if magazine febbraio 2012

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SO . MM AR IO

6 COPERTINA Riprende la stagione di Notre Dame de Paris . Nizzardo torna a vestire Frollo 8 “Maurice” di Lidia Zitara

12 Colazione da Tiffany di Antonio Falcone

25 Rose rosse di San Valentino di Lidia Zitara

IF ESPERTI

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15 LA COPPIA di Mario Gullì 16 ALCHIMIA DEL RAPPORTO AMOROSO di Mario Gullì 24 TENERSI IN FORMA PER PIACERE di Anna Maria Scarfò

28 La realtà scomoda del Goel di Maria Giovanna Mollace 38 Il racconto. JAZZ CLUB di Rossella Scherl

SOMMARIO febbraio12

FONDATORE ed EDITORE Giuseppe Vincenzo Infusini

42 Amore, Magia e Tradizione di Tiziana Romeo

Le opinioni espresse negli articoli sono da attribuire ai singoli autori dei quali si intende rispettare la libertà di opinione e di pensiero. Le collaborazioni sono da intendersi gratuite.

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L’EDITORIALE di RAFFAELLARINALDIS L’Amore dell’uomo e la passione dello spirito taumaturgici strumenti di affrancamento dal dolore. O fonte essi stessi di dolore, il dolce struggimento per la persona amata, per i figli, per i genitori, per i fratelli e gli amici. Un sentimento, quello dell’Amore, preso ad esempio da religioni e filosofie per pensare all’uomo come a qualcosa di più rispetto alla fredda mente e all’egoistico agire. In realtà cos’è l’Amore se non una forma di egoismo, il piacere di avere vicino l’oggetto che suscita il buon sentimento. Per poi passare al sentimento del sacrificio per l’oggetto dell’Amore. Solo se necessario, però. Un numero questo di If Magazine, che pensa al sentimento e lo esalta nelle diverse forme in cui si manifesta ed in cui viene rappresentato. Sacrificio è anche il termine che

usiamo noi di IF questo mese, sperando che i tempi duri della crisi passino per tutti e divengano uno strumento di recupero delle occasioni perdute e un salto di qualità tanto atteso, soprattutto nella nostra area. Una zona bistrattata che non ce la fa più e che da ora in poi non tollererà nemmeno di tornare ad essere un terreno di raccolta per quelle elezioni la cui campagna elettorale è già cominciata.



Riparte NOTRE DAME DE PARIS

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Nizzardo torna a vestire “Frollo”

Come sei arrivato a cantare in uno spettacolo così importante? Quali mezzi, oltre alla voce hai usato? Contatti, passaparola, prove e audizioni? Inseguivo questo sogno da diversi anni, da quando vidi per la prima volta l’Opera e dalla Cattedrale si affacciò imponente “quel prete”, lo ascoltai ammirato e promisi a me stesso che quel ruolo un giorno, sarei stato io ad interpretarlo. Avevo solo 14 anni, era il sogno di un ragazzino, ma vi garantisco che sin da allora ho studiato tanto quel personaggio e tutta l’Opera meticolosamente, sia dal punto di vista canoro che interpretativo ed appena ho saputo dei provini per il nuovo Cast del decennale di NDP , ci ho provato. Non è stato facile, eravamo oltre 4000 ragazzi e le selezioni sono state tante ed in diverse città d’Italia, per arrivare in 37 all’ultimo provino a Roma. Dopo qualche giorno ricevetti la telefonata dalla redazione che mi annunciava che sarei stato io il nuovo Frollo di Notre Dame de Paris. Qual è stato il tuo percorso formativo? Mi sono diplomato, col massimo dei voti, all’Istituto per Odontotecnici, ma la mia passione era il canto che studio da quando avevo sei anni e questo amore mi ha portato ad iscrivermi, in qualità di baritono, al Conservatorio F. Cilea di Reggio Calabria. Ho partecipato a diverse manifestazioni e vinto tanti concorsi. Nel 2002 ho partecipato al Festival di Napoli, classificandomi al quarto posto. Ho avuto la fortuna di conoscere l’indimenticabile Mino Reitano che per diversi anni, circa otto, ha voluto me e mio fratello Ermes, anche lui cantante, in tutti i suoi concerti in Calabria, mi è doveroso sottolineare che per me è

“...debutteremo ad Agrigento dal 24 al 26 febbraio, saremo poi a Catania dal 1 al 4 marzo, a Roma dal 14 Marzo al 1 Aprile, a Jesolo dal 5 all’8 Aprile, a Livorno dal 12 al 15 Aprile, a Perugia dal 18 al 21 Aprile, dal 24 al 29 Aprile a Milano, dal 3 al 6 Maggio a Torino, dall’11 al 13 Maggio a Bologna, per poi concludere il Tour il 7 e l’8 Settembre nella magnifica Arena di Verona”

di Raffaella Rinaldis

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stato un grande Maestro di vita e mi ha insegnato a non mollare mai. Ho fatto parte del cast dell’Opera, in due Atti “Federico II L’ultima Danza”, con la quale mi sono esibito in diversi importanti Teatri Italiani; ma una vittoria indimenticabile, che mi ha insegnato a credere in quello che facevo e che con lo studio e l’umiltà si possono raggiungere i traguardi prefissati è stata quella ottenuta al Palafiori di Sanremo vincendo nel 2007 il “Sanremo Music Awards” come Migliore Interprete Maschile e poi, sempre nel 2007, il 3° posto al Festival Show, una tournee di 13 tappe dove mi sono esibito,insieme ad Ermes, condividendo il Palcoscenico con i più grandi artisti della Musica Italiana: Milva, Albano, Mango, Gemelli Diversi, Simone Cristicchi, Zero Assoluto, Marcella e Gianni Bella, Anna Tatangelo, Studio 3, Pquadro, PFM, Paola e Chiara, Mario Rosini, Fabrizio Moro, Dolcenera, Umberto Tozzi, Ivana Spagna, ecc. Una grande soddisfazione è stato il Premio Calabria America per la musica, prima di noi, solo Mino Reitano ricevette lo stesso premio ma in America. E’solo di qualche giorno fa un premio che mi commuove e allo stesso tempo mi inorgoglisce, quello ricevuto al Teatro Cilea di Reggio Calabria in occasione del terzo Memorial Mino Reitano, consegnatomi da Grazia Reitano, per aver portato alto, con la mia Arte canora, il nome della Calabria in tutto il mondo. Quali sono le persone che ti hanno permesso di seguire liberamente la tua strada? Chi tra tutti ti senti di dover davvero ringraziare? Certamente la mia famiglia che mi ha sostenuto sin da


quando ero piccolo, credendo nelle mie doti, pensate che per un’ora di lezione facevamo circa 100 Km e questo per tantissimi anni, non contando poi quelli di perfezionamento al Nord Italia. Oggi a loro voglio dire Grazie, per aver sempre assecondato le mie scelte e a mio fratello Ermes, che condivide la mia stessa passione, per avermi incoraggiato in tutto quello che facevo. Qual è stata l’emozione di trovarsi per la prima volta e così giovane su un palcoscenico così grande davanti ad un pubblico così vasto? Mai potrò dimenticare la sera del debutto, al Teatro Regio di Parma, l’emozione di calcare il palcoscenico di Notre Dame de Paris, il sogno che si avverava a soli 24 anni, sono, infatti, il più giovane Frollo della storia di Notre Dame. Ho affrontato il grande pubblico con la giusta emozione che ho subito sentito “caloroso” e lì ho realizzato che mi trovavo esattamente dove volevo essere. Ogni giorno che passa mi sento sempre più pronto, sicuro ad affrontare lo Spettacolo con la passione e l’amore verso qualcosa che amo fare. Ogni rappresentazione, anche se lo spettacolo è lo stesso, la affronto sempre con emozioni nuove riuscendo ad emozionare me stesso oltre che il pubblico. Come sei stato accolto dal cast e come si è sviluppato il “lavoro di squadra?” I miei “compagni di viaggio” sono eccezionali, abbiamo legato subito. tra noi si è creata un’atmosfera di entusiasmo, di armonia, di collaborazione e quindi di complicità. La sensibilità e la disponibilità di ognuno, rende tutto ancora più bello. Siamo davvero molto affiatati. Com’è stato l’approccio con Riccardo Cocciante? Come si è sviluppato il vs rapporto? E’ un autore presente, fa evolvere lo spettacolo insieme a voi? Adatta i personaggi e il modo di interpretare la canzone adeguandoli al vs carattere? Che il M° Cocciante sia uno dei più grandi Artisti al mondo non ci sono dubbi e quando te lo trovi di fronte, per la prima volta, hai quasi paura ad avvicinarlo, poi, ti accorgi che è lui che ti mette a tuo agio, con la sua signorilità, la sua calma che ti fa stare tranquillo. Ricordo l’ultimo provino a Roma, quando il Maestro dopo aver ascoltato le nostre esibizioni esordisce: “Ora tutti fuori, rimanga solo Vincenzo”. Mi sono trovato davanti ad un pianoforte a dover cantare con il Maestro che mi accompagnava, mi stava provinando, per me è stata un’esperienza indimenticabile. Durante le prove dello spettacolo è spesso presente e pronto a darti i giusti consigli per interpretare i diversi personaggi, poi ognuno di noi si esprime mettendoci del proprio, facendo suo il personaggio senza mai disattendere i consigli del Maestro. Voglio menzionare un’altra persona che è la responsabile Casting non-

