ANDRE DURAND & ATELIER CORCIONE A SPERLONGA

andrĂŠ durand & atelier corcione a sperlonga

a n d r ĂŠ atelier

d u r a n d & corcione

p re s e p e d i n ata l e & g rot ta d e l l a re s u rrez i o n e

Museo

Archeologico

Nazionale di

Sperlonga

dedicato a Marisa de’ spagnolis

direttrice del Museo archeologico nazionale di sperlonga 2010 - 2012 e a tutti i dipendenti del Museo

la nativitĂ - Xii secolo Facciata della chiesa di san troďŹ mo arles - Francia

MARIE PARDYOVÁ Istituto dell'archeologia Masaryk University, Brno Repubblica Ceca

presepe di sperlonga 2011-2012 atelier CorCione di napoli Editor: Marco Leali Maria diede alla luCe il suo figlio priMogenito, lo avvolse in fasCe e lo depose in una Mangiatoia, perChé non C'era posto per loro nell'albergo. (vangelo di luCa, ii - 7)

genesi dell’idea

il presepe inaugurato l’8 dicembre 2011 al Museo archeologico nazionale di sperlonga è basato su un’idea di andré durand, che ne è anche il committente. la passione di durand per i presepi risale all’infanzia dell’artista, quando, grazie anche ai genitori, in particolare la madre, iniziò a sviluppare il proprio talento pittorico. ogni anno, infatti, la signora Margot durand inventava e dipingeva, prima da sola e poi insieme al figlio, una nuova figura destinata ad arricchire il presepe, diventato, con gli anni, simbolo del natale in famiglia.

Chiamato a dipingere nel Museo di sperlonga quadri ispirati dalle sculture della grotta di tiberio, durand ha cominciato a partecipare con entusiasmo alle attività complementari del Museo e a sostenerle con le sue idee e il suo spirito creativo. nel tempo, è nata una discussione sul presepe, che ha finito per coinvolgere tutto il personale del Museo. il progetto del Maestro è diventato così un intento comune: realizzare un presepe speciale per il Museo, per enfatizzarne il ruolo educativo e riunire la “famiglia culturale” di sperlonga anche nel periodo natalizio.

il sogno di durand di realizzare un presepe più grande, su proprio progetto e dotato di splendide sculture tradizionali, si è potuto compiere dopo il suo ritorno in italia nel 2010, grazie alla collaborazione con l’atelier Corcione di napoli. in quell’anno, proprio nel periodo di natale, il Maestro durand ha conosciuto rosaria e anna Corcione e le loro opere. toccato dalla bellezza e dalla poesia della figura del pastore addormentato, Benino, che è una delle figure tradizionali del presepe napoletano, acquistò immediatamente questa piccola scultura per farne il simbolo del suo primo natale in italia, dove è intanto tornato a vivere, più di vent’anni dopo il suo ultimo soggiorno nel nostro paese.

l’idea principale di utilizzare la grotta di tiberio quale ambientazione della scena sacra è sorta in modo del tutto naturale. dopo averla visitata più volte in stagioni diverse e osservato come luci, ombre e sfumature ed atmosfera si modificassero in base al periodo dell’anno, andré durand immaginò di ottenere nella grotta l’ambientazione, sulla scorta della raffigurazione dei miti omerici, della scena della natività. l’idea nasce infatti dall’idea della grotta quale rifugio naturale, associando così le caratteristiche di questo luogo unico, già scelto dall’imperatore tiberio, con il ricordo degli eventi storici che si svolsero nello stesso periodo in palestina.

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la contemporaneità delle vite di tiberio e di Cristo, l’occasione spontanea del confronto fra le due figure, l’analisi dei loro caratteri, entrambi di fondamentale importanza per la nostra cultura, seppure sotto aspetti diversi, rappresentano infatti un invito non solo a valorizzare la bellezza universale del luogo ma anche a prendere coscienza dei possibili, profondi collegamenti spirituali e storici. se al tempo di tiberio questo luogo fu scelto per una scenografia mitologica, non c’è effettivamente motivo perché non potesse prestarsi anche come scenografia di un presepe, tradizionale o moderno. il presepe

il presepe (o presepio) è una rappresentazione della nascita di gesù, derivata da tradizioni medievali. il termine italiano deriva dal latino praesaepe, composto di prae (davanti) e saepes (recinto), ovvero “luogo che ha davanti un recinto”, in senso lato: mangiatoia, recinto, stalla. all’origine delle denominazioni del presepe in altre lingue europee come il francese (crèche), l’inglese (creche), il tedesco (Krippe), e persino lo svedese (julkrubba), vi è invece l’antica parola germanica che significa “mangiatoia” (da cui anche l’italiano greppia)” o anche “culla”. l’uso del termine “presepe” è attestato anche nella topografia altomedievale cristiana di roma: una testimonianza letteraria del Vii secolo prova che, a cavallo tra antichità e medioevo, il termine presepe si applicava alla denominazione originale della Basilica di santa Maria Maggiore. a quel tempo la basilica, chiamata liberiana dal suo stesso 10

fondatore, papa liberio (352-366), era detta anche “santa Maria ad praesepem”. si ritiene che il papa sisto iii (432440) vi abbia trasferito i frammenti del legno della sacra Culla, cioè un’antica mangiatoia, tradizionalmente considerata il vero giaciglio che avrebbe accolto gesù nella stalla di Betlemme. secondo testimonianze probabilmente più veritiere, i resti di legno furono invece trasferiti a roma solo al tempo di papa teodoro (640-649). di certo, all’epoca di papa gregorio iV (827-844), nella chiesa esisteva già una Cappella del presepe in cui queste reliquie erano venerate e dove ebbe origine la consuetudine della messa natalizia di mezzanotte. Col tempo, il culto del natale e del divino Bambino si propagò anche alle altre chiese romane. Ma fino al 1870 i papi continuarono a celebrare la messa di natale a santa Maria Maggiore. grazie alla tradizione antica, questa chiesa accolse anche il primo esempio assoluto di arte plastica presepiale. si tratta delle statue marmoree scolpite da arnolfo di Cambio fra il 1290 e il 1292 su ordine di niccolò iV, primo papa francescano e quindi particolarmente devoto al culto della natività. Questo presepe fu realizzato solo alcuni decenni dopo la rappresentazione di san Francesco d’assisi di un presepe vivo e reale, realizzata a greccio nel 1223. si ritiene che le figure di arnolfo di Cambio segnino l’inizio della storia dei presepi tridimensionali, spesso poi scolpiti nel legno, più raramente nel marmo, ancora più spesso realizzati in terracotta. del presepe di arnolfo rimangono oggi soltanto le figure dei Magi, di san giuseppe, del bue e dell’asinello, conservate nella

cripta della Cappella sistina in santa Maria Maggiore. non è senza importanza, che il culto della Madonna nella zona d’esquilino si propagò grazie a una tradizione molto più antica – originalmente ci esisteva un bosco e dall’anno 375 a. C. anche un tempio consacrato a dea pagana iuno lucina, protettrice delle donne partorienti. storia del presepe

la tradizione storica della raffigurazione del presepio può essere divisa in tre periodi fondamentali: i. epoca paleocristiana Fu san Francesco a dare inizio al culto universale del presepe, anche se le prime rappresentazioni della nascita di Cristo e dell’adorazione dei Magi risalgono ai primi secoli della storia della Chiesa. le semplici immagini di Maria col bambino in grembo raffigurate già dal iii secolo sulle pareti delle catacombe romane (di s. agnese, priscilla, pietro e Marcellino e domitilla) si possono, infatti, considerare tra le prime manifestazioni dell’arte paleocristiana. le caratteristiche di questi dipinti dimostrano come si sia sviluppata l’iconografia cristiana: l’immagine frontale della Vergine col Bambino richiedeva due Magi accanto a sé, ma nel iii e iV secolo furono raffigurati, per ragioni di simmetria, anche quattro o persino sei Magi. nel vangelo di Matteo, 2, 9-11, dove si narra della visita dei Magi d’oriente a Betlemme, non è in realtà precisato il loro numero, ma si parla soltanto dei tre doni che portarono a gesù neonato: “ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. al vedere la stella, essi provarono una

grandissima gioia. entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra”. la prima codificazione a noi giunta dell’iconografia dell’epifania risale al iV secolo ed è presente sui sarcofagi paleocristiani: si riferisce proprio ai tre doni, presentati da personaggi vestiti con il costume tipico dei persiani. Così nasce la tradizione dei tre re Magi, ulteriormente arricchita da un ampio repertorio simbolico. la scena con i tre re orientali e i loro cammelli sullo sfondo è diventata un’immagine tipica per rappresentare tale episodio. le piccole varianti che uniscono elementi di natività e adorazione dimostrano tuttavia che, oltre ai vangeli di Matteo e di luca, gli artigiani che scolpivano i sarcofagi paleocristiani si ispiravano anche ai testi dei Vangeli apocrifi sull’infanzia di gesù, che era quindi non sempre raffigurato come un neonato avvolto in fasce in grembo a Maria. nello stesso periodo si diffondeva infatti la versione del cosiddetto Vangelo apocrifo dello pseudo-Matteo: secondo questo testo, giunto peraltro a noi in una redazione più tarda, ma evidentemente esistente già alla fine del ii secolo come provano i motivi figurativi, i Magi non vennero subito ad adorare il neonato a Betlemme, bensì quando già la sacra Famiglia si era rifugiata in egitto. gesù fu dunque qui rappresentato come bambino già cresciuto, seduto in grembo alla Madonna che sta porgendo le mani per accogliere i regali. l’oro in forma di corona (nella tarda antichità si effettuava un’offerta d’aurum coro11

