In principio era la vergogna
N
on ho mai riflettuto sulla mia timidezza. Durante tutti questi anni, l’ho accettata come una componente del mio carattere, impossibile da sradicare, e mi ci sono talmente abituato da non farci più caso. Dipendo dalla mia timidezza e ci sono molto affezionato, come se fosse una passione indispensabile al mio «buon funzionamento». I tormenti, il nervosismo e le umiliazioni che mi causa mi danno la prova della mia esistenza, la mia dimensione in questo mondo. Lei, sono io. Forse ho finito addirittura per coltivarla, per osservare con curiosità questa esplosione della mia mente, questo terremoto che si scatena in me non appena mi devo esprimere, le cui scosse percorrono tutto il mio corpo, provocandomi tremiti, facendomi arrossire in volto e grondare la fronte di una lava trasparente. La metafora del terremoto mi viene spontanea per descrivere questo stato, ma andrebbe bene anche quella del vuoto: parlare mi dà le vertigini, l’impressione di gettarmi nel vuoto. Spesso, immagino la parola come una scogliera 7