Il Fatto Nisseno - marzo 2015

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SPORT

SOCIETA’

Due volte Capitano, le emozioni di Francesco Riggio

Ernesto Torregrossa, l’assist più bello è di papà Lirio

ANM: il nuovo corso, Palazzo di Giustizia aperto ai cittadini

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RESS

FREE P

Mensile di approfondimento

Poste Italiane S.p.A. - Sped. in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 conv. N. 46 art. 1 comma 1. Sud /CL

Anno V Num. 36 Direzione Editoriale: Michele Spena

-

redazione: Viale della Regione, 6 Caltanissetta

- Tel/Fax: 0934 594864

- Stampa: STS S.p.A. Zona industriale Vª Strada, Catania - Reg. Tribunale di Caltanissetta n° 224 del 24/02/2011

Aldo Naro

Territorio

Frana Sant’Anna, tra ritardi e burocrazia

Un sorriso per non dimenticare

di A. Sardo

L’intervista

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Storia

L’ Antimafia in parlamento tra politica e affari

Rosario, padre del giovane medico, spiega le ragioni di un impegno di D. Polizzi

Marzo 2015

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il Fatto Globale

di G. Tona

“L’immigrazione non è un male, ma è il sintomo delle ingiustizie nel mondo”

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Post Scriptum

Politica nissena gli ultimi 30 anni: “Graculus superbus et pavo”

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L’ultimo trentennio della politica del nostro territorio sembrerebbe non aver lasciato tracce di rilievo nelle aule di Montecitorio. Viene subito in mente la favola di Fedro ovvero “La cornacchia superba e il pavone”. di F. Falcone

L’Arcivescovo di Agrigento, Cardinale Francesco Montenegro, ha partecipato all’incontro che si è svolto nel capoluogo nisseno, su invito del Vescovo Monsignor Mario Russotto, promosso dalla consulta delle Aggregazioni laicali della Diocesi nissena, sulla “Società globale e cooperazione internazionale”. L’incontro ha originato un interessante dibattito sul tema dell’immigrazione, “gli immigrati non sono tutti terroristi, com non erano tutti mafiosi i nostri migranti”. di Rosario Neil Vizzini

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ISSN: 2039/7070

SETTIMANA SANTA


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Fatti & Territorio

Collina Sant’Anna dalla somma urgenza all’emergenza

di Alberto Sardo

L

a Collina Sant’Anna è franata a inizio marzo, prima che iniziassero i lavori finanziati per 4 milioni di euro, lasciando al momento senza casa numerose famiglie. L’ultima novità in ordine di tempo è che il nuovo responsabile unico del proce-

dimento, l’ingegnere Egidio Marchese dirigente del Genio Civile di Enna ha invitato il direttore dei lavori, dopo la formalizzazione del contratto d’appalto, a effettuare la consegna parziale dei lavori “che avverrà entro poche settimane, a giorni”, assicura Marchese. Una vicenda, quella della collina Sant’Anna e dei relativi ritardi nella consegna dei lavori, che è divenuta

La vicenda è oggetto di un’interrogazione urgente di numerosi consiglieri comunali. Ciò non sana anni di disinteresse ed incuria oggetto di un’interrogazione urgente di numerosi consiglieri comunali. Ciò che non si comprende, infatti, è il ribaltamento dei termini. Individuata un’emergenza, come l’elevato rischio idrogeologico nel costone della collina, si procede a lavori di somma urgenza per tamponarla. In questa vicenda, invece dalla somma urgenza, per paradosso, sembra si sia arrivati (non certo per un rapporto di causalità) all’emergenza verificatasi a inizio marzo con la frana. Ritardi nella consegna dei lavori, estromissione del comune di Caltanissetta

con la sostituzione del Rup, che era in precedenza un funzionario dell’ufficio tecnico, procedure tutte da spiegare ed una domanda: per quale motivo il Comune di Caltanissetta è stato privato delle prerogative di controllo su tempi e modalità di espletamento dei lavori?

Questi gli interrogativi posti dai consiglieri quasi tutti di opposizione che hanno presentato l’interrogazione. Il progetto generale dei lavori per il consolidamento della Collina S.Anna fu redatto dall’Ufficio Tecnico Comunale (RUP era l’architetto Armando Amico dirigente dell’ufficio tecnico e responsabile della Protezione Civile) e presentato il 22 luglio del 2009. Un progetto da sette milioni di euro approvato dal Genio Civile di Caltanissetta e successivamente dalla Regione Siciliana nella conferenza speciale di servizi del 7 novembre 2012. Per rendere concreta la possibilità di finanziamento in sede di approvazione del progetto definitivo, il Comune di Caltanissetta con l’Assessorato regionale Territorio e Ambiente e il Commissario delegato per il rischio idrogeologico concordarono di suddividere in due tranches gli interventi. Così venne deciso di stralciare una prima parte del progetto per un ammontare di quattro milioni di euro. L’ufficio tecnico del Comune approntò il progetto esecutivo approvato con prescrizioni nella conferenza speciale di servizi del 31 gennaio 2013. Il decreto del definitivo finanziamento per la messa in sicurezza della Collina Sant’Anna venne firmato dall’Assessorato Territorio ed Ambiente il 3 dicembre 2013 e registrato alla Corte dei conti a gennaio 2014, notificato al Comune di Caltanissetta nel febbraio 2014. Elementi sufficienti per annunciare in conferenza stampa, a marzo del 2014, l’imminente gara d’appalto, comunque gestita dal Commissario delegato. “Entro l’estate

la consegna dei lavori per l’avvio del cantiere” si disse. Nel frattempo però il Responsabile del Procedimento, dopo il pensionamento del diri-

Direzione Editoriale

gente dell’ufficio tecnico di Caltanissetta, veniva individuato nel dirigente del Genio Civile di Enna, e veniva altresì sostituto l’ingegnere Edoardo Garito, uno dei redattori del progetto. “Destituendo il Comune di Caltanissetta nella gestione e controllo del progetto e dei suoi tempi di attuazione”, scrivono i consiglieri Rino Bellavia, Angelo Failla, Gianluca Bruzzaniti e Antonio Favata, Walter Dorato, Giovanni Magri’, Valeria Alaimo, Oscar Aiello, Calogero Adornetto, Oriana Mannella, Salvatore Petrantoni e Adriana Ricotta nell’interrogazione. Non si capisce perché individuare a Enna il Rup del progetto. Pur non di meno a metà ottobre 2014 il Commissario delegato emetteva il Decreto di validazione del progetto del nuovo Rup, l’ingegnere Egidio Marchese. Poi con determinazione del responsabile del servizio n° 57/14 del 3.11.2014, considerata l’urgenza dei lavori in questione, veniva disposta una procedura negoziata per l’affidamento. Il 14 novembre 2014 la Commissione di Gara aggiudicava provvisoriamente l’appalto alla ditta Urania Costruzioni s.r.l. con sede in Messina e il 17 novembre 2014 il Rup provvedeva ad effettuare l’aggiudicazione definitiva. Sono pas-

sati più di quattro mesi e non sono stati consegnati i lavori. Un lasso di tempo in cui è infine accaduto ciò che si doveva evitare con gli stessi lavori, ovvero che la collina

La burocrazia ha bloccato e rallentato molti progetti di intervento approvati da vari Enti comunali e regionali franasse, minacciando tra l’altro le abitazioni di via Colonnello Eber in parte ancora sgomberate. Adesso, entro pochi giorni o comunque poche settimane, la consegna sarà effettuata in modo parziale, come conferma l’ingegnere Marchese. Il problema, infatti, sono stati alcuni espropri. Alcuni terreni che non erano ancora disponibili per la consegna del cantiere. Si poteva effettuare una consegna parziale, alla luce dell’urgenza. Una strada percorribile, che alla fine è stata intrapresa.

AVVISI LEGALI

Michele Spena

Direttore responsabile Marco Benanti

Collaborazioni:

Ivana Baiunco Liliana Blanco Etico Fiorella Falci Filippo Falcone Annalisa Giunta Franco Infurna Lello Lombardo Salvatore Mingoia Donatello Polizzi Cardinale Richelieu Alberto Sardo Giuseppe Taibi Giovanbattista Tona Rosario Neil Vizzini

Disegno grafico e Impaginazione Antonio Talluto

Distribuzione

Giuseppe Cucuzza

Redazione Viale della Regione, 6 Caltanissetta redazione@ilfattonisseno.it Tel/Fax: 0934 - 594864 pubblicità: 389/7876789

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TRIBUNALE DI CALTANISSETTA

AVVISO DI VENDITA N. 34/2010 R. G. E. Lotto unico - Comune di San Cataldo (CL), Contrada Torre. Fabbricato con corte su 2 elevazioni f.t. e p. seminterrato insistente su appezzamento di terreno di mq. 3.015 oltre terreno adiacente di mq. 790 sul quale insistono 6 alberi di ulivo e fabbricato diruto. Prezzo base: Euro 114.282,00 in caso di gara aumento minimo Euro 6.000,00. Vendita senza incanto: 05/05/2015 ore 10.00, innanzi al professionista delegato Not. Gaspare Mazzara presso lo studio in San Cataldo, P.zza della Repubblica, 7. Deposito offerte entro le ore 12 del 04/05/2015 presso lo studio del delegato. In caso di mancanza di offerte vendita con incanto: 12/05/2015 ore 10.00 allo stesso prezzo base e medesimo aumento. Deposito domande entro l’11/05/2015 ore 12. Maggiori info presso il delegato nonché custode giudiziario, tel. 0934571264 ogni lun. - mar. e gio. h. 16.30 - 19.30 e su e www.astegiudiziarie.it. (A271427).

TRIBUNALE DI CALTANISSETTA AVVISO DI VENDITA Fall. 19/2012 R. F.

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L’Arcivescovo di Agrigento, Cardinale Francesco Montenegro, segue la rotta tracciata da Papa Francesco

L’equazione della Solidarietà di Rosario Neil Vizzini

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on c’è più religione, neanche in televisione», cantava Vasco Rossi in “Cosa succede in città” già nel 1985. Succede, almeno a Caltanissetta, che invitato dal Vescovo Monsignor Mario Russotto è arrivato nientemeno che il Cardinale Francesco Montenegro, Arcivescovo di Agrigento – il Vescovo degli immigrati, lo chiamano – a dire che «negli ultimi 30 anni abbiamo assistito a una drammatica inversione di valori. Con la globalizzazione aumenta la ricchez-

Presidente della Repubblica e il secondo è stato creato Cardinale». «Il giudizio della Chiesa sulla globalizzazione si è fatto via via sempre più severo. E oggi siamo all’idolatria della globalizzazione, che come tale pretende i suoi sacrifici umani. Dopo questo c’è solo il far west e la legge del più forte. Questa epoca che stiamo vivendo riguarda il destino dell’umanità. Per invertire la rotta e appianare le diseguaglianze è necessaria la globalizzazione della solidarietà. “Il denaro deve servire

essere noi a cambiare stile di vita, nella convinzione che la sobrietà di ciascuno influisce sul bene comune portando legalità e trasparenza. “Siate il cambiamento che volete vedere nel mondo”, diceva Ghandi». «Solidarietà non è compassione, non è dare cose, ma è responsabilità, tempo dedicato, partecipazione, prossimità, vicinanza, ascolto, produttività intesa come capacità di dare. Non è carità ser- ho incontrato l’uomo, si parlava solo vire i poveri ma sedersi alla stessa tavo- di denaro. E mi è stato detto che per la e mangiare con loro. L’amore vero è risolvere il problema bisogna mettere d’accordo tutti i paesi aderenti all’Unione e che quindi è impossibile. Ma l’immigrazione non è un male, casomai è il sintomo di un male, delle ingiustizie che ci sono nel mondo. Quando incontro un immigrato mi fa venire paura di me, del mio egoismo, prima che di lui. Gli immigrati non sono tutti terroristi come non erano tutti mafiosi i nostri emigranti». Eminenza, con questa rubrica, con

questo blog, spesso mi sono occupato di solidarietà e ho registrato l’esistenza di una sorta di ‘partito della solidarietà’, lei ha avuto la stessa percezione? «Non parlerei di partito, perché dà l’idea di qualcosa di chiuso, circoscritto, dà l’idea di una contrapposizione. Parlei invece di uomini che si comportano da uomini». La mia impressione personale è che quest’uomo studia da Papa perché parla la lingua del Papa «chiamato dalla fine del mondo» aggiungendoci parecchio di suo.

za ma anche la povertà. Questo perché industria e finanza non riescono a garantire uno sviluppo equilibrato poiché il mercato mette al centro il denaro, il profitto, l’uomo tecnologico, senza alcun riferimento alla religiosità dell’uomo. La globalizzazione per avere successo deve invece porre al centro la dignità umana”. L’incontro che ha visto la partecipazione di Montenegro, inserito nell’ambito del Corso biennale di formazione all’impegno socio-politico promosso dalla Consulta delle Aggregazioni laicali della Diocesi di Caltanissetta, prevedeva anche un altro ospite: Sergio Mattarella. «Avevamo fatto due invitati – ha rivelato il Vescovo di Caltanissetta – uno non è potuto venire e l’altro eccolo qua: Don Franco Montenegro. Comunque abbiamo portato fortuna a entrambi, perché il primo è stato eletto

ma non governare”, ha detto Papa Francesco». E non solo parla il nuovo linguaggio evangelico introdotto da Papa Francesco ma Montenegro ci aggiunge parecchio del suo, con riflessioni di grande effetto: «Nessuno è così povero da non poter dare niente, nessuno è così ricco da non poter ricevere nulla. Solidarietà è rispetto delle differenze per costruire una società più giusta e appianare le diseguaglianze». Ed ecco l’equazione della solidarietà secondo l’Arcivescovo di Agrigento: «Come si calcola l’area di un triangolo? Base per l’altezza e il prodotto diviso due. Noi siamo la base, mentre l’altezza sono i pochi potenti che governano i destini del mondo. Così dovrebbe funzionare se la solidarietà fosse globalizzata. Ma se questo non avviene, invece di dare la colpa all’altezza dobbiamo

quello senza guanti, quello che si sporca le mani. Infettiamoci, perché l’amore è la malattia più infettiva che esista». Secondo Montenegro è bene iniziare dalla base, dalle nostre parrocchie «che sono diventate dei club per buoni, dei comodi rifugi, dei nascondigli. È più facile mettere allo stesso tavolo e d’accordo persone di estrazioni completamente diverse che le associazioni che fanno capo alla stessa parrocchia. Il nostro guaio è che Dio, attraverso Cristo ci ha lasciato il Vangelo. Sarebbe stato molto più comodo se ci avesse lasciato un galateo. Invece abbiamo il dovere di testimoniare». Sull’immigrazione Montenegro è stato molto chiaro, con qualche punzecchiatura alla politica, al suo decisionismo lasciato a singoli e all’indecisionismo: «Sono stato a Bruxelles a parlare di immigrazione, ma non

Foto di Lillo Miccichè

A destra il Cardinale Mons. Francesco Montenegro Arcivescovo di Agrigento con il Vescovo di Caltanissetta Mons. Mario Russotto durante l’incontro svoltosi al Museo Diocesano


