Digital4Executive n.34

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. User Experience Il design di esperienze come strategia di business . Daniel Goleman L’intelligenza emotiva e l’arte della leadership . Fatturazione elettronica B2B ai blocchi di partenza . Storie di innovazione digitale: Air Liquide, Autostrade, Intesa Sanpaolo, illycaffè, Lavazza, Pirelli, Sanofi


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30-31 Ottobre 2018

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EDITORIALE

L’avanzata dei robot nei servizi: al bar, al fast food, al supermarket

di

UMBERTO BERTELÈ PRESIDENTE DIGITAL360

@umbertobertele

È dell’inizio di maggio la curiosa notizia, riportata dai giornali di tutto il mondo, della proclamazione di uno sciopero di massa (il primo in trent’anni) dei dipendenti dei casino di Las Vegas, volto a bloccare l’assunzione di baristi robot, in grado di sostituire perfettamente – almeno nella qualità dei cocktail – i baristi in carne e ossa. Uno sciopero di stampo tipicamente luddista, che rievoca – in un contesto radicalmente diverso (nei casino invece che nelle fabbriche) e a due secoli di distanza - le violente proteste operaie in Inghilterra contro l’introduzione degli allora innovativi telai meccanici. Diversa come motivazione, non la riduzione dei costi in questo caso ma la crescente difficoltà di reperire personale in un Paese prossimo alla piena occupazione, la decisione a fine giugno di una catena di fast food statunitense di ricorrere a cuochi robot, perfettamente in grado di preparare gli hamburger e di tener pulito l’angolo cucina. Simile la motivazione, la necessità di liberare personale per altre mansioni contenendo i costi, della decisione di Walmart (oltre 2 milioni di addetti), annunciata ai primi di luglio, di introdurre shelf-scanning robot nei suoi punti vendita per individuare e segnalare le necessità di riapprovvigionamento degli scaffali. I robot, quasi esclusivamente visti finora nell’immaginario collettivo come sostituti degli operai nelle catene di montaggio, escono cioè sempre più dalle fabbriche per svolgere mansioni fisiche anche nei servizi. Solo mansioni fisiche? Non sono robot anche i cosiddetti roboadvisor, in crescente diffusione, che sostituiscono i consulenti finanziari nel dare consigli ai clienti minori dei grandi fondi su dove dirigere i propri limitati investimenti? Non sono robot anche i chatbot, che sempre più vengono utilizzati nei call center per rispondere alle domande (a quelle almeno non troppo complesse) dei clienti? La risposta è sì o no, a seconda della definizione di robot che vogliamo utilizzare. Nella loro versione originale i robot (da robota, “lavoro duro”), apparsi per la prima volta nel 1920 in un romanzo dello scrittore ceco Karel Capek, erano umanoidi e come sono stati successivamente vissuti nella fantasia delle persone. Ma solo nella fantasia. Nella realtà i robot sono macchine (reali o virtuali) che, con gli umani, condividono un certo grado di intelligenza (ovviamente artificiale) e - anche se non sempre - alcune funzionalità fisiche. Più c’è fisicità più tendiamo a parlare di robot in senso stretto. L’uso del termine roboadvisor può sembrarci una forzatura, perché fa riferimento a un mero pacchetto software, ancorchè intelligente. I chatbot sono in una situazione intermedia, perché – pur non essendo dotati di movimenti - condividono con gli umani l’udito e la capacità di parola. Il punto importante, al di là di classificazioni che possono apparire accademiche, è che i robot appaiono destinati a crescere nei servizi e non solo nel manufacturing: contribuendo in molti casi, anche se come visto non sempre, alla tanto temuta distruzione di posti di lavoro. Perché tanto timore se si riesce, lavorando meno, a produrre di più e spesso meglio? Perché la caduta nella disponibilità di posti di lavoro, soprattutto se si verifica in tempi così rapidi da non poter fruire di un ribilanciamento naturale, obbliga la società a ripensare radicalmente la propria organizzazione – in termini di divisione del lavoro e distribuzione del reddito – per non incorrere in tensioni politiche anche molto elevate e non penalizzare l’economia riducendo il numero di consumatori dotati di potere di acquisto. Con un corollario importante: la perdita di posti di lavoro ha un impatto pesante soprattutto nei territori che subiscono passivamente le innovazioni, mentre può addirittura cambiare di segno in quelli che - promuovendole - aprono nuovi fronti di attività spesso assai redditizi. www.digital4executive.it

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3 4 | 2018

COVER STORY

Il design di esperienze come strategia di business Albert Tan, UX designer

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10 passi per una Customer experience eccellente nell’eCommerce Federico Della Bella, Associate Partner, P4I-Partners4innovation

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L’Intelligenza Artificiale trasforma i servizi online Andrea Boaretto, CEO di Personalive

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MANAGEMENT

L’intelligenza emotiva e l’arte della leadership Daniel Goleman, Psicologo, Co-director, Consortium for Research on Emotional Intelligence in Organizations, Rutgers University

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Leadership, tre consigli per guidare i team in un mondo sempre più veloce Sophie Devonshire, Autrice saggio “Superfast: how to lead at speed”

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DIGITAL TRANSFORMATION

Hr - Air Liquide, come ridurre le distanze con i sistemi di collaborazione Davide De Vita, Human Resources Director, Air Liquide Italia

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Hr - Econocom, Lavazza, Intesa Sanpaolo e Philips: ecco gli ‘Smart Place’ del 2018 Mariano Corso, Direttore Scientifico, P4I – Partners4Innovation

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Hr - Processi HR in Cloud: Sanofi semplifica la gestione delle persone Laura Bruno, Direttore Risorse Umane, Sanofi Italia

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Marketing - illycaffè, l’eCommerce come strategia di business globale Maria Grazia Flaibani, Global Head of eBusiness, illycaffé

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Marketing - Digital Marketing ad altissime prestazioni per Pirelli Davide Alemani, Global Head of Digital Marketing, Pirelli

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Finance - Autostrade per l’Italia, 5 mesi per cambiare il software di gestione dei crediti Telepass Rosa Pignieri, Responsabile gestione e sviluppo sistemi corporate, Autostrade

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OSSERVATORI

Polimi: Direzione HR decisiva per anticipare il futuro Fiorella Crespi, Direttore Osservatorio HR Innovation Practice, Politecnico di Milano

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Industria 4.0 in Italia vale 2,4 miliardi Giovanni Miragliotta, Direttore Osservatorio Industria 4.0, Politecnico di Milano

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NORMATIVE

GDPR e servizi cloud: gli impatti del nuovo regolamento europeo Anna Italiano, Senior Legal Consultant, P4I-Partners4Innovation

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SPECIALE “FATTURAZIONE ELETTRONICA B2B”

Fattura elettronica tra privati: come farsi trovare pronti Giuseppe Di Sessa, Senior Consultant, P4I-Partners4Innovation

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RUBRICA | RICERCHE E STUDI

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RUBRICA | NOMINE

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COV E R S TORY di

MANUELA GIANNI

ALBERT TAN UX DESIGNER

Il design di esperienze come strategia di business Le aspettative degli utenti digitali nell’uso di app, servizi online e siti di eCommerce sono ormai talmente alte da aver portato alla ribalta le tecniche e metodologie per migliorare la User Experience anche nel B2B. «I professionisti del design del mondo consumer sono sempre più ricercati dalle aziende del software enterprise», spiega Albert Tan, UX designer nella Silicon Valley

È un momento d’oro per gli esperti di User Experience, che gli addetti ai lavori chiamano semplicemente UX. Per distinguersi nel mondo digitale oggi servono i designer di esperienze: sono quei professionisti che unendo creatività e tecnologia hanno la capacità di rendere applicazioni, servizi e siti di eCommerce usabili, cioè facili e accattivanti, al punto da stupire e rimanere così impressi nella memoria degli utenti. Sono loro a fare la differenza e per questo sono sempre più ricercati, portando le idee del mondo consumer in quello B2B. Dalla UX, allargando il perimetro a vari punti di contatto fra cliente e prodotto si arriva alla CX, la Customer Experience. UX e CX sono concetti e metodologie nati nelle accademie già 30 anni fa, ma oggi sono diventati un modo di concepire software e servizi. A innescare quella che è davvero una trasformazione strategica e organizzativa delle aziende e dello sviluppo software, sono state poche ma straordinarie app, che hanno cambiato per | 6 |

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sempre le aspettative degli utenti: Amazon, Spotify, Uber, Netflix sono le più note. «È un momento di trasformazione del mercato molto interessante e per i professionisti del design è una grande opportunità: cambia il modo in cui le persone interagiscono con il software», conferma Albert Tan, direttore creativo con oltre 20 anni di esperienza nel design di prodotti e storie di successo per alcuni dei più grandi marchi del mondo, tra cui Disney, Microsoft, LinkedIn, Puma, Sony e HBO. Oggi Tan è UX design director di CA Technologies e nella Silicon Valley, a Santa Barbara, dove l’abbiamo incontrato, e guida il Design Center della multinazionale del software, un team nato due anni fa e considerato di rilevanza strategica. Cosa fa un designer con esperienza nel consumer in un’azienda che sviluppa software enterprise? Il design è già da tempo di cruciale importanza per le aziende che sviluppano app consumer, che


COVE R ST O RY | IL DE SIG N DI E SP E RIE N Z E C O ME ST RAT E G IA DI B USIN ESS

risolvono problemi quotidiani, come chiamare un’auto o trovare una baby sitter, perché permette di fare la differenza in un mercato molto competitivo. Le aziende enterprise, che si rivolgono alle aziende o alle Pubbliche Amministrazioni non si sono mai dovute preoccupare di questo aspetto. Ma ora le cose stanno cambiando. C’è una fortissima richiesta di creare esperienze semplici e ingaggianti anche per attività complesse, come costruire un aereo. Quando sono stato assunto in CA, due anni fa, la sfida è stata proprio quella di portare in azienda le idee e i principi che ho imparato nel mondo consumer, perché qui sono molto rilevanti. Moltissime software house si stanno muovendo in questa direzione, non solo CA: in questo ultimo anno in particolare mi sono accorto grazie a LinkedIn che molti colleghi che hanno background simili al mio sono andati a occupare posizioni apicali in aziende di software enterprise. È un cambiamento significativo nel mondo del business software, che è il mercato a chiedere. Quali obiettivi ha il suo lavoro in CA? Quello che il mio team Design e io stiamo facendo è alzare l’asticella della qualità di tutti i prodotti. Questo significa prima di tutto comprendere a fondo i nostri clienti: non solo quello che desiderano oggi, ma che cosa li preoccupa riguardo al futuro. Aiutiamo tutte le business unit aziendali a risolvere le sfide più importanti e di maggior impatto, con iniziative cross-business unit. Vogliamo rendere CA leader del design nell’impresa, internamente, con i clienti e nella community.

Human-Centred Design: le domande per capire la maturità delle aziende «Tradurre gli investimenti effettuati per migliorare User Experience (UX) e Customer Experience (CX) in risultati non è semplice», ci spiega Simon Mastrangelo, European Ergonomist, Co-fondatore di Ergoproject e UX Advisor di P4I-Partners4Innovation. Dati di Forrester del 2016 evidenziano come, da un lato, l’84% delle società intervistate ha messo la CX al centro della sua strategia ma, dall’altro, una sola società ogni 5 riesce a fornire una CX buona o eccellente. La motivazione, come spiega Jakob Nielsen, uno dei principali esperti di digital experience, è che occorre un percorso di maturazione di circa 20 anni per passare da un livello minimo (c’è interesse verso l’usabilità, ma non c’è budget dedicato né competenze sviluppate) a uno alto (con un processo Human-Centered Design instituzionalizzato, che prevede una valutazione quali-quantitativa della UX su tutti i progetti con ruoli e responsabilità ben definiti). Per Mastrangelo un buon modo per valutare il proprio livello di maturità è partire dai 6 principi fondanti un processo HCD (ISO 9241-210) e farli diventare altrettante domande a cui rispondere: • La progettazione si basa su un’esplicita comprensione degli utenti, dei loro obiettivi e dei compiti che devono svolgere per raggiungerli anche in relazione all’ambiente fisico, sociale e organizzativo? • Gli utenti vengono coinvolti durante tutto il processo ideativo, progettuale e implementativo? • La progettazione è guidata da verifiche svolte con gli utenti? • Il processo è iterativo? • La progettazione si occupa dell’intera User Experience? • Il team include skill e prospettive multidisciplinari? Se la risposta alle prime tre domande è negativa, l’organizzazione dovrebbe smettere di parlare “degli” utenti per iniziare a parlare “con” gli utenti, se vuole mantenere la propria competitività sul mercato.

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COVER STORY | I L D E S I GN D I E S PE R I E NZ E COM E S T R AT E G IA DI B USIN E SS

Come lavora il team di design? Ci sediamo accanto ai clienti, parlandoci e seguendoli per intere giornate nel loro lavoro e osservando il modo in cui utilizzano il software. Ad esempio, abbiamo scoperto che un cliente aveva diversi post it sul monitor per ricordare cose e tenere traccia delle attività e che questo era il suo modo di lavorare da anni. Ora quelle note sono diventate nuove funzionalità del software, una cosa che il cliente ha apprezzato moltissimo. Senza l’osservazione sul campo non ci saremmo mai arrivati. Dopo aver raccolto queste informazioni dai clienti, e dai clienti dei clienti, cerchiamo di comprendere cosa davvero significano, considerando

L’esperto Mastrangelo: «Anche in Italia la UX è al centro dell’attenzione» «Gli approcci progettuali orientati all’utente, noti come User o Human-Centred Design, sono diventati la nuova frontiera del successo - conferma Simon Mastrangelo, European Ergonomist, Co-fondatore e Amministratore di Ergoproject, e Ux Advisor di P4I -. Eppure già 30 anni fa in ambito tecnico e accademico internazionale era emersa l’esigenza di investire su competenze e processi che permettano di migliorare l’usabilità dei prodotti/servizi nelle varie fasi ideative, progettuali e implementative attraverso attività di ricerca e verifica con gli utenti». Secondo l’esperto, l’accelerazione che c’è stata negli ultimi anni dipende da diversi fattori, fra cui in particolare l’esplosione di prodotti/servizi digitali che hanno aumentato il numero e il ruolo delle interfacce che ognuno di noi utilizza giornalmente per informarsi, comprare, usare prodotti e ricevere assistenza. E anche la pervasività degli strumenti tecnici che permettono di prevedere, monitorare e rilevare i comportamenti e la soddisfazione dei clienti. «Il concetto di usabilità, intesa come facilità e soddisfazione con cui una persona utilizza un sistema interattivo (touchpoint) si è ampliato a quello di User Experience, ovvero la soddisfazione che precede e segue l’utilizzo di un touchpoint, e Customer Experience, che ha trovato nella chiave semantica “esperienza” un linguaggio in grado di parlare trasversalmente al Design, al Marketing e, soprattutto, al Business». Recenti ricerche confermano la redditività degli investimenti in UX/ CX (ad esempio Bias&Mayhew, 2005) e la loro correlazione con l’andamento delle azioni per quanto riguarda le società quotate (es. Watermark Consulting, 2015). «Il risultato è un crescente interesse verso la UX di società e professionisti: professionisti che Jakob Nielsen stima passeranno da 1 milione a 100 milioni di qui al 2050 afferma Mastrangelo -. Le previsioni per il 2018 confermano questo trend anche per l’Italia che sta cercando di colmare il divario con il gruppo di testa dei paesi anglosassoni e scandinavi, insieme alla Germania, a cui si sono aggiunti, più recentemente, Spagna e Francia. Secondo l’eCommerce Report, nel 2018 per le aziende italiane che operano nell’ambito eCommerce, la UX è un ambito prioritario di investimento, secondo al solo marketing». | 8 |

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il contesto, e come possiamo aiutarli ad avere più successo, quali gap e che opportunità ci sono e come costruire in base a queste informazioni una nuova esperienza del prodotto. Internamente, invece, abbiamo utilizzato in modo molto efficace una tecnica chiamata Design Sprint (per alcuni aspetti simile al Design Thinking, ndr). In che modo e con quali obiettivi utilizzate la metodologia Design Sprint? Il Design Sprint è un percorso articolato in 3-5 giorni ideato da Jake Knapp di Google Ventures, la branca di Google che investe in startup, per aiutare i team a risolvere problemi di User Experience in modo molto diretto. L’abbiamo adattato al nostro contesto, radunando in un’aula dedicata, qui a Santa Clara, i top manager di CA di tutto il mondo. Coinvolgiamo ogni parte del business, persone di Sales, Pre-Sales, Marketing, Engineering e ovviamente il team di design. Togliamo loro i laptop e i telefoni e ci focalizziamo sull’esperienza, dall’inizio alla fine, e su un problema specifico da risolvere. Il risultato è uno schema per un prototipo che poi sottoponiamo ai nostri clienti per avere i feedback. Riusciamo così a ottenere una reale collaborazione fra le persone con diversi ruoli e competenze. Spesso quello che accade nelle aziende è che il team di prodotto sviluppa una soluzione, poi si siede con il team di vendite e marketing e raccoglie informazioni dai colleghi e crea così un elenco di suggerimenti da implementare: è un approccio a compartimenti stagni in cui manca la creatività che le prospettive multiple possono portare. 3 o 5 giorni di lavoro di un senior manager dedicati rappresentano un importante investimento… Certamente. In questi meeting ci sono C-Level, che hanno la possibilità di prendere decisioni, e questo è differente da quello che avviene in un tipico meeting di design sprint. Se lo facessimo con il middle management, le persone coinvolte poi dovrebbero tornare in ufficio e spiegare ai loro responsabili quello che hanno fatto e non riuscirebbero a trasferirlo: sarebbe per tutti una perdita di tempo. Questa scelta ci impone di scegliere un problema da affrontare che sia veramente significativo e complesso, tale da giustificare l’assenza dal lavoro e i costi di trasferta per 3-5 giorni di diversi VP e direttori. Così facendo, tutta l’azienda è consapevole delle decisioni che riguardano l’Experience dei prodotti. Sono molto orgoglioso nel dire che l’esperienza finora è stata di grande successo e che ci permetterà di fare passi avanti significativi.


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COV E R S TORY

di

10 passi per una Customer experience eccellente nell’eCommerce

FEDERICO DELLA BELLA ASSOCIATE PARTNER P4I-PARTNERS4INNOVATION

Per i siti di commercio elettronico, un’esperienza di acquisto migliore significa performance di vendita in crescita, minore tasso di abbandono del carrello e tassi di conversione superiori. Il punto di partenza è una conoscenza più accurata dei clienti, in modo da definire un metodo strutturato per offrire loro realmente quello che cercano. Ecco una guida messa a punto dalla società di advisory P4I

Per Customer Experience (CX) si intende il complesso di attività, sensazioni, pensieri che un cliente vive durante il suo intero ciclo di interazioni con un brand, un prodotto, un servizio, dall’istante in cui lo scopre per la prima volta, fino a quando, eventualmente, cessa la relazione. Relazioni che hanno sul cliente un impatto emotivo, cognitivo, sensoriale, comportamentale. Curare la customer experience significa progettare con precisione ogni momento di interazione tra i clienti e i propri prodotti, servizi, piattaforme, facendo ipotesi sulle azioni e le reazioni dei clienti in ogni momento. Secondo una ricerca KPMG, le imprese che offrono una customer experience classificabile come eccellente hanno performance reddituali migliori. Sembra dunque che investire nel disegno di una CX di successo sia premiante dal punto di vista dei risultati. Conoscere i clienti è la condizione fondamentale per disegnare esperienze ingaggianti. Secondo l’Osservatorio Ecommerce B2C del Politecnico di Milano, i web shopper italiani sono oltre 22 milioni, la maggioranza dei quali (16 milioni) acquistano regolarmente prodotti | 10 |

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e servizi online. Riconoscere questi clienti e comprenderne le esigenze permette di servirli in maniera più efficace ed efficiente, investendo meglio e in modo mirato nell’omnicanalità e nell’innovazione del servizio in ogni suo aspetto: la presentazione del sito, i messaggi di marketing, il target selezionato, il motore di ricerca interna, il catalogo, i prodotti, i prezzi, le descrizioni, le immagini. Quando poi si scopre che il 13,7% inserisce i prodotti nel carrello, ma che l’11,7% abbandona senza concludere l’acquisto, che è realizzato solo dalll’1,6% dei visitatori, è chiaro come lavorare al miglioramento del conversion rate (che misura la percentuale di chi completa l’acquisto sui visitatori totali) abbia un impatto diretto sulla redditività e il successo del canale. Avere chiari i benchmark nel proprio settore e categoria merceologica è fondamentale per definire obiettivi realistici e stimolare il miglioramento continuo. Conoscere dati e metriche è condizione necessaria, ma non sufficiente. Occorre definire un metodo strutturato per offrire realmente ai clienti quello che cercano: di seguito un possibile approccio in 10 fasi.


COVER STORY | 10 PASSI PER UNA CUSTOMER EXPERIENCE ECCELLENTE NELL’ECOMMERCE

1. COSTRUIRE LE “PERSONAS” Le “personas” sono gli archetipi dei principali clienti, ciascuno con identità, caratteristiche, bisogni, interessi, obiettivi, gusti specifici. Non sono rappresentazioni generiche, ma fotografie di individualità. Pensare a un prodotto o servizio per un cliente astratto ha poco senso, meglio avere in mente una o più persone precise, con una propria identità. Per costruire le personas si coinvolgono le figure chiave di marketing, sviluppo prodotto, comunicazione e ogni altro stakeholder che influisce sulla costruzione del marketing mix o la definizione delle strategie commerciali. I profili emersi possono essere confrontati con i risultati di ricerche etnografiche sul campo, sondaggi e questionari, analisi dei dati transazionali e conversazionali. 2. DISEGNARE IL CUSTOMER JOURNEY Individuate le personas a cui ci si rivolge, si può disegnare l’esperienza che vivono interagendo con i diversi touchpoint dell’impresa. La Customer Journey Map visualizza il complesso di interazioni, azioni, sensazioni, pensieri che il cliente vive nell’incontro con l’impresa. Grazie a questa mappatura nessuna fase è lasciata al caso, si evitano pertanto interruzioni e buchi del servizio che causano frustrazione, rabbia, abbandono. Ovviamente, il disegno del customer journey è utile sia in fase di analisi (mappatura as-is) per l’identificazione dei gap dell’esperienza, sia in fase di disegno del nuovo journey migliorato (progettazione to-be), che identifica l’obiettivo. 3. COSTRUIRE IL SERVICE BLUEPRINT La customer journey map individua come l’utente interagisce con l’impresa. Quello che non spiega è cosa debba fare l’impresa per erogare il servizio richiesto. La service bleuprint map è il collante tra le attività del cliente e quelle dell’impresa, necessarie all’erogazione del servizio. In pratica, si identificano sia le azioni di interazione (front-end) tra cliente e impresa, sia le attività di supporto e back-end che l’impresa deve realizzare per erogare il servizio. 4. MAPPARE IL CONTESTO Le esperienze non avvengono in laboratorio, ma in precisi contesti sociali, economici, industriali, tecnologici. L’analisi preliminare del mercato, del settore, del contesto socio-economico, oltre alle peculiari verticalità tecnologiche e organizzative definisce il benchmark, il termine di paragone e apre un contesto di possibilità, individuando le variabili da considerare nel disegno delle esperienze. Sapere, ancora una volta dall’Osservatorio Ecommerce B2C, che il 96% delle transazioni eCommerce avvengono attraverso carta di credito o Paypal e che il peso degli altri sistemi di pagamento (bonifico, contrassegno, ecc.) è trascurabile,

permette di valutare in maniera oculata l’investimento rispetto ai sistemi di pagamento da implementare. 5. ESPLORARE I DATI INTERNI ED ESTERNI Il CRM e gli altri sistemi transazionali interni costituiscono un’enorme fonte di informazioni sui comportamenti e gli interessi dei clienti. Il text mining su piattaforme conversazionali (social media, piattaforme di customer care) permette di costruire profili di utenti e clienti completi, utili a individuare strategie di retention, cross-selling, up-selling, e di prevedere premi fedeltà, condizioni particolari di acquisto, pagamento, consegna, ecc. 6. COINVOLGERE TUTTI GLI STAKEHOLDER Come visto sopra, la costruzione delle mappe permette di coinvolgere un grande numero di stakeholder, interni ed esterni, facilitando l’allineamento, la collaborazione e l’ottimizzazione globale. 7. DISEGNARE UNA STRATEGIA Disegnare la strategia con l’attenzione costante agli impatti su customer journey, service blueprint e personas permette di valutare l’impatto di ogni decisione sull’esperienza e la percezione dell’utente, favorendo un utilizzo più efficace ed efficiente delle risorse. 8. VALUTARE GLI IMPATTI ORGANIZZATIVI Dal service blueprint discendono indicazioni fondamentali per l’identificazione delle competenze chiave, degli assetti organizzativi, della struttura dei processi e delle attività da realizzare. Risulta molto più chiaro in che modo selezionare, dimensionare, focalizzare, formare e guidare lo staff. 9. SCEGLIERE LE TECNOLOGIE PIÙ ADATTE Mettere il cliente al centro significa che la tecnologia è un abilitatore, fondamentale e necessario, al servizio delle strategie d’impresa e, soprattutto, finalizzata chiaramente alla soddisfazione del cliente. Il vantaggio è che ogni scelta è sistemica: nessun investimento in tecnologia è considerato localmente, ma si valuta globalmente l’impatto con l’intera esperienza dell’utente, evitando così di inseguire mode passeggere o investire in progetti a scarso valore aggiunto. 10. PUNTARE ALL’INNOVAZIONE Infine, l’innovazione. Inseguita, cercata, a volte con successo altre volte con dispendio di risorse ed energie. La focalizzazione sul cliente e l’approccio strutturato qui proposto permettono di individuare con chiarezza le aree di innovazione a maggiore valore aggiunto per chi in definitiva è l’arbitro ultimo dell’utilità e bontà di una soluzione proposta: il cliente. www.digital4executive.it

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COV E R S TORY di

ANDREA BOARETTO CEO, PERSONALIVE

L’Intelligenza Artificiale trasforma i servizi online L’avvento dell’AI, già largamente conosciuta dagli utenti, ha cambiato per sempre le modalità di fruizione dei contenuti online. È il momento dell’AI Marketing, che oggi significa soprattutto chatbot e sistemi di recommendation. Occorre sviluppare nuove interfacce digitali a partire dal percepito degli utenti, per migliorare ingaggio, loyalty e conversion online. I risultati di una ricerca presentata in un convegno al Politecnico di Milano È il momento dell’AI Marketing. Per gli addetti ai lavori di marketing, comunicazione e digital è normale ormai progettare interfacce utente che utilizzino intelligenza artificiale per migliorare la Customer Experience. Il campo di applicazione è molto vasto e variegato, passando da sistemi di recommendation, che suggeriscono contenuti personalizzati con adattamenti in tempo reale, a mappe di navigazione stradale e pedonale che adattano il percorso in funzione dello stato reale del traffico, fino a elettrodomestici, come lavatrici, con cui il consumatore può conversare e decidere assieme i migliori lavaggi sulla base delle esigenze del momento. L’IMPATTO DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE NELLA NAVIGAZIONE ONLINE Il consumatore come percepisce la presenza dell’intelligenza artificiale, non solo nei punti di contatto digitali (siti, app, social) ma anche negli oggetti di uso quotidiano? È questo il punto di partenza dell’AI Mar| 12 |

