Il Fatto Nisseno - giugno 2011

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RESS

Mensile di approfondimento Direzione Editoriale: Michele Spena

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redazione: Viale della Regione, 6 Caltanissetta

ISSN: 2039/7070

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Giugno Anno I Num. 5

- Tel/Fax: 0934 594864

Poste Italiane S.p.A. - Sped. in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 conv. N. 46 art. 1 comma 1. Sud /CL

- Stampa: STS S.p.A. Zona industriale Vª Strada, Catania - Reg. Tribunale di Caltanissetta n° 224 del 24/02/2011

A CASA DI...

SOLIDARIETA’

FATTI & DINTORNI

Elisa Ingala si racconta. “Non solo conti”

Nisseni silenziosi aiutano i piccoli della Tanzania

Pier Amico, il mussomelese che cantò con i big

di D. Polizzi

di R. Colajanni

a pagina 14

di O. Barba

alle pagine 12 e 13

Strata a’ foglia

a pagina 27

INTERVISTA ESCLUSIVA

Lucia Lotti, il giudice che lotta per liberare Gela

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ucia Lotti è un magistrato di frontiera. Un giudice che non si sente asserragliato in un fortino, la Procura di Gela, ma che anzi guarda con interesse a quello che accade nelle strade della città del golfo. In questa intervista, data in esclusiva al “Fatto Nisseno”, Lucia Lotti riconosce la funzione economica che il Petrolchimico continua ad onorare, nonostante la crisi imperante, e dà conto del ruolo assolto dalle associazioni antiracket e dalla società civile. Risposte ispirate dal pragmatismo di chi

opera in un ambiente difficile, e suggerite da un certo ottimismo manifestato con la consapevolezza di chi conosce le prospettive di una terra che non ha mai issato bandiera bianca. E che in fondo non lo farà mai.

Servizio alle pagine 6 e 7

Aldo Rapè e il suo mercato di celluloide CIAK si gira Voci e colori dal cuore di Caltanissetta di Rosamaria Li Vecchi alle pagine 8 e 9

ROSSO & NERO

Il sindaco e il paragone che non regge a pagina 28

STORIA & CULTURA

Place de Milena, dedicata al paese nisseno

PROFONDO BLU

Due nisseni e la loro passione per il mare

a pagina 22 e 23 scrivi alla redazione: lettere@ilfattonisseno.it

alle pagine 16 e 17

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Via Filippo Paladini, 172 - Via Ferdinando I, 63 Caltanissetta


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Fatti contro la Mafia

per non dimenticare

Dopo l’ uccisione del parroco, il protagonista della storia non ha paura della mafia tanto da denunciare l’ omicidio di un falegname consumato sotto i suoi occhi. Da quel giorno vive in una località segreta come se fosse un pentito

di Giovanbattista Tona

G

iuseppe era cresciuto a Brancaccio; nel 1990, quando arrivò Padre Pino Puglisi alla chiesa di San Gaetano, studiava medicina all’università ma stava prendendo una brutta strada. “Ora sono il parroco del Papa”, diceva scherzando don Pino e alludeva al fatto che in quelle zone aveva spadroneggiato il boss Michele Greco, detto il papa. Ma la mafia cambia i suoi vertici e quella era diventata la parrocchia dei Graviano. Di loro Don Pino si preoccupava poco, anche se dal loro clan sarebbe arrivato l’ordine di ucciderlo; egli si preoccupava di più dei tanti ragazzi di quel quartiere, come Giuseppe. “La mia esperienza è un po’ particolare” raccontò

Giuseppe a Famiglia cristiana nel 1995, “avevo amicizie pericolose e a un certo punto mi accorsi che ero stanco della vita che conducevo. Quando sei in contatto con certa gente, o fai come fanno loro e quindi ti ritrovi sottoterra, oppure scegli tutt’altra strada; non ci possono essere vie di mezzo”. Mentre avvertiva un forte senso di vuoto, Giuseppe cominciò a frequentare Padre Puglisi: “con lui non ho mai parlato delle mie amicizie, però ho avuto sempre la sensazione che lui avesse capito tutto. Adesso ho un solo rimpianto: di non essermi mai confessato con lui; non ci sono mai riuscito. Forse avevo paura che rimanesse deluso di me. Ma sono convinto che aveva capito tutto. Lo

LA STORIA. Il coraggio di uno studente di medicina del quartiere Brancaccio

Giuseppe, “testimone” grazie a padre Puglisi sapeva che questa scelta mi pesava, che era difficile rompere con il passato, ma sapeva che io lo volevo a tutti i costi. Così mi coinvolse nelle attività del centro sportivo e quell’attività riempì tutta la mia vita. Mi accorsi che era una cosa bellissima dedicarsi ai bambini e finì che camminavano sempre con me. Per qualcuno di loro era anche un modo per sfuggire alla logica spietata della strada ed evitare che andassero a rubare. Li portavo con me anche all’università”. Giuseppe scoprirà presto di quanto coraggio c’era bisogno per recuperare il senso della sua vita e per dare un futuro diverso al suo quartiere: “quando fecero alcuni attentati, padre Puglisi pronunciò un’omelia di fuoco. Ebbi quasi paura. Mi resi conto che il passo che stavamo facendo era molto forte.”

La sera del 15 settembre 1993, i sicari spararono al parroco di Brancaccio nel giorno del suo compleanno e gli sentirono dire che li stava aspettando. Giuseppe non riuscì a resistere e pretese di recarsi nella camera mortuaria per vederlo ancora, approfittando della sua iscrizione alla facoltà di medicina. Ma la disperazione di quegli istanti non lo fermò e continuò a lavorare nella parrocchia di Brancaccio per i suoi bambini. Il 3 giugno del 1994 un falegname di Brancaccio con piccoli precedenti viene ucciso in un agguato di mafia. Giuseppe e un suo amico, Matteo, assistono per caso ad una fase dell’esecuzione e riconoscono i due killer. Dopo qualche esitazione decidono di fare quello che a Brancaccio sembrerebbe incredibile: si recano da-

gli inquirenti e raccontano tutto. Diranno: “la nostra è stata una scelta di coerenza che è maturata nel cammino fatto insieme a padre Puglisi”. Prima che la notizia della loro testimonianza si dif-

Il suo sacrificio è servito anche a dimostrare che don Pino è vivo

fonda vengono trasferiti in una località segreta e comincia per loro un’altra vita di clandestinità e di lontananza dal quartiere dove si è nati e dove si potrebbe morire ammazzati:

una vita da “pentiti” senza avere nulla di cui pentirsi. Giuseppe dal 1995 vive più o meno così; talvolta si arrabbia, talvolta è deluso, ma non si pente mai di quello che ha fatto; perché il suo sacrificio è servito anche a dimostrare che don Pino è vivo e perché comunque, se non si fosse lasciato guidare da lui, la sua vita sarebbe stata senza senso. Oggi che tutti si proclamano combattenti contro la mafia senza avere sopportato nemmeno una parte infinitesima dei sacrifici che ha patito lui, nessuno ricorda la storia di Giuseppe, ma lui è sereno e, in una località che non diremo, lavora per dare compagnia e tranquillità a persone affette da malattie psichiatriche; forse in loro rivede i bambini di Brancaccio che volevano camminare sempre con lui.


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IL RITRATTO Il sacerdote fu ucciso il 15 settembre del 1993

Don Pino, il prete che sorrise ai killer che lo ammazzarono

A sinistra un giovane padre Puglisi con i bambini di Brancaccio.

Nessuno ricorda la storia di questo ragazzo. Adesso lavora con persone affette da malattie psichiche. Forse in loro rivede i bambini di Brancaccio

Padre Giuseppe Puglisi meglio conosciuto come Pino, (Palermo, 15 settembre 1937 – Palermo, 15 settembre 1993) è stato un presbitero italiano, ucciso dalla mafia il giorno del suo 56º compleanno a motivo del suo costante impegno evangelico e sociale. Il 15 settembre 1999 il cardinale di Palermo Salvatore De Giorgi ha aperto ufficialmente la causa di beatificazione proclamandolo Servo di Dio.

Nasce il 15 settembre 1937 a Brancaccio, quartiere periferico di Palermo, da una famiglia modesta (il padre calzolaio, la madre sarta). A 16 anni, nel 1953 entra nel seminario palermitano da dove ne uscirà prete il 2 luglio 1960 ordinato dal cardinale Ernesto Ruffini. Nel 1961 viene nominato vicario cooperatore presso la parrocchia del Santissimo Salvatore nella borgata di Settecannoli, limitrofa a Brancaccio, e successivamente rettore della Chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi. Nel 1963 è nominato cappellano presso l’orfanotrofio Roosevelt e vicario presso la parrocchia Maria Santissima Assunta a Valdesi, borgata marinara di Palermo. È in questi anni che Padre Puglisi comincia a maturare la sua attività educativa rivolta particolarmente ai giovani.Il 1º ottobre 1970 viene nominato parroco a Godrano un paesino della provincia palermitana che in quegli anni è interessato da una feroce lotta tra due famiglie mafiose. L’opera di evangelizzazione del prete riesce a far riconciliare le due famiglie. Rimarrà parroco a Godrano fino al 31 luglio 1978.Il 29 settembre 1990 viene nominato parroco a San Gaetano, nel quartiere Brancaccio di Palermo, controllato dalla criminalità organizzata attraverso i fratelli Graviano, capi-mafia legati alla famiglia del boss Leoluca Bagarella. Qui inizia la lotta antimafia di Don Pino Puglisi. Egli non tenta di portare sulla giusta via coloro che sono gia’ entrati nel vortice della mafia ma cerca di non farvi entrare i bambini che vivono per strada e che considerano i mafiosi degli idoli, persone che si fanno rispettare. Egli infatti attraverso attivita’ e giochi fa capire loro che si può ottenere rispetto dagli altri anche senza essere criminali, semplicemente per le proprie idee e i propri valori. Don Puglisi tolse dalla strada ragazzi e bambini che senza il suo aiuto avrebbero iniziato con piccole rapine per poi arrivare allo spaccio. Il fatto che lui togliesse giovani alla mafia diede molto fastidio ai boss che lo consideravano un ostacolo, così decisero di

farlo fuori dopo una lunga serie di minacce di morte di cui don Pino non parlò con nessuno. Nel 1992 viene nominato direttore spirituale presso il seminario arcivescovile di Palermo. Il 29 gennaio 1993 inaugura a Brancaccio il centro Padre Nostro per la promozione umana e la evangelizzazione. Il 15 settembre 1993, il giorno del suo 56º compleanno viene ucciso dalla mafia, davanti al portone di casa. Il 2 giugno qualcuno mura il portone del centro “Padre Nostro” con dei calcinacci, lasciandone gli attrezzi vicino alla porta. Il 19 giugno 1997 viene arrestato a Palermo il latitante Salvatore Grigoli, accusato di diversi omicidi tra cui quello di don Pino Puglisi. Poco dopo l’arresto Grigoli comincia a collaborare con la giustizia, confessando 46 omicidi tra cui quello di don Puglisi. Grigoli, che era insieme a un altro killer, Gaspare Spatuzza, gli sparò un colpo alla nuca. Dopo l’arresto egli sembra intraprendere un cammino di pentimento e conversione. Lui stesso ha raccontato le ultime parole di don Pino prima di essere ucciso: un sorriso e poi un criptico “me lo aspettavo”[1]. Condannato a 16 anni dalla Corte d’Assise di Palermo, è stato scarcerato nel 2000 dopo aver scontato una pena effettiva inferiore a due anni di reclusione. Mandanti dell’omicidio furono i capimafia Filippo e Giuseppe Graviano, arrestati il 26 gennaio 1994. Giuseppe Graviano viene condannato all’ergastolo per l’uccisione di don Puglisi il 5 ottobre 1999. Il fratello Filippo, dopo l’assoluzione in primo grado, viene condannato in appello all’ergastolo il 19 febbraio 2001. Condannati all’ergastolo dalla Corte d’assise di Palermo anche Gaspare Spatuzza, Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro e Luigi Giacalone, gli altri componenti del commando che aspettò sotto casa il prete.Sulla sua tomba, nel Cimitero di Sant’Orsola a Palermo, sono scolpite le parole del Vangelo di Giovanni: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).

Direzione Editoriale

Michele Spena m.spena@ilfattonisseno.it

Collaborazioni:

Osvaldo Barba Marco Benanti Rosamaria Colajanni Rosamaria Li Vecchi Salvatore Falzone Lello Lombardo Martina Nigrelli Donatello Polizzi Alberto Sardo Gianbattista Tona

'LVHJQR JUD¿FR Michele Spena

Impaginazione

Claudia Di Dino

Redazione Viale della Regione, 6 Caltanissetta redazione@ilfattonisseno.it Tel/Fax: 0934 - 594864 info pubblicità: 333/2933026


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di Salvatore Falzone

IN TV. Davanti alle telecamere il sindaco si compara al giudice ucciso

“Lasciato solo come Falcone” Campisi e il paragone infelice

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tavolta il sindaco Campisi l’ha sparata grossa: davanti alle telecamere di una emittente locale si è paragonato a Giovanni Falcone e ha puntato il dito contro tutti,

colpevoli di averlo lasciato solo nella sua battaglia per la legalità, proprio come solo fu lasciato il giudice saltato in aria a Capaci. Direte: ma uno non è libero di paragonarsi a chi vuole? Sì, certo. Ma c’ è un limite a tutto, anche ai paragoni… E quello di Campisi, come si dice, non regge. Eh no, proprio non regge. Anzi, è così strampalato, così inverosimile, così poco credibile, così paradossale, da risultare grottesco, cabarettistico, comico, perfino auto-

satirico. Non solo. Suona come canzonatorio anche nei confronti dei nisseni: ma davvero sono tanto scimuniti da credere che Campisi è come Falcone e che la solitudine dell’uno è assimilabile a quella vissuta a suo tempo dall’altro? A parte che il sindaco di Caltanissetta non è solo (ad accompagnarlo sui sentieri della giustizia è una guida forte e onorevole). Ma almeno dica in cosa consiste concretamente l’azione contro il malaffare che sta portando avanti e che gli sta facendo sperimentare un drammatico romitaggio. Ma lo dica a tutti.

