Gabriele d'Annunzio e il figlio Veniero

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BIBLIOTECA DANNUNZIANA Collana diretta da Franco Di Tizio

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Con 61 illustrazioni fuori testo Copertina ideata e progettata da Walter Travaglini Š 2016 Ianieri Editore www.ianieriedizioni.it – info@ianieriedizioni.it Tutti i diritti riservati. ISBN: 978-88-97417-76-7


Franco Di Tizio

Gabriele d’Annunzio e il figlio Veniero

IANIERI EDITORE



Alla N.D. Stefania Rovai in ricordo della nobile figura del marito Gabriele d’Annunzio Jr, figlio di Veniero



Nota introduttiva

Una sera di oltre vent’anni fa, per la precisione nel 1993, mi telefonò Maria Grazia Di Paolo da Pescara, per dirmi che stava curando il carteggio tra d’Annunzio e suo figlio Veniero, e che si rivolgeva a me per avere notizie sulla famiglia Pomilio, la quale era in ottimi rapporti con Veniero d’Annunzio. Le dissi di darmi un po’ di tempo per le ricerche. Il giorno dopo telefonai a un mio zio acquisito, Rocco Matricardi - classe 1905, marito di Anna, sorella di mio padre – il quale aveva lavorato per moltissimi anni alle dipendenze della famiglia Pomilio, svolgendo non solo la funzione di autista ma quella di factotum; fu assunto nel 1935 e lavorò dapprima per Ottorino e poi per il fratello Umberto, entrambi ingegneri, scopritori e produttori della cellulosa.1 Fu così che quando la Di Paolo, residente a New York ma abruzzese perché originaria di Villa Santa Maria, mi ritelefonò, le riferii tutte le notizie che ero riuscito ad avere su Livio Pomilio e sui suoi undici figli, cioè su Carlo, Alessandro, Federico, Ernesto, Ottorino, Umberto, Amedeo, Vittorio, Giulio, Amalia e Beatrice. Le dissi che Livio, capostipite della dinastia, era nato a

1  Cfr. Franco Di Tizio, Ricordanze della mia vita, edizione postuma a cura di Franco di Tizio [nipote dell’autore], Francavilla al Mare, 17 febbraio 1998, p. 17 [Edizione non venale di venti copie numerate e firmate dal curatore]. Franco Di Tizio (Ortona, 23 settembre 1921 – 17 febbraio 1997), gemello di mio padre, scrisse le sue memorie, esaudendo una mia richiesta, quando, colpito da un male incurabile, si trovava negli ultimi mesi di vita.

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Piano d’Archi e che i figli, quasi tutti laureati, avevano ricoperto cariche importanti nella società dell’epoca. Precisai che Alessandro, ingegnere, lavorò agli aerei Caproni in America; Amedeo, laureato in chimica, fondò a Pescara la fabbrica di liquori Aurum; Umberto, Ottorino e Ernesto lavorarono agli stabilimenti di cellulosa, su brevetto di Umberto in Argentina; Federico, avvocato delle Ferrovie dello Stato, fu per tanti anni Sindaco di Francavilla al Mare. Queste e poche altre furono le notizie che riuscii a darle, poiché soltanto molti anni dopo due libri fecero ampiamente luce su questa importante famiglia di imprenditori.2 Di tutte queste mie ricerche, però, alla giovane ricercatrice interessavano soltanto Ernesto e, principalmente, Alessandro, il quale lavorò negli Stati Uniti con Veniero per conto dell’azienda aeronautica di Gianni Caproni. Alcuni mesi dopo, comunque, fu pubblicato l’annunciato carteggio3 ma della Di Paolo, che mi lasciò il suo indirizzo e numero di telefono di New York che conservo tuttora, non seppi più nulla. La sua pubblicazione, comunque, riguardava soltanto una parte del rapporto tra d’Annunzio e il figlio, cioè quello dal 1917 al 1937, quando Veniero visse negli Stati Uniti, e tralasciava volutamente ciò che avvenne dal 1887 al 1916, vale a dire nei primi trent’anni di vita del terzogenito del Poeta. D’Annunzio ebbe cinque figli, di cui tre legittimi, Mario, Gabriellino e Veniero, nati dalla moglie Maria Hardouin dei Duchi di Gallese, e due, Renata Anguissola e Gabriele Cruillas, avuti durante la convivenza con Maria Gravina.

2  Cfr. Giuseppe Iacone, Il genio dei Pomilio, Pescara, Poligrafica Mancini, 2007; Paolo Smoglica, Le ali della creatività. I Pomilio: una storia imprenditoriale dall’aereonautica alla comunicazione, prefazione di Giordano Bruno Guerri, postfazione di Ginger Law, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2013. 3  Gabriele d’Annunzio, Carteggio inedito con il figlio Veniero (1917-1937), a cura di Maria Grazia Di Paolo, Milano, Mursia, 1994, pp. 144.

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Alcuni anni fa avevo cominciato a scrivere un libro dal titolo D’Annunzio padre “sui generis” nel quale intendevo dimostrare che il Poeta nei confronti dei figli non fu né buono né cattivo ma “sui generis”, cioè un padre atipico, come del resto furono atipici tutti i comportamenti dannunziani. Ebbi a scrivere che era stato un genitore del tutto particolare, con caratteristiche proprie, non facilmente definibili; un personaggio che, partendo dall’idea di fare della propria vita un’opera d’arte, aveva insite in sé l’originalità e la singolarità dei rapporti con tutti, vale a dire con amici, nemici, uomini, donne, amanti, famigliari e tant’altri, tra cui i figli. Il libro D’Annunzio padre “sui generis” non vide, però, mai la luce perché quando terminai di trascrivere tutte le missive tra il Poeta e i cinque figli, mi accorsi che il lavoro avrebbe sviluppato un volume di diverse migliaia di pagine; sono stato costretto, pertanto, a dividerlo in più pubblicazioni per riportare integralmente tutta la documentazione che ero riuscito a reperire. Già quando iniziai la trascrizione delle missive, nel 2004, mi resi conto che troppe imprecisioni erano state scritte sul Poeta nel ruolo di genitore, dovute, sicuramente, alla non conoscenza di tutti i documenti. Nel 1941, infatti, a meno di tre anni dalla morte di d’Annunzio, mentre tutti i suoi figli erano viventi, Tomaso Fracassini scrisse un lungo articolo, dal titolo Tribolazioni paterne di Gabriele, apparso nella «Rassegna italiana», dove, occupandosi del Poeta nel travagliato periodo liceale dei figli Mario e Gabriellino, affermò che «in d’Annunzio il sentimento della famiglia non trova largo spazio nelle sue opere, ciò è dovuto al fatto che la sua arte è nel dominio di una natura esuberante che lo costrinse a manifestarsi sotto forme più carnali e più violente»4. Nel 1948 Francesco Saverio Nitti, uno dei più aspri nemici del Po-

