Quando eravamo i ragazzi del Triangolo Verde

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permettendomi di tenere le redini, cosa che mi divertiva molto. La sera ci ritrovavamo insieme a cena, spesso anche con ospiti di passaggio, intorno al grande tavolo massiccio della cucina, a lato di un focolare da sogno accessibile tutto intorno. Dopo qualche giorno di “bella vita” a Paviola ricevemmo una comunicazione: il gruppo di lavoratori era stato rilasciato e nessuno si era accorto della mia fuga. Decidemmo, perciò, di ripartire l'indomani mattina. Quando, nel pomeriggio, ci arrivarono voci relative alla presenza in zona dei cosacchi e dei rastrellamenti che quelli operavano. Per sentito dire, già conoscevamo le preferenze di quell'orda di scatenatati e ci preparammo all'eventualità che “arrivassero visite”. Mettemmo una grossa catena al cancello d'entrata, bloccata da un luchetto ancora più grosso. Preparammo un posto dove potessero nascondersi le donne. Al tramonto, chiudemmo il pollaio, in modo che le galline fossero obbligate a dormire sui rami degli alberi. Stavamo iniziando a cenare, quando avvertimmo dei grandi colpi al cancello d'entrata. Dalla finestra, vediamo diversi carri trainati da cavalli fermi sulla strada e alcuni uomini con grandi mantelle che stanno cercando di abbattere la catena del cancello. A gran velocità, aiutiamo Maria ed Ada ad infilarsi nel vecchio forno del pane, nascondendone l'imboccatura con oggetti diversi. Eliminiamo i loro due posti a tavola e riprendiamo a mangiare come se tutto fosse normale. Attirati dalla luce, con un pesante calcio sulla porta di legno, entrano i cosacchi, una decina di scalmanati. Ci puntano addosso le armi e ci costringono a sedere attorno al focolare rotondo. Uno di loro sta di guardia, impugnando un Mauser. Erano soldati di origine russa, aggregati alle truppe 74


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