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Pastorale americana

Colpita in America Latina e in Africa dalle sette foraggiate da Washington, la Chiesa rovescia lo scontro eleggendo un papa statunitense

—Perché Domino?

Tutto cambia. Ma a volte il cambiamento è più violento del solito. Come in questo frangente, segnato dalle dinamiche che condurranno allo scontro finale per la supremazia globale. Per interpretare i movimenti intorno a noi nasce Domino, la rivista sul mondo che cambia. Uno strumento di geopolitica, pensato per trascendere la cronaca, per sondare le profonde cause dei fatti, per scorgere il futuro.

Al centro della nostra indagine le aggregazioni umane, i popoli. Ovvero gli abissi della psicologia popolare, le ferite provocate dalla storia, le pedagogie nazionali, le inclinazioni universalistiche. Senza tralasciare le narrazioni indispensabili, le strategie ancestrali, le tattiche estemporanee. Nella consapevolezza che sono le collettività a informare il tempo, non i leader, semplici prodotti del milieu di appartenenza. E che popoli diversi perseguono obiettivi diversi, vivono in dimensioni temporali non comunicanti, si saziano di soddisfazioni distinte. Dai paesi economicistici agli imperi, dai satelliti agli egemoni, dalle talassocrazie alle potenze di terra.

Con il nostro lavoro proveremo a calarci nello sguardo dell’altro, senza imporre le occidentali categorie interpretative a comunità lontane, senza applicare modelli prêt-à-porter a ogni luogo della terra. Per immaginare cosa sarà dell’Europa, quale destino coglierà la Russia, come l’America vorrà stare in cima al mondo, come la Cina proverà a sfidarla.

Obiettivo ultimo sarà descrivere la connessione tra gli eventi, capace di produrre conseguenze in teatri insospettabili, di innescare quell’effetto domino che sconvolge l’esistenza.

In copertina: l’avvento di Leone
diretta da Dario Fabbri

Pastorale americana

Colpita in America Latina e in Africa dalle sette foraggiate da Washington, la Chiesa rovescia lo scontro eleggendo un papa statunitense

L'Editoriale

Un americano a Roma

I.Leone XIV che guarda il mondo

27. Leone tra Pietro e Paolo di P. Mattonai

35. La Chiesa (non) tornerà a Roma di F. Bertasi

43. La Curia ha vinto o perso? di A. Borelli

51. L’eredità di Francesco nelle mani di Prevost di E. Morelli

—64

II. Vaticano, Stati Uniti e altre potenze

65. Il Figlio dell’Uomo di V. Ilari

71. Dai due papi in Vaticano ai due papi statunitensi di L. M. Ricci

82. I cosacchi vogliono rimanere a San Pietro di P. Figuera

89. Fine dell’Ostpolitik? di M. Perriello

—102

III. I nodi della Chiesa

103. Primo obiettivo: riconquistare l’America Latina di G. Lodato

111. Leone non può perdere l’Africa di M. Giusti

119. La Chiesa resta senza Europa di M. Vino

127. Roma guarderà all’Asia. Ma non troppo di C. Azzarini

137. Sul Medio Oriente Leone sarà un Francesco II di G. Massano

—mappe e infografiche

Il primo discorso di Leone

→ p. 12

L'agenda di Leone → p. 18

La geografia del Conclave → pp. 21-22

L'anno che verrà (a Roma) → p. 42

I viaggi di Papa Francesco

Le nomine cardinalizie di Francesco

→ pp. 55-56

→ pp. 59-60

I romani a stelle e strisce → p. 80

Lo stato della guerra in Ucraina → p. 86

I cattolici della Terra di Mezzo → pp. 93-94

L'insidia evangelica → p. 108

I cattolici d'Africa → p. 116

I romani dell'Asia → pp. 131-132

Un americano a Roma

Un ghibellino in Vaticano. Fine del mondo. O, terre à terre, implosione della Chiesa.

Apparentemente l’elezione di Robert Francis Prevost è un nuovo manrovescio d’Anagni, vittoria del massimo impero laico d’Occidente che si vuole globale sulla massima autorità spirituale d’Occidente che si vuole universale. Umiliazione del soglio di Pietro peggiore di quando nei secoli le corone europee designavano i vicari di Cristo, perché portata dalla «città sulla collina», concorrente dell’ecumenismo pietrino ma di matrice protestante.

Quarta Roma che si mangia la Prima. Dramma sperimentato soltanto dopo la caduta di Romolo Augustolo, quando Costantinopoli regnò sul papato. Vittoria di Cesare su Pietro che non riuscì alla Terza Roma sovietica. Cattività prossima e definitiva.

Non resta che giocare gli Stati Uniti contro gli Stati Uniti, attraverso il magistero di un papa

Ma se violiamo l’extra omnes, oltre il deluso brusio di piazza San Pietro al momento dell’annunzio, scopriamo che Leone XIV è ultima escogitazione del conclave contro il declino della Chiesa. Nella valutazione dei cardinali, forti della lezione di Francesco, negli ultimi decenni è stata Washington a minare la stabilità cattolica foraggiando le sette evangeliche in America Latina e in Africa – lo scadimento del nucleo occidentale è dato per autoinflitto.

Non resta che giocare gli Stati Uniti contro gli Stati Uniti, attraverso il magistero di un papa che è chicagoano ma anche peruviano, prodotto del Midwest ma pure romanista e tottiano.

Da tempo di casa in Vaticano e infiltrato oltreoceano. Agente riprogrammato per colpire la nazione natia. Chiamato a ordire una controriforma a sud dell’equatore, a combattere il costantinismo di Donald Trump, ad abbracciare dolosamente il clero statunitense da cui dipendono le finanze della Santa Sede. Senza provocare altre defezioni. Molto più giovane del nemico newyorkese, della stessa foggia di Bergoglio ma dal tono mediano. In sintonia con la Curia, estraneo alla gesuitica ossessione per l’Asia. Sognato distruttore dell’impero statunitense. Purché funzioni.

Nei millenni la Chiesa fu sottomessa all’autorità temporale più di una volta. Fin dalla dominazione dell’impero romano d’Oriente, poi detto bizantino per ragioni oscure, quando l’esarca di Ravenna era uso bollinare l’intronizzazione del rappresentante di Cristo.

Tra il VI e l’VIII secolo numerosi pontefici – Teodoro I, Conone, Sergio, Agatone, Giovanni V, Zaccaria - furono di origine e lingua greca, testimonianza della superiorità di Costantinopoli.

In un’epistola indirizzata a Giovanni V nel 681, l’imperatore Giustiniano II annunciava che gli atti del sesto concilio ecumenico erano conservati nel Gran Palazzo (Μέγα Παλάτιον) sul Bosforo, posti sotto

la sua tutela anziché consegnati al pontefice.

Per liberarsi dagli elleni stanziati nella penisola italica, negli anni successivi la Santa Sede non esitò a schierarsi con i barbari germanici (longobardi, franchi, normanni).

Proprio dall’intervento dei longobardi provenne la donazione di Sutri (728), con cui Roma ottenne territori in sostituzione del potere costantinopolitano.

Soccorso doloso che poi avrebbe condotto il papato nella sfera d’influenza germanica.

Nel 996 Brunone di Carinzia, nipote e cugino degli imperatori Ottone I e Ottone III, fu elevato alla cattedra petrina a soli 24 anni con il nome di Gregorio V, primo papa tedesco della storia – «usus francisca, vulgari et voce latina» (“abile nell’usare il latino, il volgare e il francese”), recita la sua lapide nelle grotte vaticane.

Inizio di una lunga serie. Per l’intero XI secolo l’imperatore Enrico III, detto il Nero, impose gli altrettanto germanici Clemente II (nato Suidgero di Morsleben e Hornburg), Dammaso II (Poppo von Bayern), Leone IX (Bruno von Egisheim-Dagsburg), Vittore II (Gebhard von Calw).

Leone IX fu papa all’alba dello scisma d’Oriente, quando i suoi legati espressero l’anatema contro il patriarca di Costantinopoli (1054), quest’ultimo inorridito dalla natura ormai barbara della confessione latina.

Per blandire la monarchia francese che minacciava lo scisma, tre secoli più tardi la Chiesa trasferì sé stessa ad Avignone, nella terra degli angiò, con il sopraccitato schiaffo a precedere la cattività. Ne venne una sequenza di sette papi francesi posti più o meno sotto la potestà dei re gallicani. Qualche anno dopo Clemente VI (13421352), nato Pierre Roger, acquistò Avignone dalla regina Giovanna d’Angiò per 80mila fiorini. «La preferisco all’Urbe», scolpì.

Altri papi furono espressione dei più potenti Stati italiani o delle famiglie che li governavano.

Leone X (1513–1521), Giovanni de’ Medici al momento del battesimo, figlio di Lorenzo il Magnifico, rimase alla storia per aver vissuto il principio della riforma protestante. E nei ricordi del popolo perché proprietario di un elefante albino di nome Annone, dono di Manuele del Portogallo, la cui cura fu affidata anche a Raffaello Sanzio, autore di uno schizzo che ritraeva il pachiderma.

Il dominio fiorentino su Roma come atto in sé.

Più o meno lo stesso approccio del successore Clemente VII (1523-1534), prima dell’elezione Giulio Zanobi di Giuliano de’ Medici, cugino di Leone X, chiamato dal destino a presiedere al sacco della città (1527) e a favorirne il ripopolamento con l’approdo di contadini originari della Toscana, fenomeno che fiorentinizzò il volgare di Roma, tuttora caso unico fuori dall’antica Etruria.

Alcuni pontefici furono financo accusati di ghibellinismo per la connivenza con altri imperi, con altri Stati. Francese e firmatario del concordato di Worms che chiudeva la lotta per le investiture,

Callisto II (1119–1124) fu raccontato come traditore dagli ecclesiastici del tempo.

Più tardi Dante collocò tra i simoniaci Clemente V, il pontefice che inaugurò l’esilio avignonese.

Nel canto XIX dell’Inferno lo troviamo a testa in giù nella terza bolgia dell’ottavo cerchio, la sua vita paragonata a quella di Giasone dei Maccabei che comprò dal sovrano Antioco IV il titolo di sommo sacerdote, con palese riferimento alla sottomissione al re di Francia, Filippo il Bello – la storiografia leaderistica puntualmente regala gustosi epiteti.

«Nuovo Iasón sarà, di cui si legge, ne’ Maccabei; e come a quel fu molle, suo re, così fia lui chi Francia regge», canta il sommo poeta. Catalogo di oltraggi e riemersioni cui finora era scampato il solo incrocio con gli Stati Uniti d’America. «Mai unire il trono di Pietro e lo Studio Ovale», recitava una delle massime salmodiate in lunghe cene consumate a Borgo. Non soltanto per scongiurare nuovi banchetti stranieri sul patrimonio di Pietro. Gli Stati Uniti sono bestia diversa dal Sacro Romano Impero o dagli Stati incastrati nella penisola italiana. Altrettanto mondialisti ma d’estrazione calvinista, naturali concorrenti del cattolicesimo per escatologia e percezione di sé.

Opposti e identici all’Unione Sovietica, portatrice del messianismo marxista che è altra elaborazione del cristianesimo, per cui nel Novecento la Santa Sede s’alleò con Washington. «Un’eventuale fusione migliorerebbe la missione della superpotenza anglosassone con danno per il Vaticano», s’argomentava ancora attorno alle mura leonine, dopo l’ammazzacaffè, prima d’avviarsi verso Porta Sant’Anna.

Situazione simile al dominio subito con Constantinopoli, potenza universalistica perché romana, quando l’Urbe originaria sfiorò l’estinzione per sperimentata irrilevanza. E si consegnò ai germanici per sopravvivere. Esattamente lo scenario emerso dall’ultima fumata bianca.

Al termine di furibonde pressioni delle potenze esterne, nostalgiche dello ius exclusivae, il veto sui papabili concesso alle potenze cattoliche ancora un secolo fa.

«Abbiamo un ottimo candidato, proveniente da una città che si chiama New York»1, ha motteggiato Donald Trump con tono ellittico durante le congregazioni generali, segnalando di preferire l’arcivescovo Timothy Dolan, esponente del clero conservatore - il nostro ha pure spiegato di non poter diventare lui stesso papa perché sposato tre volte.

«Meglio un candidato in continuità con la svolta progressista impressa negli ultimi anni», ha obiettato lontano dai microfoni il successore/predecessore Joe Biden, a Roma per i funerali di Francesco. Medesima manovra del presidente francese, Emmanuel Ma-

1/ Cfr. T. NEROZZI, «Trump likes Cardinal Dolan for pope, but an American pontiff seems a non-starter», The Washington Examiner, 4/5/25.

Dario Fabbri

cron, a cena con il fondatore della comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, nella speranza di puntellare l’arcivescovo di Marsiglia, Jean-Marc Aveline.

Nell’anticamera di un conclave composto per l’80% da cardinali elettori nominati da Bergoglio (110 su 133 partecipanti), centrato sull’eredità pastorale e geopolitica del pontefice argentino.

Francesco non distingueva tra imperi. Non ne riconosceva di buoni e di cattivi

Su cui è rovinosamente caduto il segretario di Stato, Pietro Parolin, reo d’aver concluso nel 2018 un accordo sulle investiture con la Repubblica Popolare valutato come capestro.

Poi ulteriormente svilito il 28 aprile dall’unilaterale nomina pechinese dei vescovi di Shanghai e Xinxiang, in violazione dell’intesa e nei giorni di sede vacante, quando la Curia non poteva ratificare le consacrazioni episcopali. Affondo dei mandarini che ha probabilmente annullato anche le speranze del cardinale Luis Antonio Tagle, di padre filippino e madre cinese, oltre che capace di cantare in pubblico l’improbabile Imagine di John Lennon, il cui testo propone un distopico mondo senza religioni. Grande è la confusione sotto il cielo.

Per il solo beneficio del cardinale Prevost, prefetto del dicastero per i Vescovi, eletto papa al termine del più breve conclave degli ultimi decenni, benché annunciato come uno dei più tortuosi.

Primo pontefice statunitense della storia, ma assai distante dal conservatorismo di molti prelati d’oltreoceano intimi dell’amministrazione Trump.

Nessuna imposizione imperiale. Piuttosto, la sofisticata e arrischiata scelta dei curiali.

Per nulla compresa dalla folla radunata in piazza San Pietro, palesemente fredda nell’ascoltare i primi pronunciamenti del nuovo pontefice. Da analizzare attraverso il pontificato di Francesco, precedente indifferibile per la Chiesa di domani.

Il pensiero di Francesco possiede dettami categorici, mediamente arcani in Europa occidentale, con la stravagante dedizione all’Asia come unico passaggio davvero apprezzato quaggiù.

Anzitutto, il papa defunto non distingueva tra imperi. Non ne riconosceva di buoni e di cattivi. Non rintracciava differenze tra turchi, russi, americani, cinesi, iraniani, massimi popoli della nostra epoca. Ai suoi occhi, gli imperi perseguivano la potenza, sognavano di lasciare fossili di sé nella storia, agivano per paura e ambizione, per necessità e crudeltà. Tutti, nessuno escluso.

Di qui, la lettera inviata a Vladimir Putin per impedire che gli Stati Uniti bombardassero la Siria, gli affettuosi messaggi recapitati al presidente cinese Xi Jinping, i distesi incontri con l’americano

IL PRIMO DISCORSO DI LEONE

La pace sia con tutti voi!

Fratelli e sorelle carissimi, questo è il primo saluto del Cristo risorto, il buon pastore che ha dato la vita per il gregge di Dio.

Anche io vorrei che questo saluto di pace entrasse nel vostro cuore, raggiungesse le vostre famiglie, tutte le persone ovunque siano, tutti i popoli, tutta la Terra. La pace sia con voi. Questa è la pace di Cristo risorto, una pace disarmata e disarmante, umile e perseverante.

Grazie a papa Francesco. Ringrazio anche tutti i confratelli cardinali che mi hanno scelto per essere successore di Pietro, per camminare insieme a voi, cercando sempre la pace e la giustizia, cercando sempre di lavorare come uomini e donne fedeli a Gesù Cristo, senza paura, per proclamare il Vangelo e per essere missionari.

Sono un figlio di Sant’Agostino, agostiniano, che ha detto “con voi sono cristiano e per voi vescovo”.

Alla Chiesa di Roma un saluto speciale. Dobbiamo cercare insieme di essere una Chiesa missionaria, una Chiesa che costruisce ponti del dialogo, sempre aperta a ricevere con le braccia aperte, come questa piazza.

Y si me permite también una palabra, un saludo a todos aquellos y en modo particular a mi querida diócesis de Chiclayo en el Perú. Donde un pueblo fiel, acompañado a su obispo, ha compartido su fe, y ha dado tanto para seguir siendo Iglesia fiel de Jesucristo.

A tutti voi, fratelli e sorelle di Roma, d'Italia, di tutto il mondo, vogliamo essere una Chiesa sinodale, una Chiesa che cammina, una Chiesa che cerca sempre la pace, cerca sempre la carità, cerca sempre di essere vicino specialmente a coloro che soffrono.

Città del Vaticano, 8-5-2025

Barack Obama, con il turco Recep Tayyip Erdoğan, con l’iraniano Hassan Rouhani.

E il livido bilaterale con Donald Trump, il solo interesse per le periferie del globo, la mancata visita nelle capitali dell’Europa occidentale.

Attitudine da valutare automatica per un’istituzione altrettanto imperiale e presente nel mondo da due millenni, strumentalmente incline a benedire come retti soltanto quegli Stati che le torna(va)no utili per la difesa di sé o la diffusione della dottrina.

Eppure choc insuperato per noialtri, spaventati dalla sulfurea verità bergogliana, sedicenti portatori della pura ragione, vessilliferi (inde)fessi nell’avanzamento della specie.

Persuasi su questa terra si distinguano imperi chiamati a redimere l’umanità e altri a distruggerla, unti dal signore o consacrati a Pan luciferino.

Strasicuri vi sia differenza tra la volontà statunitense di conquistare la Groenlandia o Panama e la golosità di russi e cinesi verso Ucraina o Taiwan. Al massimo pronti ad occultare l’aporia attribuendo colpe e meriti agli immancabili leader, da Trump in su o in giù, come impartito dal nostro disperato sistema d’istruzione e veicolato dai media formati nelle stesse aule. Tra figli del secolo, del mese, della settimana. E i risentiti mugugni dei migliori di noi.

Niente di più risibile per Francesco, delfica voce insinuante le coscienze degli occidentali.

Fuori d’ogni ipocrisia e pure nel suo pastorale amore per l’umanità tutta, il gesuita riteneva l’Europa la regione meno pregevole del pianeta – degli Stati Uniti almeno temeva la ferocia.

Perché abitata da popolazioni post-storiche, culturalmente estinte, ingenuamente relativiste oppure aggrappate a una spiritualità retrograda, estranee alla maternità, centrate sulla sola qualità della vita, sulle demenziali serie televisive, dimentiche di quando il cattolicesimo fu anche avanguardia, non solo conservazione delle abitudini. Difficile dissentire, se si è in buona fede.

Memorabili almeno un paio di episodi bergogliani. Il violento rimprovero per coloro che surrogano l’assenza di figli con l’adozione di animali domestici antropomorfizzati contro la loro volontà, perennemente sottoposti ai nostri ordini. Niente di più comodo (e triste).

Il caparbio riconoscimento dei popoli mentre la vulgata occidentalista li racconta defunti, sostituiti da impossibili federazioni multinazionali escogitate a tavolino - innegabile l’indifferenza di Francesco per la costruzione europeista, rubricata a giochino dalle venature utilitaristiche, al di là del protocollo diplomatico. Per il pontefice esistevano il pueblo e l’antipueblo, il popolo e la sua negazione. Punto. Niente cittadini del mondo o, ancora peggio, cosmopoliti da caffè.

Francesco ha voluto fortemente staccare la Santa Sede dagli Stati Uniti d’America, sintonia voluta da Giovanni Paolo II e confermata

da Benedetto XVI. Rispettivamente per contrastare l’Unione Sovietica ateista poiché a sua volta religione, impegnata a chiudere chiese, a imprigionare fedeli nell’intero blocco comunista. E per avvalersi della propaganda più efficace del pianeta contro il relativismo diffuso ancora in Occidente, allora unico orizzonte del papato.

Evoluzioni valutate da Bergoglio come erronee o anacronistiche, a guerra fredda conclusa e con i cattolici d’altrove in spettacolare crescita.

Per questo deciso a prendere una via antagonistica, in barba agli oboli garantiti da milionari ultraconservatori d’oltreoceano. Anche perché gli apparati washingtoniani facilitavano con finanziamenti e intelligence la proliferazione delle Chiese evangeliche a sud del Rio Grande e del Sahara. Inganno in piena luce, favorito dalla volontà per Wojtyla e Ratzinger di bandire la teologia della liberazione accusata di criptomarxismo, senza fornire un’alternativa spirituale alle popolazioni locali, vinte dall’indigenza e dal complesso d’inferiorità verso gli Stati Uniti.

Alieno alla risibile esportazione della democrazia, Francesco ha collocato la Chiesa su posizioni sovente solipsistiche, dunque indipendenti, senza tradire timori - utopia per le cancellerie europee tremanti appena interpellate al telefono dalla Casa Bianca.

Tramite un beffardo relata refero ha accusato la Nato d’aver provocato l’invasione russa dell’Ucraina, ha più volte riconosciuto complicità tra Israele e Stati Uniti in merito a Gaza, ha rinnegato l’amata Argentina improvvisamente desiderosa d’essere adottata dai gringos, senso ultimo della presidenza Milei. S’è rivolto in castigliano, con orgoglioso accento rioplatense, al congresso di Washington, altro colpo per noi che accettiamo di studiare nell’inglese parlato (male) da insegnanti italianissimi, sicuri tale svilimento lessicale sia il futuro anziché la fine.

Ha inteso assegnare alla Chiesa respiro davvero globale. Per affrancarsi dallo stigma coloniale, per inseguire i bacini demografici dell’altro mondo.

Primo tentativo nella storia d’agire nella lettera del cattolicesimo, universale di nome ma da sempre confitto in Occidente, con sortite pararazziste nei vari continenti.

Quindi ha concentrato i maggiori sforzi sull’Asia. Per piglio gesuitico, per genuina convinzione si trovi laggiù l’avvenire demografico della Chiesa. Nei dodici anni di pontificato ha viaggiato a lungo nel continente, nominando 37 cardinali autoctoni, record assoluto, firmando con la Repubblica Popolare un (segreto) accordo per le nomine episcopali, gravemente sbilanciato su Pechino.

La meno efficace delle sue campagne. A fronte di un notevolissimo impegno, i cattolici asiatici crescono meno dei protestanti e restano di numero pressoché insignificante, con la sola eccezione delle Filippine. Addirittura in Cina diminuiscono.

Progetto che ha incontrato comprensione soltanto tra gli occidentali, sedicenti abitanti del secolo asiatico che non esiste – im-

maginiamo Francesco abbia sviluppato timidi dubbi sul tema proprio per il sostegno ricevuto dalla porzione di umanità che reputava rintronata.

Una rivoluzione che ha innescato l’inevitabile ostilità degli Stati Uniti e di molti ambienti europei, dai più conservatori ai più aperti, in quel centro geografico che, pure in ribasso, resta culla del cattolicesimo. L’altalenante riformismo di Francesco, al contempo troppo audace o troppo timido, ha lasciato la Chiesa in contumacia di una missione efficace, percepita come eccessivamente conservatrice in Europa e il suo contrario nel resto del mondo2.

Guaio che ora la costringe per le lande, preda di fuoco incrociato. A Leone XIV il mandato di condurla altrove, stabilendo quanto confermare o respingere del pontificato precedente. Dentro la più audace nomina degli ultimi decenni.

Per la Santa Sede la presenza di un cittadino statunitense sul trono di Pietro è rischio ferale. La possibilità di restare senza fiato è concreta, altro che ricostruzioni cinematografiche del conclave, impossibili e ovviamente di moda.

Tecnicamente il pontefice anglosassone potrebbe inserire nuovamente la Chiesa nella sfera d’influenza washingtoniana, là dove è quasi morta alla fine del Novecento. Antipapa mascherato.

Potrebbe costringerla nel solco di Washington pure quando non conviene, su Taiwan, sulla Russia, sul resto del creato. Fingendo ecumenismo, potrebbe rinchiuderla nello stolido recinto occidentalista, acqua di coltura primigenia, divenuta stagnante per lo spostamento altrove dell’umanità.

La Santa Sede virerebbe in ong tradizionalista e retrograda, chiamata a benedire con tono flautato l’azione di chi nel frattempo le sottrae fedeli qua e là.

Suicidio e pure cruento. Rovescio geometrico dell’intendimento di Francesco, ingenuo ripudio della plurisecolare disputa con gli Stati Uniti. Su tutti, un estratto dei tempi andati.

Nel 1861 il morente Stato pontificio si tolse lo sfizio di sostenere ufficiosamente i sudisti nella guerra civile, benché questi fossero quasi totalmente protestanti, oltre che schiavisti. Troppa ghiotta la possibilità di favorire la partizione di una potenza in ascesa e di marca antipapista, Al termine del conflitto il segretario di Stato, cardinale Giacomo Antonelli, si prodigò per offrire rifugio a John Surratt, uno degli attentatori di Abraham Lincoln, poi inquadrato tra gli zuavi con il nome di Giovanni Watson, spesso avvistato fuori orario nelle fraschette di Velletri. Vertigine emozionante. Chissà perché le serie televisive non tratteggiano mai storie così.

Si dirà, nel 2025 la nomina di un presule d’oltreoceano era qua-

2/ Cfr. “L’ultimo Giubileo”, Domino n. 12/2024.

si inevitabile per un’istituzione disperatamente bisognosa dei benefattori statunitensi. Specie dopo gli anni bergogliani, segnati da poco mirabile acume nella gestione finanziaria e dall’ulteriore indebitamento provocato dai risarcimenti milionari per le vittime di pedofilia.

Ne è venuta l’elezione di un chicagoano di origine europea, francese e italiana da parte di padre, spagnola e creola di New Orleans da parte di madre. Conversante nell’inglese del Midwest, con calco sulle dentali. Massimo Occidente dopo un pontificato sospeso sul resto del pianeta.

Nel suo etimo Prevost è sostantivo francofono indicante il rappresentante del re o di un grande feudatario in una specifica castellania, poi nell’Arcidiocesi di Milano applicato a quei presbiteri che coordinano la pastorale. Decisamente non siamo lungo lo Zambesi. La stessa idea d’appellarsi Leone tradisce visione nostrana del mondo.

«Ho voluto richiamarmi all’enciclica Rerum Novarum con cui Leone XIII difese i lavoratori al tempo della rivoluzione industriale. […] Oggi questi vanno salvaguardati dall’intelligenza artificiale»3, ha spiegato il neopapa nel primo incontro con i cardinali.

Proposito più che nobile, ma difficilmente sentito in territori non economicistici, dove non è certo la suddivisione del lavoro l’assillo principale. Come il mito dell’intelligenza artificiale resta soltanto occidentale. Epperò l’avvento di Leone è molto più complicato di così.

Trattasi del meno statunitense dei cardinali statunitensi. Missionario in America Latina per oltre vent’anni e di adottiva cittadinanza peruviana, ha trascorso due terzi della vita all’estero.

Nel taglio di Timothy Dolan, suo grande nemico, «non ho mai pensato a Prevost come a un cittadino americano»4. Insinuazione volutamente offensiva, ma contenente una parziale verità.

Anziché come capitolazione, l’incoronazione di Leone XIV è pensata come controffensiva

Nel rivolgersi per la prima volta alla città e al mondo dal balcone delle benedizioni, Prevost non ha pronunciato una parola in inglese. Ha usato con disinvoltura italiano, castigliano, latino, non la lingua di Emerson. Un saluto affettuoso per la querida diocesi peruviana di Chiclayo e silenzio tonante per quella di Chicago dove pure è cresciuto.

Quasi l’informale giuramento tenuto a Houston nel 1960 dal candidato cattolico alla presidenza John Kennedy. A chi magnificava la pericolosità d’avere «un papalino» alla Casa Bianca, il senatore del Massachusetts garantì che non avrebbe preso ordini dal Vaticano.

3/ Citato in «Il Papa: il mio nome per Leone XIII. La Chiesa risponda a sfide di dignità, giustizia, lavoro», Vatican News, 10/5/25.

4/ Intervista di T. DOLAN alla Nbc 9/5/25.

Dario Fabbri

Con gli occhi del mondo addosso, Prevost ha rivendicato l’indipendenza della cattedra di Pietro, secondo rigida separazione tra Prima e Quarta Roma. Allegoria palese. Benché di nascita statunitense, il pontefice non è intrinseco alla potenza americana, non ne seguirà la traiettoria.

Piuttosto, è noto tifoso romanista, il più urbano dei grandi club calcistici italiani.

«Mi ha detto: “l’ultima vittoria dei giallorossi sulla Fiorentina è stato il primo miracolo di Francesco”»5, ha svelato un suo confratello, padre Giuseppe Pagano.

Grande la distanza da Francesco, algido nei confronti dell’Urbe, latore della possibilità che il papa possa vivere ovunque, «anche a Bogotà».

Qui il punto. Il conclave ha preferito Leone perché percepito più romano che anglosassone, più terzomondista che occidentalista, infiltrato nella nazione d’origine anziché emissario della Casa Bianca. Doppio gioco. Forse triplo.

Nella sua agenda vi sono obiettivi della massima portata strategica. In ordine di rilevanza.

Conservare la Chiesa nel mondo, ad gentes per tono bergogliano, ma senza rinnegare il centro.

Nella valutazione dei porporati, il post-americanismo di un papa statunitense dovrebbe recuperare l’Occidente e certificare il post-occidentalismo della Chiesa. Vasto programma.

Stemperare l’eccessiva attenzione di Francesco per l’Asia, continente non decisivo per la demografia cattolica. Freddo sull’accordo per le investiture, Prevost dovrà contrastare le nomine imposte da Pechino. Più moderato in ambito dottrinale, dovrà persuadere i relativisti già sedotti da Francesco senza spaventare africani e ispanici, ampiamente massimalisti.

Aperto verso gli immigrati ma contrario all’aborto e critico dell’omosessualità, sarà chiamato a stillare una versione univoca per l’intera ecumene, là dove fallì il predecessore per mancanza di misura. Ogni impero necessita di missione valevole in ogni dove e oggi la Chiesa risulta fuori tempo quasi ovunque.

Salendo di complessità, dovrà frenare l’emorragia di cattolici in America Latina e in Africa causata dagli evangelici d’origine anglosassone. Complesso il ragionamento dei curiali: se la conversione alle sette protestanti è soprattutto istigata dalla voglia d’agganciarsi al modello statunitense, l’azione di un papa venuto dai Grandi Laghi può al contempo rilanciare l’immagine del cattolicesimo e confutare la simbiosi, pure teologica, tra Washington e prosperità.

Compito nelle corde di un agostiniano (anche) ispanofono, presente a lungo sul campo, tra pentecostali e avventisti. Nel suo Perù negli ultimi venticinque anni gli evangelici sono saliti dal 7% al 22% del totale6, prodezza simile a quella avvenuta in Brasile, il più grande

5/ Citato in «Il Papa tifa Roma”, arriva la rivelazione di un amico», Il Corriere dello Sport, 8/5/25.

6/ Cfr. «Informe de opinión marzo 2024», Instituto de Estudios Peruanos, 24/3/24.

Fronti di lotta spirituale

contro il relativismo in Occidente contro l'eccessivo tradizionalismo nel resto del mondo

Cina Asia Europa

L’AGENDA DI LEONE

Obiettivi strategici di Leone XIV

Oriente

Medio

Vaticano

Frenare l'avanzata dei protestanti in America Latina e in Africa

Attaccare il costantinismo di Trump

Confermare la secondaria importanza dell'Europa

Difendere i cristiani del Medio Oriente

Declassare il peso dell'Asia

Rivedere il rapporto con la Cina

Rompere il legame tra tradizionalismo cattolico e amministrazione Trump

Stati Uniti

America Latina

Africa

paese cattolico del pianeta pronosticato protestante entro il 2070.

Anziché come capitolazione agli Stati Uniti, l’incoronazione di Leone XIV è pensata come controffensiva. In molteplici dimensioni. Parzialmente riformato da Francesco in senso progressista, il clero d’oltreoceano resta di maggioritaria impronta conservatrice, disposto a riconoscere nella Santa Sede soltanto il baluardo della tradizione, sempre a un passo dallo scisma.

Lenta eutanasia in assenza di palingenesi. Un pontefice statunitense, ma di inclinazione opposta, dovrebbe costringere i presuli locali ad accettare il nuovo corso. Alla testa del dicastero specifico, lo scorso anno Prevost non ebbe esitazioni nel rimuovere il vescovo di Tyler, Joseph Strickland, che aveva individuato in Francesco l’anticristo.

Nella scelta del nome vi è anche il voluto riferimento all’enciclica Longinqua Oceani (1895) di Leone XIII, con cui papa Pecci criticava l’eccessivo liberalismo del cattolicesimo statunitense (detto americanismo), auspicando una maggiore partecipazione dei fedeli alla vita pubblica e un maggior rispetto della gerarchia ecclesiastica. Ovvero, il rischio che la Chiesa diventasse quella ong incontrata sopra. Il primo papa statunitense sarà principale avversario dell’amministrazione Trump.

Di tutti i cardinali americani, Prevost era il meno preferito della Casa Bianca.

Trump s’è detto orgoglioso e ansioso di conoscere il nuovo pontefice, ma poi il sodale Steve Bannon ha definito l’evento una sciagura per il pluriverso Maga. «E’ un complotto globalista […] La Chiesa ha bisogno di soldi dopo il crollo di donazioni negli Stati Uniti»7.

Stesso pensiero del vicepresidente James Vance, cattolico dal 2019 e legato all’ala reazionaria della conferenza episcopale, che lo scorso febbraio aveva definito Giovanni Paolo II, l’uomo degli americani, «il suo modello di papa»8. La sorte ha pure voluto che il buon J. D., come ama essere chiamato con allure da deejay, sia stato l’ultimo dignitario a incontrare Francesco nel sabato di Pasqua. Il Signore opera per vie misteriose. Anche tra i lampi di un duello appena principiato.

Originario del Medio Occidente interno che è canone culturale, dove si vincono e si perdono le elezioni presidenziali, Leone intende affrontare i trumpiani sul loro terreno, privandoli dell’appiglio cattolico. Negli ultimi anni il conservatorismo teologico è diventato ideologia della Casa Bianca. Ora un pontefice originario dell’America profonda ma diverso potrebbe scomporre tale alleanza. Uno squarcio sul futuro s’è avuto già in inverno, quando il cardinale Prevost criticò pubblicamente l’utilizzo del concetto agostiniano di Ordo Amoris da parte di Vance per giustificare la deportazioni degli alieni. Peraltro, il nuovo vicario di Cristo non è un liberal, ammesso tale categoria significhi qualcosa, e in passato ha pure parte-

7/ Intervista di S. BANNON alla Cnn del 9/5/25.

8/ Citato in «The Speech That Stunned Europe», Foreign Policy, 18/2/25.

cipato alle primarie repubblicane dell’Illinois.

Per i detrattori un profilo difficile da contornare.

Ultimo ma non ultimo, il nuovo vescovo di Roma dovrebbe sconfiggere il costantinismo di Trump, irradiato anche tramite fotomontaggio di sé vestito da papa. Molto più di una boutade.

