Ochenta, di fatto tra gli iniziatori della moderna pittura nel paese sudamericano.5 L’Argentina non aveva conosciuto, infatti, alcuno sviluppo artistico sotto la dominazione spagnola – conclusasi tra il 1810, anno della deposizione del Viceré imposto dalla Spagna, e il 1816, con la proclamazione dell’indipendenza – e aveva dovuto faticosamente gettarne le basi nel corso del XIX secolo: l’esigenza di una scuola di formazione, di un punto di incontro e di dibattito aveva portato alla costituzione, nel 1876, della Sociedad Estímulo de Bellas Artes, trasformata poi nell’Accademia Nazionale di Belle Arti (1905). L’arte argentina muoveva all’epoca i primi passi, guardando all’Europa e allargando gli orizzonti iconografici – ristretti fino ad allora 20


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39. Giulietta la mora, 1905 pastello su cartoncino, 50 x 35 cm, Roma, collezione privata. Esposto a Roma alla mostra di Palazzo Braschi (1973).

al solo tema religioso – grazie all’affermazione di una clientela borghese, che cercava riconoscimenti e affermazione sociale investendo in opere capaci di conferire un immediato ritorno di prestigio. I fondatori della Società – tra cui lo stesso Eduardo Sivori – miravano soprattutto a promuovere lo studio dell’arte e a diffondere l’opera degli artisti locali tramite l’esposizione regolare dei loro lavori; l’insegnamento passava, ovviamente, attraverso l’apprendimento della pittura europea, attuato grazie alle borse di studio. Il risultato fu dapprima lo sviluppo di uno stile eclettico, poi un’adesione alla pittura impressionista e allo studio degli effetti della luce e della pittura en plein air. Tappe fondamentali per il progresso dell’arte portegna furono poi l’apertura del Salón del Ateneo nel 1893 e la creazione del Museo Nacional de Bellas Artes nel 1895.6 Dopo tale iniziale apprendistato argentino e il viaggio d’istruzione in Europa, vissuto tra Francia e Italia, Héctor Nava si stabilisce a Roma, probabilmente intorno al 1902, data alla quale risalgono le prime opere conservate.7 Di questi primi anni romani non rimangono che alcuni bellissimi disegni e bozzetti, per lo più ritratti e studi di teste, corpi e rovine, eseguiti a carboncino e pastello su carta e cartone, alcuni secondo lo stile morbidissimo e vibrante appreso alla scuola di Antonio Mancini.8 Esemplare è il pastello regalato a quella che, nel 1912, sarebbe diventata la moglie, Emilia Zampetti, anche lei allieva e amica di Mancini: il ritratto raffigura forse la modella Giulietta la mora; in basso a destra sono la dedica e la data «Per Emilia – H. Nava/1905». Nel frattempo inizia a collaborare con l’Associazione Artistica Internazionale di Roma (il cui presidente è Giulio Monteverde, scultore fecondissimo e attivissimo anche in America Latina), per la quale realizza nel 1907 «costumi e … quadri viventi»9 per un’iniziativa benefica, e diventa membro della Società degli Amatori e Cultori di Belle Arti in Roma. Sempre nel 1907 dà la sua adesione, in patria, al gruppo Nexus,10 fondato da alcuni degli artisti più attivi nel processo di costituzione di un’arte nazionale argentina aggiornata e degna di confrontarsi con le altre scuole: i promotori sono lo scultore Arturo Dresco e soprattutto i pittori Fernando Fader, Pío Collivadino, Alberto Rossi, Carlos P. Ripamonte e il più importante per noi, perché uno dei probabili tramiti per l’arrivo di Nava in Sardegna, Cesáreo Bernaldo de Quirós; soggetti prediletti sono il paesaggio locale e gli abiti tradizionali, resi attraverso una pittura chiara e luminosa, ancora influenzata dall’Impressionismo. Ecco come Carlos P. Ripamonte sintetizzava l’estetica del gruppo: «Un certo attaccamento alle origini del nostro popolo passa nella poesia e nel canto argentino, e non vi è ragione perché nell’affrontare altre manifestazioni la cosa debba essere diversa. La radice originaria non può essere uguagliata dall’importazione a capriccio di stati o cose che sono estranei a quel sentimento. Le popolazioni disseminate nelle province, la regione e la maniera di essere sono sedimenti che delineano una modalità ispanica di radicamento secolare e non possono venire soppiantati dalla volontà isolata di uno straniero».11 L’attenzione per la realtà locale e il regionalismo sono la risposta di questi pittori al problema fondamentale della ricerca e dell’affermazione di un’identità nazionale. È qui importante notare che, seppur con linguaggi diversi, stava avvenendo in Argentina quanto si stava verificando nel contesto isolano: come, nella stessa fase, i pittori sardi fondavano un’arte nuova, specchio reale e volano della terra che la esprimeva,12 così i pittori argentini andavano sviluppando una ricerca identitaria per la nascita di un’arte nazionale. Allo stesso tempo, gioverà ricordare che sarà forse 21


