Haller, Bracconaggio nel triangolo retico

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Ricerca scientifica sul Parco Nazionale Svizzero Volume 105/II


Frontespizio. Incursione illegale in due parchi nazionali; Alpe del Gallo, 27 novembre 2004. La traccia era fresca, di poche ore, e mi fece vivere momenti drammatici sulla pista del ladro di selvaggina. Le impronte mi condussero al confine del Parco Nazionale (PN) Svizzero, dove feci un particolare ritrovamento: quattro animali appena abbattuti, tra cui un’aquila reale; un vero e proprio deposito!


Heinrich Haller

Bracconaggio nel triangolo retico Ricerche transfrontaliere con un’indagine fino in Tibet

Haupt Verlag


B r a c c o n a g g i o n e l t r i angolo retic o

Copertina. Camosci maschi in allerta nell’atmosfera magica di tardo autunno. Una volta, il camoscio era la preda classica dei bracconieri, costretti spesso ad affrontare le fatiche dell’alta montagna. Inserto retrocopertina. Antilopi tibetane nel loro tipico habitat. La specie è minacciata dal bracconaggio − per lo shahtoosh, la sua pregiata lana conosciuta anche a St. Moritz.

A cura della

Commissione di ricerca del Parco Nazionale Svizzero, una Commissione dell’Accademia svizzera di scienze naturali (scnat)

Autore

Heinrich Haller, Parco Nazionale Svizzero, 7530 Zernez

Traduzione in lingua italiana Cristina Boschi, Alberto Tognola Fotografie

Se non espressamente menzionato: Heinrich Haller

Elaborazione delle cartine

Antonia Eisenhut, Maja Rapp

Dati di base per le cartine

Parco Nazionale Svizzero, Ufficio federale di topografia, cdpe Atlante mondiale svizzero 2015, Cantone dei Grigioni

Elaborazione dei grafici

Raluca Nicola, Andrea Millhäusler

Redazione

Christian Marti

Revisione testi

Simone Louis

Layout, messa in pagina e litografia

Franziska Bock

Sostegno finanziario

Fondazione Zigerli-Hegi

Citazione Haller, H. (2017): Bracconaggio nel triangolo retico. Ricerche transfrontaliere con un’indagine fino in Tibet. Ricerca scientifica sul Parco Nazionale Svizzero 105/ii. Haupt Verlag, Bern. Informazione bibliografica della Deutsche Nationalbibliothek La Deutsche Nationalbibliothek registra questa pubblicazione nella Deutsche Nationalbibliografie; dettagliati dati bibliografici sono disponibili sul sito internet «http://dnb.dnb.de». isbn 978-3-258-07984-4 1 edizione 2017 Tutti i diritti riservati. Copyright © 2017 Haupt Bern. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta con qualsiasi mezzo senza l’autorizzazione della casa editrice. Stampato in Germania www.haupt.ch 4


Indice Prologo 1

Il bracconaggio come sfida per la protezione della natura e tema scientifico

2

Basi geografiche e metodiche

2.1

Area di studio

2.2

Quadro tematico ed esecuzione dello studio

3

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

23 33

La storia del bracconaggio nel territorio del Parco Nazionale Svizzero e nelle zone adiacenti fino al 1989

3.1

La cattura degli animali selvatici come forma primordiale di predazione

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

3.2

Casi di bracconaggio 1910 –1989

3.3

Scontri con bracconieri dall’esito letale nel xx secolo

3.4

Le prime fasi del bracconaggio nel Parco Nazionale Svizzero

4

Attività di bracconaggio 1990 –2009

4.1

Casi di bracconaggio nella zona della Val del Gallo e nel

4.2

Altri casi di bracconaggio nei dintorni

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

56 71

. . . . . .

94

. . . . . . . . . . . .

107

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128

territorio confinante del Parco Nazionale Svizzero del Parco Nazionale Svizzero

. . . . . . . . . . .

41

5


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4.3

Casi di bracconaggio nella zona dell’Alpe Rivaira

4.4

I bracconieri moderni e i loro antagonisti

135

. . . . . . . . . . . . . . . . .

148

5

Situazione attuale del bracconaggio (2010 –2014)

5.1

Il Parco Nazionale Svizzero e le zone adiacenti su territorio grigionese

5.2

Zone adiacenti in territorio lombardo

5.3

Zona dell’Alpe Rivaira e Val Venosta

6

Bilancio intermedio: effetti del bracconaggio su singole specie

6.1

Casi sporadici di bracconaggio e la loro rilevanza

6.2

Il bracconaggio sistematico e le sue conseguenze sulla struttura delle popolazioni di ungulati

. .

167

. . . . . . . . . . . . . . . . . . .

172

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

176

. . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . .

7

Shahtoosh: dal tetto del mondo a St. Moritz / Top of the world

7.1

Le antilopi tibetane e la loro ambita lana

7.2

Il grande caso a St. Moritz

7.3

Ricerche personali in Tibet, Nepal e India

7.4

L’evoluzione degli effettivi di antilope tibetana e

193

. . . . . . . . . . . . . . . . . .

203 209

. . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

8

Conclusioni: il bracconaggio nel contesto regionale e globale

8.1

La situazione del bracconaggio nel triangolo retico e oltre

8.2

Esempi su scala mondiale di bracconaggio e protezione delle specie .

8.3

Misure per il leopardo delle nevi e la foca monaca delle Hawaii .

8.4

Conclusione riguardo allo stato attuale del bracconaggio nell’area di studio

185

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

l’influsso del bracconaggio intensivo

6

. . . . . . . . . . . . .

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216 228

231

. .

237

. . . .

244

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

250


Indice

Ringraziamenti Riassunto BibliograďŹ a

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

261

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

265

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269

Abbreviazioni

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Nomi di animali

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

283 285

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«Se solo “loro” e “noi” avessimo le stesse idee fileremmo d’amore e d’accordo come due innamorati, ma loro non la pensano esattamente come noi e noi non la pensiamo esattamente come loro, così stanno le cose e così staranno sempre. L’unica verità è che siamo tutti furbi, e per questo non ci possiamo soffrire.» Alan Sillitoe: La solitudine del maratoneta (2012; Biblioteca Editori Associati di Tascabili, Roma).

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Prologo Una domenica in montagna a nord del Monte Disgrazia Fu un amico di gioventù, figlio di cacciatori dell’Alta Engadina che, dal 1970, mi fece conoscere le peculiarità della caccia grigionese. Mi descriveva le sue esperienze venatorie e raccontava spesso dei bracconieri della Val Malenco, di come si spingessero ripetutamente a settentrione passando la frontiera per sparare ai camosci in territorio grigionese. Questi bracconieri sembravano imperversare senza scrupoli nella parte più remota della Val Fex. La sventatezza giovanile ci indusse a intraprendere qualcosa per porre fine alle loro malefatte o almeno per dare loro una lezione. Eravamo contenti di adoperarci per una buona causa, seppure con metodi dubbiosi. Ciò, inoltre, ci permetteva di fuggire alla monotonia della vita scolastica. L’avventura ci attirava, e nelle nostre orecchie risuonava l’inno di quei tempi «Born to be wild», Steppenwolf (il lupo della steppa) per l’appunto. Girava la voce che una capanna situata appena oltre la cresta che segna il confine, nella parte meridionale del Passo del Tremoggia, servisse da base ai bracconieri. Un tempo, il Pass dal Tremoggia o Tremöcc (in dialetto) era utilizzato regolarmente dai lavoratori itineranti provenienti da sud. Grazie a questa consuetudine, si formò un bagaglio di esperienze e conoscenze sul territorio che non si limitavano alle particolarità del tragitto. 9


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Avevamo intenzione di visitare la capanna − per far piazza pulita come si deve. Pianificammo questa missione per il fine settimana del 14/15 agosto 1971. Io avevo appena compiuto 17 anni e il mio amico aveva un anno in più. Il sabato partimmo da Maloja e salimmo alla capanna del Forno allora in ricostruzione, dove ci procurammo il materiale e gli accessori necessari per il nostro intervento distruttore. La domenica volevamo continuare la salita per accedere al versante meridionale del Passo del Muretto superando la Sella del Forno, per poi continuare verso la capanna dei bracconieri al Pass dal Tremoggia. Quella domenica ci mettemmo in marcia sotto un sole splendente − ma non abbastanza presto. Nella Val Bona, appena oltre la frontiera, accendemmo un petardo per eseguire una prova e manifestare la nostra risolutezza. Le pareti rocciose circostanti risposero con un eco rimbombante. Eravamo pronti ed equipaggiati con gli attrezzi adeguati per radere al suolo in un solo colpo il nido dei bracconieri, indipendentemente dal materiale di cui fosse costituito. Circa mezzora più tardi incontrammo due guardie di confine italiane evidentemente alla ricerca della causa del botto provocato prima. Da lontano il rumore era probabilmente sembrato un colpo d’arma da fuoco. Il nostro aspetto giovanile e la mancanza di un bagaglio di forma allungata non sembrarono corrispondere all’identikit della persona cercata. A posteriori si può solamente dire: che fortuna! Se ci avessero fermati e perquisiti, il nostro soggiorno in Italia si sarebbe sicuramente allungato di parecchio e avrebbe probabilmente avuto serie conseguenze sulla nostra vita futura. L’accesso al Pass dal Tremoggia non era solo impegnativo, ma anche faticoso. Avevamo già percorso parecchi chilometri per raggiungere Chiareggio, il villaggio più alto della Val Malenco, e il sole ormai vicino allo zenit ardeva sempre più intenso nella stretta valle. Davanti a noi si stagliava un muro roccioso di 1400 m che dovevamo superare. Il materiale trasportato e il gran caldo pesavano, cosicché la nostra tabella di marcia non poté essere rispettata. Le diverse capanne alpine e i ripari da cui passammo durante la salita, non corrispondevano né alle vaghe descrizioni che erano giunte alle nostre orecchie né mostravano indizi di un utilizzo a scopo venatorio. Un’anziana signora incontrata presso un edificio, ridusse ulteriormente la nostra motivazione. Secondo voci circolanti nella zona, la base dei bracconieri si 10