narium riservata al sovrano, per cui l’oro indicava in gesù il nuovo re universale) l’incenso quale dono destinato a un vero dio, contenuto in un vassoio o pisside, la mirra fluida, posta in un recipiente con coperchio, che alludeva invece al carattere umano di gesù, dio diventato uomo, e alla sua sofferenza futura. nell’immaginario antico, i Magi provenienti dall’oriente erano rappresentati nel costume tipico dei persiani, con i cappelli frigi. tale motivo era frequente sui sarcofagi del iV secolo e, in seguito, anche nell’arte monumentale paleocristiana, che si ispirava a motivi già esistenti nell’arte sepolcrale. dello stesso periodo è anche la diffusione del motivo della natività con Maria seduta accanto alla mangiatoia dov’è steso il bambino, affiancato dal bue e dall’asinello. Questi elementi, che fanno riferimento alla profezia di isaia 1, 3: “il bue ha conosciuto il suo possessore e l’asino la mangiatoia del suo padrone.” furono applicati all’immagine della natività del futuro salvatore grazie alla sapiente e carismatica interpretazione proposta da uno dei più influenti teologi cristiani di scuola alessandrina, origene (185-253), nella sua tredicesima omelia su luca. Quanto alla menzione della stella che appare in cielo al momento della nascita di gesù e che segue i Magi in viaggio verso Betlemme, essa si trova nel Vangelo canonico di Matteo, ma la sua importanza simbolica era ancora più marcata in un altro Vangelo apocrifo, quello arabo sull’infanzia di gesù. l’arte paleocristiana si sviluppò nel mondo romano come combinazione tra una fervente fede e la speranza di salvezza propria dei cristiani antichi. l’uso destinato all’am12

biente sepolcrale determina la sobrietà e il simbolismo dell’espressione figurativa, tuttavia la fantasia popolare era animata da narrazioni più ricche di dettagli e di eventi straordinari e miracolosi, volti a sottolineare la divinità del Bambino e l’immacolata verginità di Maria. i testi apocrifi avevano un carattere piuttosto di leggenda, secondo il modello di molti racconti popolari antichi, e furono in seguito esclusi dalla Bibbia canonica, ma la loro importanza nello sviluppo dell’arte cristiana è innegabile. ugualmente, nel loro successivo sviluppo costituirono una fonte ricchissima di motivi straordinari per bellezza e profondo simbolismo. i monumenti conservati dimostrano che i motivi della natività e dell’adorazione furono, per necessità, combinati in un’unica scena, come si vede sul lato destro del grande sarcofago oggi sito ad arles, nella chiesa di san trofimo: nell’episodio dell’epifania sono raffigurati anche il bue e l’asinello, ai piedi di Maria con Cristo fanciullo in grembo. di solito, il motivo del presepe veniva raffigurato sui coperchi dei sarcofagi e l’adorazione sul lato principale, anche perché la scena comprendente numerose figure occupava più spazio. il ciclo della natività, del resto, godeva fin d’allora di una notevole popolarità, in quanto colpiva la fantasia dei cristiani antichi e rendeva meno oscuro il mistero di dio fattosi uomo. anche l’immagine di tre re magi nell’arte ha avuto una sua tradizione artistica: il numero dei Magi fu fissato ufficialmente a tre dal papa leone Magno (440-461) verso la metà del V secolo.

tre magi - sarcofago dogmatico - iii secolo, Musei Vaticani - roma

secondo numerose leggende, i Magi giunsero a Betlemme tredici giorni dopo la nascita di Cristo. Fu il Vangelo armeno sull’infanzia di gesù ad alimentare la leggenda che assegna loro i nomi gaspare, Melchiorre e Baldassarre, nonché ad attribuire loro caratteristiche sia etniche che simboleggianti le diverse tappe o età della vita umana. tali motivi sono ben visibili nella raffigurazione dell’epifania presente a sant’apollinare nuovo a ravenna, unico esempio di questo episodio in un mosaico tardo antico che si sia conservato fino ai giorni nostri. lo stesso tema è raffigurato anche nell’abside della chiesa della natività a Betlemme, consacrata verso il 328-329 da santa elena, madre di Costantino. la chiesa si ergeva sopra la grotta detta della

sacra natività, visitata al tempo da molti rappresentanti ufficiali della Chiesa che, seguendo l’esempio di san girolamo (347-420), vi celebravano la natività di gesù Cristo. È da notare che la Chiesa primitiva non aveva ancora fissato un giorno stabilito per la celebrazione del natale. al Concilio di nicea del 325, Cristo fu definito luce da luce, dio vero da dio vero. la Chiesa ha ripreso definitivamente la data del 25 dicembre (festa tradizionale del sole, identificato nel calendario romano come dio Mitra) nella sua liturgia per festeggiare il natale di dio diventato uomo: fu dapprima Costantino, primo imperatore cristiano, a stabilire che il settimo giorno nella settimana, consacrato al sole, diventasse il dies domini (cioè la domenica), poi, nell’anno 337, un decreto di papa giulio i fissò la festività universale del natale al 25 dicembre. nella chiesa ortodossa, d’altro canto, il natale coincide con l’epifania celebrata il 6 gennaio, mentre nel mondo cattolico esistono due feste distinte, benché collegate tra loro. la popolarità della liturgia natalizia ufficiale, promossa nel periodo costantiniano e post-costantiniano, fu sostenuta anche dall’esistenza delle citate raffigurazioni, create nell’ambito dell’arte sepolcrale ed in seguito utilizzate per le sontuose decorazioni delle chiese, degli utensili liturgici e degli arredi. ii. l’epoca bizantina e medioevale la rappresentazione della natività con la Madonna in trono, derivata dal repertorio paleocristiano, si è mantenuta fino al Vii secolo. Fu più tardi sostituita da un’iconografia 13

diversa, creatasi in ambiente bizantino, con la Madonna raffigurata distesa su un grande cuscino, accanto al bambinello nella mangiatoia attorniato dall’asinello e dal bue. Questa rappresentazione complessa, ispirata alle cerimonie ufficiali della corte imperiale, si era diffusa in occidente e così fu ripresa nell’iconografia dell’arte romanica e gotica. nell’ambiente occidentale, il cuscino della Madonna era sostituito da un letto convenzionale rivestito di preziose copertine ricamate. l’iconografia bizantina popola da parte sua la natività di angeli dipinti in vivissimi colori, con predominanza delle sfumature dell’azzurro e di tutte le tonalità forti richiamanti lo splendore della luce. la presenza degli angeli che incorniciano la natività, quale accento sulla divinità del Bambino, divenne caratteristica dell’arte gotica internazionale. nell’arte di questo periodo, fra il tardo trecento e la prima metà del Quattrocento, si annunciavano già le tendenze precorritrici dell’umanesimo rinascimentale. Balzano agli occhi il realismo e una rinnovata importanza dei sentimenti, non più presenti dopo la decadenza dell’antichità classica. a partire da giotto e dai suoi successori, la rigida raffigurazione bizantina viene sostituita dall’espressione di un legame stretto fra la Madre e il Bambino. la Vergine è raffigurata con il neonato in braccio e l’espressione di tenerezza con la quale lo abbraccia diventa toccante. Viceversa l’iconografia dell’adorazione non subisce modifiche altrettanto radicali rispetto all’impianto medievale, e si tende a preferire sempre la versione apocrifa. il ritmo intrinseco della sfilata dei tre re Magi non cambia, mentre l’aspetto delle figure viene aggiornato e dotato di 14

caratteristiche più contemporanee, quali corone con gioielli e vestiti ricamati d’oro. dai doni che i re Magi portano a gesù nasce la tradizione di donare dolci e giocattoli ai bambini per natale. in italia, questa tradizione s’incrocia con la leggenda della Befana: secondo tale racconto i re Magi, durante il viaggio verso Betlemme, fecero sosta a casa di una bizzarra vecchietta e la invitarono ad unirsi a loro. la Befana respinse l’invito e lasciò i Magi partire da soli. poi. ripensandoci, avrebbe deciso di seguirli. non riuscendo a ritrovarli nel buio della notte, pensò di lasciare a tutti bambini un dono, sperando che fra loro ci fosse gesù. iii. il presepe vivente di san Francesco (greccio 1223) se san Francesco d’assisi (1182-1226) non fu il vero e proprio l’inventore del presepio, sicuramente contribuì però ad enfatizzarne l’importanza non soltanto cultuale e liturgica, ma anche la popolarità universale di cui gode ancora oggi. “era il 1223, circa due settimane prima della natività e francesco dimorando nel romitorio di fontecolombo chiamò il suo amico giovanni velita, signore di greccio, invitandolo a preparare quanto sarebbe servito per la celebrazione natalizia: ‘se vuoi che celebriamo a greccio il natale di gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il bambino nato a betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l'asinello’. appena l’ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò, sollecito ad approntare nel luogo designato

la nativitĂ - Xiv secolo rilievo della facciata del duomo di orvieto eseguito da tre o quattro maestri anonimi orvieto - italia

tutto l'occorrente, secondo il disegno esposto dal santo. e giunse il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! per l'occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s’accese splendida nel cielo la stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. arriva alla fine francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello. in quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l'umiltà. greccio è divenuto come una nuova betlemme. Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! la gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. la selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. i frati cantano scelte lodi al signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia. il santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. poi il sacerdote celebra solennemente l’eucarestia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima. francesco si è rivestito dei paramenti diaconali, perché era diacono, e canta con voce sonora il santo vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato re povero e la piccola città di betlemme. spesso, quando voleva nominare Cristo gesù, infervorato di amore celeste lo chiamava ‘bambino di betlemme’, e quel nome ‘betlemme’ lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. e ogni volta che diceva ‘bambino di betlemme’ o ‘gesù’, passava 16