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42. Chioggia, 1911 olio su tela, 50 x 55 cm, Roma, collezione privata. Esposto a Roma alla mostra retrospettiva della Casa Argentina (1971), a quella di Palazzo Braschi (1973) e ancora alla Casa Argentina nel 1993. 43. Pescatori, 1911 olio su tela, 50 x 70 cm, Roma, collezione privata.

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44. Costeando el río, 1916 olio su tela, 145 x 245 cm, Roma, collezione privata. Esposto e pubblicato in relazione alla mostra al Pabellón Argentino (Salón de la Comisíon Nacional de Bellas Artes) in un giornale d’epoca, forse Caras y caretas.

spagnuola in Argentina»33 –, poi senz’altro rafforzata dalla prima polemica mostra della Secessione romana del 1913 (che nel dare ampio spazio anche alle arti applicate, pur arrivato ormai al declino il periodo Liberty, finirà per sedurre la moglie Emilia Zampetti, ottima pittrice e decoratrice).34 Quest’attenzione sfocia qualche anno più tardi (1918) nel Ritratto di Giorgio: nell’inquadratura ravvicinata il figlio neonato guarda rivolto all’osservatore, sospeso nell’á plat di coperte e cuscini realizzati dalla madre, resi sulla tela, insieme a un delizioso vaso di fiori, con minuzioso decorativismo di colori accesi;35 anche la firma, posta insolitamente in alto a sinistra, si piega all’andamento art nouveau della linea, facendo eco ai caratteri utilizzati dalla moglie. Nonostante l’evidente ascendenza klimtiana, la declinazione del linguaggio secessionista è però largamente italiana, e rimanda echi dei lavori di poco precedenti di Galileo Chini, Vittorio Zecchin e Felice Casorati:36 gli ultimi due nel ’13 esponevano le loro opere moderniste nel contempo a Venezia e Roma, qui nella sala allestita da Vettore Zanetti Zilla.37 Alla grande mostra della Secessione romana partecipano anche i sardi Mario Mossa De Murtas e Giuseppe Biasi: quest’ultimo susciterà l’interesse e il plauso di pubblico e critica, sia nel 1913 che nel ’14.38 Lontano dall’Italia, nel frattempo, l’ambiente artistico portegno – sorretto da un’economia prospera – era diventato assai vivace, con mostre che includevano opere di Pablo Picasso (cinque suoi pastelli erano stati esposti alla Galería Witcomb già nel 1904) e numerosi artisti francesi, tra cui Manet (sempre alla Galería Witcomb, tra il 1907 e il 1914). Scrive Romualdo Brughetti: «Nella decade iniziale del secolo Buenos Aires raggiunge le proporzioni di una vera metropoli, la più grande dell’America del Sud … Si inaugurano gallerie d’arte. Buenos Aires è la prima città latina percorsa da linee di treni sotterranei e, nell’architettura, trionfa l’“art nouveau”. L’argentino ama Parigi e la vita elegante francese, e i suoi governanti abbelliscono la capitale con giardini e parchi al modo della Francia … Una valida Esposizione Internazionale di Arte presentata nel padiglione costruito con ferro e vetro trasportato da Parigi costituisce l’attrazione del Retiro. Uniti a vaste tele che si caratterizzano per il loro virtuosismo e imitazione naturalistica o di 27