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ché Vocal Coach dell’Opera, Paola Neri, la quale è sempre presente ed oltre ad indirizzarci nella giusta vocalità è una figura di riferimento per tutti noi. Quando comincerà lo spettacolo? Quali saranno le tappe più importanti del Tour? Le tappe sono tutte importanti, dopo la tournee estiva si ripartirà dalla Sicilia, debutteremo ad Agrigento dal 24 al 26 febbraio, saremo poi a Catania dal 1 al 4 marzo, a Roma dal 14 Marzo al 1 Aprile, a Jesolo dal 5 all’8 Aprile, a Livorno dal 12 al 15 Aprile, a Perugia dal 18 al 21 Aprile, dal 24 al 29 Aprile a Milano, dal 3 al 6 Maggio a Torino, dall’11 al 13 Maggio a Bologna, per poi concludere il Tour il 7 e l’8 Settembre nella magnifica Arena di Verona. La Produzione del Grande David Zard, sta valutando altri luoghi, altre date, mi auguro che tra questi possa esserci una nella nostra Calabria, sarei veramente felice e orgoglioso di potermi esibire con questa straordinaria Opera anche davanti ai miei conterranei. Dopo l’esperienza di quest’Opera musicale quali saranno le tue prospettive future, a cosa ti stai preparando. Guardando ad un futuro prossimo, come ti immagini? Sto vivendo il mio sogno e spero che quest’ Opera possa andare in scena ancora per tanto tempo, ma certo è che non posso fermarmi, continuo a studiare come ho sempre fatto, perché bisogna ricordare che non si è mai arrivati e a provare cose nuove.

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Caratterialmente sono una persona che non si arrende mai, canto perché amo farlo e niente e nessuno può impedirmi di fare qualcosa che amo. Penso di essere un ragazzo con le idee molto chiare e desideroso di affrontare tutte le fatiche necessarie per raggiungere un obiettivo. Quello che faccio, lo faccio con molta umiltà e con i piedi ben fissati a terra, quindi se mi dovessero capitare altre esperienze le valuterò al momento. Secondo me è indispensabile essere completamente aperti a qualsiasi tipo di segnale che ci viene dall’esterno, ad ogni emozione che ci tocca; è importante non chiudersi gli spazi e avere pregiudizi, importante nelle cose che fai è emozionarsi, emozionare, esprimere, osare. In tutto quello che farò “metterò”, come sempre, tutto il mio cuore.


“Maurice”

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di Edward Morgan Forster Dal grande scrittore omosessuale un capolavoro della letteratura

di Lidia Zitara

on leggo l i b r i d’amore: non mi piacciono. Anzi, per dirla tutta li detesto e neanche cordialmente. Chi non ha letto almeno un libro di Barbara Cartland alzi la mano, e un po’ tutti saremo incespicati in Georgette Heyer o in Rosamunde Pilcher, trasudanti melassa da farti morire di diabete. Ma iddio mi guardi da Sveva Casati Modignani, Chiara Gamberale , Margaret Mazzantini e tutta la loro compagnia cantante. Per libri del genere, blockbuster blasonati, lodati e imbrodati dalla critica, non posso che citare il film “She-Devil”: “Brutto, brutto, brutto. Chi scrive non verserebbe una lacrima se sapesse che la sua copia di “Amore al risciacquo” è finito nel cestino della carta straccia”. Sarò sincera fino alla brutalità: i succitati libri non sono altro che prodotti da vendere, come magliette e scarpe, solo che invece di essere indossati, si leggono, e così si diffonde l’idea di una lettura (e di una cultura) a portata di tutti, si formulano standard edito

riali per un pubblico svogliato e apatico, che considera i libri un passatempo e non uno strumento per una crescita interiore e sociale. Questo vale per i libri d’amore come per i thriller, i gialli, gli horror, i fantasy e via discorrendo. Ogni categoria editoriale ha dei sottoprodotti, come ogni arte ha il suo Kitsch. Quando un romanzo che parla ANCHE d’amore piace davvero, è perché parla della vita attraverso il sentimento romantico. L’ “amore” non è dunque solo un plot narrativo ( magari camuffato da introspezione psicologica, vedi i vari numeri primi), una vicenda piatta e finalizzata alla inevitabile felice conclusione, ma uno sguardo dritto al cuore dell’Uomo. Tralasciando i vari “Orgoglio e pregiudizio” e “Via col vento”, forse sarebbe opportuno e più istruttivo parlare di un libro che si legge poco e poco si conosce, benché il suo autore sia notissimo, e tutti i suoi romanzi –questo compreso- siano diventati dei bellissimi film prodotti quasi sempre da Ivory e Merchant: “Maurice” di E.M. Forster. “Maurice” è il racconto di un giovane ragazzo che attraverso diverse esperienze romantiche scopre la 8

sua omosessualità. Dapprima disgustato di se stesso, incredulo, penitente, finisce per accettare una diversità sentimentale (che a inizio Novecento implicava nascondere totalmente la propria inclinazione), raggiungendo una piena e serena consapevolezza. E così avviene la maturazione di Maurice, che è un romanzo d’amore non meno di un ‘bildungsroman’ , nonché una sferzante critica alla società dell’epoca. “Maurice” è l’alter-ego di Forster, il quale era da sempre consapevole della propria omosessualità ma l’accettò solo da adulto, grazie all’aiuto di un religioso. Scrisse “Maurice” in brevissimo tempo perché sentiva di averlo già scritto nella sua mente decine di volte, e sebbene la stesura sia databile attorno al 1913, la pubblicazione avvenne solo postuma, a quasi sessant’anni di distanza, nel 1971. Il romanzo ricevette parecchie critiche contrastanti, è evidente infatti una certa frettolosità della scrittura che confonde il lettore in un turbinio di eventi e un sovrapporsi di personaggi secondari, soprattutto nella prima parte del romanzo, incentrata sul rapporto ‘high class’ tra Maurice e un suo collega di college. A differenza di altri romanzi


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“Alec ha un preciso valore simbolico di lotta al pregiudizio e alla divisione tra classi” che nel secondo atto si afflosciano, è proprio lì che “Maurice” inizia a macinare sassi. Il protagonista, deluso dell’atteggiamento sofisticato e artefatto del suo primo amante, che si volge ad una vita domestica e agiata, dopo un matrimonio di convenienza con una donna bella e nobile, incontra Alec, un uomo apparentemente rozzo, inacculturato, descritto anche nell’aspetto come poco raffinato, ruvido, rubizzo, greve. L’esatto opposto del dandy amato da Maurice in precedenza, con il quale aveva condiviso inni omerici e racconti ellenici di amori efebici. Alec sarà la chiave sentimentale che infine farà comprendere a Maurice non solo l’Amore (e lo possiamo scrivere con la maiuscola), ma il significato stesso della vita, del rispetto per sé e per il prossimo. Alec ha un preciso valore simbolico di lotta al pregiudizio e alla divisione tra classi, fortissima ancor oggi in Gran Bretagna. Forster stesso non apparteneva alla ‘high society’, ma alla middleclass, cioè la borghesia istruita, commercianti o professionisti. Il conflitto di classe e il tema sessuale sono elementi sempre presenti nei suoi romanzi, da “Passaggio in India” a “Monteriano”. Piuttosto non si può non rimanere sorpresi di come anche nella ‘imparziale’ Wikipedia non ci sia traccia della disposizione di Forster , che all’epoca dei suoi studi universitari faceva parte di un gruppo dichiaratamente omosessuale (The Apostles) , a cui aderirono anche J. M. Keynes e Lytton Strachey. Il fatto che il libro abbia dovuto aspettare la pubblicazione fino al 1971, data non poi troppo distante da noi, è un indice di quanta disinformazione, intolleranza e paura ruotino attorno ai rapporti omosessuali o lesbici. “Maurice” è un gran romanzo

anche e forse soprattutto per questo motivo. L’amore di Maurice per il suo stesso sesso non è dato come qualcosa di anomalo, insolito o addirittura poco comune. E’ un amore travagliato come tanti, e gli ostacoli qui non sono fidanzati gelosi o donne inviperite, ma la società stessa, inospitale e selvaggia quanto più ordinata e imperturbabile nelle apparenze. Il “cuore di tenebra” è nei teatri della Londra-bene, non nelle profondità del Congo, il vero antropofago è colui che non accetta se stesso e

