UN'IDEA DI SVILUPPO: LE MICROECONOMIE LOCALI - FEDERICO MALINVERNO

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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI BOLOGNA FACOLTA' DI LETTERE E FILOSOFIA

Corso di laurea in FILOSOFIA

TITOLO DELLA TESI

UN' IDEA DI SVILUPPO: LE MICROECONOMIE LOCALI

Tesi di laurea in STORIA DELLA SCIENZA E DELLA TECNICA

Relatore

Presentata da

Prof. CIARDI MARCO

MALINVERNO FEDERICO

Sessione III Anno accademico 2007/2008

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A Greta e alla mia famiglia.

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Indice

1. Introduzione…………………………………………………………………………………..4 2. Agricoltura e allevamento in Europa dopo la rivoluzione francese………………………….7 3. L'Italia alle soglie del secondo conflitto mondiale………………………………………….15 4. L'incontenibile avanzata post bellica………………………………………………………..17 5. Analisi dei rapporti di causalità……………………………………………………………..20 6. Cosa si può fare?....................................................................................................................23 7. La questione internazionale dei brevetti nelle pagine di Vandana Shiva…………………...31 7.1 La brevettabilità dei viventi: i rischi per le popolazioni e l'ambiente…………………34 7.2 La brevettabilità dei viventi: i rischi per la scienza e il sapere………………………..36 8. Macchine da carne in garage………………………………………………………………..39 9. La crescita della domanda…………………………………………………………………..43 10. La crescita dell'offerta………………………………………………………………………47 11. Un futuro sostenibile è più che possibile……………………………………………………51 12. Le potenzialità delle microeconomie locali…………………………………………………54 13. Rilocalizzare l'energia………………………………………………………………………59

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1. Introduzione

“... fra gli innumerevoli problemi che si presentano scegliere quelli la cui soluzione interessa l'uomo, è merito della saggezza.” I. Kant Die träume eines Geistersehers erläutert durch die träume der Metaphysik

Da che è mondo, l'agricoltura ha sempre svolto un ruolo di grande importanza nella conservazione del territorio, nella salvaguardia delle specie viventi, nel rispetto della Natura intesa come quel “complesso di cose e esseri dell'universo, governati da leggi, retti da un ordine proprio e oggetto di contemplazione e studio da parte dell'uomo.”1Nel libro della Genesi troviamo confermato questo ruolo essenziale che Dio attribuisce al creato: “ La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che facciano sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la sua specie”2. Normalmente divisa in tre regni, animale, vegetale e minerale, nel complesso natura entra l'agricoltura cioè il complesso dei lavori cui viene sottoposto il suolo per ricavarne piante utili all'uomo e agli animali. Andrea Segrè in un suo saggio evidenzia “le interrelazioni che sussistono fra natura e agricoltura: se non altro”, afferma, “quest'ultima è certamente nella prima”3 Dunque, l'uomo al servizio della Natura e la Natura al servizio dell'Uomo in un vicendevole e reciproco rapporto di comunanza. Sin dai tempi preistorici nei quali, alle prime società di raccoglitori e cacciatori nomadi bastava lo sfruttamento delle risorse naturali, alcuni fattori come l'aumento della popolazione e la necessità quindi di procurarsi maggiore quantità di cibo, diedero vita a società diverse, “dedite all'agricoltura e alla pastorizia, che producevano il proprio cibo selezionando le risorse disponibili e intervenendo in maniera più attiva negli equilibri ambientali”4. Questo possiamo

1 Andrea Segrè, in un saggio pubblicato su Natura Cultura Identità dell' Università di Bologna,Dipartimento di Filosofia (2004). Direttore del Dipartimento di Agraria presso l'università di Bologna, insegna “Politiche Agricole” e collabora al progetto Almafood il suo ultimo libro è intitolato Elogio dello -spr + Eco. 2 Genesi 1,11 3 A. Segrè, Natura-Agricoltura e cultura-coltura in Europa, in Natura Cultura Identità. Le università e l'identità europea, a cura di Giuliano Pancaldi, Università di Bologna 2004, p 89. L'autore A. Segrè, continua il saggio mettendo in evidenza i rapporti tra Natura, Agricoltura, Cultura e Coltura, dando origine alla CANTOGRULLA, anagramma di NAT.AGR.CUL/OL. 4 M. Montanari, Il cibo come cultura, Laterza. Cap 1 pag 5-10.

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definirlo l'atto di nascita dell'agricoltura, che vide la svolta decisiva circa 10.000 anni fa nelle terre della Mezzaluna fertile, collocabile negli altipiani del vicino e Medio Oriente, si diffuse in tutto il mondo, conquistando circa 1.000 anni più tardi i territori dell'Asia centro Orientale e dell'America, unita allora all'Asia nel punto dell'attuale stretto di Bering.5 L'abbandono progressivo delle tecniche di predazione e di raccolta spontanea, che procede di pari passo con l'invenzione dell'agricoltura e lo sviluppo della cultura umana6, è “legato alla crescita demografica e al fatto che l'economia di caccia e raccolta non bastava più, forse per cambiamenti climatici e ambientali, che avevano inaridito le zone forestali”7 L'innovazione, come la definisce Montanari, è l'insieme di “quei saperi, quelle tecniche e quei valori che modificano la posizione dell'uomo nel contesto ambientale, rendendolo capace di sperimentare realtà nuove.”.8 Col passare dei secoli, la valorizzazione produttiva alimentare delle piante coltivate e degli animali domestici diventò più forte, a scapito della dimensione “selvatica” dell'economia e del cibo. Chiese e monasteri nel corso del IX secolo,

intensificarono le imprese di disboscamento,

dissodamento e colonizzazione in tutte le regioni europee, permettendo così di sfamare un numero di persone sempre maggiore, dando così un volto nuovo all'agricoltura, che iniziava a vedere nel suolo una fonte di ricchezza e prosperità. La trasformazione dell'ambiente in spazi agricoli ad opera dei grandi centri monastici, sorti proprio in questi anni, sono l'inizio di un grande boom: “O, forse, di una crisi”.9 Nei secoli immediatamente successivi, l'economia agricola, si sviluppa, introducendo a pieno regime, numerose innovazioni tecnologiche, alcune già conosciute da tempo ma rimaste scarsamente utilizzate nel quadro di economie sostanzialmente stagnanti.10 E' il caso del ferro, che sostituisce il legno,il mulino ad acqua, l'aratro a ruote e i sistemi di rotazione stagionali che consentono di aumentare la produttività del terreno, in anni di vorticosa

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M. Montanari è docente presso il Dipartimento di Storia dell'Università di Bologna, insegna Storia Medievale e Storia dell'Alimentazione, tra le sue numerose pubblicazioni, ho utilizzato e studiato “La Cucina Italiana, Storia di una cultura” ( con A. Capatti 2002); La Fame e l'Abbondanza, Storia dell'Alimentazione in Europa (2003); il prima citato “Il cibo come cultura” e alcuni suoi articoli pubblicati sulla rivista “La Gola”. Ibidem. Intesa in questo senso come capacità intellettiva, si veda Fiorenzo Facchini, Evoluzione umana e Cultura. M. Montanari, Il cibo come cultura, Cap 1. Ibidem. M. Montanari, La fame e l'abbondanza, pp. 44-49. Fumagalli Beonio Brocchieri e Parodi, Storia della Filosofia medievale, pp. 115-117, il rinnovamento sociale intorno all'anno mille, è narrato dagli autori come fonte di un nuovo sviluppo culturale e filosofico.

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crescita demografica. L'invenzione della città stessa “non sarebbe pensabile senza lo sviluppo dell'agricoltura”11, e le società umane non si sono mai adeguate alle condizioni imposte dall'ambiente, ma hanno sempre cercato di modificarle e volgerle al proprio beneficio, trasformando in loro funzione il paesaggio. Tutto risulta più chiaro se si pensa alla rifondazione della città che avvenne in epoca rinascimentale e al ruolo che l'architetto assume nel “De re aedificatoria” di Leon Battista Alberti, dove la città non è solo luogo di aggregazione civile e sociale, “ma anche come luogo che di per sé impone un ripensamento della tradizione antica e medioevale, una ridisegnazione – nella prassi ma prima ancora come valore simbolico – e per altro induce a ricostituire un diverso rapporto, di alleanza e di dominio insieme, con la natura.”12 Nonostante abbia più volte usato le parole intervento, modificazioni e trasformazioni, collochiamo tali nella consapevolezza che tutti questi sono avvenuti in una perfetta logica di interazione e reciprocità, in un'ottica in cui l'uomo si collocava come parte integrante della natura, parte di un tutto governato da un puro equilibrio di sussistenza. Per millenni i rapporti sono rimasti tali, sino a quando il progresso tecnologico e le nuove scoperte geografiche prima, scientifiche poi, hanno via via instaurato un ideale di antropocentrismo, che ha condotto l'uomo, con una decisiva accelerazione durante il XX secolo, sull'orlo di una vera e propria catastrofe, che rischia di farlo scomparire assieme molteplici specie viventi. Del resto catastrofi simili non sono nuove e quantomeno impossibili, come si legge in un articolo di Marco Ciardi, “Niles Eldredge va da anni ammonendo l'opinione pubblica sui rischi della Sesta Estinzione che sta minacciando il genere umano e il suo ambiente”.13 Questo antropocentrismo comincia a farsi dubbioso sin dagli inizi del XIX secolo in poi quando importanti figure intellettuali, lo metteranno con le spalle al muro, da Thomas Malthus a Giacomo Leopardi, da Charles Darwin a Ernst Haeckel, sarà quest'ultimo a coniare il termine

11 M. Montanari, Il cibo come cultura, Cap 1. 12 S. Benassi, Gli antichi e le origini del moderno, Cap 2 p. 34: Forme estetiche e modelli etici in età rinascimentale. L'autore affronta la ricchezza delle connessioni tra ambito estetico ed etico nelle opere architettoniche e artistiche in senso più generale, concentrando però l'attenzione sull'architettura ed il giardinaggio. A p. 36, infatti continua riferendosi a L.B.Alberti, “nella città (rinascimentale) non è solo ricompresa la storia, ma anche la natura, nella forma dei giardini, che hanno forma ornamentale e utilitaristico insieme”, ed esplicando in concetto della coninnitas, come struttura formale della bellezza naturale e artificiale assieme. Questa nota vuole anche cogliere l'occasione per ricordare il prof. S. Benassi, docente di Sociologia dell'arte e della letteratura, presso l'Università di Bologna, scomparso nella primavera del 2008. 13 M. Ciardi, La scienza moderna e l'unità della natura: dall'alchimia all'ecologia, in Aperture.

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Ecologia nel 1866. Fu proprio Darwin nel 1871, a sgretolare le fondamenta di questa concezione tipicamente occidentale, e argomentò questa sua posizione in L'origine dell'uomo. Nel XX secolo, nonostante l'idea antropocentrica abbia continuato a restare in piedi, una serie di attacchi “indebolì ancora di più quelle fondamenta pericolanti, portando quasi a concepimento l'impresa avviata da Darwin”14. La preoccupazione suscitata dai danni causati dall'uomo all'ecosistema, la nascita del movimento animalista che chiedeva la fine dello “specismo”15, lo studio sempre più approfondito del cognitivismo animale e dai successivi sviluppi della genetica, che assottigliarono le differenze tra l'uomo e gli altri mammiferi16, corroborarono tale tesi inserendosi nel panorama culturale portando alla luce nuove possibilità di sviluppo sociale, economico e ambientale di tipo sostenibile. Questo è quanto mi accingo a fare in questo lavoro, che culminerà nell'analisi della proposta del presidente internazionale di Slow Food, Carlo Petrini.

2. Agricoltura e allevamento in Europa dopo la Rivoluzione Francese In Europa l'età contemporanea17 si apre con uno scenario abbastanza insolito e paradossale che da inizio ad una vera e propria rivoluzione produttivistico-ambientale: da una parte il mondo dell'industria che comincia a sfruttare su larga scala le fonti non rinnovabili come il carbone ed il legno, procedendo a opere imponenti di disboscamento ed estrazione, dall'altra l'agricoltura che

14 P. Singer, Scritti su una vita etica, p. 98. In questo testo Peter Singer, cerca di esporre in modo organico le sue tesi etiche più discusse e controverse, che furono aspramente critiche dalla stampa internazionale. Peter Singer,è docente di filosofia morale a Princeton, disponibile nelle edizioni Il Saggiatore anche il suo testo Liberazione Animale. 15 Termine coniato dallo psicologo di Oxford Richard Ryder nel 1970 per mettere in luce la differenza di trattamento riservata a verso gli animali non umani. 16 Ibidem p 101. Questi argomenti corroborano ulteriormente la tesi di Darwin e sono sistematicamente esposte nel testo di Peter Singer. Ma per un maggiore approfondimento consiglio il libro di J. Marks, Che cosa significa essere scimpanzè al 98%, edito da Feltrinelli (2003), studiato e analizzato dal sottoscritto per il corso di Antropologia (1), istituito dal Prof Pettener e dalla Prof.ssa Belcastro. 17 A. De Bernardi-R. Balzani, Storia del mondo contemporaneo. Nell'introduzione a questo manuale di storia contemporanea, gli autori, mettono in evidenza alcune delle più consolidate periodizzazioni dell'era contemporanea, mettendo in luce diversi “profili di contemporaneità”: 1789, 1815, 1850, 1880, 1914. Nel nostro caso assumiamo, il 1789 come data di partenza, e citando Le età della storia di Guarracino, De Bernardi e Balzani, affermiamo che scegliere questa data come punto di partenza, significa “mettere al centro dell'età contemporanea la frattura rivoluzionaria con l'antico regime, con la fine dei privilegi feudali, l'affermazione dei diritti e la loro codificazione giuridica, (...)ma anche (…) i processi di modernizzazione economica.”

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invece vede lo scoppio della “rivoluzione agricola”18. Questa è principalmente fondata sull'introduzione delle leguminose e delle foraggere nella rotazione agricola, in grado di arricchire i terreni e regalare loro una maggiore fertilità, che in termini agricoli si trasforma in produttività. Mario Ambrosoli, uno storico italiano, testimonia come dalla metà del XVIII sec. alla seconda metà del XIX secolo, tale tecnica permise di elevare le rese dei campi coltivati in tutta Europa grazie al “contributo di trifoglio bianco e loglio sui pascoli tedeschi e baltici, e con le leguminose, medica e lupinella, nella Francia settentrionale”19. Al lavoro svolto da queste foraggiere, si aggiungevano i benefici ricavati dai nitrati, immessi nelle terre dalle leguminose (fagioli, piselli e lupini), e dal potassio fornito dal pascolo animale. Il ruolo centrale delle leguminose sta nell'essere in grado di arricchire il terreno di azoto, fondamentale per la crescita e lo sviluppo di qualsiasi pianta e del grano in particolare, inoltre svolgevano un ruolo centrale nel marginare la proliferazione delle erbe infestanti nel campo, proteggendo la salute della coltivazione limitando la trasmissione delle malattie e dei parassiti.20 Così nuove terre furono rese fertili grazie allo straordinario lavoro svolto dalle leguminose e sostituirono pure la pratica del maggese21, dando origine alla coltura continua. Le leguminose vennero così impiegate non solo per questo motivo, ma anche per alimentare il bestiame delle aziende, permettendo ai contadini di allevare un numero maggiore di bestie (vacche,buoi,ovini e caprini), le quali a loro volta costituivano una quadrupla ricchezza, in quanto fornivano in continuazione letame per la concimazione, latte per la produzione di formaggi e derivati, carni e pelli per i mercati. In Gran Bretagna soprattutto si affermò così la mixed farming, che diede alla vecchia agricoltura una nuova capacità produttiva. Marc Bloch scrisse nei primi anni del '900 che “non esiste nella vita materiale dell'umanità progresso paragonabile a questo”, in grado di far aumentare del 50% prima e del 100% poi la produttività, dando possibilità di nutrirsi ad un numero sempre maggiore di persone, nonostante

18 A. Bevilacqua, La mucca è savia. Anche per questa dicitura “Rivoluzione agricola” esistono diverse interpretazioni, e l'autore riporta la posizione di Marc Bloch, il quale parlava di rivoluzioni agricole. p. 3 19 M. Ambrosoli, Scienziati, contadini e proprietari. 20 A. Bevilacqua nota che per aver maggiori informazioni di carattere chimico e scientifico in senso lato, è possibile ricorrere alla consultazione di G.P.H. Chorley, The agricultural revolution in northen Europe, 1750.1880: nitrogen, legumes and crop productivity. 21 Pratica agricola consistente nel lasciare incolto per un periodo più o meno lungo un terreno, effettuandovi ripetute arature e favorendovi l’accumulo di acqua, in modo che riacquisti fertilità. Per maggiori informazioni, approfondimenti o curiosità http://www.wikipedia.it

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poi la popolazione aumentò molto più in fretta della produttività.22 Questa Rivoluzione Agricola rappresenta il risultato di uno specifico e secolare processo di ricerche, pratiche, errori, scoperte, sperimentazioni “provate e riprovate” da generazioni di contadini e “studiate e ristudiate” da numerosi scienziati. Risulta necessario ricordare che “la rivoluzione agricola ebbe luogo non tramite l'ingresso di elementi ed energia esterni, ma grazie al potenziamento dei suoi elementi costitutivi”23, fondata sulla possibilità di rigenerazione delle risorse naturali e senza produrre danni all'ambiente circostante: “Le campagne si arricchirono di nuove e più produttive coltivazioni senza alterare i precedenti equilibri naturali”24; è il caso delle varietà provenienti dal Nuovo Mondo, che proprio in questi anni compaiono nelle campagne e sulle tavole europee in maniera ufficiale. Il tutto sembra alquanto paradossale proseguendo la discussione e vedendo i successivi sviluppi che l'agricoltura ha avuto in tempi più vicini a noi. Il continuo sforzo dei contadini di rigenerare la fertilità della terra attraverso i residui delle attività agricole o del consumo quotidiano, fanno di questa attività il perno su cui ruota il benessere delle città, degli abitanti e dell'ecosistema in generale, segnando in modo evidente l'intera storia dell'agricoltura. Cenere di legna o di torba, erbe e fogliami decomposti, rifiuti organici domestici, oltre al letame animale e umano, sono la principale fonte di concimazione per le campagne europee, sino agli albori del XX, dove in paesi come Spagna ed alcune regioni dell'Italia l'uso di fertilizzanti chimici non era ancora diffuso. Un ruolo importante nel mantenimento della fertilità delle terre era sempre venuto dalle città, che sin dal medioevo, rifornivano le campagne ad esse prossime di rifiuti e deiezioni di vario genere destinati ad ingrassare la terra. Piero Bevilacqua sottolinea come una realtà, oggi assai difficile e complicata, come Napoli abbia suscitato l'ammirazione di Goethe, il quale rimase colpito dal vedere “lo spettacolo dei raccoglitori di immondizie per le vie (...) impegnati a portare il loro carico negli orti dei dintorni”. Comunque nonostante gli esempi positivi di “quell'Italia di allora”25, il fenomeno era pressoché diffuso in tutta Europa del XVIII e XIX secolo, in maniera più o meno accentuata, ed è 22 Come riportato in Grigg, La dinamica del mutamento in agricoltura, l'aumento della produzione globale in tutta l'Inghilterra, tra 1700 e 1850 sarebbe stata del 264%. 23 A. Bevilacqua, La mucca è savia. 24 Ibidem p. 9 25 Corsivo mio.