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la seconda come ampio sfondo paesaggistico nel piccolo olio su compensato La mujer y las flores, del 1930.88 Sull’altro versante, quello nuorese, abbiamo invece Orosei, di cui viene raffigurata la piazza principale, suggestivamente dominata dalla parrocchiale di San Giacomo, e Nuoro, città dove Nava probabilmente si ferma e abita per un po’, rimanendo affascinato non più solo dai luoghi, ma anche dalle persone: l’interesse è testimoniato, come accennato, da ben 7 oli (esiste un ottavo ritratto di cui si è persa traccia, vedi nota 129) e 3 disegni. Questi ultimi, elencati negli appunti della figlia Antonia, ma di cui purtroppo non è rimasta altra traccia che il nome, ci forniscono ulteriore prova della malia esercitata sul pittore dai personaggi del luogo: i primi due hanno infatti come soggetto una Donna di Nuoro e il terzo – del quale si specifica che è in marrone – un Pastore di Osini; la datazione di tutti e tre dovrebbe essere il 1923.89 La perdita è grave, dal momento che i tre disegni avrebbero costituito un valido contributo alla conoscenza del metodo di lavoro dell’artista, testimoniando un momento diverso, forse più “costruito” e ragionato, di quello mostrato dai bozzetti di impressioni del paesaggio. Sfortunatamente non si è trovata notizia di rapporti o conoscenze con l’ambiente artistico sardo, come se questo girovagare per strade e paesi dell’interno non avesse lasciato alcun segno, o non avesse avuto alcuna eco nella realtà locale.90 Abbiamo invece, conservate dalla famiglia e importantissime, se non altro come attestazione del perdurare dell’interesse, due xilografie di artisti sardi, che si presume appartenessero proprio al pittore, entrambe però successive al suo soggiorno nell’Isola: si tratta della Sosta (o Fuga in Egitto o Riposo)91 di Stanis Dessy, del 1932, e di un’opera di Mario Delitala, Verso la fonte, del 1928 circa,92 firmata a matita. Il secondo è, tra gli artisti sardi, quello cui, insieme a Giuseppe Biasi, si può con più facilità accostare l’opera di Nava. In entrambi i casi sembra comunque da escludere la conoscenza diretta e la frequentazione in Sardegna, perché – proprio nei tre anni in cui l’argentino è presente nell’Isola – Delitala soggiorna a Venezia,93 mentre Biasi lavora – con alterne fortune – a Milano e dintorni.94 Forse è stato possibile l’incontro con Dessy, grazie alla sua presenza a Roma dal 1917 al 1920 come allievo, tra gli altri, di Camillo Innocenti e Paolo Paschetto, e al suo inserimento, benché “ragazzino”, tra i vecchi e i nuovi protagonisti dell’arte romana, come Ferruccio Ferrazzi e Arturo Noci – tutti enumerabili con certezza tra le conoscenze di Nava –; sappiamo poi della sua successiva amicizia con Dante Canasi, console argentino a Cagliari (1923), che gli aveva insegnato la “tecnica dei tre colori”.95 Ma, a parte la notevole differenza d’età (Dessy è del 1900) che certo avrebbe avuto peso sul possibile instaurarsi di rapporti amicali tra i due, queste restano per ora ipotesi, non suffragate da alcun dato certo. Discorso a parte merita Antonio Ballero, “consueto” punto di riferimento per gli artisti stranieri a Nuoro: non si possono escludere rapporti diretti, magari favoriti da Quíros, in un qualche modo avallati da certe momentanee consonanze stilistiche, ma non esistono purtroppo prove certe al riguardo. Partiamo dunque da dati concreti, ovvero dalla pittura di Nava. Sappiamo che alcuni dei dipinti di soggetto sardo oggi presenti in Italia sono rimasti in Argentina sino al 1972, conservati dal ramo portegno della famiglia; solo grazie alle ricerche e alle cure della figlia Antonia Nava Cellini sono arrivati nel nostro paese. La loro vicenda si può ricostruire in parte grazie alle lettere, già brevemente citate, inviate da Buenos Aires alla cugina Antonia da César Nava.96 36


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48. Ritratto di mia figlia Antonia (Ragazza che legge), 1928 olio su tela, 70 x 97 cm, Roma, collezione privata.