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distrugge il prossimo solo perché differente. Differente nel colore della pelle, nella scelta religiosa, nell’abbigliamento, nell’acculturazione, nei modi, nel portafoglio. Se volessimo potremmo riporre “Maurice” nello scaffale sullo stesso ripiano di Bourdieu, Baudrillard, LéviStrauss, Bauman e Dorfles. Sono sicura che Forster non se ne avrebbe a male, anche se penso preferirebbe stare tra un romanzo di Virginia Woolf e una raccolta di disegni dei Preraffaeliti.




Colazione da Tiffany

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(Breakfast at Tiffany’s, 1961)

cusa di nascondersi dietro una falsa sicurezza, quando l’unica possibilità di essere felici è innamorarsi e “appartenere” a qualcuno, compensando le reciproche diversità in nome di un amore incondizionato: pochi minuti, prima il micio e poi Paul sono fuori sotto la pioggia scrosciante, Holly ha un ripensamento, scende dalla vettura alla ricerca del gatto che ritrova in un vicolo; anche Paul è lì, pochi sguardi, tutti e tre sono uniti in un abbraccio, preludio di una nuova vita insieme.

ew York, 5th Avenue, prime ore del mattino:un taxi si accosta al marciapiede, accanto alla vetrina di Tiffany, una donna elegantemente vestita scende dall’auto, sorseggiando un caffè e addentando una brioche, con soave grazia; da quanto si può intuire attraverso gli spessi occhiali neri, la visione sembra metterla di buon umore. Holly (Audrey Hepburn), questo è il suo nome, vive in un appartamento, i pochi mobili ed una valigia in bella vista fanno intuire uno stile di vita provvisorio; nel palazzo arriva un nuovo inquilino, Paul Varjak (George Peppard), scrittore in attesa di migliore fortuna, che si fa mantenere da una ricca signora (Patricia Neal).

di Antonio Falcone

Tra Paul ed Holly si instaura un particolare rapporto di affetto ed amicizia, entrambi affrontano la vita con candido disincanto, velato da cinismo nel primo e da una folle e spontanea allegria nella seconda, che ha in progetto di sposare un milionario, si fa mantenere da ricchi signori che le offrono cinquanta dollari “per la toilette” (così definisce le sue prestazioni) ed organizza dei party, frequentati dalla New York modaiola del tempo; inoltre, ingenuamente, fa da tramite per il boss Sally Tomato (Alan Reed), rinchiuso a Sing Sing.

L’omonimo racconto di Truman Capote da cui il film è tratto, viene adoperato dallo sceneggiatore George Axelrod come traccia, tanto da cambiarne il finale in un classico happy end, puntando più sul glamour che sulla spregiudicatezza della protagonista, in particolare nell’ambito della sfera sessuale; l’abile regia di Blake Edwards aggiorna la sophisticated comedy con sapide e ben bilanciate dosi di ironia, emotività, romanticismo, dirigendo con sagacia una divertente e divertita Audrey Hepburn e un George Peppard perfetto nel ruolo di sarcastico disilluso.

Nonostante la spensieratezza e la gaia incoscienza come stile di vita, malinconia e paura di vivere sono in agguato e per scacciare le paturnie non basta fare un giro da Tiffany, specie se il passato ritorna nelle vesti del Dottor Golightly (Buddy Ebsen), veterinario di mezza età che Holly aveva sposato dopo essere stata accolta in casa sua insieme al fratello: pur dimostrando affetto e riconoscenza, la donna rifiuta di tornare a vivere con lui, rivendicando la sua scelta di non appartenere a nessuno. Paul, ormai innamorato di lei, ne asseconda le bizzarrie, lascia l’amante, si rimette a scrivere, cercando di fare ordine nella sua vita e in quella di Holly, ma questa è intenzionata a sposare un milionario brasiliano, che, per paura di uno scandalo, la lascerà una volta scoperti i traffici di Sally Tomato. Holly è decisa a partire ugualmente per il Brasile, è in taxi insieme al suo gatto senza nome e a Paul, che l’ac-

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Molto bella, ed estremamente efficace, anche l’interpretazione offerta da Patricia Neal, un misto di disincanto e sottile ironia, mentre Mickey Rooney appare nel ruolo, abbastanza stereotipato, di Yunioshi, un giapponese condomino dello stabile. Due premi Oscar nel 1962: migliore colonna sonora (Henry Mancini) e migliore canzone (Moon river, Mancini - Johnny Mercer).




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Nella mia pratica di psicoanalista junghiano, spesso i pazienti mi pongono , in realtà la pongono a se stessi, la domanda “ma l’amore che cos’è?” “ Ma perché mi sono innamorata di quella persona? “ “Ma perché mi ha lasciato-a?” Di fatto una delle motivazioni che spingono ad iniziare una psicoterapia o psicoanalisi è quella legata a motivazioni sentimentali. Dall’altro lato della stanza d’analisi, a volte, io mi pongo domande simili, come, ad esempio, “Ma perché non lascia il compagno-a?”, o “come si è fatto ad innamorare di una person a così”.

La coppia

di Mario Gullì*

Ovviamente dal mio punto di vista privilegiato mi do subito una risposta, o la immagino, o comunque do un senso a quella storia. Sicuramente ogni relazione ha un senso, ed è legata a motivazioni spesso per lo più inconsce, e molto varie; esistono vari proverbi o comunque convinzioni sui rapporti amorosi: “chi disprezza compra” “chi si rassomiglia si piglia”, di fatto sembra che una coppia debba essere composta da persone molto simili o molto diverse. Nelle teorie legate alla psicologia del profondo, sia freudiana che junghiana, la scelta del partner, o più in generale il rapporto col partner, dipende dalla relazione con i genitori. Come notorio Freud postulò l’esistenza di un “triangolo amoroso” chiamato da lui complesso edipico, ovvero, banalmente, il desiderio inconscio del bimbo di essere il partner del genitore del sesso opposto e un sentimento di gelosia nei confronti del genitore dello stesso sesso ( ciò vale anche per la femminuccia e prende il nome di complesso di Elettra). Superata questa fase, che viene dimenticata, il bimbo acquisisce la capa-

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cità di instaurare, da grande, relazioni sentimentali sane. Se qualche cosa non và per il meglio in questa fase si rischiano relazioni patologiche o comunque invischiate, ricercando nell’altro caratteristiche simili a quelle di un genitore o opposte, rischiando di ripetere coattivamente errori nella scelta dei partner. Jung, invece, non si concentrò esclusivamente sugli aspetti sessuali delle relazioni, ma anche su aspetti più spirituali. Analizzando il matrimonio, e le relazioni affettive in generali Jung postula che ogni membro della coppia ha delle parti della sua psiche che sono ancora pressoché inconsce, la scelta del partner dipende molto da queste parti, che più sono ampie più l’innamoramento sembra qualcosa di fatale, incomprensibile e coercitivo. Anche per lui le motivazioni inconsce dipendono dai genitori, meno si è consapevoli di ciò che si prova per loro, più questi sentimenti inconsci influenzano la propria vita affettiva e sessuale; ovviamente anche i problemi dei genitori o le loro difficoltà influiscono, è frequente che genitori che hanno sviluppato una caratteristica specifica abbiano figli con caratteristiche opposte, genitori bacchettoni hanno, spesso, figli libertini. Un errore frequente, conseguenza di una inconsapevolezza di parti di sé, è il pensare che il partner sia uguale a noi e che ci capisce al volo, che abbia le nostre stesse priorità e tipo di funzionamento psichico, (in articoli precedenti abbiamo parlato di tipologia psichica), ovvero di come entriamo in contatto col mondo esterno ed interno. Il senso della relazione amorosa dovrebbe quindi essere quello di riuscire ad essere consapevole di parti sempre maggiori della propria psiche, che vengono costellate, “risvegliate” dal partner, integrandole; ovviamente, questa integrazione, provoca dei momenti di difficoltà di coppia, e se i due membri della coppia non vanno alla stessa velocità il rischio di crisi è forte. Se però si riesce a crescere insieme, mantenendo un equilibrio, la relazione di coppia permette a entrambi di crescere psicologicamente, e di far si che all’innamoramento basato su motivazioni inconsce, quindi volubile, si affianchi un amore più adulto, maturo e consapevole.

