Giovanni Pascoli, vita, immagini, ritratti.

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Il giovane Pascoli dalla nascita alla laurea

“IO LA PENSO COME LEOPARDI” Un omicidio nella Romagna del Passatore 10 agosto 1867, pomeriggio, località di Gualdo, comune di Longiano. Ruggero Pascoli, padre di Giovanni, viene colpito da una fucilata in mezzo alla fronte. Ruggero esercitava le funzioni di amministratore della Torre, una grande tenuta agricola di proprietà dei principi Torlonia - che aveva il suo centro a San Mauro, allora di Romagna, ma s’allargava nei comuni vicini - e stava tornando a casa in calesse da Cesena. Vi era andato per accogliere un incaricato del principe Torlonia. Che avrebbe dovuto nominarlo amministratore della Torre. L’incaricato non s’era presentato all’appuntamento. Sui tragici momenti seguenti l’omicidio, il racconto di un testimone oculare, Gino Vendemini, avvocato, combattente garibaldino, scrittore e poeta.

Nel tardo pomeriggio di detta giornata mentre io e il signor Giuliano Cacciaguerra, mio compaesano ed amico, passeggiando fuori del paese, eravamo di fronte alla Villa Rasponi, scorgemmo una vettura che dalla parte del Còmpito veniva verso di noi tutta sghimbescio e descrivendo una biscia quasi che il cavallo fosse stato abbandonato e non ubbidisse più al conduttore. Tiratici in disparte, io notai che nel carrettino, avente il mantice alzato, vi era un uomo come in atteggiamento di dormire e a cui fossero sfuggite di mano le redini: di più non vidi e non lo conobbi: non so se il mio compagno lo riconoscesse; ma tutti e due dèmmo forte la voce ad un gruppo di persone ferme nell’imboccatura del borgo perché arrestassero quello strano veicolo. Retrocedemmo che il cavallo era stato fermato, e quando già per la pietà di alcuni, parmi della famiglia Bersani, un lenzuolo aveva coperto il cadavere, che a me era sembrato un dormiente, del povero signor Ruggiero Pascoli amministratore del latifondo “la Torre”. Si seppe poi che l’assassino, rimasto ignoto, almeno alle autorità, appiattato

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In apertura

La cavalla storna, schizzo di Giovannino (ACP-CB).

Veduta di

San Mauro di Romagna del pittore e scenografo Romolo Liverani (Faenza 1809-1872) “Che hanno le campane,/che squillano vicine,/che ronzano lontane?� (BSP-FO).

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nia, da parte sua - almeno secondo la testimonianza di Ferruccio Giovanardi, discendente di una famiglia di fattori della Torre -, ambiva a espandersi attraverso Santarcangelo verso San Marino. Cacciaguerra aveva acquistato terreni nella zona di Santarcangelo. Il principe Torlonia era disponibile a comprarli pagando un prezzo elevato. Ruggero Pascoli si opponeva. Ce n’era a sufficienza per indurre Cacciaguerra a sobillare due sicari, appartenenti alla sua area politica, la repubblicana, a far giustizia, per motivi politici, del “nemico del popolo”. Della colpevolezza di Cacciaguerra era convinta la famiglia Pascoli. E San Mauro tutta. Partono le indagini che si concentrano anche sul fidatissimo garzone di Ruggero, Jen. Si parla di testimoni. Per esempio: una donna avrebbe visto, subito dopo lo sparo, due uomini, uno dei quali con la barba, fuggire. Ma non s’approda a nulla. Maria Pascoli, detta nel lessico famigliare Mariù, sorella, principale biografa e sacerdotessa indefessa del culto della memoria di Giovanni, parla di tre processi senza esito. Dei quali, purtroppo, non esiste documentazione perché gli atti “dovettero essere tolti nel 1916 dall’archivio del Tribunale di Forlì in forza di un decreto luogotenenziale riguardante l’alienazione delle carte fuori uso delle amministrazioni dello Stato durante la guerra” (Gismondi). La famiglia Pascoli, Giovanni in testa, era persuasa che il mandante godesse di notevoli protezioni. Per questo le indagini furono condotte per non scoprire nulla. Molti anni dopo in una lettera egli spiegherà: siccome a San Mauro tutti conoscevano il nome dei sicari, sarebbe stato sufficiente andarli a prendere dov’erano, torchiarli e costringerli confessare il nome del mandante. Nessuno lo fece. A questo proposito egli non mancò di rimproverare ai suoi compaesani un comportamento omertoso. Che probabilmente ci fu e determinò nella comunità, in seguito, un profondo senso di colpa. Ugo Gori, un sammaurese, racconta riguardo agli assassini il seguente episodio. Protagonista ne è suo padre, Pietro, che glielo ha confidato. Quel dieci agosto del 1867 Pietro incontra il compaesano Michele Della Rocca, assai angosciato. Questi gli confessa di aver ucciso, insieme a Luigi Pagliarani che premette il grilletto, Ruggero Pascoli. Della Rocca, detto Capi-