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interessante notare che la maggior parte del pattume proveniente da case, ospedali, caserme, città, aziende agricole etc. era di tipo organico, data la grande attenzione rivolta al riciclo e al non spreco. Citando un rapporto del Ministero dell'Interno Belga, datato 12 marzo 1853, Piero Bevilacqua mette in luce come a tale istituzione pubblica stesse a cuore la questione, “per impedire la perdita dei concimi e garantire al tempo stesso la salute pubblica”. I dati ci mostrano che in tutto il Belgio, le deiezioni della popolazione arrivavano a produrre complessivamente oltre 15 milioni di azoto, in grado di fertilizzare oltre 330.000 ettari di terra (oltre ¼ della superficie agraria utilizzabile belga)26. In alcuni casi, la preziosità di questi escrementi veniva sottolineata dai commerci che generavano e un chimico del tempo, Justus Von Liebig , sosteneva che tali livelli di produttività potevano essere mantenuti, solo se la produzione agricola fosse rimasta all'interno del grande circolo della vita. Il circolo delle sostanze nutritive, dalla terra alla terra, andava salvaguardato e sempre Von Liebig si schierò contro i sistemi fognari, in costruzione nelle nuove città europee, i quali non prevedevano il riutilizzo27. Sul finire del XIX secolo nacque a Parigi il primo stabilimento per trasformare i rifiuti urbani, tramite compostaggio, in concime organico per l'agricoltura, migliorando così i metodi di concimazione da un punto di vista igienico sanitario. Ma con l'avvento del XX secolo questo geniale modello di cultura produttiva stava ormai per tramontare, e la concimazione minerale dell'industria chimica era ormai alle porte e, mezzo secolo dopo,l'agricoltura si trovava già fuori dal circolo delle economie auto-riproduttive. Non bisogna scordarsi che la fame di fertilizzanti spinse i coltivatori alla ricerca di nuovi fonti naturali di questi, arrivando sino alle coste del Perù e dell'Africa sud-occidentale. Fu Alexander Von Humboldt, il celebre geografo e naturalista tedesco che nei primi anni dell'Ottocento, durante una spedizione in America Latina, a scoprire e a importare per la prima volta il guano peruviano, una sostanza ritenuta miracolosa, in grado di risollevare le capacità produttive delle campagne dei paesi europei, Inghilterra in primis, ormai giunta allo sfruttamento estremo dei suoli. 26 A. Bevilacqua, La mucca è savia. L'autore continua segnalando che tali deiezioni, in alcuni casi venivano pure vendute ed esportate in altri paesi europei, e riporta gli esempi. 27 M. Ciardi, Breve storia delle teorie della materia, pp. 64-67. L'autore espone gli studi di Von Liebig in maniera sintetica ed esaustiva, evidenziando come lo scienziato tedesco contribuì alla nascita della biochimica.

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Stando al testo di Bevilacqua, pare che nel 1841 sia cominciato un vero e proprio commercio di guano che dalle coste del Perù portava questo fertilizzante fossile nel cuore dell'Europa industrializzata, tanto che a Londra nacque la Peruvian Guano Company, che aveva l'esclusiva della vendita.28 Nell'Europa della prima metà del XIX secolo, “Jean-Baptiste Boussingault in Francia, Justus Von Liebig in Germania e John Lawes in Gran Bretagna giunsero quasi in maniera simultanea a elaborare le formule chimiche per produrre concimi attraverso la trasformazione industriale”29. Grazie agli studi svolti, in particolare da Liebig, sulla teoria mineralogica (contro la vecchia teoria umica), ovvero sui meccanismi che permettono alle piante di nutrirsi, scoprirono che azoto, potassio e fosforo erano in grado di alimentare il processo vitale del mondo vegetale. Lawes fu il primo a produrre i primi perfosfati commerciali e dopo pochi anni la produzione divenne industriale e riuscì a soddisfare la domanda sino al 1900. I fertilizzanti a base di fosfati si ricavano dalla caprolite (un materiale fossile derivante dallo sterco e dalle ossa di uccelli, reperibile in alcune particolari zone della Gran Bretagna), dalle ossa di animali macellati e dalle rocce fosfatiche disseminate in vari paesi del mondo e diverse isole del Pacifico. Nacque la British Phosphate Company, che si accaparrò il diritto di commerciarlo, sconvolgendo paesaggi e territori di intere popolazioni. Il potassio invece, si ricavava dalla cenere e dalle miniere, come quelle di Stassfurt in Germania, mentre l'azoto, veniva ricavato dal salnitro del Cile (nitrato di sodio) e dal solfato di ammonio. Nella seconda metà dell'Ottocento, anche tutti gli scarti dell'industria, da quella manifatturiera a quella siderurgica entrarono a far parte dei concimi minerali e venivano osservati con forte interesse dagli agricoltori del tempo.30 Non è possibile affermare che quest' Europa non fosse stata incline al riciclo, continuando per decenni a rigenerare la fertilità dei campi attraverso un continuo uso e riuso di materiali di scarto, ma i fertilizzanti chimici entrarono sempre più sulla scena e presto modificarono la mentalità della gente, offrendo numerosi vantaggi ai contadini: “essi non erano sporchi e maleodoranti come il letame, erano facilmente trasportabili, leggeri, non ingombranti e sopratutto avevano un'efficacia immediata sulle piante. Si potevano ormai comprare al negozio senza grande 28 A. Bevilacqua, La mucca è savia pp 15-21, un intero paragrafo è dedicato alla questione: La fertilità d'oltremare: Il guano del Perù. 29 Ivi p. 22. 30 Ivi p. 25. L'autore riporta l'esempio delle scorie di Thomas, ovvero dei residui della lavorazioni dell'acciaio, impiegati come fertilizzanti ricchi di fosforo nelle campagne europee. In Italia, un ruolo importante è svolto dai residui del cuoio, anche quelli riversati sui terreni coltivabili.

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fatica.”31 Tramontò così l'agricoltura fondata sull'autorigenerazione dei propri elementi costitutivi, i prodotti di fertilizzazione della terra non erano più interni alla pratica agricola o ottenuti dalle materie riproducibili espulse dalle città. “Ora essi erano ricavati dalle attività estrattive condotte nelle miniere sparse in ogni angolo del mondo. L'agricoltura europea, che sino ad allora aveva trovato al suo interno i mezzi per incrementare lo sviluppo della produzione, ora dipendeva dal saccheggio intensivo delle risorse minerarie dei paesi del Terzo Mondo (…) L'economia primaria del vecchio continente inaugurava così il ciclo di sfruttamento dissipativo delle risorse non rinnovabili in cui essa si trova ancora ai nostri giorni”.32 Agricoltura ed allevamento hanno da sempre svolto un ruolo di reciproco sostentamento all'interno delle campagne europee, da prima attraverso la pastorizia, successivamente col sorgere delle aziende, il ciclo ha origine e fine all'interno dell'azienda stessa. Prendendo in considerazione il nostro periodo storico, le aziende sono circondate da campi coltivati che si prestavano al nutrimento delle bestie allevate, in cambio del letame in grado di fertilizzare la terra. Questo processo coinvolge anche l'uomo in senso stretto in quanto esso attraverso il suo lavoro, riesce ad ottenere, latte, burro, formaggi e carni da consumare o da rivendere nei mercati cittadini (mixed farming). Parafrasando Adam Smith, possiamo affermare che il bestiame in questa precisa fase storica, rappresentava la Ricchezza delle Nazioni. E' proprio questo rilevante aspetto che porta gli agricoltori-allevatori a svolgere il loro lavoro con molto amore, cura, rispetto e responsabilità nei confronti di ciò che producono,che allevano e che coltivano. Lungi dall'essere un aspetto marginale, questo atteggiamento di valorizzazione della domesticazione e del ruolo sociale del contadino, rappresenta una nuova fase nel panorama europeo di fine settecento. Il contadino, contribuendo al benessere delle sue coltivazioni e dei suoi allevamenti, al tempo stesso svolgeva un ruolo utile al benessere dell'intera società, e la cura presa nei confronti delle sue produzioni è testimoniata da una maggiore attenzione a ciò che circonda lui, gli animali ed suoi campi. Si sviluppano così numerosi studi rivolti alla prevenzione di malattie e alla protezione delle sue bestie; è il caso dei progressi in campo ingegneristico-architettonico, che permettevano la costruzione di stalle adatte alla vita animale, e medico-scientifico (veterinaria) 31 Ivi p. 26. 32 Ivi p. 27.

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con il preciso intento di lavorare per una costante prevenzione. Tutto questo però si trasformò ben presto in occasione di sviluppo sfrenato, che sconvolse il panorama e le pratiche dell'allevamento europeo. Dal XIX secolo in poi, non si pensava più a rispettare la naturalità delle bestie, bensì all'aumento della produzione e della produttività, arrivando così a causare gravi danni a ciò che noi chiamiamo Biosfera. La domesticazione si fece “selvaggia”, guidata dalla frenesia dei guadagni e in parte dall'aumento demografico, e le bestie venivano allevate in modo sempre più artificiale, apportando loro modificazioni significative, come una maggiore sensibilità ai cambiamenti di temperatura, indebolendo il loro sistema immunitario. Tuttavia come testimonia Piero Bevilacqua nel suo testo, rimase per alcuni decenni la consapevolezza tra gli agricoltori, che “tutto sommato, la stalla fosse un male necessario, un compromesso cui occorreva piegarsi per un insieme di vantaggi produttivi diventati, nel corso del XIX secolo, del tutto ovvi.”33 Consapevolezza che col passare del tempo è andata completamente persa, portando l'agricoltura, l'allevamento e la biosfera in senso stretto, sull'orlo di una vera e propria catastrofe, e quei pochi che invece l'hanno preservata, si trovano nell'impossibilità di poter agire diversamente, per vari motivi, alcuni economici, altri burocratici, altri culturali ed altri ancora di carattere commerciale. Ne “Le armi a doppio taglio nelle mani dell'allevatore”, Idelfonso Stanga nei primi anni del XX secolo, riporta una testimonianza legata proprio alla mia terra, dove un agricoltore, cremonese per l'appunto, affermava che:”La stabulazione è necessaria (…) ma se si esagera, ne conseguono gravi danni. Si esagera quando agli animali, sieno bovini o equini o suini, stabulati, si tolgono completamente o quasi quegli elementi che sono indispensabili alla salute di essi, cioè l'aria, la luce, il sole, il moto ed anche il fango e la pioggia. Questi elementi, potranno essere ridotti, limitati, ma non aboliti”.34 Affronteremo più avanti l'aspetto prettamente legato alla consapevolezza, centrale nel mio progetto, come unico rimedio alla nostra situazione planetaria, tale infatti è, sarà e dovrà essere ripresa e posta al centro dello sviluppo futuro al quale tende la proposta di Carlo Petrini, di ri-

33 Ivi p. 32, Una nuova era della domesticazione. Mi pare per altro simpatico riportare per intero ciò che Bevilacqua, citando il direttore dell'Istituto agrario Francesco Giuseppe di Müdling di Vienna, afferma a proposito di allevamenti e carni derivate: “Ovunque è noto (…) che la carne, specialmente quella di bue, tratta da animali che hanno vissuto in liberi pascoli è grandemente superiore in forza, finezza e sapore a quella ottenuta da animali alimentati in stalla. Gli Olandesi, che si intendono di queste cose, si nutrono di carni di animali liberamente ingrassati nei pascoli, ed inviano in Inghilterra quelli alimentati nelle stalle coi residui delle grandi distillazioni”. 34 I. Stanga, Le armi a doppio taglio nelle mani dell'allevatore, citato in “La Mucca è Savia”da P. Bevilacqua).

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localizzazione e sviluppo delle microeconomie, locali per l'appunto. Dunque i cambiamenti dei consumi, che vedono la carne assumere un ruolo sempre più centrale nell'alimentazione europea, l'aumento demografico, lo sviluppo urbano e industriale, fanno della stabulazione una necessità ed un modello di allevamento, nonostante i rancori dei contadini che all'inizio erano ben consapevoli dei limiti toccati da quel nuovo passaggio tecnico. Sul finire dell'Ottocento, la condizione di equilibrio cui era pervenuto, l'allevamento stabulare europeo, venne distrutta da una nuova concezione dell'alimentazione animale, volta a stracciare la naturalità delle bestie, rendendole oggetto di proprietà e di dominio35, da parte dell'uomo in un Europa ed in un mondo che dà sempre più importanza alle borse e al denaro in senso stretto, arrivando a definire l'organismo degli animali come una “macchina trasformatrice degli alimenti in prodotti utili”, quali carne, latte e pelli da vendere, quindi ed essenzialmente soldi. Fu il Regno Unito a dare il via alla pratica dell'allevamento intensivo, scoprendo prima e somministrando poi agli animali, i pannelli di semi utilizzati per produrre olio, accelerando così i loro tempi di ingrasso. “D'altra parte, i progressi compiuti nel frattempo dalla chimica si applicavano sempre più correntemente ai vari aspetti della vita produttiva. L'analisi dei pannelli di arachidi, lino, mais, noci , palme, uve, pomodori ecc. mostrava i componenti in materia organica, azoto, fosforo ecc. che tramite il loro consumo entravano nell'alimentazione animale”.36 Il sale e lo zucchero, venivano impiegati per stimolare i succhi gastrici degli animali, gli escrementi del baco da seta, provenienti dai rispettivi allevamenti diffusi nelle campagne delle Pianura Padana, invece per alimentarli. Così cominciò a farsi strada una nuova esigenza: quella di fare dell'allevamento “un ramo di economia a sé, tendenzialmente indipendente dall'azienda agricola, sottratto ai suoi ritmi, alle sue regole, alle sue cadenze stagionali.”37 L'intervento umano sullo sviluppo dell'allevamento assunse un ruolo decisivo quando fu introdotta “l'alimentazione razionale”, sottraendo così completamente la possibilità agli animali di scegliersi il cibo, imponendo loro un alimentazione frutto di accurate analisi chimiche in 35 Per approfondire il tema dei diritti animali in campo bioetico e le recenti proposte di tutela, risulta interessante il saggio di G. Costa, contenuto in Questioni di Vita o Morte a cura di M. Lalatta, Giappichelli editore, Torino 2007. 36 P.Bevilacqua, La mucca è savia, p. 36. L'autore fa riferimento al testo di Colin e Perrot intitolato Les résidus industriels e continua chiedendosi: “Cosa c'era di più vantaggioso che utilizzare i residui della lavorazione industriale come mezzo per aumentare la lattazione, a sopratutto per accrescere il peso degli animali?” 37 ibidem

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prospettiva di un fine ben preciso: accrescimento della produzione lattea, ingrassamento, più guadagni. Il sistema economico diventa, e Serge Latouche aggiungerebbe resta, ostile all'ambiente, cercando di rendere così durevole lo sviluppo a scapito della natura. Venne così a compiersi ciò che ormai tutti speravano: “fare dell'allevamento un'industria vera e propria, in grado di realizzare incrementi produttivi di anno in anno crescenti”.38 Su questa strada, continuarono così gli sviluppi e la diffusione degli allevamenti intensivi, scoprendo continuamente nuove soluzioni per poter perseguire i fini propri dell'allevatore-imprenditore. Justus Von Liebig, puntualmente sul finire dell'Ottocento, propose di utilizzare i residui della lavorazione delle carni per nutrire gli animali stessi. Come? Essiccandoli e convertendoli in polvere, da somministrare poi alle bestie d'allevamento, talvolta della stessa specie. Ipotesi a parte, la sperimentazione di questa nuova “trovata”, agli inizi del XX secolo si farà sempre più frequente. Cominciano però a individuarsi i primi effetti collaterali di queste scoperte: fenomeni di diarrea invadono gli allevamenti, malattie come il carbonchio ed il rachitismo, e animali morti per avvelenamento, derivante da molecole che si sviluppano durante la digestione di dette sostanze. Bevilacqua, citando Il manuale dell'alimentazione del bestiame e dei foraggi agricoli di Pott, mette in luce come fosse importante usare cautela nelle sperimentazioni dei nuovi mangimi in modo da evitare contagi e infezioni di massa. Così sin dai primi momenti, le farine animali vennero mescolate ad altri prodotti più naturali, quali fieno e cerali. La libertà con cui si cercavano vie di guadagno, porta a bizzarre sperimentazioni e pratiche, come la somministrazione di segatura, di scarafaggi sminuzzati o scarti della lavorazione del pesce ad opera di veterinari del tempo, come successe in Norvegia dove la farina di carne di balena, d'aringa o di merluzzo fu sperimentata e utilizzata.39 Andando di questo passo si arriva al XX secolo, dove il processo di stabulazione forzata degli animali, si combinava ad una maggiore ricerca e sperimentazione scientifica, che introdusse nuovi mezzi per sconfiggere le patologie causate da questo modello di allevamento, come le lampade UVA (a radiazione ultravioletta), per curare il rachitismo e gli antibiotici per ovviare al progressivo abbassamento delle barriere immunitarie degli animali. Le nuove tecnologie, come l'impiego delle lampade UVA, risolto il problema del rachitismo, erano pronte a crearne di nuovi, come cecità e ustioni cutanee agli animali sottoposti a tali trattamenti. Pian piano emersero anche 38 Ivi p.38. 39 Ivi p. 42 per approfondimenti e curiosità in proposito.

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i problemi relativi al consumo di tali carni da parte dell'uomo. A partire dai primi anni '30 del secolo scorso, nacque la figura dello sperimentatore, attivo nei vari istituti di zootecnia e di ricerca e i vecchi medici veterinari tendevano a muoversi su un nuovo territorio di indagine sperimentale, di investigazione dei limiti fisici, del grado di sopportabilità, degli animali esposti a determinati stress alimentari e fu così che tra le tante pratiche sperimentate, le farine animali vennero via via arruolate, trasformando gli animali in inconsapevoli cannibali (cannibalismo alimentare). Dunque ciò a cui si voleva arrivare era la creazione di mangimi dotati della massima potenza nutritiva possibile e “una volta assoggettato il bestiame all'alimentazione forzata dell'uomo occorreva saggiare i limiti estremi cui ci si poteva spingere. Ma per un altro verso, in perfetta coerenza, si cercava di investigare sino a che punto si potesse portare il processo di artificializzazione della vita animale. Ridotto a macchina produttiva di carne e di latte, il bestiame doveva essere inserito il più strettamente possibile nelle logiche, negli spazi, nei ritmi della più generale produzione industriale. ”40 Durante la prima metà del Novecento, l'intervento dell'uomo si fece sempre più massiccio e decisivo negli sviluppi dell'allevamento e dell'agricoltura, introducendo nuove pratiche di selezione delle razze e di riproduzione, fino ad arrivare in campo biotecnologico all'introduzione dei famigerati OGM (organismi geneticamente modificati). In campo tecnologico, invece, la “pappatoia” per allattare i vitelli, la “gaveuse” per ingozzare polli, l'introduzione della mungitura elettromeccanica e l'incubatrice per uova, rappresentano un ulteriore passo verso l'industrializzazione definitiva di tali processi, che un tempo potevamo definire naturali. I primi effetti nefasti risultarono evidenti sui polli che sul finire degli anni trenta, risultarono malati di encefalomacia nutrizionale causata da carenza di vitamina E, comunemente chiamata “pollo pazzo”(crazy chick disease) e nel 1938, alcuni polli risultarono incapaci di fare uova, a causa di una scarsità di calcio provocata dai metodi di allevamento, come ci testimonia uno zoologo dell'Università di Milano, citato da Piero Bevilacqua.41 L'allevamento dunque, al giorno d'oggi, “non è più nelle mani di semplice gente di campagna: negli ultimi cinquant'anni, l'ingresso nel settore di grandi società e l'introduzione di metodi di produzione basati sulla catena di montaggio hanno trasformato l'agricoltura in agro-industria (…) Le grandi società e coloro che devono sostenere la concorrenza, non sono certo interessati 40 Ivi p. 49. 41 Ivi p. 68.