*Psicoterapeuta e psicoanalista


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Alchimia del rapporto amoroso di Mario Gullì*

ra le svariate modalità di esprimere un rapporto sentimentale funzionante, o comunque un sentimento forte a volte viene utilizzato il termine alchemico, ad esempio “tra di noi c’è una alchimia particolare”, “è un rapporto alchemico”. Metafora molto più foriera di senso e profonda di quanto possa sembrare a prima vista, avendo un background socio-culturale ampissimo; tra l’altro C.G. Jung e molti degli appartenenti alla sua scuola psicanalitica, tra cui il sottoscritto, considerando l’alchimia e le sue metafore come una rappresentazione del processo di individuazione (su cui tornerò brevemente ) e del processo analitico. L’alchimia va considerata non un balbettio della chimica, bensì un movimento quasi religioso, di stampo gnostico, ed in parte esoterico, nel senso che l’alchimista doveva dare un senso alla materia, trovarvi il deus absconditus, l’oro alchemico (che non era l’oro ricercato dal popolo), modificando la materia modificava se stesso, entrava in contatto con parti di sé inconsce che proiettava all’esterno. Le immagini e le fasi tipiche del processo alchemico hanno una straordinario similitudine con le immagini archetipiche che compaiono sia nei sogni che nelle fiabe, che durante una analisi junghiana, oltre ad avere una similitudine col già citato processo di individuazione. Il processo di individuazione, di cui abbiamo parlato in precedenza in un articolo, è quel processo psicologico di crescita ed integrazione delle proprie parti inconsce con l’Io, che viene facilitato dal fare una psicoanalisi junghiana, ma può avvenire anche spontaneamente o attraverso delle esperienze come quelle fatte dagli alchimisti. Le fasi del processo alchemico erano :la nigredo, o opera al nero, che era una fase rappresentato da termine come putrefactio, mortificatio, o altri termini legati a qualche cosa di mortifero; è la fase iniziale, attraverso la coniuctio (l’unione degli opposti)si passava all’’albedo o opera al bianco, era la seconda fase, lunare, che, attraverso la citrinitas (opera al giallo) raggiungeva la citrinitas, fase finale e solare. Senza entrare nello specifico, molto complesso tra l’altro, del processo alchemico, torniamo al

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tema del presente scritto, la relazione sentimentale. Come accennato il processo alchemico presupponeva una unione per la buona riuscita, unione che a livello immaginale veniva spesso rappresentata come unione, anche sessuale, di Re e Regina, o, inizialmente, come due figure che si fronteggiano, come aquila e rospo, rappresentanti dell’aria e della terra. Spogliando quanto detto dal simbolismo alchemico, una unione perfetta presuppone una unione degli opposti, una integrazione, tutt’altro che semplice. Anche perché se l’alchimista proiettava parti di se nell’atanor, nell’alambicco, “l’innamorato” proietta nell’”innamorata” parti di sé, o comunque la utilizza, inconsciamente, per fare emergere parti profonde della propria psiche. Una delle rappresentazioni del processo di individuazione è legata all’emergere, e all’integrazione, di immagini che rappresentano parti della psiche (queste immagini appaiono solitamente nei sogni, quindi se non si è in analisi difficilmente le si colgono), come la Persona (la propria immagine sociale), l’Ombra (le parti di noi che abbiamo difficoltà ad accettare) l’Animus-Anima (la parte contro sessuale inconscia della nostra psiche), e le rappresentazioni del Sé (che rappresenta il centro e la totalità della psiche, ed è in stretta connessione con gli aspetti spirituali). Dando un senso a queste immagini, utilizzando quindi una parte più razionale della nostra psiche, l’Io, l’integrazione e quindi l’individuazione sono molto più semplici; l’innamoramento è legato a ognuna di queste “parti” della psiche, alla Persona è legato spesso il tentativo di farsi notare, assumendo anche atteggiamenti non tipici del nostro modo di essere, all’Ombra, nelle fasi di difficoltà, la rabbia che provocano certi atteggiamenti del partner, inaccettabili perché spesso ci appartengono più di quanto pensiamo, o perché risvegliano le nostre parti più “scure” e nascoste (la nigredo alchemica), ma è il legame tra partner e Animus o Anima a rivestire la massima importanza. ...potrete leggere l’intero articolo martedì 14 febbraio su www.ilfattoonline.com *Psicoterapeuta e psicoanalista.




L’estetica e l’edonismo per l’equilibrio psicofisico dell’uomo. Qual è il suo approccio alla bellezza? Quando una donna entra nel mio salone porta con sé la sua visione di come è e di come vorrebbe essere, il mio compito, nell’approcciarmi alla sua figura è di vederne l’insieme e ricrearne l’armonia. Della linea, dei colori, della donna per come è, una consulenza di bellezza se volete, che permette alla donna di essere guardata con gli occhi di chi fa da anni questo lavoro e riesce a soppesare le incertezze, i punti di forza, le propensioni personali della donna che è sempre più esigente, nei confronti del mondo e di se stessa. Quanto cura i suoi capelli la donna oggi e cosa può aspettarsi dall’esperienza del suo salone? Oggi la donna è molto più esigente ed attenta, molto più informata riguardo al passato, pretende soprattutto la cura dei propri capelli mettendoli al primo posto rispetto al colore, al taglio, ecc. Credo che dal mio salone una donna possa trovare sempre qualità, professionalità ed esperienza, conoscenza dei prodotti di qualità (L’Oreal e Kerastase)

Qual è l’aiuto che le viene richiesto maggiormente dalle clienti e come propone le sue soluzioni? La cliente chiede quasi sempre consigli al proprio hair stylist per quanto riguarda i tagli delle nuove tendenze cercando di imitare i propri idoli o le proprie icone della tv. Tutto ciò con tagli e colori, ma noi personalizziamo ogni cliente per farla essere unica, per farle esprimere al meglio la propria bellezza

Franco Iemma Bovalino | Siderno






Tenersi in forma per piacere

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Tra cioccolatini e remise en forme

e festività sono andate ... arriva la strigliata... in tutti i sensi... Invece di aspettare la primavera-estate, per perdere qualche chilo o più e correre ai ripari all’ultimo momento, stressando mente e corpo per la prova costume, si potrebbe si da ora cominciare pian pianino, senza grandi sacrifici di gola ad impegnarsi per raggiungere la meta agognata e mantenere nel tempo i risultati ottenuti. Basta volerlo!!! Con un po’ di buona volontà almeno un po’ ... prendere questo impegno con se stessi come qualsiasi altro ed essere costanti. Così ci si educa a mangiare o meglio a nutrirsi. Innanzitutto bisogna masticare bene ogni boccone, riempie prima lo stomaco e favorisce la digestione. Ricordiamo senza stancarci che: la prima colazione è fondamentale perché dà il giusto apporto di nutrienti, quindi le calorie necessarie per affrontare la mattinata tra l’altro, a distanza di circa 10 ore dalla cena della sera precedente; lo spuntino a metà mattina e al pomeriggio (ad es:1 frutto di stagione, un caffè, un thè, ...); pranzo: norma-leggero; cena: leggerissima. I condimenti sono da usare con parsimonia, preferire l’olio d’oliva sostituendolo possibilmente a grassi, margarina, besciamella, panna, ... E a proposito di olio di oliva è un emblema di pace che gli antichi lo avevano consacrato a Minerva. Vediamo come si ottiene questo condimento salutare, tra l’altro, è il migliore fra quelli di origine vegetale, importante non eccedere è un alimento calorico (900 kcal /100gr). Le olive vengono lavorate usando degli accorgimenti: devono essere raccolte sane e senza difetti, quando giungono al giusto grado di maturazione, utilizzando un metodo idoneo cioè raccolte a mano o in seguito alla spontanea caduta delle olive, dopo scrollatura della pianta. Il trasporto delle olive dal punto di raccolta ai frantoi deve essere fatto in modo da non compromettere l’integrità. Dopo il lavaggio, le olive vengono sottoposte alla molinatura; dalla pasta così ottenuta si procede all’estrazione dell’olio, separando la miscela oleosa dai residui di polpa e noccioli (sansa).