la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole. vi si manifestano con abbondanza i doni dell’onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. gli sembra che il bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo. né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché, per i meriti del santo, il fanciullo gesù veniva resuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria. terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua, pieno di ineffabile gioia”. [tommaso da Celano, Vita prima di san Francesco (1229) – in: Fonti francescane (a cura di ernesto Caroli), padova 2004, pp. 305nn.] per concentrare la mente e i sentimenti di tutti i presenti alla sua messa di greccio sulla nascita di Cristo, speranza di tutti gli umili, san Francesco pose soltanto una mangiatoia, con il bue e l’asinello vivi, senza i protagonisti reali. la sua carismatica e fervente messa creò però l’illusione eloquente che il Bambino fosse presente. Questa fervente devozione promossa del realismo della rappresentazione divenne un potente stimolo per la devozione popolare e aprì la strada a tutte le successive rappresentazioni dei presepi, sia viventi che scolpiti nel marmo, nel legno o nella terracotta. dal natale del 1223 cominciarono a diffondersi le rappresentazioni tridimensionali del presepe e crebbe la sua straordinaria popolarità in tutto il mondo, giunta fino ai nostri giorni. l’arte presepiale ha conosciuto un’incomparabile fioritura

soprattutto dal periodo barocco in poi. grazie ai diversi caratteri nazionali e regionali, si sono sviluppati innumerevoli motivi accessori e diverse tecniche creative, che hanno arricchito e attualizzato il nucleo del presepe primitivo. ancora oggi affascina questa scena raffigurante il mistero cristiano, abbondantemente popolata dai pastori, dai loro animali e da tutti gli altri uomini venuti per fare omaggio al Bambino gesù, simbolo universale di nuova vita e promessa dell’esistenza eterna per i fedeli. il nuoVo presepe

Museo archeologico nazionale di sperlonga Fra tradiZione ed attualitÀ

i presepi creati dal seicento e settecento in poi si distinguono non solo per il messaggio liturgico, che mira a presentare la scena della natività, ma presentano gesù neonato non più venerato soltanto dai re Magi e dai pastori come richiesto dalla tradizione evangelica: a poco a poco, infatti, la scenografia del presepe si amplia, con l’introduzione di motivi e figure tratte dalla vita quotidiana. Ha così luogo una diversificazione ed anche una maggiore diffusione dell’allestimento dei presepi in italia e nel resto d’europa. i presepi cominciano a distinguersi per dettagli e convenzioni, caratterizzandosi in senso geografico e culturale. l’estendersi della tradizione rende il presepio più eclettico e innovativo rispetto ai precedenti esemplari nazionali, regionali o addirittura individuali. grazie a tali caratteristiche, e a forme e tecniche diverse, osserviamo la straordinaria fio-

ritura del presepe contemporaneo, che rappresenta una vera e propria forma d’arte popolare in continua evoluzione. ogni anno, appena inizia il periodo dell’avvento, gli elementi tradizionali e quelli nuovi catturano l’attenzione di persone osservanti e laiche, di grandi e piccini. un anno fa, il Museo di sperlonga ha inaugurato la tradizione del presepe nel Museo con lo scopo di riunire la popolazione, anche nel periodo di natale. Fautore del progetto è stato domenico la rocca, mentre il rapporto del Museo con andré durand, avviato nel 2011, ha apportato nuovi stimoli volti ad elevare lo sviluppo delle attività culturali e artistiche del Museo. la passione dell’artista per il tema del presepe ha contribuito a convincere il Museo di dotarsi di un presepe non solo più grande rispetto a questo già esistente, ma soprattutto pensato unicamente per sperlonga, quindi basato sulla scenografia della grotta di tiberio e che tenesse conto delle correlazioni fra tiberio, gesù Cristo e la storia del primo Cristianesimo. i progetti di andré durand hanno voluto porre l’accento sul patrimonio conservato nel Museo archeologico ed unire la storia culturale del sito e del luogo stesso. la generosità di durand si è espressa inoltre in un sostegno materiale al Museo per le sue attività culturali. il nuovo presepe di sperlonga è stato realizzato a napoli con la partecipazione creativa ed esecutiva dell’atelier d’arte Corcione, ed eseguito in particolare da anna e rosaria Corcione, le cui opere hanno già conquistato notorietà non solo a napoli e in tutta italia, ma vengono oggi riconosciute 17

tre re Magi - Xii secolo Facciata della chiesa di san trofimo arles - Francia

anche a livello internazionale. le loro figure per presepe portano l’impronta della ricchissima tradizione di grandi scultori napoletani del passato. Coinvolte dal Maestro durand nel progetto sperlongano, anna e rosaria hanno modellato le figure del presepe e, con moderna prospettiva, hanno contribuito ad attualizzare la rappresentazione di alcuni motivi, in particolar modo della Vergine e di san Francesco.

Con andré durand, sperlonga può contare sull’apporto di un pittore contemporaneo di temi mitologici molto noto.

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Ma il mito non è l’unica fonte d’ispirazione delle sue opere: pittore ma anche esperto d’arte, da tutta una vita è impegnato ad assorbire elementi dell’arte antica e moderna, profana e cristiana. prospettive che si fondono nella sua creatività, in cui peraltro la interpretatio cristiana è divenuta predominante. Bellezza e formalismo dei prototipi dell’antichità sono presentati come punti iniziali per lo sviluppo delle idee e della cultura cristiana. nella consapevolezza che entrambi gli elementi costituiscono i fondamenti della nostra cultura e che le idee specifiche possano riflettersi in un ambito più ampio,

durand ha concepito le sue opere per il Museo, le lacrime di san pietro e fra Carlo con la testa di ulisse. Visioni poetiche basate sull’unione e sul confronto tra antichità e cristianesimo, coniugate mediante l’approccio diretto e intuitivo dell’artista e specchio di una realtà complessa. l’arte di durand non è mai inerte o superficiale. le sue idee sono dinamiche, esuberanti, piene di innovazioni e capaci di trasmettere gioia anche a coloro che sono coinvolti nella loro realizzazione. il nuovo presepio ne è la prova. entrando per la prima volta nella grotta di tiberio, l’artista ha fin da subito concepito il luogo come rifugio naturale, al di là dei gruppi omerici, combinando nella propria immaginazione tale idea con la rappresentazione della natività di gesù a Betlemme.

Quando successivamente è nata l’idea del presepio nel Museo, l’ambiente per la grotta della natività era già, in pratica, stato scelto. allo stesso modo, già realizzati erano anche i dettagli architettonici, ispirati al ninfeo con i due bacini anteriori. il triclinio imperiale al centro di quello quadrangolare sarebbe diventato il luogo ove porre la sacra Famiglia.

Quanto ai personaggi, la vera e propria novità della concezione sono le figure aggiunte: quelle allegoriche, come anche in molti altri presepi, e due, in particolare, che rievocano persone reali: una importante per la storia del presepe e l’altra legata alla storia di sperlonga. san Francesco seduto sulla rocca alla sommità della grotta è riconoscibile per la fisionomia e per la chierica. la figura maschile in piedi, posta nello sfondo, è invece panneggiata alla maniera romana, avvolta in un’ampia tunica e mantello di

porpora con orlo d’oro, e intuiamo dalle caratteristiche fisionomiche trattarsi dell’imperatore tiberio. una scelta forse non consueta per un presepe, ma ben connessa al luogo, alla storia di sperlonga e, seppure in modo indiretto, anche a quella di Cristo. in piedi su una colonnina posta alle spalle della sacra Famiglia, tributo all’allegoria, vi è poi una bella figura femminile; è la Fede, che con la mano destra indica la Madonna. allusione al concetto di Fides romana, scomparsa con la fine del paganesimo, si ritrova qui in veste ed interpretazione cristiana. È partendo da queste tre figure che possiamo illustrare il livello spirituale, filosofico e di tradizione del presepio e della sua ambientazione. il motivo della donna è, non dimentichiamolo, parte del repertorio dei presepi napoletani, in cui, dietro alla Madonna, è sempre collocata la meretrice, motivo profano contrapposto alla purezza della Vergine. Qui, invece, la figura vestita di colore azzurro e arancio diviene simbolo di eternità e redenzione, data al genere umano dal Bambino gesù. il pavone, inoltre, situato accanto, è un motivo allegorico di importanza particolare per leggere il significato della Fede. si credeva infatti, nell’antichità, che la carne di pavone non si disintegrasse e non soccombesse al vizio. nel simbolismo cristiano, quindi, il pavone simboleggiava purezza e incorruttibilità, che promettevano ai fedeli la visione della vita eterna. È importante che la creatività possa godere di libertà spirituale, perché l’altro, non meno importante, livello costitutivo del nuovo presepio è l’elemento di pura gioia che 19

ha accompagnato il processo creativo: le discussioni fra durand e le sorelle Corcione sui dettagli dei motivi e il loro modellato, nonché quelle con il personale del Museo, la loro gioia nel rendersi utili e apportare miglioramenti all’installazione. l’allestimento del presepe è diventato, così, un compito di tutti coloro che hanno contribuito al suo aspetto definitivo e a risolvere i problemi tecnici relativi alla grotta, dipinta dal Maestro durand con colori ecologici, quindi decorata con diverse specie di piante naturali, mente la vasca sul fronte è stata riempita con acqua e pesci rossi. il risultato è un allestimento di ispirazione naturale, volto a riportarci alla storia della grotta di tiberio originaria, in cui le vasche erano usate come vivai per i pesci allevati e destinati alla tavola dell’imperatore. nel periodo paleocristiano, il pesce era inoltre simbolo del Cristo, poiché in greco pesce si dice “ichthys” ovvero l’acronimo evocante il nome di Cristo (iésous theou hyios sótér – gesù, figlio di dio e salvatore). l’isolotto che sorge in primo piano nel centro del bacino rettangolare sul quale, nella villa originale, era situato il triclinio imperiale, è divenuto collocazione ideale per la sacra Famiglia. nella scenografia del presepe si osserva la tradizione napoletana di rappresentare il bambino in una scala un po’ più grande rispetto alla grandezza delle figure dei genitori. andré durand intendeva evidenziare la semplicità e la bellezza della Madonna e, nella sua concezione, la immaginava raffigurata come una giovane madre contemporanea, con la pelle bruna tipica dell’ambientazione napoletana. la graziosissima e abbronzata vergine si richiama in parte anche alle affascinanti 20