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Fatti contro la mafia

per non dimenticare

Storia & Cultura

Affari e politica,

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i temi sempre difficili per la Commissione antimafia

ià agli inizi della prima legislatura della neonata Repubblica italiana, nel 1948, si cominciò a parlare di quella mafia che il fascismo, prima di perdere la guerra con gli americani e i loro alleati, diceva di avere sconfitto. E l’on. Giuseppe Berti chiedeva l’istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta per l’ordine pubblico in Sicilia, lamentandosi dei rapporti tra i mafiosi, i politici e i “ceti privilegiati”. Nella seconda legislatura altri deputati presentarono interpellanze che fecero discutere dei numerosi omicidi che si verificavano a Palermo senza che mai se ne identificassero gli autori. Di nuovo fu chiesta una commissione e di nuovo si parlò di mafia anche nella terza legislatura ma in una prospettiva diversa: il senatore Gatto la definì “una piaga che non è regionale, ma nazionale, se è vero che non è concepibile attività e impunità della mafia senza Roma”. Nel 1961 si cominciò a discutere un disegno di legge di iniziativa del senatore Parri che prevedeva l’istituzione di una Commissione di inchiesta sul fenomeno della mafia; in molti si dissero contrari. Il senatore Zotta ebbe parole di fuoco e la definì “inutile, antigiuridica e inidonea allo scopo”. Tanto più - disse qualcuno - che il fenomeno mafioso era in evidente diminuzione. E nessuno sembrava ricordarsi del fatto il che 18 gennaio di quello stesso anno nella borgata di Tommaso Natale nel corso di una faida mafiosa era stato ucciso persino un tredicenne, Paolino Riccobono, componente dell’omonima famiglia in guerra con i Cracolici. Dimenticare il passato, anche recente, non basta ad evitare di fare i conti con il futuro. Le mattanze continuarono e l’Assemblea Regionale Siciliana votò all’unanimità una mozione che chiedeva l’istituzione di una Commissione d’inchiesta. A questo punto a dicembre del 1962, con il parere favorevole del Governo, il Parlamento approvò la legge istitutiva di quella che da allora in poi sarebbe stata chiamata la Commissione antimafia. I suoi lavori ebbero inizio nel 1963, nel corso della quarta legislatura, dopo un’ulteriore grave episodio di violenza mafiosa: il 30 giugno a Ciaculli, borgo dominato dalla famiglia

I primi complicati passi della più nota Commissione di inchiesta del Parlamento italiano

di Giovanbattista Tona di Michele Greco, detto il Papa, una Giulietta imbottita di tritolo scoppiò mentre 7 carabinieri, avvisati da una

po edilizio che sarebbe passato alla storia come il “sacco di Palermo”. L’incarico fu affidato ad uno scrupoloso prefetto, Tommaso Bevivino, il quale nella sua relazione indicò ben 4205 licenze edilizie emesse in soli 4 anni, per lo più rilasciate - senza rispettare le procedure e senza nemmeno consultare l’ufficiale sanitario - a cinque costruttori per conto terzi, uno di questi fabbro, l’altro venditore di carbone, l’altro ancora ex carrettiere e via così: in tutta evidenza dei prestanome. Anche la Commissione antimafia acquisì documenti e sentì testimoni, funzionari e autorità. Ma la questione dell’edilizia a Palermo finì per are-

prendere. E Matta era stato ascoltato perché era stato assessore ai Lavori pubblici e all’urbanistica, al vertice quindi degli uffici che avevano segnato il record delle 4205 licenze edilizie ai costruttori fasulli. I parlamentari comunisti dall’opposizione sollevarono il problema, ma anche tra i democristiani, compagni di partito di Matta, serpeggiava un certo disagio. Qualcuno pose la questione sul piano formale. Chi è stato sentito dalla Commissione antimafia come testimone non ne può fare poi il componente. Replicò qualcun altro che allora anche dagli scranni dei comunisti bisognava fare dimettere un componente. Era appena entrato in Parlamento, eletto nelle liste del Pci (“quale indipendente”, così si diceva allora) Cesare Terranova, il giudice istruttore che aveva per primo individuato nei suoi provvedimenti i nuovi assetti della mafia dei corleonesi e i legami delle cosche con la pubblica amministrazione. Anche Terranova era stato sentito dalla Commissione antimafia

Sopra, l’Onorevole Giovanni Matta A destra, il giudice istruttore Cesare Terranova

telefonata anonima, la stavano controllando. E li uccise tutti. In fretta e in furia la Commissione antimafia avviò un lavoro minuzioso e alacre che già nel 1966 portò il suo Presidente dell’epoca, Donato Pafundi, a definire l’archivio dei documenti raccolti “una polveriera”. Ma alla fine della legislatura le attese furono deluse. Tutti aspettavano una relazione finale che facesse il punto sul fenomeno mafioso e in particolare sui rapporti tra le cosche, la politica e l’imprenditoria. Un capitolo importante del lavoro della Commissione aveva riguardato il comune di Palermo, dove già nel 1963 la Regione Sicilia aveva dovuto disporre un’ispezione straordinaria per verificare le incredibili anomalie di quello scriteriato svilup-

narsi e non fu possibile dare alla luce una relazione finale. A luglio del 1972, all’inizio della quinta legislatura, la Commissione fu di nuovo costituita e alla presidenza andò il senatore Luigi Carraro. Tra i componenti fu indicato anche l’on. Giovanni Matta che veniva da Palermo e che pertanto molto poteva sapere del fenomeno che la Commissione doveva investigare. Matta però era stato già ascoltato dalla Commissione per via di quell’indagine sul comune di Palermo che poi sembrava essersi avviluppata su se stessa e che in molti volevano ri-

sulle sue indagini nella precedente legislatura e quindi se doveva dimettersi Matta, doveva dimettersi pure Terranova. Non erano i tempi di oggi, quindi non furono in molti a convincersi che la posizione di un assessore di un comune oggetto di indagine, chiama-

to a riferire sul funzionamento dei propri uffici, potesse considerarsi uguale a quella di un magistrato che indaga sulla mafia, chiamato a riferire sui risultati del proprio lavoro. Ma Matta continuò a resistere e si disse indisponibile a lasciare la Commissione. Ne andava della sua onorabilità. Pretendeva che semmai fosse nominata un ‘altra commissione d’inchiesta che avrebbe dovuto indagare in posizione di terzietà sul suo operato. Se dall’esito di questa indagine fosse venuto fuori qualche concreto addebito contro di lui allora si sarebbe davvero dimesso. Frattanto prometteva a tutti che per correttezza non avrebbe partecipato ai lavori della Commissione antimafia. Con il linguaggio di oggi, Matta avrebbe potuto dire che si era “autosospeso”. Ma ai tempi di allora non lo disse. E non lo poté nemmeno fare. Dinanzi alle tensioni tra chi voleva Matta fuori dalla Commissione e chi lo voleva dentro e dinanzi alle resistenze dell’interessato, i gruppi parlamentari compresero che non potevano perdere la faccia tutti quanti per la poltrona di uno solo di loro e i componenti della Commissione si dimisero in massa, facendola decadere. E facendo decadere anche Matta. La Commissione fu subito ricostituita nel febbraio 1973, senza Matta ma con Terranova. Non si discusse più dell’incompatibilità di Terranova che svolse alacremente il suo lavoro e contribuì alla storica relazione di minoranza che firmò insieme a Pio La Torre e che ricostruiva la compenetrazione tra mafia e potere politico nella società dell’epoca. Tornato a Palermo a fare il giudice il 25 settembre 1979 Terranova fu ucciso insieme alla sua guardia del corpo il maresciallo Lenin Mancuso. Qualcuno aveva detto che, dopo avere fatto il deputato in Parlamento e il componente della Commissione antimafia, poteva non essere opportuno che Terranova facesse il consigliere istruttore a Palermo. Ai tempi d’oggi su questa questione chissà quanto staremmo a dibattere. Ai tempi di allora una calibro 38 e una mitraglietta spensero subito il dibattito e fecero concentrare tutti su quali potessero essere le iniziative più efficaci per contrastare la mafia.


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Storia & Cultura Cento anni fa nasceva

Rosario

di Fiorella Falci

Assunto

il filosofo del “giardino” e del diritto alla bellezza

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ai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori…” cantava così Fabrizio De Andrè in “via del Campo”, regalandoci una metafora delle periferie esistenziali che è rimasta famosa e ricorrente, anche per consolare gli “ultimi” della vita che qualcosa di buono anche da loro può venire. Cento anni fa, nella Caltanissetta “lontana e sola” in un secolo che ne avrebbe visto il declino, nasceva Rosario Assunto (1915/1994), il filosofo dell’estetica del giardino, iniziatore in Italia dell’estetica del paesaggio, raffinatissimo e colto pensatore, docente di Estetica e di Filosofia nelle uni-

versità di Roma e di Urbino, autore di decine di libri preziosi dai titoli particolarmente evocativi: Forma e destino (1957), La critica d’arte nel pensiero medioevale (1961), Estetica dell’identità (1962), L’estetica di Kant (1971), Il paesaggio e l’estetica (1973), L’antichità come futuro (1973), Filosofia del giardino (1981), Ontologia e teleologia del giardino (1990), Giardini e rimpatrio (1991), Bellezza come assoluto (1992) tra i più importanti. La bellezza, l’arte e il giardino come archetipo di civiltà sono stati i temi al centro della sua elaborazione filosofica di pensatore controcorrente, protagonista di un anti-’68 nelle università in cui insegnava, contrastando con soave determinazione il voto politico, l’insegnamento assembleare, gli esami collettivi, guadagnandosi il rispetto di molti

leader del Movimento Studentesco che non ne contestarono le decisioni, apprezzandone la coerenza con una visione aristocratica di qualità ma non socialmente selettiva degli studi universitari. E con lui come con pochi altri docenti quegli studenti potevano dialogare sulla letteratura della beat generation, Kerouac e gli altri poeti della contro-cultura. Appassionato, nella sua mitezza, cultore delle contraddizioni, sereno e curioso nel misurarsi con le differenze che contrastavano con il suo pensiero, come nella lunga amicizia con Giulio Carlo Argan, storico dell’arte e sindaco di Roma, molto distante

dalle sue idee politiche ma interlocutore costante e ricercato. Nel salotto romano di Elena Croce, (che nel 1956 avrebbe fondato, con altri intellettuali, Italia Nostra), i temi della cultura e della natura trovavano spazi inediti di confronto, in anni in cui era l’economia del “miracolo economico” a monopolizzare l’attenzione dell’opinione pubblica e dei maitre à penser, mentre partiva l’attacco speculativo al territorio italiano, urbano, costiero e rurale. L’uomo in rapporto con la natura nella creazione di un equilibrio magico e possibile tra due soggetti, con sapienza ma senza prevaricazioni: antesignano in questo del pensiero ambientalista, Rosario Assunto; mentre l’estetica italiana metteva invece al centro degli studi la semiotica, le sue opere sulle “forme”, sia artistiche che concettuali, sul linguaggio

visuale, venivano tradotte e studiate all’estero con grande successo. La sua idea dell’estetica del paesaggio come chiave interpretativa di questo equilibrio umanità/natura lo avrebbe portato a prendere posizione, in tempi non sospetti, su alcune grandi questioni di tutela dell’ambiente: contro il ponte sullo stretto di Messina, per esempio, quando tutta la classe dirigente regionale ne faceva un totem della modernizzazione e dello sviluppo, proprio nella sua Sicilia. Il paesaggio nel suo pensiero era stato definito “spazio limitato ma aperto, presenza, e non rappresentazione, dell’infinito nel finito”; così come il

giardino, spazio progettato dall’uomo, a somiglianza del primo spazio in cui l’uomo e la donna sono nati, il Gan, il Giardino dell’Eden, progettato e scelto dal Creatore per loro. “Siciliano di antica educazione e uomo di animo mitemente gentile”, lo aveva definito Antonio Debenedetti sul Corriere della Sera nel giorno della sua scomparsa: l’educazione “di chi per carattere, per formazione, per cultura rifugge da ogni aggressivita’ e da ogni invadenza. Schivo ma non per impulso di misantropia, poteva e sapeva dimostrare grande cordialita’ e il suo calore, la sua comunicativa affabile nascevano dalla freschezza, trovavano nutrimento nella varieta’ dei suoi interessi.” Con quell’autenticità silenziosa e riflessiva aveva elaborato il senso della contemplazione della bellezza che l’uomo riesce a rappresentare

Il paesaggio come opera d’arte e il mondo senz’arte nel giardino, il kepos della classicità, andando controcorrente negli anni della filosofia dell’azione e poi della cultura del “fare”. Bellezza capace di fare riconquistare all’uomo tecnologico della società globalizzata la sua umanità di essere pensante liberato dalla signoria dell’utile e del produttivo. L’anticonformismo delle idee impopolari e la coerenza di sostenerle anche nell’isolamento hanno caratterizzato la sua vicenda di intellettuale in controtendenza, che ha portato sul piano della teoria filosofica un’emergenza dell’antropologia contemporanea come il rapporto tra l’uomo e la natura, andando oltre lo scientismo e il neo-idealismo in cui si era formato e proponendo un approccio di spiritualismo esistenzialista ancora inedito nei suoi anni, spiazzante, interrogativo. Fino a teorizzare il diritto alla bellezza per tutti gli esseri umani, oltre la loro collocazione sociale, patrimonio di tutti da contemplare, senza consumarla. Sottraendola al suo essere lusso per l’ “otium” delle classi privilegiate. Un uomo di provincia, venuto dalla periferia dell’Italia, dalla piccola Caltanissetta vissuta fino agli anni del Liceo, (il Classico “Ruggero Settimo” in cui si era diplomato brillantemente), è riuscito a porre al centro della riflessione della cultura italiana un tema profetico, anacronisticamente anticipato (come tutti i profeti di nuove idee). E’ riuscito a farsi ascoltare in tutta Europa, con la sua sobrietà senza clamori, nemica delle spettacolarizzazioni quanto appassionata nei confronti dialettici, con la sua elaborazione che aveva come orizzonte l’intero pianeta, violentato dallo sfruttamento delle risorse ambientali e deturpato dalla sostituzione della bellezza con la speculazione. Pianeta che lui voleva tornasse ad essere lo spazio umanistico in cui l’uomo fa emergere la bellezza dalla natura. Quella “bellezza che salverà il mondo” che dall’epoca della rivoluzione industriale la sensibilità dei poeti e dei teologi non si è stancata ancora di cercare.

L’ideale del Paradiso Terrestre, quale modello di un paesaggio in cui gli interventi dell’uomo non siano interventi-per-la-produzione, interventi utilitari, ma siano interventi-per-la-contemplazione, interventi estetico-metafisici, è l’ideale di una completa coincidenza di paesaggio e giardino: tutto il paesaggio come un giardino. (…) Al polo opposto di questo ideale, sta, come sappiamo, la prospettiva di una terra interamente sottratta così al paesaggio come al giardino, una terra dalla quale l’urbanizzazione totale abbia fatto scomparire ogni residuo di paesaggio. (…) Una terra senza paesaggio, perché interamente urbanizzata ed industrializzata, è anche (non ci dovrebbe esser bisogno di dirlo) una terra senza giardini, giacché l’urbanizzazione totale, la totale industrializzazione non sopportano la destinazione di più o meno ampie porzioni del suolo, sia esso pubblico o privato, alla modellazione della natura come materia d’arte – e cioè a quel non produttivo, e perciò antieconomico, autofinalizzarsi dell’apparenza come oggetto di contemplazione avente valore in se stesso e per se stesso, che è la meta cui aspira chiunque faccia arte. (…) Nella città dell’uomo, quando questi abbia identificata la propria essenza con la fabbrilità, e si sia ridotto alla


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esclusiva statura del proprio essere faber, non si può fare posto ai giardini, questi luoghi nei quali il fare è fine a se stesso, e non serve. Visto però che di aria ed erba ed acque e piante e fiori anche l’homo faber, per continuare a produrre con efficienza, in buona salute e senza frustrazioni, continua ad avere bisogno, come del cibo, del sonno, della bevanda, nella città dell’uomo-produttoreassoluto, homo faber, il posto che all’interno della città storica pre-tecnologica era dei giardini, e tutt’intorno ad essa era del paesaggio, viene preso, come abbiamo visto, dagli spazi verdi. Ed è un concetto, questo, di spazi verdi, aree verdi, zone verdi di cui è venuto il momento di inoltrare la confutazione a suo tempo abbozzata, registrando in esso la proposta di surrogare il paesaggio (natura come arte) ed il giardino (arte come natura), con uno strumento utilitario, indifferente al giudizio estetico (…). Giardino e paesaggio, infatti, sono i due poli, ormai lo sappiamo, di una relazione paritetica e amorosa dell’uomo con la natura, e quindi, essendo l’uomo ragione e natura insieme, di quell’armonia interiore dell’uomo con se stesso e in se stesso (…). Nelle zone verdi, invece, negli spazi verdi, nelle aree verdi (che già nella loro definizione tradiscono uno scadimento della natura e dei suoi colori, delle sue forme, al di qua di quella che abbiamo a suo tempo definita la metaspazialità del paesaggio, il suo essere più che spazio soltanto: una immagine della temporalità assoluta) il problema di una esteticità in sé autofinalizzata, non si pone più di quanto non si ponga, di solito, nella progettazione delle raffinerie o delle trafilerie, o delle fonderie, degli stabilimenti chimici: accanto ai quali, a distanza più o meno scrupolosamente calcolata, gli spazi verdi sono impiantati (quando ci sono) con funzioni subalterne rispetto alla produttività. La produttività, infatti, è per il mondo moderno, un surrogato di religione, del quale gli impianti industriali sarebbero i templi e le cattedrali. E la funzione delle aree verdi è quella di promuovere l’efficienza degli uomini-produttori, e quindi di assicurare la continuità e il buon livello della produzione. Una funzione, in definitiva, questa delle aree verdi, che sta alla realtà del paesaggio e del giardino, come all’unione amorosa verace sta l’accoppiamento dei vecchi con le fanciulle pneumatiche (…): nella sua fuga in avanti rispetto alla natura, in quella fuga in avanti (verso il nulla della vita?) che è nei programmi dell’urbanizzazione totale, della industrializzazione totale; e che si traduce, in realtà, in una degradazione dell’uomo, sua riduzione ad un livello meccanico, di qua della natura, e non, come si crede, oltre la natura. tratto da: ROSARIO ASSUNTO, Il Paesaggio e l’Estetica, Palermo 1994.