Il newyorkese sogna non solo i poteri di un imperatore di cui chiaramente difetta, benché in Italia media e opinione pubblica non ne abbiano contezza – nel frattempo l’altro celebrato demiurgo, Elon Musk, ha di fatto abbandonato il mitologico Doge per l’impossibilità di vincere contro lo Stato profondo, chi lo avrebbe mai detto9. Si pensa alla testa di una rivoluzione ideologica che stinge nel religioso, anelante il cesaropapismo che è della corona inglese o della guida suprema iraniana.

La vittoria di Leone rammenta Washington e il pianeta, urbi et orbi d’altra prospettiva geografica, che l’autorità religiosa proveniente dagli Stati Uniti è un’altra.

Questo il senso della sua apparizione sulla loggia di San Pietro con mozzetta rossa e stola ricamata in oro, simboli della caratura imperiale del papato, non assimilabile al principale leader laico d’Occidente. Molto più di un richiamo a Benedetto XVI, di cui pure condivide la profondità teologica.

Episodi passati e atti futuri valutati sufficienti dalla Curia per minare gli Stati Uniti e rianimare la Chiesa. In attesa di dimostrazione.

L’epifania di un papa statunitense resta sgrammaticatura. Gli effetti collaterali potrebbero rivelarsi catastrofici. Pensare che nell’interpretazione di molti porporati Leone XIV potrebbe cagionare la deflagrazione della società statunitense. Da tempo il tradizionalismo cattolico, intriso di spuria teologia calvinista, ha sostituito gli iniziali valori d’oltreoceano.

Sono cattolici e fondamentalisti sei giudici a vita su nove della corte suprema, istituzione regolarmente chiamata a compensare le lacune della politica, come quasi la metà dei più alti membri dell’amministrazione trumpiana, di ispirazione nativista.

Non un’evoluzione triviale per un paese nato antipapista. Lo spezzarsi di tale unione, per tramite del cauto progressismo di Prevost, potrebbe colpire ulteriormente una società già divisa tra coste ed entroterra, tra post-storicismo e massimalismo.

Ma come provato dall’elezione di Francesco, scambiato per altro da molti cardinali pentiti già pochi minuti dopo l’habemus papam, sovente il conclave sbaglia i calcoli.

In nome dell’ethos generale ormai intriso di un rigido cattolicesimo, il clero americano potrebbe scegliere di combattere il riformismo (parzialmente) bergogliano del nuovo papa.

9/ Cfr. “Dove va l’America”, Domino n. 3/2025.

LA GEOGRAFIA DEL CONCLAVE

che hanno votato al conclave 2025 ripartiti per paese di provenienza

Totale cardinali elettori: 135*

ETIOPIA

OCEANO PACIFICO

OCEANO INDIANO

*Due cardinali erano assenti per motivi di salute, ma l’identità non è stata divulgata. In totale i cardinali elettori erano dunque 133.

Magari con il sostegno di quei prelati stranieri che valutano utile dominare la superpotenza attraverso l’oltranzismo teologico. Fino allo scisma – negli Stati Uniti sugli altari delle chiese di ogni confessione è presente la bandiera con le stelle e le strisce. Da incastro dottrinale a disastro geopolitico. Controriforma che procura altra riforma.

L'azione di Leone potrebbe colpire

una società già divisa tra coste ed entroterra

Oppure potrebbe accadere che il resto del pianeta giudichi Leone un ritorno all’occidentalismo poiché occidentale di nascita. Come le preoccupazioni da sindacalista europeo e la calorosa prima telefonata con Volodymir Zelensky potrebbero indicare. Altro danno spaventoso. Il futuro della Chiesa è post-occidentale, ogni altra gabbia può ucciderla.

Per tacere della possibilità che il pontefice si riveli nel suo opposto, più americano che cattolico, uomo all’Avana dello Stato profondo washingtoniano. Il suo cursus segnala inclinazione contraria, ma nulla si può escludere con eccessivo anticipo. Allora la giovane età (per un papa) si trasformerebbe in beffa per chi lo ha preferito tra molti altri.

Incubi che nel tempo corrente l’instabile nave pietrina meglio non contempli. Sui marosi salenti è necessario azzardare, partire di stravento, unire Cesare e Pietro. Per non morire. df

Nelle puntate precedenti | Leone XIV che guarda il mondo

Statunitense ma non solo, il nuovo papa vorrà inibire l’emorragia di fedeli in America Latina e in Africa. Quindi proverà a conservare il globalismo delle periferie perseguito da Francesco senza perdere il centro del cattolicesimo, quell’Occidente da cui comunque proviene. Ancora, sarà chiamato a guardare all’Asia, ma senza valutare quel continente più rilevante degli altri. Il tutto recuperando alla causa anche quella Curia romana che il predecessore aveva lasciato ai margini. Vasto programma.

I. Leone XIV che guarda il mondo

Leone tra Pietro e Paolo

Pietro Mattonai giornalista e analista geopolitico

—Vicino a Francesco ma anche alla Curia, Prevost è stato scelto per frenare le spinte centrifughe dentro e fuori la Chiesa. Perché la rivoluzione funziona soltanto se graduale

Il papa delle Americhe è stato scelto per compiere l’anabasi: dalle coste del mondo all’entroterra occidentale. Meglio, dal Perù, che lo ha visto missionario per quasi trent’anni, a Roma, capitale ormai declassata del cattolicesimo mondiale. Leone XIV, al secolo Robert Francis Prevost, porta con sé l’Occidente e il Mondo Contro; una delle più grandi metropoli degli Stati Uniti, Chicago, centro industriale e finanziario, e Chiclayo, città costiera, appunto, del paese latinoamericano, dove diseguaglianze sociali ed economiche sconvolgono la vita di centinaia di migliaia di persone.

È un gringo, il primo nella storia a diventare pontefice, ma pure testimone della complessità culturale ed etnica degli Stati Uniti, scolpita dalle continue immigrazioni, in quanto figlio di madre spagnola e di padre francese di origini italiane. E ha anche la cittadinanza peruviana. Incarnazione quantomai autentica dello spasmo che ha attraversato i cardinali durante il conclave, sospesi tra l’orbe di papa Francesco e l’urbe della Curia. Un’identità caleidoscopica, che rifugge le semplificazioni e snerva chi tenta di esaurire l’analisi sui fatti di Chiesa tra progressisti e conservatori. Lo stesso Bergoglio aveva dato ben poca soddisfazione a chi prova a incasellare i pontefici nell’una o nell’altra categoria, spostandosi di volta in volta a passo di tango.

A consegnare il papato a Prevost non sono stati i colpi di questa o quella maggioranza, se mai ve ne fosse -

ro, bensì la necessità di far tornare in porto la barca di San Pietro: dopo che Francesco ha portato la Chiesa nel mondo, occorre portare il mondo nella Chiesa.

Al timone, però, non poteva starci chi pensava di archiviare il decennio di Francesco come fosse un errore della storia. Niente di più sbagliato: esso è stato conseguenza dello scivolamento della Chiesa dall’Occidente al Mondo Contro, fine del patronato cattolico sull’emisfero euroamericano. Processo irreversibile, che neppure il voto in conclave può interrompere, anche se indotto dallo Spirito Santo.

A condurre la barca doveva esserci chi ha anticipato e poi seguito l’appello di Bergoglio per una Chiesa in uscita, missionaria e perennemente in cammino. Perché il rischio era farsi trovare imbolsiti dalla globalizzazione, rinunciando all’afflato universalistico proprio della fede di Cristo. In questo senso, Prevost rappresenta la maturazione del pontificato di Francesco, una sorta di istituzionalizzazione della rivoluzione copernicana che ha imposto alla Chiesa di guardare al mondo dalle periferie. Nella dialettica del cattolicesimo, al momento paolino, che spinge la Chiesa a uscire per strada per proclamare il Vangelo, papa Leone XIV unisce il momento petrino, sperimentato a pieno titolo come prefetto del dicastero per i Vescovi. Ovvero, tra le più influenti istituzioni dell’intera Curia, quotidianamente a contatto con l’ecclesia.

Pietro Mattonai

La sintesi non è riduzione dell’uno nell’altro, ma superamento ed esaltazione di entrambi: la Chiesa si fa mondo e si fa contaminare grazie a uno statunitense che ha scelto di tuffarsi nelle acque agitate del Mondo Contro, esplorandone i fondali. Per questo, l’anabasi di Leone XIV dopo un viaggio lungo oltre dieci anni è tutt’altro che una restaurazione. Piuttosto, è la trasformazione in paradigma del magistero di Francesco, per tenere insieme papato e Curia, mondo e Chiesa. Scongiurandone l’estinzione, poiché il suo stesso iniziatore non ne aveva delineato i tratti, né specificato le regole, allergico com’era alla disciplina. Il motto episcopale del nuovo pontefice è incontrovertibile: in Illo uno unum.

Citazione di Sant’Agostino, di cui si è dichiarato figlio, estrapolata dall’esposizione del santo sul salmo 127: «Parlando a dei cristiani, sebbene siano molti, nell’unico Cristo io li considero una sola unità».

Vasto programma che Prevost può perseguire data anche l’età relativamente giovane e l’esperienza accumulata tanto nel ruolo che ha svolto nella selezione dei vescovi, all’interno della Curia romana, quanto nell’evangelizzazione in America Latina.

«Certamente la mia vita è molto cambiata», disse quando fu scelto da Francesco alla guida del dicastero per i Vescovi. «Ho la possibilità di servire il Santo Padre, di servire la Chiesa oggi, qui, dalla Curia romana. Una missione molto diversa da quella di prima, ma anche una nuova opportunità»1. Un profilo da eroe dei due mondi, dotato di una pacatezza che richiama quella di un altro Leone, frate originario di Viterbo, che fu tra i compagni più fedeli e noti di un altro Francesco: il santo di Assisi.

1/ A. TORNIELLI, «“Il vescovo è un pastore vicino al popolo, non un manager”», L’Osservatore Romano, 4/5/23.

Papato e Curia hanno convissuto a lungo senza patemi. A cominciare dall’elezione di papa Giovanni Paolo II, però, il bilanciamento tra la figura del pontefice e il governo della Chiesa si è spezzato, consegnando al primo un’autonomia sempre più evidente rispetto al secondo2.

Con Francesco, lo scollamento tra papato e Curia è stato completo: con piglio autoritario, il pontefice ha disarticolato la mediazione amministrativa nella convinzione, dal vago sapore peronista, di dover instaurare un rapporto diretto e incorruttibile tra pueblo e Chiesa3.

Lo ha fatto in vita, mettendo in piedi una sorta di governo in esilio a Santa Marta, lontano dai palazzi apostolici, e lo ha ribadito una volta defunto, scegliendo la tumulazione nella Basilica di Santa Maria Maggiore, lontana da San Pietro.

Alle radici della marginalizzazione della Curia vi era il diverso punto di osservazione sulla fede nel mondo. Se papa Francesco intendeva far guadagnare credibilità alla Chiesa cattolica al cospetto di una società pluralista e non esclusivamente occidentale, anche a costo di sacrificare la monoliticità della dottrina e scendere a compromessi su alcuni fronti, per buona parte della Curia occorrerebbe invece riaffermare l’assolutezza dei principi e il ruolo di giudice di ultimo grado sulle questioni di dottrina4.

A ciò si è aggiunta la profonda diffidenza del papa argentino per gli ambienti romani, alimentata dalle dimissioni di Benedetto XVI, incapace di

2/ L. DIOTALLEVI, «La vera partita sarà tra ufficio e carisma», Il Messaggero, 6/5/25.

3/ P. MATTONAI, «Francesco, l’argentino (antagonista)», Domino, 12/2024.

4/ A. IVEREIGH, Tempo di misericordia. Vita di Jorge Mario Bergoglio, Mondadori, Milano, 2014, p. 297.

gestire le molte personalità che facevano parte del governo ecclesiastico.

In pochi anni Bergoglio ha fatto piazza pulita di profili non graditi, cacciati perché non allineati o perché ritenuti colpevoli di danni all’immagi-

ste e uragani», non risparmiandosi di denunciare la «infedeltà di coloro che tradiscono la loro vocazione, il loro giuramento, la loro missione, la loro consacrazione a Dio e alla Chiesa» e che diventano alla fine, «seminatori

Prevost rappresenta la maturazione del pontificato di Francesco

ne della Chiesa. Uno dopo l’altro, sono saltati Tarcisio Bertone, Raymond Leo Burke, Gerhard Müller, Giovanni Angelo Becciu.

Un conflitto non unidirezionale, giacché non sono mancati anche gli attacchi nei confronti del papa, accusato di uno stile di governo accentratore e autoritario. Il più clamoroso quello mosso nel 2018 da Carlo Maria Viganò, arcivescovo e già nunzio apostolico negli Stati Uniti.

In un dossier di una decina di pagine, Viganò accusava esponenti di primo piano della Chiesa cattolica, compreso lo stesso Francesco, d’aver coperto il cardinale Theodore McCarrick, all’epoca presunto autore di abusi sessuali. Per questo, ne chiese pubblicamente le dimissioni.

Episodio che passerebbe in secondo piano, se avesse come protagonista il solo Viganò. Ma alle sue spalle, è ormai acclarato vi fosse una schiera consistente di antagonisti del pontefice, costituita perlopiù membri del clero statunitense e finanziatori della stessa Santa Sede5.

Bergoglio non usò la diplomazia: di fronte ai rappresentanti della Curia romana, durante gli scambi di auguri per il Natale, spiegò come «la barca della Chiesa», nell’anno ormai concluso, fosse stata «investita da tempe -

5/ N. SENÈZE, Lo scisma americano, Mondadori, Milano, pp. 127-133.

di zizzania», dietro i quali «si trovano quasi sempre le trenta monete d’argento»6.

Si capiscono meglio, così, le istanze di chi, prima del conclave, invocava a gran voce il bisogno di riconsegnare alla Chiesa un apparato di governo che sappia accompagnare il papa durante il suo magistero. Non si tratta di politologica dicotomia tra destra e sinistra, ma di sopravvivenza vera e propria degli apparati ecclesiastici. Una sopravvivenza che Leone XIV, pur nella continuità con papa Francesco, sembra poter garantire. Forte della sua apparenza da Minotauro, mezzo missionario e mezzo prefetto, il nuovo pontefice risponde alle esigenze di chi all’interno della Chiesa vuole sì mantenere lo slancio globale di Francesco, pena l’essere tagliati fuori dal divenire, fatto inconcepibile per un’istituzione bimillenaria che è fatta della stessa sostanza di cui è fatta la storia, ma rafforzarlo con il ripristino di un governo efficiente per la Santa Sede. A fronte, poi, di una situazione internazionale che richiede un’azione sistematica, non estemporanea. E il primo passo potrebbe essere, per esempio, il ritorno del papa all’interno dei palazzi vaticani: appare quantomeno improbabile che Prevost scelga scenograficamente di abitare a

6/ Discorso del Santo Padre alla Curia romana per gli auguri di Natale, 21/12/18.

Pietro Mattonai

Santa Marta. Una piccola rottura, nel segno della normalizzazione, c’è già stata: dalla loggia delle benedizioni, Leone XIV s’è affacciato munito di tutti i paramenti della dignità papale, dalla mozzetta rossa alla croce pettorale d’oro. A differenza di Francesco e similmente a Benedetto XVI.

Petrino, ma anche paolino. Perché il vescovo «non dev’essere un piccolo principe che siede nel suo regno», bensì «una persona chiamata a essere umile» e a «stare vicino alla gente cui rende servizio»7.

Dagli anni Ottanta, salvo alcune brevi parentesi, Leone XIV è stato uno statunitense di nascita e un pe -

Così non è stato, ma dovrà esserlo per Prevost: la sua elezione non sarebbe esistita senza questo dato biografico, che nell’eccezionale caso dei pontefici si fa geopolitico. Papa Leone XIV, a differenza di Bergoglio, dovrà rivolgere lo sguardo soprattutto sulle spaccature con la Chiesa statunitense e con la superpotenza, di cui è figlio ma, allo stesso tempo, straniero.

Nei suoi anni Francesco ha rotto quell’unità d’intenti che aveva schierato dalla stessa parte Stati Uniti e Chiesa cattolica. Artefici di un’insolita convergenza, storicamente inedita, furono Giovanni Paolo II prima e Benedetto XVI poi: strenuo oppositore della minaccia sovietica il polacco, per la gioia di Washington nel bel mezzo

Un profilo perfetto per mantenersi in equilibrio tra Curia e missione

ruviano acquisito, che ha seguito l’insegnamento di papa Francesco: da pastore, non ha avuto remore ad avere egli stesso «l’odore delle pecore»8. Tanto che, dopo aver parlato in italiano, il primo pensiero lo ha rivolto non tanto agli Stati Uniti, quanto al Perù e alla sua diocesi di Chiclayo, con un caloroso saluto in fluente spagnolo. Anche per questo, lo hanno definito come l’americano meno americano del conclave. Una doppiezza che lo rende ubiquo, in grado di tenere saldi i due capi del continente, dall’Alaska alla Terra del Fuoco. Nel 2013 i cardinali statunitensi sperarono fosse questo l’approccio di Francesco, votato perché percepito come papa autenticamente americano.

7/ A. KAUR, T. RAJI, «What we know about Pope Leo XIV’s political and social views», The Washington Post, 9/5/25.

8/ Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, 24/11/13.

della guerra fredda, sincero ammiratore della religione civile statunitense il tedesco, che in essa rivedeva ciò che fu in Europa prima della secolarizzazione montante.

Spingendo la Chiesa fuori dal perimetro euroamericano, Bergoglio ha messo ai margini il clero statunitense e sottratto l’altare all’impero. Lo scompiglio è stato immediato e la conferenza episcopale americana è diventata il bastione dell’opposizione: contro un papa troppo preoccupato delle questioni sociali ed economiche, i vescovi hanno preferito perseguire un’agenda segnata dalle guerre culturali degli anni Settanta per conquistare l’anima dell’America, barricandosi sui temi della bioetica e della morale sessuale.

Probabilmente, su questi ultimi punti, papa Leone XIV garantirà la saldezza dei principi. Contrario all’aborto e all’eutanasia, prudente sul ruolo delle donne all’interno della Chiesa, I. Leone XIV che guarda il mondo

Prevost è rimasto anche piuttosto vago sulla dichiarazione Fiducia Supplicans approvata da papa Francesco per le benedizioni «spontanee» delle coppie cosiddette «irregolari», dunque divorziate, o dello stesso sesso.

Però il nuovo pontefice renderà sistematiche e non più solo emozionali le preoccupazioni bergogliane che riguardano i temi sociali ed economici, come la povertà e i migranti, come segno tangibile di apertura ai tormenti del mondo non occidentale. Lo ha annunciato lui stesso subito dopo l’elezione, e lo impone il suo vissuto latinoamericano. Su questo versante, ancor prima di ricevere la chiamata, Prevost si è già scontrato con il vicepresidente degli Stati Uniti Vance, convertitosi al cattolicesimo proprio grazie alle letture di Sant’Agostino.

Ricucire con il clero americano per Leone XIV sarà la prima, grande missione di sintesi.

Assunto il nome del pontefice che nel 1895 pubblicò l’enciclica Longinqua oceani, indirizzata proprio alla Chiesa cattolica statunitense con l’obiettivo di arginare l’americanismo, considerato come vera e propria eresia che promuoveva la rottura tra potere temporale e potere spirituale, Prevost avrà vita più facile nel dialogare con l’amministrazione guidata da Donald Trump.

Non perché con il presidente ci siano molti più punti di contatto di quanti non ne avesse Francesco, ma per le differenze rispetto a quest’ultimo.

La rapidità della scelta dei cardinali nel conclave, che non può non aver coinvolto anche gli statunitensi, testimonia la fiducia accordata a un profilo diverso, maggiormente propenso al governo e alla mediazione e nel quale, anche dalle parti di Washington, si può riconoscere l’attitudine a ricondurre le diversità nell’unità, incanalandole verso Roma. Un obiettivo che

non può prescindere, appunto, dal recupero del dialogo con gli episcopati che sono rimasti ai margini durante il pontificato di Francesco, apparentemente colpevole di aver reso la Chiesa più estesa, ma meno coesa.

A cominciare da quello che, più di ogni altro, convoglia anche risorse finanziarie non indifferenti verso la Santa Sede, sostenendone l’azione globale.

Ricomporre le fratture con il clero statunitense darà verosimilmente una direzione al pontificato di Leone XIV. Un primo segnale è già arrivato nel conclave, al momento della scelta del nuovo pontefice. I cardinali statunitensi, con l’intenzione di mediare tra la sovraestensione bergogliana e l’arroccamento curiale, avrebbero potuto puntare direttamente su Pietro Parolin. Il segretario di Stato, che manterrà il suo incarico provvisoriamente donec aliter provideatur, vanta una lunga esperienza nelle stanze vaticane dei bottoni e un altrettanto decorata carriera nella diplomazia della Santa Sede.

Un profilo perfetto per mantenersi in equilibrio tra Pietro e Paolo. Eppure, Parolin ha inscritto nel suo curriculum forse il più grande punto di caduta dei rapporti tra Vaticano e Stati Uniti.

Ovvero, l’accordo provvisorio siglato con la Cina nel 2018 per la nomina dei vescovi, cui ha fatto da regista. Un tasto dolente, che neppure i gesuiti statunitensi osano toccare, nonostante la comunanza con il papa defunto. È difficile immaginare che Prevost faccia carta straccia di quell’accordo. Certo è che, con l’intenzione di ricondurre la varietà all’interno della Chiesa e di ricostruire un apparato di governo che operi fianco a fianco del papato, mantenere inalterati i termini

Con l’esaurimento della spinta iniziale, il rischio è che la rivoluzione si disperda

dell’intesa con Pechino sulla nomina dei vescovi da un’autorità statale straniera sarà assai complicato.

Proprio su questo tema vi è l’ennesima, grande spaccatura che ha allontanato ulteriormente Francesco dalla Curia: la riduzione ai minimi termini del ruolo del segretario di Stato, superato spesso e volentieri non solo dallo stesso pontefice, intenzionato a condurre da solo le danze, ma anche da figure vicine al papa stesso. Si veda la serie di missioni di cui è stato incaricato il cardinale Matteo Zuppi, protagonista di incontri tra Stati Uniti, Russia, Ucraina e Cina dedicati proprio al conflitto tra Mosca e Kiev.

E ancora, contro gli Stati Uniti di Trump, Leone XIV caldeggerà il tema della pace.

Il suo discorso inaugurale, poco dopo l’elezione, ha rimarcato la necessità di cercare una pace «disarmata» e «disarmante». Ovvero, nel solco di Francesco, una pace che non equivalga al silenzio delle armi, bensì s’imponga come sistema di convivenza internazionale conveniente per tutti e duraturo nel tempo.

Sul raggiungimento della pace in Ucraina, Prevost e Trump si ritroveranno dalla stessa parte. Il papa, come il suo predecessore, sa bene però che per ottenere una pace «disarmata» e

«disarmante» occorre costruire quei ponti cui ha fatto riferimento lui stesso, dunque coinvolgendo anche paesi come Russia e Cina la cui assenza comprometterebbe ogni tipo di soluzione.

Le rivoluzioni sono rapide, spesso tumultuose. La rottura col passato, per quanto sconvolgente, non richiede un manuale di stile. È la sostanza che conta: papa Francesco, nell’impetuosa convinzione di dover ribaltare la Chiesa, non ha badato ai ricami. «La rivoluzione non è un pranzo di gala», avrebbe detto qualcuno. Ma con l’esaurimento della spinta iniziale, il rischio è che la rivoluzione si disperda, non avendo lasciato forme replicabili nel tempo, nella certezza della sua unicità. Contro tale minaccia interviene Leone XIV. Vicino a Bergoglio, addirittura pioniere del suo magistero, Prevost è conscio che per salvare l’eredità di chi lo ha creato cardinale, occorrerà stilare le regole della sua rivoluzione. Giocoforza, attenuandola. Solo così la Chiesa potrà continuare a essere l’ospedale di campo invocato da Francesco: aperta al mondo, ma riorganizzata al suo interno per farlo pienamente suo e non farsi disgregare.

La Chiesa (non) tornerà a Roma

Federico Bertasi coordinatore editoriale di Domino e analista geopolitico

—Più affine alle istituzioni vaticane di Francesco, Leone XIV sarà chiamato a proseguire il decentramento senza perdere contatto con l’Urbe. Equilibrio (quasi) impossibile

L’ascesa al soglio petrino di un pontefice statunitense ha certificato la crescente distanza tra la Chiesa e la Città Eterna. Canovaccio tutt’altro che inedito, scientificamente avviato già nel secolo scorso con il Concilio Vaticano II e ricamato da papa Francesco per sganciare la Santa Sede dalla sua matrice occidentale e ricondurla all’universalismo delle periferie.

Nel 2013 Jorge Bergoglio trionfò su Angelo Scola, arcivescovo di Milano, perché proveniente «dalla fine del mondo», estraneo allo Stato profondo e potenzialmente in grado di allontanare la prospettiva da Roma1. Allora a pesare furono soprattutto i voti dei cardinali statunitensi, che preferirono all’italiano una figura occidentale e distante dai centri del potere.

Difficile stabilirlo con certezza, ma è plausibile che nel conclave appena concluso siano avvenute dinamiche simili, con il segretario di Stato, Pietro Parolin, ostacolato da parte del clero africano, asiatico e statunitense in favore di Robert Francis Prevost, agostiniano di Chicago con ascendenze francesi, italiane e spagnole.

Vero, Parolin potrebbe aver pagato anche l’accordo (ancora oggi secretato) con la Repubblica Popolare, che lascia carta bianca a Pechino sulla scelta dei vescovi e assoggetta la Santa Sede alla mercé altrui. Ma c’è di più.

La svolta ricercata dalla Chiesa stride con l’immagine tradizionale di un

1/ P. PICA, «L’argentino Bergoglio è Papa Francesco: “Vengo dalla fine del mondo...”», Corriere della Sera, 13/3/13.

pontefice italiano, che sarebbe percepito come eccessivamente ancorato alle radici storiche dell’istituzione e rischierebbe di compromettere il dialogo con clero estraneo all’Occidente.

Agli occhi dei fedeli extra-europei la comunanza con Roma comporterebbe un inevitabile allontanamento dalle periferie e renderebbe vana la spinta ecumenica bramata da Francesco.

Meccanismo svelato tra le righe anche dallo stesso segretario di Stato, attento a «comprendere» come «la tifoseria in [suo] favore debba» tuttavia «essere superata secondo una logica diversa, di fede e di Chiesa»2. Vi sono poi fattori amministrativi e numerici che hanno complicato l’ascesa al papato per i cardinali della penisola.

Collocati nell’epicentro del potere, spesso gli italiani sono stati coinvolti in scandali o episodi di corruzione della burocrazia vaticana. E questi sovente condividono accese rivalità capaci di compromettere un fronte comune o una candidatura solida.

L’apertura globalista ha poi diversificato la composizione nazionale del collegio cardinalizio e ridotto il numero e il peso delle eminenze italiane. Nel suo pontificato Francesco ha preferito creare i cardinali delle piccole (o medie) città, lasciando senza porporati Palermo, Torino, Napoli, Genova, Roma, Firenze, Venezia e persino Milano, arcidiocesi più gran-

2/ Citato in «Parolin e la lettera al GdV. “Vi racconto Papa Leone XIV. Guiderà la Chiesa con serenità”», Il Giornale di Vicenza, 10/5/25.

Federico Bertasi

de d’Europa che vanta l’unico rito ammesso in tutta la Chiesa cattolica latina (occidentale), al di fuori di quello romano.

Benché uomo di Curia e decisamente più addentro le vicende vaticane rispetto a Bergoglio, Leone XIV tenterà di proseguire il decentramento della Chiesa senza compromettere eccessivamente il rapporto con l’Urbe (e con l’Occidente).

Equilibrio palmare già durante la prima Celebrazione Eucaristica, quando rivolgendosi ai cardinali elettori ha messo in guardia dai pericoli di quella società occidentale in cui «chi crede è deriso, osteggiato, disprezzato, o al massimo sopportato e compatito» e «la mancanza di fede porta spesso con sé drammi quali la perdita del senso della vita, l’oblio, la violazione della dignità della persona, la crisi della famiglia e tante altre ferite»3

Mentre Francesco guardava più all’evangelizzazione che all’istituzione, per Leone XIV la legittima attenzione per i margini del mondo non implica l’abbandono di Roma, che anzi dovrebbe riscoprire le proprie radici storiche per superare i propri confini e conciliare le anime.

Durante il suo (bi)millenario cammino il rapporto della Chiesa con l’Urbe è stato assai intrecciato. Inizialmente gravitanti attorno all’impero romano, le prime comunità di fedeli subirono le oppressioni più o meno sistematiche da parte dei governanti e delle popolazioni locali.

Fu solo a partire dal III secolo dell’era volgare che il cristianesimo ottenne un ruolo crescente nell’impero, quando il nucleo italico ipotizzò di

3/ Citato in «Santa Messa di Sua Santità Leone XIV con il Collegio Cardinalizio», Sala stampa della Santa Sede, 9/5/25.

adottare la confessione per unificare genti diverse e contenere le spinte centrifughe delle province.

Nel 313 d.C. Costantino e Licinio, rispettivamente imperatori d’Occidente e d’Oriente, siglarono nell’attuale Turchia l’editto di tolleranza (altrimenti noto come editto di Milano) per proseguire l’integrazione nello Stato e cavalcare l’universalismo incoraggiato dalla fede.

Oltre a ottenere la libertà di culto, il verbo di Cristo fu incentivato tramite sovvenzioni per la costruzione di imponenti edifici sparsi per i territori imperiali.

La successiva caduta dell’impero romano d’Occidente (476 d.C.) decretò la definitiva comunione tra la Città Eterna e la Chiesa. A dispetto del conflitto in armi con unni, longobardi e visigoti, attorno alla fine del V secolo Leone I gettò le basi per definire il potere temporale della Santa Sede e sancire il primato del vescovo di Roma come diretto successore dell’apostolo Pietro.

Da allora il rigido controllo del papato sulla penisola e sulle province occidentali dell’impero fu (quasi) sempre essenziale per fronteggiare scismi, invasioni e crisi intestine.

Benché potenzialmente deflagrante, la separazione con la Chiesa d’Oriente del 1054 avviò una riscoperta del proprio afflato universalistico e rinsaldò il legame tra l’Urbe e lo Stato pontificio. Similmente la proclamazione del primo Giubileo cristiano (1300 d.C.), fortemente voluto da Bonifacio VIII (anche) per accrescere le finanze ecclesiastiche, riuscì ad affermare la preminenza di Roma come incarnazione della cristianità. Eppure, ieri come oggi, non è così raro che un papa si trovi in dissonanza con la Città Eterna. Né che le sue origini affondino per lungo tempo lontano dalla penisola italica.

La svolta ricercata dalla Chiesa strideva con l’immagine di un pontefice italiano

Preoccupato dalle crescenti ingerenze dello Stato pontificio e dalla forte presa sui cattolici, alla fine del XIV secolo il regno francese entrò in conflitto con la Sede Apostolica. I funzionari di Filippo IV giunsero ad Anagni e segregarono per due giorni Bonifacio VIII, intimandogli di ridurre le intromissioni negli affari interni del paese e ritirare la scomunica ai danni del reggente.

Nonostante l’intervento salvifico dei notabili locali, dopo solo un mese questo morì a Roma per gli effetti dell’incarcerazione.

La sua scomparsa palesò le difficoltà dell’istituzione e avviò uno scadimento della potenza (terrena) della Chiesa, che nel 1305 decise di spostare la sede pontificia dall’Urbe ad Avignone, in Provenza, per continuare a governare sotto l’ombrello securitario del regno ed evitare uno scisma con il clero parigino.

Per oltre settant’anni si susseguirono sette papi di origine francese fortemente graditi al re e in decisa opposizione con Roma, che nel frattempo perse il prestigio politico ed economico indotto dalla Sede Apostolica. Fu il più lungo periodo di digiuno di un pontefice di origine italiana al soglio petrino nella storia della Chiesa – tuttora vigente.

Largamente caldeggiato dai fedeli e dal clero dello Stivale, il ritorno nella penisola non diminuì le venature che accompagnavano l’istituzione. Epperò da allora la Santa Sede ha saputo fondersi con la Città Eterna per superare gli sconvolgimenti introdotti dall’età contemporanea.

Ideologie, velleità imperiali e terremoti interni non scalfirono l’assetto trascendente edificato per scher-

marsi dalle ingerenze altrui. Pure momentaneamente isolata tra la fine dello Stato pontificio (1870) e la sigla dei Patti Lateranensi (1929), la Chiesa riuscì a dialogare con i fedeli e mantenere l’esclusiva sul potere spirituale. Solo l’avvento del mondo globalizzato incrinò pericolosamente la centralità dell’Urbe.

Pensato per uscire dalla logica occidentale centrata sul Vecchio Continente, il Concilio Vaticano II (1962-1965) aprì l’istituzione ai popoli esclusi dal potere vaticano e distanti dall’evangelizzazione cattolica. Almeno formalmente la Chiesa si spostò su posizioni progressiste, innescando la reazione silenziosa di parte del clero inviso al processo di modernizzazione.

Nuove tematiche, nuovi vescovi e nuovi sinodi scandirono l’innovativo punto di vista della Santa Sede, che finì per distanziarsi dall’Urbe nel tentativo di emanciparsi dal processo di secolarizzazione europeo. Sterzata anticipata durante i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, primi papi non italiani in 455 anni, concretizzata dall’operato di Francesco e proseguita (a parole) da Leone XIV. «Vorrei che insieme rinnovassimo la nostra piena adesione alla via che ormai da decenni la Chiesa universale sta percorrendo sulla scia del Concilio Vaticano II», si è premurato di ricordare in uno dei primi incontri con i cardinali dopo la sua elezione, lasciando trasparire una certa consapevolezza sul momento delicato vissuto dall’istituzione 4 .

4/ Citato in «Il Papa ai cardinali, rinnoviamo piena adesione al Concilio», Ansa, 10/5/25.

Federico Bertasi

Il solco tracciato da Bergoglio ha permesso di accelerare il cambio di prospettiva con cui abbracciare l’umanità tutta e archiviare l’occidentalismo soffocante. Ma adesso toccherà al nuovo pontefice ridefinire i rapporti con il centro del potere, stabilendo se ricercare nuove vie da percorrere o operare in continuità con il suo predecessore.

La postura di Francesco è stata caratterizzata da una decisa distanza dall’Urbe sin da prima dell’ascesa al soglio petrino. Infastidito dallo scontro in atto nella Curia, già negli ultimi anni del pontificato di Benedetto XVI comprese la necessità di frequentare

forzato dalla simultanea scelta di distanziarsi anche fisicamente dal centro del potere vaticano e optare per la residenza di Santa Marta anziché per il Palazzo apostolico, edificio dove soggiornano i papi dal 1870, quando lo Stato pontificio fu conquistato dall’esercito italiano e il Quirinale, allora residenza del papa, passò al Regno.

Per Francesco il diaframma con il cuore del Vaticano è stato un elemento fondamentale per restituire all’istituzione una vocazione autenticamente universale.

Senza staccarsi dall’Urbe sarebbe (stato) impossibile realizzare il progetto di un mondo «poliedrico» composto da Chiese autonome ma in comunione con Roma, dove «ogni punto

Durante il suo (bi)millenario cammino il rapporto della Chiesa con l’Urbe è stato assai intrecciato

il meno possibile Roma per allontanarsi dai mormorii delle istituzioni vaticane. E fu proprio la scarsa dimestichezza con gli apparati ecclesiastici a renderlo una figura di rottura rispetto alle difficoltà che affliggevano la Chiesa all’inizio degli anni Dieci.