La prima, tra le poche conservate, data al 29 maggio 1970 e, in risposta alle precise richieste avanzate da Antonia, riporta l’impegno a mandare tutte le fotografie dei quadri disponibili, a cominciare «da quelli che teniamo in consegna a casa. Peccato che la maggior parte di questi siano dell’ultimo periodo. Ci sono, comunque, l’“Autorretrato” e anche alcuni della Sardegna». Dalle lettere si capisce che, almeno inizialmente, l’interesse di Antonia Nava era rivolto a ottenere informazioni e contatti, fotografie, pubblicazioni, nel tentativo, soprattutto, di identificare e ritrovare parte delle opere di ubicazione sconosciuta; ma, col passare del tempo, la famiglia si accorda per il trasferimento di una parte dei quadri in Italia. Ed è proprio quando ormai si è cominciato a organizzare il trasporto che troviamo la seconda menzione dei dipinti isolani, ben due anni dopo, il 9 gennaio 1972; scrive infatti César Nava: «Posso mandarti alcune opere del periodo sardo, che ho a casa, e alcune altre che erano da Pisano,97 della stessa epoca»; il 28 febbraio 1972 abbiamo un’ulteriore precisazione: «In casa ci sono alcune opere molto antiche, degli anni 1906, 1907, 1909, come una veduta del Colosseo, e una testa di contadino, e alcune macchiette, tutte di questa epoca. E poi, le opere posteriori al 1924, 37


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86. La Chiesa del Rosario a Osilo, 1922-23 olio su compensato, 20 x 30 cm, Sassari, collezione Banco di Sardegna.

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87. L’uscita dalla messa, 1922-23 olio su tela, 46 x 91 cm, Sassari, collezione Banco di Sardegna.

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88. Las hilanderas (Le filatrici), 1922 olio su tela, 92 x 92 cm, Sassari, collezione Banco di Sardegna. Esposto a Roma a Palazzo Braschi (1973) e alla Casa Argentina (1993).

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89. Tipos sardos, olio su tela, 150 x 160 cm, Cagliari, collezione privata. L’opera, esposta a Buenos Aires nella personale del 1923 e pubblicata sia dalla Gaceta de Bellas Artes, sia da La Época, fu uno dei tre dipinti scelti da Nava per il Salón Nacional de Artes Plasticas del 1925.

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93. La processione, 1922-23 olio su tela, 81 x 103 cm, Sassari, collezione Banco di Sardegna. Accanto alla firma compare, forse, la parola «boceto» (bozzetto). Esposto a Roma a Palazzo Braschi (1973).

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94. Donna in costume, 1922 olio su compensato, 49 x 36 cm, Sassari, collezione Banco di Sardegna. Sul retro è abbozzato uno scorcio di case. Esposto a Roma nella retrospettiva alla Casa Argentina (1993).


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95. Giovane in costume, 1922 olio su compensato, 49 x 36 cm, Sassari, collezione Banco di Sardegna. La data compare due volte, sia come 1922 che come 1932 (quest’ultima si suppone sia stata aggiunta a posteriori). Esposto a Roma nella retrospettiva alla Casa Argentina (1971).

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96. Testa di ragazza sarda, 1923 olio su compensato, 48 x 32 cm, Sassari, collezione Banco di Sardegna.

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99. Ragazza in costume, 1923 olio su compensato, 48 x 37 cm, Sassari, collezione Banco di Sardegna. Esposto a Roma a Palazzo Braschi (1973).

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100. Pastore di Nuoro, 1923 olio su tela, 48 x 35 cm, Sassari, collezione Banco di Sardegna.

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il camice da pittore; la sottile stesura del colore, delicata, precisa, incorporea, quasi fiamminga, della pittura di Emilia, opposta all’incredibile quantità di materia dei quadri di Hèctor, che conferisce alla loro superficie, soprattutto nella sua produzione iniziale, una vibrante luminosità propria, come nei mosaici bizantini. Quei quadri rappresentavano infine le relazioni profonde, continue, dei due con la cultura contemporanea e col mondo – allora certamente molto unito e interattivo – degli artisti romani: ecco ancora ritratti, opere di altri amici (Paschetto, Mancini ecc.), testimonianze varie (De Renzi, De Carolis, i progetti per la loro casa al mare di Foschini ecc.). Aggiungo a questa galleria di frammenti e memorie (non sono abbastanza vecchio da aver ricordi diretti di Héctor) i bauli e gli armadi: pieni di eleganti vestiti da uomo, frac, marsine, panciotti di seta, ghette, che lui, da perfetto esponente di una distinta famiglia sudamericana, usava sempre indossare per ogni occasione mondana; accanto ci sono i fantastici e longilinei vestiti liberty della moglie e i minuscoli cappellini alla parigina fatti dalla cognata Anna, accompagnati da un’incredibile quantità di capi di vestiario e soprattutto di splendidi oggetti d’uso (mantiglie e scialli, come cuscini, tende, ricami, centrini, canovacci, lenzuoli, accessori utilitari ecc.), prodotti dalle instancabili mani e dall’irresistibile vocazione produttiva di Emilia, in un contrasto fra economia domestica, qualità della forma e della concezione, risparmio ed eleganza, che ancora oggi mi pare straordinario.