Dica in cosa consiste la sua azione contro il malaffare

E a voce alta, senza sussurrare all’orecchio di alcuno. Denunci pubblicamente, alla luce del sole,

gli illeciti di cui è a conoscenza, faccia nomi e cognomi: e i cittadini decideranno se stare dalla sua parte oppure no. Non scherziamo con le cose serie. Perché se questo paragone fosse davvero fondato, se il sindaco stesse lavorando per ristabilire la legalità e per questo tutti avessero deciso di mollarlo, allora il primo cittadino sarebbe in grave pericolo. E se le cose stanno così, cos’altro si aspetta a tutelarne l’incolumità, a dargli

un’auto blu e una scorta? Lasciamo stare. Il paragone facciamolo noi. Diciamo allora che questa sparata è soltanto una gaffe, come quella dell’imprenditore scambiato per sultano. Ridiamoci su. E’ meglio. Altrimenti bisognerebbe tentare di rispondere a domande troppo difficili. Del tipo: si deve per forza essere eroi in questa terra di eroi? Non è proprio

possibile fare il proprio dovere in silenzio e con sobrietà? Un sindaco non può fare il sindaco e basta? Non può dire: sono quello che sono, cioè un servitore della cosa pubblica, e dunque lavoro onestamente e con trasparenza come ogni primo cittadino dovrebbe lavorare? Dia retta a noi, signor sindaco: lasci perdere le strategie di chi, per salvare la propria pelle, è disposto a vendere quella degli altri. E calibri meglio i suoi paragoni. Falcone lasciamolo in pace…


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L’ INTERVISTA. Magistrato di frontiera parla di economia, riconosce il ruolo assunto

dal Petrolchimico e dell’ impegno delle associazioni antiracket

Lucia Lotti, il giudice che crede nella rinascita di Gela Sopra il nuovo tribunale di Gela. Accanto il petrolchimico. Sotto il Procuratore Lucia Lotti

Redazione Procuratore Lucia Lotti, circa un mese addietro lei ha partecipato al forum delle imprese e delle professioni organizzato dall’associazione “daterreinmezzoalmare”, in cui gli attori e i relatori hanno immaginato, a partire dal presente, la città di Gela nel 2021. Quale futuro attende Gela per il capo della procura? quali presupposti per quale futuro... Tentare una risposta a una domanda così impegnativa impone una premessa sul mio approccio al contesto gelese. Questa città ha una storia densa e pesante, col tempo tradotta nell’immagine di un barbaro girone infernale. Sospettando che questa immagine non re-

L’incessante attività di contrasto alla criminalità sta dando buoni frutti

stituisse la complessità e le sfaccettature del luogo, nella prospettiva del lavoro a Gela, ho evitato ogni indagine preliminare o voce che potesse generare pre-giudizi. Un solo, sufficiente, presupposto a base della scelta: Gela ed il suo circondario altro non erano se non parte del territorio dello Stato con un posto vacante di Procuratore della Repubblica. Ed in effetti, occhi e mente sgombri da sovrastrutture valutative mi hanno aiutato a comporre l’analisi – mi auspico - in aderenza all’articolazione concreta ed attuale delle

dinamiche socio-economiche, criminali e non. Debbo aggiungere, sempre sul filo della premessa, che il lavorìo di comprensione del contesto è stato facilitato da tensioni positive che, pur sotto traccia, serpeggiano in città. Gela, nonostante le tante questioni ancora irrisolte, è comunicativa ed è percorsa incessantemente da uno spirito che, pur sovente misconosciuto, è aperto e vivace. Sta di fatto che, sia nell’ufficio giudiziario che nel contesto cittadino, è stato possibile stabilire da subito un rapporto diretto, fattivo, concreto, propositivo. E ci tengo a dire che lo stesso avviene per tutti i colleghi che giungono qui: test non è di poco conto, poichè negli ultimi tre anni ben sei magistrati si sono avvicendati in Procura. Il prodotto dell’analisi sviluppata fino ad oggi e la relazione interattiva con il contesto hanno permesso di definire la conformazione sempre più variegata e duttile delle aree di illecito e rivelato una sempre maggiore affinità di queste con tipologie ovunque rintracciabili. In sintesi, balza oggi agli occhi ciò che, più che distinguere, assimila le dinamiche di Gela a quelle di tante altre

realtà urbane, a nord come a sud. Volendo ragionare in termini di chance per il futuro, si può partire da questo dato: quanto a patologie sociali la realtà di Gela oggi non soffre trend di decisa peculiarità. E’ chiaro, da un lato, che sta dando i suoi frutti l’incessante attività di contrasto alla criminalità organizzata e, dall’altro, che il localismo segna il passo ovunque e a tutti i livelli, di fronte a sempre più massicce interazioni tra realtà territoriali, anche distanti tra loro. La concezione del luogo come entità predefinita, astratta e statica ha perso consistenza e non può essere valido punto di partenza metodologico ove si tratti di progettare il futuro. Piut-

tosto vale dipanare il coacervo dei punti di forza e dei nodi da sciogliere, definire dinamicamente e con decisione le carte che in concreto il territorio è – oggi - in grado di giocare. La massiccia presenza industriale, con le sue luci e le sue ombre, è comunque oggettivamente un propulsore, ha prodotto know-how e necessariamente collega ad altri orizzonti. Alla pesantezza criminale della storia, Gela ha dimostrato di saper reagire. La collocazione geografica è strategica e tutt’altro che marginale, tanto più ove si prospetti il rafforzamento delle infrastrutture. Il parco di intelligenze giovanili è da fare invidia e vi è un bacino di energia sommersa che preme per vedere la luce. A Gela la crisi economica non ha sfiancato il corpo sociale al punto da azzerare il confronto ed il dibattito socioculturale come forse è accaduto a Caltanissetta. Vi è un grande fermento e spesso, sullo sfondo, nel bene e nel male, vi è il polo industriale e quella vecchia idea di sviluppo perseguito

nel secolo scorso che prosegue in forme diverse oggi. Il polo industriale è sempre protagonista ma cosa è cambiato oggi? Il polo industriale costituito dalla raffineria e dall’indotto ha visto progressivamente ridurre negli anni il numero degli occupati, ma è ancora oggi una realtà importante del contesto gelese e lo sarà nel prossimo futuro, avendo evidentemente il sito una sua ragion d’essere sotto il profilo strategico-economico. E’ un epicentro con cui la città deve continuare a fare i conti quotidianamente e quando pensa al proprio destino. Il tema è di grande complessità e richiederebbe ben altro spazio. Uno spunto di riflessione vorrei però lanciarlo: l’esigenza di strutturare il rapporto tra città e raffineria in forme quanto più possibile evolute e lineari. I guasti socio-economici

Il polo industriale è ancora una realtà importante e lo sarà nel futuro

e ambientali che possono derivare da processi industriali non pilotati nelle forme più adeguate ed una visione passiva e statica da parte del contesto in cui si inseriscono sono oramai – nel mondo - sotto gli occhi di tutti. Ma oggi vi sono tutti gli strumenti, culturali e tecnologici, per governare altrimenti tali processi ad opera di tutti i protagonisti in campo. Sembra così ineludibile porre la questione del superamento della logica – sottaciuta, ma ancora pressante – della dipendenza della sopravvi-

venza della città dallo ‘stabilimento’. Il contesto cittadino può esprimere, come attore e artefice del rapporto, in virtù dell’esperienza incamerata, non poche potenzialità e passare da una posizione (passiva) di fruitore-vittima ad una posizione (imprenditoriale) in grado di investire e fornire in modo qualificato e moderno prestazioni competitive nei confronti non solo del suo epicentro produttivo, ma anche di altre realtà. Al polo industriale il compito di concretizzare forme d’impresa evolute, efficienti e responsabili verso un territorio che davvero molto ha dato. Il fermento su questi temi c’è ed è auspicabile che faccia da traino a strategie e progettualità concrete, anche nella prospettiva – appunto - della diversificazione degli investimenti sul territorio e del recupero di tante possibilità in settori sinora troppo poco considerati. Ha definito i luoghi comuni su Gela, la criminalità, l’irredimibilità, come un muro di cui prendere atto come una gabbia e andare oltre, magari scavalcandolo. Dove inizia il luogo comune, ad esempio parlando della diffusione della criminalità e dove il riscatto da questa immagine? I luoghi comuni sono trappole che offendono l’intelligenza e frenano processi costruttivi. Quelli che riguardano Gela spero siano sul viale del tramonto; oramai stridono con gli effetti positivi del lavoro che società civile e istituzioni hanno fatto negli anni nel contrasto alle varie forme di illegalità. Il cliché produce danni molto seri, non solo culturali: taglia alla radice lo sviluppo dell’analisi e, conseguentemente, la progettualità seria. Ed inoltre perpetua alibi per tutti coloro che non hanno né l’interesse, né la volontà di leggere e governare la realtà per quello che è, con i pro e i contro, ed a trattarla quindi con lungimiranza, coraggio e responsabilità nelle scelte.


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Giugno

Il magistrato crede che una risposta all’ illegalità debba arrivare dalle istituzioni, capaci di agire con rigore ed efficienza, ed assumersi la responsabilità delle scelte

Il luogo comune, in sintesi, è la più solida base delle nonscelte e, dunque, dell’inevitabile declino di positività e prospettive. Il danno è incalcolabile. Dunque non ci si può attardare su parole vuote. Ed i gelesi per primi debbono definitivamente uscire da questa trappola, declinando senza titubanze gli spunti che il dibattito attuale propone in proposizioni concrete e soluzioni operative, senza perdere occasione alcuna. L’immagine va rovesciata, partendo da nuovi e concreti punti di vista, con la forza della storia e dell’esperienza maturata. Il territorio, già preda di plurime scorrerie, va risanato ed occupato stabilmente con nuove forme: urbane, socio-economiche, culturali e comportamentali. E non è certo solo una questione di immagine, giacchè solo tale prospettiva può arginare i pericoli della devianza che alligna nel disagio sociale e nella povertà di fasce di popolazione e può contrastare il possibile ricrearsi di dinamiche criminali ricalcanti un passato ancora troppo recente. Passato che, pur in presenza della sostanziale destrutturazione delle organizzazioni criminali di natura mafiosa per effetto della sistematica azione di contrasto e della

crescita complessiva del tessuto civile, ancora produce effetti, con una scia di forme di illecito diffuse, pericolose e di forte allarme sociale. Il coinvolgimento dell’area giovanile desta preoccupazione e non basta lo sforzo giudiziario e delle forze dell’ordine: si impone una crescita complessiva. I fenomeni delinquenziali, di qualsiasi natu, sono in buona parte aggredibili, ma i risultati diventano realmente solidi quando il contesto sociale - ed in primo luogo l’amministrazione pubblica - danno prova di sapersi muovere in sintonia con questa prospettiva e traducono in fatti il valore dell’agire legale, trasformano la capacità di rifuggire da comportamenti deviati e devianti in vera e propria