4  Tomaso Fracassini, Tribolazioni paterne di Gabriele, in «Rassegna italiana», Roma, n. 272, gennaio 1941.

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eta, nel volume Rivelazioni: dramatis personae 5, così si espresse sul rapporto di d’Annunzio con i figli: «Nella sua singolare famiglia, di cui si occupava così poco o non si occupava affatto, aveva una figlia adulterina, Renata, e aveva tre figli legittimi, Mario, Gabriele e Ugo, e quest’ultimo, con l’abitudine che egli aveva di inventare e deformare sempre la realtà, preferiva chiamare e farlo chiamare Veniero. Ma era la figliuola illegittima per cui aveva, se le espressioni sue non erano in tutto artificiali, una vera tenerezza. Dei figli non si occupò mai ed essi non parteciparono alla sua vita e ancor meno alle sue gesta, che furono soltanto i suoi gesti. I figli consideravano il padre come un commediante egoista, che si concedeva ogni genere di larghezza e di lussi e abbandonava spesso la famiglia in tutte le difficoltà»6. L’anno dopo anche lo scrittore e giornalista Antonio Baldini non fu benevolo con il Poeta quando volle illustrare la sua figura di genitore.7 L’anno successivo Mario d’Annunzio, il primogenito, nel primo capitolo delle sue memorie, fece questa affermazione: «Alludendo a talune mie personali circostanze, un intelligente pubblicista scrisse or è qualche tempo che “quello che i padri insigni prendono dalla vita è spesso sottratto al diritto dei figli”»8. Nel 1957 sempre Mario riferì che il genitore un giorno aveva affermato in tono scherzoso, ma con profonda tristezza e umiltà: «Mi accusano di essere stato un cattivo marito e un cattivo padre;

5  Cfr. Francesco Saverio Nitti, Rivelazioni: dramatis personae, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1948. 6  Francesco Saverio Nitti, Scritti politici, Volume VI (Rivelazioni – Meditazioni e ricordi), a cura di Giampiero Carocci, Bari, Laterza, 1963, p. 373. 7  Antonio Baldini, Gabriele d’Annunzio in figura di padre – Speranze e crucci di Gabriele, in «Corriere della Sera», Milano, 28 ottobre 1949; e, dello stesso autore, Rabbuffi di papà carezze di mammà, in «Corriere della Sera», Milano, 4 novembre 1949. 8  Mario d’Annunzio, Con mio padre sulla nave del ricordo, Milano, Mondadori, 1950, p. 9.

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hanno ragione, lo so. Ma io sono stato sempre schiavo della mia vita cerebrale. Per me non c’era altra via d’uscita: o diventare un grande poeta o essere un buon padre di famiglia»9. Non pochi sono stati i biografi dannunziani che, dagli anni Sessanta in poi, si sono occupati, seppur marginalmente, del Poeta nel ruolo di padre. Nel 1960 Guglielmo Gatti affermò: «Sarebbe fuori luogo sostenere che d’Annunzio fu un padre esemplare. Il suo concetto della famiglia, e degli obblighi che la famiglia impone, fu molto rudimentale. Ma sarebbe altrettanto inesatto dire che egli si disinteressò completamente dei figli e che non fece nulla per loro. Si preoccupò invece con vera passione della loro educazione ed istruzione. A Cicciuzza in specie dedicò speciali cure. Sorprende veramente che un uomo così poco ligio alla morale comune, come egli era, si preoccupasse tanto del salvataggio morale della figliuola. Fece, per i figli, quel che i mezzi di cui poté disporre e le circostanze della vita gli consentirono»10. L’anno dopo Gatti tornò sull’argomento con un articolo dall’esplicito titolo Quando scriveva ai figli d’Annunzio non firmava papà. 11 Il 13 agosto 1964, due giorni dopo la morte di Mario d’Annunzio, Gilberto Severi su «Stampa-sera» si scagliò contro il genitore intitolando il necrologio La morte del primogenito del poeta. “Non mi lasciò neanche una cravatta” diceva il figlio di Gabriele d’Annunzio. Nel 1978 Raffaele Tiboni, invece, spuntò una lancia a favore del Poeta precisando: «L’affetto viscerale per la madre è universalmente noto, anche se taluno - prendendo a pre9  Mario d’Annunzio, Vi racconto la vita intima di mio padre Gabriele d’Annunzio, memorie pubblicate in sei puntate nella rivista «Oggi» dal 28 novembre 1957 al 2 gennaio 1958. 10  Guglielmo Gatti, D’Annunzio marito e padre. Aneddoti poco noti nella vita del Poeta. Cicciuzza, la figlia amorosa e prediletta, in «Il Tempo», Roma, Anno XVII, n. 277, 6 ottobre 1960, p. 7. 11  Guglielmo Gatti, Quando scriveva ai figli d’Annunzio non firmava papà, in «Il Gazzettino», Venezia, 14 novembre 1961.