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keting. La Ricerca 2018 di Experience Matters, progetto sviluppato da Poli.Design, Personalive e Great Pixel ha appunto indagato gli AI Pattern - la familiarità, il percepito e l’agito degli utenti circa la presenza di Intelligenza Artificiale durante la navigazione online, focalizzandosi sugli Heavy eShopper -, e i Dark Pattern, ovvero tutte quelle strategie applicate nella progettazione delle interfacce di navigazione per indurre gli utenti a compiere determinate azioni in modo inconsapevole. Gli Heavy eShopper rappresentano la fetta di popolazione più evoluta digitalmente, cresciuta da 12,5 a 13,5 milioni di persone in un anno, che effettua acquisti online con una frequenza molto alta (più di uno al mese) e mostra una consapevolezza circa l’ambiente digitale e un’attitudine ai comportamenti social sopra la media. Proprio per il fatto che marcatamente il loro customer journey e quindi la customer experience è multicanale – combinando cioè fonti di informazione fisiche e digitali – gli Heavy eShopper risultano più esposti agli AI Pattern presenti online, e rappresen-


COVER STORY | L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE TRASFORMA I SERVIZI ONLINE

tano un punto di osservazione interessante per una predizione di quello che ci prospetta il futuro in termini di comportamenti e percezioni legate alla customer experience multicanale con maggior focalizzazione sulle interfacce digitali. Emerge che nella vita quotidiana e nell’interazione con i servizi di uso ormai comune, tra questi utenti c’è consapevolezza dell’intelligenza artificiale in molte interfacce e il giudizio è positivo in ottica di miglioramento di alcune componenti della user experience. Guardando i numeri, i risultati della ricerca 2018 quindi mostrano che l’Intelligenza Artificiale è diventata parte integrante della quotidianità per i 13,5 milioni di utenti italiani definiti ‘heavy eShopper’: la quasi totalità degli intervistati (98%) ha incontrato l’AI almeno una volta durante la navigazione e più della metà, il 64%, la considera una cosa positiva. Le aspettative sono alte: più velocità, più servizi e funzionalità, maggiore aderenza alle esigenze. In sintesi: una migliore esperienza. I dati confermano che oggi occorre progettare interfacce che combinino diversi elementi, non solo legate al percepito e all’agito dell’intelligenza artificiale, ma anche ai diversi profili di acquisto multicanale, al ruolo di contenuti promozionali negli acquisti, alle dinamiche attive e passive di interazione social nei processi decisionali e nell’erogazione dei servizi, e che tengano conto del fastidio percepito circa fenomeni di interruzione della navigazione e dell’apertura o meno a condividere dati personali per fruire di servizi a valore aggiunto. Si osserva, quindi, un insieme di nuove variabili di segmentazione da tenere in considerazione

Le percezioni sulla AI nelle interfacce digitali

% CONSAPEVOLEZZA CIRCA LA PRESENZA DI AI TRA GLI UTILIZZATORI % UTILIZZO

Positiva - Semplifica l’utilizzo. Lo rende un servizio innovativo. Permette di velocizzare il servizio

Indifferente - Non ritengo l’AI importante per il servizio. Non mi interessa come funziona il servizio

Negativa - Vi sono rischi legati alla privacy. Lo rende un servizio fazioso. Lo rende un servizio meno sicuro

✱ Utilizzo e consapevolezza elevata Il test su 4 diversi servizi digitali-tipo che utilizzano Intelligenza Artificiale (2 di questi sono mostrati in figura) ha evidenziato un elevato tasso di utilizzo tra gli Heavy eShopper ma soprattutto un elevato livello di consapevolezza circa la presenza di intelligenza artificiale (80% in media, tra gli utilizzatori) e un’opinione positiva circa la presenza di quest’ultima nell’erogazione del servizio.

da applicare non solo nella progettazione di dettaglio delle interfacce in termini di funzionalità, ma anche in tutte le strategie di marketing volte all’ingaggio, alla conversion e alla loyalty, essendo ormai cambiati i paradigmi percettivi e di uso dei punti di contatto, al solito in una logica non solo addittiva di ulteriori variabili ma di messa in discussione delle tradizionali logiche di profilazione e segmentazione che sempre più devono considerare l’individuo a 360 gradi.

Le applicazioni di AI nelle relazioni con i clienti L’Artificial Intelligence viene definita come il ramo della computer science che studia lo sviluppo di sistemi hardware e software dotati di capacità tipiche dell’essere umano (interazione con l’ambiente, apprendimento e adattamento, ragionamento e pianificazione), in grado di perseguire autonomamente una finalità definita prendendo delle decisioni che, fino a quel momento, erano solitamente gestite dagli esseri umani. Da un censimento effettuato dagli Osservatori del Politecnico di Milano emerge che a oggi i processi di relazione con il cliente finale, come il Marketing, Sales e Customer Service, sono quelli dove si registra il maggior numero di progettualità di intelligenza artificiale nelle aziende (il 40% di tutte le applicazioni individuate). Le applicazioni più diffuse sono le seguenti. Virtual Assistant/Chatbot Si tratta di Agenti software in grado di eseguire azioni e/o erogare servizi a un interlocutore umano, basandosi su comandi e/o richieste recepiti attraverso un’interazione in

linguaggio naturale (scritto o parlato). I sistemi più evoluti si contraddistinguono per la capacità di comprendere tono e contesto del dialogo, memorizzare e riutilizzare le informazioni raccolte e dimostrare intraprendenza nel corso della conversazione. Questi sistemi sono sempre più utilizzati come primo livello di contatto con il cliente nel caso questo richieda assistenza al Customer Care. Recommendation Sono soluzioni orientate a indirizzare le preferenze, gli interessi o più in generale le decisioni dell’utente, basandosi su informazioni da esso fornite, in maniera indiretta o diretta. L’output consiste in raccomandazioni personalizzate che si collocano in punti differenti del customer journey o, più in generale, del processo decisionale. A questa categoria appartengono i sistemi che suggeriscono l’acquisto di un prodotto sulla base dei precedenti oppure che consigliano la visione di un film all’interno di una delle note piattaforme di video on-demand.

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MANAGEMENT - WORLD OF BUSINESS IDEAS di

in collaborazione con

DANIELE LAZZARIN

DANIEL GOLEMAN PSICOLOGO CO-DIRECTOR, CONSORTIUM FOR RESEARCH ON EMOTIONAL INTELLIGENCE IN ORGANIZATIONS, RUTGERS UNIVERSITY

L’intelligenza emotiva e l’arte della leadership Daniel Goleman, il “padre” della teoria della Emotional Intelligence, sarà al World Business Forum di Milano nel prossimo ottobre. «Per ottenere il massimo da un team non basta avere skill tecnici eccellenti e un altissimo IQ. Ma neanche essere “solo” simpatici o gentili. I leader di successo sono capaci prima di tutto di gestire bene se stessi. E poi di “sintonizzarsi” sui collaboratori, coinvolgendoli totalmente»

Daniel Goleman è uno prima di tutto uno psicologo, ma è anche uno degli autori più famosi nell’ambito del management strategico: il suo concetto di intelligenza emotiva (Emotional Intelligence), enunciato nel best seller omonimo nel 1995, ha avuto profondi impatti non solo nel campo della psicologia e dell’insegnamento, ma anche sulle teorie della leadership aziendale. Goleman ha sistematizzato e tradotto in best practice un concetto semplice, e cioè che per essere un leader di successo non bastano competenze tecniche eccellenti, e neanche un altissimo quoziente d’intelligenza (IQ). Occorre anche una componente “irrazionale”, detta appunto Emotional Intelligence, o EQ per distinguerla dall’IQ razionale. E cioè un mix di capacità di conoscere e controllare se stessi, e di capire e coinvolgere gli altri, che in parte è innata, ma si può migliorare e ottimizzare. Negli anni Goleman ha sviluppato il concetto di EQ con libri, consulenze e conferenze in tutto il mondo. È stato dichiarato dal Wall Street Journal e dal Financial Times uno dei più influenti business thinker | 14 |

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al mondo, e la Harvard Business Review ha definito l’intelligenza emotiva “un’idea rivoluzionaria”, premiando il suo articolo “What Makes a Leader” con l’HBR McKinsey Award come miglior articolo dell’anno 2013. Articolo poi sviluppato l’anno dopo in un altro best seller, intitolato “Focus: The Hidden Driver of Excellence”. COSA È L’EQ (E COSA NON È) Il tema dell’intelligenza emotiva nella leadership sarà al centro anche dell’intervento che Goleman farà al prossimo World Business Forum di Milano, in programma il 30 e 31 ottobre 2018. Lo psicologo americano parlerà delle competenze necessarie per sviluppare il self management e ottenere alte prestazioni, del potere dell’autoconsapevolezza come base per il proprio sviluppo professionale, di come diventare un leader di successo sviluppando profonde relazioni interpersonali. Ma parlerà anche di cosa è esattamente la EI, e di


MANAGEMENT- WORLD OF BUSINESS IDEAS | L’INTELLIGENZA EMOTIVA E L’ARTE DELLA LEADERSHIP

nizational awareness), e Relationship Management (influence, coach and mentor, conflict management, teamwork, inspirational leadership). Semplificando al massimo, secondo Goleman l’EQ determina il successo della leadership attraverso due componenti. La prima riguarda “l’interno”: i leader di successo sono capaci prima di tutto di gestire bene se stessi. Parliamo quindi di “self mastery”, self awareness, capacità di gestire emozioni contrastanti e spiacevoli, di mantenersi focalizzati sugli obiettivi anche durante le crisi, e fortissima adattabilità. La seconda riguarda l’esterno, e comprende la capacità di sintonizzarsi sulle altre persone del team, creare empatia con loro, capire come stanno, cosa pensano del progetto che si sta affrontando, le loro aspettative, risolvere i contrasti, fargli percepire il proprio interesse per loro. Questo permette al leader di capire come comunicare, influenzare, guidare, coinvolgere al meglio, ottenendo così il massimo dal suo team. UN C-LEVEL NON USA PIÙ SKILL TECNICI: PASSA IL TEMPO A GESTIRE LE PERSONE «Recentemente ho incontrato il CEO di BlackRock, il più grande fondo d’investimento del mondo, che gestisce migliaia di miliardi – ha racccontato Gole-

Il modello che definisce la Emotional Intelligence (EQ) secondo il suo ideatore, Daniel Goleman, comprende 4 domini e 12 competenze

Fonte: “Emotional Intelligence Mith vs Fact”, Daniel Goleman, LinkedIn

cosa non è: un tema che Goleman ha affrontato per esempio in un articolo scritto l’anno scorso su Linkedin, dal titolo “Emotional Intelligence Myth vs. Fact”. «Dopo oltre vent’anni continuo a trovare articoli, anche su testate autorevoli, che dicono che l’intelligenza emotiva è essere simpatici, o gentili, o empatici, o addirittura valorizzare la propria parte femminile». L’ultima cosa è falsa - non è vero che le donne hanno EQ più alta, e non c’è una prevalenza di genere nei top performer - e le altre sono solo una parte della verità, scrive Goleman, che definisce una volta per tutte la EQ come “la capacità di riconoscere le proprie emozioni, quelle degli altri, gestire le proprie, e interagire in modo costruttivo con gli altri”. Questa definizione si traduce in un modello che comprende quattro domini, e 12 competenze. Più precisamente (vedi grafico), i quattro domini, con relative competenze, sono Self Awareness (emotional self awareness), Self Management (emotional self control, adaptability, achievement orientation, positive outlook), Social Awareness (empathy, orgawww.digital4executive.it

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MANAGEMENT- WORLD OF BUSINESS IDEAS | L’INTELLIGENZA EMOTIVA E L’ARTE DELLA LEADERSHIP

man al World Business Forum 2017 di Sydney -. Mi ha chiesto di spiegargli perché assume i più brillanti studenti delle migliori business school e continua ad avere distribuzioni “a campana” delle performance. Gli ho risposto che la ricetta giusta non è assumere i migliori in assoluto, ma confrontare nella propria azienda i top performer e gli average performer, e individuare gli skill, abilità e competenze che i top performer hanno, e gli average performer non hanno». Goleman chiama questa tecnica “competence modeling”. «Molte aziende la applicano, specialmente per selezionare il top management. Ho avuto accesso ai dati di oltre 200 di questi processi di selezione, e ho riscontrato che, per incarichi di tutti i tipi, gli skill EQ sono due volte più importanti di quelli tecnici o dell’IQ. Gli skill tecnici li si può imparare a scuola, li possono avere tutti. Ma più sali in alto nella gerarchia organizzativa, più sarà importante l’intelligenza emotiva. Tra i C-Level, l’85% delle competenze che distinguono i top performer sono di EQ. Sono dati che non ho rilevato io, ma le stesse aziende. Un CLevel non usa più gli skill tecnici. Quello che fa per gran parte del tempo è gestire le persone, oltre che se stesso». Insomma l’arte della leadership, precisa lo psicologo

L’EQ si può anche imparare «Una delle domande che mi fanno più spesso è se l’intelligenza emotiva si può imparare: la risposta è sì – spiega Daniel Goleman -. Se un leader ha delle deficienze per esempio di empatia, o nella gestione delle proprie emozioni, può migliorarsi su questi punti come su qualunque altro skill di intelligenza emotiva. Deve essere disposto a investire tempo e impegno per farlo, e poi avere un’idea corretta di come viene percepito dalle persone, cioè dei suoi reali punti di forza e di debolezza. Occorre definire un accurato profilo EQ di partenza, il miglior modo è fare un’indagine anonimizzata tra tutti quelli con cui si lavora quotidianamente. Inoltre deve fare un “contratto” con se stesso per cui, se supponiamo che la parte da rafforzare è la capacità di ascoltare, si impegna a fare pratica su quel punto ogni volta che capita l’occasione, mettendo in background tutto il resto e focalizzandosi sull’ascolto. Se fa questa cosa regolarmente per 3-4 mesi arriverà il momento in cui la farà senza doverselo imporre. Ottenere risultati da solo però è molto difficile, la cosa che consiglio è farsi aiutare da un “coach” con un programma personalizzato». Altra domanda molto frequente è come rilevare l’intelligenza emotiva di un dipendente o un candidato. «Un modo è improvvisare una “simulazione di lavoro”. Sottoporre un compito o un problema - per esempio comporre un contrasto tra due persone - e studiare come il candidato lo affronta al momento. Un altro modo è chiedere alla persona durante il colloquio qual è il peggiore errore che ha fatto sul lavoro e come lo ha gestito».

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americano, è ottenere i risultati attraverso la qualità del lavoro degli altri.«L’arte della leadership consiste nel portare e mantenere le persone nella fascia più alta dei livelli di performance, e questo succede quando le persone sono nel miglior stato di benessere personale. È uno stato ottimale che si chiama Flow, in cui la persona stessa rimane stupita dei risultati che ottiene. È stato definito attraverso ricerche sui professionisti più diversi, dalle ballerine ai giocatori di scacchi, dai top manager ai militari». LO STATO DI “FLOW” E IL “SOCIAL BRAIN” Il Flow ha alcune caratteristiche che si riscontrano regolarmente. «Una è uno stato di attenzione irremovibile sull’obiettivo. Focalizzazione al 100%. Un altro è la totale flessibilità: qualunque cosa succeda, si è in grado di gestirla. Un terzo è che le competenze personali sono messe alla prova al loro massimo livello, a volte anche oltre. Insomma, si dà il massimo quando ci si sente al massimo». Ma come creare una situazione del genere? «Un modo è stabilire chiare regole, e chiari obiettivi, ma lasciare una certa flessibilità sul modo di raggiungerli. Un altro è il feedback immediato, mantenere le persone costantemente aggiornate su quanto bene stanno perseguendo l’obiettivo. La terza è mettere alla prova e far crescere le competenze delle persone, o meglio cercare di far coincidere quello che le persone sanno fare con i compiti loro assegnati». Un aiuto per creare uno scenario adatto al flow, continua Goleman, è il “social brain”. È una cosa che è stata scoperta da una decina d’anni, da quando si studia anche l’interazione tra i cervelli oltre che il cervello preso singolarmente. «C’è una zona del cervello che funziona come un “radar neurale”, cerca di capire cosa succede nel cervello dell’altra persona e stabilisce con esso una comunicazione che va al di là di ciò che i due si stanno dicendo a parole. Questo ha a che fare con i neuroni specchio, scoperti in Italia, che creano un ponte tra cervello e cervello, un ponte che comunica emozioni, sentimenti, intenzioni. Questo spiega perché le emozioni sono contagiose, e perché la natura umana porta a dare grande attenzione e importanza a quello che il leader del gruppo fa e dice. Il leader è il determinante: del meglio e del peggio». Insomma, il leader deve usare il “social brain” per far rendere al massimo le persone. «È così che otterrete il miglior ritorno d’investimento dai salari che la vostra azienda paga al vostro team. Gestire lo “stato emozionale” delle persone è estremamente importante, dal top management al front end, cioè i punti di contatto tra azienda e mercato. Chiunque in azienda sia interfaccia verso l’esterno, infatti, ha il potere di “far stare bene” il cliente. E se il cliente “sta bene” non è solo ben disposto verso la persona interfaccia: è ben disposto verso la vostra azienda».



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MANUELA GIANNI

Leadership, tre consigli per guidare i team in un mondo sempre più veloce La trasformazione digitale ha enormemente accelerato il ritmo del business. Qual è il segreto di manager e imprenditori per una leadership aziendale di successo? Il modo in cui gestiscono le proprie energie, spiega il libro “Superfast: how to lead at speed”, frutto di un’analisi sul comportamento di oltre 100 business leader e startupper

In un mondo in costante accelerazione, stanno cambiando anche le regole della leadership aziendale. Come guidare team e aziende senza soccombere ai nuovi ritmi super-veloci del lavoro? Se lo è chiesto Sophie Devonshire, autrice britannica del saggio “Superfast how to lead at speed”, anticipato in un articolo pubblicato da Business Life, che ha studiato il comportamento di capitani d’azienda di successo, soprattutto del mondo digitale. La trasformazione digitale è infatti la principale responsabile di questa grande accelerazione nel business: nuove tecnologie e piattaforme, user experience che diventano esponenzialmente più semplici, interi settori sotto pressione per la dilagante disruption, dot com in crescita vertiginosa, senza precedenti: basti pensare a Uber che in 5 anni è arrivata a 78 miliardi di dollari di capitalizzazione, o Whatsapp, che ha raccolto in pochi anni un miliardo di utenti. La velocità per molti è stimolante, adrenalitica, da brivido. Ma per altri, e alla lunga, è solo estenuante. Accele| 18 |

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rano le aspettative, ma anche i rischi: sia può cadere altrettanto velocemente. Le aziende stanno scomparendo dal FTSE 100 rapidamente come mai è successo in passato. Altri dati mostrano il livello di stress dei manager britannici (ma da noi non va meglio): 1 su 3 pensa periodicamente di voler cambiare lavoro, e il 71% non riesce a prendere un’ora di pausa pranzo. LEADERSHIP AZIENDALE IN VELOCITÀ: COME GESTIRE LE PRESSIONI I leader aziendali combattono ogni giorno per dare a tutti risposte veloci: hanno il fiato sul collo di azionisti e investitori, la pressione della stampa e l’impazienza crescente dei clienti. «Sono affascinata da come i leader guidano la propria azienda in questo mondo accelerato, da come fanno a guidarla mantenendo velocità e performance – scrive l’autrice -. Per la ricerca per il mio libro ho trascorso del tempo con più di 100 leader, inclusi i


MANAGEMENT | LEADERSHIP, TRE CONSIGLI PER GUIDARE I TEAM IN UN MONDO SEMPRE PIÙ VELOCE

cessario per ricaricarsi. L’energia viene anche dalla consapevolezza di dover fare meno. Bisogna ridurre il numero di decisioni prese al giorno per tenere la mente libera e pronta a riflettere. È necessario limitare impegni e obiettivi al minimo. Dire di no spesso – e gentilmente, è dunque la chiave della nuova leadership, ricordando che “puoi fare qualunque cosa, ma non puoi fare ogni cosa”. FOCUS SUL RECRUITING: L’ENERGIA VIENE DALLE PERSONE GIUSTE

founder di startup in rapida crescita e i manager di aziende globali da miliardi di fatturato. Ho scoperto che per tutti loro la preoccupazione principale riguarda l’energia: come alimentarla e mantenerla, per sé stessi e per i loro dipendenti». L’ENERGIA (E NON IL TEMPO) È LA RISORSA PIÙ PREZIOSA DI OGNI MANAGER La regola aurea è che per muoversi veloce, non bisogna pensare tanto a come gestire il tempo, ma bisogna preoccuparsi di gestire l’energia. È necessario conoscere sé stessi, cosa ci dà energia, in quale momento si è al meglio, e a come procurarsi questo carburante, ad esempio quando e come dormire e fare esercizio. Molti leader superfast sono sportivi e usano il tempo dell’esercizio fisico per pensare, aumentando così anche la resilienza per affrontare le sfide di ogni giorno. Altri usano fare pause e riposare, stendersi, restare inattivi per il tempo ne-

È necessario avere in azienda “radiatori” di energia, ed evitare chi invece la assorbe. Serve selezionare persone che sanno sbloccare i problemi e superare gli ostacoli temporanei. Un consiglio per le direzioni HR nel recruiting? Assumere lentamente, licenziare velocemente. Individuare la giusta tipologia di persone da assumere è un passaggio ragionato, mai frettoloso per l’organizzazione. È importante anche ricercare la diversity: un team vario e con prospettive differenti accende l’ispirazione. Prendendo ad esempio un noto capo di successo, Satya Nadella, CEO di Microsoft, si pone semplicemente due domande sui nuovi assunti: “Trasmettono energia e offrono chiarezza?” Meglio una posizione vacante, che una persona sbagliata in azienda” dice invece Dan Jacobs di Apple. (In inglese: better a hole then an a**ehole). L’ENERGIA SI GENERA SE C’È UN OBIETTIVO (E UN PROGRESSO) Per una leadership motivante, bisogna fissare la propria stella polare, lo scopo della propria organizzazione – il perché –. Questo aiuta a migliorare il processo decisionale (che deve essere rapido) e ispirare innovazione. Serve condividere le storie del progresso dell’organizzazione: il successo infonde fiducia ed energia. Jeff Bezos, fondatore di Amazon, che può essere considerato uno dei più originali architetti dell’accelerazione del business, afferma: “La velocità è importante nel business, e un ambiente decisionale ad alta velocità è anche più divertente”. In conclusione, una cosa è certa: il mondo non rallenterà. Meglio trovare l’energia per andare avanti e, si spera, anche il modo per godersi il viaggio. www.digital4executive.it

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GAIA FIERTLER

Air Liquide, come ridurre le distanze con i sistemi di collaborazione Lavorare insieme a un documento e condividere nella stessa comunità professionale esperienze, difficoltà e soluzioni porta vantaggi al know-how aziendale e alla produttività. Questo in estrema sintesi è il cuore del progetto HR del noto gruppo francese, come raccontano Davide De Vita, Human Resources Director Italia, e Cecilia Calvi Parisetti, Responsabile della formazione e dello sviluppo Innovazione e digitalizzazione sono al centro del piano strategico 2015-2020 di Air Liquide Italia, la società del Gruppo francese che opera nel settore dei gas industriali e medicali. In quest’ottica, la divisione HR sta sperimentando i benefici delle modalità di lavoro collaborative che riducono le distanze tra i mille dipendenti distribuiti sul territorio nazionale, talvolta anche in piccoli siti produttivi. Ne sono un esempio, la piattaforma HCM di Cornerstone (da quest’anno disponibile anche su smartphone da app), la scrittura collaborativa in cloud di Google e il sistema di messaggistica istantanea e di videochiamate multiple Hangout, che cambiano i paradigmi del lavoro e della gestione dell’HR, liberando energie per ottimizzare i tempi, potenziare le competenze e le soft skill dei collaboratori e ridurre le distanze tra i colleghi distribuiti lungo lo stivale. «Lavorare insieme al medesimo documento e condividere nella medesima comunità professionale esperienze, difficoltà e soluzioni modifica certo i paradigmi del lavoro, ma i vantaggi del contributo di più persone in tempo reale sono innegabili ai fini del know-how | 20 |

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aziendale e della produttività», spiega Davide De Vita, Human Resources Director Air Liquide Italia, che abbiamo intervistato insieme a Cecilia Calvi Parisetti, Responsabile della formazione e dello sviluppo. In che modo sta andando avanti il processo di digitalizzazione in Air Liquide? Sta entrando a due livelli, quello industriale e quello organizzativo, impattando in entrambi i casi su competenze e professionalità. A livello industriale, dove i big data e le analisi predittive stanno modificando il modo di produrre e di pianificare, è in corso un cambiamento profondo nei ruoli e nelle figure professionali. C’è infatti una evoluzione delle competenze richieste: i turnisti della produzione a ciclo continuo, per esempio, saranno sempre meno operativi e diventeranno supervisori di macchine e computer. Il secondo livello della digitalizzazione riguarda invece i sistemi collaborativi a supporto della gestione degli uffici e delle risorse umane.


DIGITAL TRANSFORMATION - HR | AIR LIQUIDE, COME RIDURRE LE DISTANZE CON I SISTEMI DI COLLABORAZIONE

tava il perfezionamento e l’approvazione di un testo prima di renderlo pubblico agli interessati, ora si parte e si adatta e si migliora in corso d’opera, si costruisce insieme rinunciando a un po’ di controllo. Che ruolo gioca l’HR in questo? La disponibilità di questi strumenti spinge il ruolo dell’HR su elementi più umani e di potenziamento delle persone e, al tempo stesso, deve sviluppare la capacità di animare e accompagnare l’uso di questo modo di lavorare collaborativo senza imporre, semmai stimolando, animando e poi seguendo a distanza quello che accade senza intromettersi o invadere. Per noi è decisamente una grossa sfida rispetto a un modo di lavorare più proceduralizzato e pianificato, come avveniva in era pre-digitale.