di Anna Maria Scarfò*

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L’estrazione può avvenire per pressione, centrifugazione, percolamento mediante filtrazione. Per eliminare le particelle presenti in sospensione, l’olio ottenuto viene lasciato decantare; dopo la filtrazione viene conservato per qualche tempo in contenitori ad esempio di acciaio, al buio e in ambiente fresco, in modo da affinare le sue caratteristiche organolettiche. L’ oliva è il frutto dell’olivo (Olea europaea), albero sempre verde della famiglia delle Oleacee, viene coltivato e cresce anche spontaneamente nei paesi mediterranei. Si dice anche che questa pianta sia apparsa sotto il sole della Penisola e che sia coltivata sin dai tempi di Tarquinio Prisco. Le olive favoriscono l’aumento della quota di colesterolo “buono” (HDL) nell’organismo e contengono alcuni importanti principi nutritivi per la salute: - grassi monoinsaturi; - zuccheri semplici e complessi; - acidi organici ( malico, ossalico); - bassa quantità di proteine; - sali minerali; - vitamine, soprattutto C, E e betacarotene. È un efficace emolliente e lassativo: un cucchiaio di olio di oliva al mattino è una buona cura per chi soffre di emorroidi. L’ estratto delle sue foglie ha proprietà: febbrifughe (antifebbrile, antipiretico), astringenti (costrittivo), antisettiche (disinfettante, antibatterico, asettico), ipoglicemizzanti (diminuzione del tasso di glucosio nel sangue). Ha anche azione ipotensiva, sotto controllo medico, può essere impiegato nella cura dell’ipertensione. Per uso esterno invece favorisce la cicatrizzazione di piccole ferite. In cosmesi l’estratto della foglia si utilizza come astringente e l’olio ha proprietà: emolliente, lenitiva, protettivo solare, mitiga gli eritemi e frizionato sul cuoio capelluto combatte la caduta dei capelli. Le olive da tavola, verdi o nere, conservate sotto sale, in salamoia, sotto aceto, sott’ olio, essiccate nel forno, in commercio si trovano denocciolate e anche farcite. Con la polpa macinata delle olive si ottiene il patè di olive, con aggiunta di olio come conservante naturale. Si possono consumare con gli aperitivi, con gli antipasti, nelle insalate, in salse, sughi, zuppe, piatti di pesce... *nutrizionista


Le rose rosse di San Valentino Il lavoro nascosto dietro una festività spensierata

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’ tradizione per San Valentino regalare alla propria innamorata delle rose rosse. A stelo lungo, mi raccomando. Se le regalate a stelo corto si potrà facilmente immaginare di voi che siete dei tirchi o che lo stelo corto simboleggi la poca durevolezza del vostro amore (o anche peggio). Prodi cavalieri, giovani pulzelle: prestatemi orecchio. Le rose rosse a stelo lungo che acquistate o ricevete il giorno di San Valentino sono in genere di provenienza estera, Kenya, Etiopia, Colombia o Ecuador. Le rose ecuadoregne sono considerate migliori di quelle colombiane e un terzo della produzione annuale viene distribuito nel mondo nel solo giorno di San Valentino. In Italia tutte le rose acquistate il 14 febbraio vengono dall’estero, l’Italia è concorrenziale nella produzione di rose solo a partire da aprile. La quasi totalità delle rose prodotte al mondo, che rappresentano il 40% della produzione di fiori recisi, giungono in cargo aereo all’asta dei fiori di Aaslmer, in Olanda, dove vengono distribuite a grossisti e infine ai dettaglianti. Il rincaro è di circa il 15% per ogni passaggio. In Kenya le rose vengono prodotte nella ‘wetland’ di Naivasha, dove la più potente multinazionale produttrice di fiori al mondo, la olandese Sher Agencies, ha da decenni attivato un’economia di piantagione affidando la manodopera alla popolazione locale, senza tuttavia consentire che arrivasse al ‘know how’ della floricoltura. Naivasha è una wetland riconosciuta e tutelata dalla convenzione internazionale che protegge tutte le zone umide del mondo, firmata

di Lidia Zitara

in Iran nel 1971. Il lago è grande 115 Kmq ed è il quarto del Kenya per estensione. Ciononostante l’uso dell’ acqua è indiscriminato. Gli scarichi di fertilizzanti e di antiparassitari finiscono direttamente nelle acque, inquinandole pericolosamente. L’accesso al lago è vietato alla popolazione locale, poiché influenti personaggi del governo hanno interessi privati a che sia riservato alle serre e agli hotel. Ogni metro quadro di rose consuma mediamente 7 litri di acqua al giorno, e il livello del lago si è molto abbassato nel giro di pochi anni. La flora e la fauna del luogo hanno molto risentito dell’abbassamento del livello del ‘Naivasha’ e del suo inquinamento, ma la cosa sembra non avere nessuna importanza per le associazioni internazionali di controllo. La proprietà è generalmente inglese o olandese, solo raramente kenyana (come la Sian, che è di proprietà di famiglie che hanno alte posizioni governative). Per ogni rosa raccolta, un operaio italiano prende non meno di 10 centesimi di euro al giorno, mentre un operaio kenyano viene pagato circa un terzo di centesimo di euro (sempre per ogni rosa raccolta), per un totale di 3.700 scellini al mese, meno di 40 euro. Le condizioni di lavoro degli operai sono estremamente dure: il lavoro è molto faticoso, i contratti sono raramente a tempo indeterminato, e nei periodi di maggiore richiesta si assumono lavoratori esterni, chiamati ‘casual’, che vengono pagati pochissimo per un lavoro massacrante. Ognuno si deve occupare di una fila di rose, che può essere incredibilmente lunga, dato che le serre si estendono per molte decine di ettari. La 25

posizione è scomoda, poiché si deve stare curvi tutto il giorno. A lavorare sono soprattutto le donne, che vengono licenziate in tronco se in gravidanza, e che spesso devono subire abusi sessuali. I codici internazionali per la protezione degli operai prevedono che essi debbano rientrare dopo un certo numero di ore dopo l’erogazione degli insetticidi, ma nessuno rispetta queste regole, e la maggior parte dei lavoratori ha malattie alle vie respiratorie, per le cui cure non riceve nessun contributo. Esiste una certificazione ‘fair trade’ che però non è né molto conosciuta né rispettata. In Italia non è neanche richiesta. Tuttavia nel momento in cui le rose arrivano ad Aaslmer e vengono smistate, perdono ogni identificativo e la possibilità di risalire ad eventuali certificazioni ‘fair trade’. Se posso esortare i baldi cavalieri e le dolci fanciulle ad una maggiore responsabilità nell’acquisto dei fiori per consacrare il proprio amore, indirizzerei verso l’acquisto di una pianta in vaso, una rosellina miniatura (ohibò!non necessariamente rossa!) delle pansè rosse con centro color velluto, persino dei ciclamini rossi, se avete poca fantasia o il vostro fioraio è sguarnito. Intanto siete ancora in tempo per effettuare un acquisto di una rosa a radice nuda, una bella ‘Asso di Cuori’, i cui primi fiori primaverili andranno alla fanciulla della vostra vita. In amore l’attesa è un piacere, aspettare maggio per regalare delle rose appena raccolte da una pianta ricca di boccioli pronti a schiudersi, non sarà poi tanto terribile.