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testo le assenze del poeta - lo giudica insincero. L’inno alla madre, i versi del Poema paradisiaco, le numerose pagine del Notturno, e le molte lettere (non tutte finora note) a lei, alle sorelle, ai parenti, alla fedele domestica, agli editori, ai parroci, non ne costituiscono una valida testimonianza? E l’affetto e l’interessamento per i figli, fino alla maggiore età ed oltre, possono realmente definirsi tiepidi?»12. Nel 1984 Giorgio Pillon su «Oggi» scrisse l’elzeviro Esclusivo: da una lettera inedita, un ritratto sconcertante di d’Annunzio nei panni di padre. Parola di Vate, ho sommo disprezzo di questo figlio, dove, riferendosi a Gabriellino, affermò: «Aiutò i figli? Certamente, anche se chi risolse tutto fu Benito Mussolini […] Dunque d’Annunzio non fu un cattivo padre […] Ma tutti i figli di d’Annunzio ebbero le mani bucate. Tutti vendettero a piene mani cimeli, ricordi, autografi paterni»13. Lo stesso Pillon l’anno dopo rincarò la dose pubblicando sul «Borghese» quest’altro articolo: Marito infedele e genitore singolare. Gabriele d’Annunzio padre. Una lunga lettera, rimasta inedita per trentacinque anni, ripropone il curioso problema dibattuto dagli storici: il poeta di «Alcione» fu davvero un padre esemplare?14. Scrisse Rinaldo Orengo nel 1985: «Quanto al comportamento di d’Annunzio verso i figli “regolari” il suo contegno oscillò fra l’affettuoso interessamento e l’indifferenza: a seconda delle circostanze e dello stato d’animo […] Egli dedicò ai tre figli le Odi navali, forse con la speranza d’averli a fianco nella prevista battaglia “per la più grande Italia”: ma pare che il seme non abbia fruttificato. Il Venie12  Lettere di D’Annunzio a Maria Gravina ed alla figlia Cicciuzza, a cura di Raffaele Tiboni, Pescara, Arti Grafiche Garibaldi, 1978, pp. 37-38. 13  Lettere di D’Annunzio a Maria Gravina ed alla figlia Cicciuzza, a cura di Raffaele Tiboni, Pescara, Arti Grafiche Garibaldi, 1978, pp. 37-38. 14  Giorgio Pillon, Marito infedele e genitore singolare. Gabriele d’Annunzio padre. Una lunga lettera, rimasta inedita per trentacinque anni, ripropone il curioso problema dibattuto dagli storici: il poeta di «Alcione» fu davvero un padre esemplare?, in «Il Borghese», Milano, 20 gennaio 1985, p. 166.

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ro, dei tre il più lontano da lui, col tempo si staccò dalle “fantasie” paterne a tal punto, da abbandonare la Patria anche concretamente rinunciando alla cittadinanza per assumere quella statunitense!»15. Il 12 aprile 1988 Nicola D’Amico su «Magazine» si pronunciò ancor più pesantemente sul Poeta; intitolò, infatti, il suo elzeviro Esclusivo: lettere inedite di d’Annunzio ai suoi figli, seguito dal sottotitolo Caro Padre Crudele, e aggiunse, a caratteri cubitali, questa dichiarazione: Fece arrestare il primogenito Mario, a Gabriellino negò perfino le scarpe usate, sfruttò Renata come infermiera. D’Amico precisò, tra l’altro: «In una lettera all’amico Annibale Tenneroni, il poeta sbuffava: “Io doveva sempre generar libri e non figlioli” (ma ce l’ha soprattutto con il figlio Mario, che è somaro a scuola ed è un irriducibile “cerchino” di denaro e sempre lo sarà: un giorno a Gardone, D’Annunzio lo farà persino arrestare dalla polizia, per non essere molestato)»16. L’anno dopo Antonio Debenedetti, scrittore e critico letterario, in un articolo pubblicato su «Corriere Cultura», dal titolo D’Annunzio: «Sono padre snaturato», affermò: «D’Annunzio è stato un padre distratto, solo a intermittenza premuroso con i figli»17. Nel 1994 Maria Grazia Di Paolo, riferendosi ai rapporti col figlio Veniero, così si espresse: «Forse per via delle sue ripetute permanenze all’estero, i biografi si sono occupati molto poco di Veniero e, semmai qualche accenno è stato fatto, non hanno mancato di menzionare il disinteresse del padre che tuttavia non trova 15  Rinaldo Orengo, L’Aedo. Gabriele d’Annunzio visto da Gabriele d’Annunzio. Rassegna antologica commentata, Sanremo, Edizioni Casabianca («MIZAR»), 1983 (ma finito di stampare nella Tipolitografia Casabianca di Sanremo nel febbraio 1985), p. 525. 16  Nicola d’Amico, Esclusivo: lettere inedite di d’Annunzio ai suoi figli, in «Magazine italiano», Milano, n. 12, Aprile 1988. 17  Antonio Debenedetti, D’Annunzio: «Sono padre snaturato». Un uomo negato alla paternità premuroso solo a intermittenza, in «Corriere Cultura» (inserto domenicale del «Corriere della Sera»), Milano, 5 febbraio 1989.

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conferma nell’epistolario degli anni più maturi. Nondimeno, negli anni giovanili Veniero deve aver sofferto molto per l’assenza del padre, per il quale nutriva ammirazione e tenerezza mai intaccate dalle alterne vicende della vita di entrambi»18. Nel 2004 Maria Giovanna Sanjust, riferendosi al figlio Mario, ha invece affermato: «Si è spesso invero rimarcato che d’Annunzio non fu un genitore particolarmente presente19 e certo, come osserva il Gatti, non fu “un padre esemplare” avendo un “concetto della famiglia, e degli obblighi che la famiglia impone, […] molto rudimentale”; non ebbe nei confronti dei figli, come del resto raramente accade in un Artista, un affetto paterno nel senso comune del termine […] visse un sofferto sentimento di paternità, come è confessato in una lettera ad Angelo Conti del 4 ottobre 1895»20. Scrisse nel 2008 Giordano Bruno Guerri: «Mario, Gabriellino e Veniero furono sempre trattati con alterigia e sufficienza dal padre, risentito perché non avevano ricevuto abbastanza del suo genio»21. Mi sono soffermato su alcune affermazioni di biografi dannunziani che si sono occupati dei rapporti tra il Poeta e i figli per dimostrare come le conoscenze su questo argomento nel passato erano piuttosto scarse e frammentarie, e per riferire che d’Annunzio, nell’opinione comune, è sempre stato considerato un genitore alquanto disinteressato nei confronti dei figli. Del resto lui stesso,

18  Gabriele d’Annunzio, Carteggio inedito con il figlio Veniero (1917-1937), cit., p. 113. 19 ������������������������� Milva Maria Cappellini, Lettere di Gabriele d’Annunzio e Maria di Gallese al Cicognini di Prato – Lettere di ex-Cicognini a Gabriele d’Annunzio, in «Rassegna dannunziana», Pescara, Anno XV, n. 33, Aprile 1998, p. XXV. 20 ������������������������� Maria Giovanna Sanjust, Note per l’edizione del carteggio Gabriele - Mario d’Annunzio, in D’Annunzio epistolografo, Atti del 31° Convegno internazionale di Studi dannunziani, Pescara, 2004. 21  Giordano Bruno Guerri, D’Annunzio. L’amante guerriero, Milano, Mondadori, 2008, p. 76.