Madonne nere. seduta a terra, sorveglia il dolce bambino addormentato davanti a sé. le bellissime figure dall’atelier Corcione prendono vita e riescono a suscitare emozioni e un’empatia perfetta. allo stesso modo, la sensibilità evidente in tutti i dettagli complementari rende un’illusione perfetta della situazione rappresentata, ad esempio nell’agnellino bianco portato in dono al Bambino e nel piccolo liuto all’altro lato della Madonna, che viene quindi presentata come se stesse facendo addormentare il suo bimbo con una dolce ninna nanna. secondo la tradizione napoletana, la Vergine è abbigliata con un vestito bianco e un’ampia gonnella rossa, che, a sua volta, richiama le gonnelle medievali caratteristiche del periodo a cavallo fra trecento e Quattrocento, talvolta decorate con degli ornamenti tipici, stelle, croci e motivi vegetali che ricordano la Madre di dio nato uomo nella persona di Cristo, artefice della salvezza e della rigenerazione dell’umanità. sono presenti inoltre motivi molto più antichi, ispirati alla tradizione orientale sviluppatasi in siria, una delle prime terre di diffusione cristiana. tre stelle e tre croci, che ornavano il mantello della Madre di dio (eotokos bizantina) raffigurata nelle icone ieratiche, diventarono i primi simboli indicanti la verginità permanente. Fu solo dopo i grandi maestri, duccio, Cimabue e giotto, che ci si distaccò dalla tradizione medievale, vedendo nella Madonna soprattutto il simbolo della maternità. le rappresentazioni tendevano, quindi, a rilevare il mistero dell’amore e del legame intimo fra una madre e il figlio.

per la prima volta, la speranza nella redenzione e la salvezza in Cristo sono espresse mediante una profonda empatia umana. la storia delle rappresentazioni della Madonna con il Bambino è legata anche alla definizione di un codice cromatico che esalta i ruoli sia della Madre sia del Figlio. Fino al 787, la Chiesa si era interrogata sul valore di tale immagine quando, nel secondo Concilio di nicea, non solo aveva ristabilito la liceità del culto delle sacre immagini, ma aveva anche stabilito alcuni dei significati dei colori da usare per vestire i personaggi della storia sacra. spesso, quindi, la Vergine veste di rosso e rosa, mentre il colore del suo manto è di un azzurro o blu intenso. in questo caso, si pone l’accento sulla sua essenza di donna mortale (rosso come sangue e corporalità) che si è saputa rivestire dell’etereo azzurro-blu del cielo, simbolo di eccelsa spiritualità. anche i colori che caratterizzano san giuseppe sono quelli della tradizione: il giallo, il marrone e talvolta il viola. il marrone e il rosso si assimilano alla stessa sfera simbolica che corrisponde al colore del sangue e simbolo della vita, colori della terra e simbolo delle energie terrestri. i due colori si addicono a giuseppe per la sincerità, forza e il sostegno che egli offre, senza condizioni e senza ricevere certezze, solo per amore della giovane sposa, proteggendola con il suo corpo, mentre osserva il bambino assopito. Viola e giallo, benché appartenenti a simbologie cromatiche differenti, rappresentano i colori di chi vive tra il mondo materiale e quello spirituale, e il viola è inol-

tre il colore del sacerdozio. se è importante il “sì” di Maria, lo è anche quello di giuseppe, che si offre liberamente al Mistero perché in grado, anch’egli, di seguire quella voce che risuona nel suo cuore e nei suoi sogni. non soltanto estetica, ma anche simbolica, è la nudità del Bambino gesù, incarnazione dell’integrità del novello adamo che ci ricongiunge con il paradiso e che sana la frattura creata dai nostri progenitori, adamo ed eva, celebrando la rinnovata perfezione dell’uomo. grazie a lui, l’umanità potrà accedere nuovamente alla pienezza della vera vita e rinunciare alla morte spirituale indotta dal peccato originale. la bellezza formale del presepe è in armonia con il simbolismo rappresentato e la prospettiva della sacra Famiglia suggerisce una limpida chiave d’interpretazione spirituale. l’asse principale della grotta e delle sue strutture permette di evidenziare il senso e la grazia della sacra Famiglia con il bue e l’asinello e un ulteriore elemento secondario vicino ad essi. il senso della speranza spirituale è indicato del pastore Benino assopito a terra davanti all’isolotto. il significato cristologico è, inoltre, enfatizzato dall’allegoria della Fede posta sullo stesso asse. i colori dell’abbigliamento, il rosso e l’azzurro, riportano al significato testé illustrato, mentre la collana di perle intende rappresentarla come figura sublime e astratta. l’efficacia del Fede è accresciuta dalla posizione al centro di due assi: in quello centrale è situata la sacra Famiglia, mentre proseguendo con lo sguardo in senso verticale, giungiamo al livello superiore della struttura.

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Qui, alla sommità della grotta, è situato un pastore, seduto in mezzo alle sue pecore. Motivo tradizionale, ma anche innovativo in quanto il pastore è stato caratterizzato con i tratti tipici di san Francesco, la chierica e le stimmate. È stata intenzione spontanea e univoca dei creatori del presepe, a. durand e le sorelle Corcione, introdurre nella scenografia anche san Francesco. durante la notte di natale del 1233, a greccio, san Francesco rievocò la nascita di gesù con una rappresentazione vivente dell’evento, diventando così precursore di queste rappresentazioni liturgiche, e può quindi essere considerato senza dubbio come l’iniziatore dei presepi. diventa qui, però, aggiornato alla prospettiva dei giorni nostri: è vestito infatti in jeans come un pastore moderno, pur conservando la sua umiltà e semplicità. san Francesco che guarda dall’alto il presepe da lui creato rappresenta anche il simbolo del Buon pastore cristiano, secondo il vangelo di san giovanni (giov. 10, 1-7). l’asse orizzontale fa della Fede un elemento cruciale per spiegare i paralleli e contrasti del presepe ambientato a sperlonga. Come detto, in un presepe ispirato della grotta di tiberio non poteva mancare un secondo patrono simbolico, tiberio stesso. tale figura è stata introdotta come originario “padrone di casa”, ma non solo: esistono anche fattori di legami storici fra tiberio e gesù, crocefisso sotto il suo regno. l’introduzione della Fede fa poi risaltare il contrasto fra un sovrano terrestre e l’eternità del regno celeste in Cristo. tiberio non fa quindi parte della natività vera e propria. nobile, austero, avvolto in un pallio di colore porpora, è allon22

tanato e posto sullo sfondo. potrebbe trattarsi di un fantasma apparso da una caverna dentro la grotta, come un riflesso dell’antico mondo pagano e del suo potere che contribuì a condannare Cristo a morte perché potesse avverarsi il mistero della sua divinità. tramite le testimonianze dei discepoli, questi eventi hanno cambiato in modo decisivo l’antico mondo romano e la sua prospettiva spirituale. nell’analisi storica e anche in quella psicologica, va detto che tiberio rimane sempre un paradosso, non soltanto come imperatore, ma anche come persona. a differenza di quanto tramandano tacito e svetonio, la sua personalità complessa non può essere giudicata soltanto negativamente. da plinio il giovane è stato descritto come il tristissimo imperatore, elemento che indica un percorso complesso e ambiguo che ha lasciato l’impronta sia sulla sua vita che sulla psicologia del personaggio storico. discendente dei Claudii, famiglia patrizia romana, legatasi ai giulii in conseguenza delle seconde nozze della madre livia con ottaviano augusto, era stato educato alla corte imperiale con l’obiettivo di un’eccellenza esemplare ma non quello di una carriera politica ai più alti livelli. durante le campagne militari nelle province, tiberio si distingue come abile generale, amato dai suoi soldati, ma al suo ritorno a roma è in sostanza emarginato dalla vita politica al fine di non ostacolare la carriera dei nipoti di augusto, gaio e lucio. dopo la morte di agrippa è costretto a divorziare, pur amando sinceramente la moglie Vipsania, e per motivi politici viene obbligato a sposare giulia, figlia di augusto. l’unico bambino nasce morto e il rapporto coniugale si rompe assai presto anche a causa dei vizi di giulia.

tiberio preferisce quindi trasferirsi a rodi per proseguire gli studi di filosofia e arte. durante il suo soggiorno a rodi, approfondisce la conoscenza dell’arte greca osservando le opere degli artisti del passato e di quelli a lui contemporanei. augusto proclamò tiberio suo successore soltanto nel 4 d.C., dopo la morte prematura dei suoi nipoti ed eredi, e prima della sua morte nel 14 d.C. tiberio divenne quindi imperatore all’età di 56 anni. in effetti, potrebbe essere definito il primo degli imperatori “adottivi”, perché non era consanguineo della gens Julia. preferì una politica amministrativa saggia, volta a consolidare i confini dell’impero romano, senza intraprendere nuove espansioni. Forse scontento degli intrighi politici a roma, amareggiato per la propria sorte, o forse anche per le ragioni di salute, si ritirò in campagna, prima a spelunca (l’odierna sperlonga), dove costruì, appunto, una villa vicino al mare, sui terreni ereditati dalla famiglia. dopo aver ridisegnato nella vicina grotta un triclinio e un ninfeo splendidamente decorati con i gruppi omerici, tiberio ha probabilmente trascorso nella villa giorni idilliaci fino all’incidente avvenuto nell’anno 26 d.C., quando, grazie all’intervento del suo prefetto seiano, riesce a sopravvivere ad un improvviso crollo di alcune rocce ed infine abbandona sperlonga per ritirarsi a Capri.