Cosa cambia nel modo di lavorare insieme? Stanno cambiando alcuni paradigmi fondamentali. Per esempio il concetto di proprietà intellettuale e di sapere come forma di potere si sta estinguendo con i nuovi sistemi collaborativi. Ora con Google abbiamo tutti i documenti aziendali archiviati in cloud e accessibili a tutti, in una logica di scrittura collaborativa. In pratica, si può lavorare in contemporanea allo stesso documento apportando ciascuno elementi differenzianti e arricchenti. Certo, in parallelo deve cambiare l’atteggiamento di paternità del documento e di “gelosia” verso il proprio lavoro. In questo modo le persone coinvolte nella costruzione del progetto contribuiscono in diretta, superando i diversi passaggi di approvazione e riducendo i tempi di definizione. Ovviamente bisogna imparare a usare in modo corretto gli strumenti, perché su certi dati è richiesta privacy e riservatezza, soprattutto in area HR, da tutelare e garantire comunque, come d’altronde consente il mezzo se usato bene. Ma cambia inevitabilmente l’approccio generale alla produzione di documenti. Prima si aspet-

Cosa cambia a livello di gestione delle risorse umane? Come accennavo c’è un’evoluzione della professione stessa dell’HR, sollevata dalle incombenze amministrative svolte dai sistemi automatici e con più energie da dedicare allo sviluppo delle soft skill dei collaboratori. Non solo, ma le stesse nuove tecnologie ci inducono a svolgere un ruolo più strategico a supporto della crescita del Gruppo. Il sistema integrato, che collega le informazioni di anagrafica, performance management e learning, ci dà il colpo d’occhio sui bisogni formativi collegati allo sviluppo professionale dei nostri collaboratori. Inoltre, noi stessi usiamo le community on line per trasmettere ai capi concetti formativi, come quello del feedback o del performance management. Da anni disponiamo di piattaforme HCM web based, ma la recente applicazione sul cellulare aziendale è un valore aggiunto per una realtà frammentata come la nostra. Pillole video di e-learning, giochi, esercizi per autoanalisi, simulazioni, e poi confronti, feedback. Inoltre, usiamo tantissimo le app di Google, come Hangout, il software di messaggistica istantanea, e di VoIP in grado di gestire molto agilmente più interlocutori nelle videochiamate e nei video-meeting. In questo modo raggiungiamo velocemente le diverse famiglie e figure professionali e accorciamo le distanze con i dipendenti sparpagliati lungo lo stivale, e diventa più veloce, efficace ed economica sia la comunicazione sia la formazione. Infine lo usiamo per gestire i primi colloqui di selezione, risparmiando in tempi e spostamenti. www.digital4executive.it

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PAOLA CAPOFERRO

MARIANO CORSO

Econocom, Lavazza, Intesa Sanpaolo e Philips: ecco gli ‘Smart Place’ del 2018

DIRETTORE SCIENTIFICO P4I – PARTNERS4INNOVATION

La prima edizione di “Copernico SmartPlaces Awards” ha premiato quattro progetti che si sono distinti per la capacità di reinterpretare in chiave innovativa e ‘smart’ gli uffici. «Gli spazi di lavoro stanno diventando delle ‘piattaforme abilitanti’ di relazioni, condivisione e creazione di valori», sottolinea Mariano Corso, Direttore Scientifico di P4I

In Italia cresce la popolarità dello Smart Working, e comincia a diventare familiare anche il concetto di Smart Place, ovvero di spazi di lavoro che favoriscono la condivisione e la collaborazione. L’attenzione cresce, in particolare, nelle grandi aziende che cominciano a ripensare in modo “intelligente” le modalità di lavoro e progettare gli spazi in logica ‘smart’: secondo le ultime rilevazioni dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, il 36% ha già avviato progetti strutturati e una su due ha avviato o sta per avviare un progetto di Smart Working. Di come stia cambiando l’organizzazione del lavoro e di quanto si stiano trasformando gli spazi fisici si è parlato al “Copernico SmartPlaces Awards”, l’iniziativa lanciata da Copernico, la holding che gestisce realtà immobiliari dedicate all’hospitality sia per il business sia per il tempo libero, in collaborazione con P4I – Partners4Innovation, la società del Gruppo Digital360 che offre servizi di Advisory e Coaching a supporto dell’Innovazione Digitale e Imprenditoriale. Con l’obiettivo di condividere le esperienze di chi ha già intrapreso un | 22 |

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percorso di trasformazione e metter a fattor comune con una community di manager le strategie ‘smart’, l’edizione 2018 ha premiato Econocom, Intesa Sanpaolo, Lavazza e Philips per i loro progetti innovativi di Smart Place. «Il lavoro sta cambiando e sta diventando molto più intelligente: finalmente dopo anni di ritardo l’innovazione sta vivendo un’accelerazione», ha sottolineato Mariano Corso, Direttore Scientifico di P4I – Partners4Innovation e Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano. «Da una parte ci sono le persone, per cui è sempre più importante avere anche sul lavoro la flessibilità di cui godono nella vita privata, soprattutto grazie al digitale; dall’altra ci sono le imprese, che hanno capito che rendere autonome e responsabili le persone ripaga in termini di produttività, motivazione ed engagement al cambiamento e all’innovazione. Oggi grazie allo Smart Working sono 305mila le persone che hanno recuperato motivazione, orgoglio della propria professionalità e voglia di essere fautori del successo dell’organizza-


DIGITAL TRANSFORMATION - HR | ECONOCOM, INTESA SANPAOLO, LAVAZZA E PHILIPS: ECCO GLI ‘SMART PLACE’ DEL 2018

zione per cui lavorano». Adottare lo Smart Working non vuol dire soltanto lavorare da casa e utilizzare le nuove tecnologie: è anche, e soprattutto, rivedere il modello di leadership e l’organizzazione, rafforzare il concetto di collaborazione e favorire la condivisione di spazi. Secondo Corso, «gli uffici stanno cambiando, stanno diventando delle ‘piattaforme abilitanti’ di relazioni, condivisione e creazione di valori. È questo il momento di puntare sullo Smart Place, perché oggi fa una grande differenza, dando identità e valore». E il cambiamento non sta avvenendo in modo isolato: «Su cento aziende che hanno progetti strutturati, circa la metà sta ripensando fortemente gli spazi. Si è attivato un meccanismo virtuoso di influenza reciproca che comincia ad avere anche ripercussioni sul tessuto urbano». E Milano sta diventando l’epicentro del cambiamento: circa la metà delle aziende che fanno Smart Working sono in Lombardia, il 44% solo nel capoluogo. «Quella di Milano è un’esperienza straordinaria che sta cambiando anche il tessuto della città, fa emergere modelli di servizio e business diversi: non è un caso che qui stiano nascendo la maggior parte degli spazi di co-working», ha concluso Corso. «L’ufficio tradizionale è categoricamente morto: non parla più la nostra lingua, non riusciamo più a comunicare con lui. Abbiamo una tecnologia che confonde sempre più uomo e macchina e si devono trovare nuovi modi di collaborare», ha ribadito Jacopo Muzina, Head of Business Development & Strategic Partnership di Copernico. «Alcuni studi mostrano che nel 2030 il 40% della forza lavoro seguirà le logiche smart. Inoltre, secondo McKinsey, nel 2030 la popolazione mondiale sarà di 8 miliardi e mezzo, e di questi 4 miliardi popoleranno le metropoli. Si spiega così il trend ‘back to town’ che riporta le grandi aziende nelle città (ad esempio, Microsoft e Samsung). Stiamo assistendo a un cambio di paradigma che possiamo definire “From Space to Place”: il concetto di ufficio diventa ‘aperto’, il vero spazio lavorativo è quello che favorisce la creatività delle persone, genera relazioni che oltrepassano i confini aziendali, stimola nuove idee e quindi nuovo business». QUATTRO MODI DI INTERPRETARE LO SMART PLACE Econocom ha concepito la nuova sede, l’Econocom Village, secondo i principi della smart collaboration e dell’open innovation, per mettere a disposizione delle persone uno spazio moderno e co-creativo. Il Village interpreta, infatti, il fenomeno della digital transformation che parte da un cambiamento culturale e riflette il posizionamento di Econocom come ‘digital transformation designer’: la logica è quella di riconoscere

in se stessi quello che si propone al mercato. Oltre agli spazi dedicati ai dipendenti, la struttura comprende infatti un’area dedicata al co-working, e laboratori di digital experience, dove sperimentare e toccare con mano le applicazioni: si tratta di soluzioni tecnologiche diffuse ma non invasive, che rendono gli spazi più fruibili e funzionali semplificando le attività quotidiane degli utenti, la collaborazione e la condivisione. ‘Hive – Il futuro al lavoro’ è il progetto di Intesa Sanpaolo, che ha previsto il rinnovo del quarto piano del complesso di Piazza della Scala a Milano, sede della Direzione Global Transaction Banking, e il coinvolgimento di 120 persone. Per ripensare la people experience, design e tecnologia sono stati messi al servizio delle persone per far evolvere il patto tra azienda e dipendenti in una logica win-win, verso un modello di lavoro flessibile. Tre le leve utilizzate: quella fisica, con il superamento della postazione assegnata; quella organizzativa e tecnologica, con l’introduzione di strumenti che favoriscono il lavoro flessibile e la programmazione activity based della mobilità e dell’uso di sale e attrezzature; quella motivazionale, per responsabilizzare le persone nell’uso degli spazi condivisi e far leva sull’orgoglio di essere parte integrante di un modello da condividere con il resto della Banca. La Nuvola Lavazza è stata disegnata come una piazza aperta, studiata per il benessere dei dipendenti nel rispetto dell’ambiente e per favorire esperienze di condivisione culturale, sociale e di business. La nuova sede della nota azienda produttrice di caffè tostato è un quadrilatero polifunzionale di oltre 30mila metri quadrati nel cuore di Torino progettato in ottica Smart Place. La disposizione degli uffici permette alla aree di dialogare tra loro, e gli spazi, organizzati in modo flessibile, sono configurabili secondo le diverse esigenze: oggi le scrivanie a disposizione sono il 50% rispetto al numero di dipendenti, il 60% degli spazi è dedicato alla collaborazione, c’è la flessibilità d’orario e la mobilità sostenibile. Sarca 235 è la nuova sede italiana di Philips. Progettata per favorire lo Smart Working e la flessibilità, rappresenta l’apice del processo di profonda trasformazione intrapreso quattro anni fa dalla multinazionale passata dall’elettronica di consumo all’Health Technology. La nuova organizzazione del lavoro segue il principio della Work Place Innovation, per promuovere flessibilità e condivisione: viene superato il vecchio concetto di ufficio chiuso, in favore di spazi strutturati in working corner, composti da isole con postazioni lavorative libere. In questo modo le persone si muovono all’interno della struttura in base alle attività e ai team con cui lavorano; ci sono meno spazi dedicati al singolo e più aree aperte che favoriscono concentrazione, creatività e collaborazione. www.digital4executive.it

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PAOLA CAPOFERRO

LAURA BRUNO

Processi HR in Cloud: Sanofi semplifica la gestione delle persone

DIRETTORE RISORSE UMANE SANOFI ITALIA

La complessità organizzativa della multinazionale ha spinto la Direzione HR a promuovere a livello Corporate un’armonizzazione dei processi e un approccio strategico “One HR”, per garantire un supporto operativo e gestionale degli oltre 110mila dipendenti distribuiti in cento Paesi. Ne parliamo con Laura Bruno, Direttore delle Risorse Umane di Sanofi Italia

Empowerment, coinvolgimento, semplificazione e ottimizzazione. Il percorso di trasformazione dei processi HR in Sanofi si può sintetizzare con queste quattro parole chiave. La complessità organizzativa della multinazionale a capitale francese che opera nel campo della chimica-farmaceutica, che oggi conta oltre 110mila dipendenti distribuiti in cento Paesi, ha spinto la Direzione HR a promuovere a livello Corporate un’armonizzazione dei processi e un approccio strategico “One HR”, per garantire un supporto operativo e gestionale delle risorse umane nelle differenti realtà aziendali. «Integrare i processi HR in tutti i Paesi in cui operiamo: è stato questo il vero motore del progetto di trasformazione di Sanofi», ha sottolineato Laura Bruno, il Direttore delle Risorse Umane di Sanofi Italia che abbiamo intervistato. «Abbiamo lavorato innanzitutto sulla sistematizzazione: prima del progetto i flussi HR erano gestiti | 24 |

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con oltre un migliaio di piattaforme, una numerosità che ne rendeva difficile la governance. Di pari passo abbiamo accompagnato il change management, consapevoli che per il successo di un progetto così pervasivo è necessario coinvolgere le persone, i collaboratori e i manager su tutte le attività che hanno a che fare con la gestione e lo sviluppo delle risorse umane. Abbiamo fatto leva su un triangolo virtuoso tra employee, manager responsabili e funzione HR, ricordandoci sempre di mettere le persone al centro: non ci può essere un cambiamento senza responsabilizzazione e autonomia, e soprattutto senza un senso di “co-responsabilità” con l’azienda nella scelta del percorso di sviluppo professionale». Come si gestisce un progetto di questa portata? Siamo partiti dalla tecnologia: prima di tutto abbiamo cercato di capire come semplificare e ottimizzare i processi HR. La scelta è ricaduta sul


DIGITAL TRANSFORMATION - HR | PROCESSI HR IN CLOUD: SANOFI SEMPLIFICA LA GESTIONE DELLE PERSONE

«Abbiamo fatto leva su un triangolo virtuoso tra dipendenti, manager responsabili e funzione HR, mettendo le persone al centro: non ci può essere un cambiamento senza responsabilizzazione e autonomia»

Cloud e su una soluzione integrata, la piattaforma Workday, che, con un’interfaccia semplice, intuitiva e utilizzabile da qualunque device, ci ha permesso di rispondere rapidamente alle nostre esigenze di integrazione. Vista la portata e la vastità, il progetto è stato gestito in due fasi. La prima, iniziata a marzo 2015 ha previsto il rilascio di due moduli a livello Corporate, l’Organizational Management e il talent e performance management. Con la seconda sono stati introdotti i moduli restanti: core HR, Recruiting, Time Off e Onboarding (per la Compensation si dovrà aspettare ottobre, ndr). La prerogativa di questo percorso in passaggi successivi era introdurre in modo efficace ogni modulo, ponendo la necessaria attenzione nel farlo: per ciascuna fase abbiamo previsto un’analisi dei diversi flussi di processo e degli attori coinvolti, e abbiamo attivato degli ambienti di prova, per testare direttamente sulla piattaforma il funzionamento e l’esito di ogni singola azione. Inoltre, non bisogna mai dimenticarsi che si tratta di un progetto Corporate che ha coinvolto Paesi estremamente differenti per cultura e norme in ambito HR. Ogni Direzione HR ha avuto il compito di “tagliare” ciascun modulo “su misura” della propria realtà, ponendo particolare attenzione all’aspetto contrattualistico: c’è stato, quindi, un vero e proprio lavoro di customizzazione dei sistemi, e anche per questo il processo di trasformazione è stato lungo. A tutto questo si aggiunge il change management. Tra febbraio e aprile 2017 abbiamo erogato circa 300 ore di formazione in aula a tutto il

personale di Sanofi Italia e circa 100 ore di formazione specifica ai dipendenti della Funzione HR. Lo sforzo è stato significativo: abbiamo puntato su un percorso formativo completo con lezioni frontali in aula, video pillole, iniziative di e-learning. Inoltre, per supportare le persone meno abituate a utilizzare le tecnologie digitali, abbiamo introdotto degli info point all’interno delle diverse sedi e degli stabilimenti e abbiamo coinvolto dei team di Millennial, che sono stati promotori con noi dell’iniziativa nel ruolo di Angel: quando si tratta di cambiamenti, in Sanofi dobbiamo sempre fare i conti con un’età media ancora alta, si parla di 47 anni; appena l’8% della popolazione è al di sotto dei 30 anni. Dal punto di vista organizzativo che cosa è cambiato? Per comprendere pienamente il nostro percorso di trasformazione si deve ripartire dal concetto di triangolazione tra dipendenti, manager responsabili e Direzione HR. Se i primi sono stati resi autonomi nel gestire e aggiornare il proprio profilo, e responsabili delle aspirazioni e degli interessi di sviluppo e carriera, i cambiamenti più significativi forse riguardano i manager, che hanno la responsabilità dello sviluppo della Talent Review del team e della gestione e valutazione delle performance dei collaboratori. In particolare, dopo la seconda fase, a ogni manager è delegata la piena gestione delle proprie risorse: per esempio, adesso anche il Recruiting e le richieste di figure professionali possono essere gestiti in autonomia con Workday.

«Per supportare le persone meno abituate a utilizzare le tecnologie digitali, abbiamo introdotto degli info point nelle sedi e abbiamo coinvolto dei team di Millennial, promotori con noi dell’iniziativa nel ruolo di Angel» www.digital4executive.it

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DIGITAL TRANSFORMATION - HR | PROCESSI HR IN CLOUD: SANOFI SEMPLIFICA LA GESTIONE DELLE PERSONE

«L’introduzione della piattaforma ha omogeneizzato e aumentato l’efficienza dei processi di gestione dell’HR a livello corporate. Ne è un esempio il processo di ‘Recruiting e Selection’ che è stato notevolmente snellito»

Inoltre il fatto di avere un sistema unico a livello corporate consente di ricercare profili all’interno di tutto il gruppo a livello worldwide, avendo uno spettro di scelta più ampio. Infine, gli HR Manager, gli HR Business Partner e i Sanofi Business Services – Employee Experience sono responsabili della formazione, del change e del supporto ai manager e ai dipendenti: il nostro obiettivo è facilitare lo sviluppo delle abilità strategiche e i movimenti del personale all’interno dell’organizzazione. Il progetto ha richiesto anche a noi della Direzione HR di ampliare le nostre competenze per adattarci al cambiamento, come ad esempio nel caso delle skill per la progettazione della formazione e degli eventi di accompagnamento al rilascio dei moduli, e quelle per l’utilizzo della piattaforma. Come sono gestiti oggi i processi HR in Sanofi? L’introduzione della piattaforma ha omogeneizzato e aumentato l’efficienza dei processi di gestione delle Risorse Umane a livello Corporate. Come ho accennato, il processo di ‘Recruiting e Selection’ è stato notevolmente snellito: prima dell’introduzione della piattaforma, infatti, la richiesta di una nuova risorsa e l’avvio della procedura di ricerca e selezione da parte del manager di funzione e del personale HR erano sottoposti a una revisione e validazione gerarchicamente

Sanofi in breve Sanofi è una società farmaceutica globale focalizzata sulla salute delle persone. In Italia è una delle principali realtà industriali del settore con una presenza su tutto il territorio nazionale, un fatturato di 1,5 miliardi di euro nel 2017 e oltre 2.500 dipendenti. Il suo portafoglio copre tutta la filiera del farmaco. Dalla prevenzione al trattamento, attraverso le sue 5 Business Unit: Diabetes & Cardiovascular, Consumer Healthcare, General Medicines, Sanofi Genzyme - specialty care di Sanofi focalizzata su malattie rare, sclerosi multipla, oncologia e immunologia - e Sanofi Pasteur, divisione dedicata ai vaccini.

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differenti in azienda, con tempi lunghi di processo. Adesso, i manager possono attivare la richiesta di una nuova risorsa direttamente con il modulo dedicato, e il recruiter che prende in carico la ricerca crea e pubblica l’annuncio nella sezione “career” del sito aziendale e/o sugli idonei canali di ricerca; può inoltre fare una prima scrematura nella fase di selezione. La vera rivoluzione è che ora tutte le fasi del processo sono tracciate nel sistema e gestibili online, il che comporta una consistente riduzione dei tempi. Anche i processi di ‘Onboarding’ e ‘Sviluppo di Carriera’ sono stati notevolmente semplificati: i dipendenti, infatti, possono, sin dal primo giorno in azienda, di indicare e definire nel proprio profilo gli interessi e le aspirazioni professionali. Abbiamo voluto rendere i dipendenti più autonomi e responsabili del proprio sviluppo professionale. Anche per questo abbiamo implementato un sistema che agevola la selezione interna e facilita la mobilità internazionale, rendendo visibili le informazioni sulle posizioni aperte a tutte le persone. È stata la volontà di rendere più consapevoli i dipendenti del loro percorso professionale che ci ha convinti a trasferire interamente il processo di Performance Management sulla piattaforma, con cui adesso gestiamo la fissazione degli obiettivi, la review di metà anno, e la valutazione annuale, condivisi con manager e dipendenti. Se finora abbiamo parlato degli impatti sui processi e sulle persone, non si può non evidenziare che il progetto ha, anche, significative ricadute di business: la piattaforma permette di tracciare e misurare i processi con dei KPI, indicatori che restituiscono in tempo reale ai manager le performance del team, il potenziale dei dipendenti, le aspirazioni di carriere, le competenze e le skill, e il livello di engagement. Questo, secondo noi, è un meccanismo virtuoso: da un lato la persona è valorizzata, dall’altro il manager si sente più responsabile dello sviluppo di chi lavora con lui nel suo team.


I prossimi Convegni

Gli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano organizzano ogni anno oltre 30 convegni pubblici di presentazione dei risultati delle ricerche, con testimonianze del Top Management di importanti imprese nazionali e internazionali. Per offrire una fotografia accurata e continuamente aggiornata sugli impatti che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) hanno in Italia su imprese, pubbliche amministrazioni, filiere, mercati. Le ricerche affrontano i più importanti temi dell’Innovazione Digitale per elaborare strategie e modelli per molteplici ambiti B2c, B2b, PA, Professinisti e Startup: finance, customer experience, export, gioco online, risorse umane, sanità, beni e attività culturali, retail, turismo, media, banking, food, sport, manufacturing, supply chain finance, logistica.

di presentazioni dei risultati delle Ricerche degli Osservatori Convegno dell’Osservatorio Cloud Transformation Presentazione dei risultati della Ricerca 2018

L’Osservatorio si è proposto di: quantificare il mercato del Cloud in Italia e identificare i principali trend in atto; analizzare il ruolo del Cloud come abilitatore della trasformazione digitale e dei principali trend tecnologici innovativi, come gli Analytics e il Machine Learning; comprendere i percorsi di adozione del Cloud in azienda e gli impatti di questo paradigma sul Sistema Informativo, con un focus particolare sulla gestione di ambienti ibridi; analizzare lo stato di adozione del Cloud nelle PMI italiane; analizzare lo stato attuale e i trend evolutivi del mercato dell’offerta Cloud e in particolare quello delle piattaforme; delineare l’evoluzione della filiera dell’offerta di soluzioni Cloud. La Ricerca si è basata su un’analisi empirica, che attraverso survey e casi di studio coinvolge ogni anno oltre 1000 aziende utenti, con la partecipazione di CIO di grandi imprese e Responsabili IT di piccole e medie imprese italiane, e oltre 300 aziende operanti nel mercato dell’offerta Cloud.

Convegno dell’Osservatorio eCommerce B2c Presentazione dei risultati della Ricerca 2018

La Ricerca si è articolata nelle seguenti aree: monitoraggio del mercato italiano dell’eCommerce attraverso un’analisi puntuale dell’offerta; confronto con lo scenario internazionale nei principali mercati; analisi degli acquisti in Italia tramite Smartphone e Tablet, con un approfondimento sulle peculiarità del canale e sulle evoluzioni in atto; utilizzo degli strumenti di pagamento tradizionali e analisi degli strumenti “nuovi ed innovativi” che possono favorire lo sviluppo dell’eCommerce B2c in Italia; studio della logistica distributiva e dei principali servizi a valore aggiunto in fase di consegna, valutando il loro impatto ambientale; analisi e utilizzo degli strumenti e dei canali di generazione del traffico e comunicazione e mappatura delle principali piattaforme di eCommerce B2c; identificazione delle principali dimensioni di innovazione, attraverso esempi rappresentativi dei trend in atto, con particolare attenzione alle startup e ai mercati internazionali. Le Ricerche dell’Osservatorio si basano su un’analisi empirica che, attraverso survey, interviste e studi di caso, coinvolge ogni anno i primi 350 operatori di eCommerce B2c, che coprono più del 95% del mercato.

Convegno dell’Osservatorio Smart Working Presentazione dei risultati della Ricerca 2018

L’Osservatorio si è occupato di: monitorare la diffusione dello Smart Working nelle grandi organizzazioni, nelle PMI e nelle Pubbliche Amministrazioni presenti in Italia; approfondire le iniziative nelle diverse leve di progettazione (spazi, tecnologie, ...), comprendendone opportunità e aspetti critici; monitorare l’impatto dei provvedimenti legislativi (procedure, comunicazioni, ...) per le organizzazioni e gli aspetti legati alla sicurezza; identificare e approfondire la diffusione degli spazi di coworking in Italia e il loro ruolo nei progetti di Smart Working; identificare i principali benefici e l'impatto sociale e ambientale dello Smart Working; monitorare la diffusione degli Smart Worker in Italia e il loro punto di vista su questo tema; identificare le best practice di Smart Working nel panorama nazionale; monitorare il fenomeno dello Smart Working a livello europeo.