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nel 1892 a ventinove anni, non aveva dato una buona immagine di sé nel ruolo di padre facendo questa dichiarazione riportata nel «Mattino»: «Un artista deve augurarsi che il suo spirito sia fecondo e la sua carne sia sterile. Egli deve rinunciare alla posterità carnale, in profitto dell’opera sua. È da compiangersi colui che, avendo prodotto un figlio, dice: “Ecco il mio capolavoro!” Può essere ch’egli si rassegni a quello solo»22. Era ben nota, inoltre, la famosa frase che scrisse ad Annibale Tenneroni23 nel luglio 1903: «Ahi, io doveva generar sempre libri e non figliuoli!». Vi è da dire, però, che nel 1934 il Poeta, negli anni del tramonto, cambiò opinione e si espresse in tutt’altro modo; Camillo Antona Traversi, infatti, nel libro Curiosità dannunziane ebbe a scrivere: «Fu detto da molti che d’Annunzio non si occupò dei suoi figli, e che li abbandonò a sé medesimi. Egli stesso diede un’aperta smentita a sì fatta opinione a Emile Gautier nel Temps: “Ci sono delle leggende assurde che corrono sul mio conto! Si va ripetendo che io non mi occupo dei miei figli, che io li ho abbandonati. La verità è che io non li perdo mai di vista e che li amo molto. Essi, a loro volta, mi adorano.”24»25. Come ho accennato, sono stato quindi indotto a pubblicare più di un libro per chiarire il tipo di relazione che il Poeta ebbe con i figli. Del rapporto con Mario mi sono occupato, sebbene in maniera 22  Gabriele d’Annunzio, Note su la vita. Sono un Artista, in «Il Mattino», Napoli, 22-23 settembre 1892. 23  Annibale Tenneroni (1855-1928), letterato e umanista, fu amico e collaboratore di d’Annunzio. Di lui il Poeta, definendolo «candido fratello», si servì spesso per la correzione delle bozze. Gabriele gli diede numerosi incarichi, che egli svolse con profonda devozione e professionalità. 24 ������������������ Testo originale: Que de légendes absurdes courent sur mon compte! On va répétant que je ne m’occupe pas de mes fils, que je les ai abandonnés. La vérité est que je ne les perds pas de vue, que je les aime beaucoup. Eux, de leur côté, m’adorent. 25  Camillo Antona Traversi, Curiosità dannunziane, Roma, Casa del libro, 1934, p. 121.

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sintetica, nella «Rassegna dannunziana»; nel numero 47 ho riportato, infatti, il loro carteggio negli anni 1895-1910, in quello successivo ho trattato la corrispondenza intercorsa dal 1911 al 1915, nel numero 49 mi sono riferito al periodo 1916-1923, nel fascicolo 50, infine, che ha visto la luce nell’ottobre 2006, ho affrontato gli anni 1924-1938. Spero di tornare sull’argomento nel mio prossimo libro per approfondire i loro rapporti. Su Gabriellino, invece, dopo alcune anticipazioni nella «Rassegna dannunziana» e un intervento nel convegno su D’Annunzio epistolografo, ho pubblicato l’intero carteggio nel luglio 2010.26 Nel luglio 2015 ho dato alle stampe la corrispondenza tra d’Annunzio e la figlia Renata,27 mentre il volumetto su Gabriele Cruillas ha visto la luce nel gennaio 2016.28 Spero che tali carteggi, compreso quest’ultimo su Veniero, possano contribuire ad aggiungere un altro tassello alla biografia dannunziana. Nel 1994 Maria Grazia Di Paolo, a proposito del libro da lei curato, ebbe a precisare: Il presente volume appaga - hoc est in votis - il desiderio degli studiosi che si occupano del corpus epistolare dannunziano - doppiamente allettante per il biografo come per il critico - convinti, come siamo, che tutto quel che possa contribuire a farci meglio capire la vita, la cultura e l’arte del Poeta meriti di essere conosciuto. Il Carteggio Gabriele-Veniero d’Annunzio abbraccia un arco di tempo che va dal 1917 al 1937 e coincide con i viaggi e l’eventuale permanenza di

26  Cfr. Franco Di Tizio, La tormentata vita di Gabriellino d’Annunzio nel carteggio inedito con il padre, Pescara, Ianieri, 2010. 27  Cfr. Franco Di Tizio, D’Annunzio e la figlia Renata. Carteggio inedito1897-1937, Pescara, Ianieri, 2015. 28  Cfr. Franco Di Tizio, Gabriele Cruillas. Il figlio non riconosciuto da d’Annunzio, Pescara, Ianieri, 2016.

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Veniero a New York. La lettera N. 1 del 3 giugno 1917 non è la prima conservata nell’archivio del Vittoriale, la casa museo ove d’Annunzio visse gli ultimi diciassette anni della sua vita; ma è la prima che evidenzia un contatto epistolare nel periodo USA, quando cioè vengono a crearsi le condizioni per un rapporto ben saldo tra il Poeta e il figlio Veniero.29 L’epistolario relativo al Carteggio Gabriele-Veniero d’Annunzio si trova catalogato e archiviato presso la Fondazione Il Vittoriale degli Italiani. Esso rappresenta una sezione dell’Archivio Personale che, col passare degli anni, si è sempre di più arricchito. Il 9 febbraio 1968 gli eredi di Ugo Veniero d’Annunzio cedevano al Vittoriale le lettere autografe del Poeta al figlio Veniero (per una descrizione dettagliata, cfr. «Quaderni dannunziani», XXXVIII-XXXIX del 1969, pp. 143-146), che andavano ad aggiungersi al gruppo di quelle di Veniero al padre, già esistenti negli archivi dello stesso Vittoriale. Pertanto, la presente raccolta di autografi è stata tratta essenzialmente dai due diversi fondi dell’Archivio Personale. A complemento dell’epistolario è stato aggiunto in appendice del materiale pertinente (lettere e telegrammi, Appendice I), proveniente sia da quegli archivi, sia da biblioteche esterne da me segnalate in nota al testo, oltre a un profilo biografico di Veniero d’Annunzio (Appendice II). / Il Carteggio è stato ordinato e numerato per ordine cronologico. Le date mancanti nell’originale, indicate tra parentesi quadre, sono desunte sia dal bollo nel caso di telegrammi e cartoline, sia dal contenuto delle missive. Le parole e le frasi sottolineate sono in corsivo; per quelle sottolineate più volte se ne dà l’indicazione. Nella trascrizione dei testi, sono state corrette soltanto le evidenti sviste ortografiche (in particolare nella lettera N. 167 di Antonio d’Annunzio al fratello); si sono, invece, conservate le