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all'armonia fra piante, animali e natura. La loro è un'attività competitiva, e i metodi che si adottano sono quelli che riducono i costi e aumentano la produzione. Così” anche “l'allevamento è oggi allevamento industriale: gli animali sono trattati come macchine che convertono foraggio a basso prezzo in carne ad alto prezzo, e qualsiasi innovazione verrà adottata se porterà a un rapporto di conversione più conveniente”42.

3. L'Italia alle soglie del Secondo conflitto mondiale

Anche l'Italia, fu coinvolta in questo processo, durante gli anni che diedero il via al fascismo. Mussolini sogna e idealizza un paese fondato sulla piccola proprietà. “Questo perchè il mondo contadino appare gli occhi del duce più rassicurante rispetto a quello cittadino, in cui il proletario è più difficilmente controllabile, più consapevole del proprio peso politico, più organizzato”43 dopo la nascita delle prime organizzazioni sindacali, come la CGIL fondata nel 1906. Così con l'avvento della politica agraria del fascismo, si inaugura la stagione delle grandi bonifiche, dando origine a consorzi che godono di importanti finanziamenti statali. La pianura Padana e le paludi Pontine44, sono le zone maggiormente coinvolte nei processi di bonifica, e Mussolini dà il via ad una formidabile campagna di propaganda: “la battaglia del grano” interamente giocata sull'orgoglio nazionale e sull'autonomia produttiva, anziché industriale come si verificò in altri paesi

europei, che avrebbe dovuto “almeno nelle sue

intenzioni – mettere l'Italia al riparo dagli stenti in caso di guerra.”45 La battaglia del grano ha inizio nel 1925 e soltanto due anni più tardi, nel 1927, l'indice di produzione granaria sale a quota cento; favorendo di conseguenza anche settori industriali come quello meccanico e quello dei fertilizzanti legati alla produzione cerealicola. Così facendo l'Italia riesce a ridurre le importazioni granarie del 75% e, come non manca di notare Andrea Segrè nel suo Dalla fame alla sazietà, “c'è un rovescio della medaglia: l'insistenza sul grano e sui cereali modifica il paesaggio e vengono abbandonate altre coltivazioni per altro 42 Peter Singer, Scritti su una vita etica, p 79 L'autore continua analizzando i metodi utilizzati per allevare i vitelli da carne (vitella), sostenendo che tale tipologia è la più ripugnante dal punto di vista morale. Bevilacqua, in La mucca è savia, si sofferma maggiormente sui meccanismi dell'industria avicola. 43 A. Segrè, Dalla fame alla sazietà. 44 P. Bevilacqua, La terra è finita, p 172, in queste pagine l'autore da ampio spazio ai processi di bonifica che si susseguirono nell'età contemporanea in Italia, mettendo in risalto come la paura per la malaria e la necessità di aumentare la produzione interna ed il turismo locale, hanno giustificato selvagge ed indiscriminate opere di bonifica. 45 A. Segrè, Dalla fame alla sazietà, p 22.

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più remunerative. Insomma la battaglia del grano rappresenta una rivoluzione economica e di paesaggio, soprattutto nel Mezzogiorno, e in nome della cerealicoltura vengono persi per sempre dei terreni con vocazioni diversissime e anche molto antiche come uliveti, vigneti, agrumeti.” L'indipendenza granaria è l'ossessione di Mussolini ed il suo unico scopo diviene quello di aumentarne la produzione. Arrigo Serpieri, all'epoca sottosegretario al Ministero dell'agricoltura e delle foreste del governo fascista, non condivide pienamente la proposta del Duce, e si dice favorevole a lasciare all'imprenditore agricolo la facoltà di scegliere cosa coltivare in base alle richieste ed ai prezzi del mercato. Arrigo Serpieri conduce così la sua battaglia all'interno del partito, lottando contro il latifondo ed i grandi imprenditori agricoli; ma senza aggiungere altro possiamo facilmente capire che la sua sorte è segnata, in quanto la sua proposta fu abrogata e la speranza seppur timida di dare vita ad un'idea di competitività agricola fu abbandonata. Questo è quel male che ancora oggi attanaglia le società agricole e le realtà rurali, gestite da sindacati che ne stabiliscono i prezzi, impedendo a chi coltiva o ancor più a chi produce latte, una libera concorrenza sia sul piano economico che qualitativo. Solo ora, dopo un secolo, si iniziano a vedere pochi, ma almeno in grado di trasmettere un segnale positivo, distributori di latte fresco ed i veri contadini rimasti andare a fare i mercati nelle città, vendendo direttamente i loro prodotti cerealicoli, ortofrutticoli insieme alle carni ed ai latticini.46 Questo modello fascista ebbe numerosi effetti negativi sulle campagne, per non dire sulle mentalità, e nel sud Italia, ne fanno le spese i pascoli: “ben duecentonovanta mila ettari vengono convertiti in grano; in Sicilia, in Sardegna e in Puglia aumenta la coltura estensiva del grano senza che si riesca in nessun modo ad aumentare la produttività e senza neppure razionalizzare le colture.”47 Nonostante alcuni miglioramenti per le classi rurali, gli anni venti del secolo scorso videro gli italiani soffrire di una scarsa e incompleta alimentazione. Battaglia del grano a parte, proprio il pane resta il problema principale, e Andrea Segrè denuncia che “nel 1933 ogni italiano dispone soltanto di trecentottanta grammi di pane al giorno. Il pane bianco in tutta Italia rimane un

46 E' il caso dei Mercati della Terra organizzati da Slow Food nelle principali città italiane, o di alcuni centri sociali che concedono i loro spazi autonomi ai produttori. 47 A. Segrè, Dalla fame alla sazietà, p 23.

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privilegio di pochi, tanto non a caso la propaganda fascista si affretta subito a screditarlo. Al sud si ricorre a surrogati della farina di frumento ed il pane viene prodotto con una miscela di farina di lenticchie, di orzo e di cicerchie.”48 Ma anche questo non placa i palati della gente, che vede fame e denutrizione spargersi ovunque. Ecco allora la nuova marcia del regime, che bandisce e discrimina la pasta per incoraggiare il consumo di riso. E' questa l'Italia fascista che, ancora molto lontana dall'autosufficienza alimentare, deciderà di entrare in guerra nel 1940.

4. L'incontenibile avanzata post bellica

“Dopo la seconda guerra mondiale, le politiche agricole hanno permesso all'Europa occidentale di diventare ampiamente autosufficiente in derrate alimentari ed esportatrice netta di tali prodotti. La produzione cerealicola ha quasi triplicato grazie al miglioramento delle varietà, ai trattamenti fitosanitari e all'impiego quasi ottimale dei concimi”49 L'autore Piero Bevilacqua, attraverso queste righe mette in mostra l'ottimismo con cui una importante industria chimica norvegese accoglie i nuovi risultati e traguardi dell'agroindustria postbellica, e trovare voci che non siano in accordo con questa fotografia sembra essere quasi impossibile, ma mi impegnerò alla fine di questo lavoro a mostrare come questo non è assolutamente vero e le voci discordi ci sono ora e ci saranno sempre più nel nostro futuro che ci accingiamo a costruire proprio in questi anni, tra protocolli, battaglie politiche e ambientali. Come sottolineato nel Manifesto sul futuro del cibo di Slow Food, “la spinta crescente verso l'industrializzazione e la globalizzazione dell'agricoltura e dell'alimentazione mette in pericolo il futuro dell'umanità e il mondo naturale.”50 La seconda metà del XX secolo rappresenta, senza alcun dubbio, una “terza rivoluzione agricola”, per usare un termine dello storico francese Paul Bairoch, che ha visto correre al suo interno vasti e radicali processi di trasformazione tecnica e produttiva che hanno investito l'agricoltura e l'allevamento animale. Andrea Segrè definisce il Novecento, “il secolo che in agricoltura ha conosciuto più trasformazioni che non i duemila anni precedenti”. Tale rivoluzione è concentrata quasi completamente sull'incremento continuo della produttività e dei consumi, che

48 Ibidem p 24. 49 P. Bevilacqua, La mucca è savia. 50 http://www.slowfood.it

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potremmo intendere in maniera più vasta coinvolgendo l'intero mondo produttivo, se usassimo il termine consumismo e la famigerata sigla, tanto sentita e adorata, soprattutto in questo periodo di crisi, PIL.51 I risultati più clamorosi di tali trasformazioni possono essere ricavati da alcuni dati concernenti la produzione unitaria delle varie derrate agricole. Il grano, nelle campagne europee, escludendo da questa connotazione Urss e Polonia52, è passato dai 14,8 quintali ad ettaro del 1950 ai 43,6 del 1985; il mais da 12,3 quintali ha raggiunto i 55,6 quintali; le patate dai già consistenti 144,5 quintali ad ettaro si sono portate, nel corso di 35 anni, a 244,3 quintali. Le stesse produzioni zootecniche sono cresciute in dimensioni mai conosciute prima. E' aumentato infatti sia il numero degli animali in termini assoluti che la loro produzione di carne, latte, uova. I bovini, ad esempio, che in Europa occidentale ammontavano intorno ai 66.335.000 di capi nel 1948-52, si erano portati a circa 88.46.0000, i suini da oltre 34 milioni a oltre 86, i polli da oltre 369 milioni a oltre 727. Non meno significativo il salto di produttività di tale bestiame. Ad esempio, per quanto riguarda la produzione del latte, si è passati dai 2090 Kg di prodotto annuo per mucca del 1950 ai 3980 del 1985. Il numero dei maialini l'anno per ogni scrofa è passato dai circa 11 del 1946 ai 17 del 1976. Al tempo stesso, in coefficiente di conversione del foraggio in carne è aumentato: nel 1946 in Gran Bretagna occorrevano 5 Kg di mangime per produrre 1 Kg di carne suina; negli anni settanta questo valore è sceso a 3,5 kg. Per quanto riguarda il pollame, nello stesso periodo il mangime necessario per produrre 1 kg di carne è sceso da 3 kg a 1 kg.53 “Notevoli progressi” si verificano anche nell'incremento della produttività del lavoro, che grazie all'ausilio di nuove tecniche e tecnologie, come la mietitrebbiatrice54 o sempre più potenti trattori, le lunghe e faticose operazioni delle attività agricole vengono rese straordinariamente più rapide. Alle 400 ore impiegate dall'agricoltura tradizionale, per scavare un ettaro di terreno alla profondità di 20 cm con attrezzi a mano, e alle 30 impiegate da strumenti trainati da un cavallo, ne bastavano solo 5 con un trattore di 25 cv.55 Sottolineo in questo frangente che queste tecniche, volte a facilitare il lavoro dei contadini, non 51 Prodotto interno lordo, in inglese GDP (Gross Domestic Product), è il valore complessivo dei beni e servizi prodotti all'interno di una nazione in un certo intervallo di tempo (generalmente l'anno) e destinati ad usi finali (consumi finali, investimenti, esportazioni nette) 52 Per approfondire la transizione agricola est-europea, risulta utile soffermarsi sul capitolo Dopo Berlino, che il prof. Segrè, dedica all'argomento, nel suo testo Dalla fame alla sazietà. 53 Dati citati da Piero Bevilacqua ne La mucca è savia, p 70 54 Già utilizzata in America, sin dai primi anni del 1900. 55 Piero Bevilacqua, continua riportando altri dati relativi alle meccanizzazioni del lavoro agricolo, tra cui i tassi di occupazione nei vari paesi europei.

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devono essere condannate tout court, ma ciò che va condannato è il loro uso volto a rendere intensivo il metodo di produzione. Tutto questo ha portato la prosperità alimentare e l'abbondanza nelle case della popolazione europea, e allargando il quadro potremmo affermare che queste due realtà riguardano tutto l'Occidente, ma escludono più di ottocento milioni di uomini, donne e bambini che abitano i paesi poveri, i cosiddetti paesi in via di sviluppo.”Eppure” denuncia Segrè “l'odierna produzione agricola mondiale potrebbe nutrire almeno 12 miliardi di esseri umani, il doppio della popolazione che attualmente abita il nostro pianeta”56 Teniamo ben distante la prosperità e l'abbondanza dalla qualità e da ciò che è bene e buono per la salute del consumatore, poiché a questi due fenomeni si accompagnano altri fattori che sono tutt'altro che salubri e che analizzeremo più in dettaglio nelle pagine seguenti: inquinamento dovuto allo sfruttamento delle risorse energetiche non rinnovabili, malattie derivanti da cibi contaminati, obesità causate da un errata dieta etc. Con le parole di Bevilacqua possiamo tornare al nostro discorso:”Il successo incontestabile dell'agricoltura industriale è legato a un continuo, sempre più estremo processo di artificilizzazione della vita biologica, che innalza la soglia di rischio dell'impresa economica e della salute del consumatore, trasforma la qualità in quantità massificata e scadente, richiede un consumo crescente e dissipatore di energia esterna quale mai si era verificato in alcuna epoca del passato. Dunque, non è in discussione quanto è stato realizzato, ma il come e il che cosa.”57 Risulta pertanto chiaro e non necessita di alcun altra spiegazione che il rapporto uomo-natura esposto nelle pagine iniziali, sia venuto completamente a mancare, e ciò che sosterrò nelle prossime pagine, è il perché siamo giunti ad un punto cruciale, nel quale le primarie attività dell'uomo sono divenute letteralmente e di fatto INSOSTENIBILI.

5. Analisi dei rapporti di causalità

Che cosa ha favorito questo processo? A questa domanda non è possibile rispondere semplicemente chiamando in causa lo sviluppo e la diffusione di mezzi agricoli sempre più potenti, perchè tra gli agenti fondamentali di questa crescita mostruosa della produttività, vanno citate pure: ”l'introduzione di nuove e più produttive varietà di semi – e di razze selezionate negli 56 A. Segrè, Dalla fame alla sazietà, p. 179 57 P. Beilacqua, La mucca è savia, p. 74.

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allevamenti zootecnici – l'uso di diserbanti chimici selettivi e di pesticidi (e) l'impiego crescente di concimi chimici.”58 Inoltre vanno incluse tra queste ragioni le continue acquisizioni di conoscenze, tecniche e scientifiche, ed il radicale mutamento di mentalità avvenuto nell'uomo e, mi duole dirlo, negli agricoltori, poiché la tecnica colpe non ne ha, essa altro non è che un mero mezzo nelle mani dell'Homo sapiens, il cui uso o abuso può dare origine a numerosissimi risultati, alcuni disastrosi come in questo caso ed altri di enorme beneficio. Utilizzando le parole citate da Serge Latouche ne “La Megamacchina” possiamo affermare che: “La tecnica, come il progresso è ambivalente nei suoi effetti . Ogni progresso (…) comporta due ordini di conseguenze: quelle facilmente prevedibili e deliberatamente ricercate; quelle che non sono state volute e che si presentano inaspettatamente”59; ma aggiungerei che tali conseguenze indirette talvolta sono prevedibili esattamente quanto quelle dirette. Unico vero vantaggio dovuto alle tecniche impiegate in questo campo, è dato dal notevole risparmio di tempo, di fatica e di mano d'opera. In termini di produttività agricola, a partire dal 1910, possiamo constatare un considerevole aumento del rendimento del grano: “In Spagna, ad esempio,(...) da 9,4 quintali a 22,8 quintali ad ettaro del 1985. In Italia si passa dai 9,6 quintali ad ettaro ai 28,8 del 1985 (…) in Gran Bretagna, dai 21,4 ai 66,7 (…) in Germania dai 18,5 ai 57,9 (ed in) Francia dai 13,2 a1 57,3”. fatta eccezione della Francia che vede aumentare la propria produttività di circa cinque volte, gli altri paesi si assestano su un incremento pari al triplo della cifra di partenza. Ma per renderci conto di cosa è avvenuto su quelle terre, risulta necessario dare un'occhiata anche ai consumi dei fertilizzanti fondamentali, azoto, fosforo e potassio. Dunque: “In Germania, ad esempio, tra il 1913 e il 1985 l'impiego dei concimi in kg è passato da 47 a 427(...); in Gran Bretagna da 26 kg si è passati a 358(...); in Francia da 18 kg a 301(...); in Italia, da 10 kg a 172(...) e infine in Spagna(...) da 4 kg a 82.”60 Risulta pertanto importante sottolineare che tali concimi chimici sono prodotti e lavorati industrialmente, o ottenuti per via sintetica come l'azoto, e perciò grazie all'impiego dell'energia fossile del petrolio, altamente inquinante e non rinnovabile. “Essi altro non sono che che il trasferimento di risorse energetiche sottratte alla Terra una volta per sempre e impiegate nel

58 Ibidem. 59 Serge Latouche, La megamacchina, p. 72 il paragrafo intitolato “L'ambivalenza:il prezzo da pagare.” 60 Piero Bevilacqua, La mucca è savia, p. 76.

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processo di produzione agricola.”61 Uno studio condotto per la prima volta nel 1973 da uno scienziato americano, David Pimentel, calcolò il consumo energetico totale impiegato nel processo di produzione del mais negli Stati Uniti, dal 1945 al 1970. Questo studio, svegliò la popolazione dal sonno dogmatico di un'agricoltura come creatrice di energia a buon mercato. Per incrementare di circa il doppio la produttività del grano, fu necessaria la tripla quantità di energia. Da quel momento in poi venne messo in luce che “il progressivo sprofondare dell'agricoltura dei paesi industrializzati da settore produttore netto di energia in consumatore deficitario di tale risorsa”62 Il deficit energetico risulta ancora maggiore se si prendono in considerazione frutteti coltivati in questo modo, negli Stati Uniti all'inizio degli anni '80 si calcolava che per produrre 1 kcal di mele occorrevano 2 kcal di energia, e la quantità di kcal saliva a 3 per produrre sempre 1 kcal di arance. Per quanto riguarda l'allevamento animale, i dati sembrano ancora più paradossali: “Per 1 kcal di pollo da arrosto occorrono 19 kcal di energia sottoforma di mangimi, per la carne di maiale ben 65 per ottenere 1 kcal in termini di proteine.(...)Per 1 kcal di energia proteica ricavato dalla carne di bue occorrono ben 122 kcal di energia in mangimi per animali.”63 Dunque possiamo affermare che in questi cinquant'anni, il triplicarsi della produzione animale destinata alla macellazione è stato ottenuto moltiplicando per dieci volte la massa di energia impiegata. Ai nostri giorni tale posizione dissipativa, su cui si sono posizionate le attività agricole, appare sempre meno sostenibile. Tutto ciò non succede nelle piccole realtà contadine ancora esistenti, dove per ogni kcal investita è possibile ricavarne, da un minimo di 13 volte superiore ad un massimo di 65 volte. E' il caso di alcune piccole realtà, purtroppo in via di estinzione presenti sopratutto in Cina, India e Sud America. Questo è il punto cui fa capo la proposta di Carlo Petrini, il quale afferma che siamo ancora in tempo per far sviluppare realtà simili, sopratutto nella nostra Europa, prima che qualsiasi conoscenza relativa a queste pratiche vada persa per sempre. Oggi l'agricoltura è solo industria, essa consuma il 15 % dell'energia mondiale ed è la terza causa principale dell'effetto serra, dopo produzione di energia elettrica e polluzione. Oltre all'enorme quantità, difficilmente misurabile, di sostanze chimiche che si va accumulando nel terreno, “è stato inoltre calcolato che gli allevamenti, a causa delle deiezioni prodotte dagli

61 Ibidem 62 Ibidem 63 Ivi p. 80.

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animali, ammassati in gigantesche concentrazioni, producono il 16% del metano che si sprigiona nell'atmosfera ogni anno”64. Tutto questo risulta comprimibile in un mondo fondato su microeconomie locali, dove ciò che si privilegia è la qualità e non la quantità, il rispetto dell'ambiente, la salute e pure il futuro dell'intera specie, umana e non. Agricoltori e allevatori sono ridotti ad anello intermedio e subalterno dell'industria chimica a monte e delle grandi catene di distribuzione a valle, e ciò che il nostro Carlin65 chiede loro, è di uscire da questo anello e scommettere su un futuro nuovo dell'agricoltura, rispolverando i rapporti di reciprocità tra l'uomo e la natura, investendo le proprie conoscenza e le proprie forze nei confronti di tutto quel patrimonio, legato alla tradizione, alla cultura e perché no, alla tecnica prima che esso vada realmente perso in modo definitivo.