Attentati alle cooperative

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Scomode storie di sviluppo e crescita sociale

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di Maria Giovanna Mollace

l 2011 è finto male in Calabria. Il giorno di Natale, due ordigni sono esplosi a Lamezia Terme in un centro di accoglienza gestito nell’ ambito del ‘Progetto Sud’ di Don Giacomo Panizza. Il centro ‘La Luna Rossa’, che ha sede in un bene confiscato alla mafia, si occupa di assistenza a minori stranieri rimasti senza famiglia, ed è anche sede regionale della F.i.s.h. (Federazione italiana superamento handicap). La Comunità ‘Progetto Sud’ ha iniziato la sua attività nel 1976 allo scopo di assistere

persone con disabilità, nel corso del tempo ha allargato i suoi ambiti di azione creando un’unione di gruppi e associazioni attive anche nel campo dell’ integrazione sociale e lavorativa di immigrati, della socializzazione civile e culturale, e dell’ economia solidale. Già nel 2009, ignoti avevano manomesso due auto del Centro e compiuto danneggiamenti a una cooperativa agricola che faceva parte della comunità. Ad apertura dell’ anno nuovo invece, piuttosto che guardare ad un futuro speranzoso, 28

un altro attentato ha raffreddato i festeggiamenti, questa volta nella Locride, perché se il 2011 è finito male, l’anno che viene sembra prospettarsi ancora peggio. Nella notte tra l’ 1 e il 2 Gennaio, un ordigno è stato fatto esplodere a Caulonia, contrada ‘Frazzo’, davanti ad un ristorante prossimo all’apertura. Il locale, gestito dalla cooperativa Goel, avrebbe aperto di lì a poco per diventare un ristorante etnico, un laboratorio socioassistenziale parte dei progetti di accoglienza che da tempo il Comune di


Caulonia promuove. L’avvio del ristorante era volto all’inserimento lavorativo di cittadini residenti stranieri e locali. A poche settimane di distanza dall’ accaduto, il 23 Gennaio 2012, un altro atto intimidatorio è stato compiuto contro l’agriturismo biologico ‘A Lanterna’, in località Cuturi, a Monasterace. L’ azienda agrituristica, che è stata parzialmente distrutta, fa parte della cooperativa ‘Frutti del Sole’, socia di ‘Goel Bio’. E’ anche una struttura agroturistica biologica aderente al circuito degli Agriturismi BioEcologici ‘A.I.A.B’. E’ormai chiaro che questi episodi di violenza, prevaricazione e soprusi, non sono casi isolati ma fatti all’ordine del giorno. Già in passato, la cooperativa ‘Valle del Bonamico’ parte di Goel, è stata oggetto di vari attentati intimidatori volti ad ostacolarne il lavoro. Nel 2007 ad esempio, sono state distrutte con una sostanza chimica più di diecimila piante di lamponi già pronte per la produzione, un ettaro di serre irrimediabilmente perdute. La cooperativa ‘Valle del Bonamico’ ha occupato ex detenuti e disoccupati attraverso il progetto ‘Potamos’, e fin ora nessuno degli ex detenuti è ricaduto nelle mani della criminalità o è ritornato in carcere. Il Consorzio Goel, si può ad oggi definire un esempio positivo per lo di sviluppo del territorio. Nasce nel 2003 come frutto di un lungo percorso di impegno

sociale della Diocesi di Locri-Gerace, promosso e accompagnato da Mons. Bregantini, contro la disoccupazione e per il cambiamento, con lo scopo di creare un sistema che si contrapponga alla logica che ostacola lo sviluppo e il progresso del territorio. Un progetto lungimirante, che a distanza di quasi dieci anni, ha centrato gli obbiettivi iniziali creando una rete che oggi cammina da sola, promuovendo un modello civile di successo che ha creato oltre 100 nuovi posti di lavoro. Le attività delle cooperative e dei soggetti che operano attorno al consorzio spaziano dalla produzione di prodotti tipici biologici, attraverso il marchio ‘Goel Bio’ al turismo responsabile; dalla produzione di tessuti artigianali, attraverso il brand ‘Cangiari’, alla creazione e consulenza alle imprese; ma anche all’ accoglienza e al recupero dei minori a rischio, alla formazione sociale e animazione del territorio, all’assistenza e il supporto lavorativo e abitativo di cittadini stranieri, allo smaltimento dei rifiuti, al commercio equo e solidale, alla produzione oggettistica, all’ accompagnamento delle persone con handicap, attraverso il progetto ‘Aiutamundi’. In particolare è stata molto apprezzata la collezione, interamente realizzata in Calabria con materiali pregiati e lavorazioni artigianali, sotto il marchio di moda etica e sociale ‘Cangiari’. Una garanzia 29

che l’alta qualità può anche avere il massimo rispetto per l’eco-sistema. Ha una produzione composta da cooperative che si prendono cura delle comunità di appartenenza e inseriscono al lavoro persone svantaggiate (persone con handicap, donne e giovani disoccupati, persone con malattie mentali, persone detenute o exdetenute, persone con problemi di dipendenze e famiglie in difficoltà). La collezione è stata presentata alla Settimana della Moda Donna a Milano ed ha aperto uno show room molto apprezzato sia per la qualità che per la bellezza dei prodotti. Il marchio è inoltre sostenuto dallo stilista Santo Versace, ed ha il patrocinio della Camera Nazionale della Moda Italiana e del Comune di Milano. Nei fatti il modello di gestione del consorzio, ha creato realtà economiche e sociali aperte all’inserimento e all’integrazione dei soggetti che specialmente nella zone dove opera, sono emarginati ed isolati sia dal punto di vista lavorativo che sociale. Ha aperto la strada per una cooperazione virtuosa attraverso alleanze con altre realtà a livello nazionale, e ha prodotto nuovi posti di lavoro in una terra dove la disoccupazione tocca picchi altissimi. Ha in breve operato lì dove lo stato centrale avrebbe dovuto operare da anni, ma che in realtà ha messo nell’ultimo punto dell’agenda politica. febbraio2011






Novità in vista per i pensionati |if magazine

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Dal 7 MARZO niente più pagamenti per contanti, per le pensioni superiori a € 1.000

er come comunicato in questi giorni dall’INPS, a circa 450 mila pensionati giungerà nelle prossime settimane una lettera, con la quale verrà fatto sapere agli stessi che a partire dal 7 marzo il rateo di pensione non potrà essere più corrisposto per contanti quando questo eccederà l’importo di €. 1.000,00 ( mille/00). Tale novità che riguarderà i pensionati è conseguenza delle nuove disposizioni introdotte dal c.d. “decreto Salva-Italia” che ha, sia ridotto la soglia per l’utilizzo del contante nelle transazioni a 1.000 euro, nonché introdotto delle norme relative ai pagamenti effettuati dalla pubblica amministrazione che prevedano al fine di “favorire la modernizzazione e l’efficienza degli strumenti di pagamento” entro il 6 marzo 2012, l’avvio del “… processo di superamento dei sistemi basati sull’uso di supporti cartacei”. Cosà dovrà fare quindi il pensionato che percepisce una pensione di importo superiore a mille euro? Sarà necessario comunicare all’Istituto erogante entro

il mese di febbraio le modalità alternative di riscossione, scegliendo tra l’accredito in conto corrente, su libretto postale o su carta ricaricabile. Tale comunicazione di variazione della modalità di pagamento può essere inoltrata attraverso il sito istituzionale dell’INPS da parte dei soggetti in possesso di Pin, oppure direttamente ad una sede territoriale dell’INPS. Infine, sarà possibile anche direttamente presso gli uffici bancari o postali, secondo le consuete modalità. Vista la portata della novità, anche per agevolare i pensionati, nel decreto Salva-Italia è stato previsto che i versamenti delle somme a soggetti con trattamenti pensionistici minimi, assegni e pensioni sociali sono esenti dall’imposta di bollo. Inoltre, è previsto l'impegno sia dell'Abi, delle Poste Italiane e delle associazioni di categoria delle imprese che gestiscono i circuiti di pagamento per una riduzione dei costi per i pagamenti attraverso le carte di pagamento Staremo a vedere! *dottore commercialista

diVincenzo Saccà*

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Fabio Volo:il principino della cultura moderna di Alessandra Buttiglieri

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o incontrato Fabio Volo tempo fa, in una delle più belle librerie che io abbia mai visto, l’Ambasciatori di Bologna, una di quelle associate Coop, figlia della nuova concezione di spazio letterario, luogo in cui si può degustare il buon cibo leggendo il libro appena acquistato o bighellonando tra le novità. Ho scelto la giornata meno adatta per gustarmi il silenzio ipnotico e libresco di posti come questo, dal momento che stava per aver inizio la presentazione del nuovo lavoro di Volo dal titolo “Le prime luci del mattino”. Da fuori la ressa di gente scalpitante all’idea dell’incontro si faceva sentire, l’aria era gremita e salubre di allegria e di attesa, di curiosità e di fanatismo. Rimango. Curiosa anche io. Non tanto di conoscere un personaggio del calibro di Fabio Volo, ma tanto per comprendere che tipo di fenomeno stesse capitando lì, sotto i miei occhi increduli, di fronte ad una folla animata e impaziente. Spettacolo, vedere tutte quelle persone in fila per sentire parlare di un libro, e quindi, di letteratura, anche se in una forma standard da mercato, confezionata e pronta all’uso. Alle 18.00 precise Volo arriva,sorridente, sarcastico ed ironico, come sempre, come quando appare in Tv, visto dall’alto la sua stempiatura comincia a segnare un’età nascosta dal suo mistico Peter Pan,abitante da sempre nel suo intimo. Scrosciano gli applausi, fiumi, piogge di applausi tutti per lui, venerato e glorificato come una star del rock, le ragazzine urlano,lo esaltano,sono inebriate dall’idea dello pseudo scrittore fascinoso e mascalzone, proprio come Fabio. Un personaggio costruito con meccanismi infallibili e che di certo non deludono il lettore medio italiano, che punta alla lettura facile e

