Benedetto Carpaccio - di Sabina Parma

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Benedetto Carpaccio

non nella forma monogrammata “IHS”.

Adorazione del Nome di Gesù Olio su tela, cm 320x260 1541 Iscrizione: BENETTO CARPATHIO VENETO PINGEVA MDXXXI Sul nastro sostenuto dagli angeli. IN NOMINE IESU OMNE GENU FLECTATUR CELESTIUM, TERRESTRIUM ET INFERNORUM / ET OMNIS LINGUA CONFITEATUR QUIA DOMINUS NOSTER JESUS CHRISTUS IN GLORIA EST DEI PATRIS Già Capodistria, Chiesa di Sant’Anna Già Mantova, Palazzo Ducale Gemona del Friuli, Santuario Antoniano La pala fu compiuta da Benedetto per un altare della Chiesa di Sant’Anna, dei Minori Francescani a Capodistria, e rimase in loco fino al 1940 quando vi fu tolta per preservarla da un possibile pericolo bellico. È stata conservata per alcuni anni presso il Palazzo Ducale di Mantova assieme al polittico di Cima da Conegliano, alla Deposizione di Girolamo da Santacroce e ad altre opere provenienti dalla chiesa conventuale. Il dipinto è stato restaurato nel 1997 e si trova in buono stato di conservazione. Nella parte inferiore sono raffigurati, in ginocchio, san Francesco con in mano il crocifisso e san Bernardino con il libro, ai loro lati, in piedi, san Giovanni Battista e san Paolo. Alle spalle dei santi compare una veduta delle antiche mura di Capodistria: secondo Majer si tratta invece di una preziosa raffigurazione di Castel Leone, antico castello che si trovava fin dal Duecento sulla strada che univa la città alla terraferma e che fu abbattuto per ordine del governo austriaco nel 1820. Nella parte superiore il nome di Gesù è inscritto in una raggiera fiammata, sostenuto da una ghirlanda di cherubini, mentre altri angeli sorreggono l’iscrizione glorificatrice secondo l’iconografia codificata da Bernardino nelle Pratiche Volgari, che però non viene qui seguita alla lettera, dato che il nome appare nella forma completa “JESUS” e

Tipica di Benedetto è la simmetria dell’insieme: persino gli slanci dinamici, quasi “barocchi” della composizione o dei santi si risolvono tutti in un calcolato equilibrio, tipica anche la disposizione delle figure, collocate in primo piano su di una fittizia piattaforma lapidea dietro la quale si stende il paesaggio senza piani intermedi. Ad un’analisi anche sommaria dei vari elementi del dipinto si rivelano ad uno ad uno gli spunti vittoriani recuperati dal pittore: il san Paolo richiama il santo omonimo della pala di San Domenico a Chioggia e il san Tommaso del Polittico di Pozzale, chiaramente le tre figure sono state ricavate da un medesimo modello ereditato da Benedetto, il quale lo ha reimpiegato per delineare il suo santo capodistriano, rovesciandolo e modificando alcuni dettagli nella stesura finale. Benedetto non ha saputo tuttavia ricalcare al meglio il disegno del santo e ne ha allungato eccessivamente la figura e il braccio che regge il libro sino a renderlo sproporzionato e incombente sugli altri personaggi. Il trattamento “barocco” delle pieghe crea un singolare contrasto con la secchezza lineare riscontrabile nei mantelli dei frati e del Battista. Per la stessa severità “alvisiana” i due santi francescani si rivelano affini alle figure che affiancano la Vergine nella pala di Pirano, ma il san Bernardino ha un precedente iconografico preciso in un disegno degli Uffizi con un monaco inginocchiato (n. 1471 e verso, Muraro 1977, pp. 41-42). A sua volta il san Giovanni, pur non richiamando un modello specifico ci ricorda, per la sinuosa linea neogotica che lo contraddistingue, il santo omonimo della Pala di San Vitale a Venezia (1514). Interessante è anche la ripresa delle figurine di orientali tanto frequenti nelle tele di Vittore: con lo stesso amore per l’esotico del padre, Benedetto le colloca davanti alla monumentale porta che conduce alla città, senza curarsi troppo del fatto che esse non c’entrino molto col soggetto della sua raffigurazione.

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Queste scontate riprese iconografiche hanno alimentato il giudizio di un Benedetto pittore eclettico e parassitario, bisogna tuttavia convenire con Bruno Majer quando afferma che la presenza pregnante del modello paterno è stata qui benefica per l’arte del figlio, che in questo dipinto si rivela più felice nello scandire lo spazio e nel rendere la veduta sullo sfondo. Notevole anche la precisione da miniaturista, memore anch’essa di Vittore, con cui


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