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Fatti & istituzioni

L’intervista

“Porte aperte”

di Donatello Polizzi

al Palazzo di Giustizia

L’ANM di Caltanissetta coinvolge la cittadinanza: lo stabile di via Libertà risorsa e volano di attività culturali

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obbiamo aprire ai cittadini le porte del palazzo di Giustizia”. E’ perentoria l’affermazione di Fernando Asaro, Sostituto Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Caltanissetta e presidente della sezione distrettuale dell’Associazione Nazionale Magistrati. Nel frattempo prende il sigaro, si avvicina ed apre la finestra del suo studio, un’involontaria ma significativa tendenza “all’apertura” che interpretiamo come favorevole auspicio, timoroso che l’odore acre del manufatto in tabacco possa infastidirci. Avrebbe dovuto essere un’intervista sull’attività associativa della magistratura e sulle attività che pone in essere, ma ci immergiamo in una piacevole discussione che tratta del tema giustizia e giudici con un respiro ampio e coinvolgente. Asaro è un passionale, riversa il suo carattere nelle parole. “Noi siamo al servizio della collettività, siamo una risorsa per la collettività. Noi ci siamo impegnati, e continueremo a farlo, ad aprire il palazzo di Giustizia, a renderlo una componente aperta alla cittadinanza, da utilizzare dalla comunità per temi legati alla legalità, come luogo di risorsa culturale, che possa essere un volano della e per l’attività culturale com’è stato per i “Dialoghi della magistratura con la società”. Vedere il Palazzo pieno di cittadini dopo le 20 è stato un’emozione”. Non cavalca l’infido destriero dell’autocelebrazione. Non esita a fare autocritica. “In passato siamo stati percepiti come una categoria autorevole ma distaccata. Una visione sacerdotale, una casta. Noi dobbiamo far valere la nostra autorevolezza non come casta ma come ruolo, fun-

zione che ci conferisce la costituzione. Siamo consapevoli dei nostri errori, in Italia ci sono circa novemila magistrati, sicuramente non mancano le ‘pecche’. Nel mio ruolo professionale ricordo il processo a carico dell’ex giudice di Termini Imerese, Luigi Urso condannato ad un anno e sette mesi per associazione a delinquere dai giudici della corte d’ Appello di Caltanissetta”. Vira, non apre parentesi, s’immerge nella sua esperienza e quindi pesca a pieni mani dai suoi ricordi. “Quando con Anm svolgiamo le commemorazioni, non ci limitiamo semplicemente a ricordare chi non c’è più, ma vogliamo che siano loro a parlarci, tramite i loro scritti, del lavoro, dell’amore per la società, della vita. Falcone, Borsellino, Livatino, Costa, Chinnici, Saetta, continuano a parlarci. Abbiamo fatto leggere ai ragazzi dei licei i pensieri di questi uomini, abbiamo visto giovani commossi e partecipi. Ecco il significato che vogliamo conferire alle commemorazioni”. Gli scritti spesso svelano e regalano un’attualità che potrebbe apparire sconvolgente. I magistrati in politica, tema scottante sul quale il 17 dicembre 2014 venne emesso un comunicato congiunto dalle sezioni distrettuali siciliane di Anm, nel quale si legge anche: ”Necessario avviare un confronto ed una seria riflessione sul tema della partecipazione dei magistrati alla politica attiva; permane una preoccupante disattenzione del legislatore sul tema che ha assunto rinnovata attualità e che ha rilevanza fondamentale per il prestigio della politica e della giustizia”. Ecco cosa scrisse in proposito Rosario Livatino, Asaro ci porge un libro: “Sarebbe quindi sommamente

Fernando Asaro, Sostituto Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Caltanissetta e presidente della Sezione distrettuale dell’Associazione Nazionale Magistrati

opportuno che i giudici rinunciassero a partecipare alle competizioni elettorali in veste di candidato o, qualora ritengano che il seggio in Parlamento superi di molto in prestigio, potere ed importanza l’ufficio del giudice, effettuassero un’irrevocabile scelta, bruciandosi tutti i vascelli alle spalle, con le dimissioni definitive dall’ordine giudiziario”. Finiamo di leggere e il presidente di Anm aggiunge “che senso ha ricordare Livatino se poi dimentichiamo ciò che ci dice”. Il nostro taccuino si riempie di note, asterischi, numeri che rimandano a passaggi precedenti, Asaro spazia senza però mai abbandonare la strada maestra, la passione per il lavoro e il ruolo di Anm. Antimafia, argomento di scottante attualità. “Oggi siamo tutti bravi a salire sul carro dell’Antimafia in qualsiasi ambito e categoria, compresa la nostra. Quasi, quasi, sbaglia chi non parla di Antimafia. Abbiamo dimenticato quando non esisteva il 416 bis, quando non esistevano i collaboratori di giustizia ed invece dobbiamo ricordare per dire noi siamo contro quell’apatia, contro quel silenzio, contro quel modo passivo di vivere anche la funzione di magistrato”. Bisogna tornare indietro ripercorrere la storia a ritroso, ritrovare il senso, le motivazioni, la passione. “Mi sono formato in quegli anni, conclusi la scuola nel 1983. Ero un ragazzino di Palermo di buona famiglia. Vivevo la mattanza quasi quotidiana di magistrati, politici, appartenenti alle forze dell’ordine, cittadini. Il 30 aprile 1982 l’assassinio di Pio La Torre, il 2 settembre dello stesso anno fu trucidato il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e poi, dopo appena dieci giorni il parlamento approvò il 416 bis (Associa-

zione di tipo mafioso) che oggi è pane quotidiano. Dobbiamo uscire dalla logica delle leggi e scelte emergenziali”. Caltanissetta, le esigenze del territorio che talvolta si congiungono a quello della magistratura, leggasi la “salvezza” della Corte d’Appello. “Con Anm e il prezioso supporto dell’avvocatura il primo agosto 2014 abbiamo emanato il comunicato congiunto per salvare la Corte d’Appello, siamo stati i primi in Sicilia. Poi è giunto il comunicato congiunto

affitto….”. Non solo autocritica ed attività, ma anche un modo nuovo di comunicare e di far intendere cosa sia realmente e che ruolo fondamentale svolga nello stato democratico, la magistratura. “Noi siamo un pezzo delle istituzioni. In Europa siamo considerati all’avanguardia per le nostre norme. Il Csm, unico in Europa, garantisce, tenta di farlo, autonomia e imparzialità. La nostra magistratura cerca di salvaguardare questi

Le priorità: la battaglia per il mantenimento della Corte d’Appello di Caltanissetta, la forte presa di posizione sui magistrati in politica e rendere le commemorazioni spunto positivo di tutte le Anm Sicilia del 29 novembre 2014 promosso da noi. La chiusura sarebbe motivata dalla spending review, nei due anni successivi quanto lo Stato avrà eventualmente risparmiato; non ci sono state fornite le cifre che avevamo chiesto su questo paventato risparmio”. Cita il Fondo Unico Giustizia: “Vi confluiscono i soldi, titoli e cash, sequestrati o definitivamente confiscati: un fondo di oltre due miliardi di euro. Oltre 12mila immobili in tutta Italia. Si potrebbe ad esempio decidere un quarto di questa cifra (500 mln) al ministero della Giustizia, invece riceviamo solo 100 milioni. S consideri che oltre il 40% di questo fondo proviene da misure dei magistrati siciliani. E poi ad esempio qui i locali del giudice di pace li prendiamo in

principi. La Commissione europea per l’efficienza per la giustizia, ci colloca al primo posto nel penale ed al secondo nel civile. Deputati o presidenti del Consiglio che denigrano la magistratura, denigrano se stessi. Noi non siamo così male come vorrebbero farci apparire ecco perché vogliamo aprire il palazzo di Giustizia, la magistratura non è il cancro della democrazia, ma è la democrazia. Le critiche della gente alla magistratura vanno valutate, affrontate, anche questo vuol dire aprire alla gente. I cittadini devono avere fiducia nella magistratura. Non serve l’applauso, non cerchiamo consenso ma fiducia”. Alzo lo sguardo la finestra è ancora aperta: “l’aria” è cambiata al Palazzo di Giustizia.


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Ornamenti

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di Ivana Baiunco

I finti sorrisi buonisti

di palazzo del Carmine e la tracotanza del potere

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ccade durante la parabola politica di un sindaco ad un certo punto come per incantamento che il primo cittadino si stacca da terra e comincia a librarsi nell’aere. È accaduto al sindaco Salvatore Messana, a Michele Campisi ed anzitempo sta succedendo a Giovanni Ruvolo. Solitamente questa assunzione in cielo avviene a metà del mandato quando il potere è consolidato ed anche una certa autorevolezza, se non altro dettata dal ruolo, comincia a prendere realmente corpo. La metafora vuole significare che, quando si comincia a pensare di avere “l’imprimatur “ divino, di non sbagliare mai, che sentire è meglio che ascoltare ; prima o poi si va a sbattere. Perchè dal cielo si cade a terra e più in alto si è arrivati con l’autostima e più precipitosamente si fa una volata verso il basso fino al doloroso impatto con il suolo. Accade che, lo stuolo di “ lecchini e ruffiani del re”, di solito questa situazione di beatitudine del primo cittadino invece di riportarla alla realtà la alimentano, con i famosi rinforzi, in psicologia si chiamano così, attestati di compiacimento e incoraggiamento eccessivo che dannosamente accrescono l’ego, che già soltanto per essere sindaco a volte è smisurato. Nessuno mai oserebbe dire: guardati attorno, vedi quanta insoddisfazione, e neanche un anno è passato dall’elezione, mettiti in discussione,

I Fatti di

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Etico

’ Italia che impartisce lezioni di moralità è uguale a ogni latitudine; tutti sempre pronti a dare lezioni, a dispensare giudizi e ad emettere sentenze. Anche noi nisseni siamo sempre pronti a dire cosa è giusto e cosa è sbagliato, noi nisseni, italiani, non solo commissari tecnici, ora anche chef esperti fra i fornelli, critici in servizio permanente, ma soprattutto costantemente giudici degli altri. Scrittori, giornalisti, sindacalisti, politici di destra e di sinistra e democristiani, magistrati, massaie, operai, preti, professionisti, commercianti, industriali, studenti, tutti, ma proprio tutti, hanno una loro verità ed emettono giudizi definitivi su quello che vedono o che spesso vogliono vedere. Tutti, ma proprio tutti, sono depositari di verità assolute,

rifletti su ciò che gli altri ti dicono, i tuoi avversari soprattutto, e magari correggi il tiro. Durante la campagna elettorale in molti hanno creduto al sogno di città, un sogno che nelle parole si concretizzava, a quei sorrisi puliti e smarriti della squadra di neofiti che si sarebbero messi a vangare la terra amministrativa per piantare semi che sarebbero diventati germogli. Forse piacevano tanto agli ingenui ed ai sognatori.Quei sorrisi adesso sono diventati ghigni, a tratti espressioni altere supponenti, in alcuni addirittura saccenti. L’ondata di civismo che ha travolto le anguste austere stanze di palazzo del Carmine avrebbe dovuto cambiare anche l’odore dell’aria di un Comune troppo burocratizzato in mano agli alti vertici dirigenziali. La politica non la si sarebbe più dovuta rimpiangere, invece in meno di un anno si cerca, si anela, ad un ragionamento politico che abbia dietro non solo un progetto ma la concretezza di poterlo realizzare senza dichiarazioni su dichiarazioni, senza errori grossolani di forma e di sostanza.Promesse smentite dal tempo, i lavori della Grande Piazza sono l’esempio più eclatante. Risposte inopportune e scomposte a 21 consiglieri che chiedono per diritto e vedono scritto nero su bianco il loro risultato elettorale sezione per sezione, documenti che escono dalle stanze preposte per essere pubblicati sui

social prima che venvano istituzionalizzati e consegnati ai legittimi interessati. Il civismo non è amministrare alla “ volemose bene”, è condivisione con tutti amici e nemici, maggioranza e opposizione. In altro caso quella si chiama politica, e bisogna anche saperla fare. Chiedere scusa e sorridere è un atto di forza e non di debolezza. A volte bisogna saper leggere non solo i libri, ma anche la gente ed i segni che ciascuno porta addosso. L’istituzione in quanto tale non dovrebbe mai personalizzare. Se tutti, ma proprio tutti, comprendessero che si è di passaggio su questa terra, come nei corridoi di palazzo del Carmine e ciascuno lo ricordasse ogni volta che pensa che gli attacchi sono personali,probabilmente numerosi incidenti di percorso che si sono susseguiti nel corso dei mesi sarebbero stati evitati. Se ci si convincesse che chiedere consiglio può essere utile a migliorare le cose e che dinnanzi ad un problema ci sono più soluzioni possibili e non solo quella propria , si comprenderebbe come la mediazione ex ante eviterebbe le inutili riunioni conciliatrici ex post. Si potrebbe impostare una dissertazione colta sulla differenza tra fare seria-

mente le cose e prendersi troppo sul serio quando si riveste un ruolo. Un bel bagno di umiltà sarebbe auspicabile, soprattutto quando si è neofiti e di questa verginità si è fatto vessillo e bandiera del cambiamento, un bel bagno di umiltà quando sino a qualche mese addietro quelli che adesso governano non conoscevano neanche l’odore delle stanze del potere, il colore delle pareti, il numero dei cassetti della scrivania del primo cittadino. Un bagno di umiltà anche nei confronti della politica che per quanto vituperata ha permesso al nuovo di avanzare, un pò di rispetto per chi ha voluto prendere il proprio potere elettorale e regalarlo facendo un salto nel buio. A proposito di politica; spesso rimprovero ad un mio amico segratario di un partito di sottovalutare gli altri. Adesso questa considerazione si potrebbe estendere anche al governo della città. È finito il tempo in cui il popolo bue votava e subiva. Il mondo è cambiato, vengono subito scoperti i principi dell’inganno, i cittadini sono diventati pensanti e non è facile convicerli con discorsi demagogici, e la dimostrazione è

che l a società civile è entrata nell e stanze dei bottoni. Ma quando si passa al di là del faro ci si mette poco tempo a dimenticare come si stava dall’altro lato. Il voto ormai èdiventato lo strumento fondamentale per giudicare, bocciare o promuovere. Abbiamo visto passare decine di aspiranti politci rampanti spariti nell’arco di una stagione ed outsider che sono arrivati molto in alto. Abbiamo visto tanto in questi anni ed ormai non ci stupiamo più di nulla. Però non ci stancheremo mai di scrivere e raccontare ciò di cui gli altri non si accorgono foss’anche per un solo lettore, l’ultimo, continueremo a scrivere.