Nel 2013 l’intercessione dello Spirito Santo non mutò lo sguardo di Bergoglio verso la Città Eterna, dove dalla cattedra di San Pietro ribadì il ribaltamento di prospettiva retorico e dogmatico tra centro e periferie. «Ho l’impressione che da qui si veda meglio la realtà. D’altronde i grandi cambiamenti della storia si sono realizzati quando l’occhio si spostava verso l’esterno», disvelò nella sua prima visita ufficiale in una chiesa della periferia romana5.

Passaggio tutt’altro che banale, raf-

5/ Citato in «Papa Francesco inizia dalle periferie», Famiglia Cristiana, 25/5/13.

è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro»6

Movimenti che trovarono la netta opposizione del clero tradizionalista statunitense ed europeo, oltre che degli apparati ecclesiali, con cui Bergoglio entrò in aperto conflitto fin dalle prime fasi.

Pure consapevole della preminenza di Roma, durante il magistero scelse figure poco addentro ai gangli della Curia per accentrare su di sé i poteri amministrativi e indebolire i singoli dicasteri, percepiti come una costola dello Stato profondo. Da qui la decisione di nominare rispettivamente Pietro Parolin come segretario di Stato, Lorenzo Baldisseri quale segretario generale del Sinodo dei vescovi e Beniamino Stella nel ruolo di prefetto della Congregazione per il clero, diplomati-

6/ Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, 236, 24/11/13.

I. Leone XIV che guarda il mondo

ci di carriera capaci di dialogare con i palazzi apostolici a trazione italiana ma con una lunga esperienza lontano dai centri del potere vaticano.

Dopo soli due mesi dall’inizio del suo pontificato Francesco propose di modificare l’elezione del presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), fino ad allora avvenuta tramite esplicita decisione del Santo Padre per affinità tra le istituzioni. «Penso debbano scegliere in autonomia, così come avviene in tutte le altre Chiese», suggerì l’argentino nel tentativo di spostare il baricentro dall’Urbe e superare il rapporto preferenziale dei vescovi con la Santa Sede7.

Da allora il capovolgimento di prospettiva è stato pressoché costante, assumendo connotati inediti per il Vaticano.

Negli anni richiese più volte all’episcopato del nostro paese di ridurre il numero di diocesi per evitare di drenare le risorse disponibili e generare una sperequazione capace di lasciare alle periferie soltanto un ruolo marginale. Quindi tentò di epurare gli italiani dagli organismi finanziari della Santa Sede, ritenuti causa principale degli scandali che hanno investito l’Istituto per le Opere di Religione (Ior) e l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (Apsa).

Ancor più eccezionale, per bocca del teologo e prefetto della Dottrina della fede Víctor Manuel Fernández arrivò a suggerire l’idea che «il papa potrebbe pure andare ad abitare fuori Roma, avere un dicastero a Roma e uno a Bogotà» dato che la «Curia non è più essenziale»8. Ubi Petrus, ibi Ecclesia. L’insofferenza verso l’Urbe fu volontà di abbracciare una Santa Sede

7/ Cfr. «Presidenza Cei: il Papa sceglierà tra i tre più votati», Famiglia Cristiana, 21/5/14. 8/ Citato in M. Franco, «I fedeli sono con Francesco. La Curia? Non è essenziale», Corriere della Sera, 10/5/15.

vicina alle periferie del mondo e abbandonare i centri del potere distanti dalla missione ecumenica.

«La Chiesa ha bisogno di uscire fuori da sé stessa, altrimenti si ammala nell’atmosfera viziata delle stanze in cui è rinchiusa», squadernò Francesco dinanzi all’Assemblea plenaria dei vescovi argentini già nei primi giorni del suo magistero9.

Direzione confermata anche in occasione dell’inaugurazione del Giubileo straordinario della misericordia del 2015, quando scelse simbolicamente di aprire la prima Porta Santa presso la cattedrale di Notre-Dame di Bangui, nella Repubblica Centrafricana, invece che a Roma, suscitando più di qualche malumore nei palazzi apostolici.

I quadranti periferici hanno informato l’operato di Francesco pure nelle fasi conclusive del suo magistero. Terminata nell’ottobre del 2024 dopo una dilatazione temporale di due anni, la XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi ha sancito la preminenza del Mondo Contro nell’impianto teologico cucito dal Santo Padre. Malgrado le opposizioni di una parte della Curia, nella mente dell’argentino il cosiddetto Sinodo sulla sinodalità sarebbe dovuto essere l’ulteriore frattura della Chiesa con l’Urbe, nonché l’eredità spirituale da affidare al suo successore.

Ma la prematura scomparsa del pontefice ha lasciato l’adunanza in corso di realizzazione, delegando a Leone XIV il percorso da assegnare alla barca di Pietro. Già a giugno Prevost riceverà le conclusioni da dieci gruppi di lavoro impegnati a tracciare delle considerazioni su alcuni temi particolarmente delicati, tra cui il ruolo delle donne al servizio del Va-

9/ Citato in «Il Papa ai vescovi argentini. «La Chiesa sia missionaria non autoreferenziale», Avvenire, 18/4/13.

La Chiesa non dedica grande attenzione all'Italia, che a sua volta non conosce i meccanismi che muovono l’istituzione

ticano, la benedizione delle coppie omosessuali e la comunione ai divorziati risposati.

Sebbene in continuità con Francesco, è plausibile che il papa possa optare per una mediazione tra le istanze delle periferie e del centro, ricucendo il rapporto con gli apparati vaticani senza sciogliere (per ora) la riserva sulla gerarchia tra evangelizzazione e istituzioni.

L’inversione di prospettiva della Santa Sede ha inficiato notevolmente anche il rapporto coltivato con l’altra sponda del Tevere. Nella canonica inconsapevolezza generale, l’opinione pubblica italiana non ha mai afferrato come l’occhio di Francesco tradisse un diffuso disinteresse – se non un velato risentimento – verso le vicende del nostro paese.

Del resto non è un mistero che, al di là di qualche cordiale rapporto personale, Bergoglio non sia quasi mai stato in grado di entrare in sintonia con gli esponenti politici italiani, sostenendo di «non riuscire a comprendere» le dinamiche dello Stivale10. Sprazzo di lucidità riconducibile al pressoché nullo potere d’influenza dei cattolici nella vita politica dello Stato – oltre che alla diffusa irrilevanza della stessa.

Rivolta con lo sguardo altrove, la Chiesa non dedica più l’attenzione di un tempo al nostro paese, che a sua volta è a digiuno dei meccanismi che

10/ Citato in «Conferenza stampa del Santo Padre durante il volo di ritorno da Rabat», Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, 31/3/19.

muovono l’istituzione – come testimoniato anche dal precipitoso susseguirsi di congratulazioni recapitate in anticipo da molti vertici dello Stato italiano al cardinale Pietro Parolin, sicuri fosse lui il prossimo successore di Pietro.

Difficile che Leone XIV possa invertire la rotta e riscoprire i rapporti con il Belpaese, ancor più se concentrato sui teatri preminenti per la Santa Sede. Così come appare complesso immaginare un improvviso fervore capace di accrescere sensibilmente l’influenza della barca di Pietro.

Non soltanto perché inizialmente accolto dall’opinione pubblica con sospetto in quanto statunitense e potenzialmente affine a Trump (sic), bensì per l’articolato rapporto che attanaglia la fede e l’Occidente. Eppure per la Chiesa ambedue le sponde del Tevere continueranno a rimanere nodali. Mentre lo Stivale garantisce un retroterra geografico con cui estraniarsi dalla dimensione fisica, Roma assicura la continuità spirituale e morale necessaria per diffondere la propria missione.

Impossibile (r)esistere senza entrambe. In costante vertigine tra approcci teologici, quadranti geografici, tensioni geopolitiche ed evangeliche il pontificato di Prevost dovrà affrontare sfide apparentemente insormontabili anche per chi cammina nella storia da oltre due millenni.

Equilibrio (quasi) impossibile da raggiungere. A meno che non si volga lo sguardo là dove tutto è cominciato.

Tiburtina Termini

L’ANNO CHE VERRÀ (A ROMA)

Basiliche papali Giubileo 2025 (24/12/20246/1/2026)

San Giovanni in Laterano. Porta Santa aperta il 29/12/24

Santa Maria Maggiore. Porta Santa aperta il 1/1/25

San Paolo fuori le mura. Porta Santa aperta il 5/1/25

San Pietro in Vaticano . Porta Santa aperta il 24/12/24 Chiese giubilari

Flussi turistici Altri luoghi legati al Giubileo 2025

Carcere di Rebibbia. Porta Santa aperta il 26/12/24 di provenienza aeroportuale di provenienza autostradale/stradale

Stazioni ferroviarie Aeroporti

La Curia ha vinto o perso?

Alessandro Borelli giornalista, analista geopolitico e alumnus della Scuola di Domino

—Dopo le picconate di Francesco, lo Stato profondo vaticano non sa cosa aspettarsi da Leone XIV, bergogliano ma anche curiale

Una premessa doverosa. Sarà la storia, che procede con incedere assai più equanime rispetto all’enorme quantità di melassa riversata nei mezzi d’informazione e sui giornali (va detto: più italiani che internazionali) dopo l’annuncio della morte di papa Francesco, il 21 aprile, a stabilire cosa, dell’eredità pontificale di Bergoglio, potrà giovare alla Chiesa e cos’altro si rivelerà pietra d’inciampo da emendare o rimuovere. Giovanni Paolo I, che nel 1978 occupò il Soglio di Pietro per il breve spazio di 33 giorni, ebbe tempo d’accorgersi di quanto i peana innalzati a prescindere in lode al vicario di Cristo possano rivelarsi perniciosi: «la figura del papa - scandì, lui che lo era - è troppo lodata. Si rischia di cadere nel culto della personalità»1. All’opposto, e nell’incombente necessità di scegliere in Conclave il successore del defunto pontefice cui spetterà negli anni a venire (pure) l’arduo compito di rimettere in sesto l’acciaccato assetto istituzionale del corpus Ecclesiae, una via praticabile, ai 133 cardinali elettori arrivati a Roma da 70 paesi, ha ritenuto di suggerirla, dall’alto dei suoi 94 anni, Camillo Ruini, porporato di consumata esperienza, presidente della Conferenza episcopale italiana dal 1991 al 2007 e, fino al 2008, vicario per la diocesi di Roma.

Mentre, fra il susseguirsi delle congregazioni generali propedeutiche

1/ «Papa Luciani: le frasi più belle di un santo andato via troppo presto. “La figura del pontefice è troppo lodata”», papaboys.org, 28/12/21.

all’extra omnes, parole si accavallavano a parole in pubbliche dichiarazioni fra il criptico e il ludico - giacché, purtroppo, microfoni e taccuini risultano irresistibili pure per chi indossa la berretta rossa, financo nel tempo del lutto -, Ruini ha scandito le sue, in una sintesi di pragmatismo e lucidità: «servirà un papa buono, profondamente credente, dotato di attitudine nelle questioni di governo»2.

Così puntando l’attenzione sull’inscindibilità tra l’attributo bonus (nella genuina accezione latina: fedele, capace ma anche benigno), che il popolo di Dio, in particolare dal principiare dei Sessanta, anni della svolta conciliare col volto di Giovanni XXIII, cerca nel pastore dei cattolici e l’impellenza avvertita dentro la Chiesa quale priorità, tra le molte di questo scorcio di secolo, dopo i quasi tre lustri di Francesco.

Prendere in mano, cioè, le redini del governo rinunciando ai colpi di frusta e ai castighi cui Bergoglio ha senza troppi riguardi fatto ricorso con uno stile improntato a crescente, e gesuitico, personalismo.

«Inutili durezze», per adoperare ancora un’espressione di Ruini, acuite dal fatto che «Francesco è sembrato privilegiare i lontani a scapito dei vicini. È un gesto evangelico. Ma come nella parabola del figliol prodigo l’altro figlio protestò, così oggi c’è chi

2/ F. VERDERAMI, «Ruini: “Serve un Papa buono, anche nel governare. Bisogna restituire la Chiesa ai cattolici. E le divisioni restano”», Corriere della Sera, 29/4/25.

Alessandro Borelli

protesta nella Chiesa»3.

A fare gioco di sponda, con eloquio meno guardingo, è poi scesa in campo l’artiglieria pesante, in grado di spezzare una certa prudentia diplomatica perché aliena alle manovre conclavarie.

In prima istanza, l’arcivescovo emerito di Reggio Emilia-Guastalla, Massimo Camisasca, ha optato per la via brevis di una lettera aperta come viatico al voto nella Cappella Sistina.

Al punto: «il papa - ha scritto - è coadiuvato nel suo compito dalla Curia romana. È una responsabilità che, penso, dovrà occupare una buona parte del tempo del futuro pontefice. La Curia ha bisogno di sentirsi non solo effettivamente, ma anche affettivamente partecipe, nei limiti che le sono propri, della sollecitudine del vescovo di Roma»4.

Poi è toccato al cardinale Paolo Romeo, 87 anni, già nunzio apostolico e arcivescovo emerito di Palermo, puntellare il concetto: «papa Francesco, che ha avuto tanti meriti, lascia una Curia in sofferenza non per i problemi economici, ma perché in questo momento non c’è molta armonia all’interno»5.

Pressoché impossibile ascoltare dalle gerarchie asserzioni più esplicite, oltretutto senza lo scudo dell’anonimato, se non penetrando il muro ovattato delle medesime congregazioni generali dove l’argomento dello stallo istituzionale, parente stretto di quello delle riforme incompiute, è stato, insieme alle molte urgenze che chiamano a raccolta la Chiesa cattolica in quest’epoca di travagli, tra i più ricorrenti nel dibattito. Con un sot-

3/ Ibidem.

4/ M. CAMISASCA, «Rinnovamento ma senza rivoluzioni. E la Curia romana va coinvolta di più», Corriere della Sera, 3/5/25.

5/ D. AGASSO, G. GALEAZZI, «Card. Romeo: “ Il Conclave non sarà lungo. Risanare l’armonia nella Curia”», La Stampa, 7/5/25.

totesto mai esplicitato ma tassativo: che, cioè, la scelta di un papa in indiscussa linea di continuità con Bergoglio, rispetto al modus gubernandi nella Chiesa, potesse aggravarne attriti e sfilacciamenti. In nuce: la crisi. Che c’è ed è profonda.

Non a caso, con voce affine ad altre levatesi fra i cardinali, persino padre Arturo Sosa Abascal, preposito generale dei gesuiti - l’ordine religioso del defunto vescovo di Roma - si è sentito in dovere di chiarire, sia pure con un afflato spirituale di sicuro estraneo a sotterfugi: «il Conclave elegge il successore di Pietro, non di Francesco»6. Al netto del panegirico in suffragio del papa argentino, un passaggio-chiave impossibile da ridurre a esegesi mediane.

Dall’imbrunire di giovedì 8 maggio le petizioni emerse nelle discussioni pre-conclavarie sull’opportunità di ripensare l’assetto della Chiesa tanto quanto gli equilibri interni alle istituzioni che ne costituiscono l’ossatura sono sul tavolo del pontefice eletto Robert Francis Prevost, primo statunitense sulla cattedra petrina benché di ascendenze franco-italiane, per parte di padre, e spagnole, in linea materna.

Sarebbe ardito tentare di delineare qui e ora la direttrice d’azione che il papa seguirà con l’obiettivo di smussare le asprezze e i (non meno deleteri) vuoti lasciati da Francesco nel comunque lodevole slancio riformatore che ha attraversato il suo complesso percorso pastorale.

Le attese dentro i sacri palazzi sono trepidanti. «Nessun processo è irreversibile. E non lo è soprattutto se la sua attuazione ha rivelato criticità.

6/ «Grazie Francesco, “ uomo di Dio”», Curia generale della Compagnia di Gesù, gesuiti.it, 25/4/25.

I. Leone XIV che guarda il mondo

Le attese dentro i sacri palazzi sono trepidanti

La Chiesa ha bisogno di un governo; il sommo pastore va aiutato e deve comprendere che farsi aiutare non è disdicevole», ha rimarcato un porporato, riflettendo a margine degli incontri vaticani.

Dalla Loggia delle Benedizioni della basilica di San Pietro, la sera dell’Habemus papam, Prevost è sembrato incamminarsi nella direzione auspicata lasciando, forse, nel nervosismo solo qualche frangia più tradizionalista che avrebbe sperato non tanto in un rallentamento dell’impeto riformista quanto in una decisa inversione di rotta. Ma la Chiesa non può procedere per strappi, se non avventurandosi nel pericolo di scismi (tutt’oggi reale), e il pontefice agostiniano, uomo di studio e di missione, ha cercato, in primo luogo, di rassicurare, coniugando saggia prudenza ed evangelica accondiscendenza.

Nel primo, breve messaggio Urbi et Orbi, per quattro volte ha adoperato l’avverbio «insieme» come metodo per «essere una Chiesa missionaria, una Chiesa che costruisce i ponti, il dialogo, sempre aperta a ricevere». Quindi ha insistito sull’esigenza di «una Chiesa sinodale, una Chiesa che cammina, una Chiesa che cerca sempre la pace, che cerca sempre la carità»7.

Poi, la scelta del nome: Leone XIV riporta in auge, dopo 122 anni, l’enorme eredità del papato di Vincenzo Gioacchino Raffaele Pecci il quale, eletto il 20 febbraio 1878, si trovò ad affrontare l’arduo compito di traghettare la barca di Pietro dentro i tempi nuovi per misurarsi con le sfide della modernità.

Perduto, con l’Unità d’Italia, il millenario potere temporale, Leone XIII ebbe il coraggio di superare lo sdegnoso isolamento in cui si era recluso Pio IX e di riposizionare i valori della cristianità al centro dei sussulti di quei decenni. Lo fece dedicandosi alla stesura di 86 encicliche, incluso il capolavoro della Rerum Novarum destinato a divenire fondamento, e a restare riferimento, della dottrina sociale ecclesiastica in risposta al rampante socialismo, al laicismo di marca liberale e al capitalismo privo di freni.

Certo: la storia della Chiesa insegna che le enunciazioni avulse dall’azione, e pure i gesti simbolici di ogni stagione, come quella presente, che inizia, si sono talvolta rivelati promesse di primavere appassite in fretta. E allora, per fermarci al versante interno del pontificato appena cominciato, il primo campo di prova sarà quello, decisivo, della sinodalità, richiamato da Leone XIV, che ne è convinto assertore, nel primo saluto al mondo. Punto inossidabile, per Francesco, che, anche nell’autobiografia data alle stampe pochi mesi prima di spegnersi, tornò ad insistere: «non è una moda la sinodalità, né tantomeno uno slogan da strumentalizzare: è un dinamismo di ascolto reciproco, condotto a tutti i livelli, coinvolgendo tutto il popolo di Dio. Non si tratta di raccogliere opinioni, di fare inchieste, ma di camminare insieme e di avere orecchi per cogliere il vento dello Spirito»8.

A ben vedere, però, proprio il Sinodo sulla sinodalità - infelice bisticcio per tentare di compendiare in forma breve il senso del cammino di ascolto e discernimento che, fra il 2021

7/ «Prima Benedizione “ Urbi et Orbi” del Santo Padre Leone XIV», vatican.va, 8/5/25.

8/ FRANCESCO, Spera. L’autobiografia, Mondadori, Milano 2025, ebook, p. 302.

Alessandro Borelli

e il 2024, ha coinvolto la Chiesa per individuare linee di pastorale condivisa - è rimasto uno dei passaggi incompiuti del periodo bergogliano. Per quanto Francesco abbia deciso di adottare i 155 paragrafi del Documento finale elevandoli al rango di atti di magistero, rinunciando alla stesura di un’esortazione post sinodale, i nodi veri sono finiti sul tavolo delle dieci commissioni istituite ad hoc giacché, aveva spiegato il papa, per «discutere di problemi particolari c’è bisogno di tempo»9. L’opzione, però, è stata di poggiarsi a referenti scelti dai vertici - con lo scudo della generica garanzia che «il dialogo con le madri e i padri sinodali continuerà» - de facto blindando, a dibattito con i delegati dal

sa di passaggio obbligato. Il battage mediatico, d’altra parte, si è fermato ad aspetti neppure discriminanti, mosso più da prurigini di gossip - il caso del diaconato femminile è di palmare evidenza - che da effettivo desiderio d’approfondimento. Peraltro gli stessi laici, invocati come portatori d’energie fresche, utili a innervare, soprattutto in Occidente, una Chiesa malata di sordità vocazionale, dimorano, eccezion fatta per un’ormai sparuta e ammirevole minoranza, altrove.

Vero, ai funerali e lungo il tragitto del feretro di Francesco per la tumulazione nella basilica di Santa Maria Maggiore si sono radunate migliaia di persone, commosse e attonite; e altre migliaia hanno affollato piazza San

Ma dov’è questa moltitudine cattolica quando le liturgie domenicali si fanno deserte?

basso concluso, i temi sensibili. Non quisquilie.

Piuttosto argomenti controversi, e gravidi di potenziali fratture, quali il ruolo delle donne nella vita ecclesiale e l’ipotesi del diaconato femminile, il rischio della sparizione delle Chiese orientali a causa della guerra, una «pastorale» per i poligami in Africa, l’annuncio del Vangelo nel web, il rapporto tra vescovi e sacerdoti e con il popolo di Dio, i criteri di selezione dei candidati all’episcopato, il dialogo ecumenico10.

Materie borderline eppure insufficienti per conferire al Sinodo un risalto conforme ai desiderata di Bergoglio. Persino dentro le Chiese locali, che l’hanno vissuto (rectius: subìto) a gui-

9/ M. MUOLO, «La sfida aperta del Sinodo: armonizzare le differenze», Avvenire, 26/10/24.

10/ Cfr. S. CERNUZIO, «Donne, poligamia, poveri, Chiese orientali, web: i gruppi di studio al lavoro nel Sinodo», Vatican News, 3/10/24.

Pietro per salutare Leone XIV. Ma dov’è, poi, questa moltitudine quando le liturgie domenicali si fanno deserte, la partecipazione ai sacramenti diviene più che marginale, o pratica da sbrigare in fretta, e la fede si trasmuta in un esercizio (se c’è) privato e à la carte? Viene alla mente Giorgio Gaber: «secondo me gli italiani sono cattolici e laici, ma anche ai più laici piace la benedizione del papa. Non si sa mai»11. Qualche dato, entro il limes dell’Italia: il 71,1% della popolazione seguita a definirsi credente ma appena il 15,3% è praticante (nella fascia tra i 18 e i 34 anni si precipita al 10,9%); il 20,9% ammette di essere «cattolico non praticante» con l’attitudine, che vale per il 56,1%, a «vivere interiormente la fede»12.

11/ G. GABER, «Secondo me gli italiani», da Un’idiozia conquistata a fatica, 1997.

12/ M. LIUT, «L’ Italia si sente ancora cattolica ma vorrebbe una Chiesa al passo coi tempi», Avvenire, 10/11/24.

I. Leone XIV che guarda il mondo

Una fotografia sconfortante calco dell’intero Occidente, in costante deriva persino nelle terre di solida tradizione, come - ma non è che l’esempio più eclatante - il Brasile, facile preda delle sette pentecostali di marca statunitense. Epperò fotografia ben chiara nella mente di papa Prevost, per vent’anni missionario in Perù, al cuore di una delle frontiere calde per il cristianesimo in America Latina.

Lo hanno confermato i toni, a tratti drammatici, dell’omelia della prima messa presieduta nella Cappella Sistina all’indomani dell’elezione: «anche oggi - ha sillabato - non mancano i contesti in cui Gesù, pur apprezzato come uomo, è ridotto solamente a una specie di leader carismatico o di superuomo, e ciò non solo tra i non credenti, ma anche tra molti battezzati, che finiscono così col vivere, a questo livello, in un ateismo di fatto»13

La vexata quaestio della sinodalità si accompagna, per manifeste ragioni di contiguità con l’affresco completo di visione della Chiesa che verrà, alla disputa sul ruolo della Curia romana, «in sofferenza», come s’è detto e per usare un eufemismo, dopo i dodici anni di Francesco che di essa diffidava in misura somma14. Beninteso: che dentro i sacri palazzi allignino veleni, rivalità, pochezze è verità assodata dalla storia. Com’è, in fondo, per ogni aggregazione umana nella quale si disputano carriere, prebende, successi. Dovette farvi i conti, per tornare al pontefice che ha ispirato il nome dell’attuale, Leone XIII, non appena si ebbe contezza, tra i cardinali più

13/ G. G. VECCHI, «“Sparire perché rimanga Cristo”: Leone XIV e il programma del pontificato nella prima Messa da Papa», Corriere della Sera, 9/5/25.

14/ Cfr. «L’ultimo Giubileo», Domino, 12/24.

retrivi, del suo proposito di firmare la Rerum Novarum15

In epoca meno remota, Giovanni XXIII, che della Curia subì gli ostracismi nel tortuoso cammino verso il Concilio Vaticano II, confidò al gesuita padre Roberto Tucci, allora direttore de La Civiltà Cattolica: «adesso comincerà una lotta piuttosto tenace, perché i cardinali hanno i loro segretari o i loro protetti, che vogliono piazzare nelle commissioni e certo non per motivi soprannaturali. È il mal sottile della Curia romana: le prelature, gli avanzamenti (…)»16. Giovan Battista Montini, che gli succedette col nome di Paolo VI il 21 giugno 1963 e che quei corridoi conosceva in lungo e in largo per averli frequentati fino al 1954, anno della nomina ad arcivescovo di Milano, prima da sostituto alla Segreteria di Stato e poi da pro-segretario di Stato, appena tre mesi dopo l’inizio del pontificato volle incontrare i curiali.

Quasi a mettere le mani avanti. «Ci è sembrato doveroso - scandì -, fin dall’inizio del nostro ministero apostolico, dare un segno della nostra paterna benevolenza alle persone che dirigono e che compongono la Curia romana, e far loro sentire quanto a noi piaccia, quanto a noi prema di saperci in comunione con essa»17. Sorta di paterno avviso ai naviganti prima di apportare agli uffici una robusta riforma con la Costituzione apostolica Regimini Ecclesiae universae del 15 agosto 1967. Senza riuscire, è ovvio, ad emendarne i vizi.

A onore di Francesco va riconosciuto che la sua elezione, il 13 mar-

15/ Cfr. F. DANTE, « Rerum Novarum e i circoli intransigenti della Curia romana», Collection de l’École Française de Rome, n. 368, 2006, p. 285293.

16/ S. MAGISTER, «Il Concilio nelle confidenze di papa Giovanni XXIII», L’Espresso, 23/10/12.

17/ «Discorso di papa Paolo VI alla Curia romana», vatican.va, 21/9/63.

zo 2013, avvenne in circostanze a dir poco drammatiche. L’onda lunga degli scandali di Vatileaks, con la fuga di documenti riservati, sottratti dalla scrivania di Benedetto XVI e resi pubblici nel ludibrio dei giornali attraverso persone a lui prossime, e lo sgomento delle traumatiche dimissioni, annunciate l’11 febbraio precedente, avevano scosso alle fondamenta la comunità ecclesiale. Joseph Ratzinger, annunciando il passo indietro, aveva anteposto l’ingravescentem aetatem18 a quella che a molti era parsa, con tutta evidenza, la vera ragione del clamoroso gesto, ovvero l’impossibilità di ricondurre nei ranghi una vasta porzione curiale.

La scelta di un pontefice come Bergoglio, preso «quasi dalla fine del mondo»19, cioè lontano dagli intrighi, dalle correnti, dalle lusinghe delle anticamere, divenne, nella Sistina, inevitabile.

Serviva, avrebbe più tardi lui stesso annotato, «una Curia romana riformata, così come chiesto dal Collegio dei cardinali»20. Il papa argentino optò subito per le maniere forti: sì rifugiò a Santa Marta, lontano dall’appartamento nel Palazzo apostolico. Poi, il 22 dicembre 2014, si presentò alla cerimonia degli auguri natalizi con la diagnosi delle «quindici malattie» della Curia. Nella lista, fra le altre, il cattivo coordinamento, l’Alzheimer spirituale, il pettegolezzo e il chiacchiericcio, le facce da funerale e l’avidità21. Mentre picchiava duro, sconquassando assetti dati per acquisiti e

18/ « Declaratio del Santo Padre Benedetto XVI sulla sua rinuncia al ministero di vescovo di Roma, successore di San Pietro», Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede, 11/2/13.

19/ «Primo saluto del Santo Padre Francesco», vatican.va, 13/3/13.

20/ PAPA FRANCESCO, F. M. RAGONA, Life. La mia storia nella Storia, HarperCollins Italia, Milano 2024, e-book, p. 212.

21/ «Papa Francesco: le quindici “malattie” della Curia», La Stampa, 22/12/14.

facendo cadere teste considerate inamovibili, Bergoglio pose mano all’ennesima riforma, che si compì, quasi dieci anni dopo l’ascesa al soglio di Pietro, con la Costituzione apostolica Praedicate Evangelium, entrata in vigore il 5 giugno 2022. Ma, alla prova dei fatti, con notevoli deficit strutturali.

A cominciare dal più rilevante - e gravido di conseguenze in relazione alla vocazione universale della Santa Sede anche sotto l’aspetto del suo ruolo geopolitico, ostinatamente negato dai vertici ma in re ipsa per la natura medesima della missione della Chiesa - coinciso col depotenziamento della segreteria di Stato, da sempre longa manus del papa nel mondo, a vantaggio della primazia assegnata al dicastero per l’Evangelizzazione, presieduto dal medesimo pontefice. Una scelta di rottura giunta al culmine di un inesorabile accentramento del processo decisionale cui Francesco ha provveduto, nel tempo, con piglio solipsistico, sovente applicato anche nei confronti dei più stretti collaboratori, e non sempre in ossequio alle norme canoniche, alle consuetudini e, non ultimo, al garbo fraterno.

Nomine, promozioni e destituzioni disposte con pugno duro, a danno soprattutto dei (presunti) nemici e operate col metro più della fedeltà che della competenza; allargamento del collegio dei cardinali (lasciando però accuratamente senza berretta rossa i vescovi titolari di sedi d’antico blasone, da Milano a Venezia fino a Parigi e Berlino) senza codificare in legge il superamento dei 120 elettori fissato nella Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis di Giovanni Paolo II e trascurando i momenti concistoriali d’incontro periodico, talché molti sono giunti al Conclave senza conoscersi; corse in avanti - è il caso delle benedizioni alle coppie Lgbtq+

I. Leone XIV che guarda il mondo

Spesso Francesco ha agito internamente violando le norme canoniche, le consuetudini e il garbo

- ampiamente ritrattate man mano che dagli episcopati locali giungevano manifestazioni di perplessità, quando non di aperta ribellione; interventi punitivi, sul delicatissimo tema degli abusi, rigorosi a momenti alterni, con situazioni di opacità mai chiarite malgrado le pubbliche denunce delle vittime. Per non dire della gestione economica, recuperata in trasparenza, in particolare intorno alle nebulose dello Ior, ma lacunosa in efficienza: nel 2023 il deficit vaticano ha toccato gli 84 milioni di euro a dispetto della spending review che ha, fra l’altro, tagliato per due volte gli stipendi dei cardinali. E pure il sistema previdenziale interno è in bilico22 mentre le offerte, in special modo dai munifici benefattori dell’ala conservatrice statunitense, sono precipitate.

Il risultato, di certo non voluto ma egualmente deflagrante, è stato che, mentre il papa tentava di azzoppare una corte, quella curiale, ne generava un’altra, più ristretta, attorno a sé e al recinto di Santa Marta, amplificando le frustrazioni (all’interno) e il disorientamento (all’esterno).

Con ammirevole dedizione, fino alle ultime ore di vita, Francesco, piegato dalla sofferenza, ha tenuto avvinto a sé il suo popolo, a cui sapeva parlare con linguaggio capace di scaldare i cuori.

Ma con pari pervicacia ha mirato dritto contro gli avversari, che forse erano, in special modo nello scorcio finale del regno, specchio dei suoi

22/ F. MASSARO, «Vaticano, nel Conclave entra anche il bilancio in rosso: ecco la sfida sui conti che attende il successore di Bergoglio», Milano Finanza, 25/4/25.

fantasmi. Leone XIV, che dal 2023 fino all’elezione è stato prefetto del dicastero per i Vescovi dopo l’esperienza missionaria ed è dottore in diritto canonico, conosce bene ciò che si muove oltre le Mura leonine. La rapida investitura conclavaria rivela che il sacro collegio ha voluto una guida in grado di lenire le ferite, ricucire gli strappi. I «ponti» richiamati da papa Prevost nel saluto dalla Loggia di San Pietro andranno ri-costruiti anche all’interno, cominciando dalla Segreteria di Stato. Riconoscendo gli errori, ma senza l’ossessione del male dappertutto.

Intanto, confermando (a tempo) tutti gli incarichi, Leone ha fatto sapere di voler «pregare e dialogare» prima di decidere. E ha tranquillizzato i cardinali: «voi siete i primi collaboratori del papa e ciò mi è di grande conforto»23. Ci vorrà - salvo sorprese - almeno un anno perché le scelte possano prendere forma: poi l’inevitabile spoil system rivelerà in quale direzione il nuovo monarca vaticano avrà deciso di muoversi. Il pericolo, se ci si attardasse nelle secche attuali, sarebbe di frustrare, demotivandoli, quanti servono con rettitudine e lealtà. E di non disinnescare la miccia che mina l’unità. Avvertiva, alla fine del Novecento, il filosofo colombiano Nicolás Gómez Dávila: «tra la Chiesa trionfante e la Chiesa militante, il nuovo clero si aggrega alla Chiesa zoppicante»24. Impedirlo è l’ostica sfida che attende, da subito, il pontefice figlio spirituale di Sant’Agostino.

23/ «Discorso del Santo Padre Leone XIV al collegio cardinalizio», vatican.va, 10/5/25.

24/ Cfr. N. GÓMEZ DÁVILA, Escolios a un texto implicito, Gog, Roma 2019.

Alessandro Borelli

L’eredità di Francesco nelle mani di Prevost

Elia Morelli storico e analista geopolitico

—Bergoglio sognava di trasformare la Santa Sede in senso dottrinale e geopolitico. Ora Leone deve scegliere tra rivoluzione permanente o parziale restaurazione

Francesco sognava di rivoluzionare la Santa Sede in senso dottrinale e geopolitico per mettere la Curia romana al servizio della Chiesa universale.

Il rinnovamento perseguito aveva il dichiarato obiettivo di congiungere Oriente e Occidente, unendo l’emisfero boreale con l’australe, per trasformare l’ecumenismo cattolico nel globalismo delle genti.

Durante il suo pontificato, lo spazio geografico tra Europa e Terrasanta, culla della civiltà giudaico-cristiana, è stato progressivamente derubricato di importanza, senza perdere la sua centralità. Da fulcro sistemico attorno al quale ruotavano i suoi satelliti, Città del Vaticano è divenuta luogo di irradiamento del verbo di Cristo in un contesto plurale. Francesco voleva uscire dai palazzi del potere ecclesiastico per esportare il discorso apostolico tra le persone comuni, avvicinandosi a poveri, dimenticati e oppressi, così da trasformare la Chiesa in una istituzione capace di calarsi nelle miserie del quotidiano. Da qui l’adozione di una retorica rivolta agli umili diseredati e alle comunità afflitte per redimere l’immagine peccaminosa di una élite clericale oltraggiata da scandali sessuali e finanziari, puntando sulla forza della parola e delle buone opere allo scopo di illuminare tutti i popoli della Terra.

La dottrina di Francesco è vergata in quattro encicliche di rilevanza capitale, che insieme rappresentano

il manifesto programmatico del progetto bergogliano per una Chiesa accogliente, inclusiva, capace di ascoltare gli ultimi e di costruire ponti.