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confortante, serale, leggera,allegra, d’amore, rosa, in tutto e per tutto, che si svincola dalla lettura impegnata di libri considerati macigni pesanti e improponibili, optando per le sognanti storie di una creatura dello spettacolo, un tuttologo del nostro tempo, che saltella tra film, sceneggiature, programmi televisivi, radio e ovviamente si, anche libri. Tempo fa mi capitò di guardare una sua breve intervista, in cui, dichiarò sorridente di non essere un vero scrittore, ma di aver trovato un meccanismo per raccontare storie che gli frutta un sacco di benefici, soldi, fortuna, ammirazione e di non sentire quindi la necessità di smettere, dal momento che i suoi prodotti piacciono e direi anche molto. Aggiunge quasi vergognandosi, che per avere privilegi simili ci vuole...un gran culo, anziché una grande bravura. Appare chiaro dunque, che Fabio Volo non si nasconde, non finge di essere un grande intellettuale, non ostenta una cultura che probabilmente non possiede, esterna la verità, ma spesso molti di coloro che acquistano i suoi libri non vogliono sentirla, non vogliono comprenderla. Volo sapeva bene che rilasciando una dichiarazione simile non sarebbe successo un bel niente e che le persone avrebbero continuato, imperterrite, a fare la fila per vederlo un istante e che i suoi scritti avrebbero ancora sbarcato il lunario, io invece, dopo aver sentito questo, non ho più acquistato niente di suo (si deve pur conoscere chi o ciò che si critica) proprio perché non mi sarei fatta prendere in giro un minuto di più, da un sistema generalista,che ha modellato il gusto in base alla vendibilità di un prodotto. Inoltre, la sua fama sembra oscurare la capacità critica di chi osserva, riempiendo in tutti i 35

piani la spaziosa libreria, si ride a battute stupide,non ci si indigna se la presentazione è durata meno di quindici minuti e poi lo spazio è stato dedicato alla possibilità di farsi autografare un libro, non ci si arrabbia di fronte alla leggerezza con la quale, lo scrittore, lancia banali luoghi comuni su noi donne, viene anzi considerato brillante e giusto tutto ciò che dice, anche se non si sta realmente ascoltando. Mi sento come se avessi perso del tempo prezioso, e invece no,non è così, perché ho visto in pieno e con i miei occhi la trasformazione tangibile dell’idea di letteratura, ho visto e toccato con mano, cosa significa “libro” oramai, per buona parte della popolazione di leggenti. Un buco nero risucchia tutti i neo lettori del duemila, che si infatuano di storie a lieto fine, capaci di smuovere (almeno loro) l’interesse tramortito dei più giovani e con mia grande sorpresa anche di chi, giovane,non lo è più da un pezzo. L’emozione facile e gratuita la vince sull’intelletto e sull’impegno che leggere un libro richiede. I libri sono nostri maestri di vita,vanno scelti con assoluto criterio, poiché essi ci impartiranno nozioni scritte, e alcune tra queste, resteranno nel nostro cuore e nella nostra mente per sempre. Allora perché accade un fenomeno simile? Un decadimento del gusto e della scelta sconfortante, che potrebbe essere, secondo il mio occhio di lettrice compulsiva, un trattamento inadeguato (tra le tante altre cause, s’intende) dei testi classici da parte di scuole e università. Si lascia la strada vecchia per la nuova, senza conoscere però, ciò che si troverà lungo il nostro cammino. Il concetto secondo il quale tutto è buono purché si legga,credo sia, in questo caso, altamente rimpiazzabile.








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Jazz Club Il racconto

di Rossella Scherl

S’erano incontrati poco più che ventenni, sul finire degli anni ’80, al Jazz Club, nel centro storico di Firenze. Un ambiente stile anni ‘50 dove, ogni due sabato, si esibivano dal vivo professionisti più o meno affermati. Nelle altre sere, spazio aperto a più o meno talentuosi jazzisti dilettanti. All’epoca, Daria cantava con un trio: pianoforte, tromba e contrabbasso. Col gruppo, era un habitué del locale. Nelle serate free, spesso riuscivano ad esibirsi. Vivevano nella speranza che, un giorno o l’altro, un critico o un musicista di quelli che contano, capitato da quelle parti, nell’ascoltarli, rimanesse colpito e gli offrisse un’occasione nel giro giusto. All’epoca Ottavio era senza band ed era arrivato a Firenze da una settimana per un’audizione. Al Club era stato portato, la sera stessa del suo arrivo in città, da amici fiorentini conosciuti, qualche mese prima, in uno di quei festival jazz estivi di provincia. L’ambiente gli era piaciuto e c’era tornato tutte le sere, fino a quella in cui conobbe Daria. Tutto accadde per pura casualità. La ragazza doveva esibirsi col suo gruppo. Marcello, il trombettista, un attimo prima che salissero sul palco, era stato chiamato in disparte da Nicola, il proprietario del locale: aveva telefonato la moglie… Marcello, agitato, era tornato dai compagni e infilandosi il giubbotto, aveva chiesto a Carlo, il pianista, le

chiavi della macchina: “Devo correre a casa. A Laura si sono rotte le acque” e aveva lasciato il locale mentre Daria si domandava ad alta voce: “Ma non mancava ancora un mese?”. I tre ragazzi, non sapevano che fare. Erano in piedi di fianco al tavolino dov’era seduto Ottavio, che li sentì discutere se non fosse il caso di rinunciare all’esibizione. D’istinto si alzò e si offrì di unirsi a loro. L’avevano sentito suonare due giorni prima in una jam session improvvisata. Non era niente male. Daria scambiò uno sguardo con i suoi compagni: “Ok! Grazie” e gli disse il titolo del brano che avevano in programma: “Per te va bene?”. Il viso di Ottavio, per un istante, fu attraversato da una smorfia che la ragazza non seppe come interpretare. Incassò il “Per me va bene” del ragazzo. I musicisti e la cantante ebbero bisogno di qualche minuto per definire la tonalità e accordarsi sugli attacchi, prima di sistemarsi sul palco. A un cenno di Daria, si accesero i faretti e, una luce rossa si diffuse sul quartetto nella penombra del locale. Mentre il piano introduceva il pezzo, Ottavio impugnò la tromba con la sinistra, portò le dita della destra sui pistoni, poggiò la bocca sul bocchino, inspirò profondamente, con calma, e quando fu il suo momento, emettendo l’aria, lentamente, fece vibrare le labbra producendo, in assolo, le prime inequivocabili note di quello straordina42

rio standard jazz. Non erano stati che pochi secondi. A Daria erano bastati per entrare in sintonia. Iniziò a cantare con un fraseggio di cui non credeva essere capace e con una tavolozza di sfumature nella voce che nemmeno sospettava le potessero appartenere. Non era la prima volta che cantava quel brano, ma mai, prima di allora, l’aveva vissuto con una tale intensità. Mai prima di allora aveva provato il piacere fisico della sua voce che si fondeva in modo così totale col suono della tromba. Un suono morbido, carezzevole. Aveva così poco dell’acuto che veniva fuori quando suonava Marcello. Non era la prima volta che Ottavio suonava quel pezzo, ma mai, prima di allora, l’aveva vissuto con una tale intensità. Mai aveva colto in una voce, una sensibilità interpretativa così aderente alle sue vibrazioni più profonde. Mai prima di allora aveva sentito, in una voce, quella carica emozionale. Una spinta emotiva che lo portò ad eseguire quel brano come mai aveva fatto. Nel modo in cui aveva sempre sognato. Si avvertiva così concretamente la magia di quel duetto, che il pianista e il bassista si limitarono a contrappuntarlo in punta di piedi, per non rompere l’incanto. Il pubblico era rapito, compresi il barista e la ragazza che serviva ai tavolini. In quel locale, le note di quello standard erano risuonate un’infinità di volte, ma un’interpretazione così intima, piena di