Prologo

trovava ancora più in alto. Scrutammo il paesaggio deserto, ma non scorgemmo nessuna capanna. Siccome eravamo costretti a tornare a casa lo stesso giorno, prima che i nostri congiunti organizzassero la ricerca, ci mancava il tempo necessario per un esame accurato. Prima di intraprendere la via del ritorno, dovevamo sbarazzarci dell’esplosivo. Appena sotto il passo scegliemmo un masso roccioso da ridurre in piccoli pezzi. Presi i provvedimenti necessari, ci precipitammo oltre la cresta che segna la frontiera, e ci sentimmo sollevati sotto ogni punto di vista. Non dimenticherò mai la vista che si apriva dal Pass dal Tremoggia (3014 m s.l.m.) verso nord: gli ultimi raggi orizzontali di sole della splendida domenica tingevano la pianura di Sils, la nostra meta, lontana una decina di km. Dovevamo però ancora superare il ghiacciaio del Tremoggia (a quei tempi assai esteso) e più in basso le insidiose fasce rocciose. In qualche modo riuscimmo a raggiungere il fondovalle della Val Fex. L’attraversamento del torrente che scaturisce dal ghiacciaio costituì un’ulteriore difficoltà, ma a quel punto poco importava bagnarsi i piedi. Nell’oscurità raggiungemmo le prime abitazioni e poco dopo ci presentammo a casa. L’obiettivo della nostra azione fu scoperto dai familiari del mio amico. Così, l’impresa portata a termine senza riportare danni, rimase l’unica del suo genere. In fin dei conti, fummo contenti di avere cercato invano la capanna dei bracconieri senza sfidare seriamente il Monte Disgrazia, il cui nome non sembra comunque connesso ad un tragico evento (Miotti & Comi 2012). Le violazioni dei bracconieri italiani sul territorio grigionese continuarono. Diversi anni più tardi Peider Ratti, ispettore della caccia del Cantone dei Grigioni dal 1963 al 2000, e i suoi organi di sorveglianza riuscirono a provare la colpevolezza di diversi bracconieri nella regione sopraccitata (Ratti 1999). Nella Val Malenco, la tradizione della caccia di frodo è rimasta viva fino in tempi recenti, ma le incursioni oltre la frontiera non sono più necessarie, vista la ripresa degli effettivi di selvaggina in Italia. L’avventura portata a buon fine nei dintorni del Monte Disgrazia è una delle ragioni per cui mi sento legato per sempre a questa regione (fig. 1). Ha reso il bracconaggio, rispettivamente la lotta contro la caccia di frodo, un’importante questione personale. Tuttavia questa motivazione ha origini ancora più lontane nel tempo: mio nonno Fritz Haller-Moos (1879 –1953) possedeva una ragguardevole collezione di armi, tra cui 11


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anche due fucili da bracconiere (da lui però mai usati). Una di queste armi, costruita modificando una pistola tedesca a pallini smontabile, fu conservata. Da ragazzo l’usavo nelle scaramucce con i coetanei del vicinato attirando l’attenzione delle persone nei paraggi. Oggi l’antico fucile fa parte della mia collezione di oggetti una volta appartenuti a bracconieri. 15 anni dopo la missione della Val Malenco il bracconaggio tornò al centro della mia attenzione: nell’ambito di uno studio sulla lince in Vallese (Haller 1992) si constatò come gli abbattimenti illegali avessero raggiunto una dimensione tale da mettere in pericolo gli effettivi del felino. Fino a quel momento una situazione del genere era ritenuta impensabile in un paese ordinato e funzionante come la Svizzera (si veda cap. 8.1). Con il passare del tempo, nonostante il muro di silenzio ampiamente condiviso dalla popolazione, vennero alla luce altre informazioni a conferma della prima impressione (Ceza et al. 2001, Breitenmoser & BreitenmoserWürsten 2008). Queste rivelazioni resero realistiche le vecchie voci sullo scandaloso bracconaggio della lince in Vallese, sui protagonisti e sui loro seguaci (Filliez & Nemeth 2013). 25 anni dopo la spedizione nella Val Malenco, l’esperienza del bracconaggio mi si ripropose di bel nuovo: nel Parco Nazionale (pn) Svizzero, uno scenario non molto distante da dove in gioventù avevo tentato l’impresa descritta più su, fui di nuovo confrontato con i bracconieri e le loro malefatte, ora in qualità di direttore del pn Svizzero (fig. 2). In me si sviluppò quindi una permanente affinità con questo problema, il che m’indusse non solo a impedire le attività illegali, ma anche a documentarle e interpretarle. Nel 2001 decisi di analizzare la situazione del bracconaggio all’interno e all’esterno del pn Svizzero nel quadro di una pubblicazione, includendo nello studio il contesto storico. Uno straordinario caso, verificatosi a St. Moritz, di crimini riguardanti animali selvatici e shahtoosh, la lana dell’antilope tibetana (una specie protetta), allargò lo sguardo sul bracconaggio oltre i nostri confini fino in Asia. La presente opera comprende i risultati di tutte queste ricerche.