nel fosso in prossimità di Gualdo […] lo aveva atteso in caccia […], e còlto al volo con una fucilata. Perché ammazzarono quell’uomo che non aveva mai fatto male ad alcuno, e che lasciò una nidiata di figlioli senza guida e senza fortuna? Se la domanda di Vendemini sul movente dell’omicidio resta senza risposta, non mancano diverse ipotesi. Una delle più fantasiose attribuisce il delitto ai contrabbandieri del sale. Ai quali Ruggero Pascoli avrebbe impedito di attraversare le terre della tenuta Torre e dunque di esercitare i loro traffici; per questo essi l’avrebbero liquidato. Un rapporto prefettizio addossa alle società segrete di Cesena, ai non meglio definiti “accoltellatori” della città medesima, la tragica impresa che avrebbe a pretesto l’esportazione del grano: sottratto per motivi puramente speculativi alle necessità della popolazione. Più in generale sorge spontaneo osservare che un siffatto clima di violenza trovava abbondante alimento nel degrado socioeconomico e nell’emarginazione politica postunitaria della Romagna. Nondimeno l’ipotesi che sembra più verosimile è la seguente. Ruggero Pascoli era un benestante che governava per conto dei Torlonia una grande tenuta. Ciò di per sé costituiva una ragione di rancore o almeno di scarsa simpatia da parte delle migliaia di poveracci che non avevano né avrebbero visto mai - se non grazie a un sovvertimento sociale - la tavola imbandita. Egli aveva quasi sicuramente praticato l’escomio e licenziato mezzadri. Consegnava pure ai comuni le liste dei contadini ventenni per la coscrizione obbligatoria. Che privava per anni le famiglie di braccia forti. Ma ciò ch’è peggio, per la mentalità romagnola, egli era un “voltagabbana”. Aveva aderito alla Repubblica Romana, per passare poi ai monarchici. Forse per questi suoi trascorsi rivoluzionari i Torlonia non avevano stabilizzato il suo incarico di amministratore della Torre che restò interinale. Non è da escludere, inoltre, ch’essi covassero un altro motivo d’insoddisfazione. Ruggero, uomo ligio alle norme, non era munito della spregiudicatezza necessaria per la gestione “moderna” del latifondo. E qui entra in scena l’imputato principale: Pietro Cacciaguerra. Costui voleva subentrare nel posto di amministratore a Ruggero. Il principe Torlo-

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dell’Ottocento, un bandito sociale: un Robin Hood italiano. E un patriota. Arnaldo Fusinato e Francesco Dall’Ongaro, poeti e combattenti risorgimentali assai noti all’epoca, ne celebreranno le gesta in versi. E se non bastasse, l’eroe italiano per antonomasia Giuseppe Garibaldi così aveva scritto in una lettera qualche mese prima della morte del bandito: “Noi baceremmo il piede di quel bravo italiano, che non paventa, in questi tempi di generale paura, di sfidare i dominatori e insegnar loro che la nostra terra è fatta solo pei loro cadaveri”. Anche Pascoli contribuirà da par suo alla glorificazione del bandito.