Il cambiamento non passa solo per la via giudiziaria

risorsa, valore aggiunto del territorio, premessa per sviluppare ed attrarre investimenti e, con essi, lavoro ed opportunità. L’ azione di alcune forze politiche, in campo per la legalità e contro il racket, è

servita da volano per la società civile e l’impresa oppure è stato il contrario? la lotta antiracket è della politica o della società civile? Il ruolo dell’associazionismo antiracket e di tanti momenti di confronto sul tema è stato ed è importante. Non è pensabile che i processi di cambiamento passino per la sola via giudiziaria. Concepire e vivere l’agire quotidiano nella propria realtà socio-economica e civile ritenendo le varie forme di sopraffazione e coartazione un elemento di inaccettabile pregiudizio segna un mutamento che tocca le radici e, dinamicamente, i processi razionali e psicologici di ogni passaggio decisionale. Si tratta di un mutamento che segna il recupero della dimensione del cittadino portatore di diritti civili e sociali, di legittime aspetta-

tive, di un cittadino libero di intraprendere le proprie iniziative economiche. E’ il dogma dell’immodificabilità di certi schemi comportamentali e sociali che deve essere definitivamente abbandonato in contesti permeati da pervasive presenze criminali. Ed è un passaggio la cui responsabilità non può essere affidata al solo coraggio del singolo. La singolarità della reazione inevitabilmente espone, laddove i processi

collettivi, sulla base della garanzia data dal scrupolo doveroso e dall’efficienza degli accertamenti giudiziari, rafforzano il singolo, infondono fiducia ed al contempo divengono un potente propulsore per sedimentare lo stabile rifiuto di ogni forma di relazione con le dinamiche criminali illegali. Questa esperienza a Gela è oramai storia, fa parte del tessuto cittadino e lo ha reso paradigmatico. Così come è un fatto di positiva, determinante influenza il parallelo mutamento di rotta - di portata storica - avvenuto nel distretto ad opera di Confindustria nissena. Anche qui un processo non indolore, ma collettivo e trainante. Altrettanto evidente che il lavoro da compiere da ora in avanti è forse ancor più arduo. Smantellato gran par-

te del potenziale operativo delle aggregazioni criminali che per anni hanno vessato il territorio, adesso si tratta non solo di contrastare ogni perdurante forma più o meno tradizionale di malaffare, per evitare il ricrearsi di inquinamenti sistematici e garantire la sicurezza della popolazione, ma di declinare la capacità di aggregazione e di contrasto in vera e propria risorsa del territorio. E’ indispensabile, va ribadito ancora una volta, andare oltre il lodevole contrasto della illegalità e il sostegno alle vittime. La nuova dimensione sociale e culturale che si è prodotta deve produrre capacità della comunità e delle sue espressioni amministrative, politiche, istituzionali ed economiche di agire con rigore ed efficienza, di assumersi la responsabilità di scelte all’altezza dei tempi e della propria storia. In tema di “servizio giustizia”, come lo ha definito, lei ha auspicato che il Palazzo di Giustizia sia visto come la casa comune degli interessi di tutti gli attori sociali. Sempre che abbia interpretato bene, ci spieghi cosa intendeva con questo concetto. L’ attività giudiziaria è un servizio per la cittadinanza a tutela di beni giuridici violati, individuali o collettivi. Si tratta di una funzione necessariamente interattiva, mai neutra quando ad effetti prodotti e perciò densa di responsabilità. L’incisività e la prontezza degli interventi, il grado di rispondenza alle più pressanti esigenze hanno molte implicazioni e possono connotare più o meno positivamente un certo ambito. All’ufficio giudiziario e alla Procura della Repubblica in primo luogo è oggi richiesto di analizzare attentamente il territorio e le sue dinamiche, di concretizzare strategie efficaci nei diversi settori di illecito, di strutturate l’organizzazione dell’ufficio in modo funzio-

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nale rispetto agli obbiettivi che si intendono raggiungere, di presentare agli utenti il proprio bilancio sociale. I risultati dell’attività svolta entrano dunque nel patrimonio della collettività in cui si collocano e le conoscenze incamerate possono contribuire a far meglio conoscere caratteri, potenzialità e rischi di un determinato contesto. Il momento giudiziario, ove si guardino tali aspetti, può divenire così una componente positiva nel momento in cui il territorio viene valutato nella prospettiva dello sviluppo imprenditoriale. In poche parole, avere Tribunali e Procure che funzionano significa non solo

Alla politica spetta un compito: affrontare delle scelte coraggiose

la tutela effettiva dei singoli diritti, ma rendere il territorio stesso, nel suo complesso, maggiormente sicuro e concretamente più attraente per investimenti che siano nel segno della correttezza e della liceità. Torniamo per le strade di Gela. Quando la società civile, nella sua capacità di analisi e confronto dialettico, è avanti alla politica, generalmente significa che c’è un gran fervore culturale e sociale. C’è davvero questo fossato tra società e politica a Gela? Alla politica, in un contesto come quello di cui abbiamo parlato, spetta un compito arduo: rispondere con scelte concrete e coraggiose ad aspettative pressanti di un territorio percorso, accanto ai problemi, da intelligenze ed energie difficilmente eguagliabili. Non è semplice, ma è davvero auspicabile che la sfida venga raccolta


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Fatti & Celluloide CIAK SI GIRA. Nel film di Aldo Rapè un omaggio al mercato e al mondo che vi ruota attorno

“Strata a’ foglia”, il corto che dichiara amore alla città

di Rosamaria Li Vecchi

E’

una piccola grande storia di integrazione quella da cui prende le mosse il cortometraggio “Strata a’ foglia”, progetto cinematografico nato da un’idea del regista e attore nisseno Aldo Rapé e realizzato dall’associazione culturale Prima Quinta in collaborazione con Vertigo Imaging Puglia, io contributo della Camera di Commercio ed il patrocinio di Confindustria Caltanissetta, Pro Loco, Slow Food Caltanissetta ed associazione “Strata ‘a foglia”. Ma è anche un appassionato segno di amore per una delle tradizioni più caratteristiche di Caltanissetta, il mercato storico cittadino, dove si intrecciano da secoli i richiami dei venditori, che portano ancora con sé, mille anni dopo, la memoria dei melismi arabi e l’identità di un popolo che ritrova se stesso, giorno dopo giorno, nel contatto con fratelli che raccontano l’Oriente del terzo millennio. Oggi il mercato storico nisseno, infatti, ospita anche tanti venditori stranieri, arabi, cinesi, che condividono spazi, suoni, colori con i nisseni che qui da generazioni sono l’anima

dell’economia locale. “Era un progetto – dice Aldo Rapé – che tenevo nel cassetto da anni, scritto e riscritto, limato e rivisto, e che non avevo mai sentito l’esigenza di realizzare, per altri impegni. Poi, in uno dei miei soggiorni a Caltanissetta, ho avvertito forte la necessità di un recupero, possibile, del centro storico, del mercato, ho ascoltato i venditori che si lamentavano ed allora ho presentato il progetto, che è stato accolto dalla CCIAA. Ed è stato tantissimo l’entusiasmo con cui si è lavorato, confermando che anche con pochi soldi si possono fare le cose belle”. “Strata a’ foglia” è una commedia “dolceamara”, delicata e leggera, che prende spunto da un fatto di cronaca locale (il suicidio di chi ha scelto la via di fuga di fronte ai cattivi affari in tempi di crisi) ma

A Caltanissetta c’è una forza fatta di persone, di talenti, di gente che vuole fare

ha un lieto fine e si snoda intorno all’amicizia tra due ragazzini, un siciliano ed un arabo, che diventa solidarietà e sostegno, inno ai valori importanti della lealtà e dell’aiuto reciproco, nonostante le differenze di etnia, di religione, di tradizioni. Gli attori sono tutti nisseni (ci sono anche stranieri che però vivono a Caltanissetta) come tutto nisseno è lo staff che ha lavorato al cortometraggio. “Abbiamo scoperto – dice Rapé – che a Caltanissetta c’è una forza fatta di persone, di talenti, di gente che vuole farle veramente


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Il cortometraggio racconta una storia di integrazione. L’ amicizia tra due bambini di religione diversa vissuta tra i vicoli di antichi rioni.

A sinistra e sopra due momenti delle riprese del cortometraggio “Strata a’ foglia”

le cose: insomma, tanti nisseni si sono messi insieme e hanno dato vita a questo lavoro, che ridà vita a spazi dimenticati, restituisce al mercato storico la sua dignità di luogo importante di incontro, dialogo, confronto”. Ma quale è stata la reazione dei commercianti? “E’ stata di totale collaborazione – dice l’attore e regista nisseno – con quasi sessanta comparse che hanno partecipato attivamente e gratuitamente accanto a protagonisti. Tantissimi i venditori della Strata a’ foglia che hanno accettato di farsi riprende-

re mentre gli abitanti dei quartieri storici dove abbiamo girato alcune scene hanno condiviso la lavorazione passo per passo, offrendoci allacci elettrici, simpatia e meravigliose tazze di ottimo caffé: c’è una umanità da brivido, nel senso migliore del termine, trovi davvero amore e tanta passione per tutto ciò che riguarda Caltanissetta e penso che il recupero del centro storico di questa città passi anche da questo”. Bel momento di partecipazione cittadina, dunque, nel segno dell’arte per il cortometraggio

ambientato da Aldo Rapé nella sua città natale. “Non è solo arte – precisa – ma è anche imprenditoria: gli attori, i tecnici, le maestranze coinvolte in questo cortometraggio confermano che può anche essere un lavoro ed oggi posso dire che abbiamo formato una bella squadra, che adesso affronterà altre importanti prove”. Molti degli attori che hanno preso parte al cortometraggio di Rapé, infatti, reciteranno anche nel corto finanziato dalla Regione sul tema dell’integrazione di cui il regista nisseno comincerà a breve le riprese a Porto Palo di Capo Passero. E intanto comincerà a breve la post produzione di “Strata a’ foglia”, che dopo il montaggio sarà presentato, in anteprima nazionale, proprio a Caltanissetta per poi entrare nel circuito dei festival nazionali ed internazionali. Ma è stato molto lungo il lavoro preparatorio, come sottolinea ancora Rapé, che ha letteralmente “riscoperto” la sua città. “Un anno di passeggiate – dice – mi è servito per trovare i luoghi giusti, anche nuovi spunti, per scoprire prospettive inedite e bellissime

di Caltanissetta. Ma ho anche riflettuto sul fatto che siamo noi che dobbiamo cambiare: abbiamo sempre chiesto qualcosa alle amministrazioni, ora dobbiamo capire che tocca a noi andare avanti, tutti insieme, tutti uniti”. Prevista nei prossimi mesi, prima della presentazione ufficiale del

I venditori hanno accettato

di farsi riprendere

e gli abitanti hanno condiviso la lavorazione

cortometraggio, alcune iniziative destinate a valorizzare i singoli momenti che hanno condotto alla realizzazione del lavoro, dalla mostra itinerante con foto di scena nei vicoli dove è stato girato il corto a dibattiti sulle motivazioni della scelta del soggetto, dell’ambientazione, della storia. La proiezione si terrà alla Strata a’ foglia, all’aperto, come nella migliore tradizione delle piazze siciliane di un tempo.

Le scuse del regista Questa è una lettera di scuse. Ho da poco concluso le riprese del mio nuovo short film “Strata a’ foglia”, ed ho da poco compreso realmente, me ne rammarico e chiedo scusa a tutti i miei concittadini, quanto sia bella questa Caltanissetta. Ho lavorato nel cuore di Caltanissetta, nel centro storico, dove senti ancora i battiti della nostra città, le pulsazioni più intime, quelle più vere. I venditori ambulanti che trasformano la mia sceneggiatura nella loro stessa storia, la nonnina signora Sollami che agli Angeli ci mette a disposizione la sua casa per due giorni e due notti, i cani nisseni che hanno abbaiato quando c’era da abbaiare e sono rimasti in silenzio quando sul set chiedevamo il silenzio. Uno tra i tanti che si è sempre lamentato ma che in questa occasione si è posto seriamente una domanda: cosa ho fatto io per la mia città? Sino ad oggi poco o niente ma con questo piccolo film spero che Caltanissetta abbia accettato le mie più sincere scuse. Un atto d’amore per la città che mi ha regalato sempre tanto amore, senza mai chiedere nulla in cambio. Aldo Rapè


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Fatti & Uomini di una volta L’ OMAGGIO. Una figura del passato che rivive nella mia memoria. Ricordi

sparsi dedicati ad un grande maestro. Un garbato uomo d’ altri tempi.