Chi non ha peccato scagli la prima pietra di ricette magiche ma soprattutto si considerano candidi, puliti, onesti e privi di ogni forma di peccato. Del resto se l’interpretazione stretta del Vangelo di Giovanni esclude che possa essere autentica la parabola in cui ha origine la frase “Chi non ha peccato scagli la prima pietra”, perché ne dobbiamo tenere conto? Ma evitata quindi la tempesta di pietre resta il problema della nostra coscienza. L’ipocrisia imperante, la falsità strisciante e la scaltrezza cinica e sempre opportunista di ogni membro della nostra società l’hanno minata alle fondamenta. Se si parcheggia anche in terza fila, se si prega l’amico per farsi togliere una multa, se si cerca costantemente la raccomandazione, se ogni angolo di strada è pieno di cacca di cani, se

i bagni pubblici delle autostrade e degli aeroporti sono sempre sporchissimi, se si guarda con occhio languido perfino la donna del nostro migliore amico, se non si sa cosa sia la coda, se si butta la chewingum per strada, se non si rispetta la privacy di alcuno, se si alza la voce ovunque, se si parla al cellulare al ristorante, se si viola in costantemente il codice della strada, se si rinnegano i figli, se si tradisce con disinvoltura, se non ci si lava e si puzza, se si esclude il merito, se si isolano i più bisognosi, se, in un solo concetto, non si ha rispetto per gli altri e per se stessi, volete spiegarmi chi, in questa società ha il diritto di giudicare, criticare e condannare? Siamo noi quelli li, mica altri! E se siamo noi quelli li chi sono quelli che eleggono politici e amministra-

tori ? Non so altri e non sono diversi da quello che noi siamo: sono semplicemente nostra espressione. Invece assistiamo continuamente a tronfi interventi, a requisitorie e sentenze che non ammettono replica. Non occorre guardare i mille talk show della tv, basta andare dal macellaio, al bar o dal barbiere per apprezzare il perfetto spaccato dell’italiano. Tutti in possesso di verità assolute e non certo ispirati da Einstein il quale affermava che è più importante conoscere la strada che porta alla verità che non essa stessa. Qui sono sbagliate le premesse (non è stato richiesto a nessuno di giudicare), impresentabili i soggetti (sono tutti quelli delle malefatte quotidiane sopra elencate), nemmeno richiesto l’oggetto (di cosa parlano se non sanno nulla?).

Potremmo semplicemente indicare che il rispetto delle più elementari regole della buona educazione, un piccolo sforzo teso alla lettura di qualche libro, il tendere la mano ed esprimere un sorriso o un emozionante carezza a chi ci sta accanto e ai nostri cari, l’impegno ad essere discreti e riservati, lo slancio di manifestare un normale senso civico e il sacrosanto diritto di rivendicare i propri diritti ed espletare i proprio doveri, possano essere il viatico di un miglioramento della nostra civiltà. Non prima di aver guardato all’interno della nostra coscienza ed aver verificato che proprio puri non siamo e che sarebbe opportuno evitare di impartire lezioni di moralismo ed emettere sentenze non richieste.


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Fatti & POST SCRIPTUM

“Casta tumens inani superbia” Parlamentari nisseni degli ultimo 30 anni: la moderna scienza dimostrerà che non sono mai esistiti

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ipercorrendo la storia dei parlamentari nisseni degli ultimi trent’anni, viene subito in mente quella favola di Fedro dal titolo “Graculus superbus et pavo” (ovvero “La cornacchia superba e il pavone”). La favola racconta di una cornacchia gonfia di inutile superbia che, raccolte le piume cadute ad un pavone, si camuffa, intrufolandosi nella bella

locale (se non per le mensili prebende transitate nei loro conti bancari). Chissà, magari la moderna scienza riuscirà anche a dimostrare che non sono mai esisti; che sono stati solo frutto di immaginazione. Ma, a parte le battute, questo nostro territorio ha nel passato anche saputo esprimere politici di elevato livello culturale e morale: si pensi a Napoleone Colajanni, Agostino Lo Piano, Rosario

Alessi, sino alle battaglie a favore degli zolfatari e dei contadini di Guido Faletra, Emanuele Macaluso ed altri. Figure di politici, dunque, credibili, di prestigio, di spessore, amati dai propri elettorati; insomma di livello certamente superiore a quelli di oggi. Nella stagione della grande politica, soprattutto quella del secondo dopoguerra, i gruppi parlamentari maggiori erano strutturati a più livelli. Il primo era

fare una carrellata su quello che si lasciano alle spalle: strade e collegamenti viari da regie trazzere di periodo borbonico (vedi il Vallone, lasciato nel medesimo stato disastrato di cui è da decenni, al di là dei ciclici convegni e passerelle politiche a cui nessuno crede più). C’è poi chi spazia, ad ampio raggio, tra l’assillo dei temi etico-religiosi sino alle questioni Tav, ma sulla sua presenza in parlamento e nel territorio nessuno si è mai accorto. Infine chi, in carica sino a poco tempo fa, oltre alla figura barbina sugli schermi televisivi nazionali, gli si contestano somme per “fini istituzionali” non sufficientemente giustificate (tra cui, finanche, celebrazioni di messe).

di Filippo Falcone

stinto, dove è impossibile districarsi persino tra mafia e antimafia. La Sicilia sembra ormai un motore fuso. Gli ultimi noiosi e ripetitivi dati sulla disoccupazioni ci forniscono cifre da catastrofe sociale. E allora l’unica cosa utile che i nostri vari parlamentari potrebbero fare, per questa terra dalle ferite ormai insanabili, sarebbe quella di impegnarsi su provvedimenti che incoraggino l’emigrazione dei nostri giovani. Sostenere cioè, con fondi pubblici, - visto che la stragrande maggioranza delle famiglie siciliane ormai non se lo può più permettere - la partenza dei giovani. I giovani potrebbero trasferirsi, grazie a questi aiuti, nei paesi

La classe politica ci consegna una terra dalle speranze di cambiamento sempre più labili in un collasso quasi definitivo, dove c’è davvero ben poco da sperare e da cui aspettarsi

comitiva, prendendo a disprezzare i suoi simili. Scoperta dai pavoni questi la scacciano a beccate. Malconcia, non le resta che tornare dai suoi simili, dai quali, giustamente, viene da quel momento disprezzata. In effetti, tornando ai nostri “statisti” di provincia, erettisi a novelli falsi pavoni, della loro presenza nelle patrie istituzioni - e soprattutto della loro rappresentanza nel territorio - oltre a non lasciar traccia materiale, difficilmente ne lasceranno in quella della storia

Pasqualino Vassallo, Salvatore Aldisio, Giuseppe Alessi, Pompeo Calajanni, Guido Faletra, Emanuele Macaluso, che hanno saputo, in diverse fasi, rappresentare al meglio questo nostro lembo di Sicilia, con autorevolezza e con ammirazione di compagni ed avversari. Il loro impegno, nei diversi decenni, ha spaziato dall’anticorruzione di Napoleone Colajanni, all’antifascismo di Pompeo Colajanni, all’impegno per la ricostruzione nel secondo dopoguerra di Salvatore Aldisio e Giuseppe

quello costituito dai dirigenti di spicco, quelli con cariche nazionali, al secondo appartenevano quelli che svolgevano la loro azione nei territori. Ma, il loro ruolo non era affatto secondario rispetto ai primi, anzi forse era ancor più prezioso; comunque di grande autorevolezza. Oggi i nostri parlamentari rappresentano solo un numero, un’indennità, non sono nemmeno gregari. A guardare le pagine del parlamentarismo nisseno di quest’ultimo trentennio viene davvero lo sconforto. Basterebbe

Costoro, assieme a tutte le altre comparse che si sono affacciate a quelle cariche negli ultimi lustri compreso chi oggi guida la Regione siciliana, con la sua “morale elastica” (vedi le trivellazioni a mare, i boschi ceduti ai privati per centrali a biomasse, sino alle posizioni Mous) - ci consegnano, diciamocelo francamente, una terra dalle speranze di cambiamento sempre più labili, in un collasso quasi definitivo, dove c’è davvero ben poco da sperare e da cui aspettarsi. Mancano le risorse (si dice spesso: “poche e mal gestite”), ma mancano soprattutto le istituzioni e finanche i fondamenti psicologici per condurre nuove battaglie: quelle di civiltà, di giustizia, di democrazia, di sviluppo (alla Danilo Dolci per intenderci). E’ ormai tutto un caos. E’ tutto un magma indi-

esteri più sviluppati per cercare, almeno lì, un futuro più dignitoso. Le prime spese sarebbero a carico delle istituzioni pubbliche (che almeno in questo caso servirebbero a qualcosa). Si tratterebbe d’altronde di spese di solo andata e di primo soggiorno. L’idea che potrebbe sembrare provocatoria, a dire il vero, è già stata proposta in Sardegna, dove un sindaco ha detto: “Qui i nostri ragazzi non hanno più possibilità e allora perché non aiutarli a trovare un’alternativa altrove?”. D’altronde, oggi, in Sardegna, come in Sicilia, con i tassi di disoccupazione che ci ritroviamo assai poche sono le speranze per le giovani generazioni. Ed in questo “andamento lento” il presente si stratifica nella rassegnazione di un futuro che si propone all’infinito.


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Fatti & Territorio

L’intervista

L’amore di un padre, piu forte della crudeltà

L’impegno di Rosario Naro affinchè la breve vita di Aldo possa essere d’esempio per i giovani di Donatello Polizzi

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egalava un sorriso meraviglioso”. Le lacrime gli rigano il volto, Rosario Naro non riesce a trattenerle. Un freddo e piovoso pomeriggio di marzo, siamo nell’ufficio di Rosario Naro, colonnello dei Carabinieri, padre di Aldo, barbaramente assassinato il 14 febbraio in una discoteca di Palermo. Le pareti sono piene di crest militari, attestati, foto; sullo sfondo la bandiera italiana. Rosario è seduto di fronte a noi, voce rotta dall’emozione; non siamo qui per parlare di cronaca, ma “solo” per raccontare di un ragazzo sano, puli-

to, il cui percorso terreno è stato interrotto troppo presto e la cui morte ha dato vita ad un movimento popolare di dimensioni imprevedibili e inaspettate. “Nell’omelia del funerale il Vescovo Russotto ha detto che Aldo è andato via da vincente. Io credo fermamente sia così, non corrotto, giovane, sorridente. Mi ha lascito un’eredità; solitamente sono i padri che lasciano eredità ai figli, io da Aldo ha imparato a vivere. Aldo ci sta dando una grossa eredità, da padre potrei anche sbagliare, ma le parole, i ricordi, i racconti degli amici, testimoniano tutto questo. Con il suo esempio di vita, ha fatto riflettere tutti. Ha dato un esempio.

Quello che sta succedendo, è un fatto empirico, lui sta facendo qualcosa”. Difficile condensare le mille emozioni che scaturiscono dal dialogo, il dolore non soffocato ma rielaborato da un padre che si assegna una missione, non cedere al dramma, non precipitare nell’abisso, ma mantenere in vita il ricordo e l’esempio illuminante di un ragazzo speciale. “Dal 14 febbraio la nostra vita di prima non esisteva più. La notizia, inaspettata e imprevedibile, di ciò che era accaduto e il rivedere mio figlio quando non era più vivo, aveva spalancato dinanzi a me le porte di una vita in cui vedevo solo disperazione. Invece Aldo sta riuscendo in maniera sublime a farci capire che oggi lui vive più di prima, in una dimensione escatologica. Non possiamo fare a lui il torto di interrompere questa meravigliosa vita che deve continuare; non avrei pace se dovessi chiudermi in me lasciando andare definitivamente Aldo: la sua vicenda deve continuare”. Aldo era un ragazzo diligente nello studio, laurea con 110 e lode in medicina, generoso, simpaticamente casinista, divertente, pulito, amichevole; doti che emergono dagli innumerevoli racconti dei tanti amici. Partiamo dall’amicizia. “Dopo la tragedia, la mia casa si riempì di giovani; erano davvero tanti, troppi. Allora chiesi ma siete tutti amici di Aldo? La risposta fu univoca e positiva. Anzi mi avvisarono, stanno arrivando da Milano, Bologna; addirittura un ragazzo giunse dall’Inghilterra. Consideriamo che alcune di queste amicizie erano frutto di vacanza estive, ciò testimonia il legame che riusciva ad instaura-

re. Tutti lo rimpiangono. Ho avuto la cifra di questa stima e amore, il giorno dei funerali: una partecipazione addolorata, urlavano al cielo il nome di Aldo. Si sentiva nella loro voce, il dolore di non averlo più, dolore vero autentico. Uno sfogo contro questa ingiustizia”. Lo studio. “Per lui lo studio era serio, appassionato, una scelta di vita, non certo. Ricordo che dopo l’esame di maturità allo scientifico ‘A. Volta’, per superare i test per accedere in medicina, continuò a studiare. Ottenuto

una chiesa in lacrime, quelle persone così vicine a noi, in un ambiente così particolare, è stata l’ulteriore conferma che tutto è stato per lui. Aldo mi ha insegnato, ci ha insegnato, che non è vero quello che si dice, nulla si deve dare per scontato; la solidarietà che ho visto in quell’occasione ha stupito me e mia moglie: quest’ umanità così vera, questo dispiacere così autentico, l’accoglienza che ci hanno riservato, per questo modo di venirci incontro, per questo affollarsi intorno a noi. Eravamo allo Zen, in un conte-

“Non posso fare a mio figlio il torto di interrompere la sua meravigliosa vita che deve continuare. Non avrei pace se dovessi chiudermi in me lasciandolo andare definitivamente” l’accesso alla facoltà, tirò avanti sino ai primi esami universitari dell’estate successiva, ma tutto ciò non gli pesava. Nei suoi esami, l’unico dubbio che avevamo era relativo alla lode se ci fosse stata o meno”. Lo sport aveva un ruolo rilevante nella sua vita: “Grande tifoso della Juventus, amava il calcio e non si faceva mai mancare una partita con gli amici. Teneva molto al suo fisico e frequentava assiduamente la palestra. Aveva anche praticato karatè. Nell’attività fisica riversava il suo desiderio di raggiungere gli obiettivi, di competere con caparbia, per raggiungere il miglior risultato possibile”. Le parole scorrono fluide. Difficile restare lucidi, ascoltando un genitore che ha perso il figlio in maniera tragica: affronta il dolore con forza, lo ricaccia nell’angolo, tenta di non farsi sopraffare dalla perdita. Il messaggio è chiaro, fare in modo che la morte di Aldo non sia vana. Portare un insegnamento che possa indicare ad altri giovani la strada da seguire. “Con il suo esempio di vita, ha fatto riflettere tutti. Ha dato un esempio, soltanto in questo modo può avere una spiegazione. Non so perché ma raccontando di Aldo le persone riflettono, è una lezione di vita, non è una frase fatta. Quando siamo stati invitati allo Zen per il trigesimo, vedere

sto particolare, ma non è mancata la compartecipazione al nostro dolore”. Una famiglia chiamata ad una prova suprema. Rosario vuole tenere vivo il ricordo di Aldo, aiutare ed essere aiutato da Anna Maria Ferrara (la madre) e da Chiara, la sorella minore dello sfortunato giovane. “Che peccato non l’abbiate conosciuto, regalava quel sorriso unico. Le parole non fanno capire chi era Aldo. Ci ha aperto nuovi orizzonti, sta dando un nuovo senso alla nostro percorso terreno. Lui sta insegnando alla famiglia, agli altri giovani, al mondo intero, quale deve essere il modo, lo spirito, l’atteggiamento che deve muovere un giovane nelle sue scelte, nella sua vita”. Un barlume di luce, dove il buio sembra imperare opprimente ed invincibile. Un padre, nobilmente infaticabile, che mantiene vive il fulgore del ricordo di un figlio, che, nonostante il barbaro assassinio, diventa portatore di un messaggio che si spera possa diventare “guida” per i ragazzi. Nel chiudere il taccuino, la sensazione, in questo piovoso e uggioso pomeriggio, di aver toccato con mano, per alcuni istanti, l’essenza dell’umanità: il legame profondo tra un padre vivo e un figlio defunto che supera la morte e si trasforma in un insegnamento di speranza.


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Fatti & Territorio

La criminalità vede più lontano dello Stato Nasce a Caltanissetta l’associazione regionale ALA contro l’abigeato ed i furti nelle campagne

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iciamoci la verità, spesso criminalità e mafia, ci vedono più lungo dello Stato. Mentre il trend dell’economia e degli stili di vita degli italiani tendono verso il terziario, l’industria e l’artigianato, con le nuove generazioni sempre più convinte che si debba lavorare solo dietro una scrivania, senza sporcarsi le mani, ebbene proprio in questo contesto, le lungimiranti organizzazioni criminali hanno capito invece che l’economia vera, quella cioè su cui si può guadagnare ha base proprio tra i campi e le stalle. La storia stessa della mafia siciliana racconta che i signorotti dei campi si riunivano in una sorta di associazioni o comunità (spesso di sangue) volte all’aiuto e alla solidarietà verso i deboli ed i meno fortunati e strutturalmente legate ai latifondi. La deriva che ha preso poi la mafia, la conosciamo benissimo. Oggi sta accadendo proprio questo, la mafia torna nelle campagne laddove era partita e lo fa strozzando un comparto che prova a rialzare la testa sebbene gambizzato dalle leggi del libero mercato avallate anche dai politici siciliani che siedono in Europa. Così i numeri della criminalità verde sono da capogiro. A denunciarlo sono gli allevatori e gli agricoltori il più delle volte però nel silenzio assordate dei media. Secondo l’annuale rapporto di Legambiente sulle ecomafie, anche il racket degli animali vede crescere il numero di crimini commessi. Tra commercio illegale di specie protette, bracconaggio, abigeato, allevamenti illegali, pesca di frodo, combattimenti clandesti-

ni e maltrattamenti – solo per citare le tipologie di reati più diffusi ai danni degli animali di affezione e/o di reddito – nell’ultimo anno si sono contate 8.504 infrazioni, in crescita rispetto al 2012 del 6,6%. La Sicilia si mantiene stabilmente in vetta della classifi-

dei “rubagalline”. Caricare decine di ovini su un camion non è cosa semplice, occorrono dei basisti, uomini e mezzi capaci di passare inosservati alle forze dell’ordine. Un camion di vacche o pecore che cammina in autostrada nella notte lo si potrebbe facilmente notare, ma invece ciò av-

tura e dell’allevamento in Sicilia sono il frutto di una organizzazione criminale che, contrariamente a quanto fa lo Stato, si è accorta che nelle campagne siciliane si fa economia. Questi reati vanno però combattuti dagli stessi soggetti che combattono la mafia e con strumenti adeguati come le

L’assessore regionale Caleca: “Se ne occupi la direzione distrettuale Antimafia e si utilizzino le intercettazioni”

ca per numero di reati accertati, con 1.344, seguita dalla Campania, 1.075, dalla Puglia, 953, dalla Calabria dove si sono registrati 725 casi. Cosa sta succedendo in sostanza? Succede che sempre più spesso e con cadenza e metodi scientifici, dalle stalle degli allevatori siciliani spariscano di notte o di giorno, centinaia di capi di bestiame, questi vengono caricati sui camion e portati soprattutto in Calabria per essere rivenduti o macellati clandestinamente. Un vero e proprio business portato avanti da una organizzazione con metodi ben diversi da quelli

viene raramente. L’allevatore che subisce il furto e denuncia, dopo pochi giorni si trova l’eventuale fermato tranquillamente a piede libero e si rassegna a subirne le ritorsioni. Ciò premesso proprio in Sicilia, tra il nisseno e l’ennese, un gruppo di allevatori, stanchi dei continui furti di bestiame e danneggiamenti dei mezzi agricoli, ha deciso di alzare la testa, rimboccarsi le maniche e fare “scrusciu” costituendosi in associazione con tanto di statuto, assistenza legale, stilando protocolli con le prefetture e sensibilizzando politica, forze dell’ordine e cittadinanza e costituendosi parte civile nei procedimenti per reati legati alle ecomafie. È stata presentata proprio a Caltanissetta poche settimane addietro Ala, l’Associazione Libera Allevatori, proprio in quell’occasione l’Assessore regionale all’agricoltura Nino Caleca, ha ribadito che “la recrudescenza di reati contro il comparto dell’agricol-

intercettazioni”. Alla presentazione cui ha preso parte anche il presidente della Commissione Antimafia all’Ars Nello Musumeci, hanno partecipato decine di allevatori ed imprenditori provenienti da tutta l’isola tra cui il noto imprenditore Salvatore Zappalà. “Siamo tornati indietro di 100 anni – ha dichiarato il presidente della commissione antimafia all’Ars

Racket degli animali : cresce il numero dei crimini commessi Nello Musumeci – quando era la mafia a controllare le campagne. Ebbene oggi purtroppo dobbiamo la-

di Marco Benanti

vorare per fare in modo che la mafia termini di essere più efficiente dello Stato”. A presiedere l’associazione composta già da decine di allevatori di San Cataldo, Santa Caterina ed altri comuni del nisseno, dell’ennese, agrigentino e palermitano è un giovane allevatore piazzese, Stefano Di Maria, anch’egli protagonista suo malgrado di furti di bestiame e danneggiamenti nella sua azienda agricola. A raccogliere il grido d’allarme degli allevatori siciliani il deputato dell’NCD Alessandro Pagano che a Montecitorio ha presentato una apposita interrogazione al Governo Renzi sulla necessità di un maggiore presidio sul territorio con la richiesta di potenziamento di organico delle forze dell’ordine. “Risulta chiaro – ha dichiarato Pagano - che la criminalità organizzata sta andando a colpire laddove ha capito che si produce reddito. Dietro tali reati ci sono azioni ben pianificate che occorre individuare e reprimere con pene certe”. “Non vogliamo essere lasciati soli in questa battaglia – dichiarano gli allevatori – chi denuncia un furto, dato che nel nostro paese non ci sono pene certe, corre sempre il rischio di trovarsi i malviventi dietro casa la sera. Chiediamo per questo motivo un intervento immediato delle forze dell’ordine, un maggiore controllo del territorio ma auspichiamo che le forze di polizia abbiano i mezzi adeguati per poterlo fare, sia in termini di numero che di equipaggiamento”. L’associazione Ala intanto prosegue il proprio percorso continuando a promuovere una serie di incontri in tutta la Sicilia per accogliere allevatori ed agricoltori colpiti da tali fenomeni criminosi. Informazioni e contatti dell’associazione sono disponibili sulla pagina Facebook di Ala: https://www.facebook.com/AssociazioneLIberaAllevatoriALA


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Viale della Regione Fatti in Redazione

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Non solo la Real Maestranza nella sua storia. Una grande passione lo lega alla Settimana Santa: dal 1986 è proprietario della Variceddra “il Sinedrio”

na profonda fede religiosa, valori saldi e una grande umiltà: così si presenta Francesco Riggio Capitano della Real Maestranza 2015, accompagnato nella nostra redazione dall’amico di sempre Giuseppe Giordano in passato suo apprendista e dipendente. Una nomina inaspettata per Riggio, appartenente alla categoria dei fabbri, voluta all’unanimità dai membri dell’Associazione Real Maestranza e dell’Associazione capitani per superare la querelle che per mesi ha animato il ceto dei marmisti tra le aule del Tribunale e lunghe riunioni del direttivo. “Il lutto di mio fratello, soltanto sei mesi fa, mi aveva frenato nell’accettare – dichiara il Capitano della Real Maestranza - ma ricordando il suo amore e la sua dedizione per questa istituzione e la gioia che ne sarebbe scaturita ho cambiato idea. Nel ricordo di Gaetano, al quale ero molto legato e con cui ho lavorato a stretto contatto per anni, ho così deciso di indossare il suo vestito

di capitano: sarà come sfilare accanto a lui”. Un tuffo nel passato dunque per il capitano che 36 anni fa guidò il corteo del mercoledì Santo, che rivivrà questa esperienza assieme ad altri capitani emeriti chiamati a ricoprire le altre cariche: lo scudiero Angelo Iannello Capitano della Categoria Idraulici nel 1991; il portabandiera Pasquale Tramontana Capitano della Categoria Calzolai e Tappezzieri nel 1998 e l’alfiere maggiore Gioacchino Ricotta Capitano della Categoria Barbieri nel 2012. “Quando fui eletto capitano nel 1979 avevo 39 anni – afferma Riggio – oggi ne ho 75 anni, un’esperienza vissuta a distanza di anni in modo diverso anche per la maturità raggiunta. Se in passato la mia nomina è stato un momento di grande gioia che ho condiviso assieme a mia moglie, ai miei quattro figli

Porterò il Crocifisso in processione pensando a mio fratello Gaetano scomparso di recente. Indosserò il suo vestito di capitano momenti salienti vissuti dai membri della Real Maestranza e dalla carica capitanale come portare il crocifisso in processione per le strade”. Proprietario dal 1986 del piccolo gruppo sacro “Sinedrio”, il capitano Francesco Riggio, da anni cavaliere ufficiale della Repubblica è stato insignito del titolo di commendatore durante la cerimonia al Teatro Regina Margherita per il passaggio delle

dedizione i figli nell’attività lasciata in eredità, rimarca l’importanza della rivalorizzazione della figura dell’artigiano, sottolineando il ruolo fondamentale svolto dall’apprendistato: “i giovani ormai si avvicinano ai mestieri a conclusione di un percorso di studi e a un’età avanzata con la necessità di guadagnare subito. Una situazione che mette in difficoltà da un lato i giovani e dall’altro la ditta che non può retribuire in modo adeguato persone senza esperienza, con la conseguente scomparsa dell’apprendistato, prassi fondamentale per la formazione del vero artigiano”. “Sia io, sia Giuseppe Giordano, mio apprendista e dipendente fino a quando non è diventato

possa essere utile nel mondo lavorativo a prescindere dal traguardo che si spera di raggiungere al conseguimento del titolo, oltre che a riscoprire gli antichi mestieri e l’artigianato”. Una carenza di giovani nel settore artigianale che rischia di riflettersi anche sulla Real Maestranza mettendo a repentaglio le antiche tradizioni. “Occorrono dei sacrifici

Capitano e Gentiluomo

A Francesco Riggio le chiavi della città, torna ad indossare la feluca dopo 36 anni

ancora piccoli e ai mie fratelli, ora sto rivivendo questo momento nel ricordo di chi non c’è più con un maggior fervore spirituale - sostenuto anche dai miei generi, nuore e otto nipoti - consapevole del significato religioso delle manifestazioni legate alla Settimana Santa e dell’importanza di alcuni

consegne capitanali, onorificenza che si aggiunge alla “Croce pro ecclesia et pontefice” della Santa Sede. Nessuna voglia di apparire e di protagonismo si intravede nel capitano della Real Maestranza nonostante le prestigiose onorificenze ricevute e la consapevolezza dell’incarico affidatogli, il quale afferma: “sebbene questi titoli siano prestigiosi preferisco essere chiamato Francesco, mi sento l’amico di tutti. Quel che conta non sono i titoli o i riconoscimenti ma essere fieri della propria personalità e umiltà”. Francesco Riggio, in pensione da 12 anni anche se continua a seguire con

In alto Gaetano Riggio, fratello di Francesco. A destra la Variceddra “il Sinedrio”. Nella pagina accanto Francesco Riggio con Giuseppe Giordano

maestro – prosegue – abbiamo frequentato e conseguito il titolo di studi rilasciato dalla scuola professionale, un percorso che ci ha permesso di mettere a frutto nella gestione della nostra attività quello che abbiamo appreso”. “Invito, dunque, i giovani aggiunge - pur seguendo la loro passione a scegliere un percorso di studi che offra loro più possibilità e che

– dichiara Riggio – per mantenere questo legame con le tradizioni e trasmettere i valori religiosi alle giovani generazioni. Ricordo che nel 1959 la mia categoria pur esistendo nelle file dell’Associazione della Real Maestranza aveva ritirato la bandiera dalle processioni. Grazie all’impegno di un gruppo di giovani, tra cui io e mio fratello, riuscimmo a tornare a far sfilare i fabbri nelle processio-


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FOTOGRAFIA

Il fabbro invita la cittadinanza a partecipare con devozione alle processioni

Diego Avanzato

la Real Maestranza

in un click

ni della Settimana Santa nissena ottenendo dopo 10 anni l’elezione del capitano con Cosimo La China. Ora tocca a chi come me fa parte delle categorie da anni mettersi un po’ da parte per lasciare spazio ai giovani, offrendo loro l’esperienza maturata, invogliandoli e aiutandoli a mantenere vive le tradizioni e a tramandarle”. Ricordando che le processioni legate alla Settimana Santa rappresentano un momento di grande fede religiosa e non un evento folkloristico, sin dall’inizio della sua investitura il capitano Francesco Riggio ha annunciato di voler rinunciare agli sprazzi e agli eccessi. Una processione composta, in un momento di grande crisi economica e di valori, per far emergere l’aspetto religioso che da decenni la Real Maestranza

oto che raccontano un culto tramandato attraverso i secoli, che trasmettono a chi le osserva le emozioni dei riti e delle processioni della Settimana Santa quelle scattate da Diego Avanzato, fotografo della Real Maestranza

vuole ribadire. “Invito la cittadinanza – conclude Francesco Riggio – a partecipare più assiduamente alle processioni per riscoprire la passione vissuta da Gesù dopo la flagellazione. Portare il peso della croce per le strade è come volere sostenere, alleviare le sofferenze di Gesù Cristo patite per salvare tutti noi. Il mio augurio è che il Signore faccia trascorrere a tutti noi le feste pasquali nella serenità familiare”.

dal 1989. “Fotografare i momenti salienti, cogliere le emozioni di chi da anni sfila e vive con un gran fervore religioso le processioni legate alla Pasqua – afferma il fotografo nisseno - inizialmente è stata una sfida con me stesso che mi ha portato a coniugare le tecniche fotografiche con l’aspetto emozionale”. Una passione quella per la fotografia di Diego Avanzato, sposato

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con Maria Rosaria e padre di Annalisa e Antonio, cominciata da bambino. Dopo essersi diplomato nel 1981 all’istituto statale d’arte “F. Juvara” decise nel 1983 di aprire il suo studio fotografico. Il mondo digitale lo attrae fin dall’inizio ed è uno dei primi a cimentarsi nel settore. L’attenzione per le ombre e i riflessi, la ricerca di un punto di vista inusuale caratterizzano i suoi scatti a cui cerca sempre di dare un’impronta personale. “Quando ho iniziato – racconta – la Settimana Santa prendeva il via con il passaggio delle consegne dei capitani e vedeva impegnate le categorie appartenenti all’associazione per il Sabatino, il mercoledì santo, il venerdì santo e la domenica di Pasqua, processione durante la quale i componenti della Real Maestranza si recano dal Vescovo in Seminario per poi accompagnarlo in cattedrale. Una processione, quest’ultima, che molti nisseni non conoscono. Con gli anni la Real Maestranza è cresciuta e si è messa in evidenza, grazie anche al contributo di tante persone che si sono spese e continuano a spendersi per la riuscita delle manifestazioni legate alla tradizione della Settimana Santa nissena. Negli anni ho visto delle generazioni alternarsi per portare avanti la tradizione, bambini che accompagnavo con entusiasmo i loro padri nelle sfilate oggi uomini e a loro volta padri.”. “Una settimana – prosegue – che personalmente vivo con malinconia. Ricordo quando assieme ai miei genitori scendevo in piazza per seguire le processioni; un ricordo che rivivo con tristezza non avendo più i genitori con me, tuttavia la visione del Signore mi

dona una serenità interiore”. In merito alle polemiche che quest’anno hanno accompagnato l’elezione del capitano afferma “rientrano della tradizione, una tempesta affinchè tutto possa alla fine riuscire bene poiché ognuno degli artigiani appartenenti alle diverse categorie vuole dare il proprio contributo per la buona riuscita delle stesse. Si tratta di persone legate alle tradizioni, con

una profonda fede religiosa, che amano queste processione e che lasciano sole le loro famiglie a casa pur di onorare questa grandissima festa”. Ventisei anni di ricordi quelli di Diego Avanzato legati alla Real Maestranza e alla Settimana Santa. “ Il momento più emozionante per me è stata la visita di Papa Wojtyla a Caltanissetta nel 1993. Da fotografo della Real Maestranza – di-

Dal 1989 è il fotografo ufficiale del corteo. Il ricordo più bello lo scatto a Wojtyla chiara Avanzato, mostrandoci con orgoglio l’album fotografico con i suoi scatti e una foto appesa al suo studio del Papa – ho avuto l’onore di trovarmi a pochi passi di distanza e di fotografare Giovanni Paolo II mentre dava la comunione al Capitano Alfonso Bingo della categoria dei pittori e decoratori”. “L’emozione è stata così forte – continua – che c’è stato un momento durante il quale avrei voluto abbandonare la mia macchina fotografica per abbracciare quel grande uomo. Altro momento indelebile nella mia memoria e nella storia della Real Maestranza è stata la visita del Presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi, di cui conservo degli scatti unici del picchetto d’onore”. Un archivio fotografico quello della Real Maestranza quello accumulato in questi anni che Diego Avanzato, spera di poter continuare a seguire e incrementare nel futuro, intende lasciare in eredità all’Amministrazione Comunale.


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L’iniziativa: nasce il giornale dei ragazzi curiosi

Officine Taratatà

Education, animazione formativa ed impegno sul territorio

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n gruppo di persone volenterose, con tanta voglia di fare, con molto entusiasmo e anche un pizzico di follia. Questo il mix di cui si compone l’Associazione culturale Officine Taratatà. Nata a Caltanissetta da qualche mese, opera nel settore dell’education, degli eventi e dell’animazione formativa. Il Presidente, Tiziano La Marca, è da sempre impegnato nell’ideazione e realizzazione di eventi culturali, musicali e di spettacolo; il socio fondatore, Giovanni Russo, si occupa di marketing, pianifica attività di comunicazione e lavora quotidianamente nel mondo delle relazioni pubbliche e dei media; il secondo socio fondatore, Rino Liotta, è un art director impegnato nel modo delle creatività grafica, web designer e fumettista. Questo lo zoccolo duro dell’associazione culturale Officine Taratatà composta da altre figure che condividono la passione per l’education, la comunicazione, gli eventi di animazione formativa e culturale.

L’obiettivo primario dei Taratatà – afferma il presidente Tiziano La Marca - è quello di rendere la vita dei nostri bimbi quanto più divertente possibile facendolo con attività

che siano culturalmente elevate e legate al territorio in cui i bambini vivono e crescono di giorno in giorno. L’Associazione è impegnata nell’ideazione e diffusione di attività culturali, mezzi e strumenti di comunicazione che sono propedeutici al raggiungimento dell’obiettivo formativo dei bambini e dei genitori al fine di migliorare il benessere sociale della vita di ognuno. Sono promossi eventi di tipo culturale, di

Le nostre tematiche sono d’attualità e d’interesse sia per i bambini che per i genitori, analizzate attraver-

animazione territoriale e scolastica, d’intrattenimento di tipo educativo, nonché viaggi e visite a tema nei luoghi tradizionali della Sicilia che siano culturalmente validi e formativi”.

so una prospettiva locale e globale insieme, valorizzando il territorio siciliano”. “Il nostro staff – Conclude il Presidente La Marca - si avvale di esperti in ambito comunicativo e culturale sui temi della formazione scolastica, esperti animatori e intrattenitori, giornalisti e comitati scientifici che saranno creati ad hoc per affrontare al meglio i percorsi educativi progettati. Innovazione sociale, utilizzo dei new media, attività didattiche, eventi e animazione. Questi i capisaldi su cui si fonda l’associazione Taratatà, il tutto con la partecipazione attiva dei genitori, delle scuole e dei partner che di volta in volta sposeranno i progetti dell’associazione.

Scarica il primo numero di Taratatà con il Qr-code

Il giornale dei Taratatà ha come obiettivo quello di realizzare uno strumento educativo/formativo rivolto agli alunni della classi IV e V delle scuole primarie della Provincia di Caltanissetta contenente le seguenti tematiche: la sana alimentazione, la salute e il benessere fisico, le professioni ed i mestieri, le tradizioni e la cultura del territoro nisseno, lo Sport, l’ambiente e gli animali. Il team di lavoro è composto da professionisti operanti nel settore education con esperienza decennale. Il team si avvale di tre progettisti senior specializzati ognuno nelle seguenti aree: ideazione e scrittura dei contenuti Education, giornalismo e ufficio stampa, Ideazione e realizzazione della grafica editoriale, disegno fumetti e cartoon, web design, ideazione e realizzazione di eventi di animazione nelle scuole, scenografie, musiche e intrattenimento. In base ai contenuti sarà valutata la presenza di comitati scientifici che ne arricchiscano la qualità dei contributi testuali e fotografici. Il giornale dei Taratatà sarà distribuito gratuitamente a tutti gli alunni delle classi IV e V delle scuole primarie dei Comuni di Caltanissetta, San Cataldo, Delia, Sommatino, Riesi, Mazzarino, Serradifalco e Santa Caterina. Il giornale dei Taratatà nel primo numero (marzo 2015) conterrà - come Edizione speciale - un fumetto, composto da 22 tavole raffiguranti una storia per bambini che si svolge nella città di Caltanissetta alla scoperta delle tradizioni e delle attività che si svolgono durante le celebrazione della Settimana Santa nissena. Obiettivo del fumetto è quello di consentire ai più piccoli di essere

maggiormente coinvolti durante la visione delle processioni religiose e delle numerosi attività realizzate nel periodo più signifi-

Un fumetto sulla Settimana Santa all’interno del primo numero cativo dell’anno per la città di Caltanissetta. L’associazione culturale Officine Taratatà trova le for-

ze economiche per la realizzazione del Giornale dei Taratatà nel fondamentale contributo di partners privati. Di fondamentale rilevanza per la riuscita del progetto editoriale formativo è la collaborazione con l’Ufficio Provinciale scolastico di Caltanissetta, diretto dal nuovo dirigente Filippo Ciancio, che consentirà al giornale di essere distribuito gratuitamente in tutte le scuole Primarie dei Comuni elencati e le stesse avranno opportunità di inviare al giornale i loro contributi inerenti attività ed iniziative svolte.


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Gela & dintorni

Corsa alla fascia

tricolore

Da destra a sinistra, correnti, controcorrenti e “giravolte”

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i è parlato di primarie del centrosinistra, di Governative del centrodestra per indicare i candidati e dopo mesi di consultazioni i partiti sembra che siano arrivati ad una conclusione univoca. Ci sarà un candidato per ogni coalizione. Almeno si spera. Dopo mesi di consultazioni, pare che il quadro politico di stia delineando, pur senza negare il pluralismo di altre correnti. Il candidato del Pd è uno e si chiama Angelo Fasulo, non c’è motivo di parlare di primarie. Non ci sono correnti dissidenti. Chi si candida nonostante l’orientamento del partito di appartenenza, non ha

più motivo di sventolare la bandiera del Pd. Dopo l’ultimo l’incontro con la stampa locale alla presenza del deputato regionale Giuseppe Arancio, del segretario provinciale Giuseppe Gallè e del vice segretario Giampaolo Alario, l’assessore all’Ambiente, Giuseppe Ventura, il segretario del circolo Gela Centro, la coordinatrice del I Circolo, Claudia Caizza e tutti i dirigenti del partito che hanno ricoperto cariche istituzionali. Il deputato Arancio e il segretario hanno confermato l’appoggio del partito ed un principio fondamentale: quello che chiunque si vuole candidare no può farlo con il Pd che ha già un suo candidato quindi lo deve fare con un altro simbolo. Di conseguenza è fuori dal partito. Il riferimento chiaro è ad Enrico Vella che ha già creato un gruppo di lavoro che da anni rappresenta l’opposizione in seno al consiglio comunale e cerca alleanze con chi ha voltato le spalle a

Fasulo. Lo ha affermato lo stesso Vella che sta discutendo con il partito dei Siciliani capitanato dal deputato Federico. Ma questa ipotesi è guardata con dolore dai massimi vertici del partito che non lanciano strali contro nessuno e che sperano che torni l’unità come è sempre avvenuto nel centrosinistra che, nella storia, con questo metodo, ha mantenuto il potere rispetto al centrodestra frastagliato e litigioso. Del resto le alleanze ci sono già. Pd, Polo civico, Udc, Megafono e listone, è il quadro politico che sosterrà la candidatura del sindaco uscente Angelo Fasulo. “Dovrebbero essere espulsi

dai partiti coloro che ne mortificano l’esistenza, che non riuniscono gli organismi, che non si confrontano con gli iscritti, che si svegliano qualche settimana prima del voto e pensano di essere leader”. A commentare le dichiarazioni rese da Arancio e Gallè è il consigliere Rocco Giudice - Ma smettetela di scherzare con l’intelligenza dei cittadini e parlate la lingua della sincerità”. C’è un problema: modello amministrativo non convincente ma se al deputato piace non mancherà a loro fare 3-4 liste forti, competitive e ricche di entusiasmo nel comunicare il programma elettorale. Nel centro sinistra resta candidato di Art 4 Giuseppe Di Dio . “ Art4 non si scioglie – dice Di Dio - e si mettano in pace i tanti gufi o gobbi, la nostra è una proposta di governo x la città e non subirà alcun mutamento ne alcuna interferenza esterna o interna. Non è certo art4 che ci da una identità, sia-

di Liliana Blanco

mo noi a dare una identità ad art4, ed i gruppo, il quadro dirigente, la nostra azione politica e la nostra proposta di governo rimane tale e quale, chiara e limpida,senza se e senza ma, lasciamo agli altri i voli pindarici. Abbiamo le mutande di latta e ci siamo preservati anche contro le crociate, non dimenticate che nasciamo come “liberi e gelesi” e tali saremo con art4 o senza art4, ma lo faremo con art4. Spero di avere anche un sostegno x la mia coerenza e x la sfida lanciata sopratutto da chi fa il tifo perche’ io continui, ma non deve tifare ciò solo perche’ ne può trarre vantaggio elettorale ma perche’ crede

alla proposta di governo e quindi conseguentemente sostenerla”. Poi ci sono altri due candidati a sindaco: Elio Arancio e Saverio Di Blasi storico ambientalista che h a combatt u t o c ont ro l ’ i n q u i namento industriale. Antonio Ventura candidato a sindaco con una lista civica; Antonio Giudice correrebbe con ‘Noi con Salvini’ in cerca di alleanze con i partiti del centrodestra e orientato positivamente a partecipare alla Governative di marzo. Nessuna esitazione nel Movimento cinque stelle che mette in

campo l’ingegnere informatico Domenico Messinese. In questo marasma la giunta municipale assume un nuovo volto. Due posti restano vuoti. Gli assessori Fortunato Ferracane e Giuseppe D’Aleo in municipio per presentare le loro dimissioni dalle cariche di vicesindaco e assessore. Le minacce del parlamentare regionale e leader del Pds Giuseppe Federico prendono corpo e adesso sono state ratificate ritirando la delegazione in giunta. L’accordo con il Partito dei siciliani dopo cinque anni, si è concluso. La frattura è stata dovuta alla diversa posizione dei due partiti rispetto alla scelta del sindaco di firmare il protocollo Eni del 6 novembre scorso che , secondo il partito dei siciliani rappresenta un tradimento per il territorio rispetto alla promessa di una possibile candidatura. Vella affila le armi e corteggia il PdS, nella speranza di una candidat u r a condivisa. “ E’ una decisione c h e non h a nulla a l l a base: né uno scontro, né una polemica, quindi me lo spiego come una decisione di strategia – ha detto il sindaco - Mentre si parla di Raffineria, di Agroverde, di illuminazione grandi progetti che hanno caratterizzato la nostra politica arriva questa decisione non trova alcuna giustificazione. E’ un grande passo indietro e una grande opportunità persa per la città ma mi fa pensare che privilegia percorsi di tipo personale. Mi venga a dire qualcuno che i percorsi non sono stati condivisi: la fantasia fino ad oggi non si era spinta fino a tanto, quantomeno avrebbero cercato un pretesto. Sono stati rappresentanti in maggior numero: tre rappresentanti in giunta li ha avuti sono il Pds. Sul protocollo Eni hanno dato indicazioni come le garanzie occupazionali, ricerca scientifica a supporto sono stati sempre presenti ed hanno condiviso il progetto per cui non si parli in questi termini di questo argomento. Mai nessuno del Partito dei siciliani ha mosso alcuna opposizione . Per sostenere il mondo dell’imprenditoria si è candidato Maurizio Melfa. Si stringe il cerchio del centrodestra verso una candidatura unica. Al ver-

tice celebrato alla presenza del coordinatore regionale di Forza Italia, senatore Gibino, il capogruppo all’Ars Marco Falcone, la situazione si è controversa. Fuori il supposto candidato a sindaco Falvo e Scrivano che non si è presentato all’incontro. La competizione resta fra Lucio Greco ripescato da Forza Italia e voluto dal deputato Falcone e Pellitteri, sostenuto dal sen. Gibiino. ‘In merito alle voci circa la candidatura a sindaco dell’Alternativa moderata al ventennio del PD a Gela, alternativa che ad oggi comprende le liste civiche riconducibili a me ed a quella di Forza Italia –

A due mesi e mezzo dalle elezioni c’è tanta carne al fuoco ma tutto da giocare: si vota il 31 maggio e 1 giugno afferma Pellitteri desidero precisare, confermando quanto dichiarato più volte al sen. Enzo Gibiino, che ho rimesso la decisione della scelta della candidatura a sindaco di Gela nelle sue mani di coordinatore regionale di Forza Italia, in quanto ritengo che il valore simbolico della vittoria su Gela sia per Forza Italia più importante delle velleità personali di ogni aspirante. Ribadisco, che, pur berlusconiano dal 1994, le liste civiche, fra cui quella che fa riferimento al PLI, sono nate per dare rappresentatività alla società civile, al mondo della scuola, della cultura e del lavoro e che quella con Forza Italia è un’alleanza politica per dare a Gela, dopo vent’anni, un’Alternativa moderata che rifugge da rabbie improduttive e disimpegni antidemocratici’. Poi arriva il senatore di Forza Italia Giovanni Toti che vieta qualunque forma di elezione interna al partito per cercare un candidato unico: ““Nessun dirigente, amministratore o parlamentare di Forza Italia – ha detto il consigliere politico - e’ mai stato autorizzato dal partito e tantomeno dal Presidente Silvio Berlusconi a partecipare o collaborare, in qualsiasi forma e a qualunque titolo, a competizioni interne ad altri movimenti politici atte a selezionare candidati per le prossime elezioni amministrative”. A due mesi e mezzo dalle elezioni c’è tante carne al fuoco ma tutto da giocare: si vota il 31 maggio e 1 giugno.


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Fatti & San Cataldo

I caffè di Modaffari Il sindaco parla di tasse con i cittadini al bar S

i chiama “Caffè e confronto” ed è un incontro che il sindaco Giampiero Modaffari organizza tutte le mattine in uno dei bar di San Cataldo secondo un calendario ben preciso che ha messo a punto per affrontare direttamente con i cittadini la questione legata alla tassa sui rifiuti, la famigerata Tari. Lo fa nella maniera più singolare ma non per questo spontanea possibile: incontrandoli di-

rettamente al Bar ed avviando con ognuno di loro un confronto trasparente, sereno e costruttivo sulla tanto vituperata tassa rifiuti Tari che tante polemiche ha innescato in queste ultime settimane a livello politico e tra la gente. Lo fa sedendosi in un tavolino come qualsiasi altro avventore. Lo fa discutendo davanti al bancone o sorseggiando un caffè assieme al cittadino al quale cerca di fornire spiegazioni. Arriva con tutto l’occorrente il sindaco, soprattutto con le tabelle e i prospetti per consentire ai cittadini di usufruire di eventuali agevolazioni o sgravi. Non gli manca soprattutto la voglia di confrontarsi apertamente su un problema che altri sindaci, probabilmente, avrebbero già liquidato dicendo che le tasse purtroppo, vanno pagate e che, possibilmente, non è colpa loro se sono così alte. Frasi fatte e risapute di una politica vicina ai cittadini solo in campagna elettorale e poi lontana quando c’è da soddisfare una semplice domanda o una aspettativa. Dinamiche che emergono anche alla luce di un rapporto tra cittadini e istituzioni nel quale i cittadini devono sempre e comunque fare i conti con una burocrazia farraginosa e statica. Giampiero Modaffari i cittadini non li riceve solo al Comune, ma va lui a cercarli nei luoghi della loro quotidianità. Lo fa con la massima

agevolazioni. Certo, la tassa sui rifiuti va pagata. Lo sa il sindaco e lo sanno i cittadini. E non è tra le meno care della Provincia. Tuttavia, è altrettanto vero che l’amministrazione comunale dimostra la massima vicinanza, sensibilità e disponibilità verso i cittadini e questo . Con riscontri certamente positivi. Anche perché l’iniziativa di Giampiero Modaffari, al di la dell’esito finale, è stata ben accolta da tanti cittadini. C’è quando una bolletta è esatta e non ci sono riduzioni da appor-

spontaneità e disponibilità, senza pregiudizi o pre concetti, consapevole che potrebbe anche ritrovarsi oggetto di critiche pesanti perché quando si parla di mettere mani al portafogli per pagare le bollette dei rifiuti, non è argomento piacevole per nessuno. Per

spiegando quelle che sono le questioni legate alla tassa sui rifiuti. Per il sindaco Giampiero Modaffari, che dopo l’incontro al Bar Miraglia, ha avuto un secondo incontro al Bar Miserendino e un terzo al bar Imera, si tratta di un mo-

Il Primo Cittadino è sempre disponibile a discutere con tutti: “Portate le vostre bollette e verifichiamo insieme la correttezza, le possibili riduzioni e agevolazioni” la cronaca, il primo incontro “Caffè e confronto” è stato al Bar Miraglia. Un incontro che ha destato curiosità ed interesse tra i cittadini che, certamente, non erano mai stati abituati a discutere direttamente con il sindaco di questioni riguardanti le tasse locali. Un modo nuovo per affrontare direttamente con i cittadini le questioni più spinose evitando che gli stessi cittadini possano essere in qualche misura strumentalizzati,

mento di confronto con i cittadini, di un vero e proprio ponte per creare un rapporto diretto tra cittadini ed istituzioni facendo in modo che si possa creare un dialogo e non il classico quanto improduttivo muro contro muro. Al bar il sindaco è sempre disponibile a discutere con tutti ed ognuno, senza preclusioni di sorta. A tutti i cittadini dice di portare le loro bollette per verificare insieme la correttezza e le possibili riduzioni e/o

tare, ma accade anche, in numerosi casi, che ci siano modifiche da apportare per cui alla fine c’è chi riesce ad ottenere una riduzione della tariffa sui rifiuti. E poi la gente cerca di capire, si fa spiegare, è interessata. La gente guarda con favore soprattutto alla disponibilità del primo cittadino che si alza di buon mattino (questi incontri solitamente iniziano alle 7 del mattino) per rispondere alle loro domande senza sottrarsi al confronto come fanno altri sindaci in ogni parte d’Italia. Giampiero Modaffari, invece, affronta in prima persona i cittadini, ci discute, si confronta con loro, raccoglie le loro idee, le lamentele, le proposte. Risponde alle loro esternazioni, controbatte agli sfoghi e i suoi occhi sono felici quando riesce a fare qualcosa per ridurre le loro bollette! Annuncia che sarà creata la tracciabilità dei rifiuti e che si punterà sulla raccolta differenziata per far diminuire il carico fiscale. E lo fa non all’interno della sede

istituzionale per eccellenza che è quella della sala consiliare di “Palazzo delle spighe”, ma anche dentro quei bar che sono luoghi di quotidianità che spesso non sono stati tenuti in considerazione alcuna da parte di tanti politici che sono stati anzi soliti etichettare certi discorsi come “da bar”, come se all’interno di un bar non fosse possibile mettere a punto alcun discorso costruttivo e di un certo spessore. Giampiero Modaffari, invece, ha dimostrato che in un bar si può parlare, si può creare un confronto tra il sindaco e i suoi concittadini, ma soprattutto si può creare, attraverso un rapporto improntato sulla trasparenza e sulla disponibilità, una dinamica nuova rispetto al passato. In tutto questo c’è una rottura di taluni schemi tradizionali e consunti, c’è la rottura con una politica fatta dentro le stanze del potere che non parla alla gente e che discute solo tra sé e sé. C’è il senso di un nuovo modo di fare politica avvicinandosi alla gente e avendo il coraggio di confrontarsi senza tanti patemi d’animo. Un modo nuovo e diverso di fare politica che tanti sancataldesi hanno mostrato di apprezzare. “Trasparenza e voglia di confronto per evitare inutili speculazioni, vi aspetto”: è questo che il sindaco dice ai suoi cittadini quando li invita agli incontri al bar. E i cittadini, nonostante le bollette, apprezzano il suo sforzo, e lo eleggono a icona di ammirazione. Uno di loro, su facebook, ha commentato così la sua iniziativa “Caffè e confronto”: “Inutile discutere, ammiro il mio sindaco giorno dopo giorno. Sono fiero di essere rappresentato da persone così, con tanta voglia di dare alla collettività, ma se proprio devo essere sincero, ammiro la forza che hai, in tutto. E cerco soprattutto di prenderne vantaggio. Sei un esempio di vita. Il Sindaco della gente”.


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Dal Vallone Verso le Amministrative

A Mussomeli l’esperimento del nuovo Patto dei democratici riformisti

Con il Pdr

Cardinale

acchiappa i voti di destra

di Giuseppe Taibi

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otò Cardinale riparte dal suo paese d’origine: Mussomeli. A maggio testerà la sua ultima creatura, il Pdr, il Patto dei democratici riformisti. Un movimento nato come ala del Pd; più di una corrente, un partito satellite il cui obiettivo, mai nascosto, è di attirare non solo i cosiddetti moderati(una classificazione che vuol dire tutto e il suo contrario), ma soprattutto di traghettare i classici votanti del centrodestra all’altra sponda del fiume. Un Caronte ai tempi di Crocetta e di Renzi. E l’obiettivo di Cardinale sembra, su scala mussomelese, cominciare a funzionare. Bastava vedere le facce della prima fila nel giorno dell’inaugurazione della nuova sede del Pdr di via Palermo lo scorso 13 maggio. Intere famiglie, fino a poco tempo fa date per certe negli ambienti della destra, da un momento all’altro si sono riscoperte progressiste. Ed anche la componente junior del Pdr è piena di rampolli di famiglie tutt’altro che rosse. Una strategia chiara e valida a rodere preferenze su preferenze ai discendenti della vecchia casa delle libertà. Alle prossime elezioni amministrative, salvo capovolgimenti, il centrodestra si presenterà diviso.

piti, e asce di guerra non sepolte del tutto. Alla fine a maggio dovrebbero esserci due candidati sindaci d’area. Da un lato Giuseppe Catania, quarantenne esperto del mondo delle cooperative, sostenuto da Ncd e in ordine sparso da personaggi gravitanti nell’area liberale. Dall’altro lato Mario D’Amico, attuale presidente del Consiglio comunale, leader indiscusso del fronte dei “misurachiani”, per capirci i fedelissimi dell’ex parlamentare Filippo Misuraca. D’Amico potrà contare sul sostegno di Salvatore Mancuso, in passato consigliere provinciale e direttore sanitario dell’Asp nissena, detentore di una buona riserva di voti. Divisioni che finiranno inesorabilmente per avvantaggiare il centrosinistra. Compatto, unito, solido. Una corazzata e che affida il progetto di riconfermare la guida del municipio ad Amedeo Cumella,

Cardinale la sfida ha una valenza simbolicamente preponderante; battezzare con un trionfo nel suo stesso paese la sua ultima invenzione politica risulterebbe un successo personale importante, una medaglia da appuntarsi al petto quando si siederà negli ambienti palermitani che contano, lui che oramai è diventato uno degli azionisti di maggioranza del governo Crocetta. D’altronde le strategie democratiche di recente stanno prendendo una piega molto “ecumenica”. Ad Agrigento le primarie del Pd le ha vinte un uomo di Forza Italia, a Ragusa pezzi della

In queste elezioni si frantumano i partiti principali: molti eserciti, troppi generali e pochi soldati

di assoluta fedeltà. Una strategia, basata sulla forza dei numeri, che potrebbe risultare vincente. Per la cronaca, il panorama dei candidati alle prossime elezioni del 31 maggio e del primo giugno non si esaurisce con i nomi di Cumella, Catania e D’Amico. Bisogna annotare anche la presenza di un ingegnere ventinovenne, Rino Genco, portavoce del comitato politico Pensare solidale. Un minuscolo Davide contro tre mastodontici Golia.

La polemica LA RETE NON PERDONA. SCOPPIA IL CASO SULLA BERLINA DI CROCE

L’auto Blu dell’assessore in divieto di sosta

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e elezioni di fine maggio saranno di sicuro social. La campagna elettorale verrà combattuta a colpi di post. E Facebook già diventa luogo di scontro tra fazioni avverse. Oramai ogni gruppo ha il suo profilo, ogni candidato elargisce commenti al mondo della rete, e tifosi di ogni risma si stuzzicano lan-

sosta, in prossimità del crocevia più trafficato della città , quello tra via Palermo, via Madonna di Fatima e il viale Sorce. E l’auto blu, con tanto di lampeggiante assicurato sul tetto, ha provocato non solo problemi alla circolazione, ma ha indispettito e imbufalito il mondo del web. Qualche internauta ha pure immortalato

ciando stilettate a destra e a manca. E nell’era della tecnologia, dove ognuno, grazie ausili di ultima generazione, si trasforma in cronista d’assalto, allo scopo di creare casi, di urlare contro presunti scandali, “leggerezze” solite nel passato non possono di certo passare inosservate. Come quando la sera del 13 marzo, giorno dell’inaugurazione della sede del Pdr, l’auto blu dell’assessore regionale al Territorio Maurizio Croce è rimasta posteggiata per ore in divieto di

la berlina ferma all’incrocio e immediatamente l’ha postata su Facebook, provocando le ire funeste della claque anti-casta. Una ridda di commenti contro il “politico che si infischia delle regole seguite dai comuni cittadini”. E qualcuno se l’è presa pure contro i vigili urbani, rei di non avere elevato una contravvenzione all’auto blu dell’assessore giunto da Palermo e a quanto pare a digiuno delle più elementari regole della circolazione stradale.

Il candidato a Sindaco Amedeo Cumella

D’altronde la frantumazione è la peculiare caratteristica dell’intero fronte. Troppe guerre fra bande, troppi generali e pochi soldati. Per dirla tutta, troppe teste e l’assenza di una strategia collegiale. E nemmeno l’opposizione comune al sindaco Salvatore Calà e al suo Pd è servito da collante alla coalizione. Sono emerse vecchie ruggini, dissapori mai so-

avvocato sessantenne, da sempre vicino al Pd. Partito che non verrà fagocitato dalla forza travolgente del Pdr, tanto che verrà presentata una lista di chiara fede democratica. Un tandem messo in piedi per rilanciare un’opa sul palazzo di città con l’obiettivo di continuare a gestire il potere conquistato cinque anni fa con la vittoria di Calà. Per

destra sono emigrati nelle fila piddine. Nell’epoca in cui i partiti hanno perso il legame con le ideologie, mitizzando gli uomini più che le idee, tale deriva pare più che giustificata. Cardinale, che ha nel suo dna pure il dono della premonizione, ha da sempre teorizzato aperture verso destra necessarie a portare voti al suo schieramento. Il nuovo corso renziano venivano teorizzate anni fa dall’ex ministro delle Comunicazioni. E i risultati sembrano dargli ragione. Le fila piddine all’Ars crescono, nonostante i mugugni dei duri e puri, di coloro che agognano un Pd “de sinistra”. E seguendo questa scia, anche a Mussomeli il fronte progressista imbarca ex forzisti, centristi orfani di padrini, conservatori


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Fatti & Sport

Torregrossa

la dinastia del gol

Lirio re di San Cataldo, Ernesto principe di Crotone di Donatello Polizzi

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orregrossa, sinonimo di calcio a San Cataldo: storia di una dinastia che si perpetua nel segno del gol, dal padre, il mitico Lirio, al figlio, il promettente Ernesto, in forza al Crotone in serie B. La provincia nissena fucina di “potentati” sportivi che hanno come minimo comun denominatore il successo frutto di passione e sacrifici in un territorio in cui fare sport è un’impresa; abbiamo raccontato dei Scarantino (Giovanni e il figlio Mirko), adesso è il turno dei Torregrossa. Lirio, 47 anni, una stagione in serie A nel Torino 85/86 allenato da Luigi Radice e poi il ritorno a San Cataldo per scrivere una delle più belle pagine del calcio dilettantistico siciliano, con la Sancataldese che grazie ai suoi gol volò dalla seconda categoria alla Serie D. Oggi nel raccontare di suo figlio, esordisce: “Per me la cosa più importante è che si comporti bene, che ovunque è stato abbia lasciato un ricordo positivo più per le sue doti umane che per quelle tecniche. Io non sapevo, quando lui era adolescente, se avesse

avuto la possibilità di approdare nel calcio che conta. La scorsa stagione con i 13 gol in lega Pro nel Lumezzane, già ero felice per lui. Lui caparbio e testardo, si è migliorato e quest’anno in serie B già ha realizzato 8 reti. Io spero per lui dieci anni di B, che mantenga i piedi per terra: nel calcio i contratti finiscono. Poi, ovviamente, se dovesse ancora progredire nella sua carriera ne saremo felici”. Lirio, si dibatte nel ruolo di padre rigoroso, ex-allenatore ed ex calciatore, amorevole verso la famiglia e i figli, ma mai accondiscendente. “Una volta scherzando gli dissi, ma come tuo fratello Raul (il fratello minore gioca a calcio negli allievi) calcia destro e sinistro, e tu ancora no?Lui mi ha risposto, certo quando io eri piccolo tu eri sempre in giro a giocare. Questo dimostra l’equilibrio ed il realismo di mio figlio che praticamente da quando ha 15 anni, vive solo. Allorà si trasferì a Lucca, società che poi fallisce. Si palesa un interessamento della Juve, poi sembra sul punto di volare in America per una tournèe con gli Allievi Nazionali dell’Inter, ma giunge un telefonata dell’Udinese e ci rechiamo in Friuli per

parlare con l’allora direttore sportivo dei bianconeri, Pietro Leonardi. Io gli dissi, Ernesto, hanno un settore giovanile fantastico, non badare ai soldi. Fecero un’offerte rilevante per il suo cartellino e gli offrirono un contratto per cinque anni. Ricordo ancora la scena, inizialmente temporeggiamo. Uscimmo dalla stanza, e dopo esserci allontanati dalla sede, sicuri di non essere visti, ci abbracciamo felici come due bambini. Poi il resto è storia recente. Nel 2010 Mauro Gibellini lo porta a Verona. A gennaio passa al Siracusa. Nel 2011/2012 passa al Monza, 4 reti. Nel 2012/2013 il passaggio al Como, sempre in serie C1, ma qui resta fino a gennaio, quando poi passa al Lumezzane, dove dopo un periodo di ambientamento esplode nella stagione successiva: segna 13 gol in campionato e 2 in Coppa Italia”. Lirio, lottatore di campi in terra battuta, pronto sempre alla battaglia agonistica nella s u a

carriera, tenta di infondere questo spirito ad Ernesto. “Ricordo che ne primi giorni a Lucca, una mattina mi telefonò dicendomi, che non trovava la scuola. Gli dissi, che faccio salgo in macchina? Ti vengo a prendere io? Ti accompagno. Chiuse il telefono,era il mio modo di spronarlo”. Fioccano gli aneddoti. “Mia moglie, la sua fan più accanita, un giorno mi convinse ad andarlo a vedere. La sera a casa, Karina, mi stuzzicò affinchè giudicassi la sua prova; non puoi giocare, cerchi solo numeri, tunnel, non vai mai in profondità. Fu un pianto generale. Gli spiegai il calcio è divertimento, ma anche sacrificio per chi vuole andare avanti”. Si illuminano gli occhi, Lirio racconta senza sosta di

una famiglia unita, di sua moglie Karina, di Ernesto, di Raul che gioca a calcio, senza dimenticare la piccolina, la bellissima Dominique. “Ora ogni volta che viene a casa, o quando ci sentiamo

A sinistra Lirio Torregrossa con la moglie Karina Rezzonico. Sopra, l’esultanza del giovane Ernesto dopo un gol con la maglia del Crotone. In alto a destra Ernesto, Lirio, Raul e la piccola Dominique.


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Lo sport e i figli

Quando i genitori si trasformano in Ultras

I a telefono, mi racconta i dettagli del movimento, del tiro, di come si è liberato. Anzi per evitare che mi possa perdere qualche sua giocata, mi ha regalato Sky per la B e se non guardo la partita sono…guai”. Ernesto, conosce il carattere del padre e ne apprezza ogni sfumatura. “Io ho amato il calcio sin da piccolo, da quando all’asilo giocavo durante la ricreazione. Il mio idolo è, è sempre stato, mio padre. Già so che prima mi sottolinea sempre gli errori, come avrei dovuto fare per rendere al meglio e poi, qualche volta, ma solo qualche volta – lo rimarca sorridendo – mi fa qualche complimento”. La prima stagione nella serie cadetta per Ernesto si sta rivelando positiva. Merito della sua caparbietà e professionalità, ma anche del Crotone. La società calabra è un piccolo gioiello “sportivo” che con professionalità e parsimonia, affronta la serie cadetta. Dal presidente Pasquale Vrenna al tecnico Massimo Drago, un modo sano di intendere il calcio. Ernesto ha realizzato il suo primo gol

ci”. I gol per una punta sono tutto. “Ricordo ancora 5 reti segnate quando indossavo la maglia dell’Invicta in una gra contro la Juve Nissa, mio papà era in tribuna a guardarmi”. Il presente è a tinte rossoblù. “Il mio obiettivo è ottenere la salvezza con il Crotone e segnare gol ‘importanti’. Il mio carettere socievole ed estroverso mi ha consentito di ambientarmi subito. Ho legato molto con Gian Marco Ferrari e Stefano Padovan”. Ovviamente non solo calcio nelle sue giornate. “Insieme a loro, organizziamo spesso cene. Giochiamo alla playstation, (giochi preferiti Fifa 15 e Call of Duty). Trascorriamo il tempo come fanno normalmente i ragazzi. Non manca la musica, prediligo DJ Ax, una passione trasmessami da mio cugino Lillo con cui ho un rapporto preferenziale. Adoro le polpette crotonesi, sono una specialità succulenta”. Bomber anche di cuori? “No, sono felicemente fidanzato, quando lei è con me, pizza, passeggiate sul lungomare, cerchiamo di trascorrere più tempo possibile insieme”. La sensazione è che nella dinastia Torregrossa sul trono di bomber stia per sedersi il

l trevigiano Silvio Maras costringeva il figlio, notizia da prima pagina di numerose testate dello scorso anno, giovane promessa del nuoto, a subire continue pressioni psicologiche e allenamenti particolarmente intensi e, non pago, gli imponeva di assumere grandi quantità di integratori proteici, creatina e aminoacidi ramificati, al fine di migliorarne le prestazioni. Complimenti e premi se vinceva, parole dure e maltrattamenti se perdeva. Parte una denuncia da parte di amici e parenti: il tribunale toglie la patria potestà a entrambi i genitori, patteggia con il padre aguzzino due anni di detenzione e il ragazzino viene affidato ai servizi sociali. Forse si tratta di un caso

cietà così competitiva siamo talmente abituati all’idea di eccellenza che, quando si verificano situazioni non proprio ottimali, tendiamo subito a sminuirle ulteriormente. Se un bambino di appena sei anni non fa mai canestro, allora non sarà mai un campione. Ciò è quanto pensano molti adulti quando il rendimento dei loro generati non risponde alle loro aspettative più o meno manifeste. Genitori che non hanno capito che con l’allenamento e la costanza si assiste spesso a miglioramenti impensabili e, soprattutto, che se il figlio è contento di essere lì e svolgere quello specifico sport, non devono di certo essere i genitori a insinuare insicurezza, dubbi o paure. Se si divertono e si fanno

2. I genitori stimano il figlio nonostante gli errori e i limiti, cercando di non sottolineare più del dovuto una gara mal riuscita ed evitando nel modo più assoluto rimproveri, perché producono solo ansia da prestazione. 3. I genitori devono incitare i figli a migliorare, facendo capire che l’impegno negli allenamenti sarà una futura fonte di soddisfazioni. Devono evidenziare i miglioramenti, sdrammatizzando gli aspetti negativi e incoraggiando quelli positivi. 4. I genitori devono aiutare i figli a stabilire tappe e obiettivi realistici e adeguati alle loro reali possibilità. 5. I genitori devono fare capire che saper perdere è difficile, ma che nel

estremo, ma se ci capita di assistere a qualche competizione sportiva giovanile di qualsiasi disciplina, non possiamo evitare di accorgerci come frotte di mamme e papà amorevoli e normalmente perbene, riescano a trasformarsi, abbarbicati alle reti di un campetto di calcio o scompostamente seduti sulle tribune di un palazzetto, in fanatici urlatori che insultano tutto e tutti, compresi i propri figli, se le loro performance non corrispondono alle loro aspettative. E così lo sport che per i giovani è soprattutto passione, socializzazione e divertimento, diviene solo fonte di ansie, paure, tensioni per timore di non soddisfare le ambizioni del loro principale punto di riferimento, la famiglia.

nuovi amici correndo e saltando, capendo cosa sia il lavoro di gruppo, responsabilizzandosi e crescendo con sani principi e in salute, perché

contempo è più importante che saper vincere, perché nello sport, così come nella vita, il più delle volte non si vince. L’importante dopo una ca-

GENITORI IN VERSIONE ULTRAS Questi spettacoli, non certo edificanti,

in serie B il 12 ottobre 2014 nella gara persa dai calabri tra le mura amiche per 4 a 1. “Adoravo Gabriel Omar Batistuta, sia per i capelli lunghi e per i gol. Molte torte dei miei compleanni, riportavano la sua effige”. Il legame con la famiglia, un’isola felice, è davvero saldo: “Non nego che mi pesa tanto stare lontano dai miei genitori, ma anche loro, giocoforza, hanno imparato a conviver-

giovane Ernesto. Chiediamo a Lirio, non hai paura di essere spodestato? Sorride, guarda le pareti, piene di foto che lo ritraggono in maglia verdeamaranto e conclude: “A San Cataldo, per quello che ho fatto per questa maglia che ho nel cuore, Torregrossa sarà sempre… Lirio”.

sono in genere offerti da adulti che nel loro passato giovanile hanno avuto ben poco a che fare con lo sport o che, perché poco dotati, a loro volta sono stati pressati da genitori altrettanto esigenti. Madri e padri che riversano sul figlio tutte le frustrazioni e le insoddisfazioni collezionate nel corso della vita precedente la sua nascita e che tramite il figlio vivono un prolungamento della loro personalità, in termini di aspirazioni realizzate attraverso la loro riuscita. E così se si ritrovano un piccolo atleta un po’ dotato, ecco che pretendono da lui che diventi un Pirlo o una Pellegrini, quando si sa che, se va bene, solo uno su cinquantamila vedrà mai scritto il suo nome su un qualsiasi palmares. Ma può anche accadere che il piccolo faccia una gran fatica e sia scarso. Situazione, per altro, molto comune e affatto disdicevole. Ma in questa so-

In questa società, resa ancora più competitiva dalla crisi, troppo spesso madri e padri riversano le loro frustrazioni sui figli che praticano sport levare loro questa possibilità, solo per un atto egoistico di chi, prima di loro, non è riuscito a conseguire le gratificazioni tanto agognate. Insomma, i genitori devono imparare a vivere lo sport in modo tranquillo e sereno, rendendo l’agonismo un oggetto interessante e piacevole, ricordando che si tratta sempre e comunque di un gioco. Il genitore utile allo sport… e allo sviluppo psichico e motorio del figlio. IL DECALOGO Ora riassumeremo, in una sorta di decalogo, i comportamenti e atteggiamenti che ogni genitore dovrebbe assumere, seguendo le linee guida di psicologia sportiva attuali, in modo che possano rendere l’attività sportiva del proprio figlio il più efficace, divertente e soddisfacente possibile. 1. I genitori, conoscendo e capendo il proprio figlio per le qualità, i limiti, le intenzioni, i desideri, i bisogni, gli errori e gli insuccessi devono stimolare e incoraggiare la pratica sportiva, lasciando che le scelte e i ritmi dell’attività siano condivisi e accettati dai figli.

duta è rialzarsi. 6. I genitori devono tener conto che l’attività sportiva è svolta da bambini e non da adulti e che i compagni e gli avversari dei propri figli sono anche loro bambini da rispettare e, come tali non si devono offendere con paragoni o giudizi di qualsiasi genere. 7. I genitori devono trasmettere i concetti di rispetto delle regole, di rispetto dei compagni e degli impegni, collaborando al raggiungimento degli obiettivi stabiliti dagli istruttori e dalla società. 8. I genitori devono stimolare la crescita del proprio figlio, sviluppando lo sviluppo della sua indipendenza ed evitando di essere onnipresenti in tutte le situazioni. 9. I genitori non devono interferire nelle scelte tecniche e nelle decisioni degli istruttori. Devono imparare e insegnare a rispettare il ruolo dei tecnici e a collaborare con loro, evitando di esprimere rimostranze o critiche. 10. I genitori devono rispettare le votazioni dei giudici o arbitri, che devono essere assolutamente insindacabili, seppure talvolta sbagliate.


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il Fatto Femminile

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di Rosario Neil Vizzini

La “Strada degli scrittori”

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Femmina

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n auto, viaggiando sotto la pioggia tra buche e fanghiglia, pensavo sarebbe stata un’intervista tra le più difficili e complesse. E invece tutti i timori si sono sciolti in pochi minuti seduto in un elegante salotto affacciato sul castello arabonormanno di Delia e davanti a un buon caffè. Grazie a Lina Riccobene, donna di molte virtù, interessi e iniziative – un personaggio unico e raro nel panorama della provincia di Caltanissetta – insomma un vulcano. Ma rassicurante, che non travolge, che non distrugge. Anzi, costruisce, coinvolge e diverte. Osservazioni le sue sempre puntuali,

Lina Ricobene è un vulcano creativo: tredici commedie, undici opere teatrali, tredici libri di poesia circostanziate e illuminanti. Un mix tanto inestricabile quanto convincente di esperienza da insegnante elementare, di psicologa, di saggezza popolare, di commedia brillante, di poesia e non ultima di mamma e nonna. Un esempio lampante è il suo pensiero sulla questione femminile, quella per cui questa stessa rubrica è nata: «Sì è vero – dice – il ruolo delle donne è cambiato. Ma anche noi sbagliamo. E il primo nemico della donna è la donna stessa. Proprio per questo è necessario che ci assumiamo le nostre responsabilità senza scaricarle sugli uomini. Io ho grande rispetto per l’uomo. La figura maschile è fondamentale per la donna. La quale pur essendo diventata attiva, dinamica, intraprendente e perche no anche dominante ha sempre bisogno di sentirsi rassicurata, protetta ». Ero venuto solo per una cosa ma trovo una quantità sconfinata di interessi. Cominciamo dalle commedie. Quando ha iniziato a interessarsi di teatro? «Ho iniziato quando facevo la maestra elementare, per fini didattici come si suol dire. Avevo notato che i bambini erano svogliati verso l’apprendimento della Storia. E allora per renderla appetibile ho riscritto

la storia dal Risorgimento ai nostri giorni sotto forma di commedia dialettale. Il successo è stato, inatteso anche per me: i bambini, tutti di 10 anni, calandosi nei panni dei grandi personaggi della storia – Garibaldi, Mazzini, Cavour, Mussolini, Hitler, fino a Pertini – hanno introiettato la materia in modo straordinario. E’ stato così che io stessa, grazie a loro, ho scoperto di avere questa vena teatrale che oggi mi permette di esprimere le tante sfaccettature della mia personalità». Quante commedie ha scritto? «Tredici. Ma con farse, scenette e musical andiamo oltre le 24 opere teatrali. Più tredici libri di poesie. Quadretti storici e dialettali della nostra civiltà contadina, per quanto riguarda il teatro, mentre le poesie sono in italiano». Nella commedia che ho visto ho notato un grande protagonismo femminile nonostante non sia ambientata in tempi recenti. «È così in tutte le mie commedie. E questo perché ho sempre vissuto a Delia, un paese agricolo, dove in passato gli uomini uscivano alle quattro del mattino per andare in campagna e tornavano la sera. Erano le donne che gestivano tutto il resto, erano forti, avevano carattere”. Cosa ci guadagna da questa attività letteraria? «Nulla di materiale. Anzi a volte ci rimetto di tasca mia. Ma non importa. Quando presento i miei libri invito anche dei critici affermati, ma a fine evento i libri li regalo. I sentimenti non si vendono». E l’amore per la psicologia quando è iniziato invece? «Sempre quando facevo la maestra, notando che molti bambini avevano problemi di comunicazione. Non di relazione, ma di comunicazione. Secondo me vuoi per timidezza vuoi per situazioni familiari Avevano difficoltà ad esprimere se stessi, finendo per essere prevaricati dai pochi estroversi, quelli che noi oggi chiamiamo bulli. Così presentai un progetto di comunicazione. E dopo, con il desiderio di approfondire, mi iscrissi, di nascosto dagli altri colleghi insegnanti, a Psicologia conseguendo la laurea. Ho finito una seduta psicologica poco prima che arrivasse lei. Mi creda, le famiglie e le coppie veramente serene si contano sulle dita di una mano». Come è stato che le sue commedie sono arrivate fino in Canada?

«Ah okkei okkei, ìu ora faciri telephon a lu paisi pi truvari una brava gherlafrienda. Ah ìu aviri bonu job a lu Canadà, aju unu carru di cca finu a ccà e unu build cu la yarda davanti, ezzò» Uahahahahahah… «Questo è Charlie Mangiapane, il protagonista di Matrimonio per procura che parla in Italiese. E’ nato tutto con questa commedia, nata a sua volta da poco più di una ventina

a Delia non siamo rimasto fermi. Abbiamo fondato l’Associazione “Amici per di(a)letto” per rappresentare le commedie, ma abbiamo anche messo su un Laboratorio teatrale per bambini e adolescenti, il Gruppo Folkloristico chiamato “Per bambini da 6 a 40 anni”, la scuola di danze tradizionali. E da ieri sera (25 febbraio, ndr) sono impegnata anche in politica». Con chi?

«Sono stata nominata presidente dell’Udc di Delia. Ma ho accettato solo per un motivo. Perché vedo tanti giovani disamorati verso la politica, arrabbiati, e non hanno torto, voglio aiutarli a ritrovare una coscienza politica, a tornare a credere che l’impegno in politica è dovere che abbiamo verso gli altri». Sulla strada del ritorno invece ripensavo alla “Strada degli scrittori”: www.stradadegliscrittori.it. Un progetto di cui si parla poco, a parte qualche iniziativa di piccolo cabotaggio a livello locale, ma cruciale per l’area di Sicilia che interessa, le province di Caltanissetta e Agrigento. Si tratta, sulla carta, di un percorso turistico-letterario, ma anche enogastronomico, antropologico,

A sinistra Lina Riccobene in Canada con Michael Lettieri, Preside del Dipartimento di Italianistica dell’Erindale College di Mississauga, e il Rettore della Toronto University Salvatore Bancheri

di termini anglo-siciliani che avevo appuntato da piccola sentendo parlare i parenti tornati dal Canada in vacanza a Delia. La commedia, messa in scena una serata organizzata da un’Associazione di emigranti deliani è sta presa in esame da Michael Lettieri, Preside del Dipartimento di Italianistica dell’Erindale College di Mississauga, anche grazie a Salvatore Bancheri, deliano di origine e Rettore della Toronto University. Lettieri ha ritenuto la commedia di alto valore socio-culturale facendola studiare e mettere in scena dai suoi allievi. E così sono stata invitata ad assistere alla rappresentazione. Una soddisfazione e soprattutto un divertimento vedere tutti quegli emigrati ridere della loro stessa lingua. Potevo sapere io che da sole 24 parole avevo inventato una lingua? Da lì poi la commedia è passata negli Stati uniti d’America, in Vermont. E adesso stiamo vedendo di portarla in Germania. Come? «Giustamente lei non sa che qui

A Delia abbiamo fondato un’associazione, un laboratorio e un gruppo folkloristico

sociologico. Ma a parte Andrea Camilleri (che sta a Roma) e Simonetta Agnello-Hornby (che sta a Londra) gli altri autori sono tutti morti: Leonardo Sciascia, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Luigi Pirandello, Pier Maria Rosso di San Secondo, Antonio Russello. IlFattoFemminile ne ha trovato invece uno vivo, donna, che non si è mai allontanata dalla sua terra ed è un vulcano di iniziative culturali.


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www.ilfattonisseno.it

Marzo


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