Lumen Fidei (2013), continuazione del lavoro iniziato da Benedetto XVI, incentrata sull’importanza della fede per guidare l’umanità verso la convivenza pacifica e la ricerca del bene comune. Laudato Sì (2015), dedicata interamente alla cura del Creato, nella quale il pontefice collegava la salvaguardia ambientale con la giustizia sociale, perché «non c’è ecologia senza una adeguata antropologia».

Il testo denunciava il cambiamento climatico, il degrado, il consumismo e l’inquinamento, sollecitando una rinnovata responsabilità collettiva capace di distillare modelli appropriati per garantire la vita sulla Terra e riscoprire una relazione armoniosa con la natura, promuovendo lo sviluppo sostenibile e la lotta alle disuguaglianze.

In Fratelli Tutti (2020), firmata simbolicamente ad Assisi sulla tomba di San Francesco, Bergoglio celebrava la fratellanza e l’amicizia universale, individuate come antidoti a bellicismo, chiusura, esclusione e sfruttamento1.

In quella enciclica, sinceramente egalitaria, apertamente terzomondista, seccamente antioccidentale, il papa argentino sfidava l’arroganza dei potenti ammonendo in partico -

1/ D. DONNINI, «Sulla tomba di san Francesco il Papa firma “Fratelli tutti”», Vatican News, 3/10/20.

Elia Morelli

Francesco voleva uscire dai palazzi del potere ecclesiastico

lare gli Stati Uniti. Infine in Dilexit Nos (2020) chiedeva al mondo «che sopravvive tra le guerre, gli squilibri socioeconomici, il consumismo e l’uso anti-umano della tecnologia» di «recuperare il cuore della spiritualità cristiana» per superare la frammentazione causata dall’individualismo contemporaneo.

Tornare a rivitalizzare il tradizionale senso di comunitarismo contro l’evaporazione degli autentici valori cristiani.

L’eredità lasciata dal pontefice argentino è un ribaltamento sistemico, rimasto complessivamente incompiuto. La natura conservatrice della Chiesa ha condotto Francesco a mantenere intatta la fisionomia clericale, gerarchica e centralizzata del Vaticano, concentrandosi principalmente sui temi sociali ed economici verso cui le istituzioni religiose non hanno una responsabilità diretta2. Eppure l’azione riformatrice ha affrontato annose questioni dottrinali, riuscendo solo parzialmente a raggiungere soluzioni definitive.

Francesco ha approvato la nuova redazione del Catechismo della Chiesa Cattolica decretando l’inammissibilità della pena di morte, perché contraria all’inviolabilità e alla dignità personale3. Nelle esortazioni apostoliche post-sinodali Amoris Laetitia (2016) e Christus Vivit (2019), riflettendo sulla morale e la sessualità, ha definito quest’ultima «un dono

2/ M. MARZANO, La Chiesa immobile. Francesco e la rivoluzione mancata, Bari-Roma, Laterza, 18.

3/ S. CENTOFANTI, «Il Papa cambia un paragrafo del Catechismo: la pena di morte è inammissibile», Vatican News, 2/8/18.

di Dio» concesso allo scopo di «amarsi e generare vita»4. Emblematiche in tal senso le parole pronunciate da Francesco davanti ai fedeli in piazza San Pietro nel dicembre 2021, quando dopo aver bollato come «una tragedia» la consuetudine diffusa tra molte coppie di «rimanere senza o con un figlio soltanto», ha dichiarato: «facciamo tutto il possibile per riprendere una coscienza, per vincere questo inverno demografico che va contro le nostre famiglie, la nostra patria e il nostro futuro»5. Denunciando aspramente un dramma epocale, particolarmente deleterio per l’Italia, in larga parte espressione di ribaltamenti valoriali generati dall’affermazione di un modello post-moderno, liquido, atomizzato e fortemente individualista. Ritenuto dal pontefice causa principale della diminuzione della natalità e del conseguente crollo numerico della popolazione occidentale6 Francesco ha condannato con assoluta fermezza lo sfruttamento del lavoro minorile e la piaga delle violenze commesse dalla Chiesa, dagli abusi sui bambini alle adozioni forzate, definendole «un atto spregevole e atroce. […] una gravissima violazione dei comandamenti di Dio»7. Impegnandosi nel perseguire legalmente i colpevoli di tali azioni criminali. A proposito del celibato obbligatorio come norma regolatrice del clero

4/ “Amoris laetitia”: Esortazione Apostolica sull’amore nella famiglia, 19/3/16; e “Christus vivit”: Esortazione Apostolica post-sinodale ai Giovani e a tutto il Popolo di Dio, 25/3/19.

5/ «Papa Francesco: “Preoccupa l’inverno demografico in Italia, va contro il nostro futuro”», Rai News, 26/12/21.

6/ E. MORELLI, «Il grande freddo demografico», Domino, n. 5, 2022, pp. 26-33.

7/ «Francesco: gli abusi sui minori, vergogna di cui la Chiesa chiede con umiltà perdono», Vatican News, 22/9/24.

I. Leone XIV che guarda il mondo

cattolico, ha sostenuto che in quanto «prescrizione temporanea può essere rivisto» o addirittura «abolito», ammettendo però «non sarò io a farlo»8.

Così da lasciare al successore il fardello di decidere se sovvertire o meno lo status quo in materia. Pur riconoscendo il maschilismo presente in Vaticano, ha assicurato un maggior protagonismo delle donne nella vita della Chiesa, consentendo loro di votare ai sinodi episcopali. Nonostante la chiusura al sacerdozio femminile, è stato il primo papa a nominare due donne a capo di importanti uffici della Curia romana: suor Alessandra Smerilli, docente di economia politica presso la Pontificia facoltà di scienze dell’educazione Auxilium, a segretaria al dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, e suor Simona Brambilla, alla testa in qualità di prefetto del dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica9.

Segnale del desiderio di inaugurare una nuova fase caratterizzata dal progressivo, seppur limitato, aumento della componente femminile in posizioni di rilievo.

Nella dichiarazione rivolta al dicastero per la Dottrina della Fede intitolata Fiducia Supplicans, Bergoglio ha aperto alla benedizione delle persone divorziate e delle coppie omosessuali, anche se al di fuori dei riti liturgici, proclamando un icastico «la Chiesa è per tutti»10. Un pronunciamento criticato aspramente dagli esponenti più conservatori della gerarchia ecclesiastica. Lapidario il cardinale tedesco Gerhard Ludwig Müller, favorevole al

8/ D. HADAD, «El último reportaje del papa Francisco con Infobae», Infobae, 10/3/23.

9/ D. AGASSO, «Il Papa nomina la suora economista Smerilli segretario di un dicastero vaticano», La Stampa, 27/8/21.

10/ S. CERNUZIO, «Il Papa: cuore di Fiducia Supplicans è l’accoglienza, la benedizione non si nega a nessuno», Vatican News, 7/2/24.

ritorno della messa in latino, nel contestare le decisioni prese dal pontefice argentino, auspicando l’elezione di un papa capace di resistere a «quei gruppi di pressione che con la loro agenda globalista, connessa all’ideologia gender, vogliono governare il mondo secondo i criteri dell’ateismo negando la natura umana e la natura divina»11. Nella sintesi del reazionario cardinale italiano Carlo Caffarra: «una Chiesa con poca attenzione alla dottrina non è più pastorale, è solo più ignorante»12. Sintomo della burrasca interna a una Curia divisa tra correnti in perenne lotta fra loro, che il pontificato di Francesco ha temporaneamente sedato, non eliminato.

Il cambiamento più radicale innestato da Bergoglio ha riguardato la geopolitica del collegio ecclesiale. In dieci concistori papa Francesco ha ridisegnato lo scenario geografico cardinalizio. 108 sommi prelati su 135 degli abilitati a partecipare al conclave per eleggere il nuovo vicario di Cristo hanno ricevuto il porporato direttamente da Bergoglio. Di questi, dopo gli europei, il gruppo più cospicuo è rappresentato in rigoroso ordine da asiatici, latinoamericani e africani.

Con lo scopo di disegnare un’inedita topografia ecclesiastica nel ristretto novero dei principi della Curia. A dimostrazione della volontà del defunto pontefice di aumentare il peso della Chiesa nel Sud-Est del pianeta, ridimensionando drasticamente l’originario vincolo occidentale.

Dal 2013 Francesco ha guardato all’Asia, proiettando la Santa Sede in Oriente e nell’emisfero australe. Tra-

11/ F.A. GRANA, «Papato, omosessuali, dottrina. Il cardinale Müller: “Basta lobby, non voglio un nuovo Francesco”», Il Fatto Quotidiano, 1/5/25.

12/ M. MATZUZZI, «“Solo un cieco può negare che nella Chiesa ci sia grande confusione”. Intervista al cardinale Caffarra», Il Foglio, 14/1/17.

Elia Morelli

I VIAGGI DI PAPA FRANCESCO

Brasile

Giordania

Palestina

Israele

Corea del Sud

Albania

Turchia

Sri Lanka

Filippine

Bosnia ed Erzegovina

Ecuador

Bolivia

Paraguay

Cuba

Stati Uniti d’America

Kenya

Uganda

20-29 giugno

24-26 maggio

13-18 agosto

21 settembre

28-30 novembre

12-19 gennaio

6 giugno

6-12 luglio

19-27 settembre

25-30 novembre

Rep. Centroafricana

Rep. Centroafricana

Messico

Grecia

Armenia

Polonia

Georgia

Azerbaigian

Svezia

Cile

Perù

Svizzera

Panama

Emirati Arabi Uniti

Marocco

Bulgaria

Macedonia del Nord

Romania

Mozambico

Madagascar

Mauritius

Thailandia

Giappone

Iraq

Ungheria

Slovacchia

Cipro

Grecia

Malta

Canada

Kazakistan

Bahrein

Rep. Democratica del Congo e Sudan del Sud

Ungheria

Portogallo

Mongolia

Francia

12-18 febbraio

16 aprile

24-26 giugno

27-31 luglio

30 settembre2 ottobre

31 ottobre - 1 novembre

28-29 aprile

12-13 maggio

6-11 settembre

27 novembre2 dicembre

15-21 gennaio

21 giugno

25-26 agosto

22-25 settembre

23-27 gennaio

3-5 febbraio

30-31 marzo

5-7 maggio

31 maggio-2 giugno

4-10 settembre

20-29 novembre

5-8 marzo

12-15 settembre

2-6 dicembre

2-3 aprile

24-30 luglio

13-15 settembre

3-6 novembre

31 gennaio - 5 febbraio

28-30 aprile

2-6 agosto

31 agosto - 4 settembre

22 - 23 settembre

Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor Est e Singapore

Lussemburgo e Belgio

2 - 13 settembre

28-30 aprile

iettoria delineata già nel 1999 dalla Cattedrale del Sacro Cuore di Delhi, allorché Giovanni Paolo II auspicò alla soglia del terzo millennio cristiano la propagazione e il radicamento del cattolicesimo nel continente asiatico, dove sperava «di raccogliere una grande messe di fedeli»13.

Ispirato dalla riscoperta del ra-

matiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare decentralizzazione»15.

Da qui la necessità di pianificare «la trasformazione missionaria della Chiesa», incrementando la spinta evangelizzatrice e il dialogo interculturale.

Bergoglio ha proiettato la Santa Sede in Oriente e nell’emisfero australe

dicalismo evangelico delle origini, Bergoglio considerava imprescindibile emancipare la Chiesa dal Vaticano per esportarla nelle periferie del mondo. Così da ricongiungerla con la sua ancestrale intraprendenza apostolica, storicamente rivolta a poveri e governanti, per diffondere il racconto contenuto nelle Sacre Scritture e aumentare i battezzati.

Laconico il cardinale filippino Luis Antonio Gokim Tagle, tra i massimi interpreti del pensiero filosofico bergogliano: «il futuro della Chiesa continua nelle periferie. Francesco ci ha indicato la strada. Sento molto questa missione, ci vado con la convinzione e l’obiettivo di farle diventare centro»14.

La riformatrice visione francescana fu scolpita nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium pubblicata nel novembre 2013. Appena assurto al soglio pontificio, Bergoglio incise: «non credo neppure che si debba attendere dal magistero papale una parola definitiva o completa su tutte le questioni che riguardano la Chiesa e il mondo. Non è opportuno che il papa sostituisca gli episcopati locali nel discernimento di tutte le proble -

13/ Omelia di Giovanni Paolo II, 6/11/1999.

14/ A. SCELZO, «Il cardinale Luis Antonio Tagle: “Il futuro della Chiesa continua nelle periferie”», Il Mattino, 27/4/25.

Nel 2015, Bergoglio annunciò un Giubileo straordinario dedicato alla Misericordia verso il prossimo, inaugurando l’apertura dell’Anno Santo non a Roma, nella Basilica di San Pietro, bensì a Bangui, nella Repubblica Centrafricana, proclamando questa terra dilaniata da guerre interetniche «capitale spirituale del mondo»16

Parole accolte da un tripudio di folla con il beneplacito dell’arcivescovo Dieudonné Nzapalainga, impegnato risolutamente nella pacificazione dell’area e di recente certo di come il neoeletto pontefice dovrà «lavorare per superare i confini», perché «le frontiere chiuse sono una ferita aperta», perché «l’Africa ha tanto da offrire»17.

Il cosmopolitismo bergogliano proiettava il papa argentino di educazione gesuita a intravedere nell’attuale surriscaldamento planetario una finestra

15/ «Esortazione apostolica Evagelii Gaudium del Santo Padre Francesco ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate e ai fedeli laici sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale», La Santa Sede, 24/11/13.

16/ Apertura della Porta Santa della Cattedrale di Bangui e santa messa con sacerdoti, religiosi, religiose, catechisti e giovani, Cattedrale di Bangui (Repubblica Centrafricana), Prima Domenica di Avvento, 29/11/15.

17/ D. AGASSO, «Dieudonné Nzapalainga: “Il futuro pontefice non ceda e lavori per superare i confini”», La Stampa, 27/4/25.

I. Leone XIV che guarda il mondo

di opportunità per scompaginare la realtà, abbattendo antichi «pregiudizi e stereotipi» tramite un sentimento di «convivialità». In tale congiuntura, Francesco evidenziava la «straordinaria potenzialità» geografica dei paesi «affacciati sul Mediterraneo», chiamati a eliminare il diabolico «spirito nazionalistico» per rilanciare il ruolo dello strategico bacino marittimo in qualità di incredibile connettore interoceanico: epicentro di una rivoluzione antropologica di portata globale. «Il Mediterraneo ha una vocazione peculiare in tal senso: è il mare del meticciato, culturalmente sempre aperto all’incontro, al dialogo e alla reciproca inculturazione. Le purezze delle razze non hanno futuro»18.

In occasione della riunione tenutasi a Bari con i massimi rappresentanti della regione, denunciò «l’ipocrisia dei paesi che parlano di pace e vendono le armi ai paesi in guerra». Ricordando come l’area mediterranea fosse «insidiata da tanti focolai di instabilità e di guerra, sia nel Medio Oriente sia in vari Stati del Nord Africa, come pure tra diverse etnie o gruppi religiosi e confessionali; né possiamo dimenticare il conflitto ancora irrisolto tra israeliani e palestinesi, con il pericolo di soluzioni non eque e, quindi, foriere di nuove crisi». Infine, evidenziò come ingenti risorse statali fossero colpevolmente indirizzate «all’acquisto di armi e allo sforzo militare, distogliendole dalle funzioni vitali di una società, quali il sostegno alle famiglie, alla sanità e all’istruzione». Scolpendo: «la guerra è contraria alla ragione […] una pazzia alla quale non ci possiamo mai rassegnare»19.

18/ «Visita del Santo Padre Francesco a Bari in occasione dell’Incontro di riflessione e spiritualità “Mediterraneo frontiera di pace (19-23 febbraio 2020)”» - Intervento del Santo Padre, 23/2/20.

19/ A. VALLE, «Certi discorsi seminano paura e odio come negli anni Trenta del secolo scorso», Famiglia Cristiana, 23/2/20.

Una convinzione così forte da condurlo a inginocchiarsi e baciare i piedi dei leader del Sud Sudan giunti in Vaticano, supplicandoli di stipulare una pace per silenziare quanto prima il boato delle armi20. E negli ultimi anni a ribadire la sua vicinanza ai cristiani sparsi in Medio Oriente, rivolgendo le sue preghiere soprattutto ai palestinesi martoriati dalla martellante campagna bellica israeliana nella Striscia di Gaza21. Mettendo in campo la diplomazia vaticana, nelle persone del segretario di Stato Pietro Parolin, del presidente della Conferenza episcopale italiana Matteo Zuppi e del patriarca latino di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa, per favorire il ripristino del dialogo tra Mosca, Kiev, Washington e Gerusalemme affinché terminassero i conflitti in Ucraina e Palestina allo scopo di riassestare la drammatica situazione umanitaria. Nel 2019, anniversario dell’emblematico incontro tra San Francesco d’Assisi e il sultano Malik al-Kâmil, avvenuto in Egitto esattamente ottocento anni prima all’infuriare della quinta crociata, Bergoglio andò, primo fra tutti i pontefici, in pellegrinaggio ad Abu Dhabi, dove firmò insieme ad Ahmad al-Tayyib, Grande Imam dell’Università-Moschea di Al-Azhar al Cairo, massimo centro di studio teologico e giuridico sunnita, il  Documento sulla Fratellanza Umana, proclamando la convivenza pacifica a sigillo della pace mondiale22. Nel corso di una visita nella Repubblica Demo -

20/ B. CAPELLI, «Il Papa bacia i piedi per la pace in Sud Sudan», Vatican News, 11/4/19.

21/ M. LUT, «Il Papa: a Gerusalemme nessuno tocchi lo status quo dei luoghi santi», Avvenire, 2/9/2024; «Lettera del Santo Padre Francesco ai cattolici del Medio Oriente», Roma, San Giovanni in Laterano, 7/10/24.

22/J.V. TOLAN, Il santo dal sultano: l’incontro di Francesco d’Assisi e l’Islam, traduzione di M. Sampaolo, Roma-Bari, Laterza, 2009; F. CARDINI, «Francesco e il sultano: un incontro storico che portò alla pace», 9/2/19

LE NOMINE CARDINALIZIE DI FRANCESCO

OCEANO PACIFICO

Hong Kong (CINA) INDIA

COREA DEL SUD FILIPPINE PAPUANUOVA GUINEA GIAPPONE

IRAQ

ETIOPIA PAKISTAN

MALESIA

SINGAPORE THAILANDIA

OCEANO INDIANO

LAOS MYANMAR BANGLADESH
RUANDA
SUD SUDAN TANZANIA
MADAGASCAR
NUOVA ZELANDA
INDONESIA
VIETNAM BRUNEI
TIMOR EST
TONGA

cratica del Congo compiuta nel 2023, il papa si scagliò da Kinshasa contro gli imperialismi contemporanei, fautori di «un colonialismo economico altrettanto schiavizzante», squarciando: «basta soffocare l’Africa: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare»23.

Nel viaggio compiuto lo scorso anno tra Indonesia, Timor Est, Singapore e Papua Nuova Guinea, Francesco parlò alla folla raccolta nell’immensa Moschea di Istiqlal di Giacarta, la più grande del Sud-Est asiatico nel paese musulmano più popoloso al mondo, prima di percorrere il sottopassaggio che la collega con la vicina cattedrale cristiana, noto come “tunnel dell’amicizia”24. Un momento altamente rappresentativo del pontificato di Bergoglio, il cui obiettivo prioritario era puntare lo sguardo verso Oriente. Come ricordato da padre Antonio Spadaro, funzionario della Santa Sede e stretto consigliere del pontefice: «il papa è interessato alla vivacità dei cattolici. L’Asia rappresenta il futuro del mondo»25.

Francesco sognava una riconfigurazione ecclesiale e geopolitica di portata globale. Progetto dall’alta valenza strategica, gemmato dalla convinzione fosse necessario svincolarsi dal declinante Occidente onde scongiurare la disintegrazione. Attuando un cambio di rotazione dell’asse portante vaticano da Nord-Ovest a Sud-Est, indicato pla-

23/ A. MASOTTI, «Il Papa: basta soffocare l’Africa, non è una terra da sfruttare o saccheggiare», Vatican News, 20/9/23.

24/ P. SCHIAVAZZI, «Dodici anni in dodici giorni. Il viaggio asiatico di papa Francesco è la sintesi geopolitica dell’intero pontificato», HuffPost, 13/9/24.

25/ C. LAMB, «Pope Francis starts his longest trip yet as Catholic Church pivots to Asia», Cnn, 3/9/24.

sticamente dalla redistribuzione cardinalizia e dalla decentralizzazione dei luoghi di formazione della classe dirigente.

Con molti esponenti del porporato istruiti lontano da Roma, portatori di convinzioni e istanze figlie di un sostanziale ibridismo culturale.

Ecco spiegata l’urgenza di puntare all’Asia e all’Africa, delineando una traiettoria in grado di accompagnare la Santa Sede in un contesto multipolare incardinato nelle periferie del pianeta. Distillando una retorica apostolica squisitamente terzomondista per superare l’immagine negativa del cristianesimo, percepito come una religione estranea, connessa al colonialismo occidentale, e per assecondare il sentimento delle popolazioni indopacifiche e subsahariane, principali destinatarie della nuova visione pontificia26.

Efficace la riflessione di Bergoglio: «nel pensare alla Chiesa siamo ancora troppo eurocentrici, o, come si dice, occidentali. In realtà, la Chiesa è molto più grande di Roma, dell’Europa, molto più grande e molto più viva»27.

Da qui la tattica concentrica sapientemente elaborata dagli apparati pietrini guidati dal papa argentino nel perseguire una sorta di perno asiatico in salsa vaticana, puntellando di basi cardinalizie il Sud-Est asiatico anche per corteggiare la Repubblica Popolare Cinese. Con cui il 22 settembre 2018 la Santa Sede ha stipulato un’intesa sulle investiture28. A certificare quanto comunicato dal cardinale thailandese Francis Kovithavanij:

26/ E. MORELLI, «La scommessa asiatica di Francesco», Domino, n. 12, 2024, pp. 34-43.

27/ A. SANFRANCESCO, «Siamo troppo eurocentrici, la Chiesa cresce ed è molto più viva in Asia e Oceania», Famiglia Cristiana, 18/9/24.

28/ Comunicato circa la firma di un Accordo Provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese sulla nomina dei Vescovi, Bollettino della Santa Sede, 22/9/18.

I. Leone XIV che guarda il mondo

Leone potrebbe agire in continuità con il predecessore ma con minore apertura sulle questioni dottrinali

«la Chiesa del futuro sarà sempre più asiatica e meno europea»29.

L’eredità geopolitica di Francesco è destinata a plasmare la forma mentis del prossimo vicario di Cristo, lo statunitense Robert Francis Prevost, perché parte integrante della strategia del Vaticano.

La cui vitalità dipende dalla capacità di accrescere il numero dei fedeli appartenenti a collettività più giovani e prolifiche. Priorità ritenuta esistenziale per tutelarsi dal declino sociale, religioso e valoriale dell’Occidente europeo, ma anche per arginare l’esuberante ascesa in America

Latina delle sette evangeliche legate al protestantesimo di matrice statunitense.

A occuparsene sarà il nuovo papa, assurto al soglio pontificio con il nome di Leone XIV, agostiniano a lungo missionario in Perù di cui possiede la cittadinanza.

Formato nella teologia dei poveri, avrà il compito d’’assumere una postura moderata, operando sapientemente per ricucire le spaccature intestine di una Chiesa lacerata nelle fondamenta da una tempestosa crisi interna. Vincere fingendo di sedarlo lo scontro con Washington, trasformatosi sotto il pontificato di Francesco in una sorta di moderna lotta per le investiture, schierandosi nettamente contro la xenofoba politica anti-migratoria della Casa Bianca30.

29/ F. GIANSOLDATI, «Il cardinale della Thailandia Kovithavanji: “La Chiesa del futuro sarà sempre più asiatica e meno europea, ha ragione Papa Francesco”», Il Messaggero, 3/9/23.

30/ L. LERER, «The Pope Appears Uneasy With Trump Immigration Policies», The New York Times, 9/5/25.

Sanare il contenzioso con le diocesi germaniche sull’intrapreso cammino sinodale, scongiurando un epocale scisma nel mondo cattolico da parte dell’ultraliberale clero tedesco31. Riscoprire l’enciclica più celebre di Leone XIII, la Rerum Novarum, promulgata nel 1891, contenente la filosofia economico-sociale cristiana in risposta al movimento operaio e alle battaglie sindacali dei lavoratori.

Sul piano etico-dottrinale, Prevost dovrà decidere se procedere sul sentiero progressista inaugurato da Bergoglio oppure se ammorbidire i toni, rinnegandone parzialmente il pensiero, per ritornare a una morale più conservatrice su famiglia, ideologia gender, comunità lgbtq+32. Da qui l’obiettivo di proseguire in relativa continuità con il percorso geopolitico tracciato dal predecessore, con particolare attenzione alle questioni sociali, economiche, ambientali, ma mostrando intransigenza su temi quali aborto, eutanasia, omosessualità, maternità surrogata. Leone XIV potrebbe conservare la saldezza sui principi adottando un atteggiamento equilibrato e conciliante per guadagnare i favori della Curia, bilanciando al contempo le esigenze tradizionaliste e le spinte di rinnovamento, possibilmente senza perdere consensi nella Chiesa-mondo disegnata da Francesco.

31/ B. MUSTER, «Pope Francis has lost control of his liberal revolution», Politico, 24/6/24.

32/ M. RICH, «There’s Never Been a Pope from the U.S. Could This Cardinal Change That?»,  The New York Times, 9/5/25.

Nelle puntate precedenti | Vaticano, Stati Uniti e altre potenze

Papa statunitense ma lontano da Donald Trump, Leone XIV sarà giudicato anzitutto per il suo rapporto con gli Stati Uniti, probabilmente cordiale in apparenza ma assai complicato dietro le quinte (forse non solo). Mentre resta da confermare l’intenzione che fu dei suoi predecessori di instaurare un duraturo rapporto con la Russia, magari anche recandosi a Mosca – proposito sempre difficile da centrare. E la volontà di collaborare con i mandarini della Repubblica Popolare per tutelare i cattolici locali, più o meno perseguitati, possibilmente senza subire gravi umiliazioni come capitato di recente.

II. Vaticano, Stati Uniti e altre potenze

Il Figlio dell’Uomo

Virgilio Ilari
storico militare

—La folla in piazza San Pietro ha accolto male Leone XIV perché statunitense e, ancora peggio, egalitario in ambito economico-sociale. Sempre attuale è l’ateismo cristiano

Nel 1959, da poco trasferito da Trastevere a Monteverde Nuovo e non ancora boy scout del Reparto Asci Roma X (squadriglia Cervi) a San Pancrazio, frequentai brevemente il cinemetto parrocchiale di Donna Olimpia.

Era accanto alla Chiesa, dirimpetto ai Grattacieli con la Casa già del Fascio poi del Popolo, all’angolo con via Fonteiana, trecento metri sotto la casa dove poi appresi che Pier Paolo Pasolini aveva appena finito di scrivere Una Vita Violenta. Fu lì che vidi Il Figlio dell’Uomo, un film sul pecca-

“figlio dell’Uomo” è appunto il titolo con cui – secondo i Vangeli – Gesù indicava sé stesso1.

Naturalmente ignoravo che François Mauriac aveva appena intitolato in quel modo (Le Fils de l’Homme) una denuncia delle colpe dei cristiani e delle torture francesi in Algeria2. Ma, precocemente politicizzato da mio padre conservatore e tradizionalista e dalla sua critica al Papa Buono Giovanni XXIII e al cattolicesimo sociale, il titolo del film mi pareva subdolamente “conciliarista” e “aperturista”.

Modernissima l’accusa pagana di ateismo nei confronti dei cristiani

to di Adamo e la redenzione di Gesù prodotto e diretto da Virgilio Sabel, con musiche di Renzo Rossellini, girato a Peschici e Rodi Garganico nel 1954 con attori presi dalle campagne pugliesi.

Grazie al parroco don Ottavio Petroni, che era pure insegnante di religione all’adiacente scuola media Trilussa, avevo vinto il premio Diocesano di religione, ricavandone una vecchia copia della Geografia di Hendrik Willem Van Loon tradotta da Rinaldo Caddeo (1939) e il meritato disprezzo dei compagni di classe per il baciapile quattrocchi che abbindolava i professori (tranne quelli di matematica e ginnastica).

Avrei dunque dovuto sapere che

Tutti i torti, però, non ce li avevo, perché l’umanità di Gesù è sempre stata la porta di tutti i “modernismi” e di tutti gli “aggiornamenti” che – attraverso la teologia della speranza, della liberazione, della morte di Dio – conducono fatalmente all’ateismo cristiano che separa le opere dalla fede. Da sempre praticato, ma oggi professato apertamente da buona parte del clero protestante e perfino di quello cattolico.

Ma non si tratta solo dell’ateismo cristiano progressista, certo dei fini

1/ G. D e Rosa , «Il ritratto di Gesù nel Vangelo di Marco», La Civiltà Cattolica, Quaderno 3686, 2004, I, pp. 155.

2/ F. M au R iac, Le fils de l’Homme, Grasset, Paris 1958.

Virgilio Ilari

e della direzione della storia, che ho visto nella naturale evoluzione culturale del mio stesso clan familiare e riconosciuto nelle memorie di un amico comunista3. C’è pure l’ateismo devoto, tridentino, tradizionalista, basato sul compromesso e l’omertà, dove finitezza, fragilità e necessità della condizione umana e della ragion di Stato finiscono per giustificare tutto. Questo lo conosco meglio perché è sempre stato il mio, fin da un tema alle medie in cui ammiravo Ponzio Pilato non solo per il suo sagace governo della crisi, ma anche per la coraggiosa collaborazione al piano salvifico senza dar retta agli asseriti piagnistei della moglie, visto

sta storia dell’umanità (e storicità) di Gesù continuava a sollecitarmi, anche attraverso i testi di don Gianni Baget-Bozzo sulla divino-umanità (teandria) di Cristo e sulla Trinità, da cui pretendevo le certezze e chiarezze che lo stesso autore (a suo merito) non aveva - una volta lo vidi prostrato da quel che chiamava “le contro-evidenze”. E quanto più ero deluso da Thomas Merton, Teilhard de Chardin, Mario Pomilio e tutta la sfilza di mistici, esistenzialisti e intellettuali del cristianesimo, tanto più mi addentravo nei meandri della storia e della divulgazione scientifica e nella selva oscura delle letture niccian-junghiane.

La folla in Piazza San Pietro per i conclavi è in netta maggioranza “progressista”

che senza la crocifissione non ci sarebbe stata la redenzione. Le due o tre volte che mi è capitato di incontrarlo, l’onorevole Maurizio Gasparri non ha mai mancato di ricordarmi di aver passato l’esame di storia del diritto romano nel gruppo di studio sul processo a Gesù che avevo guidato nel mio primo anno di assistente. Subito dopo averlo doverosamente ricondannato a morte, me ne lavai le mani, accordandomi trent’anni di comodo agnosticismo, confortato dalla pretesa che Dio dovesse continuare ad aver fede in me visto che io non ne avevo più in lui (un sofisma che spacciavo pure per “timor di Dio”).

Eppure di quando in quando que -

3/ V i la R i , Introduzione a Elio Susani, Quarant’anni dopo. Memorie di piombo, caffè e sigarette, Tab edizioni, Roma 2021.

Da bambino mio padre mi portava con sé alle lezioni tomiste (e anticomuniste) di padre Toccafondi4. La sua generazione è stata l’ultima, almeno in Italia, a porsi il problema della conciliazione tra fede e scienza. Dopo la celebre prolusione di Pio XII alla Pontificia Accademia delle scienze e l’ammonimento di padre Lemaître a non “sovrapporre” cosmologia e Sacre Scritture5, la Chiesa cattolica ha quietamente eluso non solo il principio di concordanza tra natura e scrittura, ma pure quello

4/ A. i nnocenti P eR iccioli , Giorni belli e difficili: l’avventura di un comunista, Jaca Book, Milano 2001, p. 254.

5/ G. tanzella- n itti , «Il papa e il Big-Bang. Il caso Pio XII-Lemaître (1951-1952) a proposito del rapporto fra cosmologia e creazione», Pontificia Università Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede (DISF), maggio 2016.

II. Vaticano, Stati Uniti e altre potenze

di coerenza tra fede e scienza accomodandosi sul doppio registro (uno allegorico per la domenica e uno pratico per i giorni feriali).

Non a caso una difficile frase paolina (logikē latreia, Rom. 12, 1), un tempo tradotta ‘culto ragionevole’ (rationabile obsequium), oggi viene resa con ‘culto spirituale’6.

Il tratto distintivo della tradizione cattolica resta il razionalismo, ma in caso d’imbarazzo può servire un pizzico di ortodossia (la sapienza frutto dello stupore7).

le del nostro cammino nel tempo e del bisogno irriducibile di un obsequium secundum intellectum. Storia e scienza consentono di recitare sinceramente tutte le preghiere, ma non il Credo. D’accordo: se quelle professioni di fede seccano la lingua e paralizzano le labbra, se si esita a ricevere il corpo e il sangue di Cristo, non è per coerenza e rispetto ma solo per stolta superbia o sofisma sornione.

Il vero bivio tra fede e scienza fu il secondo processo a Galileo, dove (secondo la reinterpretazione di Pietro Redondi8) il punto non era più l’eliocentrismo copernicano (del resto non ancora realmente condannato), ma il fondamento razionale dell’Eucarestia cattolica: perché le tesi del Saggiatore (1623) sulla natura atomica della materia minavano la reale transustanziazione del pane e del vino nel vero corpo e vero sangue di Cristo, dando ragione alla tesi protestante del significato meramente simbolico o commemorativo della Cena del Signore. Obiezione all’epoca talmente grave da dover essere sottaciuta, e di cui oggi possiamo cogliere l’implicazione geopolitica, ma non più quella dottrinale.

Ma tacere la discordanza tra fede e scienza è forse peggio che rifiutare la scienza, come fa, ad esempio, il creazionismo dei fondamentalisti. In entrambi i casi significa rendere irrilevante il bivio, rifiutarsi di leggerlo umilmente, come “segno” spiritua-

6/ Benedetto XVI, «Il culto spirituale», Udienza Generale, Aula Paolo VI, 7/1/2009.

7/ San Gregorio di Nissa, De Vita Moysis: PG 44,377B. Mons. Basilio P et R à , «Solo lo stupore conosce», diocesifirenze.it

8/ P. R eD on D i , Galileo eretico, Einaudi, Torino 1983.

Ma accettare di leggere il bivio come segno è anche prendere coscienza che la rivelazione storica, scientifica e psicologica non contraddice ma rovescia la rivelazione scritturale.

Ci dice che, nella nostra prospettiva, tutto quel che possiamo sinceramente affermare di credere è che è stato l’Uomo ad aver creato Dio a sua immagine e somiglianza. E (se abbiamo il coraggio di capirla fino in fondo), questa rivelazione solo storica e scientifica aggiunge che la creazione umana di Dio è altrettanto reale, operante, onnipotente e responsabilizzante della creazione divina dell’Uomo.