29  Gabriele d’Annunzio, Carteggio inedito con il figlio Veniero (1917-1937), cit., p. 5.

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infrazioni grammaticali che fanno parte dell’usus scribendi dei corrispondenti. Le note presentano un maggior o minor numero di dettagli a seconda della dovizia delle informazioni e della rilevanza che ogni singola voce assume nel contesto delle missive.30 In questo libro non riporto soltanto la corrispondenza tra d’Annunzio e il figlio nel periodo statunitense ma il carteggio completo. Ho cercato, inoltre, di scrivere una vera e propria biografia di Veniero e quella di suo figlio Gabriele Junior, che ho conosciuto nei suoi ultimi anni di vita, una figura eccezionale che si spense prematuramente nel 1996, all’età di 54 anni. Tutte le missive tra il Poeta e il figlio riportate in questo libro sono inedite, a eccezione di quelle pubblicate dalla Di Paolo, le quali sono contrassegnate da un asterisco a fine documento. Veniero nacque a Roma nel 1887 mentre il padre si trovava a Venezia. Sulla sua infanzia esistono poche notizie, oltre al fatto che aveva una passione per il violino «che suonava benissimo». Dal 1899 al 1905 fu mandato a studiare in Svizzera nell’Istituto Internazionale San Gallo. Proseguì gli studi nel Politecnico di Zurigo, dove si laureò in Ingegneria Meccanica nel 1909. Lo stesso anno fu assunto come ingegnere dalla Brown-Boveri, che aveva la sua sede proprio a Zurigo. Dal 1° dicembre 1910 al 3 dicembre dell’anno successivo svolse il servizio di leva a Milano. Dopo il congedo si stabilì nel capoluogo lombardo, dove qualche mese dopo fu assunto dall’azienda Pirelli, specializzata nella produzione di pneumatici e nella fabbricazione di articoli di gomma. Nel 1913 sposò Hélène Nussberger, trentaduenne, figlia di un industriale svizzero, dalla quale il 2 marzo 1918 ebbe una figlia, Anna Maria. Nel 1915, all’inizio della Grande Guerra, fu richiamato alle armi col grado di Sot-

30  Ivi, p. 21.

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totenente di Artiglieria. Esperto d’ingegneria meccanica, nel 1916 passò alla direzione tecnica dell’aviazione militare nelle Officine Caproni, le quali avevano sede a Taliedo, un quartiere periferico di Milano, ove svolse il suo servizio in qualità di Ufficiale di sorveglianza tecnica. Nei campi di aviazione ebbe modo d’incontrarsi spesso col padre e di porre le basi per un solido rapporto di «amicizia», che durò sino alla morte del Poeta. La sua passione per il volo e per la tecnica aviatoria si rivelò molto utile anche per il genitore che se ne servì per stilare la relazione Dell’uso delle squadriglie da bombardamento del 23 maggio 1917 per il Generale Cadorna. Fu proprio nel 1917 che fu inviato negli Stati Uniti come Capo missione per l’azienda aeronautica Caproni che, in congiunzione con alcune ditte americane, iniziava in quella nazione la produzione industriale dei suoi aeroplani. All’inizio del 1919 rientrò in Italia, dove si congedò dall’esercito con il grado di Capitano. Rimase però ben poco nell’abitazione milanese, in Via Borgonuovo 2 insieme con la moglie e la figlia, perché da lì a poco si recò nuovamente negli Stati Uniti per conto della “Cassini Olive Oil Corporation”, che aveva la sede centrale a Ventimiglia ed esportava l’olio d’oliva in America. Il titolare dell’azienda era Ottavio Cassini mentre la succursale americana aveva sede a New York, al 291 Broadway, con denominazione di “Musa Brothers & Co., Inc.”. L’anno dopo Veniero cambiò azienda; fu assunto, infatti, dall’Isotta-Fraschini, che lo nominò suo legale rappresentante per gli Stati Uniti con sede al 19 West 44th Street di New York. Lavorò nella sede newyorkese della Casa automobilistica italiana dal 1920 al 1929. Nel 1927, durante un suo soggiorno in Italia, prese il brevetto di pilota di aerei. Da luglio a dicembre 1928 fu trasferito a Milano nella sede centrale dall’Isotta-Fraschini e, l’11 novembre di quell’anno, fece conoscere al padre la sua nuova compagna, Medea Colombara, chiamata familiarmente Uardi; quel giorno, infatti, si recò con lei al Vittoriale,

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dove rimasero cinque giorni. Portarono con loro Iarmila, intima amica di Uardi, la quale ricevette attenzioni particolari da parte del Poeta. Nel 1930 Veniero divenne cittadino americano. Nel 1929, andato via dall’Isotta Fraschini, a seguito dalla crisi americana che aveva investito specialmente la casa automobilistica italiana, fu assunto all’American Aeronautical Corporation con funzioni di Vice presidente. Nel 1933 passò alla Bellanca Aircraft Company; il suo primo incarico fu di collaborare col generale Francesco De Pinedo all’organizzazione del volo di cinquanta ore, da New York a Bagdad, per battere il primato di distanza in linea retta; nel quale, però, De Pinedo perse tragicamente la vita. Nel 1935 fondò e assunse la presidenza dell’Unione Italiana d’America, legata all’Italian Historical Society, con direzione centrale nel Palazzo d’Italia, alla 626 Fifth Avenue e sorta principalmente come organo di propaganda fascista. Nel 1937 divorziò dalla moglie Elena e l’anno successivo sposò la giovanissima Luigia Bertelli, chiamata familiarmente Gigiotta, figlia del proprietario di una delle più importanti fonderie di bronzo degli Stati Uniti. Da quell’unione nacque nel 1942 il figlio Gabriele, il quale, dopo aver studiato negli USA, negli anni Sessanta si trasferì in Italia, dove si spense nel 1996. Il 1938 segnò anche il passaggio di Veniero a un’attività più spiccatamente impegnata in fini politici con l’assunzione della direzione dell’Italian Library of Information, situata al 595 Madison Avenue, alle strette dipendenze del Ministero della Cultura Popolare Italiana. L’iniziativa fu interrotta nel dicembre 1941, per ordine del Governo di Washington, a seguito dell’attacco di Pearl Harbor e, quindi, dell’entrata in guerra del Giappone a fianco della Germania e dell’Italia. Veniero, ricoverato per diversi mesi alla Columbia Presbyterian Medical Center, morì la notte tra il 17 e il 18 gennaio 1945 a seguito di una neoplasia cerebrale. Il 1945 fu un anno nefasto per la famiglia d’Annunzio poiché si spensero anche il fratello Gabriellino e lo zio An-