Antonino Edge, il preside gentiluomo

Intelligente e colto insegnante di latino e greco negli anni ‘70 da preside diresse il Liceo classico “Ruggero Settimo”

di Lina Burgio Mastrosimone Ricordare la figura prestigiosa del Prof. Antonino Edge significa, per me, rievocare gli anni più significativi, non solo ai fini della mia formazione culturale e metodologica, ma anche umana,di allieva prima, e di docente poi. Correva l’anno scolastico 1961-1962 e nella sede, austera e suggestiva, dell’ex Collegio gesuitico, dove era ubicato il Liceo-Ginnasio “ Ruggero Settimo” di Caltanissetta, ho avuto il privilegio di avere come docente di latino e greco, appunto, il suddetto Maestro. Proveniente dalla provincia di Catania e nisseno di adozione si presentava ai suoi allievi signorile nel tratto, dotato di una tempra granitica, grazie alla sua elevata e profonda cultura nonchè ad una immediata comunicativa; le note caratteriali erano improntate ad una schiettezza di fondo, all’irruenza garbata,

all’ironia, al rispetto, ma anche ad una polemica sempre viva e costruttiva. La nostra classe rimase su-

bito conquistata dalla sua personalità e dalla sua didattica innovativa, in quegli anni in cui l’istituzione

scolastica si presentava, a noi studenti, ingessata nel suo immobilismo e rigore, basata su una preparazione

manualistica,improntata a criteri informativi e,talvolta, banalmente convenzionali. Gli inizi non furono certamente facili, ma non ci volle molto per capire la rilevanza di tale cambiamento. Come dimenticare le sue lezioni su Lucrezio, Cicerone, Orazio, Virgilio, Seneca, altrettanto suggestive e stimolanti quelle su Omero, sui lirici greci, sulla tragedia o sulla storiografia. La sua preparazione spaziava mirabilmente e, inchiodando la nostra attenzione, ci guidava nello studio e nell’analisi esegetica dei testi, facendoci riflettere sulla problematicità di temi ed aspetti della civiltà classica, che appariva ai nostri occhi non più così remota, ma straordinariamente viva ed attuale. Era sempre vicino ai giovani e soprattutto tutelava i più deboli,i più fragili, perché bisognevoli di maggiore attenzione. Conclusosi il mio ciclo di studi liceali, ho avuto modo di rivedere il rimpianto docente negli anni 1966/67, allorché il Preside Francesco Saverio D’Angelo mi chiamò per effettuare alcune supplenze al Liceo (la cui sede si era trasferita, frattanto, dal centro storico nell’attuale,

in via Rosso di S. Secondo). Particolare emozione provai, quando fui chiamata a sostituire, non ancora laureata, il mio docente di latino e greco, perché impegnato nel concorso a Preside. In cuor mio, non condividevo questa sua scelta, perché pensavo che le generazioni dei giovani avrebbero avuto tanto bi-

Era sempre vicino ai giovani Soprattutto tutelava i più deboli e i più fragili

sogno di insegnanti della sua levatura. Agli inizi degli anni settanta, in qualità di docente di ruolo, feci il mio ingresso presso il Liceo Classico, ritrovando, come Preside, il Prof.Antonino Edge. Nell’espletare le sue funzioni direttive e, quindi, all’apice della carriera, coglievo in lui una certa insoddisfazione, un cupo pessimismo e, con tristezza, pensavo, tra me e me, che potesse rimpiangere il proprio ruolo di docente, poichè più si confaceva alla sua forma mentis. Il suo libero pensiero ormai tarpato e circoscritto ad una logica di bilanci, ad una gestione amministrativa, che disponeva di fondi sempre più irrisori, ad un sistema scolastico che, reduce dai fermenti del sessantotto, tentava di conciliare faticosamente il passato e il presente. In tale contesto la sua creatività ritrovava, grazie all’hobby per la fotografia, il suo antico entusiasmo. Indubbiamente la sua presenza, nell’ambito culturale nisseno e nel mondo della scuola, è stata altamente qualificante, incisiva, stimolante, nella misura in cui mi riesce difficile dare un’idea adeguata. Sull’esempio dell’impegno filologico e critico trasmesso ai suoi allievi e di ciò che oggi resta valido come magistero di metodo e acquisizione di competenze, a nome delle generazioni che si sono susseguite, al Maestro di cultura e di vita, voglio dire una sola parola: Grazie!


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SOLIDARIETA’. Il “Gruppo San Damiano” in missione in Africa

Tanzania, quando la solidarietà parla siciliano

Il racconto di alcuni volontari del gruppo, impegnati a portare aiuti alla popolazione

di Rosamaria Colajanni

S

ono occhi profondi ed intensi che hanno già vissuto forti esperienze quelli dei bambini della Tanzania, un ricordo indelebile, come una fotografia, nella mente dei giovani volontari del “Gruppo Missionario San Damiano”, che sono partiti per l’Africa poco più di un mese fa, per portare in Tanzania materiale sanitario, farmaci e lo spirito di solidarietà di chi ha fatto del volontariato una scelta forte di vita. E’ nel 2002, su iniziativa di don Pino La Placa, allora parroco dell’Abbazia di Santo Spirito, che inizia il cammino di fede del gruppo di giovani (e meno giovani), di età compresa tra i 25 e i 50 anni, che prenderà il nome di “Gruppo missionario San Damiano”, promotore di una serie di iniziative tra cui il “Concerto sotto le stelle”, che si svolge ogni anno a fine luglio ed è destinato a raccogliere fondi per le missioni. Con questa ed altre attività annuali e con i numerosi viaggi effettuati si è via via creata una rete di solidarietà tale da riuscire ad adottare 90 bambini a distanza, a far nascere a Ipogoro una scuola professionale e a Morogoro una officina ortopedica in cui si realizzano tutori per gli arti, situata all’ interno del centro di riabilitazione e case per i bambini

disabili e le loro famiglie. Il Fatto Nisseno ha intervistato una componente del gruppo Luisa Giannavola, che si reca spesso con altri volontari nelle varie missioni presenti in Tanzania, tra cui quella di Ismani, legata alla Diocesi di Agrigento e guidata da padre Angelo Burgio. “Lì sono nati – dice Luisa Giannavola - una falegnameria, dove i ragazzi imparano un mestiere che li renderà autonomi, un centro ricreativo

Ad Ismani sono presenti case famiglia per i bimbi malati di Aids

legato alla missione e case-famiglia per bambini malati di Aids. Nove piccole casette, vicine l’una all’altra, con la presenza, in ogni nucleo abitativo, di 2 genitori-volontari locali che si prendono cura di 9-10 bambini orfani. Ammirevole è stata la disponibilità dimostrata dagli adulti del luogo nel farsi carico delle necessità dei piccoli malati, dei bisogni della parte più disagiata della comunità, consapevoli che è il pri-

mo gradino di un vero riscatto sociale”. Tra le regioni più po-

In alto un’ immagine dei bambini nella missione di Ipogoro. Da sinistra le volontarie Alessandra Fine e Chiara Curatolo. Nella pagina a fianco padre Angelo con in braccio una bambina malata di Aids. (Foto Claudia Di Dino)

vere dell’Africa, con una popolazione costituita da 120 etnie (come gran parte dei paesi africani), la Tanzania è afflitta, oltre che da una serie di problemi di natura economica e sociale, anche dall’Aids, con una percentuale di soggetti colpiti che si aggira intorno al 7% della popolazione adulta, in particolare nella fascia d’età compresa tra i 20 e i 34 anni. Sono molti i bambini che nascono sieropositivi da genitori malati (il tasso di mortalità infantile nei primi cinque anni di vita si aggira intorno al 10%, con una for-


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Le diocesi di Agrigento e Caltanissetta unite per dare una speranza ai bambini sieropositivi di una delle nazioni più povere del pianeta

te incidenza anche della malaria) ma anche questa terribile patologia, se diagnosticata in tempo, ben curata e sostenuta da una corretta

alimentazione, può evolvere favorevolmente. L’ esperienza spirituale e umana vissuta dai componenti del “Gruppo Missionario San Damiano” va comunque al di là del volontariato, è un vero “incontro” di culture in cui gioca un ruolo importante la ospitalità della popolazione locale e l’ intensità del rapporto che si crea con le famiglie tanzaniane e i loro bambini, piccoli semplici e sempre sorridenti nell’ accogliere con gioia gli “amici” di Caltanissetta. Chiara Curatolo, una delle volontarie che è partita per la Tanzania qualche mese fa, ha ancora nel cuore Morogoro dove, grazie al contributo di alcune famiglie nissene, è arrivato in dono del materiale sanitario e parasanitario, dai tutori alle sedie a rotelle, difficile da reperire

Sopra Luisa Giannavola mentre insegna ad un bambino l’ uso corretto dello spazzolino da denti

Il sogno è di rendere disponibili le cure applicate nei Paesi ricchi

per l’ elevato costo ma indispensabile per la cura delle patologie di cui soffrono le persone spesso a causa della malnutrizione. Chiara e le altre volontarie sono state ospiti in una comunità di suore italiane ed hanno visitato le scuole della parrocchia in cui ragazzi volenterosi sono seriamente impegnati nello studio perché in esso vedono l’unica possibilità di costruire una vita migliore. Ci racconta ancora Chiara l’importanza del nostro sostegno per i missionari che sono chiamati a vivere questa realtà giorno per giorno, attraverso la condivisione della loro quotidianità, seppur per brevi periodi e soprattutto attraverso la preghiera. “Siamo rimaste colpite dal comportamento dei fedeli, dal loro fervore, e dalla loro sentita partecipazione alle celebrazioni religiose”. Non solo l’ Africa, dunque, resterà nel cuore dei volontari tornati dalla Tanzania ma soprattutto l’abbraccio fraterno con cui hanno salutato i loro amici che vivono al di là del Mediterraneo, oltre il grande deserto. Amici che rivedranno.

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I bambini adottati a distanza

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I viaggi fatti dal 2002


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L’ INTERVISTA. Il commissario dell’ Ato

Ambiente Cl1 si racconta. Tra lavoro e vita privata.

Elisa Ingala nata a Caltanissetta l’ uno gennaio 1963.

Elisa Ingala, la signora del “bilancio” Professionista seria, chiamata a traghettare una nave che rischia di affondare. Ma chi si cela dietro alla donna del salvataggio?

Diploma conseguito alla ragioneria con il voto di 60/60. Laurea in Economia e Commercio presso l’ università di Palermo con 110 e lode. Per 4 anni assistente volontaria di diritto Commerciale. Subito dopo la laurea, nel 1986 consegue l’ abilitazione di dottore commercialista e si getta a capofitto nell’ attività professionale.

a casa di...

di Donatello Polizzi Se qualcuno volesse provare ad inserire il nome di Elisa Ingala su uno dei tanti motori di ricerca del web, si vedrebbe proiettare sullo schermo del computer molteplici pagine dedicate a questa stimata e seria professionista, che è stata

chiamata a gestire la liquidazione dell’Ato Ambiente Cl1. Un numero spropositato di articoli e siti che la identificano nello scomodo ruolo di “Caronte” (N.d.R. traghettatore) con specifico riferimento alla società che si occupa dell’igiene am-

bientale della nostra città. Abbiamo voluto scoprire la donna che si cela dietro l’esaminatrice di bilanci, conti, mediazioni, spese, fatture e numeri. “La mia passione principe è la cucina: adoro i fornelli.

1970

C u cinare ed anche sperimentare ma sempre con gli ingredienti che sono consoni ai miei gusti. Quando preparo i piatti per i miei amici cerco sempre di proporre qualcosa di nuovo o di rivisitato. Sono un po’ le mie cavie: ma fino ad ora nessuno si è mai lamentato, anzi spesso ha richiesto una seconda porzione”. “Ovviamente per scaricare le molte tensioni professionali e per bilanciare le tante calorie che vengono prodotte dalla mia cucina, mi accosto con costanza allo sport. Da ragazza prediligevo la ritmica ma adesso, con impegno non indifferente, vado in la palestra. Quest’anno, con mia figlia, ho frequentato un divertente e salutare corso di aereostep. Massimo risultato: allenamento e dialogo con la mia piccola. La mia famiglia è la pietra miliare della mia vita. Sono sposata da 21 con mio marito, Sergio: assoluto, primo ed unico amore. Sono stata fortunata nell’incontrare un uomo così meraviglioso e nell’avere due figlie splendide: Monica, 19 anni, frequenta con ottimi risultati il

primo anno del corso di laurea in Economia Aziendale presso l’università Luigi Bocconi di Milano; Cristina, 14 anni, ha appena concluso, in ma-

niera ottimale, il quarto ginnasio al liceo classico Ruggero Settimo”. Elisa si rivela una fucina inesauribile di argomenti ed interessi: “Tra lavoro, famiglia e sport, le mie giornate sono molto impegnative. Ogni tanto mi concedo qualche film comico (per rilassarmi) e talvolta thrilling, genere che mi affascina. Non riesco mai a finire un libro; i quotidiani finanziari e le riviste di settore e, di aggiornamento professionale, mi assorbono

Amo la cucina, la musica e mi rilasso guardando film comici

completamente”. Un dubbio ci assale: ma non ti fermi mai? “Il mio momento di svago assoluto e di recupero delle energie, lo affido alle vacanze. Adoro viaggiare, nella maniera migliore e più comoda possibile. Visitare paesi e luoghi lontani,

ritengo sia uno strumento di accrescimento culturale unico ed insostituibile, oltre che un’occasione per condividere piacevolmente (senza stress lavorativo) del tempo con la mia adorata famiglia. Però, chissà perché, il ricordo speciale rimane ancorato a Singapore, alla Thailandia ed a Bali (isola dell’Indonesia), tappe del mio viaggio di nozze”. Parafrasando il titolo di una celebre telenovela di

tanti anni fa, scopriamo con piacere che “Anche i commercialisti hanno un cuore”. “Mi piace la musica. Indimenticabile Lucio Battisti, sempre attuale Riccardo Cocciante ma un’emozione particolare è legata agli Ostacoli del cuore di Elisa e Ligabue”. Ci congediamo con una domanda che riteniamo inevitabile: ma se potessi tornare indietro, accetteresti nuovamente l’incarico di commissario liquidatore dell’Ato Ambiente Cl1? “Qualche mese fa, per le tante difficoltà avute, ti avrei riposto no. Ma è nel mio carattere affrontare i problemi e risolverli; non mi sono mai tirata indietro ed non intendo farlo adesso. Sono convinta di poter assolvere con perizia e proficuamente all’incarico affidatomi”.