Fu quindi tiberio a inserire sperlonga nelle mappe storiche e culturali e a farne una località di rilievo per il valore del suo patrimonio. Fino ad oggi, nessun suo ritratto originale è stato rinvenuto a sperlonga o nei dintorni: è anche a causa di questa mancanza che è stato deciso di aggiungere al presepe l’im-

magine di tiberio, in ricordo del suo importante ruolo nella storia di sperlonga, nonché per le connotazioni mitologiche. il presepio è stato svelato al Museo nella forma descritta l’8 dicembre 2011. il giorno di natale è stato posto il Bambino gesù con il bue e l’asinello, Benino e le pecore. la scenografia complessiva è stata quindi completata per la festa dell’epifania con l’introduzione dei re Magi, presentati al pubblico presso il Museo e infine posti accanto al Bambinello. i re Magi sono caratterizzati dagli attributi tipici della loro magnificenza, i copricapi con lungo velo a guisa di mantello, le grandi croci sulla parte posteriore, le lunghe tuniche con maniche ampie e i ricchissimi dettagli in oro. lo splendore degli abiti fa pensare ai vestimenti cerimoniali tipici dei dignitari ecclesiastici dell’oriente ortodosso. inginocchiati davanti al bambino, lo contemplano con rispetto e ammirazione. Melchiorre, con i capelli e la barba bianchi, sta vicino al Bambino guardandolo con volto emozionato e lo sguardo di saggezza dell’uomo anziano. Baldassarre, il babilonese, mostra un’intensa emozione e una profonda tristezza poiché già prevede la morte di gesù. il giovane gaspare, re di saba, misterioso e leggendario paese dell’africa equatoriale, con grande gioia negli occhi radiosi, osserva il neonato re dei re. grazie alla bellezza del modellato delle fisionomie e alle espressioni realizzate da anna e rosaria Corcione, nonché alla vivace policromia dei re Magi, eseguita con sensibilità da andré durand, queste tre figure rappresentano elementi cruciali, che conferiscono alla scena della natività una vitalità e un’emozione straordinaria.

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altro elemento di grande emozione è il gruppo di angeli che volteggia sulla grotta come in un afflato vitale volto ad esprimere la gioia celeste. gli splendidi colori e i panneggi mossi dal vento incoronano il presepe. nel gruppo angelico mancava finora un’opera prevista inizialmente da andré durand, ma realizzata solo successivamente e che sarà presentata come novità di quest’anno: si tratta dell’angelo nero ispirato alla canzone di pedro infante e José Marino Barreto, resa famosa negli anni sessanta da Fausto leali, che ha lasciato un’impronta sempre viva nella mente dell’artista:

iV. piante endemiche la forma del presepe è stata definita in base a quella della grotta di tiberio a sperlonga, dove è ambientato. prima dell’installazione e della costruzione del presepe, il modello della grotta è stato dipinto da andré durand in considerazione del carattere proprio dell’ambiente naturale. al progetto sono stati chiamati a collaborare Fernando e Maya seppecher (creatori e operatori di sperlonga Vivai) con cui l’artista ha studiato come poter dare un aspetto naturale al modello che sarebbe stato esposto per più di un mese nel Museo archeologico.

angelo nero

pittore, ti voglio parlare mentre dipingi un altare. io sono un povero nero e d’una cosa ti prego. pur se la vergine è bianca fammi un angelo nero. lo so, dipingi con amor. perché disprezzi il mio color? se vede bimbi neri iddio sorride lor. non sono che un povero nero ma nel signore io credo e so che tiene d’accanto anche i negri che hanno pianto.

Quando dipingi le chiese là fra le candele accese fra gli arcangeli ti prego metti un angioletto nero.

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Fernando, profondamente innamorato della sua terra, esperto appassionato di piante endemiche, e Maya, architetto del paesaggio, sono compagni nel lavoro e nella vita, nella ricerca, nello studio e nella composizione delle piante delle montagne sperlongane. la cornice vegetale di questo splendido presepe è realizzata con la stessa flora endemica che si trova sul promontorio della grotta di tiberio e persino all’interno la grotta e delle vasche. sopra la volta, Fernando ha posto del timo maggiore (ymus vulgaris), piccola pianta che non raggiunge mai altezze sopra i 30 cm ma che può formare estesi, profumatissimi popolamenti; l’erica multiflora, ricca tra agosto e dicembre di dense infiorescenze; la cedracca comune (asplenium caterach) proprio come si trova in natura, cioè tra le fessure della roccia; sottili pianticelle di tagliamani (ampelodesmos mauri tanica); l’asfodelo fistoloso; l’arisaro comune (arisarum vulgare).

l’idea di andrÊ durand Montaggio 2012

s. francesco in jeans atelier Corcione

lungo i bordi della vasca, ha posto del capelvenere (adiantum capillus veneris) e piccole calle (Zantedeschia aethiopica), ed immerso nell’acqua, così come presente in natura, il crescione (nasturtium officinale).

la figura della Madonna ci ha coinvolte in modo particolare.

Volevamo realizzare una donna del nostro tempo, con un viso come quelli che vediamo tutti i giorni, in qualsiasi strada del mondo, che ci consentisse inoltre di unire simbolicamente occidente ed oriente.”

per la base della scena è stato scelto l’ilatro sottile (phillyrea angustifolia) ed il lentisco (pistacia lentiscus), mentre ai lati della scena è stato posto l’olivo (olea europaea). l’allestimento è stato curato con grande attenzione da Fernando, presente quotidianamente in loco per sostituire le piante secche con altre fresche raccolte nella grotta. grazie alla competenza di Maya e Fernando, il presepe è diventato un organismo autenticamente vivo.

V. atelier Corcione raccontano anna e rosaria Corcione: “abbiamo lavorato con molto piacere alla creazione delle figure un po’ insolite che sono state scelte per questo presepe. la figura di san Francesco è sempre stata molto importante per il presepe in quanto, durante la notte di natale del 1223, a greccio (sulla strada che da stroncone, in umbria, prosegue verso il reatino), Francesco rievocò la nascita di gesù, realizzando una rappresentazione vivente dell’evento. e dunque è proprio a san Francesco che è attribuita la prima rappresentazione della nascita di Cristo. la sua presenza, riteniamo, è un elemento innovativo, benché tradizionale nelle tecniche e nell’essenza. il nostro san Francesco, che guarda da lontano il presepe da lui creato, è vestito in jeans, simbolo moderno di un istante senza tempo come la scena della natività di Cristo.

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Così rosaria: “non credo che possa esistere per uno scultore un tema più interessante della nascita del salvatore, perché rappresentare il Creatore è comunque un evento unico. nelle nostre sculture, sia quelle contemporanee sia quelle di tradizione, si manifesta sempre un forte senso del recupero. sono convinta che esista un equilibrio comune che è prerogativa della natura. gli antichi ne tenevano conto; io cerco di attenermi a questo equilibrio e grazie alla poesia, che è un ele-

mento molto presente nella cultura del mio paese, e alle intuizioni che appartengono al tempo in cui vivo, cerco di realizzare opere che possano essere definite senza tempo. nell’idea del presepe di sperlonga questo è stato possibile, perché abbiamo avuto a disposizione un patrimonio artistico visivo di grande ricchezza e suggestione, che ci ha consentito di realizzare un’opera unica.” aggiunge anna: “È difficile spiegare l’amore che mi lega al presepe napoletano. per me è come un laccio stretto, a volte così forte che mi stringe troppo, poiché finisce per condizionare tutto ciò che mi circonda. la poesia del presepe napoletano, la bellezza delle sue figure, la presenza di particolari anche grotteschi, l’immaginario che scatena la visione di piccolissime statue modellate, dipinte, vestite e dagli occhi brillanti, che sembrano parlarti e voler raccontare la propria storia, tutti questi elementi diversi mi hanno coinvolta, ormai da più di quindici anni, in un mondo di irrazionalità e di fascino. il presepe del ’700 napoletano entra in tutte le case del mondo e mette in scena la nascita del Bambino come è vissuta a napoli. e non solo per le forme, ma anche per il pensiero che gli dà vita: rappresentazioni di personaggi che vivono nei quartieri napoletani e che attendono la nascita, in questi vicoli stretti e senza luce, di gesù, ovvero del bambino che darà la luce al mondo intero. tutto questo ha rafforzato il legame con le mie radici, con la

mia città natale. e credo che solo chi è in pace con la propria terra possa guardare in modo positivo verso nuovi orizzonti.

Con questo presepe realizzato innovando, ma in modo del tutto tradizionale, vogliamo dare un seguito al nostro lavoro, creando un’installazione che è frutto di tutto quello che ci ha insegnato la tradizione, ma interamente contemporanea.”

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Fabricius, u. 1956: die legende im Bild des ersten Jahrtausend der Kirche (die einfluss der apokryphen und pseudoepigraphen auf die altchristliche und byzantinische Kunst). Kassel. grabar, a. 1979: les voies de la création en iconographie chrétienne. antiquité et moyen age. paris. sotomayor, M. 1975: sarcófagos romano-cristianos de españa. estudio iconográfico. granada.