6. Cosa si può fare?

Alla luce dei fatti nefasti causati dalle pratiche agricole, possiamo affermare che la profezia di Justus Von Liebig, il quale sosteneva che “ormai è soltanto grazie alla chimica che l'agricoltura farà dei progressi”, è andata via via avverandosi, in quell'Europa industrializzata del XIX secolo. Il chimico tedesco giunse a questa conclusione durante i suoi studi sulle proprietà dell'humus, accorgendosi che tale sostanza era essenzialmente composta da poche sostanze chimiche, facilmente riproducibili e commercializzabili. Agli inizi del XX secolo, ebbe il via quasi ufficialmente la critica all'agricoltura industriale, sviluppatasi in Europa e negli Stati Uniti. Ehrenfried Pfeiffer66, nel 1938, scrisse un testo intitolato “La fécondité de la terre”, nel quale metteva in risalto come ai vistosi incrementi nella produzione lattifera, portavano con sé numerosi rischi per la salute delle vacche, come la sterilità, il dilagare degli aborti, l'indebolimento degli organi sessuali, la diffusione di streptococchi, causati dall'alimentazione

64 A. Bevilacqua, La Terra è finita, p. 77. 65 Soprannome dato a Carlo Petrini dalla stampa. 66 scienziato tedesco, nato a Monaco nel 1899. Emigrato negli Stati Uniti nel 1940, prosegue i suoi studi in chimica e nel 1956 diviene professore di Nutrizione. Morirà a Spring Valley, New York, nel 1961

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intensiva67. Il lavoro di Pfeiffer, risulta ancora più importante sul piano strettamente agricolo, dove la critica all'agricoltura industriale si fa radicale e afferma che “Un terreno agricolo (…) non può aumentare senza limiti la produzione. La sua capacità produttiva non si trova in diretto rapporto con la concimazione. Un terreno agricolo è anch'esso un essere vivente, in quanto tale sottoposto alle leggi del mondo organico.”68Dunque non basta concimare il terreno, per ottenere una produzione ottimale, essa dipende da numerosi fattori, tutti fondamentali, che vanno dalle sostanze organiche contenute nel sottosuolo, sino al clima, all'ombreggiatura, la vicinanza o l'assenza del bosco. Ciò che Pfeiffer svolge è un richiamo della scienza alla complessità della vita, aspetto fondamentale a cui la pratica agricola non può sottrarsi e continua affermando che l' ”agricoltore non ha a che fare soltanto col suo terreno, con la sua semente. E' collegato a un ampio processo vitale”69 e ogni forzatura, che sorpassi i suoi limiti, non farà altro che provocare gravi alterazioni all'ecosistema, sconvenienti anche dal punto di vista prettamente economico. L'uso di concimi chimici e minerali non fa altro che provocarne un continuo e notevole incremento, causando di conseguenza un progressivo indurimento dei terreni, distruggendo nel giro di pochi anni, la quasi totalità dei microrganismi presenti al suo interno. E' il caso della micorriza, ovvero quell'associazione simbiotica tra fungo e pianta superiore, che permette alla radice di nutrirsi, “un po' come noi abbiamo bisogno delle mani per mangiare”.70 I problemi crescenti che l'agricoltura industriale andò causando nel corso del XX secolo, spinsero un numero maggiore e sempre crescente di studiosi a cercare strade alternative, più rispettose degli equilibri naturali e delle dinamiche proprie della vita organica, usando un termine moderno le chiameremmo eco-compatibili. Da queste riflessioni presero il via le prime pratiche agricole, come l'agricoltura biologica in Germania , la permagricoltura71,una versione ancora più radicale che contesta qualsiasi intervento di modificazione del contesto naturale in cui si svolge l'attività agricola o gli studi condotti con grande interesse sull'humus in Francia. Negli anni cinquanta, alcuni medici veterinari e agronomi si accorsero che le carenze di oligoelementi nel terreno erano la causa di una sempre maggiore diffusione di patologie tra gli animali e disturbi tra gli uomini.

67 Per approfondire l'argomento ed avere una panoramica completa ed aggiornata dei rischi dovuti all'allevamento intensivo, si veda Liberazione Animale o i primi capitoli di Scritti su una vita etica di Peter Singer. 68 Pfeiffer, La fertilità della terra, p 15 69 Ivip 16 70 N. Joly, La vigna, il vino e la biodinamica. L'autore definisce i diserbanti un formidabile imbroglio commerciale. p 43. 71 Tale pratica è in fase di studio tuttora, e un giapponese di nome Masanobu Fukuoka ne è il rappresentante. M. Fukuoka, La fattoria biologica, Agricoltura secondo natura.

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Tutto questo stava dando origine a nuove forme di produzione sane, compatibili con gli equilibri naturali. Fu così che negli anni settanta, l'agronomo francese André Birre riscoprì il valore fondamentale dell'humus e le sue proprietà intrinseche. Si scoprì infatti che esso favorisce la ritenzione e circolazione dell'acqua e dell'aria nel suolo, permette l'assorbimento dei raggi solari, conferisce al terreno una maggiore stabilità, costituisce una riserva di sostanze azotate e carbonate, favorisce lo stoccaggio dei minerali indispensabili alla crescita dei raccolti. In effetti studi recenti hanno confermato queste proprietà dell'humus e la sua conservazione “costituisce un valore economico difficilmente stimabile per la molteplicità di vantaggi sistemici che fornisce l'attività agricola, in termini di risparmio di energia, di acqua, di protezione dalle gelate, di superiore qualità dei frutti, di più agevole lavorabilità del terreno, di conservazione della fertilità, di salubrità delle piante e dell'ambiente circostante.”72 Quest'insieme di vantaggi è da sempre conosciuto nel mondo contadino, da infinite generazioni e solo oggi è stato sommerso dalle pratiche dissipative dell'agricoltura industriale. L'uso massiccio di fertilizzanti e concimi chimici richiede una quantità sempre maggiore di energia non rinnovabile per la loro produzione. Sopratutto per la produzione di azoto si calcola, ad esempio, che per produrre un quintale di questo elemento, occorrano 5 quintali di carbone. Tale elemento gratuitamente reso disponibile dalle leguminose, è sempre più presente nei sottosuoli della terra, diventando così un agente di distruzione della vita biologica. Questo è un vero e proprio paradosso, in quanto tale elemento è alla base della vita delle piante e non è mai stato prima d'ora, la causa della loro morte. Già nel 1984, la World Bank ammise nel World Development Report di quell'anno, l'esistenza della prova che il prolungato uso di fertilizzanti chimici può far diminuire la fertilità del suolo.73 Per lungo tempo l'agricoltura ha conservato elementi di continuità con il passato ed un certo grado di equilibrio, nonostante i crescenti processi di ammodernamento tecnico-produttivo che l'hanno investita. Sopratutto le aziende agricole di medie dimensioni, presenti nei Paesi europei, hanno conservato alcune pratiche fondamentali alla salvaguardia del sottosuolo, come la concimazione organica mediante il letame del bestiame abbinata a concimi chimici. Ma anche questo sta andando via via perdendosi, ed anche nelle realtà più piccole dove l'agricoltura la fa ancora da padrone, iniziano a verificarsi i primi danni causati dai residui delle lavorazioni agricole. A farne le spese sono sopratutto le riserve idriche, come le falde acquifere, i 72 Piero Bevilacqua, La mucca è savia, p. 91. 73 http://www.worldbank.org/ sono disponibili on-line anche i rapporti, tra cui quello del 1984.

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laghi o i fiumi, che vengono contaminati da nitrati, fosfati e azoto. Tale contaminazione è alla base di gravi danni alla salute degli animali e degli uomini; non è un caso che anche nelle mie campagne vadano proliferandosi devastanti effetti cancerogeni, distruggendo famiglie e uccidendo persone. Torniamo a noi, dunque: per rendere efficaci le concimazioni è fondamentale l'utilizzo dell'acqua. Oltre che ad irrigare, l'acqua svolge un ruolo fondamentale anche nel permettere alle piante di assumere le sostanze concimanti; così ecco che l'agricoltura industriale avrà bisogno di una quantità sempre maggiore di acqua. Tale risorsa il cui uso è cresciuto del 350% a livello mondiale dal 1950 alla fine del secolo, con il 73% impegnato in agricoltura, sta diventando la risorsa più preziosa del nostro pianeta, indispensabile al nostro presente e al nostro futuro. “Così la pratica agricola è al centro di questo insostenibile paradosso: è la maggiore consumatrice delle risorse idriche mondiali, ed è la principale fonte di avvelenamento delle medesime”74 Ancora una volta ci troviamo ad affermare che l'uso dei concimi minerali ha innalzato i costi di produzione ed ha gettato le agricolture contemporanee in una situazione sempre meno sostenibile. Inoltre tale uso ha incentivato gli agricoltori ad abbandonare le comuni pratiche di rotazioni agrarie. Tale pratica millenaria fu messa a punto e perfezionata da migliaia di generazioni di coltivatori, e l'alternarsi continuo delle coltivazioni favoriva la protezione dalle patologie infestanti; ma in un'ottica di intense produzioni e aumento della produttività, tutto questo risultava di intralcio. Le rotazioni75, come ben sapevano gli agricoltori, non servivano solo ad alternare piante depauperanti con piante che arricchiscono il terreno, ma anche a sopprimere specifici parassiti, sostanze acide ed ormoni che si generano intorno alle singole colture, e ad impedire la proliferazione di erbe infestanti. Sostituire tale pratica richiede un notevole incremento di agenti chimici che dispregiano i meccanismi della vita biologica ed innalzano il livello di artificializzazione e di rischio della vita agricola. Dunque le logiche stesse del lavoro meccanizzato, che si diffusero in Europa dopo la seconda guerra mondiale, portarono la vita agricola in una condizione sempre più artificiale. Così l'habitat 74 Piero Bevilacqua, La mucca è savia, p. 97 Per avere una panoramica completa della situazione idrica in cui ci troviamo, si consiglia di consultare il testo di Antonio Massarutto, L' acqua. 75 La tradizionale rotazione, chiamata Norfolk four-course, alternava grano, radici commestibili e trifoglio, consentendo tra gli altri vantaggi, di poter far convivere in una singola azienda vacche e ovini, in modo più che naturale.

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delle campagne andò via via rovinandosi per mezzo della progressiva scomparsa dei boschi intorno ai terreni agricoli e lo sviluppo della caccia prima, che ridusse la tradizionale presenza degli uccelli insettivori nelle campagne, poi con la diffusione delle monoculture, dei nuovi diserbanti e concimi chimici. Tali processi provocarono così una grave alterazione dell'habitat, intaccando la sua complessità biologica, causando l'annientamento degli insetti pronubi, gli unici in grado di prevenire le infestazioni dei parassiti. In Germania, l'agricoltura risultava, alla fine degli anni '80, la principale responsabile della diminuzione di specie viventi, sia animali che vegetali. Addirittura in Italia, abbiamo testimonianze ben più antiche di tale disastro; risale infatti ai primi anni '30 la testimonianza di Filippo Silvestri, il quale denuncia come l'agricoltura abbia “tolto dalla campagna i luoghi prediletti e necessari al riparo e alla nidificazione di tante specie di uccelli.”76 Alle coltivazioni, venne così meno la preziosa e gratuita protezione, derivante dai boschi limitrofi, dagli uccelli e dagli insetti, esponendo così tali terreni a parassiti sempre più agguerriti, numerosi ed infestanti. La salute delle piante e piantagioni è indissolubilmente legata alla vita biologica e alla fertilità del suolo, e questo fu notato e compreso sin dai primi studi condotti da agronomi biodinamici. Si arrivò presto a capire che l'azione dei concimi, oltre che distruggere lo stato di humus sui terreni, creò una nuova condizione di stimolo e di alimentazione al proliferare dei parassiti infestanti nelle colture. Risalgono al 193977, i primi studi che certificano come l'azoto, sia causa di un crescente sviluppo dei fitofagi78 nelle agricolture industrializzate. Per tutto il secolo si sono moltiplicati gli studi che mettevano in luce tale legame tra concimazioni azotate ed il proliferare dei parassiti, evidenziando come l'azione dell'azoto nel terreno verrebbe a bloccare alcuni oligoelementi, come per esempio il rame, alterando così la fisiologia delle piante e producendo effetti patologici (ipoglicemia, sterilità ecc) anche sul bestiame allevato con gli erbaggi ricavati da tali terreni. Gli effetti sugli animali raggiunsero conseguenze molto più gravi e dannose, come la possibilità che essi impazziscano, già prevista negli anni '30 da agronomi e veterinari olandesi79 La pericolosità dell'azoto divenne, nel giro di alcuni decenni, nota e fu utilizzato con più cautela. 76 F. Silvestri in un saggio contenuto in Uccellagione e piccola caccia. 77 E' importante sottolineare, che la produzione industriale dell'azoto ebbe inizio ben venticinque anni prima, il 9 settembre del 1913, nei laboratori tedeschi della BASF. Prese il via ufficialmente la “rivoluzione verde” servendosi appunto fertilizzanti azotati sintetici ottenuti dall'ammoniaca. Una breve storia di questo evento è presente nelle pagine di Balzani V. e Armaroli N., Energia per l'astronave Terra, p. 64. 78 Organismi che si nutrono delle cellule e dei tessuti dei vegetali, provocando danni più o meno gravi. 79 Piero Bevilacqua, La mucca è savia, p. 103.

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Ma gli ultimi cinquant'anni del secolo riservarono numerose altre sorprese a riguardo dell'azione degli antiparassitari di sintesi, i quali entrarono largamente in uso. Anche questo passaggio, ormai pare essere chiaro, non ha fatto altro che innalzare nuovamente la soglia di artificializzazzione della vita naturale, causando una sempre maggiore proliferazioni di parassiti, sempre più resistenti. Dagli anni cinquanta in poi, una varietà crescente di prodotti di sintesi è stata messa in commercio dall'industria chimica per fronteggiare crittogame80, funghi, acari, afidi81 e cocciniglie. L'impiego di tali armi trovò ben presto dei limiti crescenti nei fenomeni di resistenza e di mutazione dei parassiti. Una ricerca della OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha messo in evidenza come i pesticidi utilizzati per combattere i parassiti delle piante di cotone e tabacco, siano in grado di distruggere al tempo stesso i predatori naturali degli infestanti, sicché il risultato globale netto, è “alla lunga una minore protezione della pianta”, divenendo “la principale

causa

dell'avanzare

del

paludismo

e

dell'abbandono

della

strategia

dell'eradicazione”82. Ora risulta pertanto chiaro come gli antiparassitari di sintesi non uccidano i parassiti, ma li alimentino rendendoli invincibili; tutto questo non rappresenta altro che una vera e propria sconfitta per la grande scienza del Novecento. Piero Bevilacqua documenta questo processo, citando Francis Chaboussou83, i cui studi misero in luce come funghicidi, erbicidi e diserbanti generalmente a base di azoto, determinano una modificazione fisiologica nella pianta (trophobiose), che arricchisce i tessuti dei vegetali di amminoacidi e di glucidi, in grado di attirare potentemente gli insetti. Passando ad analizzare i dati, osserviamo che “nel 1957,(...) esistevano circa 25 specie di artropodi84 che risultavano resistenti ad almeno un tipo di pesticida. Nel 1980, secondo i dati della Fao, si stimava che il numero delle specie resistenti fosse salito a ben 430”.85 Ecco che si origina un circolo sempre più dominato dalla chimica, alla guerra si è risposto con la guerra, e risultano necessarie dosi sempre più massicce e potenti di pesticidi chimici. Ma i danni non finiscono qui, poiché nelle campagne vanno via via diffondendosi nuovi 80 Termine utilizzato nella classificazione di Linneo, per indicare piante prive di organi riproduttori visibili, come felci e muschi. 81 http://www.wikipedia.it Comunemente chiamati, pidocchi della terra sono una superfamiglia di Insetti fitomizi compresi nell'ordine dei Rhynchota 82 Riportato da Piero Bevilacqua in La mucca è Savia, p 104. 83 Direttore onorario di ricerca presso l' Institut National de Recherche Agronomique in Francia http://www.inra.fr 84 Animali invertebrati dotati di una struttura di base versatile e adattabile a diverse condizioni ambientali e stili di vita. Per approfondire si veda la voce Arthropoda in http://www.wikipedia.it 85 Piero Bevilacqua in La mucca è Savia, p 105.

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pestilenze, come le virosi, temibili infestazioni che si propagano rapidamente da pianta a pianta. Unica soluzione possibile a tali mali è la distruzione terapeutica delle coltivazioni. Nonostante questi dati di fatto, oggi nel mondo convive una vera e propria divaricazione del sapere che da un lato unisce gli economisti agrari, agronomi e chimici volti ad alimentare una cultura industriale dell'agricoltura; dall'altro un numero ristretto, ma fortunatamente sempre maggiore, di chimici, biologi, fitopatologi e talvolta pure filosofi, che mettono in luce le mostruosità cui l'agricoltura del nostro tempo ha dato origine. I primi non fanno altro che continuare a parlare di rendimenti, incrementi, espansione delle aziende e di quantità; i secondi “provano i guasti crescenti di una macchina produttiva impegnata nel muovere guerra a tutto ciò che è vita”86, proponendo soluzioni, talvolta parziali, per poter mettere un freno a questa distruzione globale. Tutto questo è frutto della settorializzazione mentale, che consegue alla sempre più spinta e separata specializzazione del sapere, in grado di dare soluzioni miopi dettate dall'immediato interesse produttivo. E oggi siamo a un vero e proprio cul de sac. I pesticidi si rendono sempre più necessari e richiedono un uso sempre più continuativo per poter salvare le piante dai mille e virulenti parassiti che le vogliono divorare. Le fragole rosse che arrivano sulle nostre tavole in qualsiasi periodo dell'anno, attraversando l'intero pianeta su aerei o navi, tanto per fare un esempio, ricevono oltre venti trattamenti chimici nel corso di una stagione, stesso discorso vale per tanti altri cibi, frutti e non solo. Samuel Cogliati, nel suo testo Champagne, mette in evidenza il come ed il che cosa succeda ai vigneti della celeberrima regione francese, raccontando un breve aneddoto sulla questione che narra come la regina Elisabetta II, sia rimasta stupefatta dalla visita alle terre coltivate, e si sia promessa di non voler più bere Champagne, parlando di quei vitigni come di un vero e proprio scempio87…potrebbe essere proprio questo il motivo che la tiene in vita ancor’oggi. Battute e aneddoti a parte, è importante notare ancora una volta come i pesticidi per sé non rappresentino un invenzione malefica degli uomini, tanto che da parecchi secoli vengono utilizzati dai contadini per difendere i loro raccolti da parassiti e ratti (è il caso del neem difeso da Vandana Shiva88); ma ciò che risulta sbagliato è il loro impiego indiscriminato. I pesticidi infatti oggi rappresentano il prodotto di una “scienza dai bassi orizzonti, brutalmente 86 Ibidem 87 S. Cogliati, Champagne. Il capitolo intitolato “L'agricoltura negata” p 25, l'autore non manca di notare come quelle pratiche siano diffuse anche in altre regioni francesi di particolare interesse, come la Borgogna e via discorrendo. 88 Vandana Shiva, Il mondo sotto brevetto, p. 57 nel paragrafo chiamato il furto dei pesticidi naturali, l'economista indiana racconta la storia di questo pesticida nato dalle mani dei contadini.