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101-102. Interni della casa di Héctor Nava a Roma (foto M.P. Dettori).

E in fondo è proprio il contrasto l’elemento ricorrente di ogni mia possibile ricostruzione o ricomposizione dei ricordi e delle conoscenze relative a mio nonno, alla moglie e alla famiglia: un contrasto o, meglio, un insieme di contrasti, confluenti in una peculiare e solidissima unità. Già la stessa biografia di mio nonno è curiosamente contraddittoria. Tutta la prima parte della sua vita si svolge secondo un copione quasi ovvio: figlio di una famiglia argentina benestante, esordisce da pittore nel suo paese, poi viene a Roma, come d’uso in un’epoca ancora sensibile al rito del grand tour verso uno dei più tradizionali luoghi della cultura artistica. Si ferma quindi nella capitale dove si sposa e dove risiederà e lavorerà fino alla morte, eccetto per un effimero periodo a Buenos Aires; ma il suo riferimento artistico non sarà mai la città di residenza, successivamente sostituita invece da Venezia, Chioggia, la Sardegna, Marsiglia, Parigi. Luoghi in cui sosterà ripetutamente e a lungo, in una sorta di gran tour alla rovescia, costituito da viaggi talora difficili e da soggiorni spesso disagevoli (penso soprattutto all’arcaica Sardegna di inizio secolo), in cerca prima di ispirazioni cromatiche e luministiche, attratto dal peculiare secessionismo veneto, poi plastiche – la luce chiara dei paesaggi sardi, i volti austeri e fermi e i costumi ieratici degli isolani – e infine esistenziali e sociali: il mondo oscuro della povertà e del lavoro, le taverne, i portuali, le puttane, le gru, le navi di Marsiglia, ecc. Tutte cose, evocazioni, suggestioni, materiali diametralmente opposti a quanto poteva offrirgli Roma. Tutti viaggi, anche, durante i quali si immergeva volontariamente (forse necessariamente) in situazioni ambientali del tutto incompatibili con la sua condizione naturale di benestante blasé. 103


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NOTA BIOGRAFICA

1873-1900 ca. Nasce il 10 ottobre a Buenos Aires, figlio di immigrati italiani di lontana origine spagnola. Compie gli studi sotto la guida di Eduardo Sivori e Giuseppe Quaranta, due dei maestri della cosiddetta Generación del Ochenta, di fatto tra gli iniziatori della moderna pittura del paese sudamericano. Il primo è tra i fondatori della Sociedad Estímulo de Bellas Artes, trasformata poi nell’Accademia Nazionale di Belle Arti (1905), presso la quale Nava inizia il suo apprendistato pittorico, basato sullo studio della pittura europea e aggiornato al postimpressionismo. 1901-09 Viaggia in Europa, tra Italia e Francia, e prende casa, definitivamente, a Roma, dove prosegue gli studi come allievo di Antonio Mancini. Presso lo studio di Mancini conosce la futura moglie, anche lei pittrice: Emilia Zampetti. Della sua prima produzione si conservano disegni e bozzetti, per lo più ritratti, studi di teste e corpi, scorci di rovine eseguiti a pastello e carboncino su carta e cartone. Frequenta artisti italiani e argentini e aderisce alla Società Artistica Internazionale in Roma e alla Società degli Amatori e Cultori di Belle Arti, per la quale espone già nel 1906. Al 1907 risale la prima attestazione di gradimento dei suoi lavori, con i complimenti della Presidenza e del Consiglio d’Amministrazione della Società Artistica Internazionale per «la genialità e l’abnegazione colle quali… ha allestito i costumi e preparati i quadri viventi» per una manifestazione, e, contemporaneamente, l’adesione, in patria, al gruppo Nexus, deciso a fondare un’arte nazionale argentina. Nel 1908 partecipa alla Mostra degli Amatori e Cultori di Belle Arti in Roma.