Forse non a caso è solo da due secoli che teologia ed esegesi biblica dibattono seriamente il significato che l’appellativo generico “Figlio dell’Uomo” assume nei Vangeli, dove ricorre 80 volte9

Di sicuro c’è solo che questo è l’unico titolo che Gesù si attribuisce e da cui fa derivare il potere di rimettere i peccati (Mc 2, 10-11; Gv, 5, 27), disporre del sabato (Mc 2, 27-28) e difendere dal male (Gv. 3, 14), ma anche il presagio della necessaria sofferenza (Mc 8, 31) e del trionfo escatologico (Mc 8, 38).

Certo, sulla croce Gesù invoca il Padre celeste e nei Vangeli è pure

9/ D. R. B u R kett, The Son of Man Debate: A History and Evaluation, Cambridge University Press, Cambridge 2004.

Virgilio Ilari

ripetutamente acclamato e proclamato “Figlio di Dio”, ma quel titolo (Divi Filius) era inciso sulle monete di Augusto, che tale si proclamava in quanto figlio adottivo di Giulio Cesare, il primo romano a essere divinizzato dopo morto con formale senatoconsulto del 42 a. C., come fu poi per quasi tutti i suoi successori.

E se si accetta la datazione del Libro delle Parabole (dove il Messia è detto Figlio dell’Uomo) al 30 a. C., è suggestiva la concomitanza con questa laboriosa recezione romana dell’apoteosi10.

Va detto che il Libro delle Parabole (1 Enoch) è un testo apocrifo di origine giudaica, di cui conosciamo una versione databile al I secolo a. C. ma in una lingua etiopica, e l’espressione Figlio di Dio (1 Enoch, 37-70, costruita su Daniele 7, 13) potrebbe essere un’interpolazione cristiana. Fondatissima e attualissima fu poi l’accusa pagana di ateismo nei confronti dei cristiani.

Guardiamoli i nostri guru televisivi che pontificano al posto dei papi e i nostri senati fittizi che ingannano il loro inutile tempo con incessanti apoteosi idolatre: natura, scienza, principi etico-politici, categorie sociali, memoria, finanza, superstar defunte e viventi. E pure Gesù Cristo, purché Superstar e Son of God, come recita il titolo di un kolossal americano del 2014 estrapolato da una serie televisiva sulla Bibbia.

Invece ‘Figlio dell’uomo’ è oggi solo un quadro surreale di Magritte (1964) e una canzone di Phil Collins per la colonna sonora di un cartone animato della Disney sull’infanzia di Tarzan fra i gorilla (1999).

C’è una “bonissima giustizzia”, come si dice a Roma, che dopo aver

proclamato la fine della storia e abiurato le radici cristiano-giudaiche i tribunali internazionali vietino ai nostri super Sons of God di «rimettere i debiti», e che la nostra pace consista in una forever war contro la storia.

Magari ogni morte di papa, ci sono però, per fortuna, le ‘Giornate dell’Ipocrisia’, quelle in cui il vizio omaggia sbrigativamente la virtù. Sono quelle in cui – tra i selfie, le sedie spostate e i confabulari asseritamente rubati dai fotografi – a volte arrivano le parole attese.

«Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!» (1978). «La pace sia con voi!» (2025). Sociologia e teologia constatano l’irrilevanza, la divisione, la fine della Chiesa e spiegano la sua espansione in Asia e Africa e perfino la scandalosa ricattolicizzazione dei giovani occidentali come effetto collaterale del popul-nazionalismo identitario unto via social dai troll dell’autocrazia e dell’oscurantismo.

Pure Garibaldi, alla faccia di Pio IX, battezzava in nome dell’umanità, ma l’unica istituzione investita del potere di rimettere i debiti altrui e dell’autorità di confessare i propri è il Vescovo Vicario di Cristo e perciò unico legittimo successore dei Cesari. Il 12 marzo 2000, la Giornata del Perdono, mi parve la più alta proclamazione dell’autorità della Chiesa universale sulla storia, ascoltando Giovanni Paolo II confessare le colpe passate e presenti dei credenti e perdonare quelle commesse da altri nei loro confronti11.

Ed è segno di speranza che il primo gesto di Leone XIV sia stato di impartire l’indulgenza plenaria, proprio alla vigilia della nuova Norimberga per Vladimir Putin applaudita

10/ A. M o M igliano, «How Roman Emperors Became Gods», American Scholar, 55/2, 1986, pp. 181-93.

11/ La Santa Sede, Omelia di Giovanni Paolo II, Santa Messa per la Giornata del Perdono dell’Anno Santo 2000, 12/3/2000.

II. Vaticano, Stati Uniti e altre potenze

Preoccupa il riferimento alla Rerum
Novarum, ai diritti sociali e collettivi, forse addirittura politici?

dal consiglio d’Europa su richiesta di Volodymir Zelensky, del rientro di Donald Trump nella coalizione occidentale a sostegno dell’Ucraina in cambio del sospirato deal finanziario e dell’ultimatum congiunto alla Russia che ricorda l’Halt in Belgrad Ovvero, l’irricevibile proposta formulata il 27 luglio 1914 da Guglielmo II all’Austria di fermare a Belgrado la spedizione punitiva contro la Serbia che non poté arrestare la corsa fatale all’internazionalizzazione del conflitto. Come segna la più drammatica escalation nel conflitto mondiale innescato nel 2008-2014, soprattutto perché simultanea all’aperta sfida alla sovranità cinese su Taiwan annunciata dalla svolta geopolitica in corso a Taipei e taciuta dai nostri media.

La folla che si addensa a Piazza San Pietro in occasione dei conclavi è in netta maggioranza “progressista”, come si rese manifesto nel disappunto all’elezione di papa Ratzinger (2005) e in quello iniziale all’annuncio dell’elezione di un ignoto cardi-

nale “americano”, perciò supposto emissario di Trump.

La continuità col papa che sembrò accogliere il magistero del liberalismo compassionevole sui diversi e gli immigrati è la cifra che condiziona la residua e accigliata adesione dei credenti laicisti alla Chiesa cattolica.

I post di condanna dei rimpatri trumpiani, l’ascendenza creolo-francese, la formazione agostiniana, il servizio ventennale in Perù, e la selezione dei nuovi cardinali attribuitagli da papa Bergoglio non hanno rassicurato gli esegeti più acuti di Leone XIV: preoccupa la scelta del nome, quel riferimento alla Rerum Novarum che sembra insinuare un sinistro primato dei diritti sociali e collettivi (forse addirittura politici!) sui diritti individuali. Proprio mentre l’establishment continentale ventila l’espulsione di Budapest e Bratislava dall’Unione Europea, il cambio di regime in Serbia e il se non la messa fuori legge delle vincenti formazioni populiste in Francia, Germania, Romania e Gran Bretagna.

Dai due papi in Vaticano ai due papi statunitensi

Lorenzo Maria Ricci analista geopolitico

—Ufficialmente eletto perché la Chiesa si riconcili con Washington, Prevost è chiamato a inibire le tendenze costantiniane di Trump. Presagio di tempesta

La mattina del Lunedì dell’Angelo si è aperto un fronte cruciale per la legittimazione domestica e internazionale dell’America trumpiana. La morte di Francesco ha schiuso nuovi scenari, proprio mentre l’amministrazione trumpiana stava concentrando gli sforzi su Pechino, Mosca e Teheran.

Eppure la dipartita del pontefice rappresenta un’opportunità per provare a recuperare un rapporto logoratosi nell’ultimo decennio. Uno scadimento che non si limita alle relazioni istituzionali, ma che interessa anche il vincolo tra i credenti americani e il successore di Pietro.

Pensare che all’inizio il pontificato di Bergoglio era stato salutato come preludio di una nuova era all’insegna della collaborazione tra Washington e Santa Sede. Doveva esserne una dimostrazione il voto dei cardinali statunitensi, unanimi nel sostenere il porporato argentino1.

Interpretazione fondata anche sulle affinità di vedute dell’ex arcivescovo di Buenos Aires e di Barack Obama, all’epoca inquilino della Casa Bianca. Una concordia puramente personale, che trascurava le caratteristiche strutturali di due imperi culturalmente agli antipodi.

Da un lato, la Chiesa di Roma, istituzione bimillenaria caratterizzata da una missione universale con oltre 1,4 miliardi di fedeli. Dall’altro, gli Stati

1/ M. A. CALABRÒ, «Bergoglio, l’accordo che ha portato oltre 90 voti», Corriere della Sera, 15/3/13.

Uniti d’America, una collettività forgiata dal ripudio della società europea del XVII/XVIII secolo, convinta di redimere il mondo tramite ideali di ispirazione calvinista. In breve, due soggetti geopolitici intrinsecamente antagonisti.

Solo l’espansione del marxismo poteva riuscire nell’impresa di avvicinare questi due attori globali. Nel secondo dopoguerra, le tensioni con l’Unione Sovietica favorirono una convergenza tattica tra la superpotenza e il Vaticano, con quest’ultimo nel ruolo di socio di minoranza.

Funzione ancillare che vide due massimi interpreti in Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, preoccupati dalla diffusione di correnti cristiano marxiste (leggasi teologia della liberazione) in America Latina.

Ma tale allineamento non poteva durare in eterno. Dopo la fine della guerra fredda, i due pontefici ebbero modo di attaccare i costumi post-storici dell’Occidente. Piccola anteprima del papato di Jorge Mario Bergoglio.

Già nel 2015, il discorso del vescovo di Roma presso il Campidoglio d’oltreoceano doveva essere un indizio della svolta in fieri. Nonostante gli elogi di circostanza, il Santo Padre non esitò a criticare il canone culturale della Quarta Roma innanzi agli estasiati legislatori, incapaci di comprendere la portata dell’intervento2. Era solo l’inizio. La prima vittoria elettorale di

2/ P. BAKER & J. YARDLEY, «Pope Francis, in Congress, pleads for unity on world’s woes», The New York Times, 24/9/15.

Lorenzo Maria Ricci

Trump costrinse il gesuita a confrontarsi con la rabbia e il massimalismo dell’America profonda. Sentimenti inconciliabili con la missione universale della Chiesa, che tramite Francesco intendeva dismettere i panni di guida spirituale del solo Occidente per abbracciare l’intera ecumene. Questa sì, vera e propria rivoluzione copernicana per affrancare il soglio pontificio dall’asfissiante abbraccio di Washington.

Di qui la dura battaglia lanciata dal papa argentino contro la linea adot-

2028, malgrado le molteplici violazioni commesse dall’impero di mezzo4 Non meno sorprendente la posizione assunta dal successore di Pietro in relazione al conflitto russo-ucraino. Pur condannando l’aggressione moscovita, il Santo Padre ha condiviso le sue riflessioni sull’invasione, interrogandosi se «l’abbaiare della Nato alla porta della Russia» avesse provocato o facilitato una reazione così brutale5.

Scelte controverse ma necessarie per dare sostanza a una Chiesa finalmente post-occidentale, con l’obiettivo di

Pensare che il pontificato di Bergoglio fu salutato all’insegna della collaborazione con Washington

tata dall’amministrazione trumpiana. Nel 2016 arrivò a definire il newyorkese «non cristiano» per il progetto di costruire un enorme muro lungo la frontiera con il Messico3. Mossa dettata dalla necessità di affermarsi come protettore delle masse latinoamericane, insidiate dalle sette evangeliche di provenienza statunitense.

Nello stesso periodo il pontefice ha archiviato la narrazione filoccidentale che aveva caratterizzato la Chiesa di Roma negli anni precedenti. Così si spiega l’apertura a Pechino, principale rivale degli Stati Uniti. Una manovra concepita per distendere le relazioni con la Repubblica Popolare e tutelare i fedeli cinesi. Intuizione premiata dall’accordo sulla nomina dei vescovi siglato con il regime comunista nel 2018, poi rinnovato fino al

3/ D. BURKE, «Pope suggests Trump ‘is not Christian’», Cnn, 18/2/16.

rendersi credibile agli occhi dei paesi del Mondo Contro (africani e asiatici in testa).

Gli strali della superpotenza non hanno tardato ad arrivare durante il primo mandato trumpiano. Nel 2020 Mike Pompeo, al tempo segretario di Stato, disapprovò con un articolo l’operato della Chiesa per l’imminente rinnovo dell’accordo con la Cina. Un precedente che non fu dimenticato oltretevere, con Francesco che rifiutò di incontrare l’italoamericano durante un suo viaggio a Roma6.

Il clivage tra Santa Sede e America non ha fatto che crescere anche con

4/ «Despite the death of Pope Francis, auxiliary bishop elected in Shanghai», AsiaNews, 29/4/25.

5/ L. FONTANA, «Intervista a Papa Francesco: “Putin non si ferma, voglio incontrarlo a Mosca. Ora non vado a Kiev” », Corriere della Sera, 3/5/22

6/ J. HOROWITZ & L. JAKES, «Rebuffed by Vatican, Pompeo assails China and aligns with Pope’s critics», The New York Times, 30/9/20.

II. Vaticano, Stati Uniti e altre potenze

l’elezione del secondo presidente cattolico del paese. La buona intesa tra Joe Biden e il pontefice non ha assicurato un ritorno all’idillio dei tempi di Wojtyła e Ratzinger. La virata universalista voluta da Bergoglio allontanava irrimediabilmente il Vaticano dalla «città sulla collina». Sul finire del mandato bideniano, il papa porteño affermava senza remore che: «nel pensare alla Chiesa siamo ancora troppo eurocentrici, o, come si dice, ‘occidentali’. In realtà, la Chiesa è molto più grande di Roma, d’Europa, è molto più grande, e anche, mi permetto di dire, molto più viva»7. Di più, nel corso della campagna elettorale per le presidenziali del novembre 2024, Francesco ha criticato entrambi i candidati per le loro posizioni «contro la vita»8. Non sorprende che la rielezione del cantore del «risorgimento americano» abbia aperto una nuova fase di confronto con Roma. Di fronte alle deportazioni di massa perseguite dall’amministrazione Trump, Francesco ha denunciato il trattamento riservato agli immigrati e le relative motivazioni teologiche impiegate dal vicepresidente per giustificarlo9. Critiche dal profondo significato geopolitico, visto che più di un terzo dell’esecutivo si definisce cattolico, incluso James Vance, ultimo rappresentante di un governo straniero a vedere in vita Bergoglio10. Epperò, la fede religiosa non ha scalfito le convinzioni degli alti funzionari governativi. Il cattolico Tom Homan, direttore dell’agenzia delle Dogane deputato alla sicurezza

7/ «Il Papa, siamo troppo eurocentrici, la Chiesa è più grande», Ansa, 18/9/24.

8/ E. BUBOLA & E. POVOLEDO, «Pope says both Trump and Harris are ‘Against Life’», The New York Times, 13/9/24.

9/N. WINFIELD, «Pope rebukes Trump administration over immigrant deportations and appears to aim directly at Vance», Associated Press, 12/2/25.

10/ C. HENDERSON, «‘Religion is so back’: The conservatives making Catholicism great again», The Telegraph, 25/4/25.

del confine nazionale, ha esortato il pontefice a occuparsi solo dei problemi della Chiesa, lasciando a loro la gestione della frontiera11. Un’ostilità nei confronti della linea progressista del vescovo di Roma che non si limita ai vertici dello Stato.

Il conservatorismo del clero e dei credenti è una tendenza ormai consolidata in seno alla comunità cattolica. Segmento della popolazione un tempo ai margini della società americana.

Lo sviluppo dell’Ecclesia all’interno degli Stati Uniti è storia di marginalizzazione e sofferenza. Ma è bene evidenziare che i primi insediamenti europei sull’attuale territorio dell’Unione sono ascrivibili alla Corona spagnola. Nel 1565, fu fondata St. Augustine in Florida, dove cinquantacinque anni più tardi fu costruito il primo santuario mariano del Nord America. Tuttavia, il contributo civilizzatore dell’impero iberico è stato volutamente trascurato dalla pedagogia nazionale, incentrata sulla storia delle colonie della monarchia britannica. Queste ultime erano abitate in maggioranza da ferventi puritani, in fuga dalle persecuzioni del Vecchio Continente.

Un sostrato culturale essenziale per comprendere l’eccezionalismo statunitense, imperniato sulla certezza di rappresentare una società moralmente superiore al mondo europeo, corrotto dall’immoralità della Chiesa. La parabola del Maryland, unica colonia originariamente cattolica, offre un perfetto esempio dell’antipapismo viscerale dei primi coloni. Malgrado la tolleranza religiosa vigente nel possedimento inglese, le violente rivolte dei calvinisti finirono per trasformare

11/ «Pope told to ‘stick to Church’ after Trump migrant critique», France24, 11/2/25.

Lorenzo Maria Ricci

il cattolicesimo in una confessione minoritaria e perseguitata12

Non stupisce che al momento della dichiarazione di indipendenza (1776) solo l’1% della popolazione si dichiarasse fedele al vescovo di Roma. La componente cattolica crebbe leggermente con l’espansione verso ovest. Grazie all’acquisto di Louisiana e Florida (rispettivamente 1803 e 1819), nonché alla vittoria nella guerra messicano-statunitense (1846-1848), Washington entrò in possesso di regioni abitate da comunità francofone e ispanofone di credo cattolico. In particolare, furono i mexicoestadounidenses dell’attuale Sud-ovest a soffrire le vessazioni degli anglosassoni, che non esitarono a privarli delle loro proprietà e a calpestarne i luoghi di culto13.

Altrettanto ostile fu l’accoglienza riservata ai milioni di immigrati europei che raggiunsero il Nord America a partire dalla metà del XIX secolo. Irlandesi e tedeschi fecero da apripista, anticipando italiani, polacchi e altri europei centrorientali. Una marea cattolica che scatenò la reazione xenofoba della maggioranza protestante. Già intorno al 1850, l’innato sentimento anticattolico degli statunitensi diede vita al movimento nativista, raccogliendo un notevole sostegno nel New England.

Intolleranza che non si limitò all’arena politica, sfociando spesso in atti persecutori ai danni degli immigrati cattolici. A destare sospetti era anche l’influenza esercitata dalla Chiesa tramite i suoi istituti educativi, visti come quinte colonne capaci di sovvertire il puritanesimo della «città sulla collina». Tale percezione collettiva rimase prevalente almeno fino alla prima

metà del XX secolo. Il nativismo conobbe nuova linfa vitale tra il primo dopoguerra e la grande depressione, complice l’ingresso in massa di esuli messicani dal confine meridionale. A beneficiare della situazione fu il Ku Klux Klan che si erse ad alfiere del movimento anticattolico. L’organizzazione era stata ricostituita nel 1915 per divenire un riferimento per l’intero territorio nazionale. Una diffusa avversione che giocò un ruolo fondamentale alle presidenziali del 1928. Il primo candidato cattolico della storia, Al Smith, subì una dura sconfitta anche a causa della propaganda nativista, che lo presentò come un agente “papista”14.

L’atteggiamento di Washington verso il cattolicesimo mutò solo per il crescente peso demografico dei credenti e la loro graduale assimilazione, accelerata dal reclutamento per le due guerre mondiali.

Elementi non più aggirabili se si pensa che, nel secondo dopoguerra, il 25% dei cittadini statunitensi si identificava con la Chiesa di Roma15. A vantaggio dei fedeli subentrò anche la narrazione anticomunista adottata per la rivalità con l’Unione Sovietica. Congiuntura che favorì l’allineamento con la Santa Sede e l’esaltazione delle comuni radici giudaico-cristiane.

Eppure il pregiudizio anticattolico rimase fortemente radicato nella maggioranza protestante.

È emblematico su tale questione l’intervento di John F. Kennedy dinnanzi all’Associazione dei pastori luterani di Houston, nel settembre 1960. Consapevole dell’opinione maggioritaria tra i presenti, il candidato cattolico affrontò il tema di sua iniziativa,

12/ J. T. ELLIS, Documents of American catholic history, The Bruce Publishing Company, Milwaukee, 1962, pp. 114-116.

13/ D. J. WEBER, Foreigners in their Native Land, University of New México Press, Albuquerque, 1973, pp. 142-143.

14/ J. T. KEANE, «Al Smith and the first Catholic run at the White House», America Magazine, 18/2/18.

15/ F. NEWPORT, «5 Important Things to Know About U.S. Catholics», Gallup, 23/9/25.

II. Vaticano, Stati Uniti e altre potenze

sottolineando che da presidente mai sarebbe stato influenzato da pressioni esterne di natura religiosa16. La successiva vittoria del senatore di origine irlandese segnò un passaggio epocale, sancendo la sintesi di un processo storico. In nuce, la conciliazione del credo cattolico con i rigidi dettami della religione civile americana di stampo calvinista.

Da allora, i fedeli di Roma hanno accresciuto sensibilmente la propria partecipazione alla vita politica, sociale ed economica del paese. Forti dello spirito innovatore del Concilio vaticano II, i credenti contribuirono attivamente alle lotte sindacali e alle battaglie per i diritti civili.

Un’apertura ai valori della società

Ad ogni modo, la convergenza tra la maggioranza protestante e i cattolici di origine europea ha agevolato la genesi di un fenomeno inatteso. La frangia più conservatrice della comunità cattolica si è fatta capofila del nazionalismo cristiano, tradizionalmente circoscritto al mondo protestante.

Sebbene minoritario, tale gruppo è molto influente sia a livello istituzionale che all’interno della gerarchia ecclesiastica. Ne è una testimonianza non solo l’attuale esecutivo, ma anche la composizione della Corte Suprema, dove cinque dei nove giudici si dichiarano cattolici e conservatori18.

I prelati nordamericani non sono da meno. Stando agli ultimi sondaggi, più dell’80% dei sacerdoti ordinati dal 2020 si definisce tradizionalista. Una netta differenza rispetto al clero delle

La comunità cattolica si è fatta capofila del nazionalismo cristiano, tradizionalmente circoscritto al mondo protestante

statunitense che, negli ultimi cinquant’anni, ha portato la maggioranza dei cattolici ad avere un approccio più distaccato alla religione. Al punto che i protestanti anglotedeschi non percepiscono più una netta distinzione tra la loro fede e il credo dei “papisti”17.

Unica eccezione: i mexicoestadounidenses, portatori di un cattolicesimo identitario, nato dall’ibridazione tra la cultura iberica e quella indigena. Caratteristiche difficilmente amalgamabili con il canone dominante degli Stati Uniti, quindi, una minoranza invisa alle agenzie washingtoniane.

16/ «Transcript: JFK’s speech on his religion», National Public Radio, 5/12/07.

17/ «U.S. Protestants are not defined by Reformation-Era controversies 500 years later », Pew Research Center, 31/8/17.

generazioni precedenti, generalmente più liberale19.

Quest’onda conservatrice trova ampio riscontro nei vertici della Chiesa statunitense. Il cardinale Raymond Burke ne è massima espressione. Oppositore della riforma sinodale dell’Ecclesia, il porporato del Wisconsin non ha perso occasione di manifestare il proprio dissenso.

Opinioni che gli sono costate la revoca dei privilegi cardinalizi20. Altrettanto eclatante il caso di Joseph

18/ F. NEWPORT, «The religion of the Supreme Court Justices», Gallup, 8/4/22.

19/ R. GRAHAM, «America’s new Catholic priests: young, confident and conservative», The New York Times, 10/6/24.

20/ «Pope revokes privileges of conservative US cardinal critical of church’s reform», The Guardian, 29/11/23.

Lorenzo Maria Ricci

Strickland, fino al novembre 2023 vescovo di Tyler, Texas. L’alto prelato era divenuto una personalità mediatica per le sue posizioni, contestando i protocolli sanitari anti-Covid o mettendo in discussione l’integrità delle presidenziali del 2020. Fino alla rimozione del texano dalla sede vescovile a causa delle sue invettive contro Bergoglio, reo di minare il depositum fidei, gli insegnamenti centrali della dottrina cattolica. Una decisione significativa, considerato che tale pratica viene raramente adottata21.

Il pugno di ferro impiegato dal defunto papa è testimonianza della sua grande attenzione verso il dibattito interno alla Chiesa statunitense e dallo sdegno per i tradizionalisti, rimproverati più volte per aver sostituito la fede con l’ideologia. Scelta equiparata a un atteggiamento suicida22.

Malgrado la censura pontificia, l’ultraconservatorismo cattolico riscuote successo tra le giovani generazioni statunitensi. Un numero crescente e influente di fedeli ha individuato nella tradizione romano-cattolica il pilastro della cultura occidentale, messa in discussione dall’imperante secolarismo23. Una narrazione abilmente intercettata dall’agenda del Make America Great Again. Il 19 marzo l’associazione “Catholics for Catholics” ha organizzato un giorno di preghiera a supporto del presidente Trump. All’evento hanno partecipato più di cento prelati e varie personalità del conservatorismo cattolico, tra cui l’ex consigliere alla

21/ J. LIEDL, M. MCDONALD & S. MULLEN, «Searching for Answers: Why Was Bishop Joseph Strickland Removed? », National Catholic Register, 22/11/23.

22/ C. LAMB, «Pope Francis says his conservative critics in the church have a ‘suicidal attitude’», Cnn, 16/5/24.

23/ R. BRAUNSTEIN, «Catholic Christian nationalism is having a moment», National Catholic Reporter, 24/7/24.

Sicurezza nazionale, Michael Flynn24. Così l’amministrazione trumpiana si serve strumentalmente della retorica tradizionalista per legittimare il proprio programma politico tanto internamente che esternamente.

A livello domestico, l’esecutivo sfrutta l’appoggio dei cattolici ultraconservatori per giustificare la propria battaglia contro la burocrazia federale. Ai loro occhi, gli apparati washingtoniani sono responsabili d’aver attuato politiche progressiste contrarie allo spirito cristiano della nazione. Opinioni spesso propagate dai membri dell’entourage presidenziale, come ad esempio Steve Bannon. Autodefinitosi cattolico tradizionalista (nonostante tre divorzi alle spalle), il guru dell’alt-right è noto per le intemerate contro Bergoglio, auspicando addirittura lo scisma da Roma. Speranza che in realtà non rispecchia la volontà degli ultraconservatori, intenzionati a riformare la Chiesa dall’interno25.

Sul piano internazionale, invece, l’atteggiamento muscolare adottato dal governo trumpiano intende veicolare un’immagine di un’America forte, capace di imporsi unilateralmente sui rivali.

Una postura intrisa di isolazionismo che non vuole rinunciare al ruolo evocativo di guida dell’Occidente. Per questo il nostro vorrebbe un nuovo pontefice allineato con l’America del Maga, presentandosi ai tradizionalisti cattolici come nuovo Costantino26 Ipotesi che finirebbe per far perdere credibilità alla traiettoria geopolitica impressa da Francesco. Allo stesso

24/ T. ARNOLD, «Catholic clergy, laypeople to gather for prayer at Trump’s Mar-a-Lago», Catholic News Agency, 19/3/25.

25/ J. O. CONROY, « ‘Maga Catholics’ are gaining ground in the US. Now their sight is set on the Vatican», The Guardian, 28/4/25.

26/ M. FAGGIOLI, «What ‘America First’ means for Catholicism in the United States», La Croix, 27/3/25.

II. Vaticano, Stati Uniti e altre potenze

modo, però, la Chiesa di Roma non può permettersi di recidere i legami con Washington. Tale circostanza causerebbe l’ulteriore indebolimento del vincolo con i credenti nordamericani, lasciandoli alla mercè di una gerarchia ecclesiastica di osservanza trumpiana. Premessa scismatica che vedrebbe l’Ecclesia subire un netto ridimensionamento nell’emisfero occidentale, alla luce della concomitante offensiva protestante in America Latina. È qui che entra in gioco Robert Francis Prevost, eletto con il nome pontificale di Leone XIV.

L’elezione del primo papa statunitense è un evento epocale nella storia millenaria di Santa Romana Chiesa. Nella segretezza del conclave, i “principi del sangue” hanno scelto un profilo che possa fungere da ponte con la superpotenza. Non a caso, nel discorso inaugurale, il nuovo Santo Padre ha utilizzato l’espressione «costruire ponti», sottolineando l’importanza del dialogo per una «pace disarmata e disarmante»27.

Tale apertura si riscontra anche sui temi che hanno diviso il corpo ecclesiale sotto il pontificato di Bergoglio. Da una parte, il pontefice ha trasmesso un messaggio di continuità con il suo predecessore. Ne sono una testimonianza il ringraziamento a Francesco, il passaggio sulla Chiesa missionaria e sinodale, nonché la vicinanza manifestata verso i più bisognosi. Dall’altra, la decisione di indossare i paramenti tradizionali (mozzetta rossa e stola papale) riflette la volontà di recuperare i rapporti con i conservatori.

Un gesto apparentemente insignificante, ma che segnala una rottura

con lo stile più sobrio adottato dal papa porteño nella sua prima apparizione. Piccoli indizi che tracciano un disegno teso a restaurare l’unità della Chiesa, pur seguendo il percorso indicato dal predecessore.

Perché la nazionalità del successore di Pietro non lo rende automaticamente un agente del governo nordamericano. Il passato dell’agostiniano di Chicago dice altro. Prevost ha svolto gran parte della sua missione pastorale in Perù, un fronte caldo della guerra spirituale tra Stati Uniti e Santa Sede.

Come altri paesi dell’America Latina, lo Stato andino ha assistito a una crescita esponenziale delle denominazioni evangeliche, foraggiate direttamente da Washington. Secondo l’Instituto de Estudios Peruanos, il 22% della popolazione si dichiara di confessione protestante, quando nel 2000 gli evangelici si fermavano al 7,6%28. Un dato allarmante che il Vaticano dimostra di non voler ignorare, mettendo le Americhe nuovamente al centro della sua azione.

Elemento enfatizzato nel suo discorso da Leone XIV, rivolgendosi in spagnolo alla sua vecchia diocesi di Chiclayo, nel Perù nordoccidentale. Una posizione che conferma l’intenzione dell’Ecclesia di affermarsi come principale protettrice delle masse latinoamericane innanzi all’ingombrante influenza statunitense. Tema inevitabilmente connesso con la gestione dei flussi migratori lungo il confine con il Messico.

Stando ai tweet pubblicati su un profilo Twitter (ora X) riconducibile a Prevost, il nuovo papa ha sempre manifestato il proprio disappunto per le politiche condotte dall’amministrazione Trump.

27/ «Il testo integrale del primo discorso di papa Leone XIV», Corriere della Sera, 8/5/25.

28/ «Informe de opinión marzo 2024», Instituto de Estudios Peruanos, 24/3/24.

Lorenzo Maria Ricci

Leone XIV si concentrerà sulle

Americhe

per

riconquistare

i cattolici e arginare la marea evangelica

Sulla pagina è stato ricondiviso un articolo che confutava le argomentazioni teologiche (per ironia della sorte, ispirate dall’Ordo Amoris di Sant’Agostino) con cui James Vance giustificava le deportazioni degli “alieni”29. Esternazioni che denotano una visione agli antipodi rispetto all’America profonda, lasciando presagire venti di tempesta. Paradossalmente, o forse no, a guidare Santa Romana Chiesa sarà proprio un figlio dell’Illinois, parte di quel Midwest che in cinquant’anni di delocalizzazioni ha smesso di credere nell’American way of life. Una mossa dal grande significato geopolitico per riconquistare il cuore della comunità cattolica nordamericana, riducendo l’influenza degli ultraconservatori. Programma acrobatico che solo l’animo sud e nordamericano del pontefice può portare a compimento.

Rimane dibattuta, invece, la visione di Leone XIV relativamente alla Chiesa post-occidentale voluta da Francesco. Questo conclave potrebbe

29/ L. LERER, «The Pope appears uneasy with Trump immigration policies», The New York Times, 8/5/25.

aver sconfessato la scelta più audace dell’argentino in tale direzione: l’accordo con la Repubblica Popolare. La mancata elezione di Pietro Parolin, intimamente legato all’intesa con Pechino, potrebbe essere una bocciatura dell’intera iniziativa. D’altronde, non è certo un mistero che il patto sulla nomina dei vescovi sia fortemente criticato in seno al Vaticano30.

Perché apparentemente l’elezione di Prevost nasce dall’esigenza della Santa Sede di adottare un atteggiamento più conciliante con gli Stati Uniti. Ma non assisteremo a un allineamento sull’agenda del Maga, né tantomeno un ritorno all’idillio vissuto sotto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

Piuttosto, Leone XIV si concentrerà sulle Americhe per riconquistare i cattolici locali, tutelare le masse mesoamericane e arginare la marea evangelica nel sud del continente. Fronti che promettono nuove (vecchie) tensioni con la patria d’origine.

30/ J. KING, «Next Pope update: frontrunner under scrutiny over resurfaced China Deal», Newsweek, 5/5/25.

II. Vaticano, Stati Uniti e altre potenze

I cosacchi vogliono rimanere a San Pietro

Pietro Figuera analista geopolitico e cultore di storia russa

—Per conservare il privilegiato rapporto con la Santa Sede, Mosca spera nella continuità geopolitica tra Leone e Francesco. E nella distanza tra Prevost e Trump

Olga Lyubimova, ministra della Cultura russa, è stata l’unica rappresentante di Mosca a presenziare ai funerali di papa Francesco, lo scorso 26 aprile. A differenza di Vladimir Medinskij – il suo ben più rumoroso predecessore –la Lyubimova non si è mai distinta per proprie iniziative all’interno dell’esecutivo, né per l’attivismo al di fuori del suo paese. Dunque la sua è stata una presenza discreta, che solo in apparenza ha mostrato il distacco del Cremlino verso la Santa Sede.

In realtà, e più banalmente, è stata solo il frutto postumo di quel mandato d’arresto della Corte penale internazionale che ha bloccato Vladimir Putin in casa. Perché, se è vero che il presidente russo non ha mai partecipato alle esequie di un pontefice romano – nel 2005, in occasione della dipartita di Giovanni Paolo II, a esser inviato in piazza San Pietro fu l’ex primo ministro Mikhail Fradkov –, è anche vero (o verosimile) che questa volta avrebbe fatto un’eccezione.

Francesco è stato l’unico papa ad aver incontrato il leader russo tre volte (2013, 2015 e 2019), superando da solo il numero di appuntamenti ufficiali tenuti tra quest’ultimo e i due precedenti pontefici.

Tutt’altro che un caso, data la differente sintonia che il polacco Wojtyła e il tedesco Ratzinger hanno avuto con il Cremlino. Sentimenti “obbligati” per l’identità nazionale dei soggetti in questione, ma anche alimentati da una differente visione pastorale – e naturalmente dal ruolo, per quel che concerne

Giovanni Paolo II, rivestito nella «più grande catastrofe geopolitica del XX secolo», vale a dire la fine dell’Unione Sovietica.

Con Bergoglio è stata tutta un’altra musica, anche quando la guerra d’Ucraina ha inevitabilmente allontanato i due leader. Francesco ha superato l’abituale eurocentrismo della Chiesa con la nomina di 149 cardinali (di cui 110 elettori, ossia circa l’80% dei partecipanti al conclave dei giorni scorsi) e l’esplicito riconoscimento di periferie fino ad allora poco rappresentate.

Haiti, Capo Verde, Papua Nuova Guinea e Sudan del Sud sono solo alcuni dei paesi che per la prima volta nella storia hanno avuto la possibilità di esprimere, con Francesco, figure ecclesiastiche di vertice - ad essi vanno aggiunti, in Europa, il Lussemburgo e la Svezia, a dimostrazione che le periferie d’interesse del papa argentino non erano solo geografiche, ma episcopali. Un evidente salto di qualità rispetto alla mera organizzazione di visite pastorali (che pure non sono mancate, con Bergoglio) e dunque alla tradizione inaugurata da Paolo VI e portata poi ai suoi massimi livelli da Giovanni Paolo II.

Tutto ciò avrebbe ben poco a che vedere con la Russia ortodossa, se questa non si fosse convertita – almeno nella retorica – al ruolo di custode del Sud del mondo, protettrice del multipolarismo e delle periferie abbandonate dall’Occidente. Espressione singolare di chi, al contempo, vorrebbe recitare la parte di comprimaria al fianco degli Stati Uniti

Pietro Figuera

Francesco è stato l’unico papa ad aver incontrato Putin tre volte

e forse, in definitiva, deve ancora capire cosa fare da grande.