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strumentale, priva di lungimiranza, che non è stata capace di prevedere gli esiti di lungo periodo del loro impiego”89. L'unica cosa che fu presa in seria considerazione, furono i notevoli interessi economici, sopratutto delle grandi multinazionali produttrici, le quali sulla base di ben 1500 principi attivi, diedero vita e commercializzarono circa 40.000 sigle e sul finire del secolo scorso, l'esportazione mondiale dei pesticidi, in forte crescita, si attestava sugli 11,4 miliardi di dollari90. Ciò che risulta chiaro è che la tendenza mondiale va in una direzione ostile alla salute del pianeta Terra, e come posso testimoniare personalmente, anche le piccole aziende italiane rimaste, non fanno altro che espandersi, in modo da aumentare la produttività, distruggere l'ambiente ed il futuro dell'umanità che inconsapevolmente distinguono dal loro. Forse è importante ricordare che tali sostanze non sono innocue neppure per gli uomini, un caso eclatante è dato dal Ddt, altamente cancerogeno, non più distribuito ma comunque ancora prodotto in Europa, e venduto ai paesi in via di sviluppo. Fare l'agricoltore seguendo queste logiche industriali, al giorno d'oggi, è divenuta una delle attività più pericolose per la salute umana.91 Il fatto che i rischi per la salute vengano talvolta sottovalutati è dovuto alla difficoltà con cui si possono stabilire nessi di causalità diretta; ma recentemente, è risultato essere chiaro il “ruolo inquitante che hanno sulla nostra salute i cosiddetti Pop (persistent organic pollutants) come le diossine e i Pcb capaci di entrare nella catena alimentare e persistere nell'ambiente con durata e ampiezza insospettate.”92 Tante altre volte, tali rischi vengono sottovalutati, poiché ciò che viene sottovalutato in primis, sono gli stessi processi di inquinamento. “E' il caso, ad esempio, della comparsa dell'atrazina – un diserbante chimico - nelle falde acquifere di molte aree della pianura padana, dove l'agricoltura chimica celebra i suoi maggiori trionfi.”93 Tale sostanza come è noto, impiega 240 giorni a scomparire dal terreno, ma come è altrettanto noto, essa non fa altro che scendere lentamente nella falda acquifera, contaminandola, e causando gravi danni alle persone che poi la berranno in seguito. Nel 1983, ad esempio, l'Economic and social Commitee for Asia and Pacific dell'ONU calcolava fra 400.000 e 2 milioni il numero degli agricoltori avvelenati da pesticidi su scala mondiale. “Delle 426 sostanze chimiche elencate dal ministery of agricolture, fisheries and food usate in Inghilterra come ingredienti di pesticidi, 164 sono state ritenute cancerogene, causa di impotenza, di effetti genetici alla nascita ecc. Nel 1986 il National Cancer 89 Piero Bevilacqua, La mucca è savia, p 108. 90 http://www.worldwatch.org in questo sito potete trovare diverse informazioni e dati a riguardo delle tematiche trattate. 91 P. Bevilacqua, La Terra è finita, p 77. 92 P. Bevilacqua, La mucca è savia, p 109. 93 Ibidem

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Institute di quel paese, ha stabilito che gli agricoltori esposti agli erbicidi – specialmente al 2.4D – per più di venti giorni l'anno avevano una probabilità 6 volte superiore alla norma di contrarre un linfoma non-Hodgkin: un cancro del sistema linfatico.”94 La sorte dei vignaioli francesi della Champagne, non è da meno, infatti essi sono stati “prudenzialmente invitati a usare tute e maschere protettive quando trattano i vigneti. La categoria è tra le più colpite da alcune forme tumorali, come il cancro al cervello, con indici ben superiori alla media.”

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Inoltre la DDASS (Direction Départementel des Affaires Sanitaires et

Sociales) della Marne “ha lanciato un allarme senza equivoci sull'inquinamento della falda acquifera, imputabile tra l'altro all'uso trentennale di pesticidi: oltre il 50 % della popolazione del dipartimento beve acqua in cui almeno un pesticida supera i limiti di potabilità”.96 L’industria dello champagne è trainata da una promozione parallela di articoli apparteneti al mondo del lusso: profumi, barche, cavalli, alta moda. E come sottolinea Samuel Cogliati, in Champagne, il nome del colosso del settore, “Louis Vuitton Moet Hennessy, evoca senza mezzi termini questa promiscuità.” Questo gruppo ha bilanci in continua crescita e, riportando i dati esposti da Samuel Cogliati, “nel 2006 ha totalizzato, per i soli alcolici, vendite per 2.994.000.000 di euro e un risultato operativo di 962.000.000 di euro. Di questi, 59.900.000 euro di vendite provengono dal solo champagne, di cui gli Stati Uniti restano il primo mercato (31 per cento)”. Queste cifre da capogiro, mettono in mostra come siamo lontani da una logica produttivistica sana che rispetti la territorialità e l’ambiente.

94 Ivi p. 110. 95 S. Cogliati, Champagne, p 33. 96 Ibidem

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7. La questione internazionale dei brevetti nelle pagine di Vandana Shiva

Vandana Shiva, fisica ed economista indiana, dirige il centro per la scienza, tecnologia e politica delle risorse naturali di Dhera Dun in India. E’ tra i massimi esperti internazionali di ecologia sociale. Attivista politica radicale e ambientalista ha vinto il Premio Nobel Alternativo97 per la pace nel 199398. Ne “Il mondo sotto brevetto” affronta la questione apparentemente astratta della proprietà intellettuale che si sta trasformando in uno strumento finalizzato al saccheggio delle risorse naturali del pianeta da parte delle grandi corporations, con l’appoggio del WTO99 e delle grandi istituzioni transnazionali. Affronta così la questione dei brevetti, partendo dagli anni ‘80, quando due eventi fondamentali hanno trasformato radicalmente la questione in un problema di rilevanza cruciale nella vita di ciascun abitante della Terra. Il primo riguarda la decisione della corte suprema degli Stati Uniti di considerare il vivente, alla stregua di un invenzione, attribuendo all’ Ufficio Brevetti Americano100 la prerogativa di concedere brevetti sul vivente, il secondo è stata l’introduzione della questione dei brevetti e dei diritti di proprietà intellettuale nell’agenda dell’Uruguay Round del GATT101. Ad aprire la strada a questo tipo di brevetti fu l’oncotopo o “Topo di Harward”, usato in laboratorio per gli studi sul cancro102. La fine del XX secolo vide esplodere un grosso numero di brevetti su qualsiasi tipo di vivente dalle varietà vegetali alle conoscenze indigene, per arrivare sino a geni, cellule e proteine umane. I brevetti hanno così invaso il nostro mondo ed il nostro corpo. L’intenzione primitiva dei brevetti puntava a stimolare gli investimenti, il trasferimento di tecnologia fra nord e sud del mondo, la ricerca e l’innovazione consentendo agli inventori di rifarsi dei costi di ricerca e sviluppo. Purtroppo questi diritti di proprietà intellettuale sono stati utilizzati dai paesi industrializzati, e 97

http://www.rightlivelihood.org The Right Livelihood Award celebrates and supports people of vision. People who have ideas and apply them in concrete initiatives for the public good. They give hope for tomorrow, for a world in peace and balance. They demonstrate how we can overcome oppression, war, poverty, the destruction of our environment, and a widespread sense of meaninglessness and fear. 98 http://erewhon.ticonuno.it/riv/societa/shiva/vandana.htm 99 World Trade Organisation: for more info http://www.wto.org 100 US Patent Office http://www.uspto.gov/ 101 Acronimo di General Agreement o Tariffs and Trade. Per una definizione sintetica ed esauriente dei punti caldi di questo accordo internazionale si veda la definizione dell’enciclopedia on-line all’indirizzo: http://it.wikipedia.org/wiki/General_Agreement_on_Tariffs_and_Trade 102 Ottenne il brevetto, primo concesso ad un mammifero, il 12 aprile del 1988.

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soprattutto dagli Usa, per esercitare una smaccata coercizione politica, che provoca la distorsione del mercato, monopolizzandolo, favorendo inevitabilmente i profitti delle imprese. I brevetti incarnano così il conflitto fra diritti individuali e interesse pubblico, fra proprietà privata e benefici sociali, arrivando inevitabilmente a privilegiare gli interessi privati piuttosto che quelli pubblici.

7.1 La brevettabilità dei viventi: i rischi per le popolazioni e l'ambiente

I brevetti sugli organismi viventi impoveriscono la società umana, arricchendo poche grandi aziende (case farmaceutiche ed agro-alimentari), fornendo a chi li detiene un diritto esclusivo di invenzione e proprietà, che in questo caso, può impedire ad altri di produrre e conservare sementi, coltivare piante o allevare animali soggetti a tale normativa. Spiegando meglio, “ciò significa che se viene brevettato un gene, che verrà successivamente immesso in una pianta, per 20 anni tutte le generazioni derivate da quella pianta, tutti i procedimenti utilizzati per la sua produzione, e tutti gli elementi che la conterranno, saranno coperti da brevetto. Sarebbe facile dunque ottenere monopoli di intere filiere produttive: dal gene al seme, dai fertilizzanti ai pesticidi, fino ai prodotti finiti in vendita nei banchi dei supermercati.”103 Le tradizionali pratiche di coltivazione, raccolta e scambio delle sementi, sono trattati alla stregua di un furto, tanto che si arriva a definirlo “Furto di proprietà intellettuale”. Risulta così facile capire come, per molte comunità indigene, i brevetti rappresentano un vero e proprio furto che minaccia la loro sopravvivenza in quanto sementi e farmaci diverranno per loro inaccessibili. La conservazione e lo scambio di semi, oltre che essere semplicemente conservazione del plasma germinale, è anche salvaguardia della biodiversità e delle conoscenze ad essi relative. Oggi più che in ogni altro momento storico, questo è in grave pericolo e rischia di minare le popolazioni indigene in modo diretto. Attualmente in Europa e nel Regno Unito è vietato ai contadini scambiarsi semi non certificati ed altre varietà protette da brevetti. Concedere brevetti nel settore dell’agricoltura avrà parecchi effetti negativi; infatti incoraggerà il controllo monopolistico sul materiale vegetale da parte delle

103

A. Segrè, p. 97.

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multinazionali occidentali, aumenterà i prezzi delle sementi e dei prodotti da esse ricavati, incidendo sui consumatori ma anche sui piccoli agricoltori, che non riusciranno a sostenere questi costi; inoltre implicherà effetti indiretti su altre risorse naturali come la terra e l’acqua , che finiranno anch’esse sotto il controllo di queste grandi lobby industriali. Anche l’erosione della sicurezza alimentare, rappresenta una minaccia, in grado di creare dipendenza e trasformare il cibo in una potente arma nelle mani dei paesi industrializzati. Molte sementi geneticamente modificate sono rese sterili, in modo da impedirne lo scambio e la conservazione e richiedendo inoltre l’uso di prodotti chimici della stessa società detentrice del brevetto. E’ il caso delle Sementi prodotte da Monsanto104 che richiedono l’uso del Round-Up Ready, un potentissimo erbicida dell’omonima casa produttrice. Attualmente in sei paesi dell’Europa è possibile coltivare solo un tipo di mais geneticamente modificato, il MON810, resistente agli insetti, di proprietà della Monsanto, mentre sono stati bloccati tutti gli altri prodotti in via di sperimentazione, nonostante il disaccordo della comunità scientifica internazionale105. Le biotecnologie in campo vegetale si stanno così impadronendo dei mercati e della cultura della gente, arrivando a produrre veri e propri meccanismi in grado di permettere il raggiungimento del proprio scopo, come la tecnologia denominata “terminator”, la quale impedisce ai contadini di conservare le sementi, costringendoli ogni anno ad acquistarle presso la casa madre, dopo ogni ciclo di raccolto. E’ la prima volta che l’uomo crea un piano così pericoloso ed al tempo stesso “perfetto” per il controllo dei mezzi di sussistenza, delle scorte di cibo e persino della sopravvivenza del genere umano sul pianeta. Lo scontro che si determina è un conflitto tra agricoltori ed industria delle sementi, tra sfera pubblica e privata, e tra un’agricoltura che punta alla produzione di diversità ed una che produce sempre più uniformità. 106 Il business su cui puntano maggiormente le multinazionali dell'agroindustria per controllare il mercato, è proprio quello delle sementi. “In questo senso, a prescindere da ogni valutazione etica, salutistica o ecologica in merito agli Ogm, va detto che sono l'arma più subdola e potente 104 105

106

http://www.monsanto.com Nature, 13 December 2007, “Showdown for Europe”. In questo articolo viene attaccata la decisione del Commissario dell’Unione Europea per lo sviluppo, Stavros Dimas, il quale ha detto “NO” all’introduzione di altre di altre “GM crops” prodotte da Syngenta e Pioneer Hi-Bred. “The Future Of Food” Film-Documentario di Deborah Koons Garcia, Lily Films, USA 2004, nel quale la regista mette in mostra parecchi problemi causati dalla politica dei brevetti e dalle coltivazioni GM.

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di una strategia commerciale che vuole appropriarsi di tutta la filiera produttiva, a cominciare dal primissimo fattore della vita stessa: i semi per l'appunto.”107 Nel mondo attuale, i brevetti condizionano la vita quotidiana di tutti, dal contadino, che vede minacciato il suo diritto alla conservazione delle sementi, al consumatore, il cui diritto all’alimentazione ed alle cure mediche viene eroso dai monopoli sui brevetti, per giungere ai ricercatori stessi, i quali vedono limitato il proprio diritto a scambiarsi le rispettive conoscenze. I brevetti altro non sono che “vecchi strumenti forgiati in epoca coloniale”, ovvero le Litterae Patentes, lettere patenti, che servivano a legittimare la colonizzazione e a istituire monopoli sulle importazioni108. Agli occhi del Terzo Mondo, questi, appaiono ancora tali, come veri e propri strumenti di ricolonizzazione, dove l’obbiettivo principale è il controllo dei mercati e dei sistemi economici (neo-colonialismo).

7.2 La brevettabilità dei viventi: i rischi per la scienza e il sapere

Secondo Vandana Shiva, al giorno d’oggi la ricchezza delle nazioni non risiede più nelle proprietà terriere e nell’oro, bensì nel sapere; gli Usa decisero così di trasformare la proprietà intellettuale ed i brevetti nello strumento fondamentale per la propria crescita economica, per il controllo del commercio mondiale e dei mercati internazionali. “Lo squilibrio economico tra i ricchi paesi industrializzati e quelli poveri del Terzo mondo è il prodotto di 500 anni di colonialismo, della creazione e della conservazione di meccanismi atti a estrarre ricchezza dal Terzo mondo.”109 L’economista indiana continua la sua trattazione, riportando alcuni dati significativi: “I paesi industrializzati detengono infatti il 97% di tutti i brevetti del mondo. Nel 1996 gli Stati Uniti, hanno incassato 30 miliardi di dollari in royalties e licenze. Dall’altra parte, il sud del mondo ha speso 18 miliardi di dollari per acquistare tecnologia soggetta a brevetti.”110 Così il ruolo dei brevetti come formazione del sapere e stimolo alla creazione svanisce, 107

C. Petrini, Buono, pulito e giusto, p 56. Per una breve storia dei Brevetti si veda l’introduzione de Il Mondo Sotto Brevetto di Vandana Shiva, in particolare il paragrafo “Il ruolo dei Brevetti nella storia” p.13. La situazione europea, l'origine e l'uso dei brevetti, si vedano le pagine che Marco Ciardi dedica all'argomento in Amedeo Avogadro: Teconologia e Brevetti, pp. 63-71. 109 Shiva V., Il Mondo sotto brevetto, p 25. 110 Ivi p. 29-30. 108

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trasformandoli essenzialmente in un sistema per produrre entrate e non per generare o trasferire conoscenze. Dunque il “brevettare a qualsiasi costo”111, conduce alla cancellazione del sapere come impresa collettiva, e spinge gli scienziati ad abbandonare il fare pubblico per perseguire il profitto privato cancellando così “dodici mila anni di lenta selezione effettuata dai contadini (…) in soli cinquant'anni per inseguire fini commerciali.”112 La comunità accademica, cede il passo all’università finanziata dalle imprese113. Gli scienziati sono così subordinati a imprese commerciali e, come afferma il microbiologo E. Epstein114, lo scambio di idee e osservazioni tra colleghi ora non è più cosa naturale, in quanto incombe la paura di vedersi sottratta un idea o di veder trasformato il proprio lavoro in merce che porta benefici e denari ad altri. Lo sviluppo dei diritti di proprietà sull’informazione dotata di valore economico è parte integrante del benessere americano. Lo scambio continuo di idee e punti di vista è alla base dello sviluppo scientifico e tecnologico. Ora, come sostiene Vandana Shiva attaccando il ruolo dei brevetti, tutto questo carattere naturale della scienza viene qualificato come spionaggio e “l’assurdità del furto di proprietà intellettuale diventa ancor più grave nei casi in cui la proprietà intellettuale deriva da un originario trasferimento di sapere da sistemi non occidentali e indigeni alle corporations occidentali”. La legge sui brevetti indiana, dichiarava non brevettabili i metodi di orticultura, agricoltura e gli alimenti, “perché, da una parte, il 75% della della popolazione indiana dipende dall’agricoltura per la sopravvivenza e, dall’altra, la diffusione della povertà è tale che per molta gente il diritto all’alimentazione è assai limitato”115. Dal XX secolo è in atto il tentativo di estendere i brevetti a tutte le forme di vita e varietà biologiche, uomo compreso, e questo è frutto della rivoluzione industriale nel campo dell’ingegneria genetica, ossia della manipolazione delle forme di vita a livello del loro patrimonio genetico. Vandana Shiva racconta che tutto ebbe inizio nel 1980, quando la General Eletric e uno dei suoi dipendenti, Anada Mohan Chakravarty, richiesero un brevetto su un batterio geneticamente modificato, in grado di fagocitare il petrolio. Dunque la rimescolazione dei geni di questo batterio, divenne per la Corte suprema statunitense una “produzione umana”. 111

Ivi p. 32. 112 C. Petrini, Buono, Pulito e Giusto, p. 55. 113 Ivi p. 32, argomento affrontato anche dal Prof. Pancaldi durante la Lezione di “Storia Della Scienza B” del 20Nov 2007, mentre stava trattando alcuni punti caldi a riguardo del rapporto scienza e società al giorno d’oggi. (disponibile il programma dell’ insegnamento sul sito http://www.unibo.it) 114 Ivi p. 32. 115 Ivi pp. 38-39.