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1910-14 Il 1910 è l’anno della definitiva affermazione: partecipa a Buenos Aires alla Mostra del Centenario dell’Indipendenza vincendo la Medaglia d’Argento; a Roma espone ancora alla Mostra degli Amatori e Cultori, poi, nel 1911, all’Esposizione Internazionale di Belle Arti, dove presenta l’opera Viole mammole. Nel frattempo viaggia per la penisola: visita per lo più località di mare, come Civitavecchia, S. Stefano, Venezia e Chioggia, dove si trattiene; nel Veneto comincia a interessarsi della pittura secessionista. Nel 1912 sposa Emilia Zampetti, da cui avrà due figli, Antonia e Giorgio. Nel 1913 espone al Salón Nacional di Buenos Aires e riceve anche l’invito a prendere parte a due mostre parigine: quella del Gran Palais

des Champs Élysées e quella del Salon de l’Union Internationale des Beaux-Arts et des Lettres noto anche come Salon d‘Automne e a queste ultime parteciperà anche nel ’14. 1915-17 Con la famiglia si trasferisce a Buenos Aires, per sfuggire alla guerra. Espone dapprima in California, a San Francisco, alla Panama-Pacific International Exposition, dove si aggiudica la Medaglia d’Argento, per poi vincere la Medaglia d’Oro al Salón Nacional de Bellas Artes a Buenos Aires con l’opera En familia. Al 1916 data la sua prima, grande personale, presso i saloni del Pabellón Argentino, e la nomina a Professore di Pittura all’Accademia di Belle Arti, in cui insegna anche nell’anno successivo. 1918-20 Rientra con la famiglia in Italia; espone a Buenos Aires al Salón Witcomb (1919); nel 1920 partecipa al Salón Nacional ed è presente con una personale alla Galería Müller; altra personale a Roma alla Casa d’Arte Bragaglia. Risale al ’20 anche il primo, breve, viaggio in Sardegna. 1921-23 Soggiorna in Sardegna, alternando lunghe permanenze nell’Isola (sicuramente a Porto Torres, Alghero, Olbia e Gallura, Osilo, Nuoro e Orosei) a brevi ritorni nella Capitale. Le opere realizzate vengono esposte, con successo, in una personale presso la Galería Müller di Buenos Aires. Nel 1922 partecipa alla XIII Esposizione Internazionale d’Arte della Città di Venezia.

1931-40 Ricomincia a partecipare alle mostre, intervallando lunghe pause, e limitatamente alla sola Argentina: espone a Buenos Aires nel ’31, ’36, ’37 e ’38. Le opere mostrano con chiarezza il profondo mutamento di temi e modi della sua pittura: in un primo momento la ricerca e l’attenzione si concentrano sulla forma e il volume dei corpi, accompagnate da un contestuale e deciso spegnimento della gamma cromatica. Il passo successivo è una marcata inclinazione verso i temi del sociale e le classi più umili, cui il pittore rivolge costantemente lo sguardo e l’impegno: soggetti dei dipinti diventano sempre più spesso la fatica e l’abbrutimento degli operai dei porti di Marsiglia e Buenos Aires, gli emarginati e i frequentatori di bistrot e locali parigini. Da ultimo compare un’insistita meditazione sul sacro, intesa come riflessione intima sul rapporto tra le figure della religione cristiana e l’uomo, sia in senso generale che come individuo particolare, ovvero il pittore stesso. Muore a Roma nel 1940.

104-105. Due fotografie che ritraggono Héctor Nava.