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musica struggente e dolorosa nostalgia il proprietario non se la ricordava. Alla fine dell’esibizione Daria e Ottavio si guardarono. Negli occhi avevano la medesima domanda Dove sei stato finora? Il mattino dopo si svegliarono nello stesso letto. Alle 8,00 uscirono insieme dall’appartamento che Daria divideva con una studentessa fuori sede. Si diedero appuntamento per la sera al Club. Lei prese l’autobus per andare a lavoro e Ottavio tornò alla pensione dove alloggiava. Chiese alla titolare la chiave della stanza e di preparargli il conto. Lasciò Firenze per Roma. Due giorni dopo aveva l’aereo per New York. L’audizione era andata bene. L’aveva saputo il pomeriggio dello stesso giorno in cui aveva conosciuto Daria. Daria l’aspettò quella sera e la sera appresso. Non poteva fare altro. Non sapeva da dove veniva, in quale pensione s’era fermato. Neanche il suo cognome conosceva. Non le ci volle molto per capire che non si sarebbe più fatto vivo. Che stronzo! Erano passati un paio d’anni. Daria continuava a frequentare con il suo gruppo il Jazz Club più per l’inconfessata speranza di rincontrarci lui, che per l’aspettativa di essere notata da qualcuno. Non era più riuscita a cantare il brano di quella sera. Non aveva più cantato come quella sera. A New York, Ottavio si stava affermando professionalmente. Alternava concerti dal vivo con una band emergente, a collaborazioni in sala d’incisione con grandi nomi. Era quello

che aveva sempre desiderato, avrebbe dovuto essere felice. Non lo era, o almeno non lo era più stato come quella sera sul palco con Daria. Non era più riuscito ad esprimersi a quel livello. E gli mancava quel pezzo. Lo aveva amato più di qualunque altro. Non riusciva più a suonarlo. Arrivò a Firenze a metà aprile, in tarda serata. All’aeroporto prese un taxi e si fece portare direttamente al Jazz Club. Aveva con se un ventiquattrore e la tromba. Il proprietario lo riconobbe appena mise piede nel locale. Gli andò incontro e lo accompagnò ad un tavolo. Le luci sul palco erano spente, tranne la scritta in corsivo che, sullo sfondo, con un sottile neon rosso, riprendeva quella sull’arco della porta d’ingresso, sotto la cappottina nera. Gli altoparlanti diffondevano in sala il Köln Concert di Keith Jarrett. “Niente gruppi stasera?”. “Dovrebbe esibirsi un quartetto di Arezzo. Mi hanno chiamato un’ora fa. Hanno avuto problemi col pulmino e chissà a che ora arriveranno”. “Le dispiace se intanto io…”. “Ma scherza? Se penso all’ultima volta che l’ho sentito suonare...”. Ottavio si alzò, si tolse la giacca, prese la tromba dalla custodia e lentamente attraversò la sala semivuota. Salì sul palco ch’era stato illuminato da un unico faretto rosso. Raggiungendo il cerchio di luce, gli bastò un’occhiata veloce verso il pubblico, per rendersi conto che Daria non c’era. Dopo aver avvicinato le labbra al bocchino, chiuse gli occhi 43

per entrare nell’atmosfera di quel ricordo lontano. In un silenzio assoluto, le note di quella canzone che non suonava da anni, si diffusero nell’aria alla ricerca di un qualcosa che Ottavio aveva temuto di aver perso per sempre. Quella sera, Daria avrebbe dovuto essere al cinema. Come ogni martedì. Ma l’amica con cui ci andava di solito, le aveva dato buca e a lei non andava di andarci da sola. Dopo cena aveva deciso di fare quattro passi. Aveva incontrato per caso degli amici. Qualcuno aveva proposto di andare a bere qualcosa al Club. Era a metà dei dieci gradini che dall’ingresso scendevano nel locale, quando sentì le prime note di quella canzone. Si bloccò. Non ebbe dubbi che fosse lui a suonarla. “Che fai? Non scendi?” le disse una del gruppo, superandola. Daria si sentì prendere per mano e intontita raggiunse il tavolo dove gli altri avevano già preso posto. Poggiata la borsa su una sedia, con ancora in dosso lo spolverino, rispondendo ad un impulso irrefrenabile, a passi morbidi s’era diretta al palco. Ottavio ne avvertì la presenza. Daria prese il microfono, entrò nel cono di luce che avvolgeva Ottavio e, quando fu il momento, cominciò a cantare. “My funny valentine… sweet comic valentine… you make me smile, with my heart…”




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Amore, Magia e tradizione

e tradizioni e le feste popolari che animano la festa degli innamorati sono tantissime ed ognuna di esse reca in sé i vincoli inviolabili di un passato che tarda difficilmente a dissolversi negli oceani del tempo. Ho pensato così di analizzare le varie sfaccettature del concetto di AMORE dal punto di vista degli usi, dei costumi e delle tradizioni, evidenziando così sfaccettature che delineano in maniera dettagliata, quanto l’argomento sia stato messo da sempre in primo piano nella vita di ogni essere vivente. L’Amore dunque è all’origine del mondo, e rimane il fattore essenziale e l’ossessione eterna dell’umanità; la ragion d’essere, di vivere e di sperare, il perno fisso su cui gira il nostro globo, la causa e la finalità ultima di ogni essere umano e la condizione stessa di ciò che c’è di più contrario: l’odio, generato dalla trasmutazione del primo, grande ed unico elemento positivo, generatore di ogni cosa. Così anche l’immagine della Grande Dea, progenitrice del tutto ed emblema dell’amore stesso, è la Femmina trionfante e dispensatrice di gioia, in virtù del suo fascino e della sua grazia. Il concetto stesso di passione, che scaturisce da tale entità è sacra, e l’atto propagatore della specie mediante il piacere dei sensi, è un’atto religioso, oggetto di severe iniziazioni. Facendo un’analisi dal punto di vista meramente esoterico ed astrale, la Magia della Luna, astro per eccellenza collegato a tale sentimento, è una di quelle magie comunemente usate sin dai tempi più antichi; difatti alcune pratiche religiose anticamente chiedevano l’aiuto di luna, sole e stelle. In ogni fase differente della luna, si possono effettuare infatti degli incantesimi (con la Luna piena se ne possono fare di tutti i tipi); la luna calante è utile per fare incantesimi per allontanare le negatività, mentre con la luna crescente

di Tiziana Romeo

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si possono effettuare incantesimi di potenziamento spirituale e personale. Le streghe nell’antichità e tutt’oggi (in riferimento al filone stregonesco neopagano wiccano)si radunano di volta in volta in determinati luoghi, per ogni fase della luna e questi raduni vengono chiamati Esbat. La luna nuova ha ad esempio un significato particolare: durante questo periodo, la forza e l’energia del sole e della luna sono in simbiosi e donano potenza per nuovi progetti. Si dice che durante la luna nuova sia stata concepita la regina delle streghe, Aradia. Il momento migliore per fare incantesimi è l’alba o il tramonto e si possono prolungare per massimo tre giorni. I risultati di tali operazioni di magia si dovrebbero vedere entro la luna piena, ma se così non fosse, la magia andrà ripetuta. Fra gli innumerevoli incantesimi da fare, troviamo ad esempio quelli inerenti giardinaggio e agricoltura, per la fecondità dei giardini o dei terreni; bellezza e salute: andranno fatti incantesimi su alcune zone del corpo che recano imperfezioni o semplicemente per rigenerarle; amore e innamoramento: si possono fare magie riguardanti un miglioramento al rapporto sentimentale che si sta vivendo, chiarimenti e dubbi; o ancora incantesimi per trovare posto di lavoro, incantesimi per aumentare l’ego, l’ambizione, per visualizzare ciò che si vuole ottenere. Per quanto riguarda invece il significato più tradizionale del termine Amore, o meglio i suoi usi e costumi in una realtà molto vicina alla nostra, quella calabrese appunto, direi che esso è stato da sempre carico di senso cultuale, magico e superstizioso. Quando soprattutto nel passato alle fanciulle della nostra terra si offrivano rarissime occasioni per poter vedere la persona oggetto del loro desiderio... potrete leggere l’intero articolo martedì 14 febbraio su www.ilfattoonline.com




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