10.10.2018 Aula Magna Carassa e Dadda Politecnico di Milano Campus Bovisa Edificio BL28 Via Lambruschini, 4 20156 Milano

15.10.2018 Aula Magna Carassa e Dadda Politecnico di Milano Campus Bovisa Edificio BL28 Via Lambruschini, 4 20156 Milano

30.10.2018 Aula Magna Carassa e Dadda Politecnico di Milano Campus Bovisa Edificio BL28 Via Lambruschini, 4 20156 Milano

Scopri tutti i prossimi convegni e rivedi quelli passati su: www.osservatori.net/it_it/convegni


DIGITAL TRANSFORMATION - MARKETING di

NICOLETTA BOLDRINI

illycaffè, l’eCommerce come strategia di business globale L’attenzione al consumatore passa attraverso diversi touchpoint e soluzioni digitali che oggi possono aiutare a comunicare meglio con i clienti e servirli in modo più coerente rispetto ai loro desideri e abitudini. Ecco perché l’eCommerce, come racconta Maria Grazia Flaibani, Global Head of eBusiness di illycaffé, non è una mera piattaforma tecnologica ma un vero strumento di business

L’attenzione al consumatore passa attraverso diversi touchpoint e soluzioni digitali che oggi possono aiutare a comunicare meglio con i clienti e servirli in modo più coerente rispetto ai loro desideri e abitudini. Ecco perché l’eCommerce, come racconta Maria Grazia Flaibani, Global Head of eBusiness di illycaffé, non è una mera piattaforma tecnologica ma un vero strumento di business. illycaffè è una realtà italiana nota ormai in tutto il mondo: fondata nel 1933 a Trieste da Francesco Illy, oggi è un’azienda globale guidata dalla terza e quarta generazione della famiglia. Andrea Illy è il presidente e Massimiliano Pogliani l’amministratore delegato; Anna Rossi Illy, moglie di Ernesto (scomparso nel 2008, figlio del fondatore) è presidente onorario. Parliamo di un’azienda nota e apprezzata in tutti i continenti per l’alta qualità del suo caffè, un blend composto da nove tipi di pura Arabica che oggi viene distribuito in tutto il mondo attraverso differenti canali di vendita, strategia che abbiamo avuto il piacere di approfondire con Maria Grazia Flaibani, Global Head of eBusiness di illycaffè. «Presidiamo da sempre | 28 |

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il mondo Horeca, quindi Hotel, Ristoranti e Cafè/Catering che rappresentano i principali punti di vendita/ distribuzione del nostro core business – spiega preventivamente Flaibani – ma siamo presenti anche nel mondo Trade, Vending e Retail. Quest’ultimo, in particolare, è composto da due anime: quella “tradizionale” offline e quella digitale, online». OMNICANALITÀ, “PASSO OBBLIGATO” NELLA DIGITAL ERA «Le due anime legate agli acquisti “in store”, quindi in luoghi fisici, e attraverso le piattaforme digitali per noi devono essere integrate e coese sia per offrire una customer experience legata al brand coerente sia per garantire una user experience di qualità qualunque sia il processo di acquisto ed il canale prescelto dalle persone», racconta Flaibani. Dal punto di vista dell’eCommerce, quella che per illycaffé rappresenta la base tecnologica degli eShop per la vendita online dei propri prodotti, qualche anno fa l’azienda


DIGITAL TRANSFORMATION - MARKETING | ILLYCAFFÈ, L’ECOMMERCE COME STRATEGIA DI BUSINESS GLOBALE

ha sentito la necessità di potenziare i canali di vendita online per raggiungere determinati risultati di business che l’azienda ha strategicamente riportato in un piano di evoluzione e crescita a medio-lungo termine. «La nuova Digital Era dove tutti i consumatori sono connessi attraverso i propri dispositivi mobili personali ci ha portato sia a ridefinire la strategia di business sia a rivedere i canali e le tecnologie attraverso le quali raggiungere i clienti (e potenziali tali) e servirli al meglio», spiega in dettaglio la manager di illycaffè. «Oggi diventa fondamentale per noi presidiare tutti i touchpoint che il consumatore utilizza nel suo quotidiano per interagire e comunicare con la nostra azienda». Mentre prima esistevano canali di vendita tradizionali, adesso le aziende devono “fare i conti” con nuove modalità di fruizione di contenuti e acquisto di prodotti e servizi che passano dai motori di ricerca ai social media all’eCommerce, ai quali sempre più spesso il canale fisico si integra in modo complementare. UN’ESPERIENZA DI BRAND E DI ACQUISTO ESTESA, INTEGRATA, COERENTE «Avevamo una duplice esigenza (e finalità) quando abbiamo pensato a far evolvere il nostro canale eCommerce – entra più in dettaglio Flaibani – in termini di scalabilità e di integrazione di tutti i touchpoint in una logica di omnicanalità. Avevamo bisogno di una soluzione che ci rendesse molto semplice il roll-out degli store esistenti (illycaffè ha avviato il primo progetto di eCommerce più di dieci anni fa, con una soluzione enterprise tradizionale altamente customizzata e “in house”) e, al contempo, l’apertura di nuovi mercati, in particolare quello asiatico; il tutto all’insegna di una perfetta integrazione tra tutti i canali di vendita e contatto per assicurare, come anticipato, una customer experience di qualità e coerente rispetto non solo al brand ma anche alle specifiche esigenze ed aspettative del consumatore». Oggi illycaffè, da un punto di vista tecnologico, integra un sistema eCommerce totalmente basato sul cloud (Salesforce Commerce Cloud la soluzione

prescelta): «grazie alla flessibilità della piattaforma quest’anno abbiamo in pipeline due aperture importanti, una nel mercato UK e l’altra in Asia – dice con soddisfazione Flaibani -, inoltre siamo riusciti a chiudere con rapidità e semplicità tutti i roll-out (sette in Europa ed uno negli Stati Uniti)». Nell’ottica di un presidio completo dei touchpoint e di una gestione efficace dell’omnicanalità in termini di business, illycaffé sta lavorando ad una più stretta integrazione dell’eCommerce anche con altri sistemi aziendali, in particolare con il CRM che, in questo momento, è in house e di natura abbastanza tradizionale: «Stiamo definendo una nuova strategia di CRM che avrà come obiettivi primari il controllo di tutti i touchpoint, il riconoscimento di tutti i consumatori (che significa potenziare i database con le informazioni rilevanti per il brand e il business) e l’offerta del contenuto più adeguato rispetto ad alcune importanti informazioni (le aspettative delle persone, le loro esigenze, le abitudini di acquisto e comportamento) e ad uno specifico punto del customer journey», descrive Flaibani in chiusura. «Sempre in quest’ottica di miglioramento abbiamo anche avviato delle strategie di Marketing Automation. Il fil-rouge di tutto è sempre lo stesso: avere una vista quanto più dettagliata possibile dei consumatori che entrano in contatto con il brand per poter offrire loro il contenuto più coerente e attraverso il canale più idoneo».

MARIA GRAZIA FLAIBANI GLOBAL HEAD OF EBUSINESS ILLYCAFFÉ

«Oggi illycaffè ha un sistema eCommerce totalmente basato sul cloud e sta lavorando all’integrazione anche con altri sistemi aziendali, in particolare con il CRM» www.digital4executive.it

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DIGITAL TRANSFORMATION - MARKETING di

MANUELA GIANNI

Digital Marketing ad altissime prestazioni per Pirelli Il brand italiano ha concluso in tempi record un progetto di innovazione del Marketing su scala globale, dotandosi delle più avanzate tecnologie digitali per ingaggiare i clienti di pneumatici proponendo contenuti rilevanti e tempestivi. Ce ne parla Davide Alemani, Global Head of Digital Marketing di Pirelli: «Da subito risultati impressionanti»

Un potente “motore” di Digital Marketing accelera la trasformazione di Pirelli, mettendo il turbo alle vendite di pneumatici. Lo storico brand italiano ha appena concluso la prima parte di un progetto di innovazione e digitalizzazione che si è esteso finora a 10 Paesi (34 seguiranno) e che in pochi mesi ha visto l’adozione a pieno regime di una sofisticata piattaforma cloud di Marketing Automation, oltre che la migrazione di 44 siti web. Un’iniziativa strategica per Pirelli, che oggi si definisce “una start up di 146 anni”: fondata nel 1872, è infatti passata negli anni attraverso diversi cambi di strategia e organizzazione, culminati nel 2015 con l’ingresso nel capitale del gruppo cinese ChemChina e con il ritorno in Borsa nel 2017. Il progetto punta a ingaggiare i clienti di pneumatici, grazie a un sapiente mix tecnologie digitali e contenuti creativi, ponendo così Pirelli all’avanguardia nel nuovo marketing-data driven e nel content marketing. | 30 |

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Ne abbiamo parlato in esclusiva con Davide Alemani, Global Head of Digital Marketing di Pirelli, chiamato in azienda a settembre di due anni fa (da Ferrari) proprio per guidare il progetto. In quale contesto e con quali obiettivi Pirelli ha avviato il nuovo progetto di Digital Marketing? Pirelli è un’azienda molto orientata al digitale e con una fortissima spinta verso l’innovazione, innanzitutto di prodotto. Oggi produce e vende in tutto il mondo pneumatici per automobili, moto e - dallo scorso settembre - anche biciclette, puntando in particolare alla fascia alta del mercato, quello più avanzata tecnologicamente e dai maggior ricavi. Tra i prodotti innovativi ci sono le nuove gomme colorate (Le Color Edition, con strisce in sette colori base o personalizzabili su richiesta- ndr), e le gomme sensorizzate (un sistema installato nella parte interna del battistrada che inviano dati al Cloud Pirelli e a


DIGITAL TRANSFORMATION - MARKETING | DIGITAL MARKETING AD ALTISSIME PRESTAZIONI PER PIRELLI

Dal famoso calendario all’impegno nel design, il brand di Pirelli è sempre stato molto presente al grande pubblico… Certo, e questo approccio rimane. Il logo Pirelli è in Formula 1, è lo sponsor dell’Inter, dell’hangar Bicocca e così via. Ma con il digitale si raggiunge un obiettivo diverso: creare retention, tenere emotivamente collegati i clienti per due-tre anni, cogliendo i loro interessi e le loro passioni, in modo da essere presenti quando arriva il momento del cambio gomme. Servono contenuti rilevanti e sapere se un cliente è appassionato di arte oppure di motorsport. Queste tecnologie avanzate hanno un risvolto molto interessante anche per marketing tradizionale: possiamo ad esempio orientare meglio una sponsorship o interagire in modo diverso con le case automobilistiche nostre partner, rivolgendoci insieme alle audience. La trasformazione del Digital Marketing è in realtà la trasformazione di tutto il Marketing.

un’app per smartphone, ndr). In passato l’approccio al Marketing era quello tipico del B2B: i nostri clienti erano i dealer, i gommisti. Avevamo bisogno rapidamente di andare a parlare con i clienti finali e quindi di conoscerli, di avere più informazioni su di loro: sapevamo solo, e non sempre, che macchina guidano, ad esempio una Lamborghini. L’obiettivo è quello di presentare ai clienti i nostri prodotti e le nostre offerte al mercato nel momento giusto: questo aspetto per noi è fondamentale, dato che il periodo che intercorre fra un cambio di gomme e l’altro è di 2-3 anni e il mercato è molto competitivo. Un’altra esigenza era quella di modernizzare le infrastrutture, che erano molto frammentate: abbiamo 44 siti, molto ben fatti e innovativi, ma erano sviluppati su un CMS proprietario e molto orientati ai dealer. Va ricordato anche che da pochi mesi abbiamo lanciato l’eCommerce, per le gomme colorate e per quelle di biciclette.

Come è avvenuta la scelta delle Marketing Technologies? Insieme al dipartimento IT è stata indetta una gara, seguita da un audit esterno. Avevamo carta bianca, quindi la grande opportunità di adottare l’intero stack tecnologico: abbiamo scelto la piattaforma di Modern Marketing di Oracle in modalità Cloud. In particolare abbiamo adottato la DMP Oracle BlueKai (Data Management Platform, DMP), per la gestione dei dati, la soluzione di Marketing Automation B2B Eloqua, il CMS (Content Management System) per il DAVIDE ALEMANI GLOBAL HEAD OF DIGITAL MARKETING PIRELLI

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DIGITAL TRANSFORMATION - MARKETING | DIGITAL MARKETING AD ALTISSIME PRESTAZIONI PER PIRELLI

Il progetto punta a ingaggiare i clienti di pneumatici, grazie a un sapiente mix di tecnologie digitali e contenuti creativi, ponendo così Pirelli all’avanguardia nel nuovo marketing-data driven e nel content marketing

content marketing e la gestione dei contenuti con un repository unico, Maxymizer per ottimizzare il sito Web e realizzare A/B test, e la piattaforma per la gestione dei social media, che è un acquisto più tattico. Ci siamo affidati a Oracle anche per i servizi di consulting, una scelta strategica vincente: avevamo poco tempo e dovevamo cambiare tutto. Ci hanno supportato nel deploy delle tecnologie, nel change management e nel piano di training. In parallelo all’adozione delle tecnologie, abbiamo definito – insieme al nostro partner strategico Sapient Razorfish – le nuove customer journey, individuando i gap in tutte le fasi e studiando come le tecnologie ci potevano aiutare: la tecnologia è un enabler, ma senza il contenuto giusto non serve. L’obiettivo è offrire esperienze personalizzate e contenuti rilevanti in ogni momento, senza spam, e fornire lead qualificati ai nostri dealer: una volta che il cliente non è più anonimo, cioè è passato da un cookie a un cognome, per noi è importante seguirlo fino al prossimo acquisto. Le pagine sono ottimizzate per la conversione, per portare l’utente a fare un’azione di valore per noi, ad esempio prenotare un appuntamento presso un dealer. Sottolineo che la DMP è in azienda, e non presso l’agenzia, che pure ci dà un supporto strategico. Questa conoscenza deve rimanere in casa. Il progetto, selezionato da Oracle fra le migliori esperienze di innovazione nel marketing a livello globale, ha vinto il premio Rapid Transformation e a lei è stato assegnato il riconoscimento Modern Marketing Leader of the Year. Quali performance avete ottenuto? Ci tengo a sottolineare che io sono un “direttore d’orchestra” ma stato fondamentale il lavoro di tut-

«L’obiettivo è presentare ai clienti i nostri prodotti e le nostre offerte al mercato nel momento giusto: è fondamentale, dato che il periodo che intercorre fra un cambio di gomme e l’altro è di 2-3 anni e il mercato è molto competitivo» | 32 |

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to il team esteso. Siamo riusciti ad essere operativi in 5 mesi: il progetto è stato avviato a settembre 2017 e a gennaio i primi 2 mercati locali erano pronti. In parallelo abbiamo migrato 44 siti con migliaia di pagine in un unico content management. Subito abbiamo voluto testare il sistema. Si era appena conclusa, con buoni risultati, la campagna advertising per le gomme invernali in Italia, realizzata come sempre con la nostra media agency globale. Dato che eravamo pronti con la nuova tecnologia, abbiamo deciso di testarla subito, estendendo la campagna per 10 giorni e allocando un extrabudget. I risultati sono stati impressionanti. Abbiamo ottenuto un incremento del click through rate del 2000%, ottenendo il 5,4%. Abbiamo anche lavorato sulla struttura delle pagine del sito, con gli A/B test: la conversione dell’esperienza mobile è aumentata del 440%. È la differenza fra rivolgersi a un’audience demograficamente rilevante e stringere l’imbuto, individuando i cluster di clienti interessati ai prodotti quando sono “in mercato per l’acquisto”. Come è composto il team di progetto? Il team è cresciuto molto: in meno di un anno siamo passati da 4 a 15 risorse. Abbiamo assunto giovani molto competenti che stanno crescendo, ma non è stato facile, e stiamo ancora cercando: sono professionalità che in Italia non si trovano facilmente. Ci hanno affiancato gli esperti di Oracle, con specialisti arrivati dall’Inghilterra che hanno aiutato molto nel creare un team coeso, fra Marketing e IT. Abbiamo cambiato il paradigma, è stato soprattutto un progetto di Change management. Alcune attività sono complicate e richiedono nuovi competenze, ma in altri casi è solo necessario riallineare le aspettative.


Il punto di riferimento

per l’aggiornamento Executive sull’Innovazione Digitale Gli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano sono una fonte unica di informazioni, dati e conoscenza sui temi chiave dell’Innovazione Digitale. Attraverso una piattaforma multimediale e interattiva, WWW.OSSERVATORI.NET, è possibile accedere al know-how e agli eventi sui temi chiave dell’Innovazione Digitale per essere costantemente aggiornati in qualsiasi luogo e con qualsiasi dispositivo. Gli Osservatori elaborano strategie e modelli per molteplici ambiti B2c, B2b e PA: finance, customer experience, export, gioco online, risorse umane, sanità, beni e attività culturali, retail, turismo, media, banking, food, sport, manufacturing, supply chain finance, ...

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DIGITAL TRANSFORMATION - FINANCE di

DANIELE LAZZARIN

Autostrade per l’Italia, 5 mesi per cambiare il software di gestione dei crediti Telepass Data la complessità – tempi ristretti, tre società coinvolte, alti volumi di dati (6 milioni di clienti) e offerta in continuo ampliamento – la qualità del project management è stata decisiva, spiega Rosa Pignieri, responsabile gestione e sviluppo sistemi corporate di Autostrade. «Questo sistema sostituisce tre applicazioni mainframe ed è un primo tassello della digitalizzazione: ora tocca alla fatturazione B2B»

Nei grandi gruppi italiani spesso la trasformazione digitale parte da progetti relativamente piccoli nell’area Finance. L’amministrazione, finanza e controllo è una delle funzioni più tradizionali, e quindi più adatte a beneficiare delle applicazioni software o cloud di ultima generazione, e delle avanzate tecniche di project management che caratterizzano questi progetti, veri “laboratori d’innovazione” per l’intero gruppo. Un esempio è l’implementazione da parte di Autostrade per l’Italia (d’ora in poi per comodità Autostrade) del nuovo sistema per la gestione del credito dei servizi Telepass, basato su SAP Hybris Billing Customer Financials. Questo progetto è stato premiato da SAP con il “Gold Quality Award” in Italia e il “Bronze Quality Award” a livello EMEA nella categoria Innovation, soprattutto per i soli cinque mesi di durata del progetto, e la qualità della sua gestione. Ne abbiamo parlato – proprio a margine della consegna | 34 |

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degli award SAP europei ad Heidelberg – con Rosa Pignieri, responsabile gestione e sviluppo sistemi corporate di Autostrade, e Gaetano Daria, responsabile del progetto. «L’EVOLUZIONE DEL GRUPPO RICHIEDE UNA TRASFORMAZIONE DIGITALE» «L’evoluzione del gruppo richiede una trasformazione digitale, che è iniziata con questo progetto e sta proseguendo con altri», spiega Pignieri. «I sistemi attuali di Autostrade sono “cuciti su misura”, e non possono indirizzare alcune nuove esigenze legate a questa trasformazione: occorrono soluzioni nuove». Questo progetto in particolare, continua Pignieri, è legato alla continua evoluzione di Telepass, che negli ultimi anni aveva già ampliato l’offerta aggiungendo alla riscossione automatica del pedaggio autostradale in Italia anche quella in alcuni


DIGITAL TRANSFORMATION - FINANCE | AUTOSTRADE PER L’ITALIA, 5 MESI PER CAMBIARE IL SOFTWARE DI GESTIONE DEI CREDITI TELEPASS

paesi europei, oltre al pagamento delle soste di superficie e in parcheggi. «E che nella strategia di sviluppo prevede ulteriori ampliamenti della gamma di servizi di pagamento digitale per la mobilità: ZTL, carburanti, assicurazioni, car sharing, bollo auto, trasporto pubblico locale. Evoluzione per cui è stata creata nel 2017 una nuova società, Telepass Pay, il circuito di pagamenti digitali che supporterà tutti questi servizi». GO-LIVE UN ANNO FA, MA IL SISTEMA È IN CONTINUO AMPLIAMENTO In questo percorso a un certo punto la gestione del credito di Telepass richiedeva un intervento urgente: «La nascita di Telepass Pay era una scadenza molto vicina, e l’apertura al mercato con ampliamento dei servizi genera un forte aumento del volume di transazioni e di clienti». Telepass, continua Pignieri, già a fine 2016 aveva circa 6 milioni di clienti, con 65 milioni di fatture annue emesse in quattro cicli mensili in funzione dei diversi tipi di clienti: aziende, consumatori, piccoli professionisti, ma anche consorzi, associazioni di trasportatori, ed enti intermediari come le banche. «A fronte di questi numeri per le fatture, quelli dei crediti da gestire, pur non paragonabili, non sono trascurabili. Ci serviva un sistema per gestirli in tempi veloci e scalabile in vista dell’aumento di volumi: quello esistente, basato su applicazioni mainframe, non era più adeguato».

i crediti chiusi da poco per eventuali richieste di informazioni del cliente». Il sistema si sta via via ampliando, ora copre anche nuovi servizi Telepass in Belgio e Germania, con le varie specificità di fatturazione, e pagamenti diversi dai pedaggi: «Stanno aumentando le tipologie di clienti, contratti, servizi, e quindi la complessità». TEAM DI PROGETTO: 15 PERSONE DI 4 SOCIETÀ: «TUTTO È ANDATO LISCIO» Buona parte degli utenti finali del sistema, continua Rosa Pignieri, sono specialisti di gestione del credito di EsseDiEsse, società di servizi contabili e amministrativi del gruppo Autostrade. In più ci sono i team di Telepass che gestiscono la fatturazione, gli incassi sui vari canali, il recupero crediti, e l’amministrazione e finanza. «Proprio questa è stata l’altra criticità del progetto, oltre ai tempi molto stretti, e cioè far convergere le esigenze di tre entità: Telepass, EsseDiEsse, e Autostrade per l’Italia, che è fornitore e cliente, visto che abbiamo fornito il sistema e il progetto, ma Telepass per noi emette le fatture pedaggi. Oltretutto proprio poco prima del progetto, Telepass è uscita dal gruppo Autostrade passando al gruppo Atlantia (capogruppo di Autostrade, ndr)». Nonostante le complessità di partenza, il progetto è considerato “un fiore all’occhiello” nel gruppo. «Il team comprendeva persone di Auto-

NEL ROLLOUT DI TELEPASS RECUPERATI 13 MILIONI DI MASTER DATA

GAETANO DARIA, PROJECT MANAGER, E ROSA PIGNIERI, RESPONSABILE GESTIONE E SVILUPPO DEI SISTEMI CORPORATE, CON IL SAP QUALITY AWARD EMEA

La software selection ha portato alla scelta appunto di SAP Hybris («abbiamo ritenuto la piattaforma Hana fondamentale per la velocità di gestione delle transazioni») con Reply Syskoplan come partner. «Dopodiché in cinque mesi abbiamo fatto tutto. Ovviamente poi ci sono stati affinamenti successivi, ma i processi sono partiti quando dovevano: a oggi i crediti di Telepass e Telepass Pay sono gestiti sul nuovo sistema». Il progetto, aggiunge Gaetano Daria, è andato live l’11 luglio 2017 per i servizi di Telepass Pay, «poi nei tre mesi successivi abbiamo fatto un rollout della società Telepass, prima con il recupero dello storico dei contratti, 13 milioni di Master Data, poi migrando i crediti aperti, e in alcuni casi anche www.digital4executive.it

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DIGITAL TRANSFORMATION - FINANCE | AUTOSTRADE PER L’ITALIA, 5 MESI PER CAMBIARE IL SOFTWARE DI GESTIONE DEI CREDITI TELEPASS

«I sistemi attuali di Autostrade sono “cuciti su misura”, e non possono indirizzare alcune esigenze legate alla trasformazione digitale: occorrono soluzioni nuove»

strade, Telepass, EsseDiEsse, e Reply Syskoplan, in tutto circa 15 persone, incluso il team leader, il Chief Financial Officer di Telepass Luca Daniele, molto presente sia nella definizione dei processi che nella parte decisionale. Tutto è andato liscio, abbiamo affrontato sempre i problemi man mano che si manifestavano, senza rimandare. Abbiamo fatto una riunione sull’avanzamento ogni mese, e check intermedi ogni settimana con partecipanti diversi in funzione del tema, anche coinvolgendo i key user. In questo modo per ogni rilascio parziale verificavamo la bontà della soluzione». Un fattore importante di semplificazione, aggiunge Daria, è l’adeguamento dei processi allo standard del software Hybris. «In passato “cucivamo su misura”, sia gli sviluppi interni che i software acquisiti sul mercato. Ma questo crea problemi quando si tratta di gestire aggiornamenti e modifiche. Stavolta abbiamo cercato di mantenerci il più possibile sullo standard. In più abbiamo usato alcuni elementi del framework Scrum di sviluppo Agile del software, come i check continui per anticipare la soluzione dei problemi. Il risultato è che in fase di collaudo abbiamo avuto solo cinque “issue”, un numero bassissimo per un sistema simile». I BENEFICI: VELOCITÀ, AUTOMAZIONE, INTERFACCE. «E ORA FATTURAZIONE B2B» Quanto ai benefici del nuovo sistema, «il più evidente è la velocità dell’elaborazione dei dati: gli utenti ci riferiscono che per report paragonabili che prima richiedevano ore, adesso bastano 3-5 minuti», spiega Pignieri. E poi governance e automazione dei processi di gestione crediti e credit-check.

«Nelle simulazioni le soluzioni di fatturazione B2B che stiamo valutando sono andate in crisi a causa dei nostri volumi di dati, anche quelle cloud: saranno necessarie modifiche architetturali» | 36 |

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«Con questo sistema abbiamo sostituito almeno tre applicazioni in ambiente mainframe: prima la governance era manuale, ora è totalmente automatizzata, con controllo a posteriori». Il terzo tipo di benefici riguarda le interfacce: il sistema ne ha circa 30 con altri sistemi, in input e in output. «L’output è prevalentemente verso l’ERP di Autostrade e la gestione clienti nel sistema CRM, per le azioni a valle della gestione crediti, come solleciti, aggiornamenti della scheda cliente, ecc. Abbiamo definito un cruscotto per monitorare tutte le interfacce. Nel caso di errore o scarto di un cliente, automaticamente si apre un ticket e chi ha la competenza sul quel dominio viene subito coinvolto». Infine gli sviluppi futuri. «La gestione del credito è il primo tassello, ora dovremo affrontare la fatturazione elettronica B2B, che a gennaio diventa obbligatoria per legge e che al momento in Autostrade viene gestita su sistemi molto vecchi. E considerato che Telepass lavora in diversi paesi – Belgio, Portogallo, Spagna, Francia, Germania – l’esigenza è anche qui di essere sempre più veloci, multivaluta, multisocietà. Tutto questo per sistemi fuori dall’ERP, il sistema contabile vero e proprio», sottolinea Pignieri. Un elemento di criticità ulteriore nel progetto di fatturazione B2B sono i volumi di dati da gestire: «I numeri li ho citati prima, stiamo valutando delle soluzioni di mercato, che sulle simulazioni dei nostri volumi sono andate tutte in crisi: per venirci incontro necessitano di modifiche architetturali. E questo vale anche nel caso di soluzioni cloud, nonostante la scalabilità sia considerata comunemente un loro punto forte».


Il punto di riferimento

per l’aggiornamento Executive sull’Innovazione Digitale Gli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano sono una fonte unica di informazioni, dati e conoscenza sui temi chiave dell’Innovazione Digitale.

I Percorsi di Aggiornamento Executive

Workshop e Webinar tenuti da analisti ed esperti degli Osservatori Digital Innovation

permettono di stare al passo con i trend di innovazione e con le nuove teconologie digitali per essere sempre competitivi Mobile B2C Strategy (2018) Sono sempre più numerosi i consumatori multicanale che interagiscono con le aziende attraverso molteplici canali online e offline. Si moltiplicano, quindi, i dati sul consumatore la cui gestione, nel pieno rispetto delle normative vigenti, diventa un fattore critico di successo. Inoltre i clienti chiedono esperienze maggiormente personalizzate. Come ci si deve muovere pertanto fra dati raccolti, campagne marketing più efficaci e nuovi regolamenti? Questo percorso fornisce un quadro completo.

Omnichannel Customer Experience (2018) Fidelizzare i clienti vuol dire saper gestire le relazioni. Come ci si deve muovere fra dati raccolti, campagne marketing e nuovi regolameni? La pervasività del mobile ha già trasformato l'Internet al quale ci eravamo abituati. Il device più utilizzato in assoluto, oggi, è lo smartphone, che ha fatto del mobile il fulcro di ogni modello di business. In questo percorso vengono forniti tutti gli strumenti necessari per comprendere le dinamiche del mobile e sfruttarne al meglio le opportunità offerte.