Vézin, g. 1950: l’adoration et le cycle des mages dans l’art chrétien primitif. paris. www.presepio-romano.it (contiene una bibliografia dettagliata) http://friendsofthecreche.org/ http://www.lettereadioealluomo.com/greccio_rinascita_del_presepe.htm

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ANNA E ROSARIA CORCIONE atelier CorCione di napoli

la collaborazione con il Museo archeologico nazionale di sperlonga nasce dall'idea del Maestro andré durand di riprodurre all'interno del Museo la grotta di tiberio. la grotta fortemente voluta e realizzata dal personale del museo apre lo scenario ad una nuova visione della resurrezione di Cristo. l'idea del maestro è di realizzare un documento storico-artistico facendo rinterpretare dalle sorelle Corcione alcuni capolavori del passato come piero della Francesca e donatello. e' nata una grande affinita artistica con il Maestro per questo oltre ai preziosi suggerimenti che ci ha dato per la reinterpretazione del Cristo, della Maddalena, della Circe... abbiamo avuto la grande opportunità di realizzare delle opere ispirate ai dipinti del Maestro durand". la magia di questo luogo è grande così come l'entusiasmo di tutte le persone che ci lavorano e ci credono.

Qui si custodisce la bellezza dell'arte antica, esporre le nostre opere nel Museo nazionale di sperlonga rappresenta per noi un grandissimo privilegio.

testa di san giovanni atelier Corcione terracotta

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san giovanni evangelista a ChiChester sussex - inghilterra 2006 olio su lino 203x101,5

san giovanni a torre truglia sperlonga Montaggio 2012

la Maddalena sperlonga Montaggio 2012

angelo della tempesta Montaggio 2012

angelo di natale con polifemo Montaggio 2012

leone spagnardi angelo e fede Montaggio 2012

benito, addormentato sotto il ďŹ co Montaggio 2012

fede e tiberio Montaggio 2012

la nativitĂ Montaggio 2012

annunCiazione a didling sussex - inghilterra 2001 olio su lino 127 x 183

30 e l'angelo le disse: "non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso dio.

31 ed ecco, tu concepirai nel grembo e partorirai un figlio, e gli porrai nome gesù.

32 egli sarà grande e sarà chiamato figlio dell'altissimo; e il signore dio gli darà il trono di davide, suo padre; 33 e regnerà sulla casa di giacobbe in eterno, e il suo regno non avrà mai fine".

34 e Maria disse all'angelo: "Come avverrà questo, poiché io non conosco uomo?".

35 e l'angelo, rispondendo, le disse: "lo spirito santo verrà su di te e la potenza dell'altissimo ti adombrerà, pertanto il santo che nascerà da te sarà chiamato f iglio di dio. luca 1:30-35

il villaggio di didling nel sussex, si distingue per la sua umile chiesa del tredicesimo secolo. la cosiddetta "Chiesa dei pastori" dedicata a sant'andrea il santo protettore dell'artista, andrÊ durand, una piccola struttura bianca dipinta a calce, solitaria, immersa tra le colline e sempre circondata da pecore come piccole nuvole in un cielo verde e ad una certa distanza dal resto del villaggio di didling. la sensazione di sacro distacco, la serenità la maestosa semplicità del luogo e il fatto che la chiesa non ha energia elettrica, (è illuminata solo dalle candele) rende sant'andrea a didling, un luogo suggestivo, anche per i non cristiani. la "Chiesa dei pastori" e il paesaggio che la circonda sono presenti spesso nei dipinti dell'artista.

annunCiazione a didling particolare

ges첫 e ganiMede nel giardino degli ulivi Villa di tiberio 2012 olio su lino tondo 100

ges첫 e ganimede nel giardino degli ulivi particolare

san francesco e giancarlo Montaggio 2012

sibilla Cumana nella grotta di tiberio Montaggio 2012

ges첫 bambino torre truglia - sperlonga Montaggio 2012

gesÚ bambino spiaggia dell’angolo - sperlonga Montaggio 2012

angelo di natale con palladio sperlonga Montaggio 2011

angelo del tramonto san felice Circeo Montaggio 2012

angeli delle quattro stagioni a sperlonga Montaggio 2012

baldassarre alba a sperlonga Montaggio 2012

angelo di natale e sperlonga visti dalla grotta di tiberio Montaggio 2012

Mostra nella grotta di tiberio Montaggio 2012

lucio elio seiano porto di sperlonga Montaggio 2012

tiberio nutre i suoi pesci con l’oro sperlonga Montaggio 2012

baldassarre e sileno Museo archeologico nazionale di sperlonga

la scelta villa di tiberio sperlonga Montaggio 2012

angelo della Croce sperlonga Montaggio 2012

angelo con ulisse sperlonga Montaggio 2011

il risorto pasqua - sperlonga Montaggio 2012

FLORA E LA GROTTA DI TIBERIO nel 17, l'iMperatore tiberio ConsaCrò il teMpio a flora presso il CirCo MassiMo, riCostruito sulle rovine di Quello preCedenteMente innalzato dagli edili luCio e MarCo publiCio

Da un’idea di André Durand realizzazione del Manto vegetale del presepe di natale (opera i) e grotta della resurrezione (opera ii) di Fernando Fragione Studio e collaborazione nella realizzazione della Resurrezione a cura di Maya A. Seppecher Immagini a cura di André Durand

passeggiavano insieme il Maestro durand e Fernando Fragione attraverso i resti della splendida Villa di tiberio. Fernando, profondamente appassionato della “sua” flora, raccontava al Maestro di tutta la vegetazione che mano mano incontravano tra i resti degli ambienti di servizio, del cortile porticato, intorno alla peschiera , al cui centro vi è la piccola isola artificiale che ospitava la caenatio (sala da pranzo) estiva. Hanno continuato a parlare della salvia pratensis (…che accolse gesù tra le sue profumate e morbide fronde..), dell’asphodelo albus (..che ricopre i prati della valle degli inferi..) fin dentro la grotta naturale, con i suoi giochi d’acqua e quindi della Capelvenere e dell’ombelico di Venere, presenti in tutti quegli ambienti che ospitavano i gruppi scultorei del ciclo di ulisse e poi ancora di tutta quella rigogliosa vegetazione che ricopre il promontorio.

Qui nella Villa ogni ambiente e sottoambiente ospita specie diverse, ognuna peculiare di quel particolare microclima. piante che si adattano, che non demordono alla siccità, ai venti salini, agli incendi e che potranno, forse con l’attenzione dell’uomo preparare il terreno ad altre specie sempre endemiche (presenti in tempi antichi) che si limitano ora a quegli anfratti dove l’uomo non mette mano, pronte a ripopolare la terra di tutti.

il Maestro durand ha voluto con la sua straordinaria disposizione a condividere un'emozione provata da soggetti altri da sé ha offerto a Fernando la collaborazione nella realizzazione prima del presepe e poi, la collaborazione anche di Maya a. seppecher , in seconda per la resurrezione. andré, Fernando e Maya, non attraverso percorsi dell’immaginario, ma reali in miniatura, hanno voluto ricollocare le stesse piante ora presenti. in seconda, per la resurrezione è stato fatto anche uno studio sui miti, le leggende, i racconti popolari che raccontano di come queste piante hanno avuto ruoli di primo piano in tutte quelle vicende narrate nella Bibbia e dai grandi autori di epoca ellenistica, narrate, tradotte e rivisitate fino ai nostri giorni. e’ stato l’incontro tra appassionati, tra le sensibilità dell’uno verso l’estetica, la storia, la cultura e non di meno l’arte e la passione dell’altro per le nostre preziose piante. nel 2008 Fernando e Maya hanno avviato un piccolo Vivaio di nicchia a sperlonga.

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presepe di natale (opera i) con fernando

grotta della resurrezione (opera ii) Montaggio 2012

ULIVO Olea europea l’ulivo, sacro ad atena, la dea che vigila sul ritorno in patria dell’eroe, ricompare più volte all’interno del poema.

ulisse vorrebbe ritornare agli affetti familiari e alla nativa itaca dopo dieci anni passati a troia a causa della guerra ma l'odio di un dio avverso, poseidone, glielo impedisce. Costretto da continui incidenti e incredibili peripezie, dopo altri dieci anni, grazie anche all'aiuto della dea atena, riuscirà a portare a compimento il proprio ritorno a casa. le tappe del ritorno (in greco nostos) sono dodici, numero degli insiemi perfetti. la terza tappa è nella terra dei Ciclopi. Qui odisseo, insieme ad alcuni compagni, entra per chiedere ospitalità nella grotta di polifemo, figlio di poseidone, rischiando invece di trovarvi la fine del viaggio: sei compagni vengono infatti divorati dal Ciclope e solo grazie alla sua astuzia odisseo riesce a evitare l'insidia. egli infatti, fatto ubriacare il ciclope con il vino donatogli da Marone, lo acceca con una lancia realizzata con legno d’ulivo;

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…Con un gran fischio volse al monte le pingui greggi il Ciclope: io invece restai a covare piani funesti,semmai potessi punirlo e atena me ne desse il vanto. e il piano migliore mi parve nell'animo questo: accanto a un recinto il Ciclope teneva un gran tronco verde d'ulivo: l'aveva tagliato per portarlo con sé appena secco. C'era parso, guardandolo, grande quanto l'albero d'una nave con venti remi, larga da carico, che varca il grande abisso: misurava, guardandolo, tanto in lunghezza e in grossezza. accostatomi ne tagliai per due braccia e le porsi ai compagni: gli ordinai di sgrossarlo. ed essi lo fecero liscio. io aguzzai la sua punta, lì accanto: poi la presi e indurii nel fuoco avvampante. lo riposi per bene, nascondendolo sotto il letame che alto giaceva nell'antro in gran quantità: agli altri ordinai di decidere a sorte chi avrebbe ardito tenere il palo con me e pestarlo nell'occhio, quando l'avesse raggiunto il dolce sonno…