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Fig. 1. L’immagine risveglia i ricordi della domenica di 35 anni fa: lo sguardo vaga dal versante sud del Pass dal Tremoggia al Monte Disgrazia, 3678 m s.l.m.; 10 agosto 2006. Mi ricordai nuovamente di tutto: la spavalderia giovanile, l’orgoglio per il coraggio mostrato, il dissidio fra desiderio e paura (Hesse 2015).


Fig. 2. L’autore, in qualità di direttore del Parco Nazionale, con la testa di un cervo abbattuto illegalmente; Val Chaschabella (fig. 31), 25 agosto 2002. Fu il primo ritrovamento personale di una preda di bracconieri nel PN Svizzero. Siccome questi episodi sconvolgono i fondamenti ideali di ogni area protetta, si deve procedere risolutamente contro i cacciatori di frodo. Foto: Reto Strimer.


1 Il bracconaggio come sfida per la protezione della natura e tema scientifico Tra il 2007 e il 2008 apparve per ben due volte un articolo di copertina nel National Geographic Magazine sull’uccisione illegale di animali selvatici: i reportage trattavano della guerra dell’avorio nel Ciad (Fay & Nichols 2007), rispettivamente dell’abbattimento di diversi gorilla di montagna nella Repubblica democratica del Congo (Jenkins & Stirton 2008). Ne emergeva uno scenario sconvolgente di relazioni corrotte tra fauna selvatica ed esseri umani in determinate regioni africane caratterizzate da povertà, disordine sociale, affari sporchi e atrocità. In questo contesto è stato esaminato a fondo anche il ruolo difficile, ma importante, dei parchi nazionali Zakouma nel Ciad e Virunga nella Repubblica democratica del Congo. Quasi contemporaneamente anche il periodico d’informazione Newsweek parlò dell’attuale Environmental Performance Index (epi) delle Università di Yale e di Columbia, vale a dire di una classifica mondiale delle prestazioni ecologiche nelle diverse nazioni (Guterl & Sheridan 2008). Allora (come nel 2012 e nel 2014) si assegnò alla Svizzera il primo rango. La Repubblica democratica del Congo e il Ciad occupavano i 15


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ranghi 142, rispettivamente 143 su un totale di 149 nazioni. Il sistema elvetico con le zone di protezione della selvaggina fu designato come il migliore del mondo. Un articolo speciale della stessa edizione di Newsweek dal titolo appropriato «Not in our park, Mister» (Underhill 2008) menzionò il Parco Nazionale (pn) Svizzero con parole di elogio, riferendosi all’effettiva applicazione della protezione integrale. Pochi anni più tardi apparvero nell’arco di pochi mesi due articoli di rilievo sul tema della caccia di frodo: «Rhino wars» (Gwin & Stirton 2012) e «Ivory worship» (Christy & Stirton 2012), quest’ultimo contributo come «Investigative report». Le suddette pubblicazioni sul bracconaggio di rinoceronti ed elefanti e dati più attuali, resero un vasto pubblico cosciente del fatto che l’uccisione illegale di animali selvatici − finalizzata al commercio degli animali cacciati di frodo o delle loro parti − rappresenti oggi un serio problema per la protezione della natura e non solo. Per quanto riguarda la Svizzera, si pone quindi la questione: qual è la situazione nel paese, segnatamente nel suo Parco Nazionale, punto di partenza e tematica principale del presente studio? Il bracconaggio non fa parte dell’immagine del nostro paese, spesso condizionata da cliché. Tuttavia, in altre parti delle Alpi la caccia illegale ha goduto in passato di elevato status sociale; numerose sono ad esempio le storie di bracconieri divulgate dai ribelli contadini in Austria e Baviera (Girtler 1988, Girtler & Kohl 1998, Schweiggert 2008). Questo romanticismo non si addice alla Confederazione elvetica, fiera delle sue antiche origini democratiche. Ciò significa forse che in Svizzera non vi siano bracconieri? È improbabile. Il bracconaggio è un fenomeno mondialmente diffuso, con effetti di vasta portata (Wyatt 2013). La caccia di frodo e il commercio illegale con parti di prede, in particolare di specie animali protette, rappresentano uno degli affari criminali più lucrosi: si tratta di un mercato miliardario equivalente al commercio illegale di armi, al traffico di droga e di esseri umani (Lawson & Vines 2014). Le strutture mafiose transfrontaliere e la mancanza di scrupoli degli attori costituiscono un’ulteriore caratteristica comune. Questi ultimi non esitano a compiere un omicidio e non si preoccupano del rischio di provocare l’estinzione di una specie minacciata, come eloquentemente dimostrato nei citati articoli del National Geographic Magazine. È inoltre reale il pericolo che diverse altre specie, soprattutto la tigre (Dinerstein et al. 2007), possano scomparire a causa del bracconaggio. Il fenomeno si ripercuote anche sulla nostra società, in quanto 16