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Per maggiori informazioni: email matteo.castiglioni@osservatori.net | telefono +39 02 2399 9590 | cellulare +39 392 3821952


DIGITAL TRANSFORMATION - PROCUREMENT di

DOMENICO ALIPERTO

Source To Pay, Jaggaer punta tutto sull'integrazione Alla conferenza REVInternational è stata ufficializzata la nuova offerta sviluppata dopo l'acquisizione di Pool4Tool e BravoSolution. Ezio Melzi, Managing Director di Jaggaer Italia: «Ora siamo in grado di proporre una piattaforma completa source-to-pay. Il futuro? All'insegna dell'automazione dei processi d'acquisto basati su Machine Learning»

Parola d'ordine per Jaggaer: integrazione. Tra dati, soluzioni, sistemi e organizzazioni. Solo attraverso l'integrazione, infatti, si può portare davvero la cultura dell'innovazione nel mondo dei buyer ed estrarre valore oltre che efficienza dall'ottimizzazione della supply chain. È stato questo il refrain di REVInternational, la due giorni (25 e 26 giugno) di scena a Monaco di Baviera che ha annunciato, davanti a una platea di clienti, prospect e partner, la completa integrazione – per l'appunto – tra l'offerta di Jaggaer e quella di BravoSolution: a pochi mesi dalla fusione con il gruppo austriaco Pool4Tool, meno di un anno fa lo specialista americano dell'eProcurement ha infatti acquisito la società italiana, dando vita a una multinazionale capace di spingersi sempre più in profondità nel mercato EMEA e di coprire l'intero ciclo di digitalizzazione dei processi di Source To Pay in upstream e in downstream, dalla nascita del bisogno di acquisto di beni e servizi al pagamento, passando per l'emissione delle fatture elettroniche, con un occhio di riguardo alle implicazioni che – proprio grazie alla convergenza di tutte le operazioni – l'analisi dei | 38 |

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dati generati dalle transazioni può avere sulle decisioni strategiche. «Siamo riusciti a portare a termine l'operazione di integrazione dei sistemi in soli tre mesi, un record. Il merito è anche del fatto che a incontrarsi erano tre aziende complementari», ha spiegato Ezio Melzi, Managing Director di Jaggaer Italia. Il team di professionisti italiani continuerà a supportare i clienti e a essere punto di riferimento per le esigenze del mercato locale, espandendo però ruolo e prospettiva: «Siamo passati dall'essere i primi provider al mondo di soluzioni upstream, e quindi Source to Contract, all'essere insieme a Jaggaer i primi player globali indipendenti a proporre un'offerta completa, ovvero Source to Pay. Unendo le forze, le due aziende hanno portato in dote al merger 1.800 clienti, di cui 700 provenienti da BravoSolution. Le opportunità di mutuare contratti dai due portfolio sono significative, ma gli aspetti più interessanti, a mio avviso, riguardano la possibilità di rafforzamento della presenza nei processi di digitalizzazione delle pubbliche amministrazio-


D I GI TA L TR A NS F OR M ATI ON - P R O CU RE M E N T | SOURCE TO PAY JAGGAER PUNTA TUTTO SULL'INTEGRAZIONE

ni europee e soprattutto il raddoppio della capacità di investimento in ricerca e sviluppo». Lo sguardo è in effetti rivolto al futuro e all'implementazione delle piattaforme Advantage, Direct e Indirect, come ha precisato anche Robert Bonavito, CEO di Jaggaer, aprendo l'evento (foto): «Nel corso dell'anno lanceremo una serie di nuovi prodotti per declinare le nostre soluzioni verticali su specifiche industry e organizzazioni». Il CTO Zia Zahiri, illustrando le priorità per il prossimo biennio, ha parlato di una roadmap dinamica, che punterà sempre di più sull'integrazione delle applicazioni di procurement con le suite ERP, che spesso vengono utilizzate dalle imprese per richiedere forniture o effettuare transazioni. ANSALDO ENERGIA: UN SISTEMA PER VALUTARE LE PRESTAZIONI DEI VENDOR È ciò che per esempio sta provando a fare Ansaldo Energia, nella cornice di un piano di digital transformation che sta accompagnando la crescita del gruppo sul piano internazionale, al di fuori dell'Unione europea, dove si sta condensando la maggior parte delle revenue. Antonio Fioretti, CPO di Ansaldo Energia, ha spiegato che collegando la soluzione di Jaggaer al gestionale di SAP la sua organizzazione riuscirà già dal corrente anno a dare vita a un sistema in grado di valutare le prestazioni dei vendor, qualificandone – una volta che questi si sono registrati sulla piattaforma – l'affidabilità, e a indirizzare le scelte dei buyer in base alle informazioni raccolte dall'ERP e trasmesse al dashboard del procurement. ILLYCAFFÈ: GOVERNANCE E COMPLIANCE LUNGO TUTTA LA SUPPLY CHAIN Anche illycaffè è alle prese con una vera e propria rivoluzione in ambito Acquisti. Diego Pedroli, Procurement and Logistics Director della illycaffè, ha illustrato le tappe di un percorso iniziato nel 2013 e culminato in un piano strategico degli Acquisti che ha il preciso obiettivo di trasformare il team di Pedroli “da generatore di risparmio a generatore di valore”. Anche in questo caso, il progetto passa dall'integrazione con l'ERP: «Abbiamo cercato un metodo per garantire governance e compliance lungo tutta la supply chain, con la creazione di standard che ci aiutassero a controllare l'intera filiera. Un processo di razionalizzazione che non

sarebbe potuto avvenire senza la sponsorship del CEO, e che prevede il coinvolgimento di tutte le Funzioni che ruotano attorno a Procurement e Logistica. Per quanto mi riguarda, è un viaggio che è appena cominciato. A tendere immaginiamo di implementare funzionalità IoT, Digital Assistant, RPA, AI e Machine Learning che aiuteranno gli Acquisti e la Logistica ad aumentare la velocità di attraversamento dei processi operativi e la raccolta delle informazioni necessarie alle decisioni, liberando risorse per attività a più valore aggiunto». Si tratta, in effetti, solo dei primi pionieristici passi verso la creazione di meccanismi di notifiche automatiche basato sull'analisi dei dati provenienti da molteplici sorgenti e su algoritmi di Machine Learning. Ne ha parlato approfonditamente Thomas Dieringer, Managing Director di Jaggaer Austria ed ex numero 1 di Pool4Tool, descrivendo le quattro fasi che portano a una compiuta digitalizzazione del Procurement. «L'automazione rappresenta il primo step, necessario alla sostituzione delle attività manuali specialmente rispetto ai flussi downstream. Il secondo passaggio riguarda la creazione di un sistema che renda i dati trasparenti e accessibili a tutte le risorse coinvolte, possibilmente in un luogo centralizzato, accessibile da un unico pannello di controllo e facilmente espandibile con informazioni che arrivano da altre fonti. A questo punto servono algoritmi capaci di esplorare i dati necessari a costruire regole e nuovi KPI su cui basare gli assistenti digitali che possono aiutare l'organizzazione a prendere decisioni informate migliorandone la user experience. Il ciclo si chiude nel momento in cui la piattaforma di Machine Learning, assorbendo i dati e continuando a integrarli con gli elementi di contesto, sviluppa la capacità di prevedere cosa potrebbe accadere all'interno di scenari ipotetici, indirizzando l'intero processo a monte». Per Ezio Melzi questo vorrà dire poter lavorare su due fronti, quello del buyer e quello del CPO. «Se il primo ha a che fare con decisioni di natura operativa, e necessita di suggerimenti sulle migliori opzioni da scegliere, il secondo lavora invece sul piano strategico e ha bisogno di insight fondati su analisi qualitative approfondite. I due obiettivi sono a portata di mano, anche se il secondo, volendo sfruttare al massimo le potenzialità dell’Intelligenza Artificiale, richiede accurate valutazioni su qualità e attendibilità delle sorgenti dati, spesso esterne all’azienda». www.digital4executive.it

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OSSERVATORIO di

PAOLA CAPOFERRO

FIORELLA CRESPI DIRETTORE OSSERVATORIO HR INNOVATION PRACTICE POLITECNICO DI MILANO

Polimi: Direzione HR decisiva per anticipare il futuro Il 35% degli Executive HR ha già una strategia che indirizza competenze, modelli organizzativi e stili di leadership per affrontare la trasformazione digitale. «Occorre scardinare il senso di inadeguatezza e vivere il cambiamento con un giusto senso di priorità, evitando azioni frettolose», spiega Fiorella Crespi, Direttore Osservatorio HR Innovation Practice. I risultati della ricerca 2018

Le Direzioni HR acquistano consapevolezza sul loro ruolo di supporto, e talvolta proprio di guida, delle organizzazioni lungo il percorso di digitalizzazione. Nel 2018 la vera sfida per un Direttore HR su due è riuscire a definire una valida People Strategy, che si fondi su competenze, professionalità e skill digitali in grado di supportare adeguatamente ciascuna line of business. «Il ruolo della Direzione HR si gioca sullo sviluppo di cultura e competenze digitali: si potrebbe affermare che questo è definitorio», ha sottolineato Mariano Corso, il Responsabile Scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice in occasione del convegno di presentazione dei risultati della ricerca 2018 “People 4.0: anticipare il futuro per non rincorrerlo”, che ha coinvolto, attraverso survey e casi di studio, oltre 170 HR Executive di medio-grandi aziende operanti in Italia. | 42 |

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«Bisogna andare verso un’organizzazione a prova di futuro – ha ribadito Corso -. Il convergere di tecnologie, modelli di consumo alternativi (come la sharing economy) e le modalità di comunicazione social ha messo in discussione i concetti tradizionali di lavoro, professionalità e competenza: stiamo vivendo una vera e propria accelerazione». Secondo Fiorella Crespi, Direttore dell’Osservatorio HR Innovation Practice, «in questo scenario è fondamentale da un lato che le Direzioni HR si sentano pronte a gestire la sfida, andando a scardinare il senso di inadeguatezza, e dall’altro che vivano la trasformazione con un giusto senso di priorità evitando di intraprendere azioni frettolose e senza avere un reale quadro strategico. Si deve declinare la visione del business per far evolvere competenze e professionalità». La ricerca dell’Osservatorio mostra che poco più di un terzo delle medio-grandi aziende (35%)


OS S E R VAT O RIO | P O L IMI: DIRE Z IO N E H R DE C ISIVA P E R A N T IC IPA RE IL F UT U R O

Per un Direttore HR su due la vera sfida oggi è riuscire a definire una valida People Strategy, che si fondi su competenze, professionalità e skill digitali in grado di supportare adeguatamente ciascuna line of business

ha una People Strategy e una su due lo ritiene un tema di interesse da affrontare nel 2018. Minore è la percentuale di organizzazioni che ha adottato iniziative di Digital & Innovation Community Engagement (22%) volte a favorire la diffusione di cultura e conoscenza sulla Digital Transformation o di Digital Capabilities Assessment & Strategy (16%) per valutare il gap tra le nuove competenze e professionalità digitali necessarie e quelle già presenti. Tuttavia emerge che in generale stanno aumentando gli sforzi e gli investimenti della Direzione HR per guidare la trasformazione digitale delle imprese: nel 2018 sei su dieci prevedono una crescita degli investimenti in ambito digital, in particolare il 17% prevede un incremento di oltre il 20% e il 21% stanzierà fino al 20% in più. «Il confronto tra la percentuale di Direzioni HR che hanno definito una People Strategy con quelle che hanno verificato le competenze digitali presenti in azienda potrebbe essere un segnale d’allarme, in quanto dimostra che non tutte le organizzazioni si stanno muovendo in modo strutturato», ha sottolineato Crespi. «Rispetto alle professionalità digitali l’analisi dell’Osservatorio ha rilevato che l’85% delle aziende ha delle iniziative per l’introduzione e/o lo sviluppo di nuove professionalità digitali. Questo elemento mette in evidenza come le Direzioni HR abbiano recepito l’importanza del tema, ma che tuttavia ancora nella maggior parte dei casi non siano state fatte, prima di partire con il progetto, delle analisi accurate delle esigenze dell’organizzazione in termini di abilità e competenze». LE INIZIATIVE HR DIGITAL Le tecnologie digitali sono un valido supporto anche per le Direzioni HR, perchè permettono di trasformare processi e servizi, migliorandone efficienza e accessibilità. L’Osservatorio HR Innovation Practice ha analizzato i trend più innovativi che portano a rivedere i flussi interni per costruire un nuovo “employee journey”.

Innanzitutto c’è il mondo dei Social, una delle tecnologie più utilizzate oggi soprattutto nei processi di acquisizione dei talenti. La ricerca ha mostrato che quasi metà delle aziende intervistate usa ormai anche piattaforme non professionali per iniziative di employer branding e recruiting. In area Mobile, le Direzioni HR mostrano una certa maturità anche nell’uso di queste tecnologie, impiegate prevalentemente nelle attività formative: il 52% del campione ha già introdotto o introdurrà nel 2018 App e strumenti di microlearning, che consentono di gestire la formazione in modo capillare e in tempi rapidi, oltre a supportare l’utente in un processo di apprendimento continuo che si adatti ai diversi contesti di fruizione. Più limitata la diffusione di sistemi di Analytics evoluti, che permettono di effettuare analisi predittive e prescrittive, presente soltanto in un terzo del campione intervistato. I maggiori ambiti di applicazione sono quelli in cui i dati sono più strutturati e hanno un minor livello di complessità come il livello di assenteismo, le performance e il turnover. Sono ancora poco diffuse iniziative che favoriscano un migliore coinvolgimento delle persone e aiutino a mappare le competenze su cui costruire i piani di carriera. Ancora minoritario, infine, l’uso di tecnologie di Artificial Intelligence a supporto della gestione delle risorse umane, presente o in corso di introduzione in appena un’impresa su dieci. Gli ambiti sui quali ci si sta concentrando maggiormente riguardano lo screening dei candidati, su cui entro il 2018 il 10% delle organizzazioni attiverà iniziative, e il supporto ad attività amministrative (8%). Questi progetti sono una risposta, da un lato, alla necessità da parte delle organizzazioni di gestire e processare numerose candidature e, dall’altro, alla necessità di avere strumenti che rispondendo automaticamente agli utenti ne migliorino la soddisfazione, mentre riducono il tempo dedicato dai referenti HR a svolgere attività ripetitive. www.digital4executive.it

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OSSERVATORIO di

DANIELE LAZZARIN

GIOVANNI MIRAGLIOTTA DIRETTORE OSSERVATORIO INDUSTRIA 4.0 POLITECNICO DI MILANO

Industria 4.0 in Italia vale 2,4 miliardi Il mercato è cresciuto del 30% in un anno, spiega l’Osservatorio Industria 4.0 del Politecnico di Milano. Solo il 2,5% delle imprese non sa cosa significhi il termine, mentre il 55% ha già adottato soluzioni. Decisivo il Piano Calenda. Le tecnologie con più investimenti sono Industrial IoT (1,4 miliardi) e Industrial Analytics (410 milioni). Sulle competenze il 30% delle imprese si sente pronto, ma la funzione HR è poco coinvolta

Dal settembre 2016, quando è stato presentato il Piano Nazionale Industria 4.0 promosso dall’allora Ministro dell’Innovazione Carlo Calenda, in Italia si è parlato moltissimo di questo tema. Ma si è anche fatto moltissimo: il mercato Industria 4.0 in Italia nel 2017 ha infatti raggiunto un valore di 2,3-2,4 miliardi di euro, con una crescita del 30% rispetto all’anno precedente. È quanto emerge dai dati del nuovo rapporto 2018 dell’Osservatorio Industria 4.0 del Politecnico di Milano. L’Osservatorio ha calcolato il valore dei progetti di Industria 4.0 in Italia nel 2017 in termini di soluzioni basate sulle sei tecnologie di Smart Manufacturing che secondo i ricercatori del Politecnico di Milano definiscono Industria 4.0, di componenti tecnologiche abilitanti su asset produttivi tradizionali, e di servizi collegati. Ai 2,3-2,4 miliardi di euro già citati l’Osservatorio associa poi un indotto di circa 400 milioni di euro in progetti di innovazione digitale indu| 44 |

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striale “tradizionali”, cioè al di fuori delle sei tecnologie appena viste. UNA IMPRESA SU QUATTRO HA INVESTITO PIÙ DI TRE MILIONI DI EURO Ma la crescita e le dimensioni del mercato non sono i soli lati positivi. «Anche la sfida della consapevolezza è vinta», ha detto Giovanni Miragliotta, Direttore dell’Osservatorio Industria 4.0, spiegando che in un campione di 236 imprese industriali di tutti i settori (27% piccole e medie imprese e 73% grandi aziende), solo il 2,5% non sa cosa significhi Industria 4.0 (due anni fa era quasi il 40%), mentre il 15% è in fase esplorativa, e il 55% ha già implementato soluzioni 4.0. Dai dati dell’Osservatorio è evidente il decisivo ruolo del Piano Nazionale per promuovere questa conoscenza, e i conseguenti progetti Industria 4.0 delle aziende in Italia: il 92% ne


conosce gli incentivi (era l’84% un anno fa), la metà ha già usufruito di forme di iper e superammortamento per investimenti in questo campo, e una azienda su 4 lo farà a breve. L’entità degli investimenti mostra un mondo industriale italiano a due velocità: le due categorie più numerose sono le imprese che hanno investito in Industria 4.0 più di 3 milioni di euro (25%) e quelle che hanno investito meno di 200mila euro (20%). «Negli ultimi due anni il mercato della digitalizzazione industriale in Italia è praticamente raddoppiato, spinto da una politica industriale moderna e rafforzato dagli incentivi, mentre la consapevolezza di Industria 4.0 e la conoscenza delle nuove tecnologie sono ormai diffuse in quasi tutte le realtà produttive del Paese», ha detto Alessandro Perego, Direttore scientifico degli Osservatori Digital Innovation. Ma il digitale costituisce le fondamenta di Industria 4.0, non è il suo punto di arrivo, ha aggiunto Marco Taisch, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Industria 4.0. «Occorre ripensare processi e modelli organizzativi nel difficile equilibrio tra gestione operativa, miglioramento

continuo e innovazione radicale. Il Piano Nazionale è un eccellente acceleratore della trasformazione 4.0, ma gli incentivi non possono proseguire all’infinito: la prossima grande sfida è trovare i giusti percorsi per coinvolgere le PMI, il cuore della manifattura italiana». QUASI QUATTRO APPLICAZIONI INDUSTRIA 4.0 PER OGNI IMPRESA Scomponendo il valore di mercato di 2,3-2,4 miliardi nei sei componenti di tecnologia digitale di Industria 4.0, l’Osservatorio Industria 4.0 evidenzia che la maggiore componente è l’Industrial Internet of Things (IoT), in cui sono stati investiti circa 1,4 miliardi di euro (+30% sul 2016). A seguire Industrial Analytics con 410 milioni (+25%) e Cloud Manufacturing con 200 milioni (+35%), poi l’Advanced Automation (145 milioni di euro, +20%), e l’Advanced HMI (Human Machine Interface), che è il minor componente per valore (30 milioni), ma quello in più forte crescita (+50%). Le applicazioni Industria 4.0 implementate Fonte: Politecnico di Milano

ANO ONALE

O SSE RVAT O RIO | POLIMI, INDUSTRIA 4.0 IN ITALIA VALE 2,4 MILIARDI

LE APPLICAZIONI SMART LIFECYCLE

SMART SUPPLY CHAIN

SMART FACTORY

Cloud Manufacturing

16%

18%

21%

Industrial Analytics

23%

27%

34%

Industrial IoT

24%

16%

31%

%

Advanced HMI

20%

5-10%

39%

IL PIANO

Advanced Automation

0-5%

0-5%

33%

Additive Manufacturing

22%

0-5%

14%

%

USUFRUITO

* Additive Manufacturing non incluso nella stima 2016

IL MERCATO DI PROGETTI 4.0 IN ITALIA NEL 2017

nel 2017

2,3÷2,4

*

+30%

+25%

+35%

+20%

INDUSTRIAL ANALYTICS 20% ~410 milioni €

CLOUD MANUFACTURING 9% ~200 milioni €

ADVANCED AUTOMATION 8% ~145 milioni €

+50%

MILIARDI €

+30% Tasso di crescita a pari perimetro rispetto ai risultati 2016

INDUSTRIAL IoT 60% ~1,3 miliardi €

ADVANCED HMI 1% ~30 milioni €

SERVIZI DI CONSULENZA ~200 milioni €

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OSSERVATORI O | POLIMI, INDUSTRIA 4.0 IN ITALIA VALE 2,4 MILIARDI

«Industria 4.0 non si limita più all’applicazione isolata di nuove tecnologie nei processi, ma si inserisce ormai in un percorso di digitalizzazione che fa parte del piano strategico aziendale»

dalle 236 imprese analizzate sono quasi 900, per una media di 3,7 per ciascuna (l’anno scorso erano 3,4), distribuite nelle tre aree dei processi aziendali: Smart Lifecycle (sviluppo prodotto, gestione del ciclo di vita, gestione dei fornitori), Smart Supply Chain (pianificazione dei flussi fisici e finanziari) e Smart Factory (produzione, logistica, manutenzione, qualità, sicurezza e compliance). Le tecnologie abilitanti che stanno guidando i progetti Industria 4.0 delle imprese italiane, diffuse in tutte le tre aree di processo, sono Industrial IoT e Industrial Analytics, che insieme rappresentano circa il 40% delle applicazioni dichiarate. «SE IL QUADRO REGOLATORIO RIMANE QUESTO, BENEFICI FINO A TUTTO IL 2019» «Più in dettaglio emerge la conferma della fortissima centralità della factory, e le forti crescite di Advanced HMI e Additive Manufacturing nei processi di Lifecycle, e del Cloud Manufacturing nei processi supply chain», spiega Miragliotta. «In questo quarto anno di lavoro dell’Osservatorio si è evidenziato un chiaro momento di passaggio: il superamento dell’entusiasmo iniziale e la trasformazione in fenomeno di lungo termine, la transizione da progetti pilota a vere attività sul campo. Industria 4.0 non si limita più all’applicazione isolata di nuove tecnologie nei processi, ma è sempre più inserita in un percorso di digitalizzazione che fa parte del piano strategico aziendale». In estrema sintesi, ha detto Miragliotta, il report 2018 evidenzia che la crescita di Industria 4.0 è in linea con le attese più rosee, «per quest’anno è atteso un ulteriore incremento del 25-30% del mercato, e se il quadro regolatorio rimane questo i benefici si protrarranno per tutto il 2019». E dopo? «Moltissimo dipenderà dalla persistenza temporale degli incentivi, dalla spinta innovativa delle tecnologie, e dalla capacità di estensione della spinta innovativa anche alle piccole e medie imprese». | 46 |

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LE CINQUE COMPETENZE PIÙ NECESSARIE PER LA TRASFORMAZIONE 4.0 La carenza di competenze sulle tecnologie digitali è spesso citata come il principale ostacolo per i progetti Industria 4.0 in Italia: logico quindi che l’Osservatorio abbia approfondito questo tema nella sua indagine. Indagine da cui emerge che il 50% delle imprese ha già concluso o avviato una valutazione delle competenze 4.0, e una su quattro (26%) lo farà in futuro. La valutazione interessa tutte le funzioni aziendali (la produzione in particolare) e tutte le figure in azienda, dagli operai ai manager fino all’imprenditore. Da queste analisi emergono cinque competenze principali percepite come le più necessarie per la trasformazione 4.0: applicazione del lean manufacturing per industria 4.0, gestione della supply chain digitale, cyber-security, manutenzione smart, e relazione persona/macchina. In media, circa il 30% delle aziende dichiara di sentirsi preparata sul piano delle competenze per affrontare Industria 4.0. Tra le rimanenti, il 24% intende colmare il divario con la formazione del personale e l’11% acquisendo le competenze mancanti all’esterno. Ma solo una minoranza ha già piani strutturati per procedere. Per formare il personale, il 60% usufruirà del credito di imposta per la formazione 4.0 introdotto dalla Legge di Stabilità 2018, o ci sta pensando, mentre il 19% ancora non conosce questo incentivo. Un dato sorprendente, infine, risulta essere il basso coinvolgimento della funzione HR (Human Resources) nello sviluppo e implementazione delle strategie Industria 4.0 delle aziende, e in particolare nelle fasi di tali strategie connesse con la ricerca/formazione di competenze. Solo il 12% del campione infatti – si legge nel rapporto dell’Osservatorio Industria 4.0 – coinvolge attivamente la funzione HR in tutte le fasi del percorso di digitalizzazione, mentre nel 30% delle aziende l’HR partecipa in modo limitato, e nel 40% addirittura la funzione Human Resources non è coinvolta, o non esiste.


SPECIALE

Intent-Based Networking: ripensare il modo di lavorare e i sistemi di rete

System Integrator, fornitore di servizi gestiti e centro di formazione ICT per le principali imprese italiane. Tutto questo è NovaNext, l’azienda che fino al 3 maggio scorso era nota con il nome PRES e che con il recente rebranding ha capitalizzato il passato proiettandosi verso il futuro, mantenendo stessi valori e mission. Se da un lato reti, architetture Cisco (l’azienda è Cisco Gold Partner e Learning Specialized Partner da oltre 18 anni) e system integration continuano a rappresentare il DNA dell’azienda, dall’altro il nuovo nome vuole evocare i nuovi paradigmi del digitale, come la cybersecurity, l’Internet Of Things e i managed services. Tra gli elementi di continuità c’è l’attenzione alla rete, perché, come sottolinea Cosimo Rizzo, Head of Sales Solutions di NovaNext, «affinché la transizione nel mondo digitale avvenga con successo, qualsiasi organizzazione deve investire nella rete che, in quanto piattaforma, è una delle componenti fondamentali dove il successo digitale si realizza o meno». E con lo sguardo proiettato in avanti si deve fare i conti con «una trasformazione digitale necessaria alle aziende per rimanere adeguate e al passo con i tempi. Le applicazioni software evolvono dall’essere un supporto ai processi aziendali al divenire, sempre di più, una fonte primaria di reddito e di differenziazione», continua Rizzo. La rete intuitiva e l’approccio Intent-Based Networking (IBN) permetteranno, in un futuro prossimo, di avere controllo centralizzato e servizi automatizzati end-to-end per utenti, dispositivi e applicazioni. «L’Intent-Based Networking considera la rete come un singolo sistema che traduce e convalida l’intento di business e ne verifica l’applicazione restituendo in-

NOVANEXT È IL NUOVO NOME DI PRES, CHE CON IL REBRANDING CAPITALIZZA IL PASSATO E SI PROIETTA VERSO IL FUTURO MANTENENDO L’ATTENZIONE ALLA RETE, CHE RESA INTUITIVA E BASATA SUGLI INTENTI PERMETTERÀ DI AVERE UN CONTROLLO CENTRALIZZATO E SERVIZI AUTOMATIZZATI END-TO-END

COSIMO RIZZO Head of Sales Solutions NovaNext

formazioni utili da utilizzare con cognizione di causa», sottolinea Rizzo. Inoltre, l’Intent-Based Networking contribuirà a ridurre drasticamente i problemi di sicurezza delle reti che sono al primo posto tra le preoccupazioni dei CIO, secondo un recente studio IDC -, perché con l’approccio IBN le funzioni di rete sono automatizzate e guidate da strumenti software che sfruttano tecnologie di Machine Learning e Big Data Analytics, che rendono l’infrastruttura più flessibile, automatizzata e intelligente. «Le reti di oggi, di fronte a minacce interne ed esterne di ogni tipo, devono essere ripensate poiché costituiscono la prima linea di difesa a protezione delle risorse aziendali e della proprietà intellettuale – conclude Rizzo -. Per questo dovranno svolgere un ruolo sempre più importante nella segmentazione e nel rilevamento delle minacce». Secondo quanto riporta il report IDC, elaborato in esclusiva per NovaNext, in Italia per CIO e network manager la partita si giocherà sulla capacità di aumentare l’agilità operativa, ridurre i tempi di disservizio e applicare in modo sistematico le giuste politiche di sicurezza: per questo sarà necessario ripensare il modo di lavorare e i sistemi e le soluzioni di networking verso un approccio Intent-Based Networking.