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tonio, l’unico fratello del Poeta. Tra i figli di d’Annunzio, avuti dalla moglie Maria Hardouin, Veniero fu, certamente, quello che ebbe la migliore carriera e il maggior successo, ereditando dal padre i tratti più avventurosi. Enzo Cataldi, infatti, dichiarò: «dei tre figli di d’Annunzio, Veniero è indubbiamente il solo che seppe vivere dignitosamente e responsabilmente da sé»31. A differenza degli altri figli, inoltre, fu quello maggiormente legato alla madre; Guglielmo Gatti, infatti, riferì: «Veniero fu quello che diede minori seccature al padre […] La madre, donna Maria, prediligeva invece Veniero che le era molto affezionato. L’appartamento che donna Maria possedette a Parigi, in Square Alboni 14, le era stato regalato da Veniero. Una volta che, alla Mirabella, venimmo a parlare dei figli, definì Veniero un “angelo”, e chiamò, Gabriellino “molto buono”»32. Camillo Antona Traversi scrisse di lui: «Sia detto e ripetuto a sua lode: egli amò la madre sua d’infinito amore; e, pur vivendo quasi sempre lontano da lei, non soltanto non la dimenticò mai, ma si sforzò di lenirne i dolori e di renderle la vita materiale più facile, più sopportabile»33.

31  Enzo Cataldi, D’Annunzio, Firenze, Atheneum, 1991, p. 126. 32  Guglielmo Gatti, D’Annunzio marito e padre. Aneddoti poco noti nella vita del Poeta, cit., p. 7. 33  Camillo Antona Traversi, Curiosità dannunziane, cit., p. 114.

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ALBERO GENEALOGICO DI VENIERO D’ANNUNZIO VENIERO D’ANNUNZIO

Roma, 22.09.1887 - New York, 18.01.1945

(Milano, 28.04.1913 ) Elena Nussberger

(New York, 12.10.1938) Luigia Bertelli

(1881) - Roma, 04.08.1972

New York, 01.09.1912 - Roma, 29.01.1977

Anna Maria

Gabriele d’Annunzio

Zurigo, 02.03.1918 - Firenze, 28.07.1983

New York, 03.01.1942 - Roma, 08.03.1996

(Washington, 1950) Sebastian De Grazia Chicago, 11.08.1917 - Princeton, 31.12.2000

(Roma, 23.02.1963) Patrizia dei Conti Dell’Acqua Marc

Tancredi

Washington, 1952

Princeton, 1959

(Roma, 29.04.1982) Stefania Rovai Roma, 1954

una figlia Federico Marcello

Mark Antony

Roma, 18.03.1964

Santa Monica, California, 23.12.1964

Sebastian Costa Rica, 2013

Francesca Cariazzo 04.07.1993

Isabel Segovia

Cristina Toffolo De Piante 26.06.2004

(divorziato 1996)

una figlia

Nina Maria Parigi, 01.08.1997

Luisa Adelaida Parigi, 30.03.2000


Capitolo I Infanzia e giovinezza di Veniero d’Annunzio (1887-1914)

Ugo Veniero d’Annunzio nacque a Roma giovedì 22 settembre 1887. Vide la luce in Via Quattro Fontane 159, dove era nato Gabriellino il 10 maggio 1886. La famiglia d’Annunzio abitava in quella casa sin dalla seconda decade di ottobre 1885, quando da Villa del Fuoco tornò a Roma. L’appartamento, che faceva parte della casa Koch, si trovava all’angolo di Via Rasella, dentro uno stabile con un cortile. Gabriele, che in quell’estate era partito per una crociera adriatica sul “Lady Clara”, il battello da diporto dell’amico Adolfo De Bosis, si trovava a Venezia, dove, dopo aver incontrato, sebbene per sole ventiquattro ore, la sua amante Barbara Leoni, si era dedicato a visitare per la prima volta la città. Il Poeta, appena ebbe la notizia della nascita del figlio, comunicò alla moglie di registrare il bimbo al Comune col nome di Venier, lo stesso dell’ammiraglio veneziano Sebastiano Venier, il capitano che aveva vinto la battaglia di Lepanto. Il nome, pertanto, si rifaceva alle grandi imprese dei condottieri di Venezia che avevano solcato, per la gloria della Serenissima, le acque, che in quei giorni erano sotto i suoi occhi. Maria Hardouin lo accontentò in parte; lo registrò, infatti, con questi nomi: Venier, Ugo, Bernabò, Cetteo, Pantaleone, Francesco e Giustino. Il 25 ottobre d’Annunzio scrisse alla sua amica Vinca Sorge a Nereto: «Io sono a Roma dai primi di ottobre […] Sapete che sono per la terza volta padre? Per la terza volta! – Il bambino è molto bello ed ha un