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elemento integrante del «consolidato repertorio della criminalità organizzata internazionale» (Hellwig-Bötte 2014): i responsabili si trovano spesso nella cerchia dei ribelli e dei terroristi. Numerose ong (organizzazioni non governative) e una serie di organismi internazionali cercano di contrastare quest’incresciosa situazione, per esempio il Consorzio internazionale per la lotta contro la criminalità legata alle specie selvatiche (iccwc), costituitosi nel 2010, in cui lavorano cinque partner: la cites (Convenzione di Washington), l’interpol (Organizzazione internazionale della polizia criminale), l’unodc (Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine), la Banca Mondiale e la wco (l’Organizzazione mondiale delle dogane). L’obiettivo comune è espresso in un manuale che contempla tutti gli aspetti della criminalità legata alla fauna e alla foresta (unodc 2012). John Sellar, importante esperto in questo campo e specialista legato alle istituzioni sopraccitate, ha presentato a sua volta − da una prospettiva personale − un’opera riassuntiva (Sellar 2014). Malgrado le numerose misure intraprese per lottare contro il bracconaggio, la situazione non è migliorata. Al contrario, il tema è assurto a massima priorità nell’agenda politica: nel 2013 l’Unione Europea, gli Stati membri del G8 e le Nazioni Unite stigmatizzarono il bracconaggio e il commercio illegale legato alla caccia di frodo, chiesero di contrastare queste attività e iniziarono a prendere misure adeguate. Nel 2014 il ministro degli esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier, al margine della 69ª assemblea generale dell’onu, illustrò come il bracconaggio minacci i tre pilastri fondamentali delle Nazioni Unite, vale a dire la pace e la sicurezza, lo sviluppo sostenibile e i diritti umani. Il bracconaggio era e rimane anche all’interno dell’Europa e nelle Alpi un tema di vasta portata. Una volta, i bracconieri e le persone addette alla sorveglianza uccisi da un’arma da fuoco provocavano dolorosi vuoti in diverse famiglie (Janisch 1996, Mattke 2002, Busdorf 2003). Ancora nel 1982 avvenne un omicidio nel Tirolo orientale (Linde 2004) e il dramma causato da un bracconiere il 16/17 settembre 2013 in Bassa Austria, in cui persero la vita cinque persone incluso l’omicida, fu un episodio senza precedenti alle nostre latitudini (Landespolizeidirektion für Niederösterreich 2013). Il già menzionato problema del bracconaggio quale serio ostacolo alla protezione di talune specie non si limita assolutamente a paesi lontani: in tutta l’Europa la caccia di frodo costituisce una delle maggiori minacce per la lince eurasiatica (von Arx et al. 2004, 17