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LE STORIE. Uno è campione di apnea l’ altro è un asso negli sport estremi

Guida e Fiandaca Due uomini di mare di una città senza scogli di Martina Nigrelli

Nascere “uomini di mare” in una città dove non c’é la spiaggia né gli scogli è una sfida quasi impossibile che Leonardo Guida e Antonio Fiandaca non si spaventano di cogliere. Leonardo è un giurista, che sulla scrivania ha il codice civile e delle riviste settoriali che trattano come argomento il mare. Tutte le mattine va in tribunale e non v e d e l’ora di “s c a p pa-

re” in piscina per l’allenamento quotidiano. “Ho una grande passione – afferma Guida – mi alleno con costanza perchè grazie a questo sport mi sento vivo”. E’ un “sessantottino ribelle” che pratica la pesca in apnea “Non si tratta di una disciplina – aggiunge Guida – ma di uno stile di vita, devi avere il giusto atteggiamento mentale, devi seguire una sana dieta e soprattutto bisogna alle-

portava nelle acque di Gela a vedere i fondali. “Allora ero talmente piccolo che mi battevano i denti per il freddo – dice Guida -, non avevo l’attrezzatura, ma ero curioso”. E’ così che “un tuffo dopo l’altro” ha fatto diventare la curiosità per l’apnea una grande passione. Infatti, Leonardo, quando si toglie di dosso i panni dell’avvocato diventa un apneista di caratura nazionale. Sott’acqua, riesce a stare oltre cinque minuti stando fermo, invece, in apnea dinamica, riesce a nuotare per oltre quattro vasche, senza mai tirare su

nelle acque della piscina comunale. “Iniziai a “fare sul serio” da universitario, feci una vacanza in Corsica dove seguivo un corso di pesca. Mi divertii tantissimo e l’anno seguente tornai di nuovo, poi piano piano,

“ narsi parecchio”. Un’amore, sconfinato, per il mare ereditato da uno zio che da bambino lo

la testa. Affianca spesso campioni nazionali come Maurizio Mazzotti e Umberto Pellizzari, che collabora anche nella gestione dei corsi pratici organizzati dalla “Apnea Academy”, inoltre impartisce lezioni tecniche

Guida: Senza il mare sono come un pesce fuori dall’ acqua

cominciai a stringere amicizia con altri appassionati, tra questi c’erano anche Umberto e Maurizio e grazie alle belle opportunità che mi hanno dato ho fatto diventare questa passione in una specie di secondo

lavoro”. E’ sposato ma afferma “mia moglie sa che se mi tolgono il mare sono come un “pesce fuori dall’acqua,


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Due sportivi che per la loro passione hanno girato il mondo. Centrando difficili obiettivi.

Antonio Fiandaca ciba una manta alle Maldive

to su per il castello di Lombardia a Enna. “Ho provato tutto, – afferma Fiandaca – con un con amico ci “imbarcavamo” in queste imprese folli. Poi sono cresciuto e all’amore per l’”estremo” si è aggiunta l’esigenza di “campare” - continua -. A quel punto ho deciso di prendere il brevetto per insegnare surf. Dopo andai alle Maldive”. Dopo le Maldive anche le Canarie, in Venezuela, alla Isla Margarita, in Svizzera, insomma ha girato tutti i cinque continenti, parla tre lingue e non si è ancora stancato. Tra le tante esperienze c’ è anche una parentesi con il parapendio, al fianco di Angelo D’Arrigo. Antonio non si è rispar-

Nella pagina a fianco Leonardo Guida con il campione del mondo Umberto Pellizzari, pluricampione del mondo di apnea. In basso Antonio Fiandaca si lascia trascinare in immersione da un delfino

“ dovrei farle una statua – conclude - .Fare apnea significa conoscere bene il proprio corpo, i propri limiti ma è soprattutto un lavoro di con-

centrazione e rilassamento”. Antonio Fiandaca, invece, è uno che ama il mare, il vento, la montagna e tutti gli sport “estremi”. Da

Fiandaca: Ho ancora l’ entusiasmo di quando avevo 22 anni

adolescente ha fatto free climbing sotto il ponte di “Capo d’Arso”, ha disceso sul gommone le acque del fiume Salso come se fosse il Gran Canyon, una volta si è arrampica-

miato adrenalina, e adesso “faccio kitsurf perchè è uno sport per anziani – afferma – paradossalmente ti impegna poco il corpo, è meno pesante di altri sport dove i muscoli sono sotto pressione. Adesso sono papà, lavoro di giorno nello studio di un fisioterapista e il pomeriggio o nel mio tempo libero mi occupo di un progetto “Deep life””. Si tratta di un’associazione sportiva nautica e aeronautica che ha fondato. “Faccio parapendio, immersioni e kitsurf – conclude– organizzo corsi per aspiranti allievi - .Ho ancora l’entusiasmo di quando avevo ventidue anni e per partire decisi di vendere la moto”.


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IL CASO. Allo stadio “Marco Tomaselli” il 21 di maggio va di scena una gara

solidale che ha suscitato alcune perplessità. Ecco cosa non ci ha convinto

La controversa partita del cuore di Donatello Polizzi

S

abato 21 maggio al “Marco Tomaselli”, una squadra formata da Vip ha affrontato una selezione di “Vecchie Glorie” calcistiche nissene e canicattinesi in una contesa (denominata “partita del cuore”) il cui scopo era di devolvere in beneficenza l’incasso della gara. Un’apprezzabile kermesse sportiva all’insegna della generosità si è trasformata, per tutta una serie di ragioni

ti di questa iniziativa e si inizia a diffondere la curiosità di vedere alle prese con la sfera di cuoio i protagonisti del mondo dello spettacolo e dello sport. Inoltre le finalità benefiche della manifestazione inducono i nisseni a mostrarsi ben disposti nei confronti di questa partita del cuore. A poco meno di due settimane dalla data fissata per lo svolgimento della gara, le locandine vengono repentinamente modificate: spariscono alcuni dei volti italici di maggiore rilevanza

contesa, disputata sul manto erboso un po’ spelacchiato dello stadio comunale nisseno, alla quale hanno assistito più di mille spettatori. Per quanto attiene all’incasso con riferimento ad una delle associazioni presunte destinatarie l’Aisla (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica), non vi è stata alcuna elargizione. Situazione sulla quale occorre fare chiarezza. Sin dall’inizio gli organizzatori avevano affermato che qualora non fosse stata effettuata la vendita di un certo numero di tagliandi (che avrebbe consentito di coprire le spese dell’evenCHI LI HA to) non vi sarebbe stata la devoluzione VISTI? del provento: poiché tale soglia non è stata rag-

A sinistra la prima locandina apparsa in città che promuoveva l’evento con la presenza di “star da capogiro” tra cui Raul Bova e “Ficarra e Picone”

g iu nt a , è venuta meno la finalità filantropica. Da sottolineare che il gruppo di nisseni che si sono occupati della vendita dei biglietti nel capoluogo di provincia, e che hanno iniziato ad operare dopo l’affissione del “secondo” manifesto, avevano ottenuto comunque un euro a favore dell’Aisla per ogni ticket smerciato nella città di Caltanissetta, indipendentemente dal raggiungimento della

?

collocazione della cifra di base prefissata di biglietti, per consentire all’associazione di trarne Sopra il tagliando almeno un d’ ingresso alla beneficio mi- manifestazione. ...ma la SIAE ? nimo sicuro. Vi abbiamo voluto raccontare analiticamente lo svolgersi di questa vicenda particolare: ognuno ne tragga le proprie conclusioni.

A sinistra Tony Sperandeo con Giovanni Italia

che analizzeremo, in una circostanza dalle mille amletiche sfaccettature; andiamo con ordine. Nella locandina che inizialmente pubblicizza l’evento, vengono inserite le foto di personaggi celebri di fama nazionale: Marco Borriello, Ficarra e Picone, Raul Bova, Teo Mammuccari, Pino Insegno ed altri big di caratura notevole. Questo fattore, aumenta esponenzialmente l’interesse dei cittadini nei confron-

e vengono sostituiti da tutta una serie di protagonisti di diverse edizioni del “Grande Fratello”, tra i quali Pietro Titone, Raul Tulli, Ferdinando Giordano, Georg Leonard, a cui vengono affiancati (tra gli altri) l’attore Tony Sperandeo, Totò Schillaci ed Antonio Zequila. Questi sono stati gli effettivi protagonisti (un totale di 16 vip) della


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Fatti & Rossetto A 24 anni è una promessa del palcoscenico. Ha iniziato col teatro, poi radio e tv fino all’ approdo al “Festival” al fianco di Tony Maganuco.

di Martina Nigrelli “Sono una persona con la testa sulle spalle, amo la mia famiglia e coltivo la mia più grande passione con ostinazione”. E’ quanto afferma Roberta Curatolo, la ventiquattrenne passata agli onori della cronaca per il suo talento per la conduzione. Ha iniziato il suo percorso artistico all’istituto per periti aziendali, dove frequentava il corso di lingue e il pomeriggio si dedicava al teatro. “Con la scuola abbiamo fatto dei bei lavori – dice – abbiamo messo in scena una tragedia

età e l’umiltà che la contraddistingue, è uno dei volti “noti” di Caltanissetta. Vanta un lungo curriculum, ha collaborato con le televisioni private, da “Tcs” a “Tfn” a conduzioni radio per “Radio Cl 1”,“Ho fatto l’inviata per un programma di “inchieste” - aggiunge - , in stile “Striscia la notizia”, questo è stato il primo incarico che mi hanno dato, poi

Sono una persona con la testa sulle spalle che ama la sua famiglia

greca a Palazzolo Acreide”. Ma il “volo”, Roberta, l’ha “spiccato” grazie alla compagnia del Teatro stabile che ha frequentato per un paio di anni, allora coordinata da Giuseppe Speciale. “Con loro – aggiunge - ho fatto recitazione e soprattutto un corso di dizione”. Nonostante la sua giovane

nel 2008 ha iniziato la conduzione di un programma dal titolo “Musica, pensieri e parole”. Le

Roberta Curatolo un “vulcano” di bravura porte della notorietà, per questa ragazza “acqua e sapone”, si sono aperte, grazie all’occhio lungimirante di Tony Maganuco che due anni fa ha insistito per averla al suo fianco nella conduzione del diciannovesimo “Festival di Caltanissetta”, riconfermandola anche per l’ultima edizione, vinta dai ciociari “Plastica”. Per lei il “Festival” è stata un’ottima vetrina perchè trasmesso in diretta sul canale Sky Mediterraneo, emittente televisiva con cui ha poi collaborato per altre dirette nazionali. Nonostante si prenda molto sul serio riesce bene anche a intrattenere un uditorio più scanzonato, infatti, la scorsa estate ha presentato la tournée dei “Tafano broters”, ma ha anche frequentato un laboratorio di “cabaret” tenuto dalla “Tramp spettacoli” di Palermo. Ma Roberta non è tutta “microfono e

palcoscenico”, perchè nel privato è una studentessa universitaria, prossima alla laurea, che studia con passione la psicologia che è anche riuscita a portare in scena con lo spettacolo “Quattro parole e quattro mosche” di cui si è

Ho dei saldi principi Voglio esprimere il mio talento senza fretta

parlato molto qualche tempo fa. Oltre la conduzione e lo studio, cova anche altre passioni: “Ammetto - dice Roberta - di avere una passione smodata per i miei quattro nipoti”. Il suo sorriso è solare, e il suo viso, da “ragazza

della porta accanto”, non si dimentica facilmente. Le sue prime conduzioni le sperimentava davanti allo specchio, in età infantile, quando a guardarle c’erano solo i suoi genitori che ancora le ricordano i tempi in cui con le “Barbie” si scatenava in spettacoli privati nella sua cameretta. Adesso dopo avere avuto la “benedizione” del pubblico nisseno auspica ad un “posticino” nella televisione regionale. E’ conosciuta e soprattutto è “ricosciuta” e nonostante tutto non si è montata la testa neppure per un istante “Credo di essere una persona con dei saldi principi dice Roberta – inoltre, ritengo che per fare carriera in questo ambito bisogna fare un passo alla volta, costruire mattone su mattone ed è così che voglio esprimere il mio talento, piano, senza fretta.”