ARANCIO Citrus sinensis

Fondi è una città dal territorio ricco di colture di agrumi e, per eccellenza, di aranci, che primeggiano su mandarini e limoni. Vi sono numerose testimonianze della presenza di questo prezioso frutto ormai da secoli. il catasto rustico del 1809 indica l’esistenza di agrumeti fin dal 1700. anticamente era di uso comune tra gli abitanti di Fondi chiamare le arance “lampadine”, l'oro giallo di allora. gli agrumeti rappresentavano beni da ricchi, un bene che la moglie apportava in dote al marito all’atto del matrimonio. in sicilia erano coltivati fin dall'inizio dal 1200. invece, l'arancio amaro o melangolo (Citrus bigaradia) giunse sulle coste del Mediterraneo perlomeno all'inizio della nostra era - se non prima - come albero ornamentale: probabilmente è un suo frutto quello dipinto su una parete della casa dell'ara Massima di pompei. originario dell'estremo oriente, e precisamente della Cina meridionale, del nord della Birmania e dell'annam, l'arancio ha evocato ovunque un simbolismo paradisiaco. secondo una fantasiosa interpretazione rinascimentale, le arance sarebbero state i pomi d'oro

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che eracle conquistò nel giardino delle esperidi, dopo aver ucciso il drago che le custodiva. nel rinascimento le arance furono inserite anche in un altro episodio mitologico, come spiega il poliziano narrando di atalanta: raggia davanti all'uscio una gran pianta, che fronde ha di smeraldo e pomi d'oro: e pomi ch'arrestar femo atalanta, ch'ad ippomene diemo il verde alloro?

atalanta, figlia di scheneo, re di siro, abile cacciatrice, insuperabile nella corsa, aveva deciso di rimanere vergine. Ma il padre non era dello stesso parere e, poiché molti la chiedevano in sposa, stabilì che ogni pretendente si misurasse con lei in una gara singolare e pericolosa: l'aspirante marito doveva fuggire mentre atalanta, armata di lancia, lo inseguiva. se il pretendente fosse stato raggiunto entro certi limiti, sarebbe stato ucciso e la sua testa appesa all'entrata dell'arena.

Fra i candidati vi era ippomene, cui afrodite aveva donato tre pomi d'oro purissimo, suggerendogli di gettarli a terra durante la corsa. atalanta, incuriosita, rallentò l'andatura per raccogliere quegli splendidi frutti, e in tal modo perse la gara.

CAPELVENERE O CAPELLI DELLA MADONNA Adiantum capillus-veneris

una piccola felce con i piccioli delle foglie sottilissimi come capelli, le sue fronde sono leggere e delicate e a questa caratteristica si deve il riferimento alla chioma di Venere, dea della bellezza. il suo nome botanico deriva dal greco adìantos “che non si bagna”, infatti le goccioline di pioggia e di rugiada sulle foglie scivolano via rapidamente senza imbibirle. nel vocabolario sentimentale ottocentesco evocava il simbolo della Modestia e della discrezione, ma anche del segreto. nel xii secolo la scuola dei filosofi cristiani fiorita a Chartes, allora un santuario mariano, aveva rielaborato il concetto classico di natura in cui si ritrovano tanti aspetti della grande Madre precristiana.

Madre natura andò assumendo a poco a poco i tratti della Madonna nella quale furono trasposti gli attributi che ornavano le dee dell’antichità. anche le piante consacrate alle dee furono ribattez-

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zate in termini mariani: il Manto di Venere (pallium Veneris) divenne il Mantello della Madonna; il piede di Cipria (Cypripedium) in pianella della Madonna; e la Capelvenere mutò il suo nome in Capelli della Madonna.

NARCISO SELVATICO Narcissus poeticus

narra ovidio (Metamorfosi iii 420 e segg.): "languì a lungo d'amore non toccando più cibo nè bevanda. a poco a poco la passione lo consumò, e un giorno vicino alla fonte ... reclinò sull'erba la testa sfinita, e la morte chiuse i suoi occhi che furono folli d'amore per sé. ... piansero le driadi, ed eco rispose alle grida dolenti. già avevano preparato il rogo, le fiaccole, la bara, ma il suo corpo non c'era più: trovarono dove prima giaceva, un fiore dal cuore di croco recinto di candide foglie". e gli antichi narrano ancora che a narciso non fu di lezione passare ad un'altra vita in quanto, mentre attraversava lo stige, il fiume dei morti per entrare nell'oltretomba, continuava a cercare il suo amato, riflesso nelle acque del nero fiume.

narCissus Collezione privata, Caserta 2001 olio su lino 61 x 48

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ASFODELO Asphodelus albus

il significato del nome del genere è composto da tre vocaboli greci associati e cioè “a“ con significato di alfa privativo, “spodós” = cenere ed élos = prato, prateria, quindi “prateria che non si riduce in cenere”, come si può ben vedere nelle garighe dei paesi meridionali europei, dove le diverse specie di asfodeli ricrescono subito abbondanti dopo gli incendi, perché i loro organi sotterranei non vengono distrutti dal fuoco. per omero (odissea xi, 487-491; 539; 573) l'asfodelo è la pianta degli inferi.

Quando si concepì una ripartizione del mondo infero secondo i meriti acquisiti da ognuno durante la vita terrena; la casa dell' ade fu divisa in tre parti: il tartaro per gli empi, i prati di asfodelo per coloro che non erano stati né buoni né cattivi, e i Campi elisi per i buoni. nell'odissea, troviamo descritto il regno dei morti come buio e vuoto, popolato da anime che si aggirano tristi fra campi di fiori bianchi e pallidi, gli asfodeli, rimpiangendo la vita e la luce del sole.

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nella prateria le anime degli eroi vagavano tra altri morti che svolazzavano qua e là come pipistrelli.. il loro unico piacere era bere il sangue delle offerte dei vivi. nell’assegnazione dell’asfodelo alla categoria dei fiori infernali in grecia si avverte forse un’eco della vita dei poveri che, durante le frequenti carestie, erano ridotti a cibarsi di malva e tuberi di asfodelo. e poiché anche ai morti, secondo la generale credenza dei greci, era necessario il nutrimento, l'asfodelo veniva anche piantato sulle tombe; sicché rimase nell'immaginario popolare come una pianta funerea e i prati ricoperti dei suoi fiori furono considerati il soggiorno dei trapassati. la leggenda vuole che epimenide grazie all'uso di radici e erbe non avesse bisogno di mangiare e che visse 157 anni, ce ne parla diogene laerzio. teofrasto, nella sua "ricerca sulle piante", afferma che le radici d'asfodelo sono commestibili.

ACANTO Acanthus mollis

nell'architettura della grecia antica l'ornamento di acanto compare nelle decorazioni vegetali degli elementi architettonici e nel capitello corinzio. scrive Marco Vitruvio pollione, nel suo de architectura, che il capitello corinzio sia stato inventato da Callimaco, uno scultore ed architetto greco.

Quel giorno di primavera passeggiando si lasciò ispirare da un cespo armonioso di foglie d'acanto che sollevavano una tegola poggiata sul sepolcro di una fanciulla corinzia morta precocemente , quasi a simboleggiare l'immortalità della fanciulla. la nutrice della fanciulla aveva deposto tempo prima sulla tomba una cesta con i suoi oggetti più amati, adottando la precauzione di ricoprirla poi con quella tegola quadrata, per nasconderli e anche per prevenire furti. l'esempio più antico che si conosca di colonna corinzia si trova nel tempio di apollo epicurio a Bassae nella Messenia (peloponneso), risalente alla seconda

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metà del V secolo a.C., ma l'ordine fu usato moderatamente in grecia prima del periodo romano. probabilmente l'acanto dello stile corinzio era l'acanthus spinosus, tipico dell'europa orientale, con la spiga spinosa di brattee porpora chiaro, lunga almeno una quarantina di centimetri, che in luglio è molto vistosa. più diffuso in italia è l'acanthus mollis, che presenta fogliame morbido e arrotondato, di un verde più chiaro. le foglie di acanto furono adottate poi dall'architettura cristiana, nei capitelli gallo-romani e nei monumenti sepolcrali, per simboleggiare la resurrezione: simbolismo evidentissimo nell' arte romanica perché l'ordine corinzio era usato soprattutto per i capitelli nel coro di una chiesa, dove si custodivano le reliquie dei santi ai quali era ed è promessa la resurrezione, e dove appariva dominante l'immagine del Cristo eterno.

IL FICO L’ALBERO DELLA CONOSCENZA DEL BENE E DEL MALE Ficus carica

antico testamento (genesi 3, 1-13). il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal signore dio. egli disse alla donna: "e' vero che dio ha detto: non dovete mangiare di nessun albero del giardino?". rispose la donna al serpente: "dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino dio ha detto: non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete". Ma il serpente disse alla donna: "non morirete affatto! anzi, dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come dio, conoscendo il bene e il male". allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò. allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture. poi udirono il signore dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l'uomo con sua moglie si nascosero dal signore dio, in mezzo agli alberi del giardino. Ma il signore dio chiamò l'uomo e gli disse: "dove sei?". rispose: "Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto". riprese: "Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell'albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?". rispose l'uomo: "la donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell'albero e io ne ho mangiato". il signore dio disse alla donna: "Che hai fatto?". rispose la donna: "il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato".

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la narrazione biblica del peccato originale e della cacciata da eden si legano dunque ad un misterioso frutto, non meglio identificato, che eva raccolse su invito del serpente ed offrì ad adamo. di quale frutto poteva trattarsi? in una versione latina della bibbia era scritto che eva raccolse un pomum, termine che può significare mela, ma che in senso più generale serve ad indicare qualsiasi tipo di frutto. fu così che per un banale malinteso, nato intorno al doppio senso della parola pomo, si diffuse nell’immaginario comune la credenza che il frutto proibito fosse una mela. l’albero della conoscenza del bene e del male era dunque un albero carico di fichi, e non di mele, come confermato da molte opere d’arte di età medievale. non vi è solo l’iconografia medievale a mostrare la vera identità dell’albero della caduta, ma vi sono anche i testi apocrifi che riguardano la vicenda di adamo: nella cosiddetta “apocalisse di Mosè” viene descritto l’incontro tra la prima donna e il serpente: “…Curvato il ramo fino a terra, presi del frutto e ne mangiai. – e’ eva a pronunciare in prima persona queste drammatiche frasi – e in quello stesso istante mi si aprirono gli occhi e mi accorsi che ero nuda della giustizia di cui (prima) ero rivestita…. (il serpente nel frattempo) era sceso dall’albero e si era dileguato. Quanto a me, cercavo nella mia parte (di paradiso) delle foglie con cui coprirmi la pudenda, ma non ne trovai sugli alberi del paradiso, giacché non appena ne avevo mangiato, tutti gli alberi (che si trovavano) nella mia parte avevano perso le foglie, ad eccezione di uno solo, il fico. presene delle foglie, me ne feci delle coperture, e si trattava degli stessi alberi dei quali avevo mangiato!”