1924-26 Attraversa un periodo di crisi: dipinge pochissimo. Nel 1925 espone tre opere, nessuna delle quali nuova, al Salón Nacional de Bellas Artes a Buenos Aires, tra cui Tipos sardos, mentre in Europa partecipa con un’unica opera a una sola mostra, una collettiva di artisti argentini a Madrid (1926). 1927-30 Riprende a viaggiare e a dipingere. Soggiorna in Francia, a Marsiglia, e dal ’28 si trasferisce a Parigi, dove trascorre almeno quattro mesi all’anno. La famiglia – e il mercato dell’arte, specie americano – risentono però del crollo della borsa del ’29, e le entrate sono limitate ai ricavi della vendita dei dipinti della moglie Emilia, raffiguranti soggetti di genere e nature morte. Riprende a frequentare l’ambiente artistico romano, soprattutto Francesco Trombadori e Socrate, coi quali stringe una duratura amicizia.

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1998 G. Altea, M. Magnani, Giuseppe Biasi, Nuoro, Ilisso, 1998. R. Amigo, P. Artundo, M. Pacheco, Pintura argentina, Buenos Aires, Banco Velox, 1998. F. Benzi, “Artisti italiani a Parigi tra le due guerre: appunti sulla dialettica degli scambi Italia-Francia”, in Il futuro alle spalle, ItaliaFrancia. L’arte tra le due guerre, a cura di F. Pirani, catalogo della mostra, Roma, De Luca, 1998, pp. 95-101. F. Benzi, “Breve storia dell’arte a Roma tra le due guerre”, in Roma 1918-1943, catalogo della mostra, Roma, Viviani, 1998. F. Benzi, G. Mercurio, L. Prisco, Roma 19181943, catalogo della mostra, Roma, Viviani, 1998. R. Lambarelli, “Margherita Sarfatti e la supremazia dell’arte italiana”, in Il futuro alle spalle, Italia-Francia. L’arte tra le due guerre, a cura di F. Pirani, catalogo della mostra, Roma, De Luca, 1998, pp. 71-74. B. Marconi, “«Il marciapiede del pittore». Gallerie romane”, in Roma 1918-1943, catalogo della mostra, Roma, Viviani, 1998. M.G. Messina, “Valori Plastici, il confronto con la Francia e la questione dell’arcaismo nel primo dopoguerra”, in Il futuro alle spalle, Italia-Francia. L’arte tra le due guerre, a cura di F. Pirani, catalogo della mostra, Roma, De Luca, 1998. Il futuro alle spalle, Italia-Francia. L’arte tra le due guerre, a cura di F. Pirani, catalogo della mostra, Roma, De Luca, 1998. 1999 M.L. Frongia, Mario Delitala, L’opera completa, Cagliari 15 luglio-3 ottobre 1999, Galleria comunale d’arte: guida alla mostra, Nuoro, Ilisso, 1999. 2001 F. Masala, Architettura dall’Unità d’Italia alla fine del ’900, Nuoro, Ilisso, 2001. 2002 G. Altea, M. Magnani, Stanis Dessy, Nuoro, Ilisso, 2002. S. Bietoletti, M. Dantini, L’Ottocento italiano, La Storia, Gli Artisti, Le Opere, Firenze, Giunti, 2002. 2003 F.R. Contu, “Il sistema vestimentario, L’abbigliamento femminile”, in Costumi, Storia, linguaggio e prospettive del vestire in Sardegna, Nuoro, Ilisso, 2003, pp. 68-227. Costumi, Storia, linguaggio e prospettive del ve-