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DONNE. Studentessa di 22 anni è stata selezionata per le finali italiane di “Miss Mondo”

ANNA di sciacca

La miss della porta accanto di Martina Nigrelli

stata una delle 52 bellissime finaliste del concorso internazionale Miss Mondo 2011; la kermesse conclusiva di questa importante manifestazione di reginette del fascino, si è svolta a Gallipoli in Puglia alcuni giorni orsono. Ma

chi è Anna Di Sciacca? L’abbiamo incontrata all’indomani d e l l’e s p e rienza salentina e subito siamo stati stregati, oltre che dalla sua bellezza (era inevitabile!), soprattutto dalla sua naturalezza; una ragazza alla mano insomma, con delle punte di autoironia e semplicità che a primo impatto non ti aspetti. Alta 1.76, fisico da modella, con due occhi chiari e sinceri, studentessa di Psicologia alla Università Kore di Enna, Anna ci racconta della sua vita di ragazza della porta accanto, soffer mandosi sugli studi, la Foto Barbara Geraci

Nei concorsi mi tengo alla larga dalla vuota competizione

famiglia ed i sentimenti. “Mi ritengo una persona genuina- afferma Anna- senza grilli per la testa, mi piace stare in giro con le mie amiche ed apprezzo moltissimo i gesti naturali, come prendere un caffè e scambiare due chiacchiere con una persona che magari non vedi da tempo, o con gli amici di sempre, pochi, ma selezionatissimi. Preferisco circondarmi di persone veraci, non mi piacciono gli individui costruiti, falsi e finto perbenisti come ahimè ne trovo parecchi in questa città”. “Mio fratello Raimondo è il mio grandissimo amore”, esordisce così la bella nissena parlandoci della sua famiglia e continua: “Per lui darei la mia vita, mentre mia madre rappresenta il mio modello di donna, una per-

sona buona e forte al tempo stesso, che ci tira su facendoci capire l’importanza dei valori sani e che le cose belle si conquistano con sacrificio”. La musica italiana la sua preferita, con Battisti in testa “In quelle canzoni -dice Anna- emerge una ragazza corteggiata e quasi eterea, un modello ben lontano dalla visione che la donna si è guadagnata, anche per suo demerito, nella odierna società”. Prevedibilmente la moda e la fotografia sono l e più grandi passioni di Anna, che in quest’ultimo periodo ha collezionato diversi book fotografici soprattutto di talentuosi fotografi nisseni che nei loro scatti l’hanno i m mortalat a in

tutto il suo splendore. Per mantenere la linea Anna confessa ancora una volta con il candore che la contraddistingue di non fare alcun sacrificio, mangiando di tutto senza proble-

Foto Silvio Zaami

A

nna Di Sciacca, che questo mese c o mp i e 22 anni, si è fatta ammirare sulle cronache regionali per essere

Una bellezza semplice soggetto degli scatti di molti talentuosi fiotografi. Si racconta parlando di sè, della sua famiglia e dei suoi tanti sogni. mi e senza ingrassare, “Forse un desiderio per molte donne, una tragedia per me, che non riesco a metter su peso!”. A proposito dei concorsi di bellezza, che tra l’altro non ama particolarmente Anna si dice molto critica: “Non amo i concorsi, anche se devo ammettere che se si vuol crescere in questo settore è una tappa quasi obbligata, anche se io mi tengo ben alla larga dalla vuota competizione che spinge tante ragazze a barattare spesso la propria dignità, pur di far in qualche modo strada in tale ambito. E’ chiaro le che sfilate e le passerelle dell’alta moda che erano il mio sogno da bambina sono un desiderio che però vedo lontano, dato che i miei traguardi sono ben altri: sogno di avere una famiglia numerosa e di realizzarmi nel campo professionale, per questo studio con impegno, e sto già facendo esperienza effettuando il tirocinio presso un psicoterapeuta nisseno”.


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Storia & Cultura

IL GEMELLAGGIO. Una cittadina francese dedica una piazza al paese nisseno

Place de Milena, l’ amicizia che fa l’ Europa unita di Antonio Vitellaro

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l più emozionato era lui, Carmelo Arnone, gioiosamente smarrito in quella piazza, tra tanti giovani venuti da Milena per fare festa in occasione dell’intitolazione di una piazza di Aix-lesBains (Savoia, Francia) alla consorella italiana Milena, gemellata con la cittadina francese ormai da quasi vent’anni. Carmelo Arnone giunse per primo ad Aix-lesBains nel lontano 1946: era finita la guerra da poco e cominciava l’emigrazione meridionale verso la Francia, la Germania, il Belgio, l’Inghilterra: tante braccia utili al lavoro nei campi, nell’edilizia, nel terziario, nell’industria, nelle miniere, avanguardia di una nuova Europa, quella del lavoro e dell’economia, che andava politicamente definendosi grazie alla lungimiranza di uomini politici come Adenaur, Schumann, De Gasperi. Carmelo Arnone non credeva ai suoi occhi, quando vide che proprio la piazza di

Il sindaco Dominique Dord legge un canto popolare di Milena tradotto in francese

quella stazione ferroviaria dov’era arrivato carico di speranze sessantacinque anni prima veniva dedicata al suo paese di origine: Place de Milena si leggeva nella targa collocata in bella vista accanto al bel cippo di granito rosa del Brasile riproducente la Sicilia, con la scritta “Milena” al suo interno. Oggi i milenesi di Aix-les-Bains sono arri-

Il sindaco di Milena Giuseppe Vitellaro scopre la targa

vati alla terza generazione (e già fa capolino la quarta), ben inseriti nel tessuto sociale e produttivo della cittadina francese, stimati e rispettati, ben organizzati e presenti nel territorio con le loro iniziative imprenditoriali. A chi va in giro per la città, fa una piacevole impressione poter leggere, agli incroci delle strade della periferia, le indicazioni di tante ditte che richiamano cognomi molto familiari a Milena; se si vuol fare una cosa gradita ai milenesi di Aix-les-Bains, si deve accettare di buon grado di fare un lungo giro con loro per poter ammirare la casa di tizio che si è fatto avanti nell’edilizia o di caio che opera con successo nel commercio; che poi sono magnifiche ville immerse nel verde, con l’immancabile albero di ciliegio nel giardino. Il 20 Maggio scorso, un centi-

Milena aveva già dedicato ad Aix-les-Bains una propria piazza: “Noi dovevamo da parte nostra, in nome della nostra amicizia, ricambiare il gesto e battezzare a nostra volta una piazza Milena - ha esordito il sindaco Dord nel suo saluto -. E quale migliore simbolo che la stazione per significare questo trasferimento di popolazione”. Il dato che ha colpito maggiormente in questa occasione è stata la presenza di oltre cinquecento milenesi alla cerimonia, tra cui tanti giovani, che hanno animato scambi culturali, studenteschi, musicali, gastronomici. E’ un passaggio di consegne tra le prime generazioni dell’emigrazione contadina e tanti giovani che oggi rischiano di essere protagonisti involontari di una nuova emigrazione, quella intellettuale, che al posto della valigia di cartone porta con sé un computer e la stessa voglia di riscatto.

tenente i canti della tradizione di MiloccaMilena tradotti per l’occasione da Rossana

Uno scultore milenese a Aix-les-Bains Il cippo riproducente la Sicilia che adorna la place de Milena è opera di Giuseppe Tona, scultore milenese residente ad Aix, che per l’occasione ha ricevuto la medaglia d’oro dal Sindaco Dord; è una scultura raffinata come

tante altre di questo scultore per passione, che per tanti anni ha lavorato il marmo per adornare le tombe gentilizie della città. Abbiamo visitato il suo laboratorio scoprendo magnifici lavori fortemente stilizzati, che rivelano una

forte sensibilità artistica; ma lui non vuole essere chiamato scultore e a chi gli propone di fare una mostra delle sue opere, risponde, schernendosi, con un netto rifiuto.

Lo scultore Giuseppe Tona

naio di milenesi (“milucchisi” li chiamano ancora i vecchi di Aix che parlano solo il dialetto o il francese) hanno invaso la citta-

Il più emozionato Carmelo Arnone il primo a emigrare nel borgo della Savoia nel lontano 1946

dina della Savoia, magnificamente accolti dal sindaco Dominique Dord (che è anche parlamentare nazionale), da Esther Rossiglion consigliere municipale ai gemellaggi, da Yosette Cannella presidente dell’associazione “Milena mia”, da Evelyne Cacciatore responsabile del comitato per il gemellaggio. Della delegazione di Milena, guidata dal sindaco Giuseppe Vitellaro, facevano parte il presidente del consiglio comunale Salvatore Tona, gli assessori Filomena Falletta e Giuseppe Ingrao, vari consiglieri della maggioranza e della minoranza, il delegato del sindaco per il gemellaggio Carmelo Cipolla, l’arciprete Rosario Castiglione, il preside della locale scuola media Vincenzo Nicastro. Ospiti d’onore, tanti emigrati originari di Milena che risiedono ad Asti, Como, Basilea e in tanti altri centri.

Quel giorno, si è fatta festa fino a tarda sera nel centro congressi; un gruppo di fisarmonicisti di Aix ha fatto da colonna sonora ai balli; prodotti tipici di Milena (vino, olio, mandorle) sono stati donati agli amici francesi, ma anche le maglie della neopromossa squadra di calcio di Milena; doni sono stati offerti anche dai rappresentanti delle tante associazioni venute da Milena a fare corona ai propri compaesani: l’Adas, la banda municipale, il gruppo folkloristico che ha fatto da colonna sonora alle manifestazioni; e poi, bravissimi, le ragazze e i ragazzi della scuola media. Anche i canti popolari di Milena, recentemente recuperati da un sicuro oblio, sono sbarcati in Francia: i francesi hanno apprezzato molto il dono di un opuscolo con-

Pintus, docente presso il liceo classico di Caltanissetta e curati da Antonio Vitellaro, che ha voluto leggerne una strofa al sindaco Dord: Bedda mi lu ‘nfiammasti lu ma cori / mi lu ‘nfiammasti di forti amuri / mi lu ‘nfiammasti dintra e di fori / astutari un si po chiù stu forti arduri / ci voli un nestu di lu to valuri / pi putìri carmari sti caluri / si mùaru lassu dittu du paroli / ca mùaru p’un putiri parlari. Il sindaco Dord ha risposto in francese: Belle tu as enflammé mon coeur / Tu me l’as enflammé d’un amour fort / Tu me l’as enflammé dedans et de hors / On ne peut plus èteindre cette passion forte / Il faut une greffe de la ta valeur / Pour apaiser ces bouillonnements / Si je meurs, je lasse ces deux mots / Que je meurs pour ne pas etre capable de parler.

Pietro, partigiano milenese in Savoia

Pietro Mantione

Il partigiano milenese di Aix-les-Bains. Ti può capitare anche questo, visitando la comunità milenese di Aix: di scoprire che lì vive, ancora lucido nonostante i suoi novantuno anni, un partigiano, orgoglioso dei suoi ricordi, che vuole raccontare a tutti prima di andarsene; e perché non se ne perda la memoria, lui intanto li ha raccolti in bella grafia, in un italiano misto di echi dialettali e francesi, in un suo quadernone lindo e ben curato, che mostra con orgoglio a chi va a fargli visita; come ha fatto il sindaco di Milena accompagnato da Antonio Vitellaro: a Pietro Mantione, questo il nome del partigiano milenese, il sindaco ha promesso di pubblicare le sue memorie e di fargli una grande festa a Milena, perché della sua esperienza resti memoria.


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La recensione del mese di Salvatore Paci

La fine delle certezze nell’ opera di Koontz

La delegazione di Milena

I ragazzi della Pirandello testimonial dell’ intesa Un intenso e significativo scambio culturale è stato realizzato tra gli alunni della scuola media “Luigi Pirandello” di Milena e i loro colleghi del collegio “Marlioz” di Aix-les-Bains, secondo lo spirito più genuino del gemellaggio tra le due cittadine. L’anno scorso, le famiglie di Milena avevano ospitato gli alunni francesi; nel maggio scorso alcune famiglie

francesi hanno accolto gli alunni italiani, i quali hanno potuto frequentare corsi di lingua francese, conoscere i luoghi e la storia di quel territorio che più di centocinquant’anni fa faceva parte dello stato sabaudo. Animati dalle premure dei loro insegnanti Delfina Scozzaro, Angela Calamera e Aldo La Lumia, e guidati da loro preside Vincenzo Nicastro,

questi ragazzi hanno partecipato attivamente alle cerimonie del gemellaggio, cantando gli inni nazionali francese ed italiano e i canti popolari italiani e francesi. Questa esperienza li ha arricchiti dal punto vista sociale e relazionale ed ha consentito loro di rafforzare vincoli di amici zia tra le due comunità e anche personali.

Al centro il cippo riproducente la Sicilia collocato a Place de Milena. Sopra un’opera dello scultore Giuseppe Tona Gli alunni della scuola media Luigi Pirandello

Breve sinossi: Ryan Perry conduce una vita meravigliosa: soldi a mai finire e una fidanzata stupenda. Un giorno scopre di essere affetto da una malformazione cardiaca che gli lascia molto poco da vivere. Da quel momento, soprattutto a causa di una lunga serie di fobie, il terrore si impadronisce di Ryan, finché incontra una donna dagli occhi a mandorla che nasconde un’atroce verità, e che è più vicina al cuore di Ryan di quanto lui stesso possa immaginare. Il mio punto di vista: Ho letto tanti libri di Koontz e devo riconoscere che è uno dei più grandi scrittori contemporanei. Solitamente scrive due tipologie di libri: i thriller basati su avvenimenti “possibili” e quelli basati su storie un po’ più fantasiose. Premesso che preferisco i primi, Koontz sa s c r ive re anche i secondi. Il protagon ist a , m a lato di cuore, pens a che qualcuno sta attentando alla sua salute e per 170 pagine, anche se la lettura scorre piacevolmente, la situazione non cambia; non c’è nulla che possa far fremere il lettore. Solo sfarzo (Jet privati del protagonista, automobili come se fossero caramelle), bellezza (la fidanzata stupenda), sport (Ryan è un serfista) ed elucubrazioni. Ma ecco che, proseguendo con la lettura viene fuori il vero Koontz. Cominciano ad accadere cose strane a casa Perry e la lettura diventa molto intrigante. Tra l’altro, si aggiunge l’interesse per la sua storia con Samantha (nel dopo operazione non stanno più insieme). La seconda parte del libro fa capire quanto siano importanti le prime 170 pagine per l’economia del racconto. Non posso aggiungere altro per non togliervi il piacere di leggerlo. Confermo che Koontz è un grande e i 400 milioni di libri venduti finora sono di per sé un’importante referenza.