PE R U LT ER I O R I I N F O R MA ZIONI...

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SPECIALE “FATTURAZIONE ELETTRONICA B2B”

fattura elettronica tra privati: come farsi trovare pronti I tipi di fatture coinvolte, il formato del documento digitale, le categorie esentate, quelle per cui l’adempimento è scattato dall’1 luglio (ne è rimasta solo una), le sanzioni, e i motivi per cui l’impatto più forte sarà in realtà sul ciclo passivo. Le informazioni di base per capire l’obbligo normativo che scatta dall’1 gennaio 2019

Giuseppe Di Sessa Senior Consultant P4I-Partners4Innovation

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Dall’1 gennaio 2019 in Italia entrerà in vigore l’obbligo di Fatturazione Elettronica tra privati, persone fisiche e giuridiche, per le operazioni effettuate nei confronti di altri titolari di partita IVA, a condizione che le cessioni di beni e le prestazioni di servizi avvengano tra soggetti residenti o stabiliti nel territorio dello Stato (Legge di Bilancio 2018). Il provvedimento, detto anche “obbligo di Fatturazione Elettronica B2B”, dove B2B sta per business-to-business, riguarda tutte le Fatture emesse: verso altre imprese, verso i consumatori e le bollette. In generale, con “Fatturazione Elettronica” si definisce il processo digitale che genera e gestisce le Fatture nel corso dell’intero ciclo di vita che le caratterizza: dalla generazione, all’emissione/ricezione, fino alla conservazione, a norma, per 10 anni. In questo caso www.digital4executive.it

specifico, per adempiere all’obbligo di Fatturazione Elettronica tra privati stabilito appunto dalla Legge di Bilancio 2018, occorre attivare un processo analogo a quello per le Fatture emesse verso la PA: il documento elettronico deve essere in formato strutturato XML Tracciato PA (tecnicamente XML_PA), diretto al SdI (Sistema di Interscambio, gestito dall’Agenzia delle Entrate), e conservato a norma. Mentre non è previsto, per il B2B, l’obbligo di firma digitale. Nel caso in cui due imprese comunichino tra loro attraverso un unico e identico provider, sono in previsione modelli di scambio che si rifanno al cosiddetto “flusso semplificato” già previsto per la Fatturazione Elettronica verso la PA: la Fattura transita dal fornitore al cliente attraverso il provider, che si occupa anche di trasmetterla al Sistema di Interscambio. In anticipo rispetto alla data del 1 gennaio 2019 avrebbero dovuto muoversi i fornitori di benzina o gasolio per motori, così come chi presta subappal-


SPECIALE “FATTURAZIONE ELETTRONICA B2B”

dell’esercizio. L’eventuale emissione della fattura in formato cartaceo è da ritenersi inesistente e il documento come “non emesso”. Una considerazione importante è che, nonostante l’obbligo sia orientato all’emissione delle Fatture, in verità gli impatti più forti saranno sul ciclo passivo. Da gennaio, infatti, le imprese oltre che di strumenti per l’emissione dovranno dotarsi anche di canali di ricezione delle Fatture Elettroniche – canali che dovranno essere comunicati ai fornitori e presidiati – così come dei sistemi necessari per processare queste Fatture, sfruttando l’opportunità di riceverle in un formato standard, unico e strutturato. LA FATTURAZIONE COME LEVA PER DIGITALIZZARE IL CICLO SOURCE-TO-PAY

to nel quadro di un contratto di appalti pubblici. Ma solo per questi ultimi l’obbligo di fatturazione elettronica tra privati è scattato l’1 luglio 2018, mentre i benzinai a fine giugno hanno ottenuto dal Governo una deroga (cosiddetto “Decreto Dignità”) e dovranno adeguarsi anche loro da gennaio. CHI È ESONERATO (E PERCHÉ IN REALTÀ È COMUNQUE COINVOLTO) Dall’obbligo sono esonerati solo i soggetti di minori dimensioni che si avvalgono del cosiddetto “regime di vantaggio” (art. 27 comma 3 del DL98/11) o del “regime forfettario” (Legge n. 190/14): sono esonerati dall’emissione (ciclo attivo), ma è indubbio che riceveranno Fatture Elettroniche (ciclo passivo). In caso di inosservanza dell’obbligo è prevista una sanzione amministrativa compresa tra il 90% e il 180% dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso

Viviamo in un contesto dove le tecnologie digitali continuano sempre a evolvere, e dove persino la normativa corre a forte velocità, tanto da favorire e abilitare percorsi di innovazione e trasformazione. Può sembrare che ci siano tutti gli elementi necessari per affrontare anche un passaggio di portata epocale, come appunto l’obbligo di fatturazione elettronica tra privati imposto per legge. E invece? Lo scoglio più o meno grande è fare lo “switch off” del processo tradizionale cartaceo, e attivare quello digitale. In molte situazioni, la dimensione di questo scoglio è determinata dalla capacità di vision dell’imprenditore/responsabile/manager e dalla sua volontà di trasformare un obbligo in opportunità, piuttosto che di subire passivamente l’adempimento normativo. La Fatturazione è una parte di un processo ben più ampio, il Ciclo dell’Ordine, e può essere usato come leva per strutturare e digitalizzare le relazioni con i fornitori e con i clienti, eliminando tutte quelle attività di inserimento dati nel sistema gestionale, riconciliazione dei documenti, e le comunicazioni informative varie, che sono faticose e ad alto rischio di errore. Se poi si è proprio lungimiranti, la Fatturazione Elettronica B2B può diventare addirittura l’occasione per rivedere in chiave strategica e digitale l’intero processo Source-To-Pay, dalla gestione dei fornitori alla definizione delle migliori modalità di finanziamento del Capitale Circolante con soluzioni di Supply Chain Finance, fino appunto all’emissione e conservazione digitale a norma delle fatture. www.digital4executive.it

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SPECIALE “FATTURAZIONE ELETTRONICA B2B”

intervista a

MATTEO ZAFFAGNINI DIRETTORE MARKETING TOP CONSULT

Fatturazione B2B, la vera risposta è la gestione documentale Per Top Consult il passaggio imposto dalla legge evidenzia il reale valore della fattura digitale e le opportunità che scaturiscono dalla sua dematerializzazione: «È necessario inquadrarla nel flusso dei processi, in cui ci sono documenti che la precedono e che la seguono. Occorre una soluzione ampia e completa, che digitalizzi i processi legati alla fattura e li integri con tutti i sistemi gestionali e informativi dell’azienda»

Quando si parla di Fatturazione Elettronica B2B accade comunemente di pensare alla sola dematerializzazione della fattura, senza riflettere sul fatto che si tratta di un processo ben più complesso, che prevede la gestione elettronica di tutti i documenti che concorrono al ciclo di fatturazione. «Ogni processo aziendale inizia con l’arrivo di un documento e termina con la creazione di un documento», sottolinea Matteo Zaffagnini, Direttore Marketing di Top Consult, con cui abbiamo approfondito il tema della Fatturazione Elettronica B2B. La società specializzata in soluzioni di gestione documentale da trent’anni propone al mercato un approccio basato sull’integrazione totale fra informazioni e linee di business, database e archivi, dematerializzazione e raggiungimento dell’efficienza: oggi i clienti Top Consult sono 500 in tutto il mondo, per un totale di 400mila utenti finali. L’obbligo di Fatturazione Elettronica tra privati è | 50 |

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alle porte. Come si devono preparare le aziende? Ci facciamo forti del nostro punto di osservazione privilegiato per affermare che per le organizzazioni è arrivato il momento di comprendere il ruolo dei sistemi di gestione documentale. Il passaggio obbligato dalla normativa deve essere vissuto come un’opportunità organizzativa. Dietro alla fatturazione elettronica il vero obbligo per le aziende è la gestione documentale, per gestire in modo semplice e veloce tutti i documenti su cui ruota l’attività amministrativa e produttiva dell’azienda. Per cogliere il reale valore della fattura, e comprendere appieno le opportunità che scaturiscono dalla sua dematerializzazione, è necessario inquadrarla nel flusso dei processi, e ricordarsi che si incasella in un flusso in cui ci sono documenti che la precedono e che la seguono (come ad esempio gli ordini, le bolle, i pagamenti, i solleciti o le PEC): negli archivi documentali del cliente e del fornitore, oltre alla fattura elettronica e alle notifiche, ci


SPECIALE “FATTURAZIONE ELETTRONICA B2B”

sono tutti gli altri metadati, i documenti amministrativi e non, che fanno parte della storia documentale di ogni azienda. La Gestione Documentale deve essere vista come la risposta alla Fatturazione Elettronica perché impatta sul modo di lavorare: è la soluzione da introdurre per dematerializzare e correlare tutti i documenti della filiera produttiva, adottando una soluzione ampia e completa, che digitalizza i processi aziendali legati alla fattura e li integra con tutti i sistemi gestionali e informativi presenti all’interno dell’azienda. In Top Consult abbiamo sempre vissuto l’innovazione come strategia: la Fatturazione Elettronica diventa quindi un’opportunità strategica per dematerializzare, digitalizzare e strutturare i processi aziendali. Come Top Consult supporta le aziende in questo passaggio? La nostra soluzione, TopMediaSocial NED, è un “pacchetto” che si pone al centro del sistema per la gestione elettronica dei documenti, con un servizio di assistenza ai clienti sia in-house, presso le aziende, sia in modalità telematica. Il sistema si comporta come un “postino digitale”, un tramite tra i gestionali dei clienti e il Sistema d’Intescambio (SdI), e supporta la generazione, la trasmissione e la ricezione delle fatture e delle ricevute, per la contabilizzazione, attraverso i tre canali certificati di comunicazione: l’FTP, i Web Service e la PEC. Ma, oltre a porci come front-end aziendale, aiutiamo con un supporto consulenziale le aziende nelle fasi di accreditamento preventivo presso lo SdI. Il nostro ruolo è fortemente legato alla tipologia di servizio scelto dal cliente. L’erogazione può essere, infatti, in-house, in Cloud o in Service. Con la prima modalità l’organizzazione decide di fare un investimento tecnologico e sistemistico, introducendo internamente la soluzione e gestendo in autonomia la fatturazione elettronica: in questo caso il riferimento del titolare e del tecnico sarà quindi interno, e la consulenza di Top Consult sarà opzionale, qualora l’organizzazione non fosse

pronta all’accreditamento al canale di comunicazione. Per le soluzioni in Cloud e in Service, il riferimento titolare è sempre il cliente, ma quello tecnico è Top Consult, la cui consulenza per l’accreditamento al canale di comunicazione in questo caso è necessaria. Inoltre, supportiamo le aziende anche per la conservazione digitale (obbligatoria per le fatture elettroniche, facoltativa per tutto il resto): il cliente può, infatti, decidere di conservare i documenti in-house, con i software e i servizi progettati da Top Consult, oppure di affidare a noi la conservazione in outsourcing. In entrambi i casi si otterrà la totale dematerializzazione degli archivi fiscali, risparmi di spazi, di tempo e, nel caso dell’outsourcing, la sicurezza di un servizio esterno affidabile e consolidato da lunghi anni di esperienza. Nel caso di servizio in Cloud o In Service, il responsabile unico è Top Consult e la conservazione è in outsourcing. In che modo TopMediaSocial NED supporta il ciclo attivo e il ciclo passivo? La soluzione consente di gestire tutti i documenti contabili dell’attivo e del passivo, e fornisce inoltre anche gli strumenti per l’archiviazione, la trasmissione e la gestione degli esiti delle fatture elettroniche XML attive e passive transitate attraverso lo SdI, sia nel B2B che nella PA, e la gestione di tutte le “altre fatture” che ancora saranno inviate o ricevute in modalità tradizionale (pdf allegati a mail, ricezioni di cartaceo, ecc.). Con TopMediaSocial NED la fattura in formato XML è acquisita dal gestionale o creata, insieme alle relative notifiche SdI, ottimizzando il Ciclo Attivo grazie agli automatismi Social NED. Inoltre il sistema permette di ricevere la fattura fornitore dallo SdI, e gestisce con il Social Flow in modalità collaborativa il flusso di controllo della fattura emettendo e inviando allo SdI le notifiche di scarto o di accettazione, ottimizzando così il Ciclo Passivo che funziona egregiamente per tutti i tipi di Fatture (FE XML o PDF).

«Oltre alla fatturazione elettronica il vero obbligo che hanno le imprese è arrivare a gestire in modo semplice e veloce tutti i documenti su cui ruota l’attività amministrativa e produttiva dell’azienda» www.digital4executive.it

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SPECIALE “FATTURAZIONE ELETTRONICA B2B”

«Non è un mero obbligo di legge: è un’occasione per snellire e risparmiare»

Dall’1 gennaio 2019 la Fatturazione Elettronica B2B sarà obbligatoria. Ogni azienda dovrà emettere e inviare il documento elettronico ai clienti italiani in formato strutturato XML Tracciato PA (tecnicamente XML_PA) tramite lo SdI (Sistema di Interscambio, gestito dall’Agenzia delle Entrate) e conservarlo a norma. «È vero che quello della Fatturazione Elettronica B2B è un obbligo, ma è altrettanto vero che la digitalizzazione del flusso semplifica il lavoro delle aziende, automatizza tutte le procedure ripetitive che si devono svolgere quotidianamente e consente la ricerca di tutti i documenti tramite i relativi metadati», afferma Diego Dal Ben, CEO di DDocuments, società specializzata nella digitalizzazione dei documenti, che propone la soluzione D-documents. «Un sistema che gestisce le e-fatture è accessibile anche agli utenti meno esperti vista la semplicità e l’immediatezza di utilizzo». DDocuments supporta le aziende in questo delicato passaggio normativo e offre una soluzione per gestire il flusso attivo e passivo. Infatti, nonostante l’obbligo sia orientato all’emissione delle Fatture, e quindi sul ciclo attivo, da gennaio le imprese dovranno dotarsi anche di canali di ricezione delle Fatture Elettroniche così come di sistemi capaci di processarle, sfruttando l’opportunità di riceverle in un formato standard, unico e strutturato. «Lato fatturazione attiva, la piattaforma D-documents riceve i dati dal partner, attiva la procedura di firma, che certifica l’immutabilità del documento fiscale, e trasmette la fattura a norma di legge, in formato XML, al Sistema di Interscambio dell’Agenzia delle Entrate. Il cliente riceve il documento in formato

P ER U LT ER I O R I I N F O R M A ZIONI...

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«LA DIGITALIZZAZIONE DEL FLUSSO DI FATTURE SEMPLIFICA IL LAVORO E AUTOMATIZZA LE PROCEDURE RIPETITIVE», SPIEGA DIEGO DAL BEN, CEO DI DDOCUMENTS. «UN SISTEMA CHE GESTISCE LE E-FATTURE È ACCESSIBILE ANCHE AGLI UTENTI MENO ESPERTI»

DIEGO DAL BEN CEO DDocuments

elettronico al suo indirizzo PEC o SDI. La piattaforma permette inoltre di “tradurre” il formato XML in pdf così da rendere la documentazione fruibile». Lato fatturazione passiva, la soluzione gestisce la ricezione e la notifica, che può essere visualizzata ed elaborata direttamente dal gestionale. «Anche nel caso delle fatture estere DDocuments integra invio, ricezione e conservazione a norma, permettendo di gestire tutti i flussi con un’unica soluzione», sottolinea Dal Ben. Un processo però oltre a essere ben gestito, deve essere anche sicuro. «I server di DDocuments sono dislocati nelle sedi di British Telecom a Milano e Roma, con modalità ridondata e un’effettiva e certificata Disaster Recovery», le connessioni alla piattaforma sono tutte verificate e crittografate secondo i più alti standard di sicurezza e privacy. «In DDocuments abbiamo una sola visione per il futuro: fare di un mero obbligo legislativo un grande vantaggio per le aziende. Per noi si tratta di un trampolino di lancio per abbattere i costi di gestione interna e avere a disposizione sempre tutta la documentazione fiscale, ma anche per semplificare e snellire il lavoro, permettendo ai clienti di concentrarsi sul business, operando insieme, un passo alla volta, per crescere in ottica digitale ed essere competitivi», conclude Diego Dal Ben.



NORMATIVE

di

ANNA ITALIANO

SENIOR LEGAL CONSULTANT P4I-PARTNERS4INNOVATION

GDPR e servizi cloud: gli impatti del nuovo regolamento europeo La normativa influirà in modo immediato su modalità e fattori di valutazione con cui le aziende selezioneranno i cloud provider e contrattualizzeranno i servizi da essi offerti. All’aggravamento delle responsabilità dei fornitori farà da contraltare l’opportunità di accrescere l’affidabilità dei servizi e, in ultima analisi, la competitività sul mercato

Negli ultimi anni stiamo assistendo a una crescita significativa del mercato dei servizi cloud. Da un lato le politiche commerciali dei vendor sempre più spesso puntano sulla nuvola per la redditività dei servizi e la possibilità di margini più alti rispetto al mondo “on premise”. Dall’altro cresce la domanda, che trova nel cloud risposta a esigenze sempre più sentite di flessibilità, scalabilità e fruizione con logiche “pay per use”. In questo contesto si inserisce la spinta normativa all’esternalizzazione, di cui – con specifico riferimento al trattamento dati, particolarmente impattante sui servizi cloud – il nuovo Regolamento Europeo sulla protezione dei dati personali (GDPR) è un’innegabile evidenza. Il GDPR contiene infatti un serie di novità che avranno riflesso immediato e diretto su modalità e fattori di valutazione con cui le aziende selezioneranno i cloud provider e contrattualizzeranno i servizi da essi offerti. Basti pensare all’aggravamento | 54 |

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della posizione del data processor (e, quindi, del cloud provider che, normalmente, agisce appunto in qualità di responsabile del trattamento), all’aumentata attenzione ai profili relativi alla sicurezza o ai maggiori oneri di formalizzazione degli obblighi correlati al trattamento dati, che renderanno gli accordi di servizio più dettagliati e trasparenti. Ma perché il legislatore, a livello europeo e nazionale, sta spingendo il mercato verso l’esternalizzazione dei servizi? La risposta è evidente. Se si pensa all’emergenza sicurezza che ha investito tutto il mondo negli ultimi anni, confermata dagli episodi di cronaca che, con preoccupante ciclicità, siamo ormai abituati a leggere sui giornali, si comprende che la spinta all’esternalizzazione è un modo per accentrare la gestione della sicurezza, e quindi innalzare i livelli generali di protezione contro le minacce. È infatti innegabile come, attraverso l’adozione di servizi cloud, intrinsecamente basati su logiche di economie di scala, le aziende


NOR M ATI V E | GD P R E SE RV IZ I C L O UD: G L I IMPAT T I DE L N UOVO RE G O L A ME N T O E URO P EO

possano accedere, a costo contenuto, non solo a tecnologie molto avanzate, ma anche a livelli di sicurezza che presumibilmente nessuna azienda “media” in Italia sarebbe in grado di implementare e mantenere autonomamente. RESPONSABILITÀ SOLIDALE TRA CONTROLLER E PROCESSOR In quest’ottica va letto il regime di responsabilità solidale tra controller e processor introdotto dall’art. 82 del GDPR, che implicherà certamente una maggiore responsabilizzazione dei cloud provider e che costituisce una delle novità assolute del Regolamento. A differenza del passato, infatti, con il GDPR non solo l’azienda titolare del trattamento, ma anche il cloud provider che agisce come responsabile potrà essere chiamato a rispondere direttamente e per l’intero ammontare del danno nei confronti degli interessati, qualora abbia agito in modo difforme rispetto alle istruzioni legittime ricevute dal titolare (cioè, si sia reso inadempiente rispetto agli obblighi di trattamento dati formalizzati nella documentazione contrattuale che disciplina le condizioni di servizio), o non abbia adempiuto agli obblighi che il GDPR pone direttamente in capo ai responsabili. Come noto, con il GDPR cambia in maniera significativa anche la materia della sicurezza. Non solo perché, con impostazione più matura e strettamente legata alla specificità del contesto aziendale in cui la norma va applicata, il legislatore ha introdotto un approccio “risk based”, ove le misure tecniche e organizzative da implementare a tutela dei dati dovranno essere quelle che, di volta in volta, ciascuna azienda reputi adeguate per i rischi insiti nel trattamento e gli eventuali impatti che da essi possano derivare rispetto alla protezione dei dati. Ma anche perché l’art. 32, del GDPR si dirige allo stesso modo tanto al titolare quanto al responsabile del trattamento. Non sarà quindi solo l’azienda che contrattualizza il servizio a dover valutare l’adeguatezza dei livelli di sicurezza garantiti dal provider, ma, ancor prima, dovrà essere quest’ultimo a mettere in atto misure tecniche e organizzative adeguate rispetto ai servizi offerti. Pena le sanzioni e risarcimenti previsti in caso di violazione delle prescrizioni di legge e di conseguenti danni da trattamenti illeciti. CLOUD PROVIDER, SI RICHIEDE PIÙ CHIAREZZA E TRASPARENZA La normativa introduce anche nuovi oneri di formalizzazione, che imporranno, in capo ai cloud

provider, maggiori sforzi di chiarezza e trasparenza nella redazione degli accordi di servizio e, in capo alle aziende intenzionate ad adottare servizi cloud, una maggior attenzione ai contenuti contrattuali. Su questo il riferimento è l’art. 28 del GDPR, che contiene un elenco di contenuti puntuali e specifici che dovranno necessariamente corredare l’accordo con il cloud provider. Per esempio, verrà reso più trasparente il ricorso al subappalto. Non solo il contratto dovrà disciplinarlo espressamente, pena l’impossibilità del responsabile del trattamento di ricorrere a subappaltatori, ma il provider dovrà garantire il ribaltamento sui subappaltatori degli stessi obblighi che lo vincolano contrattualmente all’azienda cliente. Anche, e in particolare, per gli obblighi di sicurezza, rispondendo direttamente nei confronti del cliente in caso di eventuali inadempimenti della propria catena di subfornitura. Qualora il contratto autorizzi in via generale il provider a ricorrere al subappalto, eventuali modifiche in ordine alla modifica o sostituzione di taluno dei subappaltatori dovranno essere comunicate al cliente, il quale, se in disaccordo, dovrà potersi opporre (presumibilmente, attraverso l’esercizio di un diritto di recesso dal contratto senza costi o oneri). Ancora: tra gli ulteriori obblighi previsti per i provider assumono particolare rilevanza nel mondo dei servizi cloud l’obbligo di comunicazione delle violazioni della sicurezza che comportino accidentalmente o in modo illecito la distruzione, perdita, modifica, divulgazione non autorizzata o accesso ai dati (data breach); l’obbligo del provider di assistere e cooperare con l’azienda cliente, titolare del trattamento, nel notificare gli eventuali data breach alle Autorità di controllo e nel comunicarli agli interessati laddove necessario; l’obbligo di assistere l’azienda nell’effettuare la DPIA e l’eventuale consultazione preventiva, laddove previsto per legge; l’obbligo di restituzione o cancellazione dei dati personali alla cessazione del servizio. Tirando le somme, all’indiscusso aggravamento della posizione e delle responsabilità dei provider farà da contraltare l’opportunità di accrescere l’affidabilità dei servizi stessi e, in ultima analisi, la propria competitività sul mercato e il livello di trust della clientela, magari anche attraverso l’adesione ai codici di condotta o il ricorso ai meccanismi di certificazione previsti dal Regolamento. In ultima analisi, il GDPR può favorire lo sviluppo di una nuova maturità del mercato dei servizi cloud, contribuendone all’espansione, specie qualora l’offerta si indirizzi verso pratiche contrattuali più eque, trasparenti e bilanciate rispetto al passato. Sarà interessante vedere se i cloud service provider riusciranno a cogliere appieno l’opportunità. www.digital4executive.it

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REPORTAGE

Pagamenti B2B, l’ascesa della carta di credito virtuale Uno strumento alternativo per le transazioni tra cliente e fornitore, classificato dal Politecnico di Milano tra le soluzioni più innovative di Supply Chain Finance, che offre diversi vantaggi rispetto ai classici bonifici: ottimizzazione del cash flow, miglior controllo e riconciliazione delle spese, semplificazione dei processi interni. Se n’è parlato a un convegno di AirPlus International (Gruppo Lufthansa), con Piteco e Mastercard

La gestione dei pagamenti è stata una delle prime storiche “conquiste” della digitalizzazione nei settori consumer, ed è ormai lo standard anche nelle relazioni business-to-business (B2B). L’innovazione ora lavora a metodi e strumenti di digital payment sempre più semplici da gestire e da utilizzare, migliorando da una parte l’efficienza e dall’altra la customer experience. E sempre più sicuri in termini di autenticazione, tracciamento e transazione. Sono stati questi i temi al centro del recente convegno “Pagamenti digitali: dal consumer al business”, organizzato a Milano da AirPlus International, società del Gruppo Lufthansa specializzata in soluzioni di gestione dei pagamenti, e in particolare della sessione “Evoluzione dei pagamenti digitali B2B: le opportunità per la propria azienda”, che ha visto protagonisti AirPlus International Italia, Mastercard Italia, e Piteco, la società italiana specialista di software di gestione tesoreria e financial planning. «I commercial payment in Italia (transazioni business-to-business) sono in tutto 2800 miliardi di euro all’anno, di cui 512 miliardi sono potenzialmente | 56 |