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Da allora gli USA si sono affrettati a concedere brevetti su ogni sorta di forma di vita. L’autrice continua così, sottolineando come a questo riguardo, “i genetisti hanno visto trionfare la pretesa secondo cui sarebbero loro gli “inventori” e gli “ artefici” degli organismi viventi in cui hanno introdotto un nuovo gene e possono perciò rivendicare su di essi un diritto di proprietà, con la possibilità di impedirne ad altri la produzione, l’uso e la vendita, a meno che non vengano pagate le dovute royalties al detentore del brevetto.”116 Così una volta ammessa la brevettabilità dei microbi, si giungerà inevitabilmente a brevettare e successivamente, anche gli animali. Istituendo, per mezzo dei brevetti, “diritti di proprietà” sul vivente, le imprese economicamente più potenti, possono trasformarsi nei nuovi “proprietari della vita”, così come fino a ora abbiamo avuto i proprietari terrieri; essi potrebbero chiedere il pagamento di una certa cifra per ogni seme sparso, per ogni medicina prodotta, per ogni molecola scoperta, grazie al dono liberamente accessibile della biodiversità naturale, che per generazioni è stata a disposizione di tutti. Tutto questo ha mutato il concetto di proprietà: in occidente è intesa come proprietà privata finalizzata al profitto, mentre nei paesi indigeni la proprietà è basata sulla titolarità del diritto usufruttuario, che in molti casi è detenuta dalla comunità intera. L’occidente industrializzato ha attuato un vero e proprio processo di “Biopirateria” nei confronti del sapere indigeno, tra cui le conoscenze della medicina ayurvedica, la produzione del Basmati (pregiato riso indiano) e quella del pesticida naturale Neem, ricavato da un arbusto da sempre definito in India “albero gratuito”. La concessione di Brevetti a questo tipo di conoscenze, viola le culture che le hanno generate e i diritti delle popolazioni che da secoli le adoperano. E’ proprio su queste ed altre motivazioni di carattere più generale, etico, filosofico ed economico che Vandana Shiva conduce le sue battaglie. La biodiversità sta così diventando “l’oro verde” o, tanto per usare un termine più carico di valenza politica, “il petrolio verde” per l’industria farmaceutica, biotecnologia e agroalimentare.

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Ivi p. 42. si veda inoltre Il Bivio Genetico di Gianni Tamino, p. 59 il paragrafo sulla Brevettabilità dei viventi e dei loro geni. Inoltre quest’ultimo testo è una lettura integrativa consigliata, in quanto affronta la problematicità di tutti gli aspetti che coinvolgono, scienza, salute e società nel vasto tema delle biotecnologie approfondendo in maniera esaustiva, parecchi argomenti trattati in questa relazione.

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8. Macchine da carne in garage

Vacche libere e felici Az. Agr. La Stella Alpina Langhirano –PrLe conseguenze di questa condizione estrema della vita agricola vengono pagate da tutta la popolazione, e solo i consumatori (coproduttori), attraverso le loro scelte libere possono porre rimedio o almeno un freno a queste barbarie, privilegiando un certo tipo consumi piuttosto che un altro. Risulta sempre più chiaro, che fu proprio dagli anni '50 in poi che in Europa si affermò tale modello di industrializzazione, e come risulta ormai facile da capire, esso investì anche l'allevamento. Ancora una volta, gli USA, fanno da battistrada, soprattutto per la pollicoltura, un mercato che cominciò ad espandersi già prima del secondo conflitto mondiale. Come abbiamo già descritto, nell'agricoltura si sostituiscono le tradizionali rotazioni con la coltivazione intensiva dei cereali, e da parte sua, l'allevamento diviene sempre più autonomo e indipendente da quest'ultima, trasformando le vecchie aziende in fabbriche di carne, e la pollicoltura fu la prima a pagare tali conseguenze. A dispetto delle malattie che continuavano a investire i pollai di grandi dimensioni, la spinta a proseguire in tale direzione venne dal mondo della chimica, farmaceutica soprattutto, pronta a sfornare antibiotici in grado di contrastare continuamente la mortalità all'interno dei pollai; successivi studi e sperimentazioni scoprirono come essi fossero in grado di contribuire ad accrescere la massa corporea dei soggetti d'allevamento. Nonostante queste prime scoperte fossero accompagnate da raccomandazioni alla cautela, esse pian piano scomparirono a fronte dei grandi interessi economici sviluppatisi con la crescita del mercato internazionale. L'innovazione in questo campo non si esauriva solo nel campo farmaceutico, essa fu frutto anche di severe selezioni delle razze, riducendo in modo drastico l'enorme varietà delle specie di volatili, e soprattutto tramite l'innalzamento degli standard di concentrazione degli animali in prefabbricati ad hoc. Restringere gli spazi di allevamento degli animali è fondamentale per

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innalzare la produttività.117 Man mano che l’allevamento diventava un ramo indipendente, esso puntava a restringere gli spazi di allevamento, favorendo l’innalzamento dei livelli di produttività. “Nell’allevamento dei polli (…) si è passati con facilità dai 4-5

soggetti

m 2 ad una concentrazione di 15-18, con la

costruzione per questi ultimi, non solo di gabbie a più piani, ma addirittura ricoveri in verticale.”118 Una volta trovata questa soluzione, i problemi causati dall’immobilità si risolvono più o meno facilmente grazie alla somministrazione di farmaci, e l’immobilità si rivela un vero vantaggio per le tasche degli imprenditori. I polli sistemati in queste gabbie, essendo impossibilitati a qualsiasi movimento, trasformano tutta la loro alimentazione forzata in ingrasso. Il gigantismo degli allevamenti è divenuto così un fenomeno comune che si è diffuso in tutta Europa, ed al giorno d’oggi in Gran Bretagna più della metà dei polli da arrosto sono tenuti in stormi di centomila o più volatili. Gli inconvenienti non tardarono a emergere; infatti l’obesità provoca nei polli due diversi effetti collaterali: la degenerazione grassa del fegato con rottura emorragica di questo organo e la difficoltà della covata causa di ovulazione addominale e di successiva morte. Il sovraffollamento invece è una delle principali cause di cannibalismo negli allevamenti, dato che questi animali, vengono privati del pascolo.119 Dai dati forniti dalla ASSALZOO emerge come l’uso di specifici mangimi, con aggiunta di additivi, siano in grado di promuovere il benessere dell’animale permettendogli di sfruttare al meglio il proprio patrimonio genetico e quindi dare la massima produttività.120 L’ex presidente di Assalzoo, Giordano Veronesi, parlando di polli afferma che “a 8 settimane si ottenevano 0,8 kg di peso, con un consumo di 5 kg di alimenti per ogni kg di incremento. Oggi, alla stessa età otteniamo oltre 2 kg di peso con un consumo di 2 kg di alimento ogni kg di incremento.” Nonostante questi dati risalgano ai primi anni ’90, il nuovo presidente di Assalzoo, Silvio Ferrari, eletto nel giugno del 2005, nelle sue relazioni afferma che la vendita di mangimi industriali per

117 Come certificano gli studi svolti da Moore nel 1946, il quale scoprì l’effetto “auxinico” della streptomicina nei pulcini, in La mucca è Savia di Piero Bevilacqua. Anche Peter Singer, in Scritti su una vita etica, testimonia questa pratica, usuale negli allevamenti. 118 Piero Beliacqua, La mucca è Savia. 119 Ivi p 114 120 http://www.assalzoo.it Associazione Nazionale tra i produttori di alimenti zootecnici. Nei documenti disponibili on-line, i mangimi vengono trattati come veri e propri carburanti in modo da poter sfruttare al massimo le potenzialità fisiologiche degli animali. Inoltre nei quaderni Assalzoo, è possibile trovare informazioni riguardo le sostanze nocive alla salute degli animali e dell’uomo.

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animali è in continua, seppur lieve crescita121. Ciò che aumenta è pure il consumo pro-capite di carni tra la popolazione, che in alcuni casi diviene vero e proprio spreco, ed in altri abuso. Un tale consumo, eccessivo e non razionale, non rispetta i principi di un alimentazione corretta e regolare, che dia importanza alla varietà alimentare.122 Dunque riducendo la quantità di mangime si aumenta la quantità di carne prodotta a rigor di logica un vero e proprio controsenso. E’ da notarsi che la riduzione della quantità di mangime non comporta invece una riduzione dei costi, in quanto gli animali privati della loro vita naturale sono vittime di un alto tasso di mortalità ed esposti ad un numero sempre maggiore di patologie, ognuna delle quali causata da una specifica tecnica d’allevamento. “Per ogni suino venduto sono stati coperti solo due terzi dei costi sostenuti per allevarlo”.123 Nella relazione del Presidente Silvio Ferrari al giorno d’oggi solo in Italia si producono 5198 tonnellate di mangime destinato all’avicoltura.124. Seguono a ruota i mangimi per bovini e suini, rispettivamente con 4175 e 3195 tonnellate, per un fatturato complessivo di 6.000 milioni di euro. Allevare è ormai una pratica totalmente separata dall’agricoltura e sempre meno aziende, di dimensioni sempre maggiori, sono presenti nel settore. Aziende di questo tipo hanno bisogno di ingenti quantità di energia, le quali sradicano tale settore dalla sua naturalità originaria rendendolo ostile all’ambiente. “L’accenno all’ambiente, in questo caso, non costituisce un elemento retorico di contorno. L’allevamento degli animali, infatti, (…) è diventato nel corso del tempo una industria altamente inquinante. E’ uno dei capovolgimenti più radicali rispetto al passato.”125 Il letame un tempo usato come fertilizzante naturale dei suoli, oggi con l’ingresso di una forte componente chimica nell’alimentazione animale, non può più essere utilizzato per tale scopo, in quanto altamente inquinante, pertanto diventa un pericoloso rifiuto da smaltire con apposite pratiche e precauzioni. Il letame al giorno d’oggi è una delle principale cause delle piogge acide, dell’inquinamento delle falde acquifere e dell’alterazione della composizione biologica del sottosuolo. Gli animali che vivono in questi ambienti vengono a trovarsi in uno stato fisiologico precario che richiede

121 Si veda la relazione del Presidente di Assalzoo, Silvio Ferrari in data 27 giugno 2006, tenutasi a Milano e quella più recente di Roma, il 19 Giugno 2008. Entrambi disponibili sul sito dell’associazione. Questo dato evidenzia come la vendita di mangimi continui a crescere nonostante i numerosi problemi evidenziati, causati da questo tipo di industria. 122 Bittman M., La Bistecca fa male alla terra, La Repubblica, 28 gennaio 2008. Anche Carlo Petrini affronta l’argomento in una articolo su Famiglia Cristina del 18 novembre 2007: Meno bistecche più giustizia. 123 In Zootecnia: Assalzoo, la situazione italiana è allarmante da http://foodweek.wordpress.com/2008/08/01/zootecnia-assalzoo-la-situazione-italiana-e-allarmante-agi/ 124 Dato relativo alla produzione del 2007 in Italia, tratto dalla Relazione del Presidente di giugno 2008. 125 Piero Bevilacqua, La Mucca è savia, p 116.

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una crescente medicalizzazione degli allevamenti.126 Questo ipersfruttamento, “ripugnante dal punto di vista morale”, tanto per usare le parole di Peter Singer, deve essere inteso come punto di partenza per un nuovo approccio alla natura, più solidale e decisamente meno utilitarista. “Nessuna società del passato, per quanto povera e ossessionata dalla fame, era riuscita a immaginare e realizzare l’inferno in cui oggi sono confinati gli animali un tempo detti domestici. Lo fa la nostra: la più ricca e prospera che sia mai apparsa sulla faccia della terra(…)”127 Alla natura e all’autonomia degli animali si sostituisce il veterinario ed i farmaci, in una dinamica che vede crescere i costi e al contempo i rischi. La mortalità negli allevamenti è un dato di fatto: In Italia la mortalità dei suini d’allevamento, si aggira sul 20%; nel Regno Unito muoiono circa 200.000 vitelli da latte l’anno per malattie legate allo stress; in Germania, solo due vacche su dieci raggiungono i sette anni. Scrofe da riproduzione vivono un terzo della loro vita media, le galline ovaiole invece un quinto. Gli animali che non muoiono sopravvivono in una condizione di patologia permanente, monitorata in continuazione da veterinari, oramai onnipresenti nelle stalle. “Oggi, infatti, gli animali non solo ricevono gli antibiotici negli alimenti – determinando com’è noto fenomeni di resistenza ai medesimi, nei consumatori di carne – ma una serie davvero non comune di alimenti chimici: appetitizzanti, coloranti, auxinici, sali minerali e vitamine, disinfettanti, addensanti, urea, aromatizzanti, antiparassitari ecc., senza considerare tutti i residui chimici legati alla concimazione minerale e ai diserbanti.”128 Tali condizioni sono alla base di un considerevole aumento delle patologie negli allevamenti, che vedono evolversi gli agenti infettivi più rapidamente dei mezzi dispiegati per combatterli, dando origine così a nuove patologie resistenti ai vaccini e ai medicinali, come la BSE, circovirus, salmonella DT104 ed escherichia coli. Anche la concorrenza dei mercati gioca un ruolo fondamentale nella decrescita della qualità dei prodotti, ed i metodi di produzione vengono tutti giustificati in vista del maggiore interesse. E’ da questa spinta competitiva che è nata la corsa all’uso di farine di animali morti, “in cui covava il prione della Bse. Questa malattia sconosciuta che è apparsa come un’infausta cometa sui cieli d’Europa forse è arrivata ad annunciarci che il limite estremo dell’allevamento industriale è stato toccato, e che ora occorre tornare indietro, cercare vecchie e nuove strade.”129 126 Ibidem. Per approfondire l’argomento ed avere una panoramica più completa su come vengano trattati gli animali negli allevamenti industriali, consiglio la lettura del testo di Peter Singer intitolato Animal Liberation. 127 Ivi p. 119. 128 Ivi p. 121. 129 Ivi p. 124.

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9. La crescita della domanda

Il periodo d'oro della chimica applicata al settore alimentare, risale alla seconda metà dell'Ottocento quando Justus Von Liebig inventò, oltre ai fertilizzanti, l'estratto di carne, Hyppolite Megè-Mouries la margarina, Carl Knorr le minestre in polvere, Rudolph Oeteker il lievito ed il nostro Francesco Cirio, le conserve: quest’ultima un’ idea così geniale che finì, nel vero senso della parola, nelle mani di Sergio Cragnotti. Prese così il via “la produzione industriale di cibo in vere e proprie catene di montaggio, il perfetto compendio che preludeva alla successiva industrializzazione delle tecniche agricole”130. Quando nel 1953, le trasmissioni televisive fanno il loro ingresso sulla scena nazionale, la TV è un mero oggetto di consumo occasionale con una programmazione settimanale di circa 15 ore. Il panorama sociale in cui si inserisce è difficile da identificare sotto un unico aspetto: la seconda guerra mondiale è da poco finita, si lavora intensamente per ricostruire il paese, l’economia è ancora largamente legata all’agricoltura e le famiglie sono per la maggior parte patriarcali, talvolta numerose e autosostenute da una propria economia contadina interna. Lo sviluppo tecnologico avvenuto in quegli anni ha prodotto via via un accelerazione ed un allargamento dei consumi che in poco tempo rese la TV protagonista del Boom economico. Infatti è solo con l’avvento di questo straordinario fenomeno che si può iniziare a parlare di un “consistente mutamento della realtà italiana”131. “E' l'Italia dei super mercati, l'Italia che va in Vespa, l'Italia della FIAT 500, delle vacanze di massa.”132 L'accelerazione industriale ha modificato gli stili di vita, i consumi, le mentalità, i salari aumentano e le condizioni economiche dei lavoratori migliorano. Anche la dieta degli italiani cambia e si fa più variata, ne è esempio la carne che inizia a comparire settimanalmente sulle tavole al posto delle frattaglie, mentre il pranzo domenicale conserva e per certo verso amplifica i suoi connotati simbolici. In questa Italia, non è più sufficiente “ piazzare un prodotto negli scaffali del supermercato: non basta più vendere. Il prodotto ha bisogno di essere comunicato, e prima ancora va pensato,

130 C. Petrini, Buono, Pulito e Giusto, p. 58. 131 A. Portincasa, La pasta come stereotipo della cucina italiana. 132 Ibidem

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studiato e poi costruito. Nasce una nuova disciplina, il Marketing agro-alimentare(...)”133. E’ in questo contesto che la pubblicità prende il sopravvento, si moltiplicano le affissioni, i manifesti e le pagine dei giornali che gli vengono dedicate. Contemporaneamente, nasce anche un programmino televisivo apparentemente banale e innocuo come “Carosello”. La sua struttura a teatrino, le sue brevi rappresentazioni formate da “pezzo” e “codino”, sono state in grado di contribuire a questo processo, diffondendo e divulgando nuovi modelli e stili di vita in una società molto arretrata se paragonata a quella d’oltreoceano o a quella di altre regioni europee. La RAI (televisione di stato) crea così uno “spazio rassicurante che permette ad una provinciale e un po’ ingenua realtà nazionale di entrare nel mondo dei consumi di massa”134. Questi anni segnano in modo decisivo un evoluzione in quasi tutti gli aspetti della vita sociale quotidiana, influenzando sia l’ambito pubblico che quello privato. In questa “rivoluzione copernicana” degli usi e costumi, è facile notare come la coltura alimentare ne sia a sua volta risultata “corrotta”. Uso questo termine perché è difficile non riconoscere che la comodità ed il “brand” abbiano preso il sopravvento sulla scena alimentare entrando a far parte delle abitudini. Una prima testimonianza di questo ci è fornita dalla pubblicità, andata in onda nel 1962, del “brodo Lombardi”. Attraverso la divulgazione del motto “Lombardi xe bon”, alla brava massaia che con tanta cura procurava le materie prime e con tanto amore attendeva la fine della lunga bollitura del brodo, si viene a sostituire un prodotto già pronto e secondo la pubblicità altrettanto buono, sano e genuino. Questo nuovo prodotto viene identificato dietro un “brand” (marchio) che da solo può dare parecchie informazioni convincendo e persuadendo il consumatore. L’importanza del marchio sta nel fatto che è in grado di informare sulla qualità e di giustificarne il prezzo di vendita. Il prodotto arriva a trasformarsi in un mito, capace di conferirsi chiarezza, naturalezza, eternità e semplicità, conducendo così le cose a “significare da sole”, come direbbe Roland Barthes135. Ne è esempio lo spot caroselliano della pasta Barilla dei primi anni Sessanta, durante il quale Albertazzi nel codino recita: “cedo la parola a Barilla”. La grande produzione e distribuzione assumono così il ruolo di garanti della qualità, 133 A. Segrè, Dalla Fame alla Sazietà, p 100, Nuovi prodotti e nuovi consumi. 134 Ibidem. 135 R. Barthes, Miti d’oggi, 1956.