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stire in Sardegna, Nuoro, Ilisso, 2003. G.M. Demartis, “I costumi femminili di gala di Osilo e Ploaghe”, in Costumi, Storia, linguaggio e prospettive del vestire in Sardegna, Nuoro, Ilisso, 2003, pp. 331-337. C.H. Favrod, L. Marrocu, Viaggio in Sardegna, Fotografie tra ’800 e ’900 dalle Collezioni Alinari, Firenze, Alinari, 2003. P. Piquereddu, “Note di storia dell’abbigliamento in Sardegna”, in Costumi, Storia, linguaggio e prospettive del vestire in Sardegna, Nuoro, Ilisso, 2003, pp. 15-59. 2004 G. Murtas, Filippo Figari, Nuoro, Ilisso, 2004. 1904-2004 “I XXV” della Campagna romana, a cura di R. Mammucari, Napoli, Ler Editrice, 2004. M.G. Scano Naitza, Antonio Ballero, Nuoro, Ilisso, 2004. 2005 S. Gizzi, “Alghero, una ‘fortezza’ sull’acqua”, in Acta Photographica, Bologna, ICCD-Bononia University Press, n. 1, 2005, pp. 23-36. G. Lunesu, “Cesáreo Bernaldo de Quirós, Un argentino ad Atzara”, in Pintores en Atzara, Quaderni del Museo d’Arte Moderna e Contemporanea A. Ortiz Echagüe, n. 2, Nuoro 2005. 2006 V. Baradel, “Boccioni tra Padova e Venezia”, in Venezia ’900, da Boccioni a Vedova, a cura di N. Stringa, Venezia, Marsilio, 2006. F. Cellini, M.P. Dettori, S. Gizzi, Héctor Nava, La Sardegna degli anni Venti, guida alla mostra, Sassari, J. Webber editore, 2006. L. Lorenzoni, “I giovani di Ca’ Pesaro, 19081914: «Propaggini di una tradizione» non ribelli ma innovatori”, in Venezia ’900, da Boccioni a Vedova, a cura di N. Stringa, Venezia, Marsilio, 2006. Mario Cavaglieri, a cura di V. Sgarbi, catalogo della mostra, Torino, Allemandi, 2006. Venezia ’900, da Boccioni a Vedova, a cura di N. Stringa, Venezia, Marsilio, 2006. 2007 M. Fois, S. Novellu, Antonio Ballero. Lo sguardo fotografico del pittore, Nuoro, Ilisso, 2007. Guido Costa. Fotografie della Sardegna nel primo Novecento, Nuoro, ISRE-Ilisso, 2007. 2008 G. Altea, Giuseppe Biasi, La collezione della Regione Sardegna, Nuoro, Ilisso, 2008.


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ITINERARIO ESPOSITIVO

1906 LXXVI Esposizione Internazionale della Società degli Amatori e Cultori di Belle Arti in Roma. 1908 LXXVIII Esposizione Internazionale della Società degli Amatori e Cultori di Belle Arti in Roma. 1910 LXXX Esposizione Internazionale della Società degli Amatori e Cultori di Belle Arti in Roma. Exposición Internacional de Arte del Centenario, Buenos Aires (Medaglia d‘Argento). 1911 Esposizione Internazionale di Belle Arti, Roma. 1913 Salón Nacional de Bellas Artes Plásticas, Buenos Aires. Salon du Grand Palais des Champs-Élysées, Parigi. Salon d’Automne, Parigi. 1914 Salon du Grand Palais des Champs-Élysées, Parigi. Salon d’Automne, Parigi. 1915 Salón Nacional de Bellas Artes Plásticas, Buenos Aires (Medaglia d‘Oro). Panama-Pacific International Exposition, San Francisco (Medaglia d’Argento). 1916 Pabellón Argentino (Salón de la Comisión Nacional de Bellas Artes), Buenos Aires. Salón Nacional de Bellas Artes Plásticas, Buenos Aires. 1919 Salón Witcomb, Buenos Aires. 1920 Casa d’Arte Bragaglia, Roma. Galería Müller, Buenos Aires. Salón Nacional de Bellas Artes Plásticas, Buenos Aires.

1923 Galería Müller, Buenos Aires. 1925 Salón Nacional de Bellas Artes Plásticas, Buenos Aires. 1926 I Salón Argentino en España, Madrid. Salón Argentino, Parigi. 1928 Salón Nacional de Bellas Artes Plásticas, Buenos Aires. 1931 Asociación Amigos del Arte, Buenos Aires. 1936 Salón Witcomb, Buenos Aires. 1937 Salón Nacional de Bellas Artes Plásticas, Buenos Aires. 1938 Galería Müller, Buenos Aires. 1952 Exposición de la Pintura y Escultura Argentinas de este siglo, Buenos Aires. 1971 Mostra retrospettiva di Héctor Nava, Casa Argentina, Roma. 1973 Héctor Nava, Palazzo Braschi, Roma. 1990 I muestra de obras premiadas en los Salónes Nacionales de Pintura – Exposición 30 pintores premiados, Buenos Aires. 1993 Mostra dell’opera di Héctor Nava, Casa Argentina, Roma. 2006 Héctor Nava, La Sardegna degli anni Venti, Alghero-Sassari.

1921 Salón Nacional de Bellas Artes Plásticas, Buenos Aires. 1922 XIII Esposizione Internazionale d’Arte della Città di Venezia.

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