lòina nel dialetto locale, compare nell’elenco dei volontari garibaldini che i carabinieri reali stilano nel 1868. Il che suona a ulteriore conferma dell’ipotesi sopra citata: delitto per (finte) causali politiche. Un Luigi Pagliarani compare nel medesimo elenco ma non è certo si tratti dell’assassino che, detto Bigéca, ricorre nelle tradizioni orali sammauresi. Di professione speziale, uomo violento e assai temuto anche dai gendarmi - i quali, pare, lo evitassero accuratamente -, viene ucciso da una o più coltellate. Il fatto trova riscontro nei registri parrocchiali. L’otto aprile 1891 fu “trafitto da una lama conficcata nello stomaco” per mano di “un nemico sammaurese” e “rapidamente morì”. La memoria orale identifica l’omicida con uomo assai mite (non facile da credere ma questa è la tradizione) tal Turòun, del quale resta soltanto il soprannome in dialetto. Egli, provocato di continuo, accusato di essere un vigliacco - non vali niente! non sei un uomo! -, reagisce. Pagliarani muore all’età di quarantaquattro anni. Della Rocca, nato nel ’45, trapassa, riteniamo per cause naturali, nel 1907. Il delitto, la violenza, almeno secondo uno stereotipo assai diffuso nella seconda metà dell’Ottocento, sono largamente praticati nelle campagne, nelle città, nei paesi, nei villaggi della Romagna. Dove risuona a partire dalla fine degli anni Quaranta e con tono crescente dal 23 marzo del 1851, data della sua morte, l’eco delle gesta brigantesche di Stefano Pelloni detto il Passatore. Nato a Boncellino di Bagnacavallo, capobanda implacabile, la cui ferocia è pari all’audacia, viene ucciso in uno scontro a fuoco da un nutrito gruppo di gendarmi in un capanno da caccia a poca distanza dai luoghi dell’infanzia a Boncellino. Il suo cadavere, “a pubblico esempio dei male intenzionati”, viene trasportato in giro per la Romagna. Ma nonostante ciò o forse proprio per ciò, la sua fama corre di bocca in bocca. Nelle chiacchiere d’osteria e nelle stalle, la sera, nei racconti delle nonne ai nipoti, nei versi dei poeti... Per qualcuno aveva riparato ai torti, per altri s’era battuto per la patria sotto il giogo papale e straniero. Colui che, con ogni probabilità sulla base dei fatti nudi e crudi, era stato né più né meno che un feroce grassatore, divenne, nel clima di miseria e d’oppressione della Romagna della metà

L’infanzia di Zvanin Giovanni Pascoli, quando è privato del padre, si trova in collegio dagli Scolopi a Urbino insieme ad alcuni fratelli, e non ha compiuto ancora dodici anni. Ruggero, che era nato a Ravenna nel 1815, rimase ben presto orfano. Venne a San Mauro con lo zio Giovanni che era amministratore della Torre e gli subentrò, senza per altro, come sappiamo, assumere mai l’incarico definitivo. Nel 1849 Ruggero sposa Caterina Vincenzi Alloccatelli che porta seco una discreta dote (di essa fa parte una casa nel paese). Gli dà pure una notevole prole: dieci figli: cinque maschi e cinque femmine. Margherita nel 1850, Giacomo nel ’52, Luigi nel ’54, Giovanni alle sei e mezza del pomeriggio del 31 dicembre ’55, Raffaele nel ’57, Giuseppe nel ’59, Carolina nel ’60, morta a cinque anni, Ida che scomparve pochi mesi dopo la nascita nel ’62, Ida nel ’63 e Maria nel ’65. Le notizie sull’infanzia di Giovanni, trascorsa nella casa di San Mauro, sono piuttosto sporadiche. Pare fosse d’indole assai vivace, almeno a sentire la sorella Mariù; lui, in una bella testimonianza sugli anni felici dell’infanzia tratta da Casa mia in Limpido rivo, si rappresenta così: E io ruzzavo e scavallavo nel giardino avanti casa, tra i pini i cedri del Libano gl’ippocastani le thuie

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Rio Salto, San Mauro di Romagna (ACP-CB). “Pur via e via per l’infinita sponda/passar vedevo i cavalieri erranti”.

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“Al rio sottile, di tra vaghe brume,/guarda il bove, coi grandi occhi …” (ACP-CB). Veduta di San Mauro di Romagna (ACP-CB).

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Alessandro Torlonia (per gentile concessione della Signora Emma Batolo, Rimini).

Nella pagina a ďŹ anco La tenuta Torre di San Mauro dei Principi Torlonia (MCP-SMP).