ALBERO DI GIUDA O DELLA GIUDEA Cercis siliquastrum

in aprile le nostre montagne si colorano dei suoi fiori rosa porpora, la pianta è originaria del Mediterraneo orientale e si è poi diffusa anche sulle coste del l’europa meridionale.

Cercis deriva da “kerkis” e significa “spola del tessitore”, perché a tale strumento rassomiglierebbe il legume delle piante, con allusione evidente alla forma del frutto. il termine specifico deriva da “siliqua”, che in latino significa “carruba”, con l'aggiunta del suffisso “astrum” che ha significato disprezzativo, per i semi simili alle carrube ma di minore qualità. in italia viene anche chiamato comunemente siliquastro o anche noto con l'epiteto di “albero di giudea”, in riferimento all'area d'origine della specie. una leggenda medioevale, nata a spiegare l'apparire dei fiori sulla nuda corteccia prima ancor delle foglie e dei suoi tronchi contorti, racconta che sotto questo

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albero giuda iscariota diede il fatidico bacio a gesù per indicarlo ai centurioni romani venuti ad arrestarlo e più tardi, travolto dal rimorso, vi si impiccò. i fiori rappresenterebbero le lacrime di Cristo ed il loro colore la vergogna per la perfidia di giuda.

Questa credenza popolare pare suggerire che il siliquastro avesse un particolare significato nei culti precristiani europei. altre leggende però attribuiscono ad altre piante la scelta di giuda: il fico selvatico, che da allora non riesce a portare a maturazione i suoi frutti perché maledetto da gesù (Matteo 21, 18 - 19; Marco 11, 12 – 14); il carrubo selvatico, che i siciliani chiamano “arvulu di giuda”. le tradizioni popolari cristiane parlano di un albero, ma divergono nella individuazione della specie.

ROSA SELVATICA Rosa canina

sin dai tempi più antichi è stata considerata la "regina dei fiori", diventando simbolo di eleganza, di bellezza e di fragilità. É da sempre il fiore più cantato dai poeti e nominato sia dagli antichi scrittori che dai libri sacri delle varie religioni.gli antichi greci la consideravano il fiore di Venere, della quale cingevano le statue con fiori di mirto e di rosa. l'isola di rodi prende il nome da questo fiore ed era chiamata "l'isola delle rose". innumerevoli sono le leggende greche nelle quali è coinvolto questo fiore. nell'antica roma, testimoniate fin dal i secolo d.C., si tenevano le rosalia o festa delle rose, che rientravano nel culto dei morti. agli albori del cristianesimo la rosa era coltivata perché le sue spine ricordavano la passione di Cristo, ma pian piano questo fiore è andato sempre più associandosi al culto della Madonna, il cui cuore è raffigurato trafitto da spine di rosa. simbolo anche della riservatezza, una rosa stilizzata a cinque petali fu spesso utilizzata per ornare i confessionali con la scritta "sub rosa", sotto il sigillo del silenzio e della discrezione. oggi si attribuiscono diversi significati alla rosa a seconda del colore del fiore: la rosa rossa simboleggia l'amore passionale, quella bianca l'innocenza, la purezza e l'amore spirituale, la rosa gialla il tormento e la gelosia, quella rosa l'amicizia. alla ricerca del fascino e della semplicità: siamo nel regno delle rose selvatiche, amabili ospiti dei nostri giardini, “rubate” ai boschi e alle foreste. la rosa canina è una rosa che cre84

sce spontaneamente nel nostro paese. e’ anche detta rosa selvatica. il nome di questo fiore deriva da un’antica credenza popolare: si credeva che con il succo delle sue radici si potesse combattere il morso dei cani. omero nell'iliade, canto xxiii, verso 186: è il culmine delle tragedia, achille ha ucciso ettore e minaccia di gettarlo in pasto ai cani, ma non avviene perché: "... i cani li teneva lontani la figlia di zeus, afrodite di giorno e di notte, l'ungeva con olio di rose, ambrosio, perché achille non lo scorticasse tirandolo..."

Virgilio nell’eneide, libro terzo: approdati in un porto vasto e tranquillo ma dominato dalla vicinanza tuonante dell'etna, i troiani sbarcano e trascorrono la notte. all'alba si presenta loro un uomo dall'aspetto miserabile, in atteggiamento di supplice. si tratta del greco achemenide, compagno di odisseo dimenticato in quei luoghi durante la fuga da polifemo. achemenide chiede di poter lasciare l'isola insieme ai troiani o, se questi non sono disposti ad aiutare un greco, di essere ucciso per sfuggire alla sua orribile situazione. Con generosità anchise lo accoglie e rincuora. achemenide racconta l'episodio del Ciclope accecato da ulisse, le terribili ore trascorse nella grotta del Ciclope, la sorte dei suoi compagni divorati dal mostro. da tre mesi egli vive di bacche e radici, nascondendosi nella foresta per scampare alla ferocia di polifemo e dei suoi fratelli.

SALVIA Salvia pratensis

la scuola Medica di salerno, una delle più famose del Medioevo, depositaria della conoscenza medica dell'antichità, aveva dato a questa pianta il nome di salvia salvatrix "salvia che salva". ancora oggi questa scuola è ricordata nel sigillo dell'università degli studi di salerno che è quello dell'antica scuola Medica salernitana, raffigurante al centro la figura di san Matteo con a fianco san Cosma e san damiano. Questa pianta era conosciuta fin dai tempi più antichi: gli egiziani, i romani e nel Medioevo era considerata un'erba capace di guarire ogni male. presso i romani la salvia era ritenuta sacra, era simbolo di vita e anche nel Medioevo si riteneva avesse poteri magici come quello di dare all'uomo la longevità. le foglie di salvia, elaborate secondo un preciso rituale, venivano utilizzate per difendersi dagli incubi notturni. una antica leggenda francese racconta la storia dei quattro ladri che nel 1630, quando la peste colpì tutta l'europa, saccheggiavano le case degli appestati senza mai contrarre la malattia. Quando furono finalmente presi e condannati a morte ebbero salva la vita perchè rivelarono il segreto della loro immunità: si cospargevano il corpo con un aceto da loro inventato formato da salvia, rosmarino, timo e lavanda, quattro piante note per le loro proprietà antisettiche e antibatteriche. nacque così "l'aceto dei quattro ladri" che veniva molto usato coma antibiotico naturale in caso di infezioni ed epidemie. narra invece una leggenda cristiana la fuga verso l’egitto della sacra Famiglia inseguita dai soldati di erode. temendo per la vita del Bambin gesù, Maria chiese ad una 86

rosa di nasconderlo tra il suo fogliame. la rosa “non puoi chiedere un simile sacrificio proprio a me che sono la regina dei fiori. se i soldati lo sentiranno piangere, frugheranno tra le foglie e i fiori e li sciuperanno”. la Vergine “e’ vero sei la più bella, ma sei egoista. d’ora

in poi i tuoi fiori appassiranno presto ed il tuo stelo sarà coperto di spine” poi la vergine si rivolse alla vite. la Vite “per carità non posso rischiare! se i soldati sospet-

teranno, rovisteranno con le loro armi rovinando i tralci e compromettendo la crescita dell’uva”. la Vergine “poiché tieni molto alla tua uva, sarai casti-

gata. d’ora in poi i tralci ti saranno tagliati ogni anno, gli asini ti mangeranno le foglie e i grappoli teli porteranno via i vendemmiatori”. poi la volta del cardo…anche lui rifiutò di aiutarli. nelle vicinanze c’era una salvia fiorita, che alla richiesta della Vergine aprì immediatamente le foglie, celando gesù Bambino e addormentandolo con il suo intenso profumo.

Così i soldati vedendo per la strada soltanto un vecchietto insieme con una donna, passarono oltre senza fermarsi. ripreso gesù, la Madonna benedisse la salvia. la Vergine “tu sarai la pianta di tutti gli orti: i malati

ti cercheranno per guarire, i sani per cucinare cibi e aromatizzare le bevande. e tutti ti rispetteranno e proteggeranno come la pianta più utile che ci sia sulla terra” .

l’epoca di tiberio Montaggio 2012

ringraziamenti Circe pasquale Caposecco antonio Coppola anna Corcione rosaria Corcione Maria Corina gianni Cuccaro paola de luca luigi di gennaro sergio di rienzo Marisa de spagnolis fernando fragione giancarlo germani domenico la rocca Jonathan Morer Maria pardyova Marina sapelli ragni Maya seppecher leone spagnardi ruth Mejia stefano tipaldi e tutto il personale del Museo archeologico nazionale di sperlonga

Comune di sperlonga

tipografia Fabrizio - Via appia Km. 136 - itri (lt)

presepe & grotta della resurrezione Ideato dal Maestro ANDRÉ DURAND e realizzato dall’Atelier Corcione di Napoli con la collaborazione del personale del museo Studio ed inserimento delle piante a cura di Sperlonga Vivai

M u s e o

A r c h e o l o g i c o

N a z i o n a l e

d i

S p e r l o n g a