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promettendo uno standard costante nel tempo. Una pubblicità ci informa anche a chi è destinato quel prodotto, indicandone il livello sociale e culturale. Di conseguenza il cibo “tende a perdere in sostanza e a guadagnare in funzione”136 . Alla figura del venditore di fiducia, si viene a sostituire quella del marchio che parla da sé attraverso la pubblicità e non ha bisogno di mediatori. Ciò che per parecchi anni è stato la norma ora diviene l’eccezione: il brodo se si fa, si fa solo alla domenica, mentre per gli altri giorni della settimana si compera già pronto; la spesa non si fa più presso i venditori ogni giorno, ma una o due volte a settimana nei supermercati. Tutti questi meccanismi un po’ alla volta soppianteranno l’intero sistema dei consumi alimentari. La spesa quotidiana portava con sé un margine di freschezza della merce, mentre la grande spesa settimanale, implica la conservazione dei prodotti, nel migliore dei casi con l’ausilio del frigorifero, mentre nel peggiore dei casi abbiamo i prodotti che si conservano da sé grazie all’azione interna dei conservanti137. Questo passo è decisivo nel crollo della genuinità dei prodotti che successive ricerche scientifiche, condurranno a condannare e bandire l’uso di determinate sostanze conservanti (è il caso della carne in scatola, di bibite, vini ecc). L'uso della chimica, si è poi rivelato talvolta troppo disinvolto, generando scandali alimentari, nuove malattie, e facendo perdere alla gente la memoria storica dei gusti, delle tradizioni e delle ricette stesse. Spesso il prodotto pubblicizzato e venduto su larga scala è reso anche più “buono” e più piacevole grazie all’ausilio di aromi e lavorazioni speciali, fatto apparentemente innocuo ma in grado di far perdere i sapori veri e tradizionali ai palati della gente, conducendo ad un omologazione dei gusti (es: vino, cioccolata ecc)138. Importanti sono anche le rivoluzioni avvenute nel mondo dei cibi per l’infanzia, come le farine lattee, gli omogeneizzati, oppure le merendine che hanno soppiantato i panini preparati con tanta cura dalle mamme per le pause scolastiche dei loro figli. La modernità si porta con sé, anche la voglia di comunicare qualcosa attraverso tutto ciò che diviene prodotto di consumo. E potremmo quasi affermare che con l’avvento delle gomme da 136

R. Barthes, Pour une psyco-sociologie de l’alimentation contemporaine. C. Petrini, Buono, Pulito e Giusto, cap II, paragrafo 2.2“della fisica e della chimica ovvero delle tecniche per ottenere i sapori”. Inoltre lo stesso tema è trattato e approfondito nel capitolo III, nel quale viene affrontato da prima il discorso del “Buono” e successivamente quello del “Pulito”. Un elenco completo dei conservanti con i possibili rischi da essi derivati è disponibile alla pagina web: http://www.cibo360.it/alimentazione/chimica/additivi/conservanti.htm 138 Ibidem 137

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masticare, in grado di dare carisma e fascino all’uomo che le mastica, i bisogni primari sono talvolta sostituiti dagli “status symbol” come liquori di prestigio, la grappa Julia o quant’altro. Al di là di ogni rischio è innegabile come per gli italiani, il cibo abbia spesso agito da “medium privilegiato per la trasmissione di valori”139 in questo modo per comunicare gusto e agiatezza si possono appendere quadri alle pareti oppure tenere in casa distillati particolari come il brandy Senior Fabbri o la grappa. Così la pubblicità non si limita più solo a presentare prodotti, bensì suggerisce stili, sentimenti e sensazioni, intromettendosi nelle abitudini giornaliere della gente. Dietro a questa visione, si nascondono dati che confermano il cambiamento di direzione che si svolse; infatti se nella prima metà del ‘900 per poter sopravvivere una famiglia spendeva il 70% della propria rendita, già nel 1950 si passa al 46,6% e negli anni successivi questo dato va via via diminuendo sino alla soglia del 10/25 %. Questo fatto ci fa notare che le dinamiche sociali sono cambiate e che la concorrenza, l’aumento dei salari, l’organizzazione del lavoro hanno condotto ad una riduzione drastica dei costi giungendo necessariamente sino alla standardizzazione del prodotto e alla bassa qualità. Esempio calzante di questo degrado è il crollo della produzione manifatturiera del Marsala Florio che fu travolto dai prodotti a basso costo, frutto del processo industriale, in grado di produrre “un qualcosa che costava si poco ma che era tutto tranne che marsala”140. Nella moderna struttura di vendita, scompare la figura tradizionale del cliente e si afferma la figura del “compratore anonimo e massificato nelle scelte”141. La pubblicità arriva così a condannare la piccola distribuzione,di qualità, riducendo al minimo il rapporto umano tra commerciante e consumatore, sopratutto negli anni Sessanta, quando prende il via la grande distribuzione e la conseguente nascita della prime catene di supermercati. Non solo la qualità dei prodotti ne paga le conseguenze, ma anche l'ambiente, i piccoli produttori e la salute umana. L'agricoltura stessa muta radicalmente trasformandosi in imprenditoria agricola, che fa dei terreni e delle bestie d'allevamento, vere e proprie macchine da soldi. Il mondo del vino fu il primo, durante gli anni settanta ad intensificare i suoi metodi produttivi, ma fu anche il primo a capirne gli svantaggi e i danni provocati all’ambiente. Non è un caso che 139 140

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A. Portincasa, La pasta come stereotipo della cucina italiana. A. De Bernardi, lezione di Storia Contemporanea del 14-III-2007, durante la quale venne affrontato il tema dell’industrializzazione italiana tra il 1951 ed il 1971. De Bernardi parla di come il diffondersi del processo industriale muta e travolge le forme arcaiche di produzione (manifatturiera) citando direttamente l’esempio del Marsala “Florio”. F. Ferrarotti, La Creazione del cliente.

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dagli anni novanta in poi, un numero sempre maggiore di viticoltori decide di staccarsi dalla grande distribuzione e riconvertire le lavorazioni sui terreni. E’ il caso del già citato Nicholas Joly, dei Fratelli Filippi in Soave, della famiglia Maule e di tanti altri piccoli produttori che hanno ridato importanza alle diversità presenti nelle loro uve provenienti da vitigni autoctoni.

10. La crescita dell'offerta

Crescita della domanda e crescita dell'offerta van di pari passo, ma ben presto grazie all'ausilio delle nuove tecniche e tecnologie, la seconda supera la prima, causando così veri e propri disastri, come spreco, abbassamento della qualità dei prodotti, inquinamento e rifiuti. L'agricoltura industriale aveva risolto nei paesi occidentali, un problema millenario: l'autosufficienza alimentare delle popolazioni. Gli straordinari progressi tecnici, insieme al sostegno pubblico – in Europa è stata particolarmente efficace a tal fine la Politica agraria comunitaria (Pac) – hanno portato ben presto le agricolture dei paesi ricchi a un eccesso di produzioni. Nel corso degli anni Ottanta, nella comunità europea fu introdotto il sistema delle quote latte, con il preciso intento di abbassare la produzione, o comunque di contenerla. Tale strumento tipico delle economie socialiste, prevede un tetto prefissato (una quota di produzione) e chi va oltre deve pagare una penale. In tal modo si cercò di ridimensionare la produzione di latte in tutti i paesi della CEE. In questo modo il reddito degli agricoltori, veniva comunque garantito e la comunità si impegnava a ritirare il latte in eccedenza trasformandolo poi in burro e in latte in polvere. “Dopo anni di multe non pagate, almeno dall'Italia, nel '96 il vaso del latte era davvero colmo: quando l'Unione Europea inizia a richiedere il pagamento delle multe chiedendo anche gli arretrati, esplode la rabbia del mondo agricolo.”142 E guidati da Giovanni Robusti, gli agricoltori, portano la famosa mucca Ercolina, in giro per le piazze d'Italia, presidiano i palazzi della politica e conquistano tutte le prime pagine dei giornali. I risultati ottenuti furono esigui poiché di fatto, l'Italia alla fine dovrà pagare le multe, ma tutto questo “mise a nudo un mondo (e un sistema) che prima era in qualche modo sconosciuto.”143

142 A. Segrè e A. Grossi, Dalla fame alla sazietà. 143 Ivi p. 138, per avere informazioni sui recenti sviluppi della questione si veda il sito http://www.giovannirobusti.org/sito/

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Le logiche produttivistiche volte all'incremento della produzione, portano con sé altri problemi, da un certo punto di vista molto più gravi delle problematiche burocratiche delle quote latte. L'alterazione del suolo per scopi produttivi è infatti antica quanto la stessa storia degli uomini, ma il punto in cui siamo arrivati oggigiorno non ha mai conosciuto pari nei secoli precedenti. Tale fenomeno, denominato erosione, ha avuto origine in seguito alla privazione di molti territori del loro originale manto forestale, attraverso le opere di bonifica e disboscamento. Terreni sottoposti a questi stress ambientali, son divenuti via via più sensibili agli estremi del clima, in particolare quello nostro, mediterraneo, caratterizzato da estati torride – con conseguenti fenomeni di fratturazione delle rocce e del suolo – e inverni rigidi, caratterizzati da intense precipitazioni, con effetti dilavanti sugli strati incoerenti del terreno e soprattutto sui suoli in pendenza. Frane, smottamenti e allagamenti, diventano così sempre più all'ordine del giorno, è proprio di questi tempi la notizia balzata su tutte le testate giornalistiche, delle gravi frane che hanno interessato la Calabria e reso ancora più difficoltosa la percorribilità della Salerno-Reggio Calabria. Esaminando la situazione mondiale, gli esempi si moltiplicano e talvolta si ingigantiscono.144 Il fenomeno della perdita di suolo fertile, oltre ad essere in parte causato da fenomeni naturali, come uragani, eruzioni vulcaniche o indietreggiamento della costa per l'avanzare del mare, è principalmente causato dall'intervento dell'uomo sull'ambiente, ed ancora una volta un ruolo fondamentale è giocato dalle pratiche agricole, che attraverso l'uso di pesanti trattori (soprattutto nelle aree collinari) e di ripetute concimazioni chimiche che privano il suolo del suo naturale humus, accelerano così i processi di instabilità e di dilavamento. Agricoltori a parte, ciò che contribuisce in maniera disastrosa a sottrarre suoli al nostro pianeta, è anche il grave fenomeno della cementificazione, figlia anch'essa di logiche di mercato insostenibili. Una volta che si produce tanto, l'imperativo da seguire è proprio quello di vendere tanto, compito attribuito ai grandi centri commerciali, i quali crescono ora come un tempo crescevano i funghi, trasformandosi in veri e propri ecomostri, talvolta grazie al riciclaggio di denaro sporco. Ecco allora che nelle periferie delle città e tra i campi della mia pianura Padana, sorgono vere e proprie costruzioni mastodontiche “ad alta entropia”, come le definirebbe l'economista rumeno Nicholas Georgescu-Roegen.

144 Per approfondire l'argomento si vedano le pagine 58-70 di P. Bevilacqua, La terra è finita. Sugli incidenti avvenuti in in Calabria, le notizie si possono trovare sui siti http://www.repubblica.it oppure http://www.corriere.it

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E' il caso di Cremona e Desenzano, tanto per citare due realtà a me care e vicine, circondate da una miriade di questi ammassi enormi di cemento, che consumano ingenti quantità di energia e danno lavoro a migliaia di persone, precarie naturalmente! Questo fenomeno è andato via via diffondendosi durante il secolo scorso, nonostante le varie denunce che si sono susseguite nel corso degli anni, da “il ragazzo della via Gluck” di Celentano in poi. A ciò logicamente, si accompagna un aumento della polluzione, causata dalle macchine agricole che lavorano la terra e dai trasporti delle merci prodotte, sempre alla ricerca di nuovi mercati. Tutto questo causa la produzione di sempre più ingenti quantità di rifiuti, nella maggior parte dei casi tossici, dunque difficilmente smaltibili, favorendo così i profitti delle associazioni mafiose (Ecomafie).145 A pagarne i conti più salati è il mare, il quale è diventato luogo di discarica di rifiuti altamente inquinanti, addirittura radioattivi come nel 1949, quando i paesi europei, riversarono sul fondale dell'Atlantico contenitori sigillati di scorie a bassa e media intensità. Da sottolineare anche i disastri causati dai naufragi e dagli incidenti delle petroliere. Un notevole contributo all'inquinamento dei mari è dato dai fiumi che vi sfociano. In Italia per esempio, la rete fluviale anziché apportare protezione e vita alle acque marine, da decenni ha continuato a scaricare veleni. “A cominciare dal nostro (…) Po, il quale attraversa un'area intensamente industrializzata e raccoglie gli scarichi molteplici, diffusi, incontrollati, di un'agricoltura intensiva fondata sulla chimica. E' stato calcolato che il Po, scarica nell'Adriatico il 40% di tutte le acque reflue del territorio italiano”146 danneggiandolo fortemente. Le alte concentrazioni di fosforo e azoto, scaricate in mare, determinano infatti estesi fenomeni di eutrofizzazione, favorendo così la proliferazione di alghe che impediscono la vita di pesci e flora. Non solo il Po è in questa condizione, bensì la gran parte dei fiumi della penisola. Ad impedire la vita dei pesci ci pensa anche la pesca stessa, che per poter far fronte ad una domanda sempre crescente, ha industrializzato le proprie pratiche, soprattutto grazie all'impiego di strumenti sofisticati, come l'ecoscandaglio, l'impiego di chilometriche reti che raschiano il fondo del mare, e veloci imbarcazioni a motore. Anche in questo campo, l'incremento esponenziale si è registrato a partire dagli anni Cinquanta, e “la vastità delle risorse disponibili

145 A tal proposito risulta utile ed efficace la lettura delle pagine, che Roberto Saviano in Gomorra, dedica all'argomento. Per quanto riguarda invece le tematiche legate alla costruzione delle discariche, si vedano le pagine che V. Balzani dedica all'argomento (NIMBY) in Energia per l'astronave Terra. 146 P. Bevilacqua, La terra è finita, p. 185.

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ha assicurato per un paio di decenni una crescita vertiginosa del pescato complessivo”147, portando a terra circa tre miliardi di tonnellate di pescato. Lo squilibrio crescente fra potenza dello sfruttamento e tempi naturali della riproduzione, non ha tardato a mettere in luce i suoi limiti, creando fenomeni di impoverimento delle risorse marine. Non è un caso che sui banchi delle pescherie, si trovino sempre più tonni rossi e sempre più piccoli! Per fronteggiare tale saccheggio e far fronte alla crescente domanda, si è ricorsi a pratiche di acquacoltura, una tecnica molto antica che permette di allevare il pesce in appositi siti marini o di acqua dolce, per favorire la rinascita e lo sviluppo delle realtà naturali. Risulta a questo punto evidente, il fatto che potremmo aprire un' altro vasto capitolo al riguardo, ma ciò che mi sta maggiormente a cuore è come l'esaurimento dei mari, non sia un caso isolato, in quanto questo modello agroindustriale, queste logiche di produzione e consumo, vanno via via esaurendo anche tutte le molteplici risorse finora utilizzate e sfruttate. Il deficit energetico, ora non è più un rischio, troppo tardi, esso è già divenuto un vero e proprio problema reale e percepibile. Oggigiorno l'agricoltura convenzionale ha intrapreso un percorso assai difficile e insostenibile, divenendo di fatto petrolio-dipendente. Essa come abbiamo visto, occupa il 25 % dei suoli della Terra, impiega oltre il 70 % delle risorse idriche mondiali, le inquina, riduce la biodiversità, impoverisce i terreni e cancella culture, usi, costumi, sapori e gusti. L'energia solare in passato è stata il perno su cui si reggeva l'agricoltura, “tanto il lavoro dei contadini che quello degli animali era reso possibile dalla fotosintesi clorofilliana, generata dal sole, che dà vita alle piante ed è quindi alla base tanto dell'alimentazione umana che di quella animale.”148 Il sole, fonte inesauribile e rigenerabile di forza svolgeva un ruolo di prima importanza nello svolgimento di qualsiasi pratica agricola, ma oggi non è più così. L'agricoltura industriale fa sempre più ricorso a energie di tipo fossile,

non rinnovabili e altamente inquinanti, per

alimentare i suoi bisogni massicci di forza motrice. Il consumo di energia fossile investe ormai qualsiasi stadio della produzione agricola, dalla semina alla commercializzazione dei prodotti, dal raccolto alla cucina. Per quanto riguarda l'allevamento, si calcola che “per allevare una mucca di 5 quintali è necessaria una spesa energetica pari a 6 barili (circa 1.000 litri) di petrolio; per produrre 1 kg di 147 Ivi p. 105. 148 Ivi p. 101.

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carne di vitello occorrono 7 litri di petrolio.”149 Così un settore che per secoli rappresentava un produttore netto di energia, sotto forma di calorie di origine animale e vegetale, negli ultimi decenni è diventato un settore che consuma più energia di quanta ne produce. Dal 1952 ad oggi, “i consumi energetici nell'agricoltura industrializzata sono aumentati del 70 %, ma la produzione alimentare è cresciuta solo del 30 %”.150 La crescente richiesta di risorse, è causa anche di numerosi problemi sociali e politici, come le proteste per la costruzione di dighe o centrali nucleari. E' il caso del lago d'Idro, sulle prealpi bresciane, che ogni estate vede ridurre notevolmente il suo livello, tanto che è nata un associazione chiamata “Salviamo il Lago”151, in difesa di tale bene naturale e contro la possibile costruzione di una diga a scopo irriguo.

11. Un futuro sostenibile è più che possibile Semina Cambiamento Coop IRIS BIO Calvatone -CrDa dove cominciamo a costruire il nostro futuro? La risposta a questa domanda potrebbe essere secondo alcuni, dal ponte sullo stretto di Messina, secondo altri dall'agricoltura biologica e da una sana rilocalizzazione dell'economia. Ebbene sì, è giunto il momento di seminare cambiamento152; la crisi della mucca pazza, dei maiali alla diossina, delle acque non potabili, delle verdure belle ma non buone, il cambiamento climatico, l'inquinamento, l'effetto serra ci hanno fatto conoscere l'assurdità di allevamenti e pratiche agricole industriali. Così grazie ad alcune minoranze, anche se sempre più consistenti di agricoltori, si sta diffondendo un modello nuovo legato al rispetto del territorio, dell'ambiente, degli animali e delle tradizioni. Si diffonde così l'agricoltura biologica, biodinamica e organica, un nuovo modo di coltivare la terra e allevare gli animali, che era stato teorizzato da esigue avanguardie a partire dagli anni Venti del XX secolo, divenuto oggi un modello economico di

149 Balzani V. e Armaroli N., Energia per l'astronave Terra. 150 P. Bevilacqua, La terra è finita, p. 101. 151 http://www.salviamoillagodidro.it/ Anche il testo di P. Bevilacqua, La Terra è finita, dedica spazio alla questione delle risorse idriche italiane e dei problemi legati alla costruzione delle dighe. 152 Tale dicitura è tratta da un murales, sulle mura di un Azienda Bio, IRIS BIO, di Calvatone -Crhttp://www.irisbio.com

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successo. Un pubblico crescente apprezza e sceglie le produzioni biologiche e l'Italia vanta alcune realtà che rappresentano un vero e proprio fiore all'occhiello, facendola divenire un leader mondiale nel settore. L'agricoltura biologica153 bandisce i concimi chimici, i pesticidi e i diserbanti. Grazie a sempre più avanzati studi entomologici, infatti, sono stati individuati e allevati nelle biofabbriche i vari insetti utili nella lotta ai parassiti. Al momento opportuno questi ultimi sono immessi nei campi per fare l'opera che prima era affidata ai pesticidi chimici, proteggendo così le piante, senza inquinare l'ambiente, aiutando la natura a ristabilire gli equilibri danneggiati da decenni di guerra chimica, e soprattutto ottenendo prodotti più sani, più saporiti dalle elevate proprietà organolettiche. Naturalmente il successo dell'agricoltura senza chimica dipende anche da molti altri fattori, come il rispetto per la biodiversità naturale, le rotazioni agricole, il mantenimento di cespugli e macchie per la vita degli uccelli e degli insetti utili.154 “Ma essa non rappresenta un passo all'indietro, non è l' agricoltura della nonna, anche se recupera dal passato conoscenze che sono il risultato di millenni di sperimentazioni contadine. Al contrario, tale pratica è il risultato di una scienza più raffinata di quella violenta e riduzionista che ha ispirato sinora l'agricoltura industriale. Essa, infatti, consapevole che i prodotti finali di tali attività non sono cuscinetti a sfera o componenti dell'automobile, ma gli alimenti per gli esseri umani, stabilisce un rapporto più equilibrato e meno invasivo tra tecnica e natura, tra manipolazione e mondo fisico”155 L'Agricoltura biologica, rappresenta il corrispettivo agricolo di una fase superiore al processo di civilizzazione. Il fine proposto da tale pratica è il prodotto genuino, buono, pulito e giusto. Essa per altro non è una un agricoltura per ricchi, molto spesso le aziende biologiche hanno costi di produzione inferiori rispetto alle aziende convenzionali, in quanto svincolate completamente dai brand e dalle grandi distribuzioni. Decidere di destinare una somma di denaro a cibi di qualità è un fatto bioeconomico. Il denaro viene così da noi investito direttamente sulla nostra salute e sulla salute dell’intera biosfera. Attraverso le nostre scelte di consumatori, favorire un certo tipo di consumi, favorisce necessariamente lo sviluppo ed il rafforzamento delle piccole economie locali. Tutto questo non fa altro che mutare in modo radicale anche il mondo dell’agricoltura conducendo a salvaguardare la biodiversità e mantenere in salute il nostro territorio che in fin dei 153 Trattiamo tale termine in senso ampio, includendo anche l'agricoltura biodinamica e organica. 154 Per avere una panoramica completa dei benefici ricavati dall'inerbimento dei vitigni, si veda Champagne di S. Cogliati. 155 P. Bevilacqua, La terra è finita, p. 103.