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Capitolo I

nome eroico: si chiama Venièro; Venièr d’Annunzio suona bene, non vi pare? Quando ebbi la notizia della sua nascita, io ero a Venezia. Alcuni ufficiali di marina, amici miei, in un pranzo amichevole, fecero brindisi augurali al nuovo nato e gli predissero una grande gloria navale. Così gli fu imposto il nome del capitano che vinse alla battaglia di Lepanto. L’Italia avrà dunque un capitano in più»34. Sin dalla nascita del bambino, però, circolarono voci, mai del tutto sopite, che egli fosse il frutto di una relazione adulterina di Maria Hardouin con il Principe Maffeo Sciarra Colonna35 o, secondo altri, con Vincenzo Morello36. Da precisare che, proprio un mese dopo la nascita di Veniero, la coppia si trasferì in Via del Tritone 201; il 25 ottobre, infatti, nella lettera a Donna Vinca Sorge «le confidava di aver molto da fare in quei giorni perché stava per cambiare dimora, andava ad abitare in un appartamento assai bello in Via del Tritone».37 A fine marzo 1888 Maria Hardouin da Roma scrisse alla suocera: «Mario ha avuto le scatole con le cioccolatine e ringrazia. Io ho avuto le pastine di menta e incarico Elvira di ringraziare. Cucuzzone38 e Veniero stanno benissimo, fra una settimana sarà la vestizione di quest’ultimo». Venier o Veniero, com’era chiamato indifferentemente, non ricevette il conforto e il calore paterno, da cui dovette

34  Paola Sorge, Sogno di una sera d’estate. D’Annunzio e il Cenacolo michettiano, Altino, Ianieri, 2004, pp. 125-137. 35  Il principe romano Maffeo Sciarra Colonna (Roma, 10 settembre 1850 – Frascati, 13 marzo 1925), oltre che proprietario della «Tribuna», fu deputato al Parlamento, eletto all’Aquila nelle Legislature XV, XVI e XVII. 36  Vincenzo Morello (Bagnara Calabra, 10 luglio 1860 – Roma, 30 marzo 1933), più conosciuto con lo pseudonimo Rastignac, fu un caro amico della famiglia d’Annunzio. Scrittore e giornalista, fu nominato Senatore del Regno d’Italia nella XXVI Legislatura. 37  Paola Sorge, Una vita diversa, Roma, Trevi, p. 42. 38  Il riferimento era al figlio Gabriellino.

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Capitolo I

separarsi piccolissimo per l’allontanamento del genitore. Nell’estate del 1888, infatti, molto prima della separazione ufficiale dalla moglie, il Poeta decise di lasciare la Capitale e di recarsi a Francavilla al Mare nel famoso Convento, abitazione dell’amico pittore Francesco Paolo Michetti, dove scrisse il suo primo romanzo Il piacere. Tornò a Roma dalla famiglia all’inizio del 1889 ma trascorse l’estate di quell’anno all’eremo di San Vito Chietino con Barbara Leoni. Domenica 22 settembre, dopo un soggiorno di quasi due mesi, la Leoni partì dall’eremo, disturbata da notizie giunte da Roma. Con l’aiuto di Michetti e di Costantino Barbella, il Poeta provvide a smobilitare l’eremo e a trasferirsi al Convento, dove riprese con lena a comporre L’Invincibile, il suo nuovo romanzo. Venerdì 11 ottobre ebbe la notizia che il 1° novembre si sarebbe dovuto presentare al distretto militare di Roma per il servizio di leva. Lunedì 28 ottobre partì, quindi, alla volta della Capitale e andò a stabilirsi in Via Piemonte 1, dove la moglie abitava con i tre figli dall’agosto di quell’anno, dopo aver lasciato l’abitazione di Via del Tritone 201. Il giorno dopo scrisse a Emilio Treves di aver terminato L’Invincibile. In quello successivo, mercoledì 30 ottobre, così informò Barbara, che si trovava a Parigi: «Per il mio difetto visivo sarò osservato il 2 o il 3 all’ospedale. Il 2 o il 3 o anche il 4 saprò la decisione definitiva. Te la comunicherò subito»39. Il primo novembre 1890 il Poeta era in caserma; quello stesso giorno avvisò Barbara: «Mi hanno messo in osservazione. Sarò osservato negli occhi domani, o doman l’altro, o non so quando. Giorni d’indicibili torture». Nei giorni 5 e 6 novembre d’Annunzio fu all’ospedale militare in osservazione, nella speranza della riforma; fu, però, riconosciuto perfettamente sano e arruolato per l’anno di «volontariato» nel 50° Squadrone del 14° 39  Tutte le lettere di d’Annunzio a Barbara Leoni citate in questo libro sono tratte dal volume: Gabriele d’Annunzio, Lettere a Barbara Leoni (18871892), a cura di Vito Salierno, Lanciano, Carabba, 2008.

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Capitolo I

Reggimento dei Cavalleggeri d’Alessandria accasermato al Macao, nel Castro Pretorio. Mentre il Poeta trascorreva il suo anno di servizio di leva in uno stato di depressione, benché consolato da Barbara Leoni, venerdì 6 giugno ebbe la notizia che la moglie aveva tentato il suicidio gettandosi dalla finestra. Quel giorno, infatti, Maria Hardouin stanca di miserie e di amarezze, ma principalmente perché rimproverata dal marito di tollerare la corte del comune amico Vincenzo Morello, si gettò da una delle finestre dell’appartamento di Via Piemonte 1. Due giorni dopo, la sera di domenica 8 giugno, Gabriele comunicò a Michetti: Caro Ciccillo, tu non sai ancora la nuova disgrazia. Venerdì, dopo mezzogiorno, Maria, è caduta dalla finestra sul lastrico! Per un caso inesplicabile, per un prodigio, non ha battuto il capo; ma ha tutta la gamba e la coscia sinistra sconquassata e distorto e in parte rotto il piede destro; ed è poi contusa da per tutto. Io non mi son mai mosso dal suo capezzale. Io solo l’assisto, per suo desiderio. E la circondo, nella mia opera di infermiere, di tutte le delicatezze. Ma lo spettacolo delle sue atroci sofferenze mi fa morire lentamente. In tre giorni ho vissuto tre secoli, anzi ho agonizzato. Non posso scriverti a lungo. Quante cose terribili e strane dovrei raccontarti! Ma, mentre scrivo, qui accanto Maria si lamenta e grida nel dolore. Per fortuna, non ci sono complicazioni. La testa è libera. La commozione viscerale è quasi insignificante. Ma lo spasimo dei poveri muscoli sforzati e spezzati è inconcepibile. Vedo passare sul volto di lei dolori senza nome. Così io m’incammino verso la Pace! Non un momento di tregua, mai. Addio, addio. Ti riscriverò. Ti abbraccio. Maria ti saluta, dal suo letto di martire. Addio. Tuo Gabriele.40