Cartoncini pubblicitari dell’epoca (produzione di vini) della Fattoria Torlonia di San Mauro, dove si produceva il famoso Champagne La Tour, presente in varie circostanze della vita conviviale del poeta (MCP-SMP).

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La Torre e i pioppi del Rio Salto a San Mauro (ACP-CB). “Ma voi solo vedevo, amici pioppi!/Brusivano soave tentennando/lungo la sponda del mio dolce fiume”. Nella pagina a fianco La famiglia dei principi Torlonia, al centro il vecchio capofamiglia Alessandro (per gentile concessione della Signora Emma Batolo, Rimini).

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Ruggero Pascoli coi tre ďŹ gli maggiori Giacomo, Luigi e Giovanni poco prima che entrassero nel collegio degli Scolopi a Urbino, nel 1862 (ACP-CB). Nella pagina a ďŹ anco

Ruggero Pascoli, ritratto (ACP-CB).

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Acquaforte dell’incisore Vico Viganò (Cernusco sul Naviglio 1874 - ivi 1967) da Canti di Giovanni Pascoli, acqueforti di Vico Viganò, prefazione di Leonardo Bistolfi, Bologna, 1911 (MCP-SMP). “Seguitasti la via tra gli alti pioppi:/lo riportavi tra il morir del sole ...”.

X Agosto, manoscritto autografo (ACP-CB).

Nella pagina a fianco

Il mistero della cavallina storna. Disegno di Walter Molino ne La Domenica del Corriere, gennaio 1954. “Anche un uomo tornava al suo nido:/l’uccisero: disse: Perdono;/e restò negli aperti occhi un grido/portava due bambole in dono ...” (MCP-SMP).

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Casa mia, manoscritto autografo (ACP-CB).

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La casa del poeta a San Mauro di Romagna (ACP-CB). Nella casa, cinta da un giardino, il poeta trascorse i primi anni dell’infanzia, fino a che, nel 1862, la famiglia si trasferì alla tenuta La Torre, di cui il padre era amministratore. In anni più tardi Pascoli meditò di riacquistare la casa natale, venduta dopo la morte del fratello Giacomo, ma le trattative non andarono in porto, anche perché il poeta era ormai legato a Castelvecchio.

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Nella pagina a fianco La cucina di Casa Pascoli, ora Museo, a San Mauro.

Lettera di supplica, in data 9 dicembre 1867, della madre Caterina Pascoli, indirizzata a Pietro Cacciaguerra “Ministro di S.E. il Principe Torlonia”, nella quale, trovandosi nel bisogno di pagare il maestro del figlio Giuseppe, chiede che venga restituito il denaro speso per il grano acquistato. Si noti che la lettera è indirizzata proprio a colui che la famiglia riteneva il mandante dell’assassinio di Ruggero Pascoli (MCP-SMP).

Altra veduta della

casa del poeta a San Mauro (MCP-SMP). “M’era la casa avanti,/tacita al vespro puro/ tutta fiorita al muro/di rose rampicanti”.

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Acquaforte di Vico Viganò. Porta la data 1908. “E cadenzato dalla gora viene/ lo sciabordare della lavandare/ con tonfi spessi e lunghe cantilene”.

Nella pagina a fianco

La madre del poeta (ACP-CB). “Me la miravo accanto/ esile sì, ma bella”. “Sono più di trent’anni e di queste ore,/mamma, tu con dolor m’hai partorito;/ ed il mio nuovo piccolo vagito/t’addolorava più del tuo dolore”.

Alla madre, manoscritto autografo (ACP-CB).

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Biglietto autografo di Pascoli con un componimento per la sorella Ida, “bel capo biondo”, che riporta a matita l’appello “Ida, amaci”. In un disegno a colori, sempre all’Archivio di Castelvecchio, Giovanni e Maria si raffigurano come due capineri nel nido, mentre la sorella Ida è rappresentata come una stella in cielo. Viene riportata la stessa poesia acrostica “Ida, amaci”. (ACP-CB).

Il poeta con la sorella Mariù (ACP-CB).

Nella pagina fianco

La sorella Ida con la dedica “Ricordati sempre della tua Ida 7 agosto ’95” (ACP-CB).

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