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conti è territorio di tutti. Spendere il denaro in modo intelligente, privilegiando un certo tipo di consumi piuttosto che un altro, i vantaggi saranno parecchi, non solo nostri ma dell’intera umanità odierna e futura. “In questo modo (…) il consumatore consapevole è un coproduttore, partecipa anch'egli al tipo di produzione degli alimenti. Con la sua scelta coopera al benessere generale.”156 Dunque, arrivati a questo punto, risulta chiaro come il produrre sia un atto gastronomico ed il mangiare sia un atto agricolo. I danni provocati dall'uomo alla terra, sono in gran parte imputabili ai moderni sistemi di produzione agricola, pertanto risulta necessario ricucire il legame esistente tra gli uomini e la terra. “Mai come oggi, ciò che mangiamo assume valenza politica” tanto per usare le parole di Vandana Shiva, e scegliere quotidianamente di cosa nutrirsi è un azione che ci rende complici dello stato in cui si trova la terra, oggi e domani. Il gastronomo157 “deve sapere di agricoltura, perchè vuole sapere del suo cibo e perchè vuole favorire i metodi agricoli che salvaguardano la biodiversità, i sapori e i saperi a essa connessi.” 158 Dunque agricoltura e gastronomia sono parti della stessa famiglia, e dove collochiamo l'ecologia? Usando le parole di Carlo Petrini, “Ci tengo a ripetere che un gastronomo che non abbia conoscenza ambientale è uno stupido”, logicamente vale l'affermazione contraria, che recita: “un ecologista che non sia anche un po' gastronomo è un personaggio triste”159. Così la proposta di Petrini arriva ad identificare una nuova disciplina che lega inseparabilmente queste componenti, ovvero l'agroecologia, poiché chi coltiva e alleva, lavora con la natura e non può sfruttarla e ucciderla. Le coltivazioni biologiche, non sono sostenibili se praticate su estese monocolture, ciò che va ristabilita è l'armonia della Natura. Le monocolture non sono mai esistite sulla faccia della terra, la biodiversità è il vero perno su cui si regge tutto l'ecosistema. “Agricoltura ed

ecologia devono essere una cosa sola dunque, ed entrambe sono

gastronomia.”160 Capire il come, il dove ed il perchè un cibo venga prodotto, è fondamentale per poter salvaguardare l'ambiente e la biodiversità. L'obbiettivo a cui la nuova agroecologia tende è la produzione di cibo nel miglior modo possibile, ovvero il più sostenibile. In un epoca in cui gli scambi si moltiplicano in ogni direzione e la complessità aumenta, “il commercio sembra essere diventato la nuova divinità in cui credere: alla convenienza di consumare un cibo piuttosto che 156 Ivi p. 104. 157 Attraverso gastronomo, voglio identificare tutti gli uomini , in quanto tutti gli uomini mangiano quotidianamente, e compiono scelte legate al cibo. 158 C. Petrini, Buono, Pulito e Giusto, p. 63. 159 Ivi p. 64. 160 Ibidem.

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un altro, storicamente legata a fattori geo-climatici, si sono sostituite via via le regole di mercato”161 “La politica occidentale dei sussidi alle quantità prodotte ha da un lato messo in ginocchio le economie più povere e dall'altro ha di fatto finanziato la distruzione del pianeta. (…) Per anni il risultato è stato quello di finanziare una produzione di bassa qualità che doveva costare il meno possibile senza riguardo per la bontà del prodotto. Il modello agricolo industriale è stato strenuamente difeso nonostante si fosse rivelato da tempo insostenibile(...)”162, è stato inoltre esportato, inducendo i paesi più poveri a inseguirlo e causando ingenti danni alla biodiversità e alle culture tradizionali. Tale modello è da rifiutare in modo assoluto, ciò che deve emergere è un nuovo mercato fondato sulle microeconomie locali, che rispetti tutti i diversi modi di produrre, dando pari dignità a ogni forma produttiva, al fine di abbandonare quelli più deleteri per l'umanità salvando quelli buoni che hanno ancora molto da insegnare. Ribadisco in questo contesto e a questo punto del discorso, che la scelta del nostro cibo, svolge un ruolo assoluto per il perseguimento dei fini proposti, ed inoltre rappresenta quanto di più potente e comunicativo abbia in mano ciascuno di noi. La scelta di che cosa acquistare e consumare, in questo mondo dove conta soprattutto il profitto, è il primo atto politico forte che possiamo compiere.163 Dunque, come sostiene Petrini, “ricercare il buono è il primo mezzo che abbiamo per promuovere una produzione del cibo pulita e giusta, ossia sostenibile”164.

12. Le potenzialità delle microeconomie locali

Appurato che tutti gli aspetti della nostra vita materiale dipendono dall'energia, la nuova sfida consiste nello scoprire come utilizzarne il meno possibile e quali consumi eliminare. Rilocalizzare l'agricoltura e renderla il più possibile indipendente da fonti di energia non rinnovabile, è il primo passo verso un futuro pulito e sostenibile. Rilocalizzare le economie non significa cadere nella trappola del protezionismo, ma semplicemente essere coscienti che trasportare le merci da un capo all'altro del pianeta non è sostenibile. Oggi troviamo al supermercato mele cinesi, arance cilene, 161 162 163 164

Ivi p. 68. Ivi p. 70. Tematica espressa nella parte finale del film-documentario di Deborah Koons Garcia, The future of food. C. Petrini, Buono, pulito e giusto, p. 87.

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fagioli egiziani, fragole palestinesi, kiwi neozelandesi: tutti questi prodotti che possono essere coltivati in Italia e invece li “facciamo arrivare da altri continenti, consumando enormi quantità di combustibili e scaricando nell'ambiente milioni di tonnellate di anidride carbonica e inquinanti:il prezzo nascosto della nostra insensata golosità fuori stagione.”165 Dunque il primo passo spetta al consumatore, che deve rendersi conto di essere un coproduttore, imparando a scegliere ciò che meno inquina l'ambiente. Rispettare la stagionalità, la naturalità e la provenienza dei prodotti potrebbe rappresentare un buon inizio, evitando pertanto di farci perdere la memoria delle nostre tradizioni locali. Per poter giudicare la sostenibilità dei prodotti alimentari, bisogna infatti conoscere le conseguenze ecologiche che comportano le azioni svolte nel passaggio dal campo alla tavola. “Bisogna chiedersi se un alimento è sano e sicuro, se è stato prodotto per soddisfare le esigenze di chi lo consuma (il buono sostenibile), se la sua produzione e trasformazione assicurano posti di lavoro e giusti mezzi di sostentamento (il giusto sostenibile).”166 L’opera di rilocalizzazione deve ridar luce ai piccoli consorzi e alle piccole attività (es. caseifici, cooperative) ora dismesse, ma un tempo funzionanti, presenti nei piccoli paesi della pianura Padana. Parlando con alcuni anziani del mio paese, mi feci raccontare del consorzio agrario e del piccolo caseificio che esisteva in Isola Dovarese: “Eravamo un piccolo paese, ma avevamo aziende agricole modello, il consorzio offriva a tutti la possibilità di utilizzare i macchinari agricoli, ed il caseificio dava lavoro e permetteva la lavorazione diretta del latte del nostro territorio favorendo un consumo locale… Poi le cose sono cambiate, gli agricoltori iniziarono a comprarsi i loro trattori e le loro macchine agricole, facendo gara tra chi aveva la possibilità di comprarlo più grosso degli altri. Il caseificio fu fatto fallire, anche qua la sfida consisteva in chi riusciva a mischiare la maggior quantità di acqua nel latte.”(vedi immagini a fine capitolo) Tornando al nostro discorso, non possiamo fare altro che auspicare una deindustrializzazione e rilocalizzazzione dell'agricoltura, ridando priorità alla terra e all'ambiente naturale agricolo. “La terra è il luogo della vita e non è possibile che muoia o che si tenga in vita come un malato terminale a forza di trattamenti per lei scioccanti”167. Un suolo stressato è il risultato di uno

165 Balzani V. e Armaroli N. Energia per l'astronave terra. Vincenzo Balzani è docente di chimica presso l'Università di Bologna, si occupa di fotochimica supramolecolare, nanotecnologie e fotosintesi. Attualmente sta progettando automobili ad idrogeno, i suoi importanti contributi al mondo della chimica, l'hanno portato ad essere uno tra i favoriti per il Nobel alla Chimica. Vincenzo Balzani, incarna la figura dello scienziato modello e si impegna a diffondere un'immagine della scienza pulita e sana. Il suo impegno, oltre che ad essere scientifico è anche morale, rifiutando di collaborare con i servizi militari americani. 166 C. Petrini, Buono, Pulito e Giusto, p. 114. 167 Ivi p. 118.

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scorretto rapporto tra uomo e natura; quest'ultima ridotta a semplice macchina produttiva dei nostri bisogni. Interrogando un agricoltore cremonese sulla produttività delle sue vacche, esso mi disse senza nascondere una punta di orgoglio: “Secondo la media nazionale, una vacca produce 90 quintali di latte l'anno168...io, con le mie, ho chiuso lo scorso anno a quota 109 quintali, circa 36 kg di latte al giorno!!!”. Considerato che un litro di latte viene pagato a questi agricoltori poco più di trenta centesimi di Euro, e che al supermercato viaggia sull'uno e trenta di media, possiamo ben capire come, sia al produttore, che all'ambiente, che al consumatore, convenga accorciare la filiera, producendo e vendendo direttamente. Se ipotizzassimo di dimezzare la resa, per esempio 55 quintali all'anno e un prezzo di un 90 cent di Euro per ogni litro di latte venduto direttamente dal produttore, otterremmo una cifra intorno ai 4950 € per vacca, contro i 3815 € ottenuti dai metodi intensivi tradizionali. A questo dobbiamo aggiungere un investimento prima per la conversione ed un guadagno poi relativo al non uso di concimi sintetici, diserbanti, mangimi ad alte prestazioni etc169. Così come stanno adesso le cose, gli agricoltori si rendono complici dei meccanismi della grande distribuzione, creando condizioni sfavorevoli a loro stessi in primis, ed ai consumatori, l'uno guadagnerà poco, l'altro pagherà comunque tanto. Ed usando ancora una volta le parole di Carlo Petrini, possiamo affermare che “i metodi di produzione intensivi, tanto per i vegetali quanto per gli animali, vanno rifiutati. Non abbiamo bisogno di aumentare la produzione. Dobbiamo migliorarla e 'pulirla'. Non si può chiedere ogni anno di più a un terreno, a una vacca da latte, o pretendere che un pollo cresca in metà del tempo rispetto a quanto è naturale: non sono macchine, sono vivi e il meccanismo naturale, se si rompe, non si può riparare come una fresa industriale.”170 La grande distribuzione inoltre appiattisce le varietà, cancella le diversità di gusti naturali che la natura ed il territorio ci offre. Riscoprire e difendere le varietà e le razze autoctone è un impegno morale. Tanto nel vino e negli ortaggi quanto nel latte e nelle carni, “le razze e le varietà industriali, create a fini produttivistici, riducono infatti la biodiversità, richiedono troppe risorse alla natura per essere alimentate e per compiere il loro ciclo vitale. Non sono buone. Non sono pulite.(...) Certe vacche autoctone, producono quantità irrisorie di latte rispetto alle Holstein che 168 Per anno si intendono 300 giorni e non 365, in quanto la lattazione dura 300 giorni. Durante i 60 giorni che precedono il parto, la vacca non viene munta. 169 Ipotesi sulla carta, che vuol mettere in luce come puntando ad una sana opera di smantellamento di un certo modello agricolo industriale, si possa ottenere una paga più giusta, equa e pulita. 170 C. Petrini, Buono, Pulito e Giusto, p. 118.

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sono vere e proprie macchine da latte. Ma il loro latte ha caratteristiche uniche e non può essere sostituito solo per incrementare la produzione.171”. Rifiutare gli OGM è necessario, una grande scoperta ed invenzione senza dubbio, ma al momento l'umanità non ne ha bisogno, né per sfamare i poveri, né per salvare i raccolti dei ricchi da funghi o parassiti. “La monocoltura è da rigettare. E' la rappresentazione nel campo, sui terreni, dell'impoverimento di biodiversità.(...) Deindustrializzare l'agricoltura significa rigettare un sistema.172” Il nuovo modello deve ricollocare l'uomo tra la natura, e richiede un modo di pensare più aperto alla complessità e forte di tutti gli strumenti scientifici che dispone. L'industrializzazione agricola deve essere ricondotta al più presto nell'alveo della sostenibilità. Non va modificato solo il modo di produrre, anche il modo di trasformare e consumare i prodotti, cuochi e addetti al settore in primis, seguiti a ruota da tutto il resto della popolazione che deve ridare centralità al cibo e alla gastronomia. Alle fasi di produzione e trasformazione si aggiungono i trasporti, un fattore di grande impatto ecologico emarginabile solo se si pensa ad una struttura economica centrata sulle microeconomie locali. Il cibo prodotto, consumato e venduto a livello locale è di gran lunga più sostenibile di qualunque altra soluzione, la filiera corta è un bene per tutti noi. “La scelta tra biologico e convenzionale, tra locale e globale, ha importanti ripercussioni sull'ambiente e sui sistemi agricoli.173” Una regione come la Champagne, raccontata nelle pagine di Samuel Cogliati,174 non può sacrificare un terroir, con il solo scopo di generare un affare, senza curarsi degli equilibri ambientali, territoriali e culturali, per rincorrere il grande successo avuto nel mondo. “Gestire i limiti diventa il primo esercizio di sostenibilità, non soltanto ambientale. Ma per farlo bisogna rinunciare alla crescita economica come unico criterio di progresso umano.”175 Dobbiamo cominciare a misurare anche la felicità interna lorda delle nazioni (FIL), come propone l'economista indiano Amartya Sen.176 Le microeconomie locali devono arrivare così a garantire meccanismi di produzione puliti e sostenibili. “Ambienti agricoli dove tutto l'ecosistema è rispettato pongono le condizioni per produrre meglio; le attività di trasformazione che rispettano la materia prima senza aggiunte chimiche o senza trattamenti innaturali riescono a veicolare meglio i gusti. Infine, un prodotto 171 172 173 174 175 176

Ivi p. 126. Ivi p. 120. Ivi p. 124. Cogliati S., Champagne. C. Petrini. Buono, Pulito e Giusto, p. 127. Sull'argomento si veda anche Serge Latouche, Breve trattato sulla decrescita serena.

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che non fa lunghi viaggi sarà più fresco, conserverà meglio il suo potenziale gustativo.177” Un prodotto per essere buono, deve necessariamente essere pulito. PULITO è pertanto sostenibile, non inquina ed è ricco di futuro. La sostenibilità si ottiene rispettando la naturalità, “consci dei limiti umani, vegetali, animali e produttivi.178” Pulito è rispetto degli altri e di se stessi, nella piena consapevolezza di dover lasciar un pianeta migliore alle generazioni future. Il pulito implica quindi anche il giusto.179

Questa era una piccola brochure ideata e sviluppata, dall’allora dirigente del caseificio Zanchettin, durante gli anni settanta. Ciò che mi preme sottolineare è come l’idea di fondo sia stata buona ed oggi risulterebbe sicuramente più vincente di allora. Queste immagini vogliono mettere in mostra la potenzialità di qualcosa che esisteva e che logiche di mercato sbagliate hanno fatto fallire. Ora è impossibile trovare a Isola Dovarese vacche libere, come quelle immortalate nella fotografia sopra riportata, e caseifici.

177 C. Petrini, Buono Pulito e Giusto, p 128 178 Ivi p. 129. 179 Ai fini del mio lavoro, ritengo opportune fermare a questo punto la trattazione per poter dare un certo grado di completezza agli argomenti trattati. Non manco però di segnalare al lettore che il testo di Petrini, Buono, Pulito e giusto, analizza compiutamente anche il Giusto, nella terza parte del capitolo tre. Da p. 135 a p. 145.

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13. Rilocalizzare l'energia “Sole: ... se alla Terra fa bisogno della presenza mia, cammini ella e adoprisi per averla...” Giacomo Leopardi Il Copernico, Operette Morali Per essere sostenibile e locale, la nuova economia deve sganciarsi dalle risorse non rinnovabili,in quanto accessibili solo ad una parte della popolazione e localizzate in alcuni punti strategici del pianeta. Tale approccio, come non manca di notare Vincenzo Balzani, è diametralmente opposto a quello attuale. “L'abbandono graduale dell'energia densa dei combustibili fossili e il passaggio progressivo a quella diluita delle energie rinnovabili comporterà un mutamento sostanziale nello stile di vita” rendendo i popoli più consapevoli dei propri limiti e al tempo stesso più liberi, in quanto “l'energia non sarà più localizzata in zone limitate del pianeta ma sarà diffusa ovunque, non più posseduta da un manipolo di nazioni”180. Con le parole di Vincenzo Balzani, concludo affermando che la rilocalizzazione delle economia e dell'energia è possibile solo sviluppando “l'uso dell'energia solare e delle altre energie rinnovabili, non quello dell'energia nucleare” questa prospettiva è lungimirante e giusta, perché evita di lasciare “alle prossime generazioni un immane fardello di scorie radioattive. E' anche un guardare lontano nel mondo, perché, a differenza dei combustibili fossili e dell'uranio, l'energia solare e le altre energie rinnovabili sono presenti in ogni luogo della Terra.(...) Se impareremo ad usarle in modo efficiente, esse potranno risolvere non soltanto il problema energetico e il problema ecologico, ma forse anche quello delle disuguaglianze.181” Saremo così in grado di evitare la sesta estinzione di massa “profetizzata”182 da Niles Eldredge183, come argomentato nell'introduzione. Come recita un antico aforisma: “l'unica differenza fra un ottimista e un pessimista è che il secondo è meglio informato”. Ancora una volta le sagge parole del prof. Balzani ci portano a concludere che:”bisogna riconoscere che è proprio il pessimismo basato sulla conoscenza, e non l'ottimismo che viene dall'ignoranza o dalla disinformazione, che potrà farci fare passi avanti.”184

180 181 182 183 184

Balzani V. e Armaroli N., Energia per l'astronave Terra, p. 210. Ivi p. 214. Corsivo mio. Eldredge N., La vita in bilico. Il Pianeta sull'orlo dell'estinzione, p. XI. Balzani V. e Armaroli N., Energia per l'astronave Terra, p. 213.

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