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COMMERCIO. Dagli anni ‘40 fino al successo dei giorni nostri Dalla piccola merceria al negozio di tessuti fino allo stabile di sette piani. L’ epopea di una famiglia vissuta attraverso la crescita di una realtà imprenditoriale.

Gruttadauria, la famiglia che ha vestito una città di Marco Benanti E’ un “amarcord” tutto nisseno la storia della famiglia Gruttadauria, uno dei nomi di riferimento nel panorama dell’abbigliamento a Caltanissetta: una storia che, a poco più di un anno dalla scomparsa del commendatore Michele Gruttadauria, fondatore insieme al fratello Carmelo del negozio di corso Vittorio Emanuele, continua. Era il 1937 quando un appena diciottenne Michele Gruttadauria, cresciuto insieme a quattro fratelli e con genitori tutt’altro che benestanti, avvia una piccola attività commerciale come venditore ambulante di merceria. È un periodo storico diametralmente opposto a questi nostri anni, con ritmi ed esigenze ben diversi rispetto a quelli odierni, in cui anche il superfluo viene considerato necessario: allora bastava una bancarella, piccole colorate cose per decorare la biancheria di casa, e un sorriso, quelli di cui era capace il Commendatore. Così, mettendo da parte giorno dopo giorno il frutto di quel

piccolo ingegnoso commercio, Michele Gruttadauria apre nel 1940 un negozietto nel centralissimo corso Umberto, che lascia però una volta scoppiata la guerra perché richiamato alle armi. A

A fondare il marchio Michele, cavaliere e poi commendatore

prendere le redini del piccolo negozio è allora il fratello Carmelo, anch’egli giovanissimo, che con una oculata gestione trasforma la merceria in negozio di tessuti. Ma durante i bombardamenti la famiglia Gruttadauria è colpita da un grave lutto: sotto le macerie della casa crollata muoiono i genitori e le due sorelle. Il negozio diviene così per il giovane Carmelo anche il luogo dove dormire con il fratellino scampato alla

tragedia. Intanto Michele torna dalla guerra e durante il periodo della ripresa economica aumentano le fortune del commercio, così i due Gruttadauria insieme alle mogli acquistano un negozio in Corso Vittorio Emanuele, costruendo poi di fianco la via XX Settembre uno stabile di sette piani dove lavoreranno ben 40 persone, rappresentando un punto di riferimento per l’intera Sicilia, e forse il primo centro commerciale dell’abbigliamento. Quella di Michele Gruttadauria è la storia di un uomo dedito oltre che al commercio anche alla famiglia ed alla cooperazione, una visione pionieristica per quei tempi, oggi una necessità per il commercio, ovvero quella di cercare sinergie, essendo stato negli anni ’60 il fondatore della prima Associazione dei Commercianti, oggi Confcommercio. Nel 1971 Michele Gruttadauria, con un decreto a firma Gronchi-Fanfani, viene insignito dell’onorificenza di Cavaliere del Lavoro mentre nel 1975

diviene Commendatore. A raccogliere il testimone di tanta storia figli e nipoti, tra i quali Antonio Gruttadauria, che non senza un pizzico di orgoglio ci racconta del padre e della sua lungimiranza. “In uomo – dice Antonio – con una “visione”, la stessa visione che oggi spero di poter trasmettere ai miei figli perché questa “eredità” giunga alla sua terza generazione”. Un auspicio più che legittimo quello di Antonio Gruttadauria

che si inserisce in un contesto, quello del capoluogo nisseno, la cui vocazione al commercio - nonostante la crisi economica - resta sempre al primo posto tra le attività produttive, con una massiccia presenza delle migliori griffe per l’abbigliamento che la collocano, a livello regionale, quasi allo stesso livello di città come Catania e Palermo, con il punto a favore di essere una città più vivibile ed a misura d’uomo.


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BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DEL NISSENO di Sommatino e Serradifalco


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ARTIGIANATO. La nissena ha partecipato al Festival national de la Crèation di Algeri

Anna Bonaffini e i suoi ricami che hanno conquistato l’Algeria di Rosamaria Li Vecchi

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alla finestra del Palais du Rais, ad Algeri, la nissena Maria Anna Bonaffini ha assaporato il profumo ed il colore del Mediterraneo dall’altra sponda, quella dell’Africa, ospite apprezzatissima (e rappresentante

Ma è stata innanzitutto una sfida con se stessa, come ammette, a farle accettare l’invito che le è stato rivolto dall’organizzazione del festival tramite la direttrice dell’istituto culturale italiano ad Algeri Maria Battaglia (che ha selezionato i lavori della Bonaf-

perché no, anche internazionale. E poi anche la creazione di una collezione completa di abiti, che non sono però solo abiti da sera: la mia idea è quella di dare vita a creazioni artistico-culturali, legate cioè alle peculiarità storiche di ogni città, come ho fatto con l’abito ispirato alla nostra bellissima fontana. E ovviamente potere far conoscere fuori da Caltanissetta e dalla Sicilia i miei manufatti, perché io sono innanzitutto una ricamatrice”. Un’avventura cominciata casualmente, lontano da Caltanissetta. “A casa mia nessuno sapeva ricamare ma io ho incontrato quest’arte un giorno a Milano, quando, ospite di parenti, ho visto la vicina lavorare all’uncinetNella foto sotto Maria Anna Bonaffini con il ministro della cultura algerina Khalida Toumi. In alto l’abito presentato alla manifestazione ispirato alla fontana del Tritone

dell’Italia insieme ad una collega) della seconda edizione del Festival National de la Crèation

Tante donne mi hanno portato i loro bambini per insegnare a lavorare l’ uncinetto

Feminine, organizzato dal Ministero della cultura algerina. (Ministro Khalida Toumi) Ma la ricamatrice nissena ha avuto modo di farsi apprezzare anche per i laboratori che ha dedicato anche in Algeria ai più piccini, sulla scorta dell’esperienza maturata con il progetto “Ricamiamo giocando” portato avanti dal 2009 nelle scuole elementari di Caltanissetta. Un progetto dove i bambini sono liberi di lasciare spaziare la propria fantasia: il tratto della matita viene infatti sostituito dalle catenelle all’uncinetto che poi diventano paesaggi, farfalle, palloncini, cuori, incollati su cartoncino colorato. “Ho lasciato metà del mio cuore là, dai miei bambini di Algeria – dice Maria Anna sorridendo, ancora emozionata per l’accoglienza ricevuta in Algeria – ed ho vissuto così intensamente le giornate del festival che non mi sono resa conto davvero di ciò che stava accadendo”.

fini, visti sul sito web della ricamatrice). “Mi sono confrontata con me stessa – dice ancora Maria Anna - e mi sono messa alla prova, sia come stilista ricamatrice sia come curatrice del progetto “Ricamiamo Giocando”, che ha molto incuriosito sia gli organizzatori del festival in Algeria sia la gente di là: sono state tantissime le donne algerine che, dopo avermi visto nei servizi sul festival realizzati dalla tv nazionale algerina, mi hanno portato i loro bambini perché insegnassi loro a lavorare con l’uncinetto”. Maria Anna Bonaffini ha presentato nella manifestazione internazionale due bellissimi abiti da sposa e un sontuoso abito ispirato alla fontana del Tritone, simbolo di Caltanissetta, proposto in anteprima assoluta ad Algeri. “Ma ho anche avuto – dice - la possibilità di avere un angolo espositivo per i miei manufatti mentre in un’altra ala del palazzo c’erano i laboratori, dove ho avuto modo di fare conoscere il progetto “Ricamiamo Giocando”, con un riscontro estremamente positivo: ho trascorso ogni giorno tantissime ore con le bambine ma anche con le signore, che chiedevano di imparare nuovi punti, con l’uncinetto ma anche con i ferri e con l’ago da ricamo”. “Adesso nei miei progetti c’è innanzitutto la crescita di “Ricamiamo Giocando”, possibilmente con una diffusione a livello nazionale e,

to e ho fatto in modo di imparare, poco a poco, tutti i segreti del mestiere. Sono comunque un’autodidatta: sono convinta che cer-

te attitudini noi le portiamo nel Dna ed aspettano solo il momento giusto per venire fuori”. E ritorna a fine agosto l’appuntamento in città con il ciclo estivo di “Ricamiamo Giocando”: una serie di incontri dedicati sono infatti già programmati alla villa Amedeo, che ospiterà il laboratorio curato come di consueto da Maria Anna Bonaffini, affiancata dalle collaboratrici Sonia Lo Giudice, Mariella Ciraulo, Albina www.feminalgerie-creation.org Occhipinti, esperte formatesi dopo la frequenza del corso specialistico promosso nel 2009 dalla Provincia Regionale di Caltanissetta.


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Fatti & Dintorni ALTRI TEMPI. Negli anni ‘70 l’artista mussomelese mieteva successi

Pier Amico, il piccolo divo che cantò con miss Aretha di Osvaldo Barba

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ell’edizione del ‘Palermo Pop Festival’ del 1970 - giudicata dal ‘re’ dei ‘press agents’ inglesi Tony Hall come”il più grande festival d’Europa dell’anno” – svoltosi allo stadio della Favorita, al quale parteciparono 80.000 spettatori,tra i 300 artisti stranieri ed italiani che vi presero parte, vi era anche un mussomelese doc: Salvatore Amico in arte Piero.Il festival fu realizzato grazie alla produzione artistica di-

Piero Amico con Aretha Franklin

Joe Napoli, italo-americano nato a Brooklyn e morto qualche anno fa in Sicilia, che nel contempo era produttore di Piero Amico, all’epoca cantante famoso e di successo.

Quel sabato 18 luglio del 1970, sotto un solleone degno del torrido caldo siciliano, un giovane quanto acclamatissimo Piero Amico, incantò gli 80.000 partecipanti, accalcati in quello che era il vecchio stadio della Favorita, per la mezz’ora concordata come da programma dalle ore 17 alle 17,30. Così come per gli altri artisti, anche la performance di Piero Amico fu seguita da otto stazioni radio-televisive: le tv di Belgio, Olanda, Brasile, Francia, la West DeutscheRundfunk, l’inglese BBC ela RAI . Piero visse forse inconsapevolmente, la brezza di aver partecipatoad un evento oggi ancora impresso nella memoria di tanti ultracinquantenni siciliani. L’edizione del 1970 del ‘Palermo Pop Festival’, fece riflettere sulla Sicilia la ribalta dei grandi concerti all’aperto della hippy generation, da Monterey a Woodstock ed all’isola di Wight. Quello che si svolse sul prato e sugli spalti del vecchio stadio della Favorita fu uno dei più importanti raduni organizzati in quegli anni in Italia, insieme ai romani ‘Festival Pop di Caracalla’, ‘Villa Pamphili 1972’ e ‘Controcanzonissima’, al ‘Re Nudo Pop Festival’ di Lecco ed al ‘Festival della Musica d’Avanguardia e Nuove Tendenze’ di Viareggio. Sembra quasi irreale, ma Piero Amico fu indiscusso protagonista di un festival a cui parteciparono autentiche stelle del firmamento musicale di sempre: Duke Ellington, Kenny Clarke, Phil Woods, Tony Scott ed Aretha Franklin. La regina del rythm and blues, atterrò a Palermo con notevole ritardo rispetto ai pro-

grammi degli organizzatori: il suo concerto - il primo di un tour italiano - attirò quasi 15.000 spettatori. A tal proposito esiste un aneddoto, documentato da foto, circa l’amicizia nata tra Aretha e Piero. Avendo avuto per pura casualità, i camerini uno accanto all’altro, i due ebberomodo di interloquire serenamente. Nell’occasione, ad Arethafu regalato un quadro dell’allora artista sconosciuto Pino Petruzzella, oggi pittore di fama internazionale, raffigurante il Castello di Mussomeli . Per dovere di cronaca va segnalato che in quel festival, gli unici artisti nazio-

Fu uno dei pochi ad esibrisi al “Palermo pop festival” dividendo il palco con artisti del calibro della Franklin o di Duke Ellington nali presenti, a parte Piero Amico erano:Giuny Russo (all’epoca Giusy Romeo)Bobby Solo, i Ricchi e Poveri, Nino Ferrer, Lucio Battisti, Enzo Randisi e Tony Cucchiara. Dopo quella parentesi e qualche disco, non volendo Piero seguire in America Joe Napoli che voleva aprirgli le porte artistiche della Grande Mela, la sua carriera si interruppe. Oggi Piero, che è un impiegato della Zecca dello Stato in pensione, vive serenamente la sua vita, con un grande sogno ancora da realizzare: Il Premio Chiaramontano. Secondo il progetto, da anni proposto da Piero a tutte le amministrazioni che

si sono susseguite, il premio da istituire a Mussomeli e da realizzarsi nella splendida cornice del Castello omonimo, dovrebbe avere come finalità, quella di premiare le celebrità mondiali del mondo dello spettacololegati in un certo qual modo a Mussomeli. Piero ha già in mente i primi tre nomi: “Francesco Cafiso, anche Claudio Gioè e ed il mussomelese doc Vincenzo Ricotta, attore di fama mondiale che in arte è Vincent Riotta.Un’operazione a sfondo puramente pubbl i c it ar i o e di grande

L’artista mentre canta dinanzi al pubblico della Favorita. Era il 1970.

impatto comunicazionale che Piero continua ostinatamente a sostenere, forte di un’esperienza di vita personale che lo ha formato anche su questo versante. In attesa che ciò possa accadere, rimarrà a futura

memoria l’esperienza, seppur breve, di un cantante mussomelese che ha segnato indelebilmente, la storia della nostra comunità, che purtroppo, come spessa capita,viene quasi sempre dimenticata.