La contraddizione, tuttavia, è solo negli occhi di chi guarda. Anzi, in qualche modo accomuna l’esperienza storica di Mosca a quella della Chiesa cattolica, entrambe impegnate da poco al di fuori del proprio continente. Non a caso, il Cremlino e la Santa Sede hanno trovato terreno (e linguaggio) comune nel topos della protezione dei cristiani, particolarmente scottante in Medio Oriente, e oggetto di attenzione bipartisan già prima dell’intervento russo in Siria.

Il pontificato di Francesco è poi singolarmente coinciso, in termini cronologici, con la traiettoria antieuropea della Russia – o antirussa delle cancellerie europee, se vogliamo.

Ovvero con la definitiva emersione della frattura geopolitica ucraina (201314) e il portato decennale delle sue conseguenze, ripiegamento russo verso la Cina compreso. Questo sì, un caso. Che ha però contribuito a rendere più rumorosa, o quantomeno notiziabile, la ferma volontà vaticana di non tagliare i ponti con Mosca. Nemmeno dopo lo storico trauma del 2022, spartiacque continentale.

Certo, per qualche tempo è calato il gelo tra la Prima e la Terza Roma. Il 24 febbraio Francesco ha chiamato Zelensky senza premurarsi di fare altrettanto con Putin, ipse dixit1. La diplomazia però si è rimessa ben presto in moto, con le missioni dei cardinali Zuppi e Parolin che hanno aperto la prospettiva di un difficile negoziato con Kiev. Tentativo fallito, ma comunque apprezzato dalle parti del Cremlino, se non altro perché isolato nel panorama europeo –potenze cattoliche comprese.

Contestualmente, poi, le parole papali sull’abbaiare della Nato2 e persino quelle (assai precedenti) sulla “violenza fratricida”3 del conflitto hanno finito per essere lette, in certi ambienti, come l’adesione ai temi centrali della propaganda russa o come minimo a un’interessata equidistanza tra le due parti.

Erano piuttosto figlie di una lettura autonoma (o al massimo “latinoamericana”4) degli eventi, ma sono state comunque recepite a Mosca come assenza di una preconcetta ostilità e disponibilità all’ascolto altrui.

Condizioni, queste ultime, che la Russia vorrebbe porre come requisiti minimi per l’avvio di una proficua cooperazione con il nuovo pontefice. Mosca, va da sé, non ha avuto pressoché alcuna carta da giocare nelle trattative del conclave: la cappella Sistina non ha mai ospitato porporati con cittadinanza russa, escludendo naturalmente quelli della più ampia area ex sovietica, e col Grande Scisma in procinto di celebrare i suoi primi mille anni (dal 1054) sarebbe strano il contrario.

Prima e Terza Roma si scrutano ormai da molto tempo, ma la simpatia tra i due mondi è una novità assoluta degli ultimi anni: anche tralasciando l’inesorabile avversione tra Vaticano e Unione Sovietica, fatto salvo qualche tentativo di Ostpolitik, papi e zar non hanno mai trovato i mezzi, e tutto sommato nemmeno le ragioni, per instaurare relazioni distese e reciproca-

2/ L. FONTANA, Intervista a Papa Francesco: «Putin non si ferma, voglio incontrarlo a Mosca. Ora non vado a Kiev», Corriere della Sera, 4/5/22.

3/ R. CASADEI, «Perché il Papa non partecipa alla demonizzazione di Putin?», Tempi, 21/6/15.

1/ «Ucraina. Il Papa è “pronto a incontrare Putin a Mosca”», Avvenire, 3/5/22.

4/ P. FIGUERA, «Messico e Russia si cercano. Più di ieri», Domino n.4/2025, pp.69-70.

II. Vaticano, Stati Uniti e altre potenze

mente vantaggiose.

L’appartenenza di alcune nazioni cattoliche (come la Polonia o la Lituania) ai territori dell’impero russo, anziché tramutarsi in occasioni di confronto, più spesso era stata oggetto di frizioni relative al loro status e alla libertà di culto. In questo senso, l’amputazione dei suoi territori più occidentali, tanto rimpianta al Cremlino e non solo, ha permesso alla nuova Russia di resettare i propri rapporti con la Chiesa cattolica, o quantomeno di impostarli su nuove e più pragmatiche basi. Tra queste il dialogo con la Chiesa ortodossa russa, sempre più vicina al Cremlino, ma mai del tutto sovrapponibile ad esso, secondo il luogo comune cesaropapista che vedrebbe nel patriarca Cirillo un mero esecutore delle volontà di Putin (o al contrario, il suo più diretto ispiratore). Lo storico incontro all’Avana tra Francesco e Cirillo (2016), comunque propiziato dal presidente russo, è stato il primo passo in direzione di un nuovo ecumenismo, nient’affatto scontato date le resistenze interne – specie tra le frange più conservatrici del mondo ortodosso.

Il rischio, oggi, è di dover fare nuovamente tabula rasa. Pochi altri Stati al mondo – e certamente nessun altro impero – risentono quanto la Santa Sede dell’influenza diretta del proprio leader. Vuoi per i suoi poteri di monarca religioso e quasi assoluto, vuoi per la taglia (solo demograficamente) ridotta della Città del Vaticano, ciascun pontefice ha importanti margini di manovra nel governare la rotta della Chiesa cattolica – sfuggendo dunque alle consuete leggi della geopolitica. Medaglia a due facce per tutti, e in particolare per chi – come Mosca – è ancora nell’occhio del ciclone e può risentire molto di un mutato orientamento.

In attesa del conclave, la Russia ha dunque temuto di dover fare i conti con un papa più vicino all’Occidente – o semplicemente meno aperto al dialogo

con le altre Chiese – e di rimpiangere dunque le occasioni mancate col precedente pontificato. Non la chiusura di un negoziato favorevole sull’Ucraina, che realisticamente necessita di altre mediazioni per concretizzarsi, bensì la creazione di una duratura sponda interna al continente europeo – mondo ormai troppo distante da Mosca per essere compreso senza interpreti.

La posta in gioco non includeva solo la Russia, sulla quale l’Occidente marcerà sempre più diviso, ma la più generale alterità della Chiesa rispetto ai modelli d’Oltreoceano.

La grottesca immagine di Trump agghindato da papa, realizzata con l’intelligenza artificiale e prontamente rilanciata dalla Casa Bianca5, è stata facilmente derubricata a megalomania o a infantile provocazione del tycoon. Certo, c’è anche questo. Ma in senso figurato andava letta come il tentativo statunitense di influenzare il conclave, attraverso propri nomi o orientamenti.

Era già chiaro al funerale di Francesco, costato al presidente americano l’ascolto di un’omelia del tutto avversa ai principi delle sue politiche. Sforzo tuttavia ripagato dall’incontro a San Pietro con Zelensky, anticipatore dell’agognato accordo sui minerali che, per Trump, può chiudere la questione ucraina6.

La famosa terza sedia, che a seconda delle fonti avrebbe dovuto accogliere il presidente francese Emmanuel Macron o un semplice interprete, non avrebbe potuto mai ospitare Putin: russi e ucraini sono ancora ben lontani dal sedersi a fianco, figurarsi dal raggiungimento di un accordo – il vero bluff, in questo senso, è quello ostentato da Washington. Resta una certezza: si è gridato troppo presto al miracolo di Francesco.

5/ I. KWAI, «Trump Posts an Image of Himself as Pope», The New York Times, 5/5/25.

6/ I. KOTTASOVA, V. BUTENKO, «Here’s what’s in Trump’s Ukraine minerals deal and how it affects the war», CNN, 1/5/25.

Pietro Figuera

Vedremo

L’abito non fa il monaco. La cittadinanza statunitense di papa Prevost, comunque accompagnata da quella peruviana, è stata subito oggetto di speculazioni su una presunta influenza trumpiana nella sua elezione. Circostanza smentita già dalle prime parole pubbliche del pontefice: ricche di riferimenti al predecessore assai sgradito a Washington, e soprattutto volte al concepimento di una pace “disarmata”, semanticamente lontana dai progetti a stelle e strisce. Gli odierni Stati Uniti, poi, sono tutt’altro che sinodali – benché tale concetto abbia forti legami culturali col mondo protestante7 – e in vistoso arrocco geopolitico rispetto ai fronti aperti dalla nuova Chiesa. A marcare le distanze è infine l’esperienza familiare e pastorale di Robert Francis Prevost, disallineata già nelle sue premesse plurinazionali dall’ideologia dell’attuale Casa Bianca, ed evidenziata pure nella breve parentesi in spagnolo del suo primo discorso.

Non ci si aspetti però un liberal, e non solo perché il nuovo pontefice ha già partecipato alle primarie repubblicane in Illinois8, ma più banalmente perché certe categorie sono poco utili a spiegare la multiforme realtà ecclesiale. L’identità di Leone XIV sarà sicuramente legata alla sua esperienza di pontiere e diplomatico al servizio di Francesco, per il quale (anche se per appena due anni) ha servito da prefetto del dicastero per i Vescovi. La scelta del nome sarà poi discussa a lungo: a

7/ S. FONTANA, «Il processo sinodale è una gravissima minaccia per la Chiesa», La nuova bussola quotidiana, 5/5/25.

8/ J.V. GRIMALDI et al., «The pope from Chicago backed Pope Francis’ major church reforms», National Catholic Reporter, 8/5/25.

ispirarlo è stata soltanto la Rerum Novarum di Leone XIII? O anche la figura di Frate Leone, compagno di Francesco (d’Assisi) o l’incoronazione di Carlo Magno da parte di Leone III?

Possiamo intanto escludere riferimenti a Leone IX (che contribuì allo Scisma d’Oriente), mentre sarebbe azzardato – benché suggestivo, va riconosciuto – cogliere qualche nesso intenzionale con il primo pontefice ad aver portato tale nome, quel Leone Magno che armato di sola autorità morale convinse Attila a risparmiare Roma. È solo questione di tempo prima che qualche editorialista intravveda in Putin il novello capo degli unni e in Prevost l’ultimo baluardo d’Occidente contro il dilagare dei barbari, nella conclamata assenza di altre autorità imperiali (statunitensi).

La realtà appare molto più prosaica. L’Oriente russo, tenacemente ortodosso, sembra intrinsecamente distante dalle priorità del nuovo papato. E se Leone XIV dovrà confrontarvisi – magari per interposti Zuppi o Parolin, già ricchi d’esperienza in tal senso – sarà in virtù del perseguimento di quella pace che ha da subito assunto un sapore programmatico. Nonché per l’inerzia dello slancio ecumenico ravvivato da Bergoglio: non verrà certo ignorato il dialogo con le altre fedi, ma l’unità del mondo cattolico dovrebbe prevalere sul resto. Al patriarca ortodosso Cirillo toccherà fare anticamera.

“Quante divisioni ha il papa?” È fin troppo facile scommettere su un simile pensiero di Putin, déjà vu della celebre provocazione staliniana, mentre passa in rassegna i reparti sulla Piazza Rossa di Mosca.

In realtà, è del tutto improbabile che oggi la leadership della Chiesa cattolica sia in cima alle preoccupazioni del II. Vaticano, Stati Uniti e altre potenze

Confini de iure delle regioni ucraine che la Russia ha formalmente annesso il 30/9/22

Porzioni di Ucraina attualmente sotto occupazione russa

Fonti: ISW -

Porzioni di Ucraina occupate dai russi prima del 24/2/22

Ferrovie Principali zone di combattimento Offensiva russa verso Pokrovsk

Ritirata ucraina (quasi totale) dall’oblast di Kursk (marzo 2025)

LO STATO DELLA GUERRA IN UCRAINA

Crimea (Annessa unilateralmente alla Russia nel 2014)

presidente russo. L’elezione al soglio pontificio di Leone XIV è curiosamente arrivata l’8 maggio, anniversario –nei fusi orari più occidentali – della fine della seconda guerra mondiale e vigilia del Giorno della Vittoria per i russi. Che erano dunque in tutt’altre faccende affaccendati, data anche la ricorrenza dell’anniversario (quest’anno si celebrano gli ottant’anni dal 1945), le misure di sicurezza e la presenza di importanti ospiti, primo fra tutti il cinese Xi Jinping.

Servirà dunque qualche tempo per metabolizzare gli eventi, o anche solo per comprenderli nella loro pienezza: la distanza tra la Moscova e il Tevere, se di nuovo ampia, andrà colmata con deliberate iniziative diplomatiche. Aiuterà in questo senso, se confermata, l’ossatura della segreteria di Stato messa in piedi da papa Francesco, così come l’ideale condivisione dei valori tradizionali e cristiani cui il Cremlino non ha mai smesso di far riferimento –almeno nella retorica.

Una pace “disarmata” sarebbe davvero “disarmante” per l’Europa sulla via del riarmo, per riprendere le ormai celebri parole di presentazione di Leone XIV. In Ucraina l’unico disarmo sarebbe possibile soltanto dopo una resa senza condizioni di Kiev, che nessuno nel continente (nemmeno nella Santa Sede, per esser chiari) pare disposto ad accettare. Russia e disarmo, poi, difficilmente troveranno spazio nella stessa frase da qui ai prossimi decenni: l’insicurezza atavica di Mosca è assicurata per qualche generazione con la guerra d’Ucraina, la militarizzazione dell’Artico e l’adesione di Finlandia e Svezia alla Nato.

Peraltro, l’unico parziale disarmo cui la Russia è andata storicamente incontro ha coinciso con il suo momento di massima debolezza – crisi economica ed esistenziale per la maggior parte

dei suoi cittadini, che ricordano ancora con terrore gli anni Novanta.

Ciò non toglie che – se non presi strettamente alla lettera – gli auspici del nuovo papa possano trovare terreno fertile, almeno sul piano di un improcrastinabile dialogo da perseguire a dispetto dei falchi di ogni latitudine. Specie se accompagnati da concrete iniziative di distensione, sull’onda della novità apostolica e di un crescente rifiuto popolare del vocabolario bellico che i governi europei faticano ormai ad arginare.

Per Leone XIV i margini di manovra per incidere nella società restano più ampi di quelli riservati ai canali diplomatici ufficiali, anche per diretta conseguenza delle politiche di Francesco.

Dal conclave è emersa un’altra America, simile a quella già anelata da Bergoglio ma al tempo stesso più sincretica, forse persino più europea nella sua implicita proposta di sintesi tra le varie anime che compongono la Chiesa. Resta da vedere quanto possa essere affine alla geopolitica russa, divisa tra la necessità di ritrovare un ordine continentale e l’ambizione di primeggiare assieme agli Stati Uniti, illudendosi di sfuggire al suo destino cinese.

Muovendo da radici agostiniane, papa Prevost sa benissimo di dover lavorare nella Città degli uomini – tradotto, di dover fare i conti con imperi in declino e al tempo stesso atrocemente convinti di poter invertire la propria rotta storica.

Non gli mancano affatto gli strumenti per accompagnare la parabola statunitense, accelerata dalla variabile Trump. Ma per avere successo dovrà trovare presto il modo di fronteggiare anche l’altra Roma, incarnata in questa epoca da Putin, successore di un altro Pietro.

Fine dell’Ostpolitik?

Maurizio Perriello giornalista, analista geopolitico e alumnus della Scuola di Domino

—Il grande favorito Pietro Parolin ha probabilmente pagato il fallimento dell’accordo sulle investiture siglato con Pechino. Ora Leone potrebbe ripensare il dialogo

«Sii paziente senza umiliazione» (无辱, rěn wu ru). L’insegnamento di Lin Bu, poeta sopraffino vissuto a cavallo dell’anno Mille, è talmente evocativo del principio della prudenza tattica cinese da essersi manifestato anche in occasione della morte di papa Francesco. La cancelleria del Dragone è stata l’ultima a tributare il cordoglio d’etichetta per vie ufficiali, attendendo un giorno e mezzo dall’annuncio del decesso.

La sera del 22 aprile il portavoce del ministero degli Esteri, Guo Jiakun, ha dedicato un pensiero a Jorge Mario Bergoglio soltanto perché incalzato da un giornalista spagnolo durante una conferenza stampa, e quasi senza trasporto emotivo. «La Cina esprime le sue condoglianze per la morte di papa Francesco»1. Punto, e bando agli orpelli. La forchetta temporale tra evento e commento riflette la distanza imperiale tra Cina e Vaticano.

Pechino avrebbe percepito come umiliante la partecipazione alla spasmodica corsa al cordoglio, intrapresa dagli altri governi del globo, che in qualche modo avrebbe posto la Repubblica Popolare sullo stesso livello di quei paesi che, per millenaria autopercezione, reputa inferiori per cultura e civiltà.

Sobrietà riproposta anche in occasione dell’elezione di papa Leone XIV, al secolo Robert Francis Prevost. Ini-

1/ Conferenza stampa ordinaria del portavoce del ministero degli Esteri Guo Jiakun del 22 aprile 2025, Ministry of Foreign Affairs of the People’s Republic of China, 22/5/25.

zialmente i media mandarini si sono limitati a rilanciare il parco comunicato pubblicato dall’agenzia di stampa statale Xinhua. Tre frasi e un trafiletto laterale, adombrato dall’ampia copertura della visita del presidente Xi Jinping in Russia. Il 9 maggio, all’indomani dell’habemus papam, il calumet della retorica è passato nelle mani dell’Associazione patriottica cattolica cinese (中國天主教愛國會

Zhōngguó tiānzhujiào ai guohuì), la sola Chiesa riconosciuta da Pechino soltanto perché, a sua volta, non si prostra all’autorità diretta del Vaticano. Altro frugale, seppur significativo, dispaccio di «congratulazioni», doppiato da un’eguale nota del dicastero degli Esteri2.

Al netto dei salamelecchi, negli ultimi anni la narrazione mandarina ha insistito molto sul concetto di zhōnghuá mínzú (中华民族, “nazione cinese”), rivendicando il primato di civiltà più antica del pianeta rimasta uguale a sé stessa. Generando un chiaro conflitto con la speculare e opposta retorica della Santa Sede, mirante a carpire le menti e i cuori dei cinesi credenti. Il canovaccio diplomatico imponeva tuttavia a Pechino di evidenziare la natura distensiva delle relazioni tra cattedra di San Pietro e Città Proibita.

Versi da copione rimaneggiato,

2/ L’Associazione Patriottica Cattolica Cinese e la Conferenza Episcopale Cinese inviano un messaggio di congratulazioni a Leone XIV, Xinhua, 9/5/25.

Maurizio Perriello

sentenziati in pieno svolgimento di conclave dal summenzionato portavoce, nell’osservanza dei principi tattici dell’attendismo e dell’equidistanza: «negli ultimi anni, la Cina e il Vaticano hanno mantenuto un im-

tico per il disgelo di convenienza fra Dragone e papato. Che tuttavia non è evoluto in relazioni bilaterali ufficiali, giacché la Santa Sede rimane l’unica cancelleria europea a riconoscere Taiwan come la sola Repubblica di

Il cristianesimo è apparso ai decisori cinesi come la meno destabilizzante tra le religioni esogene

pegno costruttivo e portato avanti scambi proficui. La Cina è disposta a collaborare con il Vaticano per promuovere un continuo miglioramento delle relazioni bilaterali».

Senza dubbio papa Francesco si è prodigato per un risanamento delle relazioni col partito-Stato cinese in misura nettamente maggiore rispetto ai suoi predecessori. Un assioma strategico per una rivoluzionaria visione dell’ordine mondiale, con direttrice geopolitica orientata alle periferie della globo - asiatica, africana e latinoamericana - e sguardo critico nei confronti dell’ordine a guida statunitense. E quale collettività migliore della Cina per servire allo scopo narrativo anti-americano?

Già nel gennaio 2016, Bergoglio espresse fuori dai denti la sua «ammirazione» per la Repubblica Popolare, parlandone per la prima volta pubblicamente e rivolgendo financo un saluto personale al presidente Xi Jinping. E scolpendo: «il mondo occidentale, il mondo orientale e la Cina hanno tutti la capacità di mantenere l’equilibrio della pace e la forza per farlo. Dobbiamo trovare la via, sempre attraverso il dialogo. Non c’è altra via»3. Il riconoscimento del protagonismo cinese nella costruzione di un nuovo assetto globale ha funto da via-

3/ F. SISCI, «Pope Francis urges world not to fear China ’s rise: AT exclusive», Asia Times, 2/2/16.

Cina. Dossier preminente anche per la nuova dirigenza vaticana.

La provenienza latinoamericana fu designata da Bergoglio a fondamento della rinnovata narrazione pontificia, prova di una personale comunanza con le istanze dei reietti dello sviluppo a propulsione occidentale. Sponda eletta per la complementare propaganda di Pechino, che poteva vantare il successore di Pietro tra le schiere dei sostenitori della controglobalizzazione. Anti-americana senz’altro, ma per il Vaticano non certo a guida cinese. Ancor più con l’avvento di un pontefice statunitense, sebbene emotivamente teso al Perù e ideale prosecutore della traiettoria missionaria e mondialista di Francesco.

A testimonianza delle ardenze mai sopite sotto il labile velo di cenere cosparso vicendevolmente sui capi sinico e vaticano, in pieno raccoglimento funerario per la morte del papa Pechino ha pensato bene di produrre ulteriori segnali della propria immunità all’ingerenza pontificia. In barba al celebrato rinnovo dell’accordo sino-vaticano sulle nomine episcopali, il Dragone ha proclamato unilateralmente due vescovi.

Il 28 aprile Wu Jianlin, vicario generale di Shanghai, è stato selezionato come nuovo vescovo ausiliare della megalopoli da un’assemblea di sacerdoti locali. Il giorno seguente, padre Li Jianlin è stato parimenti “eletto” a

II. Vaticano, Stati Uniti e altre potenze

capo della diocesi della città prefettizia di Xinxiang. Entrambe le nomine sono occorse durante la sede pontificia vacante, finestra di interregno durante la quale la Santa Sede non può ratificare consacrazioni episcopali. Il messaggio è cristallino: le investiture sono appannaggio della Città Proibita.

Non c’è intesa con attori stranieri che tenga. E senza necessità di ricorso a una lotta di medievale memoria, contro una potenza oggi impossibile da considerare alla pari.

La duplice nomina cinese si tramuterà in grana diplomatica per il nuovo pontefice. L’insediamento di Li Jianlin a Xinxiang sovrascrive l’antecedente investitura pontificia del prelato Joseph Zhang Weizhu. Consacrato clandestinamente da Giovanni Paolo II nel 1991, Zhang ha svolto il suo ministero per decenni senza approvazione pechinese ed è stato contestualmente più volte arrestato. Il sostituto Li è stato selezionato dal politburo per il suo comprovato asservimento al Pcc. Nel 2018, ad esempio, emanò una direttiva che vietava ai minori di partecipare alla messa cattolica nella provincia dell’Henan, la seconda più popolosa dell’intera nazione. La nomina di Li è pertanto configurabile come una palese sfida all’autorità vaticana. La decisione di non inviare una delegazione ufficiale a Roma per le esequie di Bergoglio ha ulteriormente chiarito la postura mandarina, in calcolato contrasto con l’invio di rappresentanti taiwanesi e l’immediato inoltro di congratulazioni a Prevost da parte di Taipei. Fermi restando l’acume geopolitico di Francesco e la carica di novità da esso veicolata, la sua visione fu molto chiara al politburo fin dapprincipio. Il papa porteño guardava alla Cina come al viatico privilegiato per la penetrazione cristiana romana in Asia,

sfruttando le aspirazioni mandarine d’egemonia e la contestuale ricerca di missione imperiale e coesione interna. Per ottenere un riconoscimento in termini di status dalla più antica potenza occidentale e per cicatrizzare parte delle faglie religiose interne, Pechino ha accettato di aprirsi selettivamente all’ingerenza vaticana. Un rischio calcolato, nella pianificazione del Dragone, da serrare al comune afflato anti-americano e in auspicio di benevolenza da parte delle cospicue comunità di rito romano sparse nel bacino asiatico e indopacifico.

Il cristianesimo è dovuto apparire ai decisori cinesi come la meno destabilizzante tra le religioni esogene, dovendo escludere per forza l’islam in quanto confessione degli uiguri dello Xinjiang e il buddismo in quanto fede di bandiera del ribelle Tibet.

Ricevere la corte del successore di Pietro ha contribuito non poco ad ammorbidire il proverbiale granitismo sinico. Molto apprezzato dalla Città Proibita fu ad esempio la scelta di Francesco di non pronunciarsi sui disordini sociali di Hong Kong nell’Angelus del 5 luglio 2020, nonostante il riferimento fosse già circolato sui comunicati stampa.

Nel volo da Singapore a Roma, a chiusura del suo settimo viaggio apostolico in Asia, nel settembre 2024 Francesco porse anche l’altra guancia alla mano cinese.

In celebrazione della rinnovata centralità del Celeste Impero nel disegno vaticano: «credo che la Cina sia una promessa e una speranza per la Chiesa»4. Il perno asiatico impresso da Bergoglio alla proiezione vaticana ha tratto linfa primordiale dal pontificato di Karol Józef Wojtyła e, in particolare, dall’esortazione apostolica intito -

4/ S. FALASCA, « Il Papa: la Cina? È una promessa e una speranza per la Chiesa», Avvenire, 14/9/24.

Maurizio Perriello

I CATTOLICI DELLA TERRA DI MEZZO

KAZAKISTAN

KIRGHIZISTAN

Area controllata dall’India e rivendicata dalla Cina

Sede di Provincia apostolica

Sede di Prefettura apostolica (immediatamente soggette alla Santa Sede)

Sede di Amministrazione apostolica

Diocesi di Macao (immediatamente soggetta alla Santa Sede)

Zhaotong
Xining
Xinjiang (Ürümqi)
Kunming

RUSSIA

MONGOLIA

Suiyuan

Lindong

Pechino (Beijing)

Yixian

Taiyuan

Lanzhou

Xinjiang

Tongzhou

Linqing

Xinxiang

Kaifeng

Jinan

Qiqihar

Harbin

Shenyang

COREA DEL NORD

Weihai

MAR GIALLO

Xi'an

Xing'anfu

Chengdu

Suixian

Shashi

Chongqing

Lixian

Shiqian

Baoqing

Guiyang

Guilin

Nanning

Hankou

Nanchino (Nanjing)

Anqing

Haizhou (Lianyungang)

Yangzhou

Tunxi

Hangzhou

Yueyang

Changsha

Nanchang

Xiangtan Shaowu

Yongzhou

Jian'ou

Fuzhou

TAIWAN

MAR CINESE ORIENTALE

Canton (Guangzhou)

Macao

Hainan (Haikou)

Jiamusi
GIAPPONE

lata «Ecclesia in Asia» del 1997. Quivi Giovanni Paolo II spiegò che «nel primo millennio la Croce fu piantata sul suolo europeo, nel secondo millennio su quello americano e africano, nel terzo millennio si potrà sperare di raccogliere una grande messe di fede in questo continente così vasto e vivo»5. Per proseguire nel solco orientalista tracciato dal papa polacco e presentarsi con credibilità post-ideologica alle genti d’Asia, l’argentino Francesco ha dapprima reciso l’aderenza della Chiesa all’ancoraggio euroamericano. Per poi proporsi alle comunità orientali armeggiando il solo vangelo, legge della fratellanza antecedente qualunque forma politica moderna. Incluse filiazioni occidentali quali i diritti del cittadino o il governo democratico, spacciati insopportabilmente per universali e percepiti in Cina come prodromi coloniali.

La stessa enciclica del 2020 «Fratelli tutti» delinea la definizione bergogliana dei diritti fondamentali dell’uomo, avulsi da qualsivoglia connotazione politica. Figurarsi se di germinazione franco-statunitense.

donesia, dall’India alle Filippine e alla prima catena di isole che soffoca la proiezione cinese in mare aperto per conto degli americani.

Dalla prospettiva del Regno di Mezzo, la pur rimarcabile iniziativa bergogliana sulla cooperazione vescovile cela un orientalismo de facto sinofobo. Il conclave appena dischiuso ha ospitato 23 cardinali elettori asiatici, mai così tanti nella millenaria storia della Chiesa. L’opinione degli strateghi mandarini nasce dall’osservazione geografica delle nomine cardinalizie di Francesco, che cingono numerose il Dragone dal Pakistan al Sud-Est asiatico, dal Vietnam all’In-

5/ K. WOJTYLA, «Discorso alla sesta Assemblea plenaria della Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Asia, Manila (15 gennaio 1995)», in Insegnamenti vol. XVIII-1, Libreria Editrice Vaticana, p. 159.

Al partito-Stato non è poi sfuggito che l’unico prelato cinese nominato cardinale da Francesco è stato il gesuita Stephen Chow Sau-yan, arcivescovo di Hong Kong. Seppur tornato sotto il maglio di Pechino, in ultima istanza tramite la legge sulla tutela della sicurezza nazionale approvata nel 2024, il Porto Profumato continua a rappresentare uno di quei “petali” di Cina che increspano le acque di un’unità interna ancora fortemente rincorsa. Le stesse dichiarazioni di Chow restituiscono la cifra del sostanziale rifiuto vaticano di un’Asia trainata culturalmente dalla Cina: «non esiste una sola cultura asiatica. Quindi non esiste una sola coscienza asiatica»6. In tal senso la nomina cardinalizia del vescovo di Hong Kong rivela il reale stato delle relazioni sino-vaticane: riavvicinamento tattico, distanziamento strategico. Parlando nel maggio 2024 al gesuita Pedro Chia, direttore dell’ufficio stampa della Provincia cinese della Compagnia di Gesù, papa Francesco ha espresso l’intenzione di visitare la Cina. Selezionando una località specifica: il santuario della Madre di She Shan, dedicato a Maria Ausiliatrice, nel territorio metropolitano di Shanghai.

La denominazione mandarina per indicare la basilica cristiana non viene semplificata in gergo col semplice lemma 佘山 (shéshān), associato invece all’omonima riserva naturale nota anche come 兰笋山 (lán sun shān), cioè la “montagna Lansun” appartenente al toponimo di tradizione taoista dei “nove picchi dell’antichità” (gudài jiu fēng).

6/ G. O‘CONNELL, «Hong Kong’s Jesuit Cardinal Chow on the conclave, the next pope and Francis’ legacy», America Magazine, 2/5/25.

II. Vaticano, Stati Uniti e altre potenze

La chiesa è appellata Shéshān jìn jiàozhī yòu shèngmu dàdiàn, letteralmente “basilica di Nostra Signora delle benedizioni del cristianesimo a Sheshan”.

Una scelta nient’affatto casuale. L’annessa diocesi, dal XVII secolo la più grande e importante della Cina, conobbe la nomina cardinalizia di Ignazio Kung Pin-Mei, il primo vescovo cattolico cinese al mondo, che scontò trentatré anni di carcere per essersi rifiutato di sottomettersi alla direzione del politburo, conservando la lealtà al papato. Grazie all’accordo sui vescovi sottoscritto per la prima volta nel 2018, la suddetta sede epi-

gnora di She Shan incarna più di ogni altra chiesa fisica la capacità del cristianesimo romano di sopravvivere al martello sinico e di catalizzare la fede di centinaia di migliaia di cattolici interni. Né più né meno che un’opera di occidentalizzazione, agli occhi del partito-Stato. Incarnata dall’epigrafe dei “quattro no” (四无, sì wú) su cui si è dipanata la costruzione dell’edificio religioso - «niente chiodi, niente legno, niente acciaio, niente travi» (wú dīng wú mù wú gāng wú liáng) -, emblema eletto della privazione materiale e della resistenza cattolica alla distruzione veicolata dalla rivoluzione culturale maoista, prima, e all’ostilità

Pechino aveva sussurrato di parteggiare per l'ascesa di Parolin al soglio pontificio

scopale è confluita sotto la diretta giurisdizione dell’Associazione patriottica cattolica cinese.

Punta di lancia della connessione mandarina ai mercati eurasiatici e all’occidente, la megalopoli «sul mare» (traduzione letterale delle sillabe shàng e hai) si configura come il contraltare ideologico e pratico della problematica e sfuggente Hong Kong, sede del summenzionato cardinale Chow. Luogo di culto cattolico più grande dell’intera Asia orientale, la chiesa di She Shan è l’unica in Cina a potersi fregiare del titolo di basilica. Proprio a maggio, mese mariano per antonomasia oltreché - nell’anno corrente - del conclave che ha eletto Leone XIV, la struttura si fa meta annuale di decine di migliaia di pellegrini provenienti da ogni provincia cinese.

A piedi come in barca, secondo un costume secolare omaggiante un passato oleografico in cui la maggior parte dei cattolici mandarini si volevano pescatori. La fondazione di Nostra Si-

del Pcc, poi. Simbolismo di lunga data che Bergoglio ha ereditato dai predecessori.

Nel 2008 Benedetto XVI affidò la Cina cattolica alla Vergine di She Shan in una lettera, chiedendo che la ricorrenza del 24 maggio diventasse in tutto il mondo giornata di unione e preghiera per la Chiesa nel paese7.

La Repubblica Popolare riconosce ufficialmente cinque religioni - buddismo, cattolicesimo, protestantesimo, taoismo e islam - le cui pratiche sono regolamentate dalla Amministrazione statale per gli Affari Religiosi (Guójiā zōngjiào shìwù jú).

Officio primario di tale organo è «sostenere i circoli religiosi nell’autoeducazione al patriottismo, al socialismo e alla riunificazione della madrepatria».

Intolleranza tradotta: inaccettabile ogni avversione al canone nazionale

7/ J. RATZINGER, « Preghiera a Nostra Signora di Sheshan», Sala Stampa Vaticana, 15/5/08.

cinese, alla dottrina comunista che dirige lo Stato e ai propositi imperiali di annessione di entità ribelli come Taiwan. Applicando tale assioma alla fede romana, il politburo considera legittime soltanto tre organizzazioni cristiane: Associazione patriottica cattolica, Movimento patriottico delle Tre Autonomie e Consiglio cristiano. Nel complesso raccolgono circa 67 milioni di credenti, la maggior parte di orientamento protestante. Dei quasi 12 milioni di cattolici presenti nel Regno di Mezzo, soltanto una metà è vergata sui registri dell’Associazione statale.

La restante parte è confitta in quella “chiesa sotterranea” in comunione con San Pietro, ma di fatto fuorilegge e perseguitata. All’intersezione fra autoreferenzialità mandarina e narrazione terzomondista bergogliana, si staglia il celebrato accordo sulle nomine vescovili. Nonostante la sua natura provvisoria, dopo il 2018 l’intesa è stata prorogata due volte per un periodo di due anni ciascuna, nel 2020 e nel 2022.

Nell’ottobre 2024, in seguito a un voto di fiducia biunivoco, è stata nuovamente rinnovata e con raddoppio di durata, dunque per un periodo di quattro anni. Con ogni probabilità l’avvicendamento tra Francesco e Leone porterà un elemento di destabilizzazione in una parabola diplomatica tesa alla distensione. Eppure foriera di episodi di tellurico contrasto.