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Breitenmoser & Breitenmoser-Würsten 2008), e il crollo degli effettivi di orso bruno in Austria nel primo decennio del 2000 ha quale causa principale i prelievi illegali (Rauer 2008, Rauer et al. 2008, Anon. 2010). Non sorprende poi più di tanto apprendere che molti aspetti del bracconaggio siano avvolti nel mistero proprio nei paesi dell’Europa centrale, di solito provvisti di un buon controllo statale e della possibilità di sanzionare i prelievi illegali: i cacciatori di frodo affrontano spesso i rischi agendo di nascosto, con l’ausilio di moderni mezzi tecnologici e protetti da un muro di silenzio. Così, con l’insorgere della pubblica disapprovazione nel resto della Svizzera, i bracconieri di linci vallesani (si veda prologo e cap. 8.1) hanno pensato bene di zittirsi. Sul come si siano comportati nel passato e come agiscano tuttora nei confronti dei lupi immigrati, si possono fare solo congetture. In Vallese e in altri luoghi alcuni indizi permettono di supporre che il ritorno dei grandi predatori, una volta estinti e poi reintrodotti o immigrati, sarebbe molto più dinamico in assenza del bracconaggio. La documentazione e la lotta contro il bracconaggio si riflettono in numerose pubblicazioni perlopiù orientate alla pratica. Il territorio tedescofono, specialmente la Germania, l’Austria e l’Alto Adige, può essere definito come il fulcro della letteratura tradizionale sul bracconaggio. I privilegi delle autorità, la disciplina e l’ordine richiesti alla popolazione, in contrasto con una mentalità caratterizzata da forte anelito all’autodeterminazione, ma anche l’evoluzione culturale e la rilevanza della caccia nella società, hanno reso il bracconaggio più importante nelle Alpi orientali che in altre regioni. Le relazioni sul tema hanno spesso un riferimento storico e comprendono la trasmissione dei racconti sui bracconieri (Bader 1996, von Merhart 1996, Aberle 1998, 2001), le confessioni di alcuni cacciatori di frodo (Bonderer 1995, Enzi 2005, Eberhöfer 2006), la descrizione del bracconaggio nel suo insieme e di casi particolari (Zeppelzauer & Zeppelzauer 2004, Hetzenauer et al. 2005, Kotte & Lunzer 2005), nonché le misure per contrastarlo (Fuchs & Schmid non datato, Kierstein 1997, Anuschat 2003). Vi si trova persino una guida per escursioni nei luoghi teatro di drammatiche vicende di bracconaggio (Klaus 2008). Schwärzler (2012), dal canto suo, presenta un’ampia raccolta delle storie di bracconaggio nel Vorarlberg, una regione vicina al triangolo retico. Esiste una moltitudine di opere sul tema del bracconaggio nei più disparati generi letterari: letteratura triviale, testi di carattere kitsch, 18


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creazione di miti, racconto autentico, testi elaborati secondo standard scientifici e altri con elevate pretese letterarie. In questo studio non si è tenuto conto delle prime tre categorie. Per illustrare ciò, nel prologo sono state inserite brevi sequenze di parole tratte dalla letteratura: da «Jürg Jenatsch» di Conrad Ferdinand Meyer (1993; pubblicato integralmente la prima volta nel 1876), da «Il lupo della steppa» di Hermann Hesse (2015; prima edizione nel 1927) e da «Un dimanche à la montagne» di Daniel de Roulet (2006). Le opere sul bracconaggio parlano soprattutto di persone, del loro lato selvatico, lupesco, e quindi pure della questione della cultura e del suo rispetto. Questi aspetti hanno incontrato una larga risonanza proprio nella letteratura tedesca (cfr. von Matt 2007). L’analisi scientifica del bracconaggio nelle Alpi (orientali) si concentra su singole pubblicazioni di indirizzo storico, rispettivamente orientate alle scienze sociali (Freitag 2000, Schindler 2001, Schennach 2007, Zechner 2009), e sul lavoro di Scherleitner (2008) che include anche il presente. Grande rilevanza riveste l’opera fondamentale di Girtler (1988), che si occupa dei retroscena sociali del romantico cacciatore di selvaggina austriaco, principalmente nel xx secolo. Lo studio di Blatter (2002) è importante per la Svizzera, avendo documentato meticolosamente il maggiore e più grave caso di bracconaggio avvenuto nel nostro paese nel 1899: un duplice omicidio sull’Alpe Gruobi nel Cantone Obvaldo. Il lavoro di Notegen (2011) contempla tutto il xix secolo ed esamina principalmente le motivazioni degli attori dell’epoca, con riferimento all’area tedescofona compresa la Svizzera. A livello mondiale, la ricerca scientifica si rivela un ausilio vieppiù indispensabile per contrastare i nefasti effetti sulla conservazione delle specie causati o intensificati in primo luogo dal bracconaggio. Per questo, sono state condotte indagini specifiche sul crollo drammatico degli effettivi di elefanti, rinoceronti e tigri (per es. Chapron et al. 2008, Poudyal et al. 2009, Wittemyer et al. 2014; cfr. anche cap. 8). Questo libro vuole essere una disamina attualizzata sul bracconaggio nelle Alpi centrali. Lo studio mira a descrivere il più esattamente possibile il fenomeno della caccia di frodo − partendo dal pn Svizzero − nel triangolo retico (Svizzera, Italia e Austria) negli ultimi 100 anni, con particolare attenzione al recente passato, nonché ad approfondirne le cause, sulla base di casi concreti e seguendo standard accademici. Obiettivi prioritari della ricerca sono: procedimenti sistematici, descrizioni precise, dati quantitativi oltre che qualitativi, spiegazioni documentabili e inserimento dei 19


