Stay Safe! 49 writings, extracts and thoughts at the time of lockdown

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STAY SAFE! 49 writings, extracts and thoughts at the time of lockdown

Istituto Italiano di Cultura Londra



STAY SAFE! 49 writings, extracts and thoughts at the time of lockdown

Istituto Italiano di Cultura Londra


Contents Introduction A cura di

1 La grande guerra (Enrico Franceschini) 2 ‘Acque lombarde’ (Sergio Corazzini) 3 Ce la faremo (Caterina Soffici) 4 Citazioni che ci hanno particolarmente colpito (Paolo Tononi e Gemma Cornetti) 5 ‘Osservazione 1’ (Antonella Anedda Angioy) 6 Dante (Margherita Calderoni) 7 Il mio saluto con Rodari (Marco Gambino) 8 Peppe Zarbo legge Pirandello (Peppe Zarbo) 9 Intervallo di riflessione (Bernardino Branca) 10 La Vita è, in effetti, grottesca (Stefano Farinelli) 11 Londra. Chiuso in casa, come tutti (Maurizio Cinquegrani) 12 Quartina persiana (Sandro Veronesi) 13 Lessico famigliare (Ornella Tarantola) 14 Ricordare Raffaello (Claudia La Malfa) 15 La monaca Vincenza e l’archivio (Sara Delmedico) 16 Post-coronial studies (Maurizio Ferraris) 17 L’arte non si ferma (Andrea Granitzio) 18 Il sogno di Michelangelo (Ketty Gottardo) 19 Mazzini a Londra (Michele Finelli) 20 Among the trees (Giuseppe Penone) 21 Un consiglio di rilettura: il Decamerone (Paolo Nelli) 22 Scuola di italiano durante il lockdown (Margherita Laera) 23 I migliori anni della nostra vita (Maurizio Fabrizio) 24 Tullio Crali: A futurist life (Estorick Collection) 25 Ho sconfitto Covid 19 (Massimo Fenati)

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Il cinema e noi (Lorenzo Tamburini) Text

Londra città “fantasmagorica” (Andrea Del CornÒ) Lorenza e Sebastiano, St Thomas Hospital, 14 Agosto 2016 (Marco Delogu) 29 The global fortune of Futurismo: The International Yearbook of Futurism Studies (Günter Berghaus) 30 Monk misterioso showreel (Filomena Campus & Theatralia) 31 Anglo-italian o italo-inglese (Katherine Gregor) 32 Memory hunting in London (Katia Pizzi) 33 Il teatro in casa (Alessandra De Martino) 34 A tremendous companion: Foscolo in London (Katia Pizzi) 35 Cambiamento (Mario Fortunato) 36 The ideological marking of space (Egon Pelikan) 37 Art and museums in times of crisis (Katia Pizzi) 38 L’Italia e la coscienza civile (Maria Falcone) 39 In memory of Jannis Kounellis (Stephen Bann) 40 How I write The Buddha of Suburbia (Hanif Kureishi) 41 What will we make of this (Hanif Kureishi) 42 Unicorns, bezoar stones and vipers (Martina Mazzotta) 43 Stay at home (Anonymous street artist) 44 Il giardino aperto (Cristina Marconi) 45 Pinocchio returns (Georgia Panteli) 46 Six memos (Valeria Vescina) 47 Lerici (Boyd Tonkin) 48 Translation as dance (Katherine Gregor) 49 L’isola che non c'è (Gianmarco Mancosu)

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Introduzione In questo snello libretto l’Istituto Italiano di Cultura di Londra ha il piacere di raccogliere riflessioni, pareri, parole di incoraggiamento, immagini, musica, citazioni e visuali ironiche tra Londra e l’Italia che hanno accompagnato il lungo lockdown dell’inverno e primavera 2020. Ringrazio di cuore gli amici scrittori, studenti, attori, fotografi, giornalisti, ricercatori e musicisti che hanno risposto alla nostra proposta con tanto entusiasmo, contribuendo con le loro affettuose ‘pillole di cultura’ ad alleviare la solitudine del tempo presente. Katia Pizzi, Direttore IIC Londra

Introduction The Italian Cultural Institute in London has great pleasure in gathering together in this slim booklet reflections, thoughts, encouraging words, images, music, quotations and ironic vistas between London and Italy to accompany the long lockdown of Winter and Spring 2020. My heartfelt thanks to all friends, authors, students, actors, photographers, journalists, scholars and musicians who enthusiastically welcomed this proposal and whose loving ‘intellectual pills’ helped mitigate the loneliness of the present. Katia Pizzi, Director ICI London 5


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1 LA GRANDE GUERRA Enrico Franceschini, giornalista e scrittore Si dice che noi italiani diamo il meglio nelle emergenze, nei momenti drammatici. Se ne cercate una prova, riguardate La Grande Guerra, uno dei capolavori di Monicelli. Su YouTube lo trovate gratis, integrale. Alberto Sordi e Vittorio Gassman sono due soldati italiani nella Prima guerra mondiale. Due furbacchioni, scansafatiche, più impegnati a fregare il prossimo che a combattere per la patria, nella speranza innanzi tutto di salvare la pelle. Ma alla fine si vedrà che sanno trovare dentro di sé uno scatto di orgoglio, di dignità, perfino di supremo eroismo. È un film che fa ridere, ma fa anche pensare. In questi giorni la “furbizia” italiana (scritta proprio così fin nel titolo, nella nostra lingua) è finita in prima pagina sul New York Times come una caratteristica nazionale: il Coronavirus, si è chiesto l’autorevole quotidiano, ci renderà più ligi alle regole, più onesti, più sensibili all’interesse collettivo anziché al proprio? Per il momento sembrerebbe di sì. Forse vale per tutti i popoli: “Il contadino si fa il segno della croce soltanto quando ode il tuono”, recita un vecchio proverbio russo. Le persone non sono buone o cattive a seconda del luogo in cui nascono: sono le circostanze, le situazioni, a renderle tali. Comunque, La Grande Guerra è un gran film. Rivederlo, chiusi in casa, sul divano, davanti alla tivù, serve anche a ricordarci quante ne hanno passate i nostri genitori e i nostri nonni. E questa, contro un nemico invisibile, è la nostra prima vera grande guerra. 6


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2 ‘ACQUE LOMBARDE’ (1904) Sergio Corazzini Scelto da Katia Pizzi, Direttore IIC Londra Dal nostro patrimonio librario, Biblioteca Eugenio Montale, Istituto Italiano di Cultura, Londra. Acque serene ch’io corsi sognando ne la dolcezza de le notti estive, acque che vi allargate fra le rive come un occhio stupito, a quando a quando, o nostalgiche acque di sorgive mormoranti nel verde un sogno blando, acque lombarde ch’io vo’ sospirando sempre, tanto il ricordo in cor mi vive, di voi l’anima dice acque stagnanti ne’ verdi piani de la Lombardia, di voi fonti giocose scintillanti a’ dolci soli del fiorito maggio e su voi la sognante anima mia muove per suo spiritual viaggio.

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3 CE LA FAREMO Caterina Soffici, scrittrice, editorialista de La Stampa e collaboratrice del settimanale Tuttolibri Noi che per mestiere lavoriamo con le parole, lo capiamo subito se qualcosa stona. E’ un po’ come i musicisti con una nota fuori posto. Spesso non si riesce subito ad individuare cosa di preciso ci crea quella sensazione. Ma sappiamo che è stonata. Da qualche giorno io provo una sensazione di fastidio quando mi imbatto in tre semplici parole: “Andrà tutto bene”. Paradossalmente sono quelle che la gente ha scelto per diffondere ottimismo. Le vedo sui social, disegnate dai bambini segregati a casa, negli arcobaleni alle finestre, scritte a pennarello sul pannolino della prima neonata dell’era del Covid19. Quel fastidio adesso ha preso corpo e ho capito perché. Perché non andrà affatto bene per tutti quelli che hanno perso un nonno, un padre, una madre, un figlio, un marito. Spesso entrambi i genitori. Non andrà bene per Bergamo e per Brescia, dove intere comunità vengono sterminate da questo nemico invisibile ma che riempie i camion dei militari di bare. Non andrà bene per chi da questo incubo si risveglierà senza un lavoro e con la vita stravolta. Non andrà bene per chi ha un’attività commerciale che ha dovuto chiudere e chissà se riuscirà a riaprirla. Allora per favore cambiamo le tre parole. Facciamo che diventino altre tre: “Ce la faremo”. Non sta andando affatto bene, ma ce la faremo. 8


Stay Safe! Perché di questo sono sicura. Ce la faremo perché gli italiani sono un grande popolo che di fronte alle difficoltà dà il meglio di sé. E perché le crisi tante volte sono catartiche, le necessità spazzano via incrostazioni e chiusure mentali. Ce la faremo perché i nostri figli, dopo questa esperienza, saranno migliori. Meno egoisti. Più attenti. Più grati di quello che hanno e più consapevoli che tutto si può perdere in un momento. Che il benessere non è scontato. Che la morte, finora così lontana per loro, sterilizzata dietro il video di un film o di un gioco da consolle, appartiene alla vita degli umani. Saranno consci che devono rimboccarsi le maniche e costruire qualcosa di migliore di quello che siamo riusciti a fare noi. E che la vita vissuta al meglio e non ne va sprecato neppure un goccio.

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4 CITAZIONI CHE CI HANNO PARTICOLARMENTE COLPITO Fabio Tononi e Gemma Cornetti, Ph.D. candidates, The Warburg Institute, School of Advanced Study, University of London “The meaning of life is the most urgent of questions”. Albert Camus “It is clear to you, I am sure, Lucilius, that no man can live a happy life, or even a supportable life, without the study of wisdom; you know also that a happy life is reached when our wisdom is brought to completion, but that life is at least endurable even when our wisdom is only begun”. Seneca “A person who concentrates before a work of art is absorbed by it”. Walter Benjamin “A true idea must agree with its object”. Baruch Spinoza “Always allow yourself to have desires in order to observe its manifestations”. Lao Tzu “Occorre bruciare tutto il passato, e ricostruire tutta una vita nuova: non bisogna lasciarci schiacciare dalla vita vissuta finora, o almeno bisogna conservarne solo ciò che fu costruttivo e anche bello. Bisogna uscire dal fosso e buttar via il rospo da cuore”. Antonio Gramsci “We can learn thinking only if we radically unlearn what thinking has been traditionally”. Martin Heidegger 10


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5 ‘OSSERVAZIONE 1’ (2018) Antonella Anedda Angioy Scelto da Lady Russell of Liverpool

L’alba ci fa coraggio questa luce che sale ci spinge ad ascoltare dissolve ciò che deve. Dice - ora: comincia a perlustrare te per prima, scollando dalla mente la pelle del passato prendendo senza più ira il tuo nulla tra le dita. S’albeschida faghet voluntate sa luxi benit ispinghet a iscultare isfagheret su ki debet – narat: hora, prinzipia a investigare te po prima staccando sa pelle dal passato pigandi su nulla intras tuas ditas, sinza ira.

Per gentile concessione dell’autrice e di Giulio Einaudi Editore 11


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6 DANTE Dante Alighieri, La Divina Commedia, Inferno XXXIV, 139. Scelto da Margherita Calderoni, Proconsole per il Regno Unito, Fiorentini nel Mondo “E quindi uscimmo a riveder le stelle.�

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7 IL MIO SALUTO CON RODARI Marco Gambino, attore

L’attore Marco Gambino saluta l’Istituto e gli Italiani a Londra raccontando il suo esercizio quotidiano: pensare una parola al giorno, in questo caso, “cambiamento”. La esplora leggendo il passaggio di una favola di Gianni Rodari che esemplifica il cambiamento in maniera originale.

Vedi il video sul nostro canale Vimeo: https://vimeo.com/showcase/7368447

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8 PEPPE ZARBO LEGGE PIRANDELLO Peppe Zarbo, attore

L’attore Peppe Zarbo legge un passaggio della commedia Liolà di Luigi Pirandello. Il personaggio riflette sulle cose importanti della vita, quelle più semplici e più a portata di mano.

Vedi il video sul nostro canale Vimeo https://vimeo.com/showcase/7368447

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9 INTERVALLO DI RIFLESSIONE Bernardino Branca, Villa Clara, Mimesis Edizioni, 2020 …Era una specie di grosso e rudimentale marchingegno travestito da diavolo e caricato a molla, che si scuoteva e tremava da solo allo scopo di terrorizzare chi lo guardava, e che ricordava un po’ i Golem della tradizione ebraica. L’automaton o automa – questo il nome scientifico di allora – era un dorso di legno intagliato di realizzazione cinquecentesca, forse originariamente un Cristo alla colonna a cui nel secolo successivo erano stati applicati una testa e un meccanismo a manovella. Questo artificio meccanico ruotava la testa, gli occhi ed estraeva la lingua emettendo un suono inarticolato di ferraglia. L’opera proveniva dalla Wunderkammer o Cabinet de Curiosités del canonico Manfredo Settala, che nel corso della seconda metà del Seicento contava oltre tremila oggetti eccezionali e meravigliosi. Settala amava mostrare agli amici la sua bizzarra collezione, ma voleva che l’emozione del divertimento fosse preceduta da quella della paura, e progettò proprio questo automa per porlo in agguato all’ingresso del Museo. La Memoria della grande peste di Milano del 1630 era ancora viva, e la paura del ritorno di questa, per poter esser sopportata, doveva esser trasformata in un’immagine burlesca. Aby Warburg direbbe: Denkraum – intervallo di riflessione – distanziarsi dalla Tragedia trasformandola in Commedia! Per gentile concessione dell’autore e di Mimesis Edizioni 15


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10 LA VITA È, IN EFFETTI, GROTTESCA Stefano Farinelli, storico dell’arte Ci racconta Vasari che lo scultore Silvio Cosini (1495 - post 1549) primeggiava nelle bizzarrie di cose alla grottesca. Sembra che egli fosse un tipo tanto capriccioso nell’arte quanto nella vita privata. Nonostante il biografo decida di tacere su molte delle sue stranezze, racconta comunque un episodio che ben descrive l’irresistibile follia di questo misterioso maestro. Definito maliastro, uno stregone dunque, secondo il racconto vasariano Silvio avrebbe prestato a tal punto fede al potere apotropaico degli amuleti che per lungo tempo indossò un corpetto fatto di pelle umana, da egli stesso fabbricato scuoiando un defunto dopo averne fatto notomia. Siamo nella prima metà del Cinquecento, e gli studi anatomici non hanno più il valore leonardesco di ricerca scientifica. In essi si cercavano soprattutto nuove ispirazioni. E che Silvio si ispirasse a pelli acconciate in maniere fantasiose per ricavarne bizzarrie da riutilizzare nelle sue composizioni a grottesca appare evidente in uno dei suoi primissimi lavori, il Monumento funebre ad Antonio Strozzi, nella basilica di Santa Maria Novella a Firenze, databile intorno al 1525. Il termine “grottesco” con Silvio assume qui un doppio significato: accanto al valore propriamente antiquario di richiamo alle pitture neroniane, si aggiunge l’accezione più moderna di comicamente spaventevole.

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Stay Safe! Alla sommità si trova infatti scolpita a bassorilievo una maschera deforme che somma tre facce in un’unica testa, che a ben guardare altro non è che la raffigurazione di una testa scuoiata e srotolata. La testa una e trina, con lo sguardo rivolto ad ogni angolo del tempo, è in effetti un antico simbolo di prudentia, ossia di saggezza, virtù che deve aver guidato l’operato del defunto Antonio Strozzi. Donandogli la mollezza della vera carne e dunque la terribilità del monito mortifero, Cosini offre un’interpretazione del tutto moderna di questo simbolo – quante delle future maschere manieriste sono già racchiuse in questa. Prudenza dunque, nella perenne consapevolezza che svuotato dell’anima, l’uomo non rimane altro che un flaccido involucro. La vita è, in effetti, grottesca.

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11 LONDRA. CHIUSO IN CASA, COME TUTTI Maurizio Cinquegrani, storico del cinema e Fellow della Royal Geographical Society Londra. Chiuso in casa, come tutti. Giorni, settimane, forse mesi. Fra le varie tecniche per sopravvivere e mantenere la sanità mentale sto guardando o riguardando tutte le commedie di Eduardo de Filippo oggi disponibili grazie alle registrazioni dei quattro cicli di Il Teatro di Eduardo mandati in onda dalla RAI dal 1962 al 1981. Questa mattina ho visto per la prima volta La Paura Numero Uno, una commedia in tre atti scritta da Eduardo nel 1950 e inserita nella raccolta Cantata dei Giorni Dispari. Il protagonista della commedia, Matteo Generoso interpretato da Eduardo, è traumatizzato dal ricordo della Seconda Guerra Mondiale e ossessivamente terrorizzato dall’idea di una nuova guerra: “Virgì, ci siamo. Parlano chiaro. Non è più un mistero. E come faremo? Chi avrà la forza di affrontare altri disagi, altri guai? Uno pare che tène vint’anne. E poi, a parte gli anni, la guerra passata ci ha distrutto il sistema nervoso, il fisico non ce la fa più. Vuie vedite ‘o Pateterno... e chi se mette a correre ‘e notte, per andare ai ricoveri?” La moglie e il cognato di Generoso decidono di organizzare un finto giornale radio nel quale si annuncia lo scoppio di una guerra combattuta tutti contro tutti! Di fronte alla realizzazione della sua paura numero uno, Generoso si tranquillizza e torna a vivere, ma non prima di fare acquisti in preda al panico in un modo simile a quello che abbiamo visto oggi con lo scoppio della pandemia: 18


Stay Safe! “Con queste due damigiane che ho comprato, sò dieci. Sono in tutto ottocento litri d’olio; ma ce ne vò ancora. Ieri comprai due quintali di zucchero, venti scatole di sapone, trecento candele e millecinquecento rotoli di carta igienica.” Un giorno, forse vicino o forse lontano, usciremo dalle nostre case e la vita quotidiana tornerà ad essere quella di prima. Ma il virus rischia di diventare la nostra paura numero uno. Basterà sentire un colpo di tosse dato da un passante. Qualche linea di febbre. Una mascherina dimenticata e trovata sul fondo della borsa. La paura numero uno che la pandemia ricominci. E se non sarà il COVID-19 allora la paura di un altro mostro scappato dai tradizionali “mercati bagnati” della Cina. Un giorno, forse vicino o forse lontano, usciremo dalle nostre case ma in un mondo cambiato dove faticheremo a ‘truva pace.

Per gentile concessione dell'autore 19


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12 QUARTINA PERSIANA Sandro Veronesi Il saluto che vorrei rivolgere all’Istituto e agli amici che, nonostante la situazione, cercano di rimanere legati a questa voce della cultura italiana, è in realtà una poesia, una quartina, per la precisione, scritta quasi 900 anni fa dal poeta persiano Omar Khayyâm e tradotta nella nostra lingua dal nostro, forse, massimo esperto di cultura islamica, Alessandro Bausani. Fosse dipeso da me, non sarei venuto nel mondo, E se da me dipendesse l’andarmene, mai me ne andrei. E meglio di tutto stato sarebbe se in questo diroccato Convento Non fossi venuto, né andato, né stato, giammai.

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13 LESSICO FAMIGLIARE Ornella Tarantola, The Italian Bookshop, Londra La mia riflessione viene rileggendo Lessico Famigliare. Ognuno di noi ha un suo lessico famigliare, quelle frasi, quelle parole che dette ci riportano a situazioni ad immagini a profumi di casa nostra. Se io ora dicessi una parola a mia sorella ripiomberemmo in un attimo in una certa estate ed entrambe sapremmo descrivere persino i rumori di sottofondo ... grazie solo ad una frase, al nostro lessico famigliare... Parole che sono casa dove sei nata... Che mai come adesso nonostante i miei trentanni qui sento così casa mia. E non esco, così mi sembra da lontano di proteggerla un pochino. Nella mia casa paterna, quand’ero ragazzina, a tavola, se io o i miei fratelli rovesciavamo il bicchiere sulla tovaglia, o lasciavamo cadere un coltello, la voce di mio padre tuonava: Non fate malagrazie! Se inzuppavamo il pane nella salsa, gridava: – Non leccate i piatti! Non fate sbrodeghezzi! non fate potacci! Sbrodeghezzi e potacci erano, per mio padre, anche i quadri moderni, che non poteva soffrire. Diceva: – Voialtri non sapete stare a tavola! Non siete gente da portare nei loghi!

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14 RICORDARE RAFFAELLO Claudia La Malfa, storica dell’arte

La storica dell’arte Claudia La Malfa ricorda Raffaello attraverso le descrizioni del Cardinal Bembo nella sua corrispondenza con il Cardinal Bibbiena nell’aprile del 1516.

Vedi il video sul nostro canale Vimeo https://vimeo.com/showcase/7368447

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15 LA MONACA VINCENZA E L'ARCHIVIO Sara Delmedico, storica e MHRA Fellow Università di Cambridge In casa da settimane, e chissà per quanto tempo ancora, penso, penso tanto e ricordo. Mi sono tornate in mente delle carte che avevo analizzato qualche tempo fa in un archivio in Italia: raccontavano di Vincenza, monaca professa in un monastero pugliese, che nel 1820 si era presentata davanti a un tribunale per chiedere la libertà e la restituzione della sua dote. Vincenza era entrata in monastero da giovane, “coartata dalle minaccie de’ Genitori, e Congiunti, atterrita dalle persecuzioni sofferte, e minaccie rinnovate”. Chissà chi avrebbe voluto essere, Vincenza, se solo avesse potuto scegliere... Vincenza, davanti al tribunale, è ormai una donna anziana, è “gravata, ed affetta da mali fisici”, “ridotta quasi sempre in letto” da un male “che a momenti minaccia la vita, senza trovare l’infelice compassione in veruno dei suoi congiunti, abbandonata perciò da’ medesimi”. Le carte di archivio sembrano polverose, fredde, distanti, ma spesso parlano, gridano. Vincenza mi aveva rovinato la giornata. Me l’aveva rovinata, perché, leggendo le sue parole, avevo sentito il suo dolore, mi era entrato sotto la pelle. Mi è tornata in mente oggi, Vincenza, in questi oggi in cui sono chiusa in casa, a volte quasi sorpresa dalla noia, penso alla libertà, al fatto che noi tutti possiamo essere ciò che vogliamo essere, ma, spesso, non abbiamo tempo di pensare a quanto siamo fortunati a poter scegliere. 23


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16 POST-CORONIAL STUDIES Maurizio Ferraris, President of the Laboratory of Ontology, University of Turin What is “smart working”? Doing nothing, “far niente”, that is, living, cultivating one’s hobbies and interests, studying, writing, exercising and eating. Each of our acts, today, is recorded and produces value, precisely because it instructs the automata that live by imitating souls. This value must be redistributed, but first of all it must be acknowledged. Think of the groups that are most exposed today, namely all those who are employed and poorly paid. What can be done for them? Those who fought against automation, in their case, may have done so for the noblest of reasons, but ultimately caused their misfortune. And what will support the souls once they have been replaced by automata? Digital welfare: the taxation of the enormous surplus value that souls, by the mere fact of living, generate in their interaction with automata. The great Internet platforms have never earned as much as they do today, and if we think about it, the answer to the questions “who will pay Coronabonds?” and “what is the EU doing?” is very simple: Coronabonds will be paid by the platforms, and the EU will collect the taxation and redistribute it in terms of welfare.

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Stay Safe! Welfare means freedom from material needs, but also from ignorance and prejudice – therefore, it also means culture, i.e. a resource that seems particularly valuable in these weeks of quarantine. If the virus, as is to be expected, ends up accelerating the ongoing processes, then so much blood will not have been shed for nothing. But for this to happen we need to be able to think of the future not as the projection of the past (that’s what “smart working” amounts to) but as a radically new era that is coming forward unceremoniously, but that will really change the world, and change it for the better.

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17 L’ARTE NON SI FERMA Andrea Granitzio, Indòru - Boutique del Suono In un periodo in cui la mobilità fisica ci è preclusa, l’immaginazione e la creatività sembrano vivere una stagione di insperata fertilità. Finalmente non si corre contro il tempo, ma si sta sul tempo, quello che il buon senso ci impone di passare a casa tra le mura domestiche. Certo le mura possono limitare il movimento del corpo. Non consentono di camminare all’aria aperta. Camminare. Come tutte le cose del semplice quotidiano, si apprezzano molto di più quando qualcuno o qualcosa ci impone di non goderne. Ma le idee? I progetti? Qual è il limite fisico di un’idea? L’arte non si ferma. Gli scrittori, i pittori, gli scultori, i compositori usano questo tempo per scrivere, dipingere, scolpire, comporre nuove musiche o dar spazio alle idee che non è ancora stato possibile fissare su un foglio, una tela bianca, un masso di pietra, o intrappolare sul pentagramma. L’Istituto di Cultura di Londra è stato per quattro mesi la casa in cui abbiamo avuto modo di esprimere il nostro pensiero musicale davanti ad amici arrivati da tanti paesi. Che fortuna. L’ultima volta il 27 di Febbraio 2020, poco prima che cambiassero le cose. Ma non è stata l’ultima volta. Prepariamoci a un’ondata che investirà tutti: più tempo dovremo stare al chiuso, maggiori saranno le proposte, più ardente sarà l’entusiasmo e il desiderio di condividere. Allora stiamo a casa. Porta chiusa, cuore e mente sempre aperti. Il poeta Giorgio Caproni, nel suo ‘Biglietto lasciato prima di non andar via’, ha scritto: Il mio viaggiare è stato tutto un restare qua, dove non fui mai. L’arte non si ferma. 26


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18 IL SOGNO DI MICHELANGELO Ketty Gottardo, Martin Halusa Curator of Drawings, The Courtauld Gallery Uno dei capolavori dell’arte italiana nella collezione della Courtauld Gallery è un affascinante disegno di Michelangelo Buonarroti (1475–1564). Un foglio raro per varie ragioni, innanzi tutto perché gli fu assegnato un titolo molto presto, poco dopo la sua esecuzione, fatto piuttosto raro per un disegno, mentre è molto più frequente per dipinti o sculture. Il titolo in questione è Il Sogno e ancora oggi il foglio è conosciuto con questo nome. Fu Giorgio Vasari (1511-1574), pittore e autore delle Vite de’ Più Eccellenti Pittori, Scultori e Architettori, a parlarne per primo, menzionandolo fra altri disegni celebri dell’artista. Oltre al titolo però Vasari non fornì nessun altro dettaglio e non diede alcuna interpretazione del soggetto, lasciando così terreno libero ai commentatori e agli storici dell’arte che hanno tentato di interpretarlo. L’interpretazione più frequente, e probabilmente la più corretta, è che il foglio rappresenti la Fama che scende a risvegliare la virtù assopita nella figura maschile seduta in primo piano, che si risveglia da un sonno allusivo ai comportamenti poco virtuosi. Intorno ad essa, avvolti da nubi che nascondono o rendono sfocati alcuni dettagli, sono disposti vari personaggi che rappresentano i vizi. Da sinistra a destra si riconoscono Gola, Lussuria, Avarizia, Ira, Invidia e Accidia; solo la Superbia manca all’appello. All’interno della base su cui è seduto il protagonista si trovano delle maschere, che, benché non 27


Stay Safe! associate abitualmente ai sette peccati capitali, sono comunque simboli della falsità e dell’inganno. La figura alata scende dunque a risvegliare la mente del giovane in primo piano, scongiurandolo di abbandonare ogni tentazione. L’opera non fu creata da Michelangelo come disegno preparatorio per un dipinto, ma come opera fine a sé stessa, probabilmente per farne dono a un amico o a un mecenate. Tuttavia, il destinatario di questo elaborato, misterioso disegno è a noi ancora sconosciuto. In un momento storico come quello che stiamo vivendo credo che quest'opera possa indurci a riflettere sulla nostra esistenza e sui vari e contraddittori aspetti che la compongono: virtù e vizio, bellezza e tentazione.

Michelangelo Buonarroti Il Sogno Courtesy of The Courtauld Gallery 28


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19 MAZZINI A LONDRA Michele Finelli, storico e saggista, Presidente Nazionale Associazione Mazziniana Italiana

Lo storico Michele Finelli ricorda l’arrivo di Mazzini a Londra nel gennaio del 1837 e la sua evoluzione intellettuale nella metropoli attraverso la fondazione del foglio L'Apostolato Popolare le sue opere a favore della comunità Italiana di Londra.

Vedi il video sul nostro canale Vimeo https://vimeo.com/showcase/7368447

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20 AMONG THE TREES Giuseppe Penone, Soffio di foglie, 1982, at Among the Trees, Hayward Gallery, 2020. Text

Š Giuseppe Penone 2020. Courtesy of Hayward Gallery. Photo Linda Nylind.

Among the Trees, Hayward Gallery, London By turns poetic, adventurous and thought-provoking, Among the Trees celebrates the tree’s enduring resonance as a source of inspiration for some of the most compelling contemporary artists of our time, among them Luisa Lambri and Giuseppe Penone.

https://www.southbankcentre.co.uk/venues/hayward-gallery#overview 30


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21 UN CONSIGLIO DI RILETTURA: IL DECAMERONE Paolo Nelli, scrittore È successo anche a me, in questo mese scorso, di avere difficoltà a leggere autori del presente e, tra gli altri libri, invece, mi è venuta voglia di riprendere Il Decamerone. L’ho fatto tenendo accanto la riscrittura di Aldo Busi, molto discussa e anche criticata quando uscì trent’anni fa e, per mio divertimento, a certi passaggi dell’originale, confrontavo il testo moderno. Novella 3.4: “La moglie, che monna Isabella aveva nome, giovane ancora di ventotto in trenta anni, fresca e bella e rotondetta che pareva una mela casolana…”. “Sua moglie Isabella, che era un gran pezzo di gnocca sulla trentina, pronta da cogliere come certe mele tutte rosse…” Non è la mia, in nulla, una critica esaustiva. Dico solo che la riscrittura, nei casi da me confrontati, non tradisce il testo. Lo colora di altro secolo e, come si può vedere nell’esempio dato, non manca certo di colore l’originale di Boccaccio che, nelle novelle, si diverte nei doppi sensi e nelle trovate linguistiche. Lingua non alta, ci tiene a dire proprio il Boccaccio, ma viva. In un successivo racconto della stessa giornata (3.10), per fare un altro esempio, Boccaccio scrive “la resurrezione della carne” intendendo la sopraggiunta erezione in un monaco eremita di fronte a una giovane nuda e non te l’aspetteresti tanta grossolana irriverenza, in un secolo che, quarant’anni prima, ha prodotto “La Commedia” 31


Stay Safe! diventata “Divina” proprio grazie alla definizione di Boccaccio. Nella riscrittura di Busi, in certi passaggi, laddove lo scrittore attinge al massimo al contemporaneo, con espressioni veramente “del giorno”, il suo testo si porta appresso un qualche invecchiamento linguistico segno, più che altro, del veloce consumarsi dello slang. La riscrittura del Decamerone di Busi è avvenuta nella seconda metà degli anni ’80 (il libro è uscito nel 1990), periodo di “paninari” e “sfitinzie”, un lustro in cui comici televisivi inventavano la lingua praticamente a scadenze settimanali. Lo slang, per sua natura di esperimento e invenzione, salvo alcune espressioni che restano e diventano lingua, non può che invecchiare presto. Nell’introduzione, la famosa descrizione della peste a Firenze, tra le varie cose, Boccaccio parla della difficoltà a capire la nascita e l’evolversi del morbo e scrive “…la ignoranza de’ medicanti (de’ quali, oltre al numero degli scienziati, così di femine come d’uomini senza avere alcuna dottrina di medicina avuta giammai, era il numero divenuto grandissimo)”, cioè gli esperti che avevano da dire si erano moltiplicati, pur non avendone alcuna competenza. Passano i secoli ma tale rimane la natura umana. Comunque, se anche a voi è tornata la voglia di Decamerone, l’originale lo trovate ovunque. Ma se la lingua vi affatica, il libro di Busi è lì, con tutti i suoi espedienti per rendere fresche (almeno, una freschezza di fine XX secolo) le irriverenze, l’ironia, le scoccate moralistiche e soprattutto l’affabile intelligenza delle novelle originali.

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22 SCUOLA DI ITALIANO DURANTE IL LOCKDOWN Margherita Laera, professore associato di studi teatrali alla University of Kent, traduttrice e giornalista Come molti italiani nel Regno Unito, vorrei che le mie figlie crescessero bilingui. Fino all’età prescolare, pensavo andasse tutto a meraviglia. Ma la dura realtà è che appena i bimbi cominciano ad andare a scuola, l’inglese diventa predominante e l’italiano poco più di un dialetto non scritto. Perciò, da quando è iniziato il periodo di clausura per il virus, ho cercato risorse didattiche per introdurre la lingua italiana nel curriculum scolastico delle mie bimbe, che hanno 6 e 3 anni. La prima cosa che ho fatto è stata cercare su Google “risorse educative italiano per bambini”. Non mi aspettavo di trovare tanta spazzatura. Dopo qualche settimana di collaudo, ecco le sei cose che hanno avuto più successo in casa mia: 1. Un po’ di grammatica non fa male. Dai 7 agli 11 anni. Ho comprato: Grammatica italiana per bambini - nuova edizione. È un eserciziario carino che li terrà occupati per una mezz’ora al giorno. 2. Come le scuole italiane? Dai 6 ai 12 anni. Ho creato un account gratuito su Treccani Scuola: https://www.treccaniscuola.it. Non è proprio semplice e veloce, ma se hai un'oretta per esplorare il sito, magari qualche video o libro adatto lo trovi.

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Stay Safe! 3. Quarantena enigmistica. Dai 6 anni in su. Invece di scaricare un’application pestifera come Ruzzle, che non fa altro che offrire nuovi moduli a pagamento e aumentare il tempo passato davanti allo schermo, ho comprato un libro di parole crociate per bambini, tipo Parole crociate per imparare l’italiano. 4. Abbronzatissima, anyone? Per tutte le età. Ho cercato playlist di canzoni italiane su Apple Music. Più vecchie sono le canzoni, meno parolacce e riferimenti inappropriati ci saranno – per noi quelle degli anni ’60 sono perfette. Scopri se i tuoi figli preferiscono “Abbronzatissima” di Edoardo Vianello, “Fatti mandare dalla mamma” di Gianni Morandi, “Viva la pappa col pomodoro” di Rita Pavone o “Non ho l’età” di Gigliola Cinquetti. Poi, per i più grandicelli, la sfida è quella di trascrivere i testi delle canzoni su un quaderno. 5. Italian screen time. Per tutte le età. Infine, se non l’avete già fatto, il gesto in assoluto più efficace è cambiare la lingua dell’account dei bambini su Netflix. Da oggi in poi, niente più cartoni in inglese. Magari protesteranno, ma poi ci si abitueranno – e un giorno non lontano vi ringrazieranno.

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23 I MIGLIORI ANNI DELLA NOSTRA VITA Autore ed esecutore, Maurizio Fabrizio Testi di Guido Morra Maurizio Fabrizio dedica canta I Migliori Anni della Nostra Vita e dedica la canzone a tutti gli Italiani residenti in Inghilterra

Vedi il video sul nostro canale Vimeo https://vimeo.com/showcase/7368447

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24 TULLIO CRALI: A FUTURIST LIFE The visual artist Tullio Crali (1910-2000) was one of the protagonists of the post-war wave of Futurist art. Crali’s work is showcased in the Estorick Collection’s current exhibition Tullio Crali: A Futurist Life.

Tullio Crali, The Forces of the Bend (Le forze della curva), 1930, private collection

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Tullio Crali, Tricolour Wings (Ali tricolori), 1932, private collection Courtesy of the Estorick Collection, London 37


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25 HO SCONFITTO COVID 19 Massimo Fenati, fumettista C’è davvero bisogno di diffondere messaggi positivi in questo momento così buio e far sapere a tutti che questo mostro si può sconfiggere. Ho voluto creare questo stemma da portare non con orgoglio (non c’è nulla di cui essere fieri nell’essere fortunati), ma con disprezzo per questa malattia.

Per gentile concessione dell’artista 38


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26 IL CINEMA E NOI Lorenzo Tamburini, programmer, CinemaItaliaUK Forse il film che, nel panorama del cinema italiano, rappresenta al meglio quell’insopprimibile bisogno di sognare che il cinema aiuta a diventare realtà, è Nuovo Cinema Paradiso. In una delle sue scene più belle, il proiezionista Alfredo, alle prese con una folla ansiosa di entrare nel cinema che però è chiuso (qualcuno si è anche portato una sedia da casa), decide di accontentarli, spostando il proiettore all’esterno della sua stanza e usando la facciata di una delle case del paese come schermo cinematografico. Un gesto poetico (e simpaticamente anarchico) che però vuole sottolineare come il bisogno di storie, di immagini, emozioni, musica, sia proprio dell’uomo e gli sia necessario quanto il nutrimento vero e proprio. In questo tempo di incertezza e stagnazione, dove tutto è fermo e ogni progetto si è dovuto arrestare per forza di cose, tanti di noi si sono riversati sul cinema. La mancanza dei nostri affetti, degli amici, persino degli incontri casuali con sconosciuti ha fatto sì che ci riavvicinassimo ai nostri eventuali archivi video in casa o ai servizi in streaming offerti da Internet. Rivediamo film, li proponiamo, li commentiamo, li riscopriamo. Non possiamo stare senza storie, senza il pulsare della vita e dei suoi imprevisti. In un momento in cui siamo pressoché impossibilitati a vivere in uno stato che non sia di ripetitiva monotonia, ci siamo gettati

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Stay Safe! sulle storie degli altri, abbiamo rivissuto le passioni, i drammi, gli amori... Qualcuno di noi ha preso a schiaffi gli incauti passeggeri di un treno, altri si sono immaginati su un’isoletta a fare delle vacanze con vicini improbabili e politicamente ostili, altri ancora hanno seguito le vicende di un uomo e una donna che flirtano spensierati in una fontana storica, altri ancora magari si sono terrorizzati con un coltello che spunta da dietro una tenda... Il cinema ci offre la possibilità di essere quello che vorremmo, che non potremo essere oppure che ci stiamo impegnando a diventare. Ci offre l’occasione per ridere e per piangere. Facciamo nostro anche l’appello che sta circolando in questi giorni a non abbandonare le maestranze del settore, quell’esercito invisibile di tecnici, segretari, attrezzisti che hanno reso i nostri sogni più vividi e i nostri eroi più belli. Senza dimenticare quanto di noi si rivela, una volta che si fa buio in sala o che parte una musica dal televisore. Il buio in sala ci manca, ci mancano i commenti entusiasti a fine proiezione, gli scambi di opinioni e i segreti dal set con gli artisti ospiti, ma, supportati anche dalle storie che stiamo rivivendo e rivedendo ora, lavoriamo fiduciosi per ritornare a quel momento in cui scende il silenzio in sala, lo schermo si illumina e le emozioni di tutti convergono verso un unico punto. Che diventa noi e ci unifica per quello che siamo.

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27 LONDRA CITTÀ “FANTASMAGORICA” Andrea Del Cornò, Italian Specialist, The London Library Non ho mai avuto (né credo mai avrò) il talento di ‘scrittore creativo’. Mi affido quindi alla penna ben più consumata di Giuseppe Mazzini riportando qui di seguito alcuni brevi estratti di una sua lettera inviata alla madre, subito dopo il suo arrivo da esule a Londra nel gennaio 1837: «Siamo a Londra, giunti ieri. […] L’aria era fredda, ma d’un freddo che mi piaceva. L’ingresso del Tamigi e la navigazione fino a Londra impagabili. Non ho mai veduta la vita, il moto, l’attività commerciale in tanto sviluppo come in questa navigazione. È uno spettacolo indescrivibile. […]. Il cielo è piovoso, nebbioso; la città è piena di un’atmosfera che pare un fumo leggiero. Le piazza sono vastissime e da un’estremità non discernete, per quest’atmosfera, l’altra. Dappertutto fanali, e sono accesi alle quattro ore. […] La città tutta, colle sue case in mattoni di colore affumicato, e scuro, pare una cosa fantasmagorica; ai più questo non piace – a me piace. Mi par d’essere in una città che mi ricorda d’Ossian e de’ suoi poemi. Le contrade – quelle almeno che ho vedute sono vaste, eterne, regolari. V’è un gran correre e ricorrere di legni, vetture, diligenze, omnibus, e che so io. […] Le botteghe mi paiono bellissime. Un solo inconveniente v’è: il caro prezzo di tutto». 41


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Lasciata la nativa Genova, già repubblica marinara («Da quelli scogli, onde Colombo infante …»), passato a Marsiglia, centro portuale, Mazzini, da Calais, giungeva nel porto di una cosmopolita Londra, città rifugio di esuli e proscritti, con la profonda convinzione che il mare non divide ma, al contrario, avvicina e unisce popoli e mondi diversi. Qualche sera fa, dunque, passeggiando per le vie quasi deserte – durante il mio doveroso, seppur blando, quotidiano esercizio fisico – non so bene il perché, mi è tornata in mente questa lettera. Anch’io mi aggiravo in una Londra ‘fantasmagorica’ sia pure, ahimè, non nell’accezione ‘ossianica’ che aveva tanto colpito l’immaginazione di Mazzini nel lontano 1837.

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28 LORENZA E SEBASTIANO, ST THOMAS HOSPITAL, 14 AGOSTO Marco Delogu, fotografo, Direttore IIC Londra 2015-2019 Siamo stati all’Istituto a Londra quattro anni, «complesso Belgrave/Montrose», prima in due e poi in tre. Sebastiano e’ nato dopo un anno dal nostro arrivo. Ospedale di zona, St Thomas. Nella mia infanzia ho abitato in ospedale per un breve periodo; mio padre e’ stato un medico che ha diretto due ospedali, ma soprattutto ha scritto pagine importanti per la sanita’ pubblica. Ricordo in modo vago una casetta nel parco dell’ospedale di Ancona. Ricordo benissimo una passeggiata con mia madre, partiti dalla casetta nel parco, per andare a comprare un plaid in un negozio sul lungomare. Quel plaid l’ho conservato per decenni. Avevo poco piu’ di tre anni quando feci quella passeggiata. Sebastiano ha tre anni ora. Mi piace l’assonanza tra il nome di mio padre e quello di mio figlio. Appena arrivato a Londra lessi, senza preavviso, il nome di mio padre nel libro di John Foot The Man who Closed the Asylum grande emozione. Oltre mille eventi, fuori e dentro l’Istituto; moltissime scoperte, amici, riflessioni, profondita’. Con John Foot e Peppe Dell’Acqua a partire dalla biografia di Franco Basaglia, e tre anni dopo con Rodolfo Saracci e Paolo Vineis ricordammo le battaglie di mio padre e quelle di Giulio Maccacaro per la sanita’ pubblica.

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Stay Safe! In Italia in questo drammatico periodo tutta quella generazione di medici che teorizzava la prevenzione, la biometria, il valore dell’epidemiologia e la medicina territoriale, mancano a molte persone, in un Paese che sta pagando un prezzo altissimo per il declino di un servizio sanitario eccellente, ormai piegato alla sanita’ privata troppo spesso interessata solo al profitto generato dai grandi interventi. Mi chiedo cosa avrebbe potuto fare mio padre. Forse poco, avrebbe 95 anni e quel servizio sanitario nazionale che lui contribui’ a creare e’ stato molto strapazzato, ma per fortuna ancora resiste in alcune formule, dipartimenti, servizi (pensiamo alla pediatria nel territorio), e queste sacche di resistenza evitano che la pandemia dilaghi. Il caso Lombardia con l’ossessione dei grandi complessi ospedalieri, e purtroppo i danni si vedono, e’ esattamente l’opposto dell’idea di sanita’ che mio padre applico’ in molti piani regionali sanitari da lui redatti. Ricordo ogni tanto le sue battaglie durissime contro alcuni primari ai quali tagliava posti letto in base allo studio delle patologie legate al territorio. La prevenzione era la sua ossessione; La Medicina e’ Malata il titolo del suo libro piu’ famoso scritto oltre sessant’anni fa, sembra incredibilmente attuale. Speriamo che dopo il dramma del Covid 19 qualcuno ricordi il valore e il significato della parola prevenzione. Io continuero’ a ricordarlo, mi piace l’assonanza tra il suo nome e quello di mio figlio.

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Per gentile concessione dell'autore

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29 THE GLOBAL FORTUNE OF FUTURISMO: THE INTERNATIONAL YEARBOOK OF FUTURISM STUDIES GĂźnter Berghaus, Senior Research Fellow University of Bristol, General Editor International Yearbook of Futurism Studies The International Yearbook of Futurism Studies has reached the end of its first decade of existence. Looking back at ten years of editing the periodical, I can say that I met many colleagues who shared my frustration with the lack of communication between scholars working in the broad field of Futurism Studies. Between 2009 and 2012, I attended some twenty-five conferences in order to present the Yearbook and my research into the global reach of Futurism; and on each occasion people approached me with suggestions for an essay that they felt should get translated for an international readership. I have now established a network of some 700 scholars worldwide, and they regularly inform me about books or PhD theses which they think could be of interest to the wider community of Futurism scholars. Especially younger scholars outside the Western strongholds of learning are keen to send me English language summaries of their research. Consequently, every year I receive more essays than I can possibly accommodate in our volumes. The ten issues published between 2010 and 2020 demonstrate that International Futurism Studies is a thriving academic discipline, to which we have contributed some 5,600 pages of studies 46


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concerned with Futurist activities in over 30 countries and on 3 continents. It is encouraging to see how the International Yearbook of Futurism Studies has enriched and broadened our knowledge of the world-wide circulation of Futurist ideas in the years 1909-1945. Volume 10 again examines how the innovative impulses that came from Italy were creatively merged with indigenous traditions and how a variety of national variants of Futurism emerged from this fusion. Vol. 11 will be dedicated to Futurism and the Sacred and Vol. 13 to Neo-Futurism around the world. If you’d like to contribute, do send an abstract to g.berghaus@bristol.ac.uk.

Picture courtesy of the author 47


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30 MONK MISTERIOSO SHOWREEL Filomena Campus & Theatralia Giorni di tempo. Buontempo. Di quello che diciamo sempre di non avere, per pensare, per fare ordine, per ritrovarsi, per sentire persone care, semplicemente per fare silenzio dentro. E ascoltare questo nuovo strano silenzio fuori. In questi giorni, ho deciso di cercare o ritrovare la compagnia di chi ha saputo ispirare e motivare e nutrire. Maestre e maestri che ho incrociato in questi anni di spostamenti continui, incontri di quelli che provocano il fuoco o lo risvegliano. E che lasciano tracce nei loro scritti o nei loro lavori. Tra questi incontri le mie ‘Janas’, vicine e lontane, nel passato e nel presente. Franca Rame, Judith Malina, Roberta Carreri, Julia Varley, Maria Carta, Marina Abramovic, Pina Bausch. Eugenio Barba, fondatore e regista dei leggendari Odin Teatret, qualche anno fa a Holstebro mi regalo’ il suo libro Bruciare la casa, con la dedica, ‘A Filomena, per alimentare il suo fuoco’. Un fuoco che a volte e’ stato un incendio e ha provocato la nascita di progetti per cui niente mi avrebbe fermato. Il fuoco provocato magari da una canzone, un testo, uno spettacolo, una frase, un movimento, o dalla lettura, un giorno per caso, di un brevissimo monologo di Stefano Benni, in metropolitana qui a Londra. Quei testi, quelle poesie che tolgono il fiato, che ti urlano piano che hanno bisogno di vivere nelle parole e nel corpo e nelle note di performers, musicisti, artiste e artisti su un 48


Stay Safe! palco, per un pubblico, che quel fuoco ha poi messo insieme per realizzare il gioco del teatro. Cosi come in Monk Misterioso dove quelle parole di Benni hanno continuato a vibrare anche con il suono di una lingua diversa..e nelle note di Thelonious Monk. Parole che in questo momento assumono altre connotazioni... “E ci sono silenzi che parlano E altri che si chiudono dietro di se’ come una porta di acciaio Il silenzio del malato nel letto E delle macerie dopo il morso della bomba degli amanti che dormono Il silenzio del crepuscolo con Nellie Della mia solitudine vicina e della tua voce lontana� (Stefano Benni, Misterioso)

Vedi il video sul nostro sito https://iiclondra.esteri.it/iic_londra/it/gli_eventi/calendario/2020/04/stay-safe-30-30-aprile.html Per gentile concessione di Theatralia & SDNA 49


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31 ANGLO-ITALIAN O ITALO-INGLESE Katherine Gregor, traduttrice letteraria, scrive la rubrica mensile The Italianist, recentemente ha tradotto I Leoni di Sicilia di Stefania Auci Sto vivendo in due paesi contemporaneamente. In Inghilterra. E in Italia. Davanti alla scrivania, la finestra si affaccia sul cielo a 180º di Norwich. Sullo schermo del computer, vedo amici e colleghi a Roma e Milano. Quando sento la suoneria del mio WhatsApp do per scontato che sia un messaggio da amici italiani. Come stai? Ti penso. Coraggio. Un grande abbraccio. Da quando è iniziato il lockdown, la mia vita sociale, di solito 90% in Inghilterra, 10% in Italia, si è ribaltata, quasi in tandem con il mondo sottosopra. Si è rovesciata e sono rotolate fuori, in primo piano, persone che non vedevo che da lontano, in maniera indistinta, e che adesso mi sono vicine. Come se fossimo amici da tanti anni. Forse è vero che la distanza è uno stato d’animo. Prendo aperitivi con amici milanesi, bevo il caffè con amici di Roma. Parliamo della situazione mondiale ma anche di libri, di arte, di noi stessi. Siamo su Skype o FaceTime, ma sembra di stare nella stessa stanza. Sono nata a Roma. A diciannove anni mi sono trasferita in Inghilterra dove vivo da allora. Mi piaceva tutto di più in Inghilterra. Come i dolci comprati in pasticceria, che agli adolescenti sembrano sempre migliori di quelli fatti in casa dalla mamma. Da quando ho iniziato a tradurre letteratura italiana, però, mi muovo in una zona dove le due culture convergono e 50


Stay Safe! sono diventata un’Anglo-Italian o italo-inglese. Quando parlo con mio marito, abbino vocaboli di entrambe lingue nella stessa frase perché a volte non basta una lingua sola per esprimere le sfumature di un pensiero o un sentimento. Ci vogliono più colori, più accenti, più rilievi. Con il lockdown, sento bisogno come mai prima di accenti e colori italiani. Ho iniziato l’isolamento quasi insieme ai miei amici italiani, senza aspettare la decisione del governo britannico. Ho comprato la mascherina e i guanti quando, di farlo, me l’hanno detto gli amici italiani. Ho seguito i loro consigli e il loro esempio. Mi sono lasciata guidare da loro, la mia famiglia di scelta. Da alcune notti ormai, lo stesso sogno. Il governo ci permette di nuovo di viaggiare. Sta per decollare il primo aereo per l’Italia. Mi precipito a fare la valigia. Scelgo i miei abiti migliori, i miei orecchini preferiti. So che tra qualche ora rivedrò i miei amici italiani. E che è di nuovo permesso di abbracciarci.

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32 MEMORY HUNTING IN LONDON Katia Pizzi, Director, Italian Cultural Institute, London For semiotics memory is a meaning, a value inscribed in the landscape. If this is true, this value is nowhere more visible, effective and compelling than in London. The London topography is punctuated with memorials, monuments, public sculpture and art, first of all the iconic ‘blue plaques’ of English Heritage. The London ‘blue plaques’ connect houses and buildings with women and men of the past, commemorating notable people who lived and worked there. Beginning in 1866 and still widely popular, the ‘blue plaque’ is the oldest scheme of this kind in the world. My hunt for memorials in this part of London begins and ends with two notable Italians in Belgrave Square, where the Italian Cultural Institute sits. Enzo Plazzotta’s homage to Leonardo’s Vitruvian Man echoes the statue of Christoforo Colombo on the opposite side of Belgrave square. Stretching my legs in this part of London on a quiet Sunday during the lockdown, I moved from Belgrave Square and back again after 30 minutes or so. I encountered ‘blue plaques’ commemorating the ‘queen’ of British cookery writing, Elizabeth David, the French statesman Francois Guizot and the Hungarian composer Bela Bartok. Even this short itinerary between Chelsea and Knightsbridge taking in the memories inscribed in the London ‘blue plaques’ testifies to the cultural relations, the movements and the broad interconnectedness of the diverse cultures of Europe. 52


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Picture courtesy of the author

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33 IL TEATRO IN CASA Alessandra De Martino, Università di Warwick Questo è un momento che l’umanità non avrebbe mai immaginato di vivere, neppure secondo i criteri fantascientifici più impensabili, eppure ci si è ritrovati nelle proprie case ad impiegare il tanto agognato tempo che a tutti mancava. Come molti di noi, anche per me il lockdown è stata l’occasione per riallacciare antiche amicizie che si erano perse nel mondo globale, e rivedere i compagni del liceo che i casi della vita hanno sparpagliato per il mondo, con cui parliamo ogni settimana degli argomenti più svariati, spesso legati ai rispettivi interessi di lavoro. Ma il teatro è stato il vero antidoto all’isolamento e all’immobilità. Grazie al tempo guadagnato, posso riflettere sui futuri progetti editoriali che riguardano l’attività di didattica teatrale che ho condotto all’università e che mi ha dato la soddisfazione di vedere rappresentate in Gran Bretagna pagine di letteratura contemporanea e di teatro italiani da parte di studenti entusiasti ed aperti alla cultura italiana, pur non essendo l’italiano necessariamente la loro materia di studio. Ciò è successo ad esempio con la messinscena di Non dirmi che hai paura/Don’t Tell My You’re Afraid, tratto dall’omonimo libro di Giuseppe Catozzella, nel doppio adattamento in italiano e in inglese realizzato all’Università di Warwick. Oppure con lo spettacolo Women Who Were Loved to Death, che ha messo in scena alcuni monologhi di Serena Dandini e Maura Misiti tratti 54


Stay Safe! da Ferite a Morte realizzato, utilizzando la mia traduzione in inglese, dagli studenti del SELCS alla University College London. Il teatro è stato anche un mezzo per agire, grazie alla tecnologia che ha consentito di mettere in atto prove virtuali della commedia Non ti pago, di Eduardo De Filippo, di cui curo l’adattamento e la regia, che sarebbe dovuta andare in scena lo scorso 28 aprile al London Oratory Arts Centre. Riunire la compagnia teatrale con la frequenza precedente allo scoppio della pandemia, e riprendere le attività di esercizio, studio e prova stando comodamente seduti sul proprio divano, è stato straordinario e di immenso valore dal punto di vista sia della realizzazione che della motivazione personale. Anzi, dirò che, grazie allo strumento tecnologico e al collegamento in remoto, si sono rese possibili attività di tecniche attoriali che forse non si sarebbero potute realizzare altrimenti. Per la messa in scena di un lavoro sono necessarie prima di tutto l’armonia e la coesione tra gli attori/attrici e il, o nel mio caso la, regista. Il rischio del forzato isolamento era quello dello scemare della motivazione ma, grazie all’entusiasmo di tutti e alla fiducia nel progetto, l’appuntamento bisettimanale sullo schermo rinnova la voglia di continuare e ci dà la possibilità di lavorare ad un progetto solo rimandato. Vi aspettiamo!

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34 A TREMENDOUS COMPANION: UGO FOSCOLO IN LONDON Katia Pizzi, Director, Italian Cultural Institute, London It is well-known that the Italian Romantic poet Ugo Foscolo spent the last years of his life in London. Foscolo arrived on 12 Setember 1816 and lodged for a few days at the Hotel Sablonière in Leicester Square, a favourite haunt of Italians missing the familiar flavours of home cooking. Soon enough, Foscolo was to move to at least further 23 addresses in London, following a trajectory that took him from Soho through to Mayfair, Fitzrovia and Chiswick. Foscolo’s impetuous temper and passionate nature made him the favourite of several London circles, and the least favourite of others. One fateful March evening in 1824, at a literary tea party held at the crowded parlour of the painter’s Benjamin Haydon in Lisson Grove, Ugo Foscolo and the English poet William Wordsworth held a polite exchange that soon developed into a dramatic clash of personalities. Haydon struggled to bring back the tea party to the level of politeness and calm the audience. A year later, in 1825, Walter Scott was to sum up Foscolo thus: ‘ugly as a baboon, and intolerably conceited, he spluttered, blustered and disputed, […] and screamed all the while like a pig when they cut his throat.’

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Stay Safe! Two London blue plaques discovered in my peregrinations across London immortalise the presence of the headstrong Foscolo in London, and the fateful night when two of these most accomplished Romantic poets clashed like titans over the theme of selfishness of humankind.

Picture courtesy of the author

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35 CAMBIAMENTO Mario Fortunato, scrittore, critico letterario e traduttore di autori come Maupassant, Virginia Woolf e Evelyn Waugh, direttore dell’IIC di Londra dal 2000 al 2004 La mattina del 3 marzo di un anno bisestile o forse no, una giovane donna di nome Tamara, insegnante di matematica nel liceo classico di una città del Sud, considerata un po’ fredda da molti colleghi oltre che da sé stessa, uscì di casa con la spiacevole certezza di andare incontro non a una normale giornata lavorativa bensì alla propria fine. Non sapeva bene, anzi non sapeva affatto che cosa volesse dire quell’espressione – la propria fine – tuttavia non dubitava che le conseguenze sarebbero state catastrofiche, almeno nel senso che la matematica assegna al termine catastrofe. In altre parole, Tamara andò incontro al cambiamento. La notte prima aveva sognato suo padre, scomparso nel corso di una missione militare in Iraq. Nel sogno però non era con lui: era lui. Vestiva la divisa; portava i baffi che le davano un curioso prurito al labbro superiore; niente seno; sentiva una fitta peluria coprirle gli arti e una certa impazienza negli occhi e nelle mani. A tratti ricordava di essere ancora una giovane donna – e allora i pensieri rientravano nei binari della coerenza – ma in altri momenti se ne dimenticava e, dall’interno del corpo paterno, avvertiva un senso di conflitto ma pure di liberazione.

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Stay Safe! Entrò in aula e subito fu preda dell’ansia. Con gli allievi dell’ultimo anno aveva stabilito un buon rapporto di rispetto e insieme complicità. La mattina di quel 3 marzo invece era a disagio, nervosa. Pensò di interrogare qualcuno, ma rinunciò perché, comprese, temeva l’eccessiva vicinanza dei ragazzi. Sia i maschi sia le femmine irradiavano un’energia che la frastornava. Dopo tre ore di lezione – nelle altre due classi quel sentimento di inquietudine e confusione si era ripetuto, benché più lieve – tornò a casa, si spogliò interamente e, davanti allo specchio del bagno, si disegnò un paio di baffi piuttosto ridicoli. Era una bellissima giornata di sole. Tamara spalancò le finestre e respirò la dolcezza della primavera in arrivo. Per un attimo fu come se il padre fosse tornato ad abitare in lei, restituendole una gioia piena di contraddizioni perché adesso le mancava la sua calma e segreta femminilità.

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36 THE IDEOLOGICAL MARKING OF SPACE ALONG THE SLOVENE-ITALIAN BORDER Egon Pelikan, Head of the Institute for Historical Studies, ZRS Koper A new book by Professor Egon Pelikan (Hitler and Mussolini in Churches, Peter Lang, 2020) links together three historical phenomena that characterised the borderland between the Kingdom of Italy and the Kingdom of Yugoslavia: the ideology and practice of the so-called fascismo di confine, the secret anti-Fascist and Irredentist engagement of the Slovenian Catholic Clergy under Fascist rule and the artistic revolt against and subversion of Fascism in public space as staged through church painting and decoration by the Slovenian Expressionist painter Tone Kralj. Under Fascist rule, a Nazi occupation and in the aftermath of the Second World War, Kralj painted frescoes in 46 churches in this area, symbolically delineating what Pelikan calls an ‘imaginary border’. These frescoes featured Hitler, Mussolini and other Fascist icons in the guise of Biblical villains. His scenes of violence against the powerless include recognisable attributes of Fascism and Nazism, from fasces and Roman eagles to swastikas and Nazi military insignia – a repertoire of emblems of totalitarianisms contrasted by symbolic motifs from Slovenian and Slavic cultural lore. Focusing on this unique cultural manifestation, Kralj’s artistic legacy offers the contemporary reader an epic journey through the history of two European borderlands. 60


Courtesy of Peter Lang, Oxford, 2020


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37 ART AND MUSEUMS IN TIMES OF CRISIS Katia Pizzi, Director, Italian Cultural Institute, London Like any other exhibition space, the Italian Cultural Institute is grappling with a set of unprecedented challenges during the lockdown. At the time of closure, we were about to return an exhibition of Pietre sonore to their home, the Fondazione Pinuccio Sciola of San Sperate in Sardinia. Created by the innovative sculptor Pinuccio Sciola, the Pietre Sonore are evidence of the interaction between the visual and the performing arts. The stones are meaningful insofar as they are touched and ‘played’ like a musical instrument by human hands. The stones are currently still sitting in our exhibition space. Without a public and without players the stones are silent and deprived of meaning. If culture is social, if art is social, then ‘social distancing’ means cultural distancing too. That’s what we are missing now. Culture is a shared experience. I’m talking about the conviviality, our gathering together over food and drink. Most importantly, I am talking about the poetics, the haptics, the touch, the hearing, the mood, the colour of the art work. We miss the vital qualities of art that we can no longer take for granted. It is going to take a huge effort of imagination, collectively, to overcome this loss of presence. Overwhelmingly, the strategy of art institutions worldwide 62


Stay Safe! consists of moving existing content and creating new content online. We are doing it too right now. However, we should remain on our guard with respect to the seduction of the digital. Putting content online is a bit like translating: in the transfer from one language to the other, something is ‘lost in translation’. Additionally, the digital medium flattens time. The great art historian Aby Warburg talked of a Denkraum, that is to say the space of reflection and contemplation with which we should be able to approach a work of art. Our Denkraum is compressed, flattened in a digital world. The work of art is deprived of its aura, its intrinsic ability to move and inspire. Everything becomes flat, including our relationship with the art work. Are there any positives arising from this crisis? Well, yes! There are conversations and dialogues to be had at this time. Making new friends at the international and European level has become our mantra in this time of social isolation. These encounters are building a novel sense of community, not merely with a view to exchanging initiatives and sharing ideas, but primarily to forging new and, hopefully, long lasting connections that will thrive beyond the end of the current emergency.

Watch the video on the Italian Embassy in London’s page https://amblondra.esteri.it/ambasciata_londra/en/i_rapporti_ bilaterali/cooperazione-culturale/italyrestart/18-maggio.html

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38 L’ITALIA E LA COSCIENZA CIVILE: SEGUENDO L’ESEMPIO DI GIOVANNI FALCONE E PAOLO BORSELLINO Maria Falcone, Presidente Fondazione Falcone La terribile pandemia che ha colpito l’Italia così duramente ha mostrato al mondo un popolo dalle grandi qualità, smentendo tanti cliché duri a morire. Per due mesi gli italiani hanno accettato di non uscire da casa, spesso in abitazioni modeste, piccole, che rendono più complicata la convivenza forzata. Ma lo hanno fatto, senza protestare, disciplinatamente. Poi ci sono stati migliaia di uomini e donne che hanno invece sfidato il virus perché il loro lavoro era essenziale per il bene di tutti. Non solo i medici e gli infermieri che, soprattutto all’inizio, hanno combattuto l’emergenza a mani nude, pagando un prezzo altissimo in vite umane. Ma sono rimasti al loro posto di lavoro, superando la paura del contagio. Parlo anche degli operai, delle commesse dei supermercati, dei farmacisti, delle forze dell’ordine e di tantissimi altri. Persone che hanno dimostrato di avere un gran senso del dovere, che non è supina obbedienza, ma coscienza civile. Forse senza neanche rendersene conto, hanno seguito l’esempio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Mio fratello lo diceva sempre: occorre compiere fino in fondo il proprio dovere perché è in questo che sta l’essenza della dignità umana. E l’Italia di dignità ne sta dimostrando tantissima. 64


Stay Safe!

39 IN MEMORY OF JANNIS KOUNELLIS Stephen Bann, art historian My acquaintance with Arte Povera and the work of Kounellis had begun in the 1980s, and continued through the viewing of his work in numerous exhibitions throughout Europe over the next two decades. I published a monograph on his work in 2003. This short tribute will focus, however, on the show held at the MECA Museum of Aguascalientes, Mexico, in January 2016. The challenge presented by the MECA Museum at Aguascalientes was indeed of a different order. This complex of buildings was formerly a factory which serviced the main railway services of Mexico. It had been designated as a cultural centre, but still retained huge quantities of the industrial materials used in the process, together with supplies which catered for the needs of the work-force. The Italian critic, Bruno CorĂ , who arranged the exhibition, rightly concluded that this abundant store of surplus equipment, which performed no further useful purpose, could provide Kounellis with a new opportunity. There would be no question of moving heavy sculpture from one side of the world to another. Kounellis would work with the existing spaces, and create his collage from the choice of industrial relics available there. To myself as a critic arriving on this scene at European midnight, after an air journey from London, this turned out to be 65


Stay Safe! a truly overwhelming spectacle. Of the four main installations, the fourth one stood apart from the others, in its scale and also because it involved an implicit symbolism: a collection of twelve wooden chairs distributed around a table, and, on the table, black shoes and a black felt hat. One immediately thought of one of Kounellis’ most celebrated works, almost unique also in bearing a title: his Civil Tragedy, first exhibited in Naples in 1975. In Civil Tragedy, a black hat and coat are profiled against a golden background. At Aguascalientes, the ‘tragedy’ of the abandoned objects is framed by a gathering of the Twelve. This turned out to be Kounellis’ last major exhibition.

Picture courtesy of the author

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Stay Safe!

40 HOW I WRITE THE BUDDHA OF SUBURBIA Hanif Kureishi Over a long time, I have many happy memories of the Italian Institute, having enjoyed a lot of talks, exhibitions and parties in that beautiful building, which I consider to be one of London’s glories. It is a peaceful and stimulating place to visit and meet people. Let’s hope normal life will resume there soon! Like most people, I haven’t done much recently, but here are two pieces I did manage to write, one about the past, and one about the present. The first piece is published today. The second one will be published tomorrow. All first novels are letters to one’s parents, telling them how it was for you, an account of things they didn’t understand or didn’t want to hear, saying what couldn’t be said, providing them with a bigger picture. It was the late 80s, and I was in my early 30s, when I began to work on The Buddha of Suburbia. The two films I’d written previously, My Beautiful Laundrette and Sammy and Rosie Get Laid, had bought me time and money. The success of My Beautiful Laundrette had given me confidence that the writing tone I’d found, could be extended into the novel I’d wanted to write as a teenager.

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Stay Safe! I had been no good at school, but always felt more alive than the people around me. I was a horny bookworm, and novels got through to me. I thought I’d do one. I did several. They were not published. But I did write what became the first chapter of The Buddha of Suburbia, as a short story for the London Review of Books, published in 1987. I believed that was that. Then I kept thinking there was more material. I had an intense experience which can happen to writers, when you understand that your subject is right there; you have lived it already, and that world is waiting to be converted into scenes. If people were not writing books about people like me, I’d write one myself, spitting out all the painful things, rudely, lightly. Someone said to me, write your pleasure. I did. Reading the first paragraph of The Buddha now, I’m surprised to notice that the hero, Karim Amir, announces his nationality three times. I guess he was insecure. Like David Bowie, he was eager to find an identity, throw it away, and start again next day with another one, brand new. In 2015, Zadie Smith wrote a lovely introduction to my novel. She describes discovering the book at school, which she calls a first for us ‘new-breeds’. She says, ‘Irresponsibility is an essential element of comic writing’. And Karim Amir, my boy and avatar, who likes both boys and girls in bed, and where possible both at the same time, is determinedly wild and rash.

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Stay Safe! But Karim knows something that most people don’t know. And what he knows is priceless: that being a person of colour isn’t at all like being white. No white person walks into a room and finds it weird that there are only white people present; no white person thinks of themselves as a problem for others, a question, a perplexity. No one asks them where they’re really from. Whites belong in the world. It’s theirs, they own it, and they don’t even appreciate it. But they do get defensive and cranky when you point it out, as you have to, repeatedly. Karim understands that being a person of colour means being bullied all the time. Yet while whites might consider themselves superior, it’s more original and enjoyable being underneath, laughing up at the poverty of privilege. Karim begins to get that his disadvantage is his advantage. Then he stops caring either way. He’s free. If anyone thanks me for writing The Buddha, or says it meant something to them, I am always grateful, since I’m reminded of how a few decent people, along with some good stories, once got me out of a bit of a jam, and into a more open world. As I think about my novel today, looking back on myself, I wish I were that boy again, free on his bike. But I know he’s still in me, funny, hopeful, rarin’ to go, always up for it, going somewhere. Courtesy of Hanif Kureishi, author. His latest title is What Happened? (Faber and Faber, 2019) 69


Stay Safe!

41 WHAT WILL WE MAKE OF THIS Hanif Kureishi You might have noticed an odd thing which happens when you walk down your street at this time: others will take a step, or indeed several steps, away from you. They might even walk in the road, or cross the street entirely, to avoid you, while certainly regarding you suspiciously. Apart from the good news that what we are living through is something of a party for paranoiacs, this street crossing is an uncomfortable and disconcerting reminder. It highlights the idea that you yourself are toxic to others, and could infect them, or they you. Anyone on the street could kill you; or, one day, you may have to bear the guilt of having infected someone. Whichever way round it might be, other people - who were always already far too exciting, if not dangerous - have become even more lethal. The enemy might be unseen, but there it is once more - justifiably located in others. Not that the neighbour isn’t always a problem. We were told as children, you might remember, to be sure to love our neighbour. But, at present, that neighbour, a wonderful horror, is not only a source of envy - having, at least in our imagination, a far better time than us - he or she might actually prove to be ruinous. This recent toxicity of the other is alienating and disturbing. Even when we finally escape our lockdown, the remains of this 70


Stay Safe! so-called social distancing will be profound and long-lasting. Yet at the same time, this potential danger of the other, which exposes our helplessness and dependence, also clarifies something which is usually covered up. Are we not being made aware, more than ever, that we are, as a group, made up of linked and reliant individuals, none of whom could, or should want to, survive alone, each link in the chain being indispensable. As babies, and as children, the need for this confidence in others is clear, but as adults we might prefer the illusion that we are independent and strong, when in fact our strength comes from unacknowledged others. Recently, as it happens, with time on my hands, I’ve been reading Stefan Zweig’s remarkable autobiography, The World of Yesterday, which Zweig began in 1934. It opens with a description of the security in which he was privileged to grow up, the Austro-Hungarian Empire toward the end of the nineteenth century, ‘which offered the noble delusion of security, progress, and moral advancement.’ It seemed, at the time, that nothing could touch this highly developed and cultured civilization, but we know what happened with the rise of Hitler. Zweig, a humanist and activist, and one of the world’s most popular writers, despairingly killed himself in Rio in 1942. We don’t yet know what will be swept away for us, but what has already gone is our sense of invulnerability, the idea that the depredations of history happen elsewhere and to others, while we look on, untouched in our private worlds. 71


Stay Safe! And so, we have to ask ourselves, what will all this turn out to mean? War didn’t suit Zweig, depriving him of everything he valued. But some disasters, conflicts and wars do suit people. There are many, surprisingly, who seem happier, stronger and less anxious during exceptional circumstances. The psychical war within can be a worse war than the one without. External dangers are simpler. Melitta Schmideberg, Melanie Klein’s daughter, wrote during the second world war, ‘the Blitz situation provided ample libidinal, sadistic and masochistic satisfaction.’ Wars, of course, are elective and usually avoidable; pandemics, probably not, though they can be mitigated. There are those who adapt, and those who can’t. Boredom, for instance, which we don’t like to allow ourselves, since we like regard ourselves as busy, involved and productive, might [or might not] be generative here. It is necessary to keep speaking, while maintaining our balance, critical facilities and intelligence. Zweig was aware that what he called the ‘cynical amorality’ of charismatic, huckster leaders, has to be countered everyday. Zweig’s dream of a borderless, tolerant Europe - a buffer of reason against fascism - died, was revived and died again. Zweig didn’t believe he could survive the loss of everything he knew; the destructiveness he witnessed provoked a fatal disillusionment. What he calls ‘the most monstrous things’ had become ‘natural’. It was too much.

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Stay Safe! This is not a war, but it is a trauma, which offers a particular opportunity for reconstruction. We will need to think about Zweig’s important question: what is a civilisation? Where is greed, consumerism and self-absorption now? Our values were wrong. Now we can see it. How did everything get so distorted, and why were we so misled for so long? What will our values be when we emerge from this? What social forms will be really important? We might not be able to gather in groups or stand next to one another, but in this mixture of horror and boredom, language is the one thing that keeps us close while we sustain our individuality against the necessary collective, as well as the state. Big cultural changes are exercises in re-description, and we will require re-describers. The paradigm is shifting, and, despite everything, the future is open.

Courtesy of Hanif Kureishi, author. His latest title is What Happened? (Faber and Faber, 2019) 73


Stay Safe!

42 UNICORNS, BEZOAR STONES AND VIPERS Martina Mazzotta, art historian Nature and art: the two concepts are particularly evident when environmental (and medical) emergencies become more urgent. In the case of encyclopaedic collections that flourished in Italy in the late Renaissance, commonly understood as part of the multifaceted and varied phaenomenon of the Wunderkammern, we can assess rich interconnections between nature, art, philosophy, science and magic - within a new aesthetic. From being the subject of scholarly and museological interest, the Wunderkammer has turned today to a kind of icon of popular culture and is widely used in the world of contemporary art, fashion, design (sometimes with results that could be called Wunderkitsch). The presence of certain naturalia that constitute the ‘aura’ of collections of this sort - unicorn’s horns, corals, bezoar or serpent’s stones - is inextricably linked to the virulent outbreak of plagues that occurred in Italy between the 1570s and the 1650s. At the time, famous naturalists such as Aldrovandi in Bologna, or apothecaries like Imperato in Naples and Calzolari in Verona, were committed to collect in their own museums simples for ‘theriac’, the ‘royal antidote of antidotes’ whose central ingredient were vipers. As medical compounds dating back to the ancient and Islamic world, theriac medicines were supposed to literally pull the disease from the body. In mid XVI century they became popular as ‘mirrors’ of the human physiological complexity: each costly ingredient had to correspond to 74


Stay Safe! parts and functions of the human body, in a micro/macro-cosmic game, typical of that anima mundi that early modern Wunderkammern aimed to possess. Rare ingredients such as spices, exotic animals and precious minerals (in short: the very items contained in encyclopaedic museums) became widely consumed during plagues. They were also catalogued and reproduced in scientific illustrations, often by wonderful artists such as Ligozzi. He was active in the court of Francesco I de’ Medici, the melancholic Prince and collector, but also in the museum of Aldrovandi, hosted today in the University Museum of Palazzo Poggi. If encyclopaedic collections can be considered at the very origins of museums, then the catalogues and scientific illustrations that accompany them lie at the origins of art books. Collecting habits of early modern naturalists certainly contributed to the impact of humanistic culture in the medical profession. Wunderkammern were used by academicians, alongside with classrooms, to create medical compounds. When the Health Boards forbade the traffic of medicines between different regions (especially in times of plague), botanical gardens were opened to assure a steady supply of medicinal simples. The first one was conceived in 1543 by Cosimo I de’ Medici, in Pisa. In the 1650s, with the disappearance of the epidemic from Italy, naturalia did not vanish from museums, but instead were given different meanings. Indeed, through the Enlightenment and its urge to classify natural specimens within a proper scientific frame, unicorn’s horns, bezoar and serpent stones entered different contexts, such as in the ‘cabinets of curiosities’ in Britain, or in later literature. Wherever these iconic objects can be admired, their power to evoke magical-alchemical wonders and miracles of nature resounds in multiple echoes, which are still relevant today. 75


Jacopo Ligozzi, Ceraste cornuto e vipera della sabbia. Ulisse Aldrovandi, Tavole di Animali, vol. IV, c. 132r Biblioteca Universitaria di Bologna, ms.124-Tavole di Animali, vol. IV Su gentile concessione della Alma Mater Studiorum Università di Bologna – Biblioteca Universitaria di Bologna 76


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43 STAY AT HOME Anonymous street artist, Lisson Grove, London Were all in lockdown Can’t go out on the town But the NHS are here Many living in fear Providing us with care With no PPE to wear Many shops are closed No tissue to blow a nose You are lucky to find some Toilet roll for your bum Can’t find eggs to bake My favourite chocolate cake So please don’t moan Having to stay at home It won’t be forever Were be back together Thank you NHS And all other workers Stay at home Protect the NHS Safe lives. 77


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44 IL GIARDINO APERTO Cristina Marconi, scrittrice e giornalista Londra a primavera ha qualcosa di classico, di universale eppure domestico: forse perché ogni suo fiore è stato immortalato nella carta da parati di una zia che non ricordiamo più ma con cui avremmo di certo trascorso volentieri qualche ora nella monotonia delle settimane passate. Marzo è stato splendido e ad aprile i petali dei ciliegi sembravano più che mai i coriandoli di una festa a cui, per la prima volta, non eravamo stati invitati. Dalle immagini di luoghi come Kew Gardens abbiamo visto che lo spettacolo è stato ancora più incantevole del solito. Non sorprende: con l’aria tersa e il silenzio, Londra era più che mai vicina alla dimensione campagnola con cui, in fondo, non ha mai del tutto tagliato i ponti. «Agli inglesi non piace far vedere i limiti dei loro giardini», mi spiegò un giorno il mio maestro di tanto tempo fa, Remo Bodei, genio felice sempre pronto a una risata. Un’inclinazione nazionale che si è rivelata fondamentale ora che, vent’anni dopo, mi sono ritrovata insieme alla mia famiglia con un giardino condominiale dalla struggente bellezza delabrée come unico spazio aperto in cui inscenare, per qualche ora, qualcosa di somigliante alla nostra vita di prima. La mia bambina Alice ha fin da subito scelto ‘Un due tre stella’ per sfogare l’irrequietezza compressa dei suoi quattro anni in cattività. È diventata bravissima a farsi statua di pietra quando io e il padre ci alterniamo a contare, abbracciati all’enorme olmo la cui crescita secolare sta mettendo a repentaglio la morbida imperfezione di un vecchio muretto. 79


Stay Safe! Verso la fine di Orgoglio e Pregiudizio, l’anziana Catherine de Bourgh va a trovare Elizabeth per ordinarle di lasciar perdere il nipote Darcy. «Avete un parco molto piccolo», osserva insolente, prima di aggiungere: «There seemed to be a prettyish kind of a little wilderness on one side of your lawn». L’ho trovato tradotto, assai pigramente, come «un grazioso boschetto da una parte del vostro parco», o, appena meglio, come «una parte del vostro prato» dove sorge «una specie di macchia abbastanza graziosa». Quel «prettyish» ovviamente ha tutt’altro peso: si riferisce a qualcosa di non disprezzabile, non certo fiori ma “una sorta di piccolo selvaticume” che può fare da punto di partenza, da minimo terreno comune perché due inglesi si possano parlare. Il resto della conversazione precipita in una spirale di imperiosa arroganza da parte di Lady Catherine e di ferma risolutezza dal lato di Elizabeth. Nella splendida vecchia serie della BBC le due donne sono disturbate da un vento insistente che scompiglia boccoli, nastri, sentimenti e ordine sociale. Fosse stata regista, la Austen avrebbe fatto lo stesso, credo. Anche a Londra è tornato il vento e nel giardino di cui non capiremo mai se sia grande o piccolo, con gli alberi rossi, viola e bianchi, si fanno sempre meno partite di ‘Un due tre stella’. Forse è stato un po’ il gioco di tutti noi, in questo inizio di decennio così sventurato da non sembrare vero. Vince chi riesce ad avanzare pur sembrando fermo, ci vogliono pazienza e gioco di gambe, spesso tocca tornare indietro, a volte si resta in una posizione scomoda per lungo tempo. Noi siamo stati sorpresi a Londra, in una città di cui iniziavamo a disamorarci, lontani dalle persone che amiamo e dai luoghi che per noi significano 80


Stay Safe! tutto. Tra le piante inglesi ci siamo nascosti, immobili nel nostro giardino senza giardinieri, e a quel disordine molto imperfetto siamo grati, perché è lì che abbiamo trovato l’aria e lo spazio per sentirci liberi. Ora che l’erba sta assumendo con preoccupante anticipo i toni dorati di fine stagione, possiamo imbucarci nella grande festa e goderci le ultime fioriture di una primavera come nessun’altra, a condizione di ricordarci come si fa.

Per gentile concessione dell'autore

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45 PINOCCHIO RETURNS Georgia Panteli, lecturer, University of Vienna Most of us are familiar with Pinocchio, the most famous representative of Italian identity and culture around the world. The Adventures of Pinocchio, by Carlo Collodi, is the second most translated non-religious book in the world, after Antoine de Saint-Exupery’s The Little Prince, the story of another adventurous little boy. Pinocchio’s popularity can also be seen in the numerous and ever so popular retellings of the story. Some remember him for being naughty, others for his growing nose when lying, and others know him from his more docile Disney adaptation with the beautiful Blue Fairy, who has lost her original ambiguity in her Hollywood blonde version. But Pinocchio is ultimately the symbol of transformation, the puppet who desires to be human and achieves it. He is a metaphor for any human aspiration to become something more. Over Christmas a new Pinocchio appeared in the Italian cinemas, a beautiful version by Matteo Garrone, with Roberto Benigni this time as Geppetto. Garrone’s dubbed version of the film with Italian actors would be coming to English speaking cinemas now but the Corona outbreak changed these plans. Let’s hope we will see it on television soon. At the same time Hollywood is preparing a comeback for Pinocchio. Guillermo del Toro, director of Pan’s Labyrinth and 82


Stay Safe! The Shape of Water, has announced a live action adaptation of Collodi’s tale next year. This is a very ambitious production using stop-motion animation and with actors such as Tilda Swinton as the Blue Fairy, David Bradley as Geppetto and Ewan McGregor as Pinocchio. Moreover, the music score, which will include several songs, is being composed by prolific film composer and Hollywood favourite Alexandre Desplat. Del Toro’s dark adaptation takes place in 1930s Italy, not a first time for Pinocchio to visit this historical period. Both Italian and English retellings of Pinocchio have placed him there before. In my book From Puppet to Cyborg: Pinocchio’s Posthuman Journey (forthcoming by LEGENDA in 2021) I talk about one such example: Jerome Charyn’s postmodern Pinocchio. In his Pinocchio’s Nose (1983), Charyn renarrates a version of Pinocchio set in Italy during Fascist times. Could it be the case that del Toro took Charyn’s text into account for his script? We can only wait and see.

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46 SIX MEMOS Valeria Vescina, novelist, literature and opera reviewer, creative-writing tutor and the director of the Hampstead Arts Festival’s literary programme During this protracted emergency, my thoughts have wandered repeatedly to Italo Calvino’s discussion of the virtue of lightness. It is the first essay in his Six Memos for the Next Millennium (Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio): originally intended as his Charles Eliot Norton Lectures at Harvard, they were never delivered due to his untimely death in 1985. Published posthumously, they merit reading and re-reading. Is lightness a virtue? Can it be so – for writers or anyone else – in grave times such as these? It depends on what you mean by lightness. Calvino is not talking of frivolity but of the ‘lightness of thoughtfulness […] which can make frivolity appear heavy and opaque’. He goes as far as to assert that if he were to seek an all-encompassing definition of his life’s work, it would be this: the effort to subtract weight – from characters, cities, narrative structures... Among his models of lightness are Ovid, Boccaccio, Shakespeare, Cervantes, with their depictions of characters like Perseus, the (real-life) poet Cavalcanti, Mercutio or Don Quixote. His well-wishing symbol for humanity at the dawn of the new millennium is ‘the nimble leap of the poet-philosopher who rises above the heaviness of the world, demonstrating that his gravity contains the secret of lightness, while that which many believe to be the vitality of the times, noisy, aggressive, agitated 84


Stay Safe! and roaring, belongs to the kingdom of death, like a scrapyard of rusty automobiles’. Whenever the world appears to Calvino ‘condemned to heaviness’, so that he wishes he could fly like Perseus to another realm, he is not speaking of a flight from reality but of a change in approach, of an openness to perspectives and methods of taking in and testing reality borrowed from a variety of disciplines: literature, linguistics, science, anthropology and mythology amongst others. The pursuit of this kind of lightness is associated with ‘precision and determination, not with vagueness or chance’. Although the reference to Ovid in Six Memos appears under the heading of lightness, an earlier essay by Calvino (which you can now find in Why Read the Classics) refers to the Metamorphoses as ‘the poem of quickness’, the virtue on which his second lecture is focused. An episode of Ovid’s work in which both these qualities seem to me very evident is that of Baucis and Philemon, where a myriad of small details are conveyed with exactitude (another of Calvino’s chosen literary values), speed and delicate touch: the pot shard the old woman uses to steady a table; the fresh mint she scours it with; the variety of produce the couple serve to the visiting Zeus and Hermes; the beloved goose they’d sacrifice to the gods if only the animal did not outrun them. In these disquieting times I find that heightened attentiveness to small things reveals to me unexpected sources of serenity – and 85


Stay Safe! that is one reason for highlighting the story of Baucis and Philemon. It appears in Book 8 – the centre – of the Metamorphoses. And at the very centre of Invisible Cities Calvino places an emblem of lightness: the city of Baucis, high up above the clouds and built on spindly stilts. It is the ultimate invisible city: those who reach it after a long march through woodland cannot see it and do not know they have found it. Calvino is talking of a very particular kind of lightness in writing – his lectures were, after all, about the values he prized in literature. But I find that his conception of lightness and of the other qualities he discusses in Six Memos offers rich food for thought well beyond the confines of the written page.

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Stay Safe!

47 LERICI Boyd Tonkin, writer and critic Historians often remind us that much of British history – in its military, mercantile and imperial aspects – took place not on these islands but elsewhere. The same applies to cultural and literary history. From Geoffrey Chaucer, discovering Dante and Boccaccio as he did diplomatic business in 1370s Milan, to Zadie Smith, easing the pressures of youthful fame through a spell in 21st-century Rome, Italy has hosted the birth of more significant English literature than any other part of Continental Europe. Although I’ve known that truism for many years, the atmosphere of some places can still clarify and amplify these voices of the past. And in few spots do they speak more directly than the town of Lerici and the Golfo dei Poeti, which curves south from La Spezia as the southern tip of Liguria touches the Tuscan borders. Plenty of local authors have celebrated this lovely coast (the “Gulf of Poets” tag came from dramatist Sem Benelli), among them Eugenio Montale, Mario Soldati and Attilio Bertolucci. Still, Lerici and its nearby villages have, for some reason, occupied a special position in the careers of visionary English writers. With his partner Frieda von Richthofen, DH Lawrence settled in Fiascherino, a hamlet outside Lerici, late in 1913. “It is so beautiful, it almost hurts,” he wrote. He worked on the novel that became The Rainbow here, in his “little pink four-roomed cottage” beside the “wonderful Mediterranean” where the sun set like “a long gold shaky road across the milky waves”. On the 87


Stay Safe! other side of Lerici, Casa Magni became the final home, in 1822, of Mary Shelley and Percy Bysshe Shelley before Percy drowned while returning across the bay from Livorno. It stands, flanked now by cafés and hotels, in the little resort of San Terenzo. Percy loved it here; Mary thought his months in Lerici “the happiest he had ever known”. Mary, however, felt isolated in a house that then seemed “lonely” and forlorn. Percy’s “Lines written in the Bay of Lerici” record his own plunge into foreboding, as the night-fishermen’s boats set sail while “disturb’d and weak/ I sat and saw the vessels glide/ Over the ocean bright and wide”. Two years ago, I came to Lerici as a guest of the Suoni dal Golfo festival founded by locally-born conductor Gianluca Marcianò. I even listened to a superb string quartet rehearse in the very salon where the Shelleys had gazed across to Porto Venere. The group, from Israel, had two Jewish and two Palestinian members. That fusion of artistry and solidarity did the Shelleys’ spirit proud. Indeed, the festival has sought not just to stage world-class performances but to explore the ways that art can nurture peace. Last summer, I was fortunate enough to revisit Suoni dal Golfo as co-host of a series of talks with musicians and authors, “Sea of Stories”, programmed by the strand’s artistic director, Maya Jaggi. Among our guests was the novelist, poet and essayist Ben Okri – another visionary idealist. As the sun dipped into the bay and laid that “long gold shaky road” across the waters, he talked of art as a healing and transforming force in terms that Lawrence, the Shelleys and Virginia Woolf (another happy visitor) might all have echoed. Sadly, in this pandemic summer, I and others will not be able to return. Lerici, however, 88


Stay Safe! will wait to welcome again the artists, from near and far, who have for so long found solace and inspiration around the Bay of Poets.

Picture courtesy of the author

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Stay Safe!

48 TRANSLATION AS DANCE Katherine Gregor, literary translator from Italian and French, recently translated Stefania Auci’s I leoni di Sicilia and is currently working on Luca D’Andrea’s Il respiro del sangue Pontifex. I often wake up with a word on my lips. I don’t know if it’s driftwood left on the shore of my consciousness by an ebbing dream or a clue whispered in my ear by an invisible friend, an insight for me to decipher in my waking hours. Pontifex Maximus, Pontiff. Words of pomp and circumstance that have a humble progenitor – “bridge builder”. A perfect definition of my profession. I am a literary translator. A translator is also etymologically somebody who carries something over. And so I build bridges to allow books to cross over into another land. I help carry them over from one language to another. Perhaps Saint Jerome should share his status as patron saint of translators with Saint Christopher, who is reputed to protect travellers. We are travellers from one language to another. I am not an author, except in as far as I craft the bridge to make the passage as comfortable as possible for the book. I draw the plans, calculate the height and span of the arch, choose the right stones, the right timber and mortar. I also often find myself comparing translating to ballroom 90


Stay Safe! dancing. The author must take the lead. They are responsible for navigating both of you around the room without colliding with other couples. As a translator, you need to be able to trust them, since you are dancing backwards. Your job is to know your steps and be in tune with your partner so that you guess their next move even before they lift their foot from the floor. If your partner is hesitant, unfocused or is trying to show off with moves purely intended to impress the audience, you get confused and downhearted, and the process becomes nothing but a series of mechanical motions until the music ends. When, on the other hand, your partner is considerate, that is, the writer is respectful towards their readers and true to themselves, then you strive to do everything in your power to honour them and start crafting your translation with a sense of privilege and responsibility. You can then be true to the author. That’s when the translation process becomes a fluid, elegant dance. And a joy.

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Stay Safe!

49 L’ISOLA CHE NON C’È Gianmarco Mancosu, University of Warwick e Università di Cagliari C’è una famosa serie TV di qualche anno fa che racconta le vicende di alcuni sopravvissuti ad un disastro aereo. I naufraghi si ritrovano in un’isola misteriosa, quasi impossibile da raggiungere e da lasciare, in cui le leggi che governano lo spazio e il tempo sono sfasate. Come ne Il signore delle mosche di Golding che ne ha ispirato la trama, i protagonisti di Lost (questo è il titolo della serie) si danno una rudimentale forma di organizzazione sociale, scontrandosi però con il vissuto di ciascuno e con eventi e fatti misteriosi. Il mare che circonda l’isola e la paura di questi fenomeni inspiegabili (nuvole di fumo e rumori ancestrali) divengono gli unici elementi che alla lunga accomuneranno i protagonisti. Scomodare Lost e Il signore delle mosche per parlare del racconto della Sardegna al tempo della pandemia potrebbe apparire azzardato. Tralasciando il riferimento indiretto a fumi petrolchimici o i boati delle esercitazioni militari, a ben vedere insularità, paura di un nemico invisibile e incontrollabile, la necessità di riconnettersi con il mondo sono gli elementi che accomunano questi spazi insulari fisici e immaginari. In queste ultime settimane la Sardegna è risalita agli onori delle cronache. E’ riemersa una narrazione schizofrenica sulla Sardegna. La distanza dai focolai ha contribuito a tenere relativamente basso il numero di contagi, un isolamento forzato che però compromette le basi della sua economia turistica. Questa 92


Stay Safe! mobilità ‘impossibile’ da e verso l’isola ritorna come snodo cruciale per capire il rapporto tra Sardegna e ‘il continente’. Ho riflettuto su questi temi nella ricerca sulle comunità migranti sarde presenti in Italia e in Europa: come succede in ogni fenomeno migratorio, il mito del ritorno ha spesso guidato le scelte lavorative e di vita dei migranti; più nello specifico, il mantenimento di un legame con la terra d’origine spinse la costituzione dei circoli sardi tra gli anni Sessanta e Settanta. Uno dei collanti principali che cementò l’associazionismo fu proprio la lotta per avere tariffe agevolate su navi e aerei da e per l’isola. Parlammo di queste storie poco più di un anno fa all’Istituto di Cultura di Londra, in occasione della serata Sardinia Outside the Island. Sembra passata un’epoca geologica: la pandemia sta mutando il nostro modo di stare insieme e quello di spostarci. Allora eravamo nel pieno della protesta dei pastori per l’aumento del prezzo del latte, e discutemmo su come i mass-media, più o meno indirettamente, facevano riferimento a stereotipi e letture approssimative sul ‘carattere’ e sulla società sarde per leggere l’attualità. Narrazioni ritornate prepotentemente in questi giorni, in cui l’immagine di una Sardegna protetta dal mare e solo sfiorata dal virus e si è scontrata con quella dell’isola turistica e, in fondo, bisognosa dell’aiuto esterno per potersi sostenere e per ‘modernizzarsi’. In entrambi i casi, immaginari di un’isola che non c’è introiettati in egual misura dai sardi e dai non sardi. Se è vero che la crisi provocata dalla pandemia ha polarizzato questi stereotipi, essa potrebbe anche stimolare una loro rilettura critica a livello locale e nazionale, disegnando anche un profondo ripensamento del modello turistico basato sul portare un gran numero di persone in un lasso di tempo relativamente 93


Stay Safe! breve. Più pragmaticamente, e in maniera diversa dal finale di Lost, la speranza è quella di non dover ricorrere a soluzioni metafisiche per poter arrivare o lasciare l’isola una volta che l’emergenza sanitaria sarà terminata (scusate lo spoiler).

Per gentile concessione dell'autore

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Stay Safe!

Ringraziamenti Ringraziamo tutti gli amici dell’Istituto che hanno partecipato al nostro progetto Stay Safe!

Akcnowledgements

A warm thank you to all the friends of the Institute who have taken part in our project Stay Safe! Antonella Anedda Angioy, Stephen Bann, GÜnter Berghaus, Bernardino Branca, Margherita Calderoni, Filomena Campus, Maurizio Cinquegrani, Sergio Corazzini, Gemma Cornetti, Alessandra De Martino, Andrea Del CornÒ, Sara Delmedico, Marco Delogu, Estorick Collection, Maurizio Fabrizio, Maria Falcone, Stefano Farinelli, Massimo Fenati, Maurizio Ferraris, Michele Finelli, Mario Fortunato, Enrico Franceschini, Marco Gambino, Ketty Gottardo, Andrea Granitzio, Katherine Gregor, Hayward Gallery, Hanif Kureishi, Claudia La Malfa, Margherita Laera, Gianmarco Mancosu, Cristina Marconi, Martina Mazzotta, Paolo Nelli, Georgia Panteli, Egon Pelikan, Katia Pizzi, Ralph Rugoff, Caterina Soffici, Lorenzo Tamburini, Ornella Tarantola, Boyd Tonkin, Fabio Tononi, Sandro Veronesi, Valeria Vescina, Peppe Zarbo.

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