Per il Vaticano, la questione della nomina dei vescovi è sia dottrinale sia giuridica, poiché l’interferenza del partito-Stato mina la giurisdizione del papa come capo della Chiesa universale, mettendo a sua volta a repentaglio l’unità ecclesiale tra Roma e i cattolici sinici. Fermo restando che i termini dell’accordo non sono mai

stati resi pubblici, Pechino soleva presentare al Vaticano un unico candidato vescovo, scelto dal clero affiliato all’Associazione patriottica cattolica, senza troppo curarsi dell’eventuale approvazione da parte papale. Negli ultimi anni i funzionari pontifici hanno evidenziato come il Dragone abbia violato il patto episcopale in più occasioni. Il rinnovo quadriennale ha offerto alla Cina l’opportunità di adoperare l’accordo per esercitare pressioni sui vescovi affinché aderissero alla Chiesa controllata dal politburo. Forzandoli contestualmente a un giuramento di “indipendenza” dai dettami di San Pietro. Di conseguenza, il clero che esprime lealtà politica alla presidenza di Xi Jinping ottiene il favore del partito-Stato. I vescovi che rifiutano di rinunciare all’affiliazione al papato sperimentano invece la persecuzione.

Il primo maggio sono entrate in vigore nuove restrizioni del Fronte Unito (Tongyī Zhànxiàn) - l’organo che promuove capillarmente gli interessi del partito e che risponde direttamente ai “magnifici sette” del Comitato permanente del politburo - che vietano al clero straniero di presiedere attività religiose senza il beneplacito del governo centrale.

Un paio di settimane prima, i commissari statali avevano posto agli arresti a tempo indeterminato - per l’ottava volta in dieci anni - Peter Shao Zhumin, vescovo sotterraneo di Wenzhou, senza un regolare processo. Si stima che almeno altri dieci vescovi cattolici in Cina siano attualmente detenuti o comunque limitati nell’esercizio del loro ministero episcopale, “rei” di essersi opposti al controllo governativo sulle loro diocesi.

Al novero dei fattori destabilizzanti si aggiungono le circa trenta sedi vacanti, orfane dei rispettivi defunti vescovi e non ancora riassegnate.

II. Vaticano, Stati Uniti e altre potenze

Dal 2018 l’Ostpolitik vaticana s’affanna nell’evitare di indispettire la Repubblica Popolare con pronunciamenti o azioni interpretabili come critiche. L’applicazione tattica di tale principio è stata affidata principalmente al segretario di Stato, Pietro Parolin, indefesso fautore della “distensione a ogni costo” col Dragone e papabile favorito sino alla fumata bianca che ha premiato Prevost. Risvolto che ha proiettato il cardinale italiano come “lo sconfitto”, con ogni probabilità proprio a causa del ruolo cruciale svolto nella negoziazione dell’accordo vescovile. Parolin sarebbe dunque stato isolato dalla maggioranza dei cardinali elettori già avversa all’apertura vaticana alla Cina autocratica e comunista.

L’episodio esemplare più inviso ai colleghi porporati, oltre alle investiture unilaterali succitate, è apparso il caso di Giuseppe Shen Bin, nominato da Pechino a capo della diocesi di Shanghai nel 2023. Il Vaticano apprese la notizia soltanto a posteriori, tramite resoconti giornalistici. Onta di sconfitta per l’ideatore e patrocinatore dell’intesa con il Dragone. Per salvare le apparenze, Francesco si vide costretto ad autorizzare la nomina ex post facto.

La parabola delle relazioni sino-vaticane dipenderà anche dal futuro peso di Parolin.

A differenza dell’ancora taciuta visione di Prevost, la posizione caldeggiata dal segretario di Stato vaticano è ben nota. Non a caso Pechino aveva sussurrato di parteggiare per l’ascesa di Parolin al soglio pontificio. Dopo aver promosso personalmente l’accordo sulle investiture episcopali, nel 2020 il porporato giunse a negare la «persecuzione» dei cattolici da parte delle autorità cinesi, affermando che epurazioni e decisioni statali unilaterali non erano che il frutto legittimo di

«regolamenti imposti che riguardano tutte le religioni in Cina e dunque anche il cattolicesimo»8. L’ardire retorico si spinse ancor oltre. Il cardinale italiano ebbe modo di scolpire che la «sinicizzazione» era assimilabile «senza fallo all’inculturazione», la pratica missionaria di adottare l’arte e le pratiche culturali locali nella predicazione del vangelo. Financo se, com’è noto, ai bambini in età scolare vengano propinati sermoni incentrati sui pronunciamenti di Xi Jinping. Parola del signore, sì, ma del partito-Stato. Allo stesso modo, in seno al conclave non ha attecchito la confidenza nell’origine filippina di un altro dei totopapabili al trono di Pietro: Luis Antonio Gokim Tagle. Di ascendenza sinica da parte materna - i nonni appartenevano a famiglie cinesi benestanti stabilitesi nelle Filippine -, il prelato di Manila ha pagato lo scotto dell’equipollente sostegno all’intesa con la Repubblica Popolare. Siglata, a suo dire, «per salvaguardare la valida successione apostolica e la natura sacramentale della Chiesa cattolica» nell’impero di Mezzo9. Accludendo che eventuali incidenti di percorso fossero «parte del processo». E postulando un paragone con la parabola religiosa e coloniale del suo paese: «l’intervento delle autorità civili nelle scelte dei vescovi si è manifestato più volte e in varie forme nel corso della storia. Anche nelle Filippine, il mio paese, la Chiesa cristiana fu a lungo sottoposta alle regole del potere reale spagnolo. Persino San Francesco Saverio e i gesuiti hanno svolto la loro missione in India sotto il patrocinio della corona portoghese».

8/ «China continued religious crackdown during renewal of Vatican deal», Catholic News Agency, 26/10/20.

9/ G. VALENTE, «Cardinal Tagle: A decision to safeguard apostolic succession for Chinese Catholics», Vatican News, 22/10/22.

Maurizio Perriello

Il Dragone vorrebbe confermare una serafica coesistenza con la

Santa Sede

Il pontificato di Leone XIV potrebbe ridimensionare in maniera notevole tale slancio. E il quesito più stringente dunque diventa: con Prevost, il Vaticano proseguirà nel solco bergogliano dello sguardo a oriente e verso le periferie del pianeta, oppure si stringerà nuovamente al cuore euroamericano dell’egemone?

La via del compromesso in scia all’operato di Francesco potrebbe essere la meglio percorribile, perlomeno in una fase iniziale.

L’approdo della Chiesa di Roma in Cina, selettivamente consentito dal politburo, è propedeutico a una compiuta globalizzazione vaticana. Finora anche a costo di offrire la percezione di uno scadimento dell’autorità papale nelle nomine vescovili.

Ribaltando lo sguardo, dalla Città Proibita il legame ufficializzato colla Santa Sede è uno dei dardi più affilati nella feretra del soft power sinico, da scagliare contro gli sparuti paesi in cerca d’egemone e il variegato mosaico europeo.

Nonché tassello decisivo per cementare la (contro)globalizzazione mandarina, al momento costretta a dipanarsi (arrancando) tramite rotte terrestri eurasiatiche a causa dell’imbrigliamento marittimo operato dagli Stati Uniti.

Un papa statunitense prosecutore del dotto bergogliano non dovrebbe modificare la parabola strategica vaticana, né sbilanciare eccessivamente verso est lo sguardo orientalista inaugurato da Francesco. Pena la per-

dita d’equilibrio nel valzer acrobatico tra Taipei e Pechino. La cura di una sostanziale equidistanza tra Stati Uniti e Cina sarà cardine irrinunciabile per la missione pluralista del papato post-Bergoglio.

Il papato proseguirà dunque nel suo abbraccio alla Cina, anche se non propriamente corrisposto. Il quasi simultaneo rilancio delle relazioni bilaterali con l’inconsistente Unione Europea tradisce la volontà di Pechino di sfidare la Curia e diversificare i fili diplomatico-commerciali tesi verso il cuore della globalizzazione americana. Anche a rischio di accantonare la valenza culturale del sodalizio con la cancelleria del novello pontefice. Tuttavia è pregnante interesse del Dragone proseguire nell’alveo di una serafica coesistenza con la Santa Sede, incarnata dal succitato accordo vescovile, per pacificare uno dei plurimi segmenti che destabilizzano la ricercata coesione interna. Con sullo sfondo l’imperitura e superiore contesa tra Pechino e Washington.

Pure più freddamente, San Pietro e Città Proibita non dovrebbero rinnegare il viatico mostrato da Francesco, per reciproca e contingente convenienza. Condividendo un precetto bergogliano enunciato nel 2016 durante l’iniziale fase di disgelo sino-vaticano10: «la torta rimane intera, e si cammina insieme».

10/ S. FALASCA, «Papa alla Cina: ammiro la vostra saggezza», Avvenire, 2/2/16. II. Vaticano, Stati Uniti e altre potenze

Nelle puntate precedenti | I nodi della Chiesa

A dispetto della crescita del numero dei cattolici, durante il suo magistero Leone dovrà traghettare una Chiesa in evidente crisi di identità e priva di missione davvero incisiva in (quasi) tutti i continenti.

Consapevole degli scarni risultati ottenuti dalle manovre di Francesco in Asia e dal torpore del Vecchio Continente, Prevost convoglierà gli sforzi verso quadranti più rilevanti.

In continuità con Bergoglio, tenterà di ampliare la presa in America Latina e arginare la repentina ascesa delle sette evangeliche. Canovaccio simile anche per Africa e Medio Oriente, dove la Santa Sede si spende per tutelare i cattolici bersaglio delle ostilità locali ma fatica ad accrescere il bacino di fedeli.

III. I nodi della Chiesa

Primo obiettivo: riconquistare l’America Latina

Giuliano Lodato analista geopolitico

—Leone è stato scelto soprattutto per interrompere l’emorragia di fedeli nell’emisfero occidentale. Nel solco di Francesco, ma da statunitense-peruviano

Francesco ha messo al centro del suo papato un ecumenismo sì di natura religiosa, ma anche geopolitica. Il punto d’osservazione adottato da Bergoglio per i dodici anni in cui ha guidato il Vaticano è stato, come amava ripetere, periferico. Un riferimento alla sua Argentina, ubicata quasi alla «fine del mondo», come disse nella sua prima apparizione da vescovo di Roma.

Per surrogare la sua tesi, in un’intervista televisiva di un paio d’anni fa, citava la filosofa argentina Amelia Podetti: «Disse che la realtà si vede meglio dagli estremi che dal centro. Questa cosa mi ha aiutato tanto. È vero, la realtà si vede meglio dai confini. Se sei nel centro ti scappa. Se vai sul limite, da fuori, la vedi meglio. Dalla distanza si capisce l’universalità della cosa. […]. E questo è un principio sociale, filosofico e politico»1. Una visione che, in un colpo solo, non contesta la centralità europea ma eleva le capacità interpretative, e il valore, delle aree tagliate fuori dalle zone geopoliticamente più importanti.

Francesco voleva una chiesa per tutti, che dialogasse sia con le altre fedi che all’interno del mondo cristiano. Nella stessa intervista affermava: «Credo che la Chiesa vada sempre riformata. Quel detto, Ecclesia sempre reformanda est. C’è un grande teologo ortodosso morto nei giorni scorsi, Ioannis Zizioulas, che diceva “i teologi studino, noi facciamo il bene, pre-

1/ P. RODARI, «Dieci anni di pontificato: intervista a Papa Francesco», RSI, 12/03/23.

ghiamo e andiamo insieme” […] Alla domanda: quando si metteranno d’accordo? Rispondeva: “Forse nell’escatologia”. Aveva il senso dell’umorismo. Ma l’importante è camminare insieme, come fratelli insieme»2.

Propositi unitari che muovono da una necessità impellente: tentare di riavvicinare a Roma le decine di milioni di fedeli che hanno abbandonato il credo cattolico a favore delle chiese evangeliche, o almeno tentare di placare l’emorragia.

Negli ultimi trent’anni i cattolici latinoamericani sono diminuiti dall’80% al 54%, in un’area che da sempre era stata bastione della chiesa romana nel mondo3. Uno smacco al quale il papa latinoamericano ha tentato di porre un argine.

Bergoglio ha provato ad attenuare la peculiare rivoluzione religiosa ancora in atto, innanzitutto avvicinandosi alle Chiese protestanti. Una scelta animata da una sincera spinta verso l’ecumenismo ma anche da necessità pragmatiche, stante l’impossibilità di frenare il fiume in piena delle conversioni.

Per questo fu molto importante il suo viaggio in Brasile, il secondo del pontificato, benché legato alla Giornata Mondiale della Gioventù fissata a Rio dal suo predecessore.

In Brasile le conversioni da cattolicesimo a evangelismo sono state schiaccianti.

2/ Ibidem

3/ N. BURNS, «The first-ever papal autobiography illuminates the Argentine pontiff’s life in and out of the priesthood», Americas Quarterly, n. 19, 25.

Giuliano Lodato

Bergoglio ha provato ad annullare la rivoluzione avvicinandosi alle Chiese protestanti

Se negli anni Settanta il 91% della popolazione era fedele di Roma e il 5% protestante, cinquant’anni dopo i cattolici sono il 50% contro il 31% degli evangelici4.

In occasione del viaggio a Rio, Francesco si è unito in preghiera con alcuni fedeli pentecostali della “Assemblea di Dio” all’interno di una favela.

Un’apertura non isolata ma un primo tassello di un’impronta precisa che ha segnato il papato di Bergoglio. Ma il suo tentativo più rilevante è stato portare a Roma le sensibilità sociopolitiche e storiche delle nazioni latinoamericane, ancora oggi versanti in condizioni di povertà in larga parte del subcontinente. Su tutto, il dialogo con i più deboli, la posizione sui conflitti internazionali, la vicinanza alla popolazione di Gaza, il ridimensionamento delle ragioni occidentali sul conflitto russo-ucraino.

Aspetti che hanno toccato l’anima politica di buona parte di quella immensa regione, ancora largamente spinta da sentimenti comuni al Mondo Contro: questioni difficili da ponderare anche per le statistiche.

Il presidente della Repubblica Argentina, Javier Milei, ha salutato la scomparsa di Francesco definendolo «l’argentino più importante del mondo5». Appellarsi all’“argentinità” è stata una furbizia per sottrarsi a giudizi di valore sul connazionale, giacché recenti erano state le precedenti definizioni di «imbecille» e «rappresentan-

te del male sulla terra»6. Nell’atavico scontro politico tra peronisti e antiperonisti, gli attacchi di Milei non avevano risparmiato neanche il papa.

Un curioso aneddoto sul calciatore argentino Diego Armando Maradona e papa Wojtyla racconta invece l’altra parte di campo, avversa a Milei.

Brevemente. A seguito di un’udienza con Giovanni Paolo II, Maradona affermò di averci quasi litigato. A suo dire, il Santo Padre sarebbe stato colpevole di scarsa attenzione verso la condizione dei poveri, motivo per cui, per aiutare i più bisognosi, lo avrebbe esortato a vendere «i tetti d’oro del Vaticano».

Lo stesso Maradona avrebbe in seguito raccontato d’essersi riavvicinato alla fede grazie al connazionale Bergoglio. La scelta del nome pontificale, l’omelia “Evangelii Gaudium” – in cui era durissima la critica al capitalismo - fino alle disposizioni per una sepoltura particolarmente modesta, sono solo alcuni segnali della visione geopolitica, ben prima che religiosa, di Bergoglio.

Visione condivisa da una fetta consistente di latinoamericani, e in cui risiedeva la volontà di riavvicinare la Chiesa cattolica alle masse.

Nella sua autobiografia Francesco afferma: «è per attrazione che si cresce, non per proselitismo. Altrove, dobbiamo avere la consapevolezza di essere passati da un cristianesimo sistemato in una cornice sociale ospitale a un cristianesimo “di minoranza”, o meglio, di testimonianza. E questo richiede il coraggio di una conversione ecclesiale, non di una

4/ B. MEYERFELD e R. PRAVETTONI, «The evangelical wave surging across Brazil», Le Monde, 6/1/24.

5/ «Milei, “Papa Francesco è stato l’argentino più importante”», Ansa, 24/4/5.

6/ «Papa Francesco, ecco come ne parlava Javier Milei: “Un imbecille! Rappresenta il male sulla terra e sta coi comunisti assassini!”», La 7, 24/4/25.

III. I nodi della Chiesa

pavidità nostalgica»7.

In merito alla nomina di alcuni cardinali, tra cui quelli di Argentina, Brasile, Cile, Ecuador e Perù, aggiungeva di averli scelti «con l’intendimento che il titolo di “servo” – questo è il senso del ministero – offuschi sempre più quello di “eminenza”».

Allo stesso modo diceva ai sacerdoti di Buenos Aires di uscire per le strade, piuttosto che «aggrapparsi alle proprie sicurezze». È chiaro che l’impronta geopolitica data da Francesco non ha fermato l’ascesa evangelica.

Secondo l’istituto cileno Latinobarómetro fra il 2013 – anno dell’elezione del papa argentino – e il 2024 gli evangelici latinoamericani sono passati dal 15% al 19%, con un picco del 23% nel 2023. Nello stesso periodo si è registrata una caduta della percentuale di cattolici dal 67% al 54%8. In Argentina i dati fra il 2008 e il 2020 sono in tendenza con il resto del subcontinente, dove gli evangelici sono passati dal 9 a più del 15% e i cattolici diminuiti dal 76,5% al 63% del 20249. Da segnalare comunque che gli evangelici argentini sono molto poco organizzati a livello politico, a differenza ad esempio del Brasile, dove c’è una consistente fetta di parlamentari che si riconosce nell’evangelismo e ne fa proprie le istanze, la cosiddetta Bancada Evangelica.

Le statistiche ufficiali della Santa Sede, pubblicate nell’Annuarium Statisticum Ecclesiae, tendono a ridimensionare il fenomeno. Dal 2022 al 2023 emerge una leggera crescita complessiva dei cattolici nel mondo, che hanno superato il miliardo e 400 milioni. Con un aumento dello 0,9% nel biennio, le Americhe rimangono al primo

7/ FRANCESCO e C. MUSSO, Spera, Milano 2025, cap. 25.

8/ «La imagen del Papa Francisco en América Latina 2013 – 2024», Latinobarómetro 9/ J. GIMÉNEZ, «Creencias en la Argentina: hay menos católicos y más evangélicos y personas sin religión», Chequeado, 5/4/21.

posto per numero di cattolici (47,8%) –di questi, il 27,4% vive in Sudamerica. Il Brasile con 182 milioni di fedeli (13% del totale globale), continua a essere il paese più cattolico al mondo – il 6,6% si trova in Nordamerica, mentre il restante 13,8% in America Centrale10.

Secondo il documento, i cattolici di Argentina, Colombia e Paraguay sarebbero oltre il 90%. Un dato che, a parte per il Paraguay dove la popolazione conferma i livelli menzionati, nel caso di Argentina e Colombia risulta non in linea con le rilevazioni condotte all’interno dei due paesi11.

Con la conquista di Centro e Sudamerica la diffusione del cattolicesimo nell’area fu capillare, ma a partire dalla fine del periodo coloniale le cose iniziarono a cambiare, per arrivare lentamente alla situazione attuale. Spagnoli e portoghesi avevano ottenuto il monopolio delle opere di missione attraverso il cosiddetto “Patronato Regio”, che garantiva al papato la propria estensione attraverso un proselitismo volto alla quantità più che alla qualità della forza del movimento cattolico, che andava nascendo di pari passo con la colonizzazione.

Grazie al Patronato Regio, Spagna e Portogallo diffusero e gestirono la religione cattolica in America Latina - tra il 1493 e il 1508 furono emesse numerose bolle pontificie che conferivano ai due paesi il privilegio di inviare propri missionari nei paesi già scoperti o ancora da scoprire.

Opere di missione per le quali le due corone si avvalevano dell’imposizione di decime agli indigeni; la metà dei

10/ « New Church statistics reveal growing Catholic population, fewer pastoral workers», Vatican News, 20/3/25.

11/ N. COSOY, «¿Cuánto poder le han quitado las iglesias cristianas evangélicas a la Iglesia católica en Colombia?», BBC, 7/9/17.

Giuliano Lodato

L’impronta di Francesco non ha fermato l’ascesa evangelica

quali, già nel 1550 era stata battezzata12.

La decisione di delegare a Spagna e Portogallo l’evangelizzazione delle nuove terre era la scelta più pratica e avveniva in concomitanza con la nascita del protestantesimo in Europa. Si può affermare che nell’instaurazione di questo diaframma fra Roma e le nuove terre d’oltreoceano risiedano i semi di un territorio ad altissimo tasso di cattolici ma nel quale, per l’estrema frammentazione e la scarsa organizzazione del clero, si creò terreno fertile per gli stravolgimenti degli ultimi decenni.

Problema aggravato anche dall’esiguità del clero locale, non composto da autoctoni ma proveniente dai paesi europei.

Delle 93 diocesi latinoamericane di inizio Novecento nessuna copriva un raggio inferiore ai 200mila chilometri quadrati – per avere un termine di paragone spesso erano ampie quasi come l’Italia – rendendo difficilissimi anche i contatti fra i vescovi. In Argentina, Brasile, Perù e Colombia i prelati erano impossibilitati dal poter visitare la totalità del territorio della propria diocesi: fra il 1894 e il 1899, in occasione delle visite a Roma da parte dei vescovi, dei 96 rapporti inviati solo 26 dichiararono di aver visitato interamente il territorio della propria circoscrizione ecclesiastica.

Caso emblematico era Salvador de Bahia, città brasiliana allora capitale del paese, in cui c’erano 346 sacerdoti per due milioni di fedeli, ovvero quasi uno ogni seimila13.

Problemi che emersero con mag-

12/ G. LA BELLA, Roma e l’America Latina, Guerini, Roma 2012, cap. 3.

13/ G. LA BELLA, Op. Cit., cap. 1.

giore forza dopo le indipendenze dei paesi latinoamericani. I primi sviluppi si ebbero durante l’Ottocento con una fase di contaminazione dovuta all’immigrazione di europei protestanti, poi a inizio Novecento si ebbe una seconda fase con l’arrivo dei primi missionari pentecostali.

La svolta avvenne però con la diffusione delle Chiese neopentecostali, che si inserirono prevalentemente nelle fasce subalterne della popolazione, tratto ancora oggi caratteristico dei fedeli evangelici.

Billy Graham, il più noto fra i pastori del (tele)evangelismo statunitense, già nel 1974 riempì per cinque giorni di fila lo stadio Maracanã di Rio de Janeiro14; la cifra totale di persone che vi parteciparono, secondo canali evangelici, sarebbe stata di quasi 600mila persone. Secondo il censimento nazionale brasiliano del 2010, nello stato di Rio de Janeiro l’evangelismo ha superato il cattolicesimo come religione più diffusa.

Dalla fine del XV secolo l’America Latina è stata terra di conquiste per potenze straniere. Tratto ancora oggi caratteristico, ancorché in forme e misure attenuate: l’area a sud del fiume Río Bravo del Norte è oggi palestra per le grandi potenze, impegnate a condizionare la vita politica e culturale di Stati dal peso geopolitico contenuto, che a loro volta cercano di massimizzare il proprio beneficio – con l’eccezione del Messico.

Ma se fino al crollo del Muro di Berlino l’America Latina si poteva consi-

14/ T. JOTHEN, «48 Years Later: Rio Pastor Recalls Billy Graham Crusade», Billy Graham Evangelistic Association, 12/9/22.

III. I nodi della Chiesa

L’INSIDIA

EVANGELICA

REPUBBLICA

COSTA RICA

Guyana Fr. (FRANCIA) Porto Rico (USA)

derare – al netto di piccole eccezioni, Cuba su tutte – il “giardino di casa” degli Stati Uniti, oggi non è più così. Pechino, Mosca, Ankara, Delhi, Teheran, sono capitali da cui si cerca di influenzare la vita dei paesi latinoamericani.

Ma a seguito della sempre più manifesta tendenza a ritirare l’estensione del proprio impero, Washington si prepara a un proprio rinnovato ruolo nell’area di propria immediata prossimità.

Nella recente lettera con le proposte di spesa per il bilancio federale che la Casa Bianca ha inviato al Congresso vengono segnalate alcune intenzioni chiare per il riassestamento della politica estera del paese.

Fra i propositi ci sono forti tagli al bilancio del dipartimento di Stato

Lo stesso vanta profonde conoscenze del Centro e Sudamerica, tanto che il New York Times, durante il primo mandato di Trump, lo aveva definito «segretario di Stato per l’America Latina»16.

In quest’ottica, lo scontro religioso fra evangelismo e cattolicesimo nella regione acquista una rinnovata importanza, con gli apparati statunitensi che si impegneranno a intensificare la proliferazione delle Chiese di diretta derivazione. Mentre la Chiesa cattolica dovrà fare i conti con le scelte di Leone XIV: se c’è uno Stato dove il leader conta più degli altri, quello è il Vaticano. Papa Francesco aveva, per luogo di nascita e impegni presi durante il suo ministero, ridato forte centralità all’area di provenienza.

Ai numerosi viaggi, si aggiungono

Per salvare il salvabile in America Latina

Leone dovrà continuare nel solco del gesuita

e alle missioni internazionali, a cui andrebbero 49,1 miliardi di dollari in meno, l’83,9% del budget precedente. Il dipartimento della Difesa subirebbe un aumento di 113 miliardi, così come il dipartimento della Sicurezza interna, 43,8 miliardi in più15, quest’ultimo chiamato a perlustrare i confini ed effettuare deportazioni.

Alle rimodulazioni di bilancio si aggiunge la volontà statunitense di rilocalizzare la produzione industriale in paesi vicini e amici per sottrarli all’influenza cinese. La scelta del senatore di origine cubana, Marco Rubio, come segretario di Stato – primo ispanico a ricoprire questo ruolo nella storia del paese – è un segnale.

15/ L. PIKE e R. IYENGAR, «What Trump’s New Budget Says About U.S. Foreign Policy», Foreign Policy, 2/5/25.

la mediazione svolta nella parentesi di normalizzazione dei rapporti fra Cuba e Stati Uniti (2014) e la messa celebrata simbolicamente a Ciudad Juárez, al confine tra Messico e Texas.

È quasi impossibile che la spinta persuasiva introdotta da Bergoglio possa riproporsi, ma per salvare il salvabile in America Latina Leone dovrà proseguire nel solco del papa argentino. Tentare di dismettere gli abiti di istituzione arroccata in una torre d’avorio è presupposto fondamentale per sopravvivere.

16/ P. BAKER e E. WONG, «On Venezuela, Rubio assumes U.S. role of ouster in chief», The New York Times, 26/6/19.

Leone non può perdere l’Africa

Matteo Giusti giornalista
—Benché

centrale nel pontificato di Francesco, il continente è rimasto culturalmente distante dalla Chiesa. A Prevost il compito di raddoppiare gli sforzi

L’eredità che papa Francesco ha ceduto al mondo cattolico e alla sua Chiesa è fatta di impegno, presenza, forza e volontà di cambiamento. Tale straordinario lascito emerge in modo particolarmente evidente in Africa, un continente che il pontefice ha privilegiato rispetto ai suoi predecessori, dimostrando lungimiranza nel riconoscere come il Mondo Contro (di noi) trovi nel continente uno dei suoi principali fulcri.

Attraverso una fitta rete di relazioni, costruita grazie ai numerosi viaggi apostolici, Bergoglio non ha soltanto consolidato i legami ufficiali con molte nazioni africane; ha pure rafforzato quelli meno visibili ma più significativi nelle varie realtà ecclesiali.

Trattasi di forma alta e nobile di soft power.

Stipulando accordi giuridicamente vincolanti con molti Stati africani e con organismi sovranazionali come l’Unione Africana, la Chiesa ha operato su più livelli, seguendo lo spirito etimologico del cum-cor-dare, “dare con il cuore”.

Questo approccio tattico ha consentito al Vaticano di siglare intese fondamentali per la propria presenza in Africa, affrontando temi concreti e ideali: dallo status della Chiesa alla libertà religiosa, dalla cooperazione nell’ambito educativo e sanitario all’indipendenza e all’autonomia ecclesiale.

Un’ampia gamma di settori, frutto di un lungo lavoro diplomatico perseguito dagli inviati della Santa Sede

e definito dal segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, come «fioritura concordataria».

Sovente in Africa la Chiesa è stata in grado di sostituire i governi locali in settori cruciali come sanità, educazione e servizi sociali, al punto che secondo l’Organizzazione mondiale della sanità oltre il 70% del welfare sanitario nel continente è gestito dal Vaticano. Tuttavia le richieste devono partire sempre dagli Stati, che affiancati dalla Conferenza Episcopale locale e dal Nunzio Apostolico devono aprire dei canali di trattativa con Roma.

Il ruolo della Chiesa nel continente è dunque complesso e stratificato, con aspetti poco noti ma di notevole rilievo. Da decenni numerosi paesi africani sono afflitti da enormi debiti sia con le potenze straniere che con i magnati locali, capaci di strangolare le fragili economie ed esercitare pressioni sulla popolazione. La Cina ha sfruttato questo meccanismo per spingere nella cosiddetta «trappola del debito» gli Stati della regione e prendere il controllo di quasi tutte le infrastrutture chiave africane: dai porti alle autostrade, fino agli edifici governativi.

La Santa Sede ha tentato di arginare questa deriva debitoria ponendosi come mediatrice tra i governi e gli enti creditori, promuovendo la cancellazione degli impegni insostenibili e favorendo nuove trattative su basi meno oppressive. Benché poco visibile sul piano mediatico, l’assiduo

Matteo Giusti

impegno ha permesso al Vaticano di acquisire grande credibilità verso i paesi africani.

Il supporto economico è solo uno degli aspetti cruciali che la Chiesa deve affrontare in un contesto complesso e sovente ostile alle azioni di Roma, il cui ruolo ha cominciato a mutare a partire dalla metà del secolo scorso. Dal 1956, con la pubblicazione del libro Des prêtres noirs s’interrogent (“Alcuni preti neri s’interrogano”), scritto da un gruppo di preti cattolici africani in formazio -

religiose. Ma la diffusione della fede si deve in larga parte alle chiese protestanti, che tra il 1970 e il 2000 sono più che raddoppiate, arrivando a rappresentare il 30% dei fedeli.

Etiopia e Nigeria sono tra i paesi che hanno registrato la crescita più significativa delle comunità protestanti. Oggi ad Addis Abeba il 20% dei credenti si dichiara evangelico, confessione che è riuscita ad attecchire con continuità in tutto il continente, e ad Abuja, dove l'influenza della Chiesa cattolica è in drastico calo, il 60% dei cristiani che si identifica come protestante.

Spesso in Africa la Chiesa sostituisce i governi locali

ne a Roma, si iniziò a riflettere sulla possibilità di una teologia africana autonoma.

Attivo soprattutto durante le lotte per l’indipendenza dal colonialismo europeo negli anni Sessanta, il movimento sollevò una critica serrata contro l’atteggiamento dei missionari, accusati di aver marginalizzato e sminuito la cultura locale. Tramite una lettura autonoma dei testi sacri, svincolata dalla mediazione dei predicatori, l’obiettivo era dar vita a un cristianesimo ibridato e capace di intrecciarsi con le sue tradizioni e il suo immaginario simbolico.

A dispetto delle difficoltà riscontrate dalla Chiesa, l’Africa rimane il continente con più fedeli cristiani al mondo e, secondo le stime del Pew Research Center, nel 2060 il 40% dell’intera popolazione cristiana verrà da qui.

Pur superando a stento il 20%, i cattolici contano su una comunità vivace e in progressivo ringiovanimento, con oltre la metà dei credenti presenti con regolarità alle funzioni

Sebbene anche in Kenya, Tanzania e Ruanda questi registrano una forte espansione, a colpire maggiormente è la presa dell’evangelismo nelle ex colonie portoghesi di Angola e Mozambico, fino a poco fa indiscutibili capisaldi del cattolicesimo africano.

Dietro questa crescita nei paesi lusofoni c’è (anche) l’intervento del Brasile, che da qualche anno sta tentando di accrescere la propria influenza in Africa attraverso la fede. La diffusione dell’evangelismo è stata favorita dall’azione della Chiesa del Regno Universale di Dio, la più influente istituzione religiosa brasiliana nel continente, presente in quasi la metà degli Stati della regione e particolarmente radicata in Angola, Mozambico e São Tomé e Príncipe. Malgrado la contesa fra cattolici e protestanti sia attiva da decenni, la repentina crescita di questi ultimi ha suscitato più di qualche preoccupazione in Vaticano. Il continente resta il banco di prova più importante per la Santa Sede, che negli ultimi anni sta anche affrontando il forte ricam-

III. I nodi della Chiesa

bio generazionale del clero locale.

Questo processo, noto come «africanizzazione del clero», è una tappa fondamentale nella storia delle chiese post-coloniali ed è accompagnato da una serie di sfide significative. Il passaggio più delicato riguarda la gestione delle infrastrutture ecclesiastiche, sempre più dipendenti da risorse locali e meno sostenute dai contributi provenienti da Roma.

Chiese, seminari e centri di aggregazione, un tempo largamente sostenuti dai finanziamenti europei, sono oggi chiamati a gestirsi in autonomia, spesso senza le risorse sufficienti per garantire la stessa capillarità sul territorio e la medesima qualità del servizio offerto alla popolazione.

Esistono tuttavia anche esempi di collaborazione fra le varie confessioni, improntate sul concetto africano di bumuntu. Questo termine, che trae origine dalla lingua della tribù Bakongo, è un elemento radicato nella società e nella spiritualità locale e invita ogni individuo a mostrare empatia, rispetto reciproco e solidarietà, rifiutando esclusione e violenza.

Sulla linea di questi dettami la Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (Cenco) e la Chiesa del Cristo in Congo (Ecc), che riunisce sotto di sé circa sessanta chiese evangeliche e protestanti, hanno firmato il “Patto sociale per la pace e la convivenza in Congo”. L’accordo mira a pacificare le martoriate province orientali della Repubblica Democratica del Congo, in conflitto da oltre trent’anni.

Per finalizzare il progetto sono state formate diverse commissioni con l’obiettivo di organizzare una “Conferenza internazionale per la pace, il co-sviluppo e la coesistenza nella Regione dei Grandi Laghi”. Pur dimostrando la disponibilità delle due chiese a lavorare insieme per il raggiungimento della pace, il caso con-

golese rimane uno dei pochi esempi di collaborazione in terra africana.

In Africa la Chiesa è consapevole di dover innovare in maniera credibile, partendo dalla fiducia costruita in questi anni. Da qui la necessità di radicarsi nella profonda spiritualità tribale e affrontare le difficoltà che i popoli del continente affrontano quotidianamente.

Originario di Eziowelle, in Nigeria, e Prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino, il cardinale Francis Arinze vede la strada tracciata per la Chiesa. «Il pontificato di Bergoglio ha rimesso l’Africa al centro e ha responsabilizzato noi prelati. La Santa Sede deve avere la forza di parlare ai dimenticati, ai poveri, ai migranti e a coloro che non hanno voce. Dobbiamo dialogare con i governi, con i capi delle altre fedi, ed essere parte in causa per fare il bene. Ma non possiamo dimenticare quanta persecuzione contro i cristiani è ancora presente, né abbandonare le comunità che si trovano sotto attacco. È fondamentale che loro siano al centro di ogni nostro pensiero e progetto», ha dichiarato a Domino. Secondo l’ultimo report della fondazione pontificia internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) la situazione in Africa è allarmante per i fedeli cristiani. A causa dello spostamento dell’epicentro dei gruppi estremisti islamici – fino a un decennio fa concentrati fra Siria e Iraq – il Sahel è diventato il terreno di caccia per i jihadisti, che identificano nelle chiese e nelle scuole l’obiettivo primario da colpire.