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Costume & Società

8 Milioni

ALIMENTAZIONE. Cresce l’attenzione degli italiani verso la forma fisica

4,4 Milioni

Arriva l’ estate, tutti a dieta per la “prova costume”

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ome ogni anno torna l’estate, anche se il sole, fino ad ora, si è visto ben poco - la splendida primavera è scappata chissà dove. Tuttavia, torna, in abbinamento all’estate, come ogni anno, il tormentone della “prova costume” e delle diete dimagranti. Insomma, prima di andare in spiaggia con qualche chilo di troppo vi mettono la pulce nell’orecchio: sarà bene fare qualche rapida dieta? Secondo una ricerca Agi/Adiconsum sulle trasmissioni televisive “il 20% ha parlato di alimentazione e delle varie problematiche connesse, con particolare riferimento alle diete e all’alimentazione sana ed equilibrata. Cio’ trova spiegazione con l’avvicinarsi dei mesi estivi e la crescita di attenzione da parte degli italiani verso la forma fisica e l’alimentazione corretta, che coincide con un aumento della domanda di diete e cure alimentari in grado di far superare la “prova costume”. “ Che ci si curi dell’alimentazione, ma per tutto l’anno, e per mantenere una buona salute, è sicuramente importante. L’alimentazione e la qualità degli alimenti ingeriti è determinante per la prevenzione delle malattie (cancro, diabete, pressione alta e tutte le altre), anche se trovare cibo in condizione tali da essere veramente salutare sta diventando

un’impresa non facile, è giusto non perdersi d’animo. La prova-costume, invece, che significa? chi si è inventato questa specie di esame estivo? Meglio non farsi troppe paranoie per la prova costume, pensare alla salute tutto l’anno, e ricordare che il sovrappeso eccessivo non fa bene alla salute, ma il sottopeso forse è anche più pericoloso e dannoso.

Gli italiani che, in vista dell’ estate hanno deciso di mettersi a dieta

Sono le donne (55%)

3,6 Milioni

Sono gli uomini (45%)

30/45 anni

E’ la fascia di età con maggiore incidenza di cittadini a dieta (44%)

I DATI CODACONS:

Il 70% degli italiani ricorre a diete estive “fai da te” Secondo il Codacons sono 8 milioni gli italiani che, in vista dell’estate oramai alle porte, hanno deciso di mettersi a dieta o di prestare maggiore attenzione ai consumi alimentari, così da arrivare pronti alla prova-costume. Il dato emerge da uno studio condotto nell’ambito del progetto CODACONSAGI denominato ‘Sentinelle della Salute’, finalizzato a monitorare le abitudini degli italiani in materia di salute. 4,4 milioni di donne (il 55% del totale) contro 3,6 milioni di uomini (45%), a dimostrazione che oramai la dieta non è più prerogativa femminile, e anche il sesso forte presta particolare attenzione alla forma fisica - spiega l’associazione Per entrambi i sessi, la fascia d’età dove si registra una maggiore incidenza di cittadini a dieta è quella compresa tra i

30 e i 45 anni (44%), mentre nella fascia 18-30 anni la percentuale di persone a regime alimentare controllato scende al 29%, contro il 18% della fascia 45-60 e il 9% degli over 60. Di questi 8 milioni, tuttavia, la stragrande maggioranza (circa il 70%) segue diete ‘fai da te’, reperendo informazioni su internet, seguendo i consigli di amici e parenti o assimilando informazioni frammentarie recepite sui giornali o in tv. Solo il 30% consulta un medico o un dietista. Si tratta di una scelta assai rischiosa - spiega il Codacons - Molto spesso, infatti, le diete pubblicate sul web, specie quelle che promettono grandi risultati in poco tempo, non hanno alcuna base scientifica, e possono risultare rischiose per chi le segue, provocando squilibri e alterazioni con conseguenti danni alla salute. Per questo l’associazione invita il Ministero della salute ad eseguire un controllo sulle informazioni reperibili sul web, al fine di disporre l’oscuramento di quelle pagine che, consigliando diete pericolose e prive di fondamento scientifico, possono provocare danni ai cittadini.


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ocus & lettori

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L’APPELLO. Riflessioni a voce alta dell’ architetto Lombardo

Bisogna trovare la ricetta per salvare il centro storico

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altanissetta. I cortili ed i resti dei giardini medievali che ancora oggi punteggiano alcuni quartieri del centro, le vive prospettive rinascimentali, la ostentazione dei poteri propria del barocco, le cortine di rappresentanza e le strutture pubbliche della città ottocentesca, il composto decoro civile di certa edilizia agevolata ed i viali

L’architetto Michele Lombardo già Presidente della Sezione di Caltanissetta di Italia Nostra (2008-2010) e Tutor di Storia della città e del territorio (2002-2006)

del novecento, che incarnano in maniera quasi commovente tutta l’aspirazione per una città nuova, che si lasciasse alle spalle l’indigenza del passato (il tragitto dal nodo-Grazia a piazza Europa non si dovrebbe misurare in metri, ma in secoli!): ogni periodo

ha lasciato ben chiara l’impronta della propria identità, il proprio marchio sul volto della città. E lo ha fatto consapevolmente. Poco importa a noi oggi delle lotte intestine, delle oppressioni, dello sfruttamento che spesso costituivano l’humus sul quale cresceva la città: sono divenute storia. A noi, a tutti noi, percorrendo la città rimangono oggi i frutti positivi di quelle vicende, e ironicamente, proprio la sopravvivenza delle costruzioni a chi le volle certifica di questi le effimere, transeunti illusioni. Ma oggi le chiese, i palazzi, i viali larghi ed alberati sono lì per tutti, perché tutti ne possano godere. Un lascito da non sottovalutare, anzi da esaminare, comprendere, interpretare con ogni migliore intenzione al fine di dare noi, adesso, adeguata prosecuzione a questo processo. La domanda è: quale città si vuole, quale città si sta apprestando? Quali idee, quali concetti può voler rappresentati nella città la nostra società che si definisce democratica, e come? Uno dopo l’altro molti concetti-guida si stanno rivelando miti evanescenti, non più utilizzabili: il progresso, il futuro, appaiono soffocati dagli effetti della presente crisi economica, e persino l’idea romantica di ritornare al passato si sgretola di fronte alla evidenza dei fatti: il passato della città è ridotto ad un cumulo di macerie. Sembra un paradosso, ma pro-

prio oggi che la tecnologia applicata alle costruzioni permette di

La tecnologia permette tutto ma mancano i significati Ci sono i mezzi ma difettano

le idee

realizzare tutto ed il suo contrario, a mancare sono i significati: ci sono i mezzi e le conoscenze, ma difettano le idee, i programmi. Anzi questi è come se si risolvessero nell’episodico approccio a specifici problemi, in mancanza di una visione complessiva della città, quale che sia, comunque un indirizzo generale alla cui realizzazione tendere, un volto che la possa identificare. Si vede infatti, a meno che non si giudichino diversamente tali condizioni, che la semplice applicazione di norme e regolamenti non ha condotto ad una città omogenea, legata, unitaria, sempre più vivibile dai propri cittadini, ma anzi nei decenni ha generato evidenti squilibri, dal

centro storico ad una viabilità urbana sempre meno sostenibile, per citare gli esempi più evidenti. Io sono convinto che il nostro periodo abbia da portare a termine un compito preciso: restaurare progressivamente l’unità della città, che è anche unità della comunità che la abita. E questo si fa, ovviamente, a partire dal centro storico: ridare un volto ed un significato al centro storico, vuol dire anche ridare un senso al resto della città. Quale può essere l’idea guida di questo processo? Semplice: quali sono i capisaldi della società democratica? Un certo equilibrio sociale, pari dignità, e tutto quanto sinteticamente potremmo ascrivere sotto il concetto più ampio di civiltà. Ed allora: portare civiltà in quei vicoli, garantire pari dignità a chi li abita o avesse intenzione di farlo. Come? Abbandonando un approccio eccessivamente rigido e conservativo, ma piuttosto studiando innanzitutto il modo di superare i vincoli, o meglio i limiti fisici che hanno portato a tali condizioni e che sono causa dell’abbandono di quelle costruzioni, dando magari la possibilità di totali rimodula-

zioni all’interno degli isolati, riproponendo per esempio sempre all’interno degli stessi il sistema dei cortili e dei giardini, proprio di quelle parti di città, comunque sostituendo tutto quanto è fatiscente, nel rispetto dei volumi e delle altezze, con abitazioni degne di tale nome. Si tratta a mio avviso di interventi che vanno necessariamente integrati con altri volti a migliorare l’accessi-

Ridando un volto al centro storico ridaremo senso alla città

bilità a detti isolati, magari con risalite, o altro, e che comunque credo debbano essere effettuati nell’ambito di un programma pubblico o comunque volto a realizzare una finalità generale di tipo pubblico, garantendo ad ogni costo la permanenza della popolazione residente. Michele Lombardo


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Riceviamo & Pubblichiamo

La perdita del titolo è il segnale della sfiducia in Berlusconi

I

piani alti di mediaset a Cologno Monzese, quelli che si occupano della finanza creativa, dei bilanci (anche falsificati,m tanto non è più reato), dei capitali all’estero tramite acquisti con fatturazioni falsate (tanto poi arriva uno scudo fiscale che sana tutto), brulicano di esperti, fantasiosi, inventivi, spregiudicati, ma timorosi, addirittura spaventati, ma cercano di non farlo capire. Ci pensa il povero Confalonieri a rassicurare con proclami con i quali vengono vantati risultati straordinari del gruppo, ma non gli crede più nessuno. Ma con i numeri c’ è poco da scherzare… Le quotazioni Mediaset hanno toccato il minimo storico, con una perdita, in un solo mese, del 20%, come inequivocabile segnale di sfiducia nel titolo che è tutt’uno con il suo inventore. In nessun altro caso di azioni quotate in borsa il destino è legato alle sorti dell’azionista di riferimento, come accade con mediaset. Il segnale è grave, perché dimostra che si tratta dei grandi investitori che non credono più nel futuro dell’azienda di casa Berlusconi. Le rilevazioni trimestrali peggiorano le previsioni future, in quanto anche la raccolta pubblicitaria di Publitalia 80, segna una calo sensibile che non lascia spazio alle invenzioni parolaie, esibendo una realtà nuda e cruda. La sconfitta elettorale non è stata la causa di un tale calo, ma è stata la conseguenza di una perdita di credibilità dell’azionista di riferimento, più dedito ai vizi privati che alle pubbliche virtù, più dedito alla difesa dai suoi processi che al dovere di amministrare una nazione guardando al bene comune. La palese debolezza politica e il mancato strapotere, ha, di fatto, allontanato i grandi inserzionisti pubblicitari, nonché i grandi azionisti che sono stati costretti a cedere azioni delle proprie aziende in cambio di azioni mediaset, allettati da provvedimenti legislativi e attività internazionali che li avrebbero favoriti, e si ritrovano con le loro azioni che lievitano quotidianamente (ENI, ENEL, Finmeccanic, Impregilo), mentre le azioni mediaset in caduta libera, con un 20% di perdita netta nell’ultimo mese, malgrado le continue trasfusioni di liquidità da parte di altre aziende del gruppo per rallentare il continuo scivolone, o ritardarne l’esito finale. Non viene descritto dalla stampa compiacente, ma anche l’investimento spagnolo di Cuatro, network acquisito dalla controllata

Il gruppo Mediaset travolto dal panico Telecinco, ha dato esiti a dir poco disastrosi. Quindi l’acquisizione di 1.500 torri di trasmissione televisiva di DMT , che avrebbe garantito al gruppo

già condannato in primo grado al pagamento di 750 milioni di euro come risarcimento donni alla CIR di De Benedetti (difeso dall’avv. Pisapia…!); nella ipotesi più favo-

De Benedetti ha anticipato che si servirebbe di quei quattrini per acquistare “La 7” e richiamare tutti i presentatori e giornalisti sgraditi al cavaliere.

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Affittasi: mediaset il monopolio delle infrastrutture delle reti telefoniche e TV, è stata bloccata dalla Consob a seguito della semplice minaccia da parte di Telecom Italia Media, di ricorso all’Antitrust. Aleggia ancora, come la nota ciliegina sulla torta, anche la sentenza d’appello sul lodo Mondadori, nel quale il cavaliere è stato

revole al cavaliere la penale potrà solo essere ridotta a 500 milioni di euro, che provocherebbe lo stato di insolvenza tanto della persona che del gruppo, pur nelle sue molteplici articolazioni, in quanto il grosso della liquidità con cui potrebbe essere pagata l’ammenda, si trova ben lontano dalle grinfie dei creditori.

Anche Murdock non mostra più interesse per un’OPA su Mediaset; con la prossima concorrenza de La 7, il titolo pilota del clan Berlusconi, scenderà sotto i limiti, anche del suo valore reale, per cui potrebbe anche andare in vendita fallimentare. Rosario Amico Roxas

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