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risultati in un più ampio contesto di riferimento (con un moderato numero di riferimenti bibliografici). Lo studio tratta il numero più grande possibile di aspetti legati al bracconaggio. Tuttavia, la fauna selvatica e le questioni riguardanti gli effetti della caccia di frodo sulle popolazioni di animali selvatici stanno al centro delle considerazioni. Questo approccio basato sulla biologia della fauna permette di fare confluire nuovi punti di vista nella letteratura sul bracconaggio alpino, che ne ha finora studiato soprattutto gli aspetti storico-culturali. Si sono prese in considerazione anche esperienze personali, quando sembravano utili alla comprensione del tema nella sua complessità. La scelta di abbinare la ricerca sul pn Svizzero a quella sull’adiacente territorio del triangolo retico è pagante: da un lato, il numero di fonti concernenti il tema del bracconaggio nel più antico Parco Nazionale alpino è piuttosto ricca, dall’altro lo sguardo su una limitata area transfrontaliera permette di farsi un’idea del fenomeno nell’ambito di diverse culture e, quindi, dei mutevoli presupposti su cui si fondano sia il bracconaggio sia la lotta per debellarlo. Come già accennato, la posizione del bracconaggio in Svizzera si differenzia in modo fondamentale da quella nell’adiacente territorio alpino orientale. Il Parco Nazionale (pn) dello Stelvio confinante con il pn Svizzero è noto perfino come «roccaforte della caccia di frodo» (Eberhöfer 2006). La posizione periferica favorisce le attività dei cacciatori di frodo nel territorio di transizione fra due Stati, rispettivamente fra due giurisdizioni. Si tratta di un fenomeno tipico della regione, a cui questa ricerca presta una particolare attenzione. Una panoramica più ampia l’apre invece un caso di commercio illegale di animali selvatici di stampo criminoso venuto alla luce a St. Moritz, i cui retroscena condussero fino in Tibet. In questo modo si crea un nesso con la problematica del bracconaggio su scala globale, già toccata in questo capitolo, ed i risultati vengono confrontati con le esperienze a livello locale. Il retroscena criminale rende il bracconaggio un fenomeno generalmente difficile da ricostruire. Le prove giuridicamente valide sono rare e le sentenze si limitano a singoli casi. Perciò, le diverse compilazioni di fatti e dati presentate in questo lavoro hanno il carattere di una statistica di sospetti. Per alcuni temi lo studio si deve basare su indizi e quindi sul giudizio e la credibilità dell’autore. È stato dato il dovuto spazio alla documentazione fotografica contemporanea per dare un’idea dei miei lavori 20


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sul terreno, e per illustrare il rapporto personale con il tema del bracconaggio, elemento centrale dello studio. Il lavoro si basa sull’elaborazione storica, la ricerca personale sul campo e la mia responsabilità operativa in qualità di direttore del pn Svizzero dal 1996. L’impegno, dunque, comprendeva diversi ruoli. Malgrado abbia cercato di differenziarli, non è sempre stato possibile fare una netta distinzione. Le visioni ottenute da diversi punti di vista sono confluite a formare una panoramica globale, permettendo di riconoscere i principali contorni della scena nascosta e mostrandone gli sviluppi nel recente passato. In primo piano stavano le questioni seguenti: 1. Come si sono sviluppati il bracconaggio e la lotta per debellarlo nel pn Svizzero nel corso di 100 anni? 2. Come si ripercuotono sul fenomeno i diversi presupposti al di qua e al di là delle frontiere? 3. Quali sono gli effetti del bracconaggio sulla fauna selvatica? 4. Quali sono le circostanze e i fattori chiave che favoriscono o limitano il bracconaggio? Si trattava di identificare relazioni e, in misura maggiore, di esporre una storia orientata alla problematica. Per evidenti ragioni, l’attenzione si è focalizzata sulla situazione del bracconaggio nel recente passato, almeno per quanto riguarda il pn Svizzero. Con ciò si poneva la questione delle misure adeguate per contrastare la caccia di frodo, unita al controllo della loro efficacia. Ci si muoveva dunque in un quadro concreto e vincolante che non concerneva solamente la documentazione del bracconaggio e le raccomandazioni per migliorare la situazione, ma, nel caso del pn Svizzero, comprendeva direttamente l’applicazione delle stesse. Il libro si prefigge di attenersi all’oggettività. Il tema scottante del bracconaggio ha indubbiamente una spiccata componente emozionale. La caccia di frodo è un modo particolare per superare i limiti, e le sue molteplici sfaccettature suscitano diversi sentimenti. Rösener (2004) la definisce una «coesistenza di minaccia e fascino». Come esposto nel prologo, il fenomeno mi ha coinvolto sin dagli anni giovanili, tuttavia sempre dal lato corretto. Anche questo ruolo è avventuroso, dato che c’è sempre un rischio quando i «cacciatori» diventano la preda e il bracconaggio viene alla luce nell’opinione pubblica. È evidente che non ci si crea solo degli 21


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amici da ambo le parti, svolgendo ricerche di questo genere! Questa pubblicazione presupponeva un certo coraggio, caratteristica ineludibile per far fronte al bracconaggio. Le mie ricerche sono avvenute a stretto contatto con la vita reale e – dato che contemplavano in primo luogo esseri umani e la società intera – hanno indagato aspetti, contatti e attività estremamente variegati.

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Nationalpark-Forschung in der Schweiz 105/1 Wilderei im rätischen Dreiländereck Ausgabe in deutscher Sprache, erschienen 2016, Haupt Verlag, Bern. isbn 978-3-258-07965-3

Zum Buch «Wilderei im rätischen Dreiländereck» ist eine vom Schweizerischen Nationalpark ausgehende, in benachbarte Gebiete Italiens und Österreichs übergreifende Dokumentation und Interpretation der Wilderei, wie sie in vergleichbarer Form noch nirgends erschienen ist. Dabei geht es nicht nur um die Aufarbeitung der Geschichte, sondern vor allem auch um die Darlegung zeitgenössischer Fälle, wodurch die dunklen Aktivitäten unmittelbar beleuchtet werden. Ein aussergewöhnlicher Fall illegalen Handels von Shahtoosh-Schals in St. Moritz weitet die Perspektive bis nach Tibet aus und schafft einen Bezug zur weltweiten, heute in diversen Ländern dramatischen Situation der Wildtier-Kriminalität. Das Ziel dieser Studie ist eine wenn immer möglich quantitative Aufarbeitung der Wilderei im rätischen Dreiländereck. Im Vordergrund steht die Frage nach den Einflüssen der illegalen Jagd auf Wildtierpopulationen. Die gesammelten Erfahrungen dienen aber auch dazu, das Phänomen Wilderei zu erklären und Wege zur Verbesserung der Lage aufzuzeigen. Die Literatur zum Thema Wilderei ist extrem breit gefächert und auf wissenschaftlicher Ebene im Alpenraum eher auf kulturhistorische Gesichtspunkte ausgerichtet. Das vorliegende Buch eröffnet somit neue Horizonte.

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Il libro «Bracconaggio nel triangolo retico» documenta e interpreta in modo finora inedito il fenomeno del bracconaggio, partendo dal Parco Nazionale Svizzero ed estendendo le indagini nei vicini territori italiani e austriaci. L’opera non si limita a rivedere la storia in modo critico, ma dedica pure grande attenzione a casi accaduti in epoca recente, esaminando a fondo e da vicino le attività illecite. Un caso straordinario di commercio illegale di scialli di lana shahtoosh, scoperto a St. Moritz, allarga la prospettiva fino al Tibet, creando un nesso con l’odierna criminalità su scala mondiale legata alla fauna selvatica, che si manifesta drammaticamente in diversi paesi. Lo studio mira ad analizzare il bracconaggio nel triangolo retico, per quanto possibile in modo quantitativo, e pone in primo piano la questione degli effetti della caccia di frodo sulle popolazioni di fauna selvatica. Le esperienze raccolte servono però anche a spiegare il fenomeno e ad illustrare gli approcci atti a migliorare la situazione. Le opere letterarie sul tema del bracconaggio sono estremamente numerose e variegate; le ricerche scientifiche riguardanti la regione alpina, d’altro canto, si sono finora interessate soprattutto agli aspetti storico-culturali. Questo libro apre perciò nuovi orizzonti.

L’autore Heinrich Haller, nato nel 1954, non proviene da una famiglia di bracconieri e non ha mai cacciato di frodo. Il bracconaggio ha tuttavia particolarmente suscitato l’interesse dell’autore sin dalla sua gioventù. L’attenzione su questo tema si è acuita con l’esercizio della professione di biologo della fauna e la pratica della caccia (al camoscio). Heinrich Haller ha studiato delle icone della fauna selvatica indigena (tra cui l’aquila reale, la lince e il cervo) ed è stato docente di ecologia di montagna in qualità di professore fuori organico all’Università di Gottinga. In funzione di direttore del Parco Nazionale Svizzero ha dovuto confrontarsi con la caccia illegale, un impegno che sta alla base del presente studio sul tema del bracconaggio.

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«Le bestie lo avevano sentito, sapevano che c’era e sapevano pure di stare su un pascolo difficile da avvicinare allo scoperto. Se l’odore aumentava si sarebbero diradate in alto.» Erri De Luca: Il peso della farfalla (2009; Feltrinelli, Milano).

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