Gli attacchi più frequenti e violenti avvengono in Nigeria, dove le persecuzioni dei cristiani hanno radici profonde. Le parti settentrionali e orientali del paese sono costantemente

Matteo Giusti

bersagliate dagli attacchi di Boko Haram (il cui stesso nome significa letteralmente «l’educazione occidentale è peccato», fondendo la lingua Hausa con l’arabo) e dallo Stato Islamico dell’Africa occidentale, che ha preso il controllo del Lago Ciad. E quando non combattono vicendevolmente, gli islamisti arruolano i pastori nomadi fulani per colpire gli agricoltori stanziali cristiani e i loro simboli, lanciando una «guerra santa» africana.

Tra la fine del 2022 e l’inizio del 2025 in Nigeria sono stati uccisi quasi 10mila cristiani, soprattutto negli Stati settentrionali, dove sono una sparuta minoranza fortemente ghettizzata dalla società islamica. Le giovani studentesse e il clero locale sono spesso vittime di rapimenti, sevizie e conversioni forzate, costringendo le già povere comunità locali a indebitarsi per riscattare i sequestrati.

William Avenya, vescovo della Diocesi nigeriana di Gboko, nello stato sud-orientale di Benue, vicino alla capitale federale Abuja, ha più volte lanciato l’allarme: «la sfida della Chie -

gli occhi e non commettere lo stesso errore fatto con il genocidio del Ruanda, non permettete il genocidio dei credenti cristiani in terra africana».

Le violenze verso i cristiani non si limitano alla Nigeria, ma sono frequenti anche in Mali e Burkina Faso. Mentre a Ouagadougou gli attacchi sono cresciuti del 70% e hanno provocato un milione di sfollati, nel nord del Mali i fedeli cristiani sono stati di fatto epurati.

Episodi simili si sono moltiplicati anche nell’est delle Repubblica Democratica del Congo, dove la milizia ugandese delle Allied Democratic Forces (Adf) si è affiliata allo Stato Islamico. Non solo la regione orientale del paese è teatro di attacchi mirati per il controllo di coltan, cobalto, litio, terre rare e diamanti, ma anche la violenza religiosa è dilagante. Lo scorso febbraio, nella provincia a maggioranza cristiana del Kivu settentrionale, gli islamisti hanno decapitato settanta persone durante un assalto a una chiesa di Kasanga.

Anche il Mozambico, Stato a gran-

Gli attacchi più frequenti e violenti avvengono in Nigeria, dove le persecuzioni dei cristiani hanno radici profonde

sa in Nigeria è la sopravvivenza. Noi siamo il bersaglio preferito dei violenti e lo Stato centrale non è in grado di fornirci una protezione. I terroristi stanno facendo pulizia etnica dei cristiani, attacchi sistematici, distruzione dei nuclei familiari, attentati agli edifici religiosi e alle scuole. C’è un piano preciso per colpire la cristianità africana. Non possiamo dimenticare il sacrificio di padre Isaac Achi, bruciato vivo nella sua parrocchia dagli estremisti islamici, lui è un martire della fede. Voglio invitare ad aprire

de maggioranza cattolica, ha assistito alla nascita di un gruppo terrorista nelle province settentrionali abitate dalla minoranza musulmana. A Cabo Delgado è stato scoperto uno dei più grandi giacimenti di gas liquefatto e la lotta per il controllo della provincia ha causato ingenti danni alla popolazione civile. Mentre il governo centrale pare interessato soltanto a difendere le materie prime, negli ultimi anni si contano migliaia di vittime e quasi un milione di sfollati.

Qui è stata assassinata la suora mis-

III. I nodi della Chiesa

I CATTOLICI D’AFRICA

MAROCCO

Dati assenti

MAURITANIA

BURKINA FASO GUINEA

LIBERIA TOGO

SIERRA LEONE

SENEGAL SÃO TOMÉ E PRÍNCIPE BENIN COSTA D’AVORIO

GUINEA-BISSAU

SUDAN DEL SUD

GAMBIA GUINEA EQUATORIALE SEYCHELLES GHANA

OCEANO ATLANTICO

CAPO VERDE

REPUBBLICA SUDAFRICANA MALI

REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

OCEANO INDIANO

NAMIBIA BOTSWANA

(FRANCIA)

Basilica di Nostra Signora della Pace a Yamoussoukro. Il più grande edificio di culto cattolico del mondo

Presenza di chiese autoctone (ortodosse orientali)

Leone dovrà profittare del lavoro iniziato da Francesco

sionaria italiana Maria De Coppi, nel paese da oltre 60 anni per difendere le ragazze che i terroristi dello Stato Islamico, noto come Isis-Mozambico, volevano rapire e schiavizzare.

Eppure il lavoro della Chiesa ha prodotto anche risultati benefici, come nel caso di Padre Adrien Sawadogo, un musulmano del Burkina Faso che ha deciso di convertirsi al cattolicesimo ed entrare nell’ordine dei Padri Bianchi. Oltre alla grande portata mediatica dell’evento, l’episodio dimostra quanto il lavoro della Santa Sede sia in grado di penetrare la società africana, inducendo le persone ad abbracciare una nuova fede a dispetto dei drammatici rischi che ne conseguono.

La sfida che la Chiesa cattolica deve affrontare nel continente africano è articolata, composta da accordi con governi instabili, aggressioni, violenze e dall’accesa concorrenza delle altre religioni, che hanno saputo comprendere come la società africana stesse cambiando, intercettandone bisogni e aspirazioni.

La presenza sul territorio rimane capillare grazie a missioni, scuole, complessi religiosi e culturali, ma la crescita di responsabilità del clero locale appare ancora lenta e poco costante. Una chiesa africana dotata di una sua teologia e di una sua gerarchia ecclesiastica compiuta è ancora molto lontana.

La diplomazia vaticana e il soft power della Santa Sede sono spesso le uniche armi dei cattolici per parlare con i governi, in un continente che, a parte qualche raro esempio virtuoso, si sta allontanando dal processo elettorale di stampo occi -

dentale.

Il pontificato di Francesco ha ridato slancio all’interesse della Chiesa in Africa, ma l’influenza crescente del Mondo Contro nella regione ha stravolto gli equilibri sul campo. Mentre la Russia diffida della presenza dei clericali, giacché considerati pericolosi per il mantenimento delle giunte militari sostenute da Mosca, la Cina ha avuto scontri con diverse autorità religiose in merito allo sfruttamento di miniere e aree boschive.

Anche il rapporto con Turchia e Paesi del Golfo risulta problematico, a causa dell’utilizzo strumentale dell’islam per avvicinarsi all’Africa. Ankara costruisce moschee e madrase in aperta concorrenza con le scuole cattoliche, nel tentativo di strappare alla Chiesa l’istruzione e l’educazione dei più giovani. Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar sostengono economicamente diversi gruppi terroristici per destabilizzare i fragili equilibri ed esercitare un controllo pervasivo sullo Stato centrale e sulle sue risorse – come sta accadendo nella guerra civile in Sudan dove Abu Dhabi supporta i ribelli del Darfur con l’obiettivo di favorire la secessione di questa regione.

L’Africa resta al centro di interessi enormi e la Chiesa cattolica dovrà agire rapidamente per rimanere un attore determinante negli equilibri continentali. Il futuro religioso e politico del «soglio di Pietro» dovrà affrontare le dinamiche e le criticità della regione anche sotto la guida di Leone, magari profittando del lavoro iniziato da papa Francesco.

III. I nodi della Chiesa

La Chiesa resta senza Europa

Massimiliano Vino docente, analista geopolitico e alumnus della Scuola di Domino

—Post-storico e relativista il Vecchio Continente è stato rinnegato da Francesco. Difficile Leone cambi rotta

Con la scomparsa di Francesco, si è aperta una nuova fase nella millenaria storia della Chiesa cattolica. Più di qualunque altro predecessore, il pontefice argentino ha interpretato e fatto propria la trasformazione a lungo rimandata della Chiesa di Roma in post-occidentale.

Jorge Mario Bergoglio ha guardato a quella eterogenea costellazione di popoli oggi inquadrati nel cosiddetto Mondo Contro1, come una speranza per il futuro della Chiesa universalistica. Pertanto il papa ha dovuto rinunciare al tradizionale supporto del Vaticano agli Stati Uniti, percepito come evidente sudditanza a un impero parimenti universalistico ma di cultura protestante, nonché al legame storico tra la Santa Sede e l’Europa occidentale.

Secolarizzato, in calo demografico e profondamente post-storico, il Vecchio Continente è forse destinato a tramutarsi da centro in periferia del nuovo corso della Chiesa di Roma.

Nei secoli il rapporto tra collettività europee e cattolicesimo è stato costellato da una costante dialettica. Inquadrati nell’impero romano e sottomessi ancora, dopo la fine della Pars Occidentis, prima all’autorità degli imperatori di Costantinopoli e poi di quelli germanici, i vescovi di Roma furono spinti a costruirsi un dominio territo-

1/ P.MATTONAI, “Francesco l’universalista”, Domino, 06/23.

riale tale da assicurare loro libertà di movimento e autonomia rispetto alle altre potenze2.

Nel IX secolo fu elaborata la falsa Constitutum Constantini, che attribuì formalmente il dominio di tutto l’ex Occidente romano all’autorità dei successori di Pietro.

Il Patrimonium Sancti Petri divenne la matrice del potere temporale del papato in Italia e in Europa, in grado di sopravvivere attraverso i secoli, irradiando a partire dal XVI secolo la sua influenza in tutto il mondo mediante l’opera di evangelizzatori e missionari.

La rottura dell’unità nella Res publica christiana si affiancò all’avvento e all’espansione globale del cattolicesimo, grazie specialmente alla Compagnia di Gesù3.

La conquista di Roma nel 1870 da parte del nascente Stato unitario italiano pose fine alla doppia natura di sovrano peninsulare e spirituale del papa. La Chiesa si preservò tuttavia come impero universale, privato di un corpo statale.

Legata a doppio filo agli Stati Uniti dalla fine della seconda guerra mondiale, la Santa Sede divenne un baluardo dell’Occidente in lotta contro l’impero sovietico-comunista, quest’ultimo portatore di un’ideologia identica e opposta alla millenaristica impalcatura cristiana.

Tale postura trovò il suo apice con il

2/ G.FILORAMO, D.MENOZZI (a cura di), Storia del cristianesimo, Laterza, Roma 2002.

3/ S.PAVONE, I gesuiti. Dalle origini alla soppressione, Laterza, Roma 2004.

Massimiliano Vino

Nei secoli il rapporto tra le collettività europee e cattolicesimo è stato costellato da una costante dialettica

pontificato di Giovanni Paolo II (19782005), mentre le aperture alle istanze più progressiste nate nel cuore dell’Europa cattolica tentarono di assecondare la graduale secolarizzazione delle società del Vecchio Continente, in pieno scivolamento post-storico.

La fine della contrapposizione tra i blocchi, con l’ascesa e il tramonto del momento unipolare statunitense, avviarono una nuova fase. Il pontificato di Benedetto XVI (2005-2013) segnò forse l’ultimo tentativo della Santa Sede di rimanere agganciata alle proprie radici culturali e spirituali europee e occidentali4. Compito gigantesco, rivelatosi impossibile per il teologo bavarese. L’ascesa di Francesco, a seguito delle dimissioni di Joseph Ratzinger, ha rovesciato per la prima volta il paradigma della centralità dell’Europa e segnato l’inizio di un nuovo corso nella storia del Vaticano.

Venuto «quasi dalla fine del mondo», papa Francesco ha messo in pratica il progressivo distacco della Chiesa cattolica dal proprio involucro europeo.

La doppia natura di gesuita e originario della “periferia” del globo, unita alla consapevolezza del declino del cattolicesimo europeo, hanno accompagnato il pontificato di Bergoglio, imprimendo l’ennesimo cambiamento strutturale nella storia millenaria della Santa Sede. Argentino di Buenos Aires, attento alla vitalità dei popoli ancora massimalisti per nulla incantati dal benessere o dai decantati valori occidentali “universali”, nell’arco dei suoi dodici anni di papato Francesco ha guardato all’Europa con un misto di

4/ J.RATZINGER, L’Europa di Benedetto. Nella crisi delle culture, Libreria Editrice Vaticana e Edizioni Cantagalli, Roma 2005.

compassione e disillusione.

Ciò ha suscitato reazioni confuse e interpretazioni (vanamente) politologiche. Ritenuto in alcuni momenti progressista e dunque “di sinistra” e in seguito conservatore e “di destra”, Francesco ha messo in crisi tali categorie, valide quasi solo nel Vecchio Continente e inadeguate per comprendere il portato strutturalmente post-occidentale del suo pontificato.

Dopo il 1945, con l’assorbimento della parte occidentale del continente nell’impero degli Stati Uniti, è cominciato l’avvio al minimalismo delle collettività europee5.

Principale conseguenza di questo passaggio sono stati il dilagare del relativismo culturale e del materialismo, dovuti al largo benessere goduto dai clientes. Unica parte del mondo a non essere stata interessata dal grande fenomeno del risveglio spirituale degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, che ha portato a un incremento percentuale del numero di persone religiose nel mondo, l’Europa ha invece accentuato il proprio laicismo di stampo illuminista.

Figlia di una corsa al progresso economico e materiale, la crescente secolarizzazione europea è stata più volte denunciata dal pontefice.

Come il suo predecessore Ratzinger, anche Francesco ha criticato gli effetti del post-storicismo occidentale, prodotto di una società dedita alla sola economia. Pur cogliendo l’importanza del dialogo e dell’apertura al diverso, principio per una rinnovata affermazione globale della Santa Sede, il papa

5/ D.FABBRI, Atlante storico dal Novecento a oggi, Gribaudo, Milano 2024.

III. I nodi della Chiesa

ha definito il relativismo un «cancro» della cultura contemporanea6

Contro il materialismo sfrenato dell'Occidente, Francesco si è più volte appellato al divario esistente tra l’ostentata opulenza europea e la povertà del resto del mondo. Oltre a ledere alla stessa qualità della vita in Occidente, il consumismo è stato definito dal papa una «malattia psichica» responsabile dell’allontanamento dai valori comunitari in nome del culto dell’individuo7. Aspirazione divenuta il fondamento dell’intera filosofia moderna occidentale, l’individualismo è stato contrapposto da Francesco alla logica del «bene comune» e all’importanza dei popoli e delle culture, unici antidoti allo sfilacciamento in corso nelle collettività europee e alla disgregazione delle famiglie.

Proprio sul tema delle famiglie e della natalità, il papa si è scagliato contro il percepito e crescente egoismo delle senescenti società europee, con l’Italia in testa. Contrapponendosi a una collettività italiana avulsa dal pensarsi nel mondo e nella storia, in pieno spopolamento e invecchiamento, dunque non interessata allo strutturale (e drammatico) problema demografico, Francesco ha messo in luce il paradosso di chi preferisce «i cagnolini ai figli»8

Sollecitando, a dimostrazione del suo disperato appello a un risveglio dal torpore post-storico, un maggiore impegno per favorire nuove nascite e una rinnovata attenzione all’immigrazione, unici strumenti per contrastare l’inar-

6/ G.CARDINALE, “Il papa a Sarajevo. Sul volo verso Roma: ‘Il relativismo è un cancro della società’ ”, Avvenire, 06/06/15, 7/ “No alla schiavitù del consumismo”, L’Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVIII, n.270, 27/11/18.

8/ G.RUGGIERO, “Papa Francesco e la preoccupazione sui pochi bambini in Italia: ‘Qui cagnolini al posto dei figli’ ”, Open, 11/12/23.

restabile depauperamento della popolazione europea e italiana.

Oltre alla diminuzione della natalità, la caduta vertiginosa del numero di fedeli nelle società europee è stato fonte di interesse e di preoccupazione per il papa argentino.

Negli ultimi anni le comunità cattoliche euro-occidentali, sempre meno influenti nella vita pubblica delle proprie collettività, hanno scelto piuttosto la via di una ritirata strategica, sul solco di Benedetto da Norcia9. Tattica che non poteva incontrare il favore di un pontificato bergogliano pienamente immerso nel mondo, convinto della necessità di non poter scindere la sfera religiosa da quella della partecipazione alla vita politica e sociale. Pienamente imperiale nella propria mentalità, Francesco ha visto nel conservatorismo radicale, non meno che nel progressismo materialista, degli strumenti di erosione della rilevanza di un continente europeo destinato a diventare periferia fuori dal tempo in un mondo ancora pienamente vitale.

A partire da tali constatazioni, la Santa Sede ha guardato con crescente interesse alle ben più prolifiche realtà non occidentali.

Espressioni di tendenze culturali diverse, connesse con l’humus antropologico di riferimento, i cattolici non europei appaiono uniti solo nella comune appartenenza al cosiddetto Mondo Contro. Aspirazioni massimaliste che si scontrano con lo slittamento post-storico dell’Europa. Mostrandosi il “meno romano” dei vescovi della Città Eterna negli ultimi secoli, Francesco ha voluto manifestare come necessario il distacco da una ritualità percepita come distante dalle comunità cattoliche globali. Scegliendo di avviare il Giubileo straordinario della Misericordia del

9/ R.DREHER, L’ opzione Benedetto. Una strategia per i cristiani in un mondo post-cristiano, San Paolo Edizioni, Roma 2018.

Massimiliano Vino

2015 a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, il pontefice argentino ha segnalato un evidente trapasso: da una Chiesa centrata su Roma, sull’Italia e sull’Europa, a una Chiesa universale e policentrica10.

Solamente in Europa si è registrata una diminuzione considerevole tanto nel numero di fedeli, quanto nella percentuale di vocazioni sacerdotali, in sostanziale aumento in tutti gli altri continenti.

Dati che, nell’azione geopolitica e pastorale del vescovo di Roma, si sono tradotti in un attivismo senza precedenti presso le grandi comunità cattoliche dell’Asia e dell’Africa, con un occhio di riguardo all’America Latina e al suo scivolamento religioso (e identitario) verso gli Stati Uniti11.

Il post-occidentalismo di Francesco si è espresso anche nel mutato approccio ai conflitti intercorsi durante il suo pontificato. Parlando di una «guerra mondiale a pezzi» e aprendo di fatto al dialogo con tutte le parti in causa, senza apparente contraddizione, Bergoglio si è attirato critiche e applausi12. Molto meno propenso a etichettare le collettività in termini valoriali, dunque abbandonando il lessico manicheo delle cancellerie europee e statunitensi, il papa ha preso le distanze dall’(auto)identificazione dell’Occidente con il mondo e con le sue aspirazioni.

Fuori dal tempo e convinti della fine della storia e della scomparsa dei popoli, gli europei occidentali sono apparsi concettualmente lontani dalla mentalità di un pontefice saldamente proteso verso le collettività massimaliste del globo e dunque aperto al dialogo con tutti gli imperi, anche con i

10/ M.M.MORCIANO, J.C.PUTZOLU, “Centrafrica, quando una Porta Santa si spalancò al mondo”, Vatican News, 04/06/24.

11/ G.LODATO, “Se neanche Francesco salva l’America Latina”, Domino, 12/24.

12/ S.CERNUZIO, “Il Papa chiede per l’Ucraina il coraggio del negoziato”, Vatican News, 09/03/24.

presunti “antagonisti”. Tuttavia la ricerca di una missione imperiale coerente, strumento necessario a qualunque potenza della portata della Santa Sede, è rimasta alla morte di Francesco ancora incompiuta.

Ancorata geograficamente al Vecchio Continente e a Roma, per la Chiesa cattolica il distacco dalle proprie precarie radici europee appare ancora lontano, pur nell’ormai rilevante sbilanciamento del numero di cattolici a favore del resto del mondo.

Secondo Ernesto de Martino la vita umana è tradizionalmente caratterizzata da un ethos del trascendimento, ovvero da un «doverci essere nel mondo», che è consapevolezza della possibilità del crollo e della fine. L’ethos accoglie la crisi e accetta la fine, forte della propria appartenenza a una comunità culturale. L’essere nel mondo di una società profondamente stanca, svuotata della propria identità e ferma in un eterno presente, quale è l’Europa occidentale, rappresenta pertanto una desertificazione culturale e la perdita di qualsiasi memoria storica13. Il rapporto tra la fede e la prospettiva di una salvezza oltre la morte, lungi dall’essere una semplice questione individuale, ha rappresentato nei millenni un collante naturale per intere comunità, nonché un freno al dilagare del nichilismo. Nascosta nelle pieghe di una fiducia consumistica nel presente e nell’apparentemente infinita perfettibilità tecno-scientifica14, la perdita di qualsiasi senso della morte e del tempo, ancestralmente connessi con la storia millenaria della Chiesa, ha accompagnato il torpore minimalista delle collettività europee occidentali.

13/ E.DE MARTINO, La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, Einaudi, Torino 2002.

14/ Z.GOGGI, “L’Occidente è oggi più religioso di ieri”, Domino, 12/24.

III. I nodi della Chiesa
La perdita di ogni senso della morte e del tempo ha accompagnato il torpore minimalista dei popoli europei

Definendo la fede uno «scandalo»15, perché in grado di risvegliare intere società anestetizzate dal consumismo, protese all’incremento senza limiti del proprio benessere, Francesco ha paragonato gli opulenti europei ai miserabili e ai poveri delle grandi collettività del pianeta. Portatori di una spiritualità ancora autentica, perché connessa con la propria irriducibile storicità.

La risoluzione della doppia natura, geograficamente e storicamente europea (e italiana) della Chiesa, ma desiderosa di aprirsi al mondo oltre (e anti) occidentale, abbandonando la deriva materialista veterocontinentale, è oggi il compito più gravoso che attenderà la Santa Sede.

Presumibilmente Leone XIV proseguirà sulla stessa linea del papa di Buenos Aires, soprattutto tentando di contrastare l’espansione delle chiese evangeliche in America Latina, accentuando l’apertura verso le prolifiche comunità cattoliche in Africa e Asia. Molto meno probabile vi sarà un tentativo di recuperare l’Europa, che negli ultimi anni ha perso circa 240mila fedeli.

Sempre più senescenti, gli europei vorrebbero una Chiesa modellata sui propri valori, tendente alla qualità della vita e al relativismo culturale16. I cattolici di area tedesca rappresentano l’avanguardia di tale progressismo. Il rischio di uno scisma, prospettato dal Comitato centrale dei cattolici tedeschi (Zdk), si fa concreto qualora non vengano assecondate le aspirazioni riformiste dei laici di area germanica. Secondi solo agli statunitensi in quanto a capacità finanziarie a sostegno dell’intera impal-

15/ P.ONDARZA, “Il Papa: la fede sia scandalo in una società anestetizzata dal consumismo”, Vatican News, 07/07/24. 16/ D.FABBRI, “Orbi et urbi”, Domino, 12/24.

catura ecclesiastica, gli scismatici tedeschi potrebbero aprire l’ennesima falla nella Res publica christiana17.

Ugualmente precario resta il rapporto del Vaticano con l’Italia, dove al netto del numero di cattolici, crescono gli atei e i non credenti, saliti dal 6,2% del 2009 all’attuale 15,9%.

Ancora più grave è la partecipazione alle celebrazioni, ridotta al 18%. Più attenti alle eventuali aperture della Santa Sede in temi di diritti civili, gli italiani, come gran parte degli europei occidentali, sono sempre più lontani dall’orizzonte ideologico della Chiesa cattolica18.

Sul lato opposto della barricata, più legati a una visione tradizionale del cristianesimo romano e in sintonia con le istanze degli statunitensi o degli africani, sono i cattolici dell’Europa orientale, consapevoli del profondo valore identitario del proprio legame con la Santa Sede.

Eppure i numeri della Chiesa di Roma nel Vecchio Continente sono destinati a diminuire ulteriormente. L’America Latina, pur sotto il pesante attacco delle chiese evangeliche statunitensi, resta un avamposto del cattolicesimo globale. In crescita, sebbene non nel numero complessivo di conversioni, ma su spinta della vivace demografia, sono le giovani comunità cattoliche africane. A metà secolo saranno il 30% dei fedeli mondiali, da contrapporre al dilagante tracollo delle vocazioni nella vecchia Europa occidentale. In Asia, continente su cui Francesco ha investito buona parte delle sue energie e numerosi viaggi apostolici, insiste una

17/ P.MATTONAI, “Se succede un secondo scisma tedesco”, Domino, 12/24.

18/ A.BORELLI, “Può l’Italia vivere senza Chiesa?”, Domino, 12/24.

La Chiesa di Leone sarà sospesa verso il Mondo Contro, ma ancora simbolicamente connessa al continente di appartenenza

sempre più folta comunità di fedeli al soglio di Pietro, con perno sui circa 93 milioni residenti nelle Filippine19.

Chiamata a scegliere tra una posizione mediana, divenuta già insostenibile sotto Francesco, e una più decisa virata verso una delle diverse anime dell’impero, la Santa Sede potrebbe accentuare il proprio distacco dal continente, per salvare l’America Latina cattolica o per consolidare il proprio apparente avvicinamento alla Cina o all’Africa.

Scegliendo come luogo di sepoltura la basilica di Santa Maria Maggiore, Francesco ha dedicato al culto mariano il suo estremo passaggio terreno20. La devozione alla Vergine ha conosciuto tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento nuova linfa in tutta Europa.

Nella storia del cristianesimo l’intercessione di Maria è stata sovente esaltata nei momenti di maggiore crisi e pericolo per la Chiesa cattolica. Non a caso, l’Immacolata Concezione è stata invocata come scudo della tradizione cattolica contro i mali della modernità, assecondando le correnti millenaristiche sorte sulla scia della rivoluzione francese.

L’apparizione di Lourdes del 1858, con la guarigione del corpo malato ha offerto un conforto al dolore contrapposto alla medicina positivista; quella di Fátima, nel 1917, è stata contraddistinta da un messaggio profetico contro il comunismo e, infine, Medjugorje nel 1981 ha risollevato le coscienze contempo-

19/ “Aumentano i cattolici nel mondo: sono un miliardo e 406 milioni”, Ufficio centrale di statistica della Chiesa, 20/03/25.

20/ P.ORDANZA, “Santa Maria Maggiore, le tombe dei Papi e la devozione popolare”, Vatican News, 26/04/25.

ranee dalle delusioni e dalle inquietudini coincidenti con l’attesa del nuovo millennio21.

Sintesi di pietà popolare e di inquadramento da parte dell’istituzione ecclesiastica, il culto mariano ha incontrato una particolare attenzione da parte del pontefice di Buenos Aires.

Nel 2024, Francesco ha riconosciuto i «frutti spirituali» del controverso fenomeno della devozione mariana di Medjugorje, aprendo a un riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa22.

La valorizzazione di tali frammenti di religiosità popolare segnala la risposta della Chiesa all’avanzare della secolarizzazione e del materialismo.

Mentre un simile sincretismo, residuo di un’Europa profondamente rurale, sopravvive in maniera anche maggiore nel culto della Madonna di Guadalupe in Messico, unica apparizione mariana fuori dal Vecchio Continente23 e principale oggetto del viaggio apostolico di Francesco nel gigante latino24. A segnalare l’orizzonte di una Chiesa sospesa verso il Mondo Contro attraverso la devozione di Maria, ma ancora simbolicamente connessa al suo continente di appartenenza. Difficilmente il destino della Santa Sede sarà completamente separato dalle proprie radici, pur all’inizio di un processo. Per un impero al mondo da circa duemila anni, è ancora troppo presto per giudicare.

21/ E.FATTORINI, Il culto mariano tra Ottocento e Novecento: simboli e devozione, Franco Angeli, Roma 1999.

22/ “Medjugorje, il nulla osta del Papa”, Vatican News, 19/09/24.

23/ P.MATTONAI, “Perché il Messico resta cattolico”, Domino, 04/25.

24/ B.CAPELLI, “Messico, il Papa: il bicentenario, occasione per purificare la memoria”, Vatican News, 28/09/21.

III. I nodi della Chiesa

Roma guarderà all’Asia. Ma non troppo

Chiara Azzarini analista geopolitica

—Dopo l’ossessione di Francesco, probabilmente Leone vorrà concentrarsi su altri continenti. E sulle Chiese a due cifre

Una missione intestata e una demografia vitale sono tra gli elementi cardine degli imperi che solcano la storia, ancora di più per quelli che ambiscono a padroneggiare non solo lo spazio, ma soprattutto il tempo, anelando una meta escatologica. Una dimensione ancora in potenza, che aspetta, per espandersi, la scintilla.

Il punto di riferimento del Sinodo che dal 2021 a ottobre 2024 ha riunito i vescovi del mondo e i laici per discettare sul futuro di una chiesa sinodale, in cui centrale sia la partecipazione e l’attenzione per le situazioni culturali specifiche, è stato l’allora cardinale Robert Francis Prevost1. Oggi papa Leone XIV ha colto di sorpresa solo chi contrappone apparenti rotture alla continuità sottotraccia. Nel mezzo esiste il riflessivo processo di sedimentazione, che conduce la superpotenza vaticana alla scoperta di nuove culle della fede ancora nel terzo millennio.

L’ex prefetto del dicastero per i Vescovi, vicinissimo a Francesco, è convinto sostenitore dell’ “ecologia integrale”, la grammatica che il suo predecessore, intersecando ambiente, persone e diritti, dettava per scorno degli Stati Uniti2.

Per la sua esperienza di prefetto saranno centrali il processo di selezione dei vescovi del mondo e il ruolo dei nunzi apostolici, gli operativi su campo che raccolgono informazioni e identificano

1/ R. PAGLIALONGA e L. LEONARDI, «Nell’intervento del cardinale Prevost – Vescovi, l’autorità come servizio», L’Osservatore Romano, 23/10/24.

2/ C. AZZARINI, «La prossima guerra vaticano –statunitense», Domino n. 12/2024, pp. 68 – 75.

i candidati migliori. E questo compito è ancora più indispensabile quando si «sogna di attuare una riconfigurazione ecclesiale e geopolitica di portata globale»3.

Per raggiungere chi si trova oggi ancora ai margini della Chiesa, papa Prevost, durante il Sinodo, ha richiamato le parole pronunciate dal suo fratello maggiore sudamericano nella Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona del 2023, «nostro compito [è] allargare la tenda e far capire che tutti sono benvenuti dentro la Chiesa».

Proprio tra i lasciti di Francesco, da esperire postumi, volti a superare il modello eurocentrico, vi è la prossima Giornata Mondiale della Gioventù che, nel 2027, si terrà a Seul.

Durante il periodo di apostolica sedes vacans, i simboli della Gmg, la croce pellegrina e la copia dell’icona della Madonna Salus Populi Romani, erano già da mesi in cammino per l’Asia. Sono ambasciatrici di una Chiesa che raggiunge le giovani periferie dell’ecumene, le sue remote e recondite diocesi, portando fisicamente il proprio messaggio e missione ai giovani, interlocutori preferenziali. Sotto lo sguardo del pontefice “venuto dalla fine del mondo” si è svolto, a novembre scorso, il passaggio di testimone dai giovani portoghesi a quelli coreani, tanto simbolico, quanto intriso di consapevolezza, dall’estremo occidente europeo all’estremo oriente. Dalla cattedrale di

3/ E. MORELLI, «La scommessa asiatica», Domino n. 12/2024, pp. 34 – 43.

Chiara Azzarini

Myeongdong, la principale della capitale sudcoreana, a fine marzo hanno fatta tappa in Bangladesh, per poi, a inizio aprile, partire alla volta del Giappone4.

La Gmg, voluta da Giovanni Paolo II nel 1985, è da sempre un evento catalizzante il futuro, ancora giovane, della Chiesa. Un’operazione tattica, scrupolosamente preparata, di evangelizzazione, che manifesta ancora la capacità di mobilitazione mondiale del cattolicesimo.

In un Occidente sempre più secolarizzato, vecchio e stanco, ci si volge all’Asia, il continente più vasto e popo-

ciale non occidentale e in cui i cristiani non rappresentano la maggioranza della popolazione.

Senza sottovalutare l’indiretto richiamo generato dal soft power della K–Culture alle nuovi generazioni. Su una popolazione di circa 52,6 milioni di persone, 5,9 milioni sono i cattolici5. Questo 11,3% della popolazione è per il 26,1% più vecchia di 65 anni, ma con un incremento del 24% nei nuovi battezzati, soprattutto fra gli adulti.

Benché la popolazione cattolica coreana invecchi più di quella coreana in generale, i 240 anni di storia vissuti dal-

La Corea del Sud è all’intersezione tra geopolitica temporale e geopolitica spirituale

loso del pianeta, dove già i diversi credo dell’uomo si sono originati, rincontrati, ibridati, rispettati o respinti.

La Corea del Sud gioca un ruolo interessante all’intersezione tra “geopolitica temporale” e “geopolitica spirituale”. Alleata essenziale nel contenimento statunitense della Cina in ambito securitario e di stabilità regionale è altrettanto importante sullo scacchiere della geopolitica della fede. Mentre circa il 52% della società sudcoreana si definisce non affiliato religiosamente, il 14% è buddista e il 32% è di fede cattolica, anche a seguito di conversione dal buddismo.

L’unica Gmg in Asia, dove i cattolici rappresentano solo il 3%, fu tenuta nel 1995 a Manila da papa Wojtyla, quando, nelle cattolicissime Filippine, si radunarono un record di cinque milioni di giovani fedeli. Nel 2027 per la prima volta si terrà in un paese di lingua uffi-

4/ S. CORRAYA, «Verso Seoul 2027 la croce della GMG fa tappa in Bangladesh», Asia News, 7/4/25.

la Chiesa sudcoreana, fondata nel 1784, rendono il suo bagaglio d’esperienza un riferimento laboratoriale importante6

Meta, nel 2014, di uno dei primissimi viaggi apostolici di Bergoglio, quando beatificò 124 martiri, ha una posizione capace di irradiare nella regione la missione evangelizzatrice e vocazionale della Santa Sede.

Il paese in cinquant’anni ha visto uno sviluppo materiale e una progressione sociale di velocità senza pari. Grazie all’operato, durante i regimi militari degli anni Settanta e Ottanta, a sostegno della giustizia e i diritti umani inventati in Occidente, questa declinazione cattolica è riuscita a radicarsi nella società, entrando a far parte dell’orizzonte mentale autoctono, distanziandosi dalla percepita matrice originaria. Rendendosi espressione attagliata e locale. La Gmg non è mero turismo della

5/ Fonte: CBCK – Conferenza Episcopale Coreana, Statistics of the Catholic Church in Korea 2023, 19/4/2024

6/ D. KIM, «Giornata Mondiale della Gioventù 2027 in Corea: contesto e missione», Quaderno 4189, La Civiltà Cattolica, 11/1/2025, pp. 74 – 89

III. I nodi della Chiesa

fede, ma opera a un livello più intimo e identifica una “communitas profonda”. Luogo immateriale e collettivo, che trascende le appartenenze e i retroterra. Una tangibile esperienza di “cittadinanza globale cattolica”, che accorcia le distanze, supera i confini delle sovranità nazionali.

Con eccessiva fiducia nei propri mezzi, si guarda oltre il 38° parallelo, alla persa “Gerusalemme dell’Est”, Pyongyang. La Chiesa, in cerca di una missione valida a ogni latitudine, tenta di proporsi quale interlocutore affidabile e mediatore integro.

La capitale nordcoreana, prima dell’affermazione, nel 1948, del culto della personalità dei Kim, vedeva 3 persone su 10 cristiane praticanti. La regione brulicava di chiese e il Nord si presentava molto più permeato dalla cristianità del Sud. Oggi vige l’ateismo di Stato e gli stimati 400mila cattolici sono perseguitati quali criminali politici e spediti in campi di lavoro forzati. Si soffoca sul nascere qualsiasi potenziale quinta colonna, germe reazionario di lontano imperialismo. Si mantiene la posticcia cattedrale di Changchung, nella vacante diocesi di Pyongyang, a uso e consumo di propaganda, ma il paese rimane saldamente al primo posto nella classifica dei persecutori dei cristiani nