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Castelli in aria Quando Piermaria arrivò a casa nostra, mai avrei immaginato che avrebbe potuto cambiare la nostra vita. Ma che avete capito? Piermaria non è un cane... lui era il nostro baby sitter. Era un ragazzo strano come il suo nome. Per me Piermaria non era un nome composto, ma un nome misto, mezzo maschile e mezzo femminile e pure lui era così. Aveva i capelli lunghi e imprigionati in un mollettone nero e la barba incolta, le mani grosse e forti e gli orecchini a forma di cuore, maglioni informi e uno zainetto di pelle rosso... insomma era strano. Che fosse dalla parte della mamma lo capimmo subito, infatti faceva esattamente tutto quello che la mamma avrebbe voluto che noi attuassimo. Solo un’ora di computer, la TV solo dopo aver terminato i compiti, riordinare i giochi prima di cena e capire che oltre ai cartoni esistono anche i documentari, i libri e le buone maniere. Se ve la devo dire tutta, quello che più mi rodeva era che nonostante i miei quasi quattordici anni, la mamma ancora pensava che era necessario un babysitter in sua assenza. Per i miei fratelli ok, ma io… insomma, potevo controllarmi da solo! Nessuno era stato ad ascoltarmi e alla fine mi ritrovavo con la guardia del corpo. Piermaria ci costringeva, nei pomeriggi primaverili, a lunghe passeggiate all’aria aperta e ci spiegava il mondo intorno a noi, ci invitava ad osservare persone e paesaggi, ad andare oltre l’apparenza e a trarre conclusioni. Ci parlava tantissimo, di tutto: del suo cane Raf, di sua nonna Geltrude e dei suoi studi all’università. Quando io e mio fratello Giorgio litigavamo, lui ci osservava in silenzio, poi ci chiedeva: “chi ha vinto?” Noi lo guardavamo stupiti e lui ci spiegava la nostra insulsa stupidità nell’aver perso tempo a battagliare per un pezzo di cioccolata in più o per chi, per primo, avesse finito gli esercizi.