40  Le missive tra d’Annunzio e Michetti citate in questo libro sono tratte

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Capitolo I

Il patetico gesto dell’Hardouin era sicuramente dovuto alla crisi in cui versava il matrimonio. Nell’Innocente, iniziato dieci mesi dopo il grave episodio, d’Annunzio utilizzò sensazioni e situazioni di quei giorni. Tutti gli studiosi dannunziani sono concordi nell’affermare che Maria si sia gettata dalla finestra il 6 giugno, sebbene Mario Guabello, nel libro Barbara la bella romana, affermasse che l’episodio avvenne il giorno dopo.41 Più preciso fu Guglielmo Gatti il quale riferì che la lettera fu scritta il 6 ma spedita il giorno 7.42 A tal proposito ha scritto Giordano Bruno Guerri nella sua biografia dannunziana: Il 6 giugno 1890 Maria tentò il suicidio gettandosi da una finestra della sua casa e se la cavò con lesioni guaribili in venti giorni. I giornali più morigerati accreditarono l’ipotesi dell’incidente: la donna, salita sul parapetto per staccare una tenda, sarebbe scivolata per un’improvvisa perdita dei sensi. Nacque e fiorì lo stesso una ridda di interpretazioni, più o meno fantasiose, su quella sospetta defenestrazione. Per alcuni il gesto era dovuto al fallimento dell’ennesimo tentativo di riaccostarsi all’inflessibile padre, che l’avrebbe incontrata per caso un pomeriggio respingendo lei e il nipote Veniero come due estranei: «Che volete? Chi siete? Io non vi conosco». Un’altra voce insinuava che a spingerla alla disperazione fosse stata una scenata di gelosia del marito, che considerava normali i propri tradimenti, ma

dal volume: Franco Di Tizio, D’Annunzio e Michetti. La verità sui loro rapporti, Casoli, Ianieri, 2002. 41  Mario Guabello, Barbara la bella romana, Biella, Libreria Mario Guabello, 1935, p. 78. Guabello basò la sua affermazione su una lettera del 7 giugno 1890, nella quale d’Annunzio comunicava a Barbara: «Una persona di casa mia oggi è caduta dalla finestra sul lastrico. Per miracolo è viva». 42  Guglielmo Gatti, Un ignorato tentato suicidio di Donna Maria d’Annunzio, in D’Annunzio a Roma, Roma Fratelli Palombi, 1955, p. 57.

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che la rimproverava di opporre scarso rigore alle avances, ormai sulla bocca di tutti, di Vincenzo Morello, il noto Rastignac delle cronache giornalistiche. Come spesso capita in simili circostanze, non c’era un motivo solo, piuttosto una serie di ragioni, fra cui i tradimenti di Gabriele e il suo continuo scialacquare, che aveva portato la famigliola sulle soglie dell’indigenza. Donna Maria era una creatura fragile, esposta alle traumatizzanti libertà del marito come a una tormentata vita interiore.43 Maria Grazia Di Paolo, invece, sul tentativo di suicidio fu molto risoluta; riportò, infatti, questa documentazione, sicuramente imbarazzante per gli eredi di Veniero: I motivi sono ancora oggi poco chiari per le discordanti versioni che di esso hanno dato sia Barbara Leoni che donna Maria. Forse la più attendibile è quella che traspare da un documento reperibile tra le carte della Segreteria Privata del Duce, nel fascicolo 22 sulla Fondazione del «Vittoriale», Eredità di D’Annunzio, in data 19 aprile 1938, presso l’Archivio Centrale dello Stato. Vi si legge quanto segue: «Veniero, però, malgrado porti il cognome di d’Annunzio, è il frutto di una relazione adulterina della Gallese col defunto Senatore Vincenzo Morello - Rastignac; cosa nota al Poeta che perciò si distaccò dalla moglie D. Maria Gallese, bollando questo tradimento in uno dei suoi libri migliori e più diffusi: L’Innocente». Fatto sta che l’atmosfera di casa d’Annunzio non doveva essere troppo serena né per Veniero né per i suoi fratelli. Dopo la convalescenza in ospedale della giovane mamma, la famiglia lasciò l’abitazione in Via Piemonte. Donna Maria, con i figli Mario, Gabriellino e Veniero, andò ad abitare in Piazza di Spagna, mentre il Poeta trovò un’abitazione in via Gregoriana. La

43  Giordano Bruno Guerri, D’Annunzio. L’amante guerriero, cit., p. 74.

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divisione fu da quel giorno definitiva e donna Maria si rassegnò a vivere separata dal marito pur mantenendo i contatti epistolari che le questioni di famiglia imponevano.44 Donna Maria, che all’epoca aveva soltanto ventidue anni, era informata che la giornalista napoletana Olga Ossani era stata l’ispiratrice del Piacere e che la relazione con il marito era durata circa un anno, sino a quando non aveva sposato Luigi Lodi. Maria era consapevole, inoltre, che, sebbene tale amore fosse già terminato, il marito coltivava altre relazioni e incontri clandestini; non era da meravigliarsi quindi, se anche lei, sentendosi trascurata, avesse ceduto alle lusinghe di uno dei tanti corteggiatori. Venerdì 20 giugno d’Annunzio da Roma scrisse a Michetti: «Maria comincia a star meglio. Il tempo sarà la gran medicina. Le sofferenze sono diminuite di molto. Ma comincia il tedio. Maria ti saluta». Dieci giorni dopo, lunedì 30 giugno, aggiunse: «Maria sta ancora un poco meglio. Stamani è uscita dall’apparecchio. Potrà passare dal letto su la poltrona, fra una ventina di giorni. Potrà camminare fra tre mesi, forse! I due piedi sono molto rovinati. Io intanto dovrò allontanarmi. Partirò stanotte pel campo di Bracciano». L’Hardouin, uscita dall’ospedale, costatata l’impossibilità di una convivenza, seppure apparente, col marito, decise di separarsi e andò ad abitare con i tre figli in Piazza di Spagna 9, mentre Gabriele rimase in Via Piemonte 1. Fu sicuramente nel mese di febbraio 1891 che da Roma il Poeta scrisse alla madre a Pescara: «Cara Mamma, la gita di Maria è differita, perché Veniero è con un forte raffreddore, con una specie di leggera bronchite. Anche Maria è terribilmente raffreddata.

44  Gabriele d’Annunzio, Carteggio inedito con il figlio Veniero (1917-1937), cit., p. 112.

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