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gestibili con carte di pagamento, ma soltanto 14 miliardi lo sono effettivamente», ha spiegato Francesco Angrisano, Core Products Commercial Manager di Mastercard Italia, citando dati 2016 di Euromonitor e Kaiser Associates. I SETTORI CHE PIÙ UTILIZZANO LE VIRTUAL CARD: LOGISTICA E FINANCE Ci sono quindi in Italia grandissime opportunità, sia lato domanda che lato offerta, nello sviluppo della carta di credito come soluzione “virtuale” per la gestione semplificata dei pagamenti B2B. E in particolare di quelli tra buyer e fornitore, grazie al “disaccoppiamento” tra momento del pagamento e momento dell’incasso. Non a caso il Politecnico di Milano classifica la carta di credito virtuale tra gli esempi più innovativi di Supply Chain Finance, le forme di finanziamento del capitale circolante alternative alle banche, e basate sulle performance operative dell’impresa, oltre che sui dati di bilancio. «Sul lato domanda


REPORTAGE | PAGAMENTI B2B, L’ASCESA DELLA CARTA DI CREDITO VIRTUALE

le aziende possono ottenere benefici di ottimizzazione del cash flow, miglior gestione e utilizzo dei dati, miglior controllo e riconciliazione delle spese, e semplificazione dei processi interni», ha detto Angrisano. «Al momento la percezione tra i settori è molto diversa: quelli più consapevoli di questi benefici, e che quindi utilizzano di più le credit card come strumenti di pagamento B2B, sono logistica e trasporti, finanza e assicurazioni, mentre i meno sensibili per ora sono manufacturing e costruzioni». L’ESEMPIO: 50 GIORNI IN PIÙ DI DILAZIONE DEL PAGAMENTO In tale scenario, Piteco e AirPlus International hanno annunciato proprio a questo convegno l’integrazione tra la soluzione di tesoreria Piteco Evo e Aida Flex, piattaforma di generazione di carte di credito virtuali Mastercard di AirPlus. «L’obiettivo è consentire all’azienda utente di predisporre l’accredito puntuale al fornitore, usufruendo di un plafond di spesa aggiuntivo e senza modificare le tempistiche di saldo delle fatture pattuite, beneficiando di una dilazione aggiuntiva del debito commerciale, in termini di valuta, con conseguente aumento dell’indice DPO (Days Payables Outstanding)», ha spiegato Salvo Torre, B2B Payment Solutions Sales Development Manager di AirPlus Italia. Oltre ai benefici già spiegati, le carte di credito virtuali sono molto flessibili, continua Torre: possono essere bloccate per importo, utilizzo, valuta, destinatario di un pagamento, e utilizzate anche per un solo pagamento. «Abbiamo lanciato da poco Aida Flex, la piattaforma al centro dell’accordo con Piteco: è integrabile con tutti i principali sistemi ERP e si basa su una linea di credito che non è bancaria: è nostra. È associata a dilazioni di pagamento in media di 50 giorni, e possiamo arrivare a supportare il 15% delle spese aziendali». Come per i pagamenti con carta di credito consumer, l’uso è completamente gratuito per chi paga, mentre il fornitore incassa la cifra della fattura depurata di una commissione. Il manager di AirPlus ha anche approfondito con un caso pratico il funzionamento della piattaforma: «Supponiamo di avere un pagamento ricorrente, a 60 giorni fine mese, con dilazione concessa di 20 giorni: al giorno 1 c’è la data di emissione fattura, al giorno 60 invece di fare il bonifico genero la carta di credito con Aida Flex e pago, il fornitore incassa entro 2 giorni, mentre io

ho la chiusura estratto conto al giorno 90, e il vero e proprio esborso verso AirPlus al giorno 110: in pratica godo di 50 giorni di DPO addizionali rispetto alla situazione tradizionale». IL PAGAMENTO B2B CON CARTE VIRTUALI PASSO PER PASSO La collaborazione con AirPlus, ha poi spiegato Andrea Guillermaz, Partner di Piteco, ha portato alla creazione di una soluzione di pagamento B2B unica e innovativa, ma al tempo stesso integrata con i processi aziendali di pagamento, gestendo flussi autorizzativi controllati, tracciati e automatizzati. «Praticamente si possono disporre i pagamenti verso i fornitori selezionati, utilizzando con carte di credito virtuali in totale sicurezza, come si è sempre fatto con le disposizioni di pagamento via banca, coordinandoli con tutte le altre procedure di pagamento dell’azienda». Tutto ciò, continua Guillermaz, con alti livelli di efficienza e automazione dei processi grazie appunto alla gestione attraverso un tool di Tesoreria come Piteco, in grado di concentrare centralmente tutte le procedure di pagamento che le aziende devono organizzare e disporre, e gestire in sicurezza i workflow autorizzativi durante tutte le fasi del pagamento e aggiornamento del cash flow. «Negli ultimi anni si sono generate forti pressioni su chi sviluppa tecnologie di digital payment. La domanda è in enorme crescita, ma oltre a efficienza, scalabilità e semplicità di gestione ci sono anche esigenze fortissime di flessibilità, sicurezza e controllo». Guillermaz ha infine spiegato passo per passo il processo del pagamento B2B tramite carte virtuali: «In Piteco Evo avvengono le fasi di caricamento fatture pagabili, selezione dei fornitori da pagare con le carte di credito virtuali, creazione della distinta per la generazione delle carte, e gestione del workflow approvativo. AirPlus Aida prende automaticamente in carico la richiesta di emissione delle carte, le emette, e invia l’esito e i numeri delle carte a Evo, che le invia ai fornitori i riferimenti delle rispettive carte, aggiornando il cash flow e la disponibilità di fido su AirPlus». Tutto questo, ha concluso il Partner Piteco, può essere anche applicato al procurement, cioè al processo inverso con cui un dipendente fa acquisti online per conto dell’azienda a scopo di approvvigionamento. www.digital4executive.it

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REPORTAGE di

DOMENICO ALIPERTO

BOARD, avanti tutta su Cloud e Intelligenza Artificiale All’edizione 2018 di BOARDVille, il top management del gruppo specializzato in soluzioni di Business Intelligence e Planning ha celebrato l’ottimo risultato di fatturato (raddoppiato grazie al Software as a Service) e ha tracciato le linee guida per il futuro, all’insegna di predictive analytics, machine learning e algorithmic business. Il CEO Grossi: «Puntiamo a revenue generate interamente dalla Nuvola»

Sono 22 anni che, Board, leader globale nelle soluzioni software enterprise di Business Intelligence, Budgeting & Planning e Predictive Analytics, cresce in modo profittevole, l’ultimo decennio ha fatto registrare exploit di fatturato sempre superiori al 20%. Ma è a partire dal 2015 che c’è stato il vero e proprio salto. Il merito è dei servizi in Cloud, il cui split è passato dal 12 al 74% (dato 2017), con una ricaduta sul fatturato che nel giro di tre anni è balzato da 36 milioni a 74 milioni di dollari. «Il nostro obiettivo? Ottenere il 100% delle revenue via Cloud», ha dichiarato senza troppi giri di parole Giovanni Grossi, CEO di Board. Digital4Executive ha incontrato Grossi e altri top manager dell’azienda in occasione dell’edizione 2018 di BOARDVille, il congresso europeo organizzato lo scorso maggio a Baveno (VB) per condividere con partner e clienti il bilancio delle attività recenti e tracciare le strategie per il medio termine. Durante l’evento è stata anche annunciata la nuova release del prodotto di punta della software house, BOARD 11, che secondo l’Head of Marketing, Andrea Alfieri, | 58 |

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rappresenta un cambiamento epocale per l’offerta del gruppo, configurandosi come «un passaggio generazionale nelle performance della piattaforma, rafforzando la capacità di supportare i processi di decison-making nelle grandi aziende». Il tema non è solo quello della scalabilità, ma anche quello della complessità: al crescere delle dimensioni dell’organizzazione, infatti, aumentano sia i silos informativi, sia la strutturazione dei processi approvativi, sia il numero delle persone coinvolte negli iter decisionali. Bisogna quindi riuscire a trovare il giusto equilibrio tra la tecnologia e il fattore umano, affiancando semplicità e immediatezza d’uso, alla capacità tecnologica di gestire con flessibilità processi end to end.Questo significa che le applicazioni di Business Intelligence devono tener conto di un numero sempre crescente di variabili, garantendo al tempo stesso visibilità e trasparenza a tutti livelli. «La trasparenza è alla base dell’efficienza», ha confermato Carlo Alberto Carnevale Maffè, Professor of Practice di Strategy and Entrepreneurship presso la


R E P OR TAG E | B OA RD, AVA N T I T UT TA SU C L O UD E IN T E L L IG E N Z A A RT IF IC IAL E

SDA Bocconi School of Management, tra gli speaker della convention. «Nel contesto competitivo di oggi prendere le giuste decisioni non vuol dire vincere, ma piuttosto avere la chance di continuare a giocare, imparare a gestire il momento della verità sapendo cosa c’è dietro e quali sono le sue implicazioni». Un concetto rafforzato da Pierluigi Collina, Chairman of FIFA and UEFA Referees Committee, che ha raccontato la sua ricetta per prendere decisioni in momenti cruciali, come durante una finale di Champions League o dei Mondiali: «Etica, rispetto e conoscenza delle regole, tecnologia sono gli ingredienti di base per ridurre al minimo gli effetti di una valutazione errata, dettata magari dalla pressione del momento». Il decision making informato è ormai indispensabile per adattare strategie e processi di business ai continui mutamenti degli scenari internazionali, «e noi abbiamo il prodotto giusto per il momento giusto, anche rispetto alle modalità di erogazione», ha rilanciato Grossi parlando di BOARD. «La suite può essere declinata per industry, per offrire configurazioni predefinite che tengano conto delle caratteristiche peculiari di ciascun settore, dall’Automotive al Retail passando per il Fashion e il Finance (la cui declinazione è stata studiata in partnership con KPMG, ndr)». Il riscontro ottenuto negli Stati Uniti, dove il 90% dei clienti ha scelto i servizi in Cloud, conferma la bontà delle parole di Grossi: in Nord America BOARD ha registrato un boom di vendite del +391%, mentre nel Vecchio continente (dove si annoverano clienti come Puma, Coca-Cola European Partners e Banco BPM, tutti presenti alla convention) l’incremento si ferma ‘solo’ al +50%. L’impegno sul Cloud è dimostrato anche dalle certificazioni ottenute: è compliant, infatti, rispetto agli standard SOC 1 Type II, ISO 27001, GDPR e, a breve, SOC 3. Ma i servizi Saas e PaaS (Software as a Service e Platform as a Service) presuppongono una rielaborazione del modo in cui il vendor offre assistenza ai clienti e ascolta le loro esigenze per indirizzare gli investimenti in R&D. Per questo da una parte è stata lanciata la BOARDVille Community, un’arena virtuale in cui gli utenti possono fare domande, stimolare confronti, richiedere aiuto, condividere

esperienze e best practice. Dall’altra ha preso forma BOARD Education, una piattaforma di e-Learning che permette di apprendere l’uso delle suite con la formazione on line basate su casi concreti di business. «Occorre poi un customer care 24/7, imprescindibile se si intende supportare i clienti su applicazioni mission critical e roll out globali», ha precisato Grossi. ECHO E SIRI STANNO RIVOLUZIONANDO IL MONDO CONSUMER E BUSINESS A BOARDVille si è parlato di futuro e quello di BOARD corre lungo tre direttrici: sviluppo delle soluzioni basate su Intelligenza Artificiale, potenziamento delle core technology e affinamento delle interazioni uomo-macchina. «Quest’ultimo tema è particolarmente importante», ha spiegato Andrea Alfieri. «Attualmente il nostro dialogo con le macchine è condizionato dal modo in cui per anni abbiamo utilizzato le tecnologie informatiche. Ma strumenti come Echo e Siri, che come interfaccia sfruttano il linguaggio naturale, stanno rivoluzionando il mondo consumer come quello business: la macchina diventa un collega a tutti gli effetti. Bisognerà sempre più fare i conti con questa realtà all’aumentare delle sue capacità predittive. Tra i clienti BOARD che stanno già sperimentando i primi effetti di questa trasformazione, c’è l’esempio di un’azienda farmaceutica leader mondiale. Da quando è stato installato il software, i responsabili vendita ricevono regolarmente previsioni sulla propria attività in base a dati e parametri elaborati dalla piattaforma analitica. I manager possono lasciare immutato il forecast oppure modificarlo in base alla valutazione personale: dopo sei mesi di rodaggio, il sistema ha cominciato a fornire report così accurati che, quando si sono registrati interventi umani, risultavano peggiorativi della previsione nell’84% dei casi. Significa che dovremo cedere il passo alla macchina? No: rispetto a problematiche o variabili che l’Intelligenza artificiale non riesce a prendere in considerazione l’apporto dei professionisti rimarrà essenziale. “Ma è evidente che bisogna cominciare a ripensare il modo in cui uomo e macchina collaborano”. Da sinistra: Giovanni Grossi, CEO di Board e Andrea Alfieri, Head of Marketing di Board

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REPORTAGE

Onboarding dei nuovi clienti: anche l’identificazione diventa digitale La certificazione delle informazioni personali nell’acquisizione di nuovi clienti è un processo fondamentale, che se digitalizzato può eliminare la carta dagli uffici e garantire benefici di customer experience, compliance e cybersecurity. Questi i temi di un workshop di Intesa (Gruppo IBM) con testimonianze di Sorgenia, Binck Italia, Easydrive (Gruppo Fiat-Chrysler Automobiles), e Telepass

Uno dei processi davvero rivoluzionati dalla trasformazione digitale è quello per identificare e certificare l’identità di chi sta diventando cliente: una fase che in termini tecnici si chiama “onboarding” e che in molti settori è cruciale per la customer experience, la compliance e anche la cybersecurity. E le tecnologie digitali sono il giusto supporto per eliminare finalmente la carta da questo processo, rendendolo più semplice per il cliente e più efficiente per l’azienda. Sono questi in estrema sintesi i temi di cui si è parlato al Workshop “HowTech - Identificazione, firme elettroniche e onboarding: gli strumenti per fare business”, organizzato da Intesa SpA (Gruppo IBM) nell’ambito del recente IBM Think a Milano. «Si parla tanto di tecnologie digitali perché sono strumenti potentissimi per migliorare o cambiare i processi, o addirittura il modello di business, ma vanno utilizzate con tre “parole d’ordine”: compliance, governance e security – ha spiegato Emilio Baselice, Direttore Generale di Intesa -. E cioè nel rispetto di norme e regolamenti, mantenendo il controllo dei processi, | 60 |

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e proteggendo dati e informazioni». Anche nell’era digitale ci sono valori che non si acquistano e non si perdono in pochi giorni, e uno è l’affidabilità, sottolinea Baselice. «Per essere una “digital trusted enterprise” occorre che tutte le attività di gestione delle transazioni digitali abbiano una certificazione di compliance: firme, autenticazione, onboarding, documenti, workflow, gestione degli e-payment». L’ESEMPIO DEL PROCESSO DI VENDITA L’onboarding digitale fa parte del concetto di DTM (Digital Transaction Management), aggiunge Franco Tafini, Security Solution Leader, Intesa. «Il concetto non vale solo per i clienti finali: può essere applicato a molti interlocutori delle varie funzioni aziendali, tra cui legal, support, HR, marketing, finance, vendite». Le aziende oggi intervengono sul processo di onboarding spinte da esigenze di crescita del business, miglioramento della customer experience, gestione di pagamenti mobile, rafforzamento di governance


REPORTAGE | ONBOARDING DEI NUOVI CLIENTI: ANCHE L’IDENTIFICAZIONE DIVENTA DIGITALE

e compliance. «Prendiamo il processo di vendita: il problema è la carta. Si fanno tanti errori, l’experience è carente, le attività sono manuali e disconnesse dai sistemi, i dati spesso incompleti. Se il processo invece si supporta con il DTM, ogni passaggio è tracciabile (a prova di controlli e audit), il sistema guida l’utente, non ci sono blocchi, coinvolgere il cliente è facile su qualsiasi device, l’accesso avviene in sicurezza, e poi c’è l’integrazione con gli altri sistemi aziendali». L’USO DELL’INTERNET OF THINGS PER L’IDENTIFICAZIONE Per far questo però occorrono soluzioni per l’autenticazione sicura indipendenti da device e piattaforme, e adattabili al contesto (geolocalizzazione, ora, giorno, device reputation, fraud detection), magari basate su tecnologie di ultima frontiera come videoidentificazione e biometria. «Intesa può offrire tra le altre cose la firma digitale, ormai abilitata su qualunque device e integrabile con tutti i sistemi in-

formativi più diffusi, la piattaforma Intesa Trust Network, e consulenza su best practice e compliance». Tafini si è soffermato in particolare sull’uso dell’IoT a fini di identificazione: «Il nostro approccio all’IoT è molto semplice: le Trusted identities sono legate alle secure transactions, se puoi fidarti dell’identità puoi fidarti della transazione». Sappiamo che l’IoT crea enormi opportunità di business, ma anche nuove criticità di sicurezza, dovute tra l’altro ai molti tipi di device e piattaforme diversi, alla carenza di standard, ai percorsi e collocazioni fisiche dei dati, ai permessi di accesso. «Occorre creare una vera e propria “IoT Security Platform”, basata su un ecosistema “trusted” che attribuisce una trusted identity a ogni device, centralizza la gestione delle policy di autenticazione e autorizzazione, gestisce ambienti eterogenei grazie a strumenti hardware e software-indipendent, e può evolvere con aggiornamenti on-demand». Mettere in piedi una IoT security platform, sottolinea Tafini, è un vero progetto, con tutte le classiche fasi - scegliere i partner tecnologici, il modello di deployment, definire un prototipo, e così via. Si tratta di una piattaforma chiaramente diversa per ogni azienda: è importante capire per ciascuna i rischi e minacce dei vari tipi di flussi di dati e punti di controllo delle transazioni. «Per rispondere, Intesa propone soluzioni di trusted identity e il know-how nella messa in sicurezza dei flussi di dati. In pratica noi forniamo trust, cioè allestiamo l’ecosistema “trusted” che garantisce le attività in ambienti a rischio più o meno alto».

Da sinistra Emilio Baselice (GM di Intesa), Gabriele Benedetto (AD di Telepass), Massimo Dallara (GM di Easydrive), Vincenzo Tedeschi (GM di Binck Italia), e Luca Spina (Marketing Manager di Intesa)

SORGENIA, “IL LIMITE È LA FANTASIA” Al workshop hanno parlato anche alcune aziende clienti di Intesa. Una è Sorgenia, utility italiana che si definisce “digital energy company”: «Usiamo sistematicamente il digitale per automatizzare i processi e renderli più controllabili – ha spiegato in video l’ICT Director Alessandro Bertoli -. In particolare da poco con Intesa abbiamo automatizzato la stesura dei contratti di agenzia nella rete di vendita sul territorio. Parliamo di 30mila documenti anno che erano gestiti su carta, con un processo che prevedeva molta gestione manuale con poca efficienza, mentre oggi è completamente digitalizzato, con firma e conservazione digitale. Il progetto è durato un mese e mezzo, oggi siamo autonomi e adattiamo il processo man mano che cambia il business: il solo limite è la fantasia, oltre naturalmente a normative e sicurezza dei dati». www.digital4executive.it

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REPORTAGE | ONBOARDING DEI NUOVI CLIENTI: ANCHE L’IDENTIFICAZIONE DIVENTA DIGITALE

Per Binck Italia ha parlato il Direttore Generale Vincenzo Tedeschi. «BinckBank è tra le prime cinque banche europee di trading online, con casamadre olandese: in Italia abbiamo 7500 clienti che nel 2017 hanno fatto 660mila operazioni. Non abbiamo reti di promotori, l’unico canale è il web». La procedura di onboarding sul sito è quindi di importanza strategica, e da marzo è stata totalmente digitalizzata. «Sembra strano per una banca online, ma prima l’onboarding prevedeva molta carta, perché tutti i meccanismi di strong authentication digitale presuppongono l’identificazione del cliente. Ora si apre il conto senza stampare nulla: si compila il form, si caricano i documenti necessari, si verifica lo smartphone via SMS, si firma digitalmente il contratto, e si riceve l’IBAN per il primo bonifico». «ELIMINATI CARTA ED ERRORI MANUALI» Tedeschi parla di una vera rivoluzione. «Non abbiamo più carta, l’archiviazione è più efficiente, gli errori manuali sono spariti perché il controllo dei dati è automatico: il database è “pulito”. Il cliente inserisce i dati, noi li passiamo a Intesa che fa il contratto e lo fa firmare, poi noi apponiamo la firma digitale dell’AD, il legale rappresentante della banca». Con il nuovo processo di onboarding il tasso di conversione è passato da meno del 30 al 46%, il 69% di chi ha aperto il conto lo attiva, e il 75% di questi riceve l’IBAN lo stesso giorno. «Abbiamo eliminato il dipartimento sales, che chiamava i lead per aiutarli a completare il processo. Ora queste due persone assistono i neo-clienti nei primi mesi di utilizzo dei nostri strumenti».

TELEPASS, L’IDEA DELL’ONBOARDING COME SERVIZIO In Telepass invece la trasformazione digitale sta supportando l’ampliamento del business dai pedaggi in autostrada a qualsiasi pagamento per la mobilità, ha spiegato il CEO Gabriele Benedetto. «In questo quadro con la digitalizzazione del processo di acquisizione, i nuovi clienti non devono più andare ai “Punti Blu”. La procedura è stata semplificata, l’attivazione dei servizi è più veloce, la customer experience è migliore e abbiamo eliminato la carta». E questo è solo l’inizio: «Possiamo offrire l’onboarding digitale come servizio», osserva Benedetto citando ad esempio gli operatori di car sharing: «Oggi ciascuno ha la sua app, il suo contratto, le sue procedure d’iscrizione: Telepass può dire loro ‘il cliente l’abbiamo già identificato noi, possiamo fare l’onboarding per tutti voi’». Un altro aspetto importante è quello dei fattori favorevoli e degli ostacoli durante il progetto di onboarding, su cui si è soffermato Massimo Dallara, General Manager di Easydrive, società del gruppo FCA che fornisce servizi per automobilisti e concessionari. «Abbiamo digitalizzato la gestione delle pratiche amministrative di acquisto dell’auto, riducendo del 25% del tempo di consegna. Il fattore esterno più critico era interfacciarsi con enti come Motorizzazione o PRA, ancora in gran parte gestiti con la carta, quello interno erano le persone in contatto diretto con i clienti, che dovevamo “portare a bordo” per forza. Ma non è stato difficile: la soluzione digitale è stata subito percepita come qualcosa di immediato da usare, che riproduce il processo che prima era su carta».

IBM, la blockchain per “certificare” l’identità Simone Bonetti, Blockchain Advisor di IBM, ha concluso l’evento di Intesa parlando dell’uso delle tecnologie blockchain per certificare le identità su piattaforme digitali. «Aggregando servizi si possono proporre esperienze complessive, in cui il pagamento è solo un tassello. Pensiamo al retail, alla possibilità di pagare online e ritirare nel punto vendita, magari di un altro marchio. Tutto ciò si poggia sul concetto di KYC (know your customer), cioè sul processo di identificazione e verifica dell’identità di un cliente». Concetto che secondo molti si sposa bene con quello di registro distribuito, il cuore della blockchain. «Combinando KYC e blockchain posso rimuovere tutte le duplicazioni di certificazione d’identità di un cliente, pensate alle situazioni in cui nella stessa azienda o istituzione vi chiedono un documento

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ogni volta che accedete a un servizio. Inoltre posso distribuire aggiornamenti sui dati del cliente in tempo reale, e mantenere un archivio di tutti i documenti e attività di compliance per ogni cliente». Bonetti ha citato Credit Mutuel Arkea, che ha usato le soluzioni Blockchain di IBM per un progetto pilota di centralizzazione delle informazioni KYC, in modo da chiedere al cliente i documenti una volta sola, con l’opportunità di “vendere” i servizi di garanzia di identità a terze parti. «L’uso di blockchain per la trusted identity comporta benefici per tutti: le persone (“detentori” dell’identità), i certificatori, e i verificatori di identità. Anche la Comunità Europea lo sta promuovendo: 22 paesi hanno firmato una dichiarazione per la creazione di una European Blockchain Partnership».


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Auriga: a fianco delle banche verso l’omnicanalità

Oggi anche le banche devono differenziarsi per essere attrattive e riuscire a fidelizzare la clientela. Bisogna fare i conti con un mercato in continuo fermento. Da un lato, con la normativa pSD2 (con cui entrano in gioco nuovi attori quali Tpp - Third party players) è possibile effettuare transazioni senza l’intermediazione bancaria, dall’altro si stanno aprendo nuovi scenari: con l’”open banking” la banca diventa una piattaforma, “Bank as a platform”, e con l’utilizzo delle Open API è assimilabile a un “supermercato di prodotti finanziari”. «Il banking si sta evolvendo verso una dimensione “fisico+digitale”», sottolinea Vincenzo Fiore, CEO di Auriga. «Oggi bisogna puntare sull’omnicanalità, per riabilitare la centralità della filiale, intesa come spazio d’incontro tra banca e cliente, e ottimizzare il rapporto con il cliente: le tecnologie digitali hanno un ruolo primario, perché migliorano la user experience con servizi nuovi e personalizzati rivolti a una clientela sempre più esigente e autonoma». La suite WWS Branch di Auriga risponde a tutte queste esigenze: «L’obiettivo è soddisfare con servizi personalizzati i bisogni individuali dei clienti. L’ampia disponibilità e accessibilità dei servizi self service di WWS alimenta il miglioramento della customer experience». La suite offre al cliente un servizio 24/7, aiuta a contenere i costi di gestione e generare profitti con azioni di marketing mirate. «Ma che si tratti di filiale, ATM, ASD, pc, tablet o smartphone, la vera sfida dell’omnicanalità è rendere il passaggio tra l’interazione fisica e virtuale fluido in un’ottica di digitalizzazione dei servizi e di umanizzazione del mondo digitale». L’omnichannel approach permette il trasferimento dei dati tra i vari canali

RIABILITARE LA CENTRALITÀ DELLA FILIALE, INTESA COME SPAZIO D’INCONTRO TRA BANCA E CLIENTE, E OTTIMIZZARE IL RAPPORTO CON LA CLIENTELA: SONO QUESTI GLI OBIETTIVI DELL’OMNICHANNEL APPROACH, CHE PERMETTE DI VIVERE LA STESSA ESPERIENZA SU OGNI DISPOSITIVO

VINCENZO FIORE CEO Auriga

e un trasferimento coerente dei contenuti: l’utente vive sempre la medesima esperienza, senza barriere o interruzioni nel passaggio tra i canali. La soluzione WWS (WinWebServer) permette di ampliare le funzionalità self-service e gestire centralmente i touchpoint utilizzati dal cliente. ATM con cash-in e cash-out e recycling, chioschi dotati di scanner per documenti, tablet, display con digital signage, ASD (Assisted Self Service Device): tutti dialogano tra di loro in modo fluido, puntuale e integrato, offrendo un maggiore numero di servizi in tempo reale. «Nella filiale WWS del futuro tutti i dispositivi lavoreranno e saranno gestiti in modo integrato, i clienti vivranno la stessa esperienza su ogni dispositivo, si farà leva sulla componente predittiva che sfrutta l’enorme mole di dati a disposizione delle banche, il cui corretto utilizzo rappresenta il presupposto per una strategia e proposta commerciale vincente», conclude Fiore. Quando Auriga parla di dati non si riferisce solo a quelli dei clienti, ma anche a quelli relativi all’utilizzo dei device distribuiti su tutta la rete bancaria: è recente il rilascio del modulo applicativo WWS Asset Management, per il censimento, il controllo e l’analisi di tutti i dispositivi. La soluzione permette di ottimizzare l’intero ciclo di vita degli asset presenti in banca e di effettuare analisi sulle caratteristiche e sul funzionamento, con importanti vantaggi in termini economici e operativi.

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REPORTAGE di

DOMENICO ALIPERTO

Wacom: ecco come la firma grafometrica genera nuovo valore per l’impresa Abbattimento dei costi, potenziamento delle performance, aumento della fluidità nelle procedure approvative. Sono questi i vantaggi generati dall’adozione di piattaforme di firma elettronica avanzata, condivisi da Wacom, SCAI Group e Pirelli durante il workshop “Come digitalizzare i flussi documentali e liberare energia in azienda”

Quando si chiama in causa l’espressione innovazione, si discute tanto di digital transformation, di smart enterprise e di nuovi modelli di business capaci di fare leva su logiche Agile, ma spesso si dimentica che il vero cambiamento può essere attuato solo se si coinvolgono in questa transizione tutti i processi aziendali. Altrimenti il rischio è che si formino tra gli interstizi delle attività di ordinaria amministrazione, nei processi trascurati dalla digitalizzazione, colli di bottiglia e sacche di inefficienza che finiscono col rallentare tutta l’organizzazione. Parliamo in particolare delle procedure approvative e della gestione documentale che, ancora oggi, implica per le aziende che sono rimaste al formato cartaceo notevole complessità nell’elaborazione, nel reperimento e nell’archiviazione dei file. Ovviare a queste criticità significa dematerializzare l’ultimo miglio, il più delicato, permettendo ai collaboratori di accedere ai documenti, modifi| 64 |

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carli e soprattutto approvarli nella maniera più semplice e diretta possibile, in formato digitale quindi e tramite la firma elettronica. È stato questo il tema centrale del workshop “Come digitalizzare i flussi documentali e liberare energia in azienda”, organizzato a Milano il 22 maggio da Network Digital360 in collaborazione con Wacom, fornitore di soluzioni hardware per la firma grafometrica crittografata, e Scai Group, system integrator partner di Wacom. L’evento, che ha visto anche la partecipazione di Pirelli, che ha condiviso con il pubblico il progetto realizzato con i due vendor, è stato la seconda tappa di un roadshow partito a Bologna il 27 febbraio. Un appuntamento durante il quale Basilio Natoli, project manager di Autotorino, aveva presentato la case history sviluppata dalla concessionaria automobilistica, che grazie a Wacom ha dato il via al piano “NOpaper”. Dalla gestione delle risorse umane alle relazioni


REPORTAGE | WACOM: ECCO COME LA FIRMA GRAFOMETRICA GENERA NUOVO VALORE PER L’IMPRESA

con i clienti, passando per il potenziamento della supply chain, sono molteplici i vantaggi che l’organizzazione può ricevere dall’adozione di una piattaforma di firma digitale. Ma soprattutto sono molteplici le prospettive che si possono assumere per lo sviluppo di nuovi servizi da offrire a partner e fornitori. Ne ha accennato Andrea Boaretto, Founder & CEO di Personalive, società di ricerche di mercato e di advisory di marketing multicanale, aprendo i lavori dell’incontro. «Nel lavoro e nel tempo libero, tra smartphone e wearable siamo sempre più multiscreen, il che significa essere multitasking. Vista la pervasività di queste tecnologie, ormai parlare di vita digitale come qualcosa di a se stante fa sorridere. Gli individui cercano relazione e connessione, anche in ufficio, ed è per questo che l’azienda dovrebbe adottare un pensiero digitale per cambiare lo status quo, interrogandosi su che ruolo può avere la firma elettronica nel ridisegna-

re in ottica 4.0 non solo i processi di gestione documentale, ma anche per esempio quelli di acquisto e vendita». Bisogna però conoscere sia le potenzialità dello strumento sia gli ambiti normativi che ne delimitano l’azione per svilupparlo in maniera compiuta. Andrea Reghelin, Associate Partner di P4I-Partners4Innovation, ha spiegato che sotto questo profilo l’Italia era partita avvantaggiata, grazie alla legge 31 del 1996 che per l’appunto disciplinava la firma elettronica. «Ciò che ha rallentato quella spinta è il fatto che la normativa era solo applicabile nel contesto nazionale: la direttiva europea sulla stessa materia e le modifiche normative successive hanno generato una serie di ostacoli per la diffusione dello strumento. Il vero salto qualitativo è avvenuto con il Regolamento eIDAS (electronic IDentification Authentication and Signature), che di fatto riconosce e rende omogenee e interoperabili le tipologie di firma elettronica a livello europeo». Reghelin ha sottolineato che sono tre le categorie definite dal Regolamento: semplice, avanzata e qualificata. «La firma grafometrica, normata a partire dal 2012, rientra nel concetto di firma elettronica avanzata. La grossa differenza con la firma qualificata è che mentre quest’ultima è rilasciata da un certificare che la rende un alter ego della sottoscrizione autografa, la firma elettronica avanzata non è un sistema generalizzato, ma circoscritto tra l’emittente della soluzione di firma e il sottoscrittore. Si tratta quindi di una piattaforma ristretta, che non nasce per effet-

Sonia Cosma Anellino, Enterprise Solution Sales Manager Italy Wacom

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REPORTAGE | WACOM: ECCO COME LA FIRMA GRAFOMETRICA GENERA NUOVO VALORE PER L’IMPRESA

«L’azienda dovrebbe adottare un pensiero digitale per cambiare lo status quo, interrogandosi sul ruolo della firma elettronica per ridisegnare i processi, anche quelli di acquisto e vendita»

tuare sottoscrizioni a distanza, mentre è ideale per documenti aziendali da far sottoscrivere per esempio a clienti e dipendenti». Una firma elettronica deve rispettare determinati requisiti per essere paragonabile a una firma cartacea. Ecco i principali tra quelli citati da Reghelin: «Deve garantire l’identificazione del firmatario del documento, la connessione univoca della firma al destinatario, il controllo esclusivo del firmatario del sistema di generazione della firma, ivi inclusi i dati biometrici eventualmente utilizzati per la generazione della firma medesima. Il firmatario deve poi avere la facoltà di ottenere evidenza di quanto sottoscritto». Ai parametri dell’eIDAS bisogna aggiungere anche i vincoli del GDPR (General Data Protection Regulation), diventato esecutivo lo scorso 25 maggio. Ed è proprio in quella data che c’è stato il roll out del progetto sviluppato da Scai e Wacom per Pirelli. Luigi Colombo, responsabile dei Servizi Amministrazione e Tesoreria del gruppo, ha spiegato che l’adozione della firma grafometrica ha indirizzato l’esigenza di Pirelli di semplificare i processi approvativi sulle nuove assunzioni, che presupponevano la sottoscrizione del candidato, del responsabile di divisione e del direttore. «Spesso la firma dei tre interlocutori viene apposta in momenti separati e distanti, senza contare l’aggravante che il formato cartaceo implica un’archiviazione dei contratti complessa e impossibile da automatizzare», ha detto Colombo. «Ora l’unica difficoltà è riuscire a far passare l’idea in tutti gli uffici che non c’è più carta da compilare e conservare». In effetti la sfida è prima di tutto culturale, e ha anche a che fare con la mancanza di consapevolezza dei costi legati all’uso della carta. È questo ciò che frena davvero in Italia la diffusione della firma elettronica avanzata secondo Daniele Rossi, CEO di SCAI Group. «Sono costi nascosti, frammentati nelle varie divisioni, che però diventano importanti se considerati in termini complessivi, arrivando a pesare su valori compresi tra il 3 e il 6% del fatturato globale di un’azienda», ha rilanciato Rossi. «Basti pensare che stimando un | 66 |

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volume di cento documenti al giorno, su formato cartaceo la produzione di ogni file costa 0,61 euro, mentre la sua gestione addirittura 1,35 euro. Dematerializzando il processo, i costi si riducono a quelli della sola produzione, e ammontano a 0,10 euro per documento. La digitalizzazione, lo sappiamo tutti, è un processo inevitabile, ma le si può andare incontro snellendo i processi, migliorando le performance e contenendo i costi anche con i semplici gesti delle attività quotidiane. L’importante è accompagnare i clienti lungo questo percorso ascoltando le specifiche esigenze dell’organizzazione, come abbiamo fatto con Pirelli». La tecnologia per portare avanti il progetto sul piano dell’hardware è stata fornita come detto da Wacom specialista dei supporti per l’apposizione della firma grafometrica. Sonia Cosma Anellino, Enterprise Solution Sales Manager Italy della società giapponese, ha raccontato qual è la filosofia del gruppo rispetto alla realizzazione dei device, che oltre a essere pratici ed ergonomici devono anche garantire la massima tenuta in fatto di sicurezza. «In Italia gli utenti prediligono tra le diverse opzioni che proponiamo il formato da 10 pollici, il più grande, che offre la possibilità di visualizzare i documenti nella loro interezza e di apporre eventualmente note autografe. Tutti i prodotti sono in ogni caso dotati di un sistema crittografico nativo, e nel caso il dispositivo sia predisposto all’acquisizione di dati biometrici, i nostri clienti possono contare sulla Dynamic Signature Verification (DSV), che misura l’esattezza delle informazioni inserite. Siamo inoltre in grado di suggerire partner qualificati per l’attivazione di servizi di firma elettronica in modalità mobile». Tutto questo, però, è solo l’inizio. Se al momento è specialmente la gestione documentale l’ambito che più trae vantaggio dall’implementazione di soluzioni di firma grafometrica, «nel medio termine - ha chiosato Rossi di SCAI Group - si potranno attivare servizi evoluti grazie all’integrazione con i sistemi ERP», abilitando per esempio meccanismi di automazione nei processi di acquisto e vendita.


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euHRnet, come guidare il cambiamento organizzativo con nuovi modelli di collaborazione

Per sopravvivere alla globalizzazione e riuscire a rimanere competitive, le imprese devono cambiare il modo di pensare, essere capaci di ragionare, decidere e comportarsi come farebbero se fossero dei semplici individui attenti e interessati alla propria crescita. Per Alfonso Carbone, Coach della società di formazione Kairos Coaching Project, bisogna guardare lungo due dimensioni: quella finanziaria, industriale e procedurale, e quella organizzativa, relazionale e creativa. «Gli ingredienti necessari oggi sono otto: la consapevolezza delle capacità, la valorizzazione delle potenzialità distintive, la capacità di analisi del contesto, la visione sul futuro, il coraggio nell’operare scelte condivise, la tolleranza, la resilienza e il rispetto. Ma non basta perché per portare a casa il risultato bisogna guardare a modelli innovativi e inediti». Per questo Kairos contribuisce alla rete d’impresa Euhrnet, specializzata in servizi di outsourcing di amministrazione del personale. La loro collaborazione rappresenta, infatti, un esempio di modello innovativo, che contribuisce a fornire alle Funzioni del personale gli spunti per interpretare attivamente il cambiamento organizzativo che le nuove sfide di mercato impongono, attraverso la co-definizione di una strategia e la co-implementazione di un modello gestionale più efficiente ed efficace, basato sulla metodologia del coaching rivolta a Manager, team e singole figure. «Ci siamo resi capaci di interpretare il nostro mercato di riferimento fatto di aziende in lotta per la sopravvivenza e abbiamo deciso di reagire e di interpretare un inedito ruolo allineato con le esigenze che cambiano. Ricchi dell’esperienza tecnica patrimonializzata e di una storia sul territorio allenato a interpretare le concrete

LA RETE DI IMPRESE, CHE EROGA SERVIZI PER L’AMMINISTRAZIONE DEL PERSONALE AZIENDALE, GRAZIE AL SUPPORTO DI KAIROS COACHING PROJECT PUNTA A FARE DA COLLETTORE A POTENZIALITÀ DISTINTIVE, RENDENDO PERSONE E TEAM PIÙ FORTI SOPRATTUTTO NEI MOMENTI DI CRISI

ALFONSO CARBONE Coach Kairos Coaching Project

esigenze dei clienti, ponendo sempre attenzione anche al fronte normativo e tecnico-organizzativo imposto dall’esterno, abbiamo deciso di unire le forze in modo innovativo, puntando alla valorizzazione di quanto ci rende eccellenti e unici». L’ufficio del personale, così come l’azienda in generale, è un’organizzazione costituita da processi, ruoli, mansioni e persone completamente diverse, e non sempre è facile trovare un equilibrio tra le esigenze e motivazioni dei singoli e del team nel suo complesso, tutto questo impatta poi sull’efficienza operativa e di conseguenza sul benessere comune. «La rete di imprese punta a fare da collettore a potenzialità distintive, rendendo le persone e i team più forti soprattutto nei momenti di crisi. Abbiamo infatti osservato che quando c’è un’indecisione, le Persone (e le Organizzazioni) assumono un atteggiamento comune “tipico” che porta ad abdicare dal proprio ruolo di auto-governo e trascurare l’autorevolezza, a favore di interpretazioni e indicazioni altrui o, più semplicemente, di un disarmante immobilismo. In questi casi la soluzione al problema, indipendentemente dal contesto, generalmente è ricercata nel bacino delle competenze specifiche e dei pareri di esperti, di consulenze e consulti allontanando di fatto da se stessi il controllo, il vero dominio e con esso l’intima conoscenza e natura della situazione oggetto di crisi».

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RUBRICA | RICERCHE E STUDI

ECOMMERCE B2B ITALIANO A QUOTA 335 MILIARDI: «CON FATTURA ELETTRONICA E AMAZON BUSINESS CRESCERÀ ANCORA» Il valore delle transazioni digitali tra aziende nel 2017 è salito dell’8%, e vale il 15% di tutti gli scambi B2B. 130mila imprese hanno il ciclo dell’ordine digitale: 13mila sono connesse via EDI e hanno scambiato 165 milioni di documenti. Le Extranet sono 470. L’Osservatorio Fatturazione Elettronica del Politecnico di Milano: «L’obbligo del gennaio 2019 è un passo importante, Amazon Business può avere un impatto dirompente»

«Nel 2017 l’eCommerce B2B tra imprese residenti in Italia ha raggiunto un valore di 335 miliardi di euro, crescendo dell’8% rispetto al 2016. Una cifra significativa, ma che rappresenta ancora solo il 15% del volume d’affari complessivo fra le imprese italiane, mentre è più alta (26%) l’incidenza dell’eCommerce B2B rispetto al transato delle aziende italiane verso l’estero, segno che le imprese che esportano sono digitalmente più mature. Ci aspettiamo che la fatturazione elettronica obbligatoria avrà un impatto positivo sulla crescita di questi valori nei prossimi anni». Così Riccardo Mangiaracina, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Fatturazione Elettronica & eCommerce B2B del Politecnico di Milano, ha presentato i dati di una delle sezioni del report 2018 dell’Osservatorio. Nel 2017 il fatturato totale delle aziende italiane è stato di 3600 miliardi di euro, di cui il 75% è fatto di transazioni tra privati (B2B, business-to-business): sono 2700 miliardi, di cui 2200 tra imprese italiane e 500 verso imprese estere. Solo il restante 25% (900 miliardi) è generato da acquisti del consumatore finale. «È per questo che da oltre 15 anni studiamo la digitalizzazione dei processi tra imprese (il Digital B2B), che ne presentiamo i benefici e che spieghiamo che questa trasformazione è un formidabile elemento di competitività per l’intero paese, oltre che per le singole imprese e le supply chain», ha detto Alessandro Perego, Direttore Scientifico degli Osservatori Digital Innovation. Circa 200 dei 335 miliardi, cioè il 60% dell’eCommerce B2b italiano, è prodotto da 6 filiere: automobile (25%), largo consumo (22%), farmaceutico (6%), tessile-abbigliamento (3%), elettrodomestici ed elettronica di consumo (2%), materiale elettrico (2%). Tutti settori caratterizzati da una buona diffusione dell’EDI, grazie alla presenza, in gran parte dei casi, di associazioni di filiera che hanno adottato e diffuso | 68 |

standard di scambio elettronico dei documenti tra gli aderenti. L’Osservatorio ha analizzato il mercato dell’eCommerce B2B in Italia articolandolo in due componenti: eSupply Chain Execution (qualsiasi soluzione tecnologica che supporti una o più di fasi del ciclo transazionale), ed eSupply Chain Collaboration (tutte le soluzioni digitali che supportano le attività collaborative tra cliente e fornitore, e in particolare controllo della Supply Chain, pianificazione, sviluppo prodotti, marketing e comunicazione). 13MILA IMPRESE CONNESSE TRAMITE SISTEMI EDI Circa 130mila imprese in Italia (il 2,6% del totale) hanno digitalizzato l’intero ciclo dell’ordine, adottando strumenti di eSupply Chain Execution (+8% rispetto al 2016). Fra queste, 13mila (+8%) sono connesse tramite sistemi EDI con cui si scambiano i principali documenti del ciclo dell’ordine (ordine, conferma d’ordine, avviso di spedizione e fattura). Oltre il 96% di esse appartiene a soli cinque settori: automobile, elettrodomestici ed elettronica di consumo, farmaceutico, largo consumo, materiale elettrico. Nel 2017 queste 13mila imprese hanno scambiato tra loro 165 milioni di documenti (+10% in un anno): il tipo più scambiato è la fattura (30% del totale dei documenti in EDI, +10%), seguito dall’ordine (18%, +7%) e dall’avviso di spedizione (13%, +8%). Le Extranet censite in Italia dall’Osservatorio sono 470, contro le 430 del 2016. Il settore in cui sono più diffuse è il metalmeccanico (12% delle Extranet attive), seguito da largo consumo (11%), automobile (9%), abbigliamento (9%), logistica (6%), materiale elettrico (6%), utility (6%), elettrodomestici ed elettronica di consumo (5%) e farmaceutico (5%). Le Extranet sono attivate tipicamente da grandi imprese (64% dei casi) per la comunicazione con

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medie imprese (23%), piccole imprese (8%) e micro realtà (5%). Supportano principalmente lo scambio di documenti del ciclo transazionale e informazioni amministrative, di produzione e di trasporto. Circa il 56% delle Extranet supporta le relazioni a monte (con fornitori), il 40% le relazioni a valle (con clienti), mentre il 4% è usato sia con i fornitori sia con i clienti. Nelle PMI invece le Extranet sono meno diffuse a causa di alcune barriere che ne frenano l’implementazione: difficoltà a coinvolgere clienti e fornitori abituati a soluzioni tradizionali (indicata dal 27% delle PMI), esiguo volume di documenti da scambiare con clienti e fornitori (23%), scarsa percezione dei benefici ottenibili (19%), alti costi di implementazione e gestione (17%) e necessità di attivare programmi di change management per gli addetti all’operatività quotidiana (13%). NON SOLO EDI O EXTRANET: IL 23% DIALOGA VIA SAAS Nel 2017 il 42% delle grandi aziende italiane ha attivato progetti collaborativi per gestire e scambiare documenti, dati operativi, strategici e indicatori di prestazione con fornitori e clienti. Nelle relazioni con i fornitori, i processi più interessati dalla collaborazione di filiera sono il controllo della supply chain (58% delle grandi aziende che hanno attivato una collaborazione), la comunicazione e marketing (36%), lo sviluppo e introduzione nuovi prodotti (33%) e la pianificazione della produzione (23%). Il quadro non è molto diverso nelle relazioni con i clienti: il 45% delle grandi aziende ha attivato progetti di controllo della supply chain, il 34% di marketing e comunicazione, il 27% di sviluppo di nuovi prodotti e il 26% di pianificazione della produzione. Accanto alle tecnologie come EDI ed Extranet, ne stanno emergendo altre più flessibili e innovative, come quelle in mo-


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dalità Software as a Service, usate dal 23% delle imprese nelle relazioni con i fornitori (sistemi EDI e Extranet sono adottati dal 25% e dal 22%), e dal 15%, nei rapporti con i clienti (contro il 18% EDI e il 18% Extranet). Sono tre le esigenze principali che spingono ad adottare soluzioni di collaborazione: contenimento dei costi (30% delle grandi aziende), recupero di competitività (28%) controllo dell’operato dei business partner (25%). I principali ostacoli indicati dalle grandi aziende sono il timore di perdere la riservatezza di informazioni e dati scambiati (15% delle aziende che non attivano progetti collaborativi), costi di attivazione troppo alti (10%), mancanza di volontà di investire in tali soluzioni (il 25% non li ritiene una priorità). Anche fra le PMI quasi una su quattro non considera i progetti collaborativi una priorità (24%) o non ne ha l’esigenza (23%). Fra le altre barriere figurano anche la convinzione che le soluzioni collaborative non siano adottabili nel business di appartenenza (10%) e la difficoltà a percepirne i benefici (9%). Tirando le somme, quindi, quello dell’eCommerce B2B in Italia

è un quadro in crescita ma non abbastanza. Come accennato da Mangiaracina, l’obbligo di fatturazione elettronica tra privati dall’1 gennaio 2019 può essere certamente un fattore favorevole per accelerare il DigitalB2B. «La speranza è che crescano gli investimenti in digitale – a cui oggi circa la metà delle imprese italiane dedica meno dell’1% del fatturato – e diminuisca il gap tra grandi imprese e PMI», ha confermato Perego. AMAZON BUSINESS: «IMPATTO POTENZIALMENTE DIROMPENTE» Un altro impulso significativo, aggiunge Mangiaracina, può venire dal lancio in Italia di Amazon Business, il marketplace di Amazon dedicato ad aziende e professionisti. Più in dettaglio Amazon Business mette a disposizione di aziende di ogni dimensione e professionisti 250 milioni di prodotti, sia per l’ufficio – computer portatili, stampanti, soluzioni di archiviazione, forniture per ufficio, mobili e articoli per la pulizia – sia per le esigenze dei singoli settori, per esempio per la sicurez-

za fisica, per le aziende automobilistiche, i ristoranti. Il tutto con funzioni tra cui visualizzazione di prezzi al netto dell’IVA, impostazione di procedure di approvazione e account multiutente, limiti di spesa personalizzati, gestione delle fatture, spedizione gratuita in Italia per ordini idonei. «Le funzionalità business aprono nuove possibilità sia di acquisto che di vendita alle imprese italiane, con la forza di un operatore globale che unisce alla grande offerta una capacità di servizio e orientamento al cliente tipica del B2C, dall’impatto potenzialmente dirompente nel settore». Da Amazon Business è presumibile attendersi un impatto sia sulla domanda che sull’offerta di eCommerce B2b in Italia, precisa Mangiaracina. «Da un lato c’è un nuovo punto di riferimento per l’impresa che acquista, che ha accesso a un’ampia gamma di referenze, nuove categorie e fornitori anche esteri. Dall’altro c’è un nuovo strumento di vendita per aziende B2B che prima di oggi non potevano utilizzare il portale rivolto al consumatore».

Fonte: Politecnico di Milano

165 MILIONI DI DOCUMENTI ELETTRONICI, IL 30% SONO FATTURE

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R U B R IC A | N OMIN E

MARIANGELA MARSEGLIA COUNTRY MANAGER, AMAZON ITALIA

Mariangela Marseglia è il nuovo Country Manager di Amazon Italia e Spagna. La manager è subentrata al dimissionario François Nuyts. Dal suo ingresso in Amazon nel 2010 Marseglia ha ricoperto diverse posizioni di rilievo. Dopo un’esperienza di 8 mesi a Seattle, al suo rientro è stata scelta per guidare il progetto Prime Now in Europa. Nel suo nuovo ruolo, la manager guiderà la prossima fase di sviluppo ed espansione di Amazon in Italia e Spagna dove negli anni sono stati creati rispettivamente oltre 3.500 e 2.000 posti di lavoro a tempo indeterminato. «Sono

felice di guidare il piano di sviluppo della compagnia per continuare a portare innovazioni ai clienti, alle piccole e medie imprese, agli autori e agli altri creatori di contenuti», ha dichiarato Marseglia Nata e cresciuta in Italia, ha vissuto in Francia, Stati Uniti e Regno Unito. Dopo la laurea in Economia aziendale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, prima di entrare in Amazon ha lavorato per oltre dieci anni in ambiti diversi, spaziando dalla consulenza al marketing e al business development, in società multinazionali come Price Waterhouse Coopers, Unilever e Mars Inc.

JÉRÔME FAVIER CEO, GRUPPO DAMIANI

Jérôme Favier è il nuovo CEO del Gruppo Damiani. Il manager è il primo non membro della famiglia a ricoprire questa carica. A lui spetta il compito di definire le strategie per tutti i marchi di proprietà del Gruppo, rispondendo direttamente a Guido Damiani per le scelte di vertice. La nomina risponde alla volontà della famiglia di definire un modello di business che intrecci con coerenza le diverse identità dei brand. Favier ha maturato una consolidata

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esperienza dirigenziale, iniziata in Danone e Unilever, prima di affacciarsi nel settore del lusso: nel 1994 è entrato in Richemont occupandosi delle strategie di Cartier e poi di Jaeger-LeCoultre. A seguito della nomina, Damiani ha modificato anche l’organizzazione commerciale con lo scopo di potenziare la collaborazione con i partner nell’ambito della gioielleria di marca e con la volontà di privilegiare coloro che investiranno nella gamma dei marchi del gruppo.

HANNO COLLABORATO

PROGETTO GRAFICO

Domenico Aliperto, Nicoletta Boldrini, Annalisa Casali,

Stefano Mandato

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IMMAGINI

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Illustrazioni di Fabio Margarita

IMPAGINAZIONE Luca Migliorati

La catena Maxi Zoo, dedicata ad alimenti e accessori per animali, ha nominaTipolitografia to Pagani srl - Via Adua, 6 Passirano (BS) Amministratore Delegato Gianluca di Venanzo. Il manager, nel corso della sua STAMPA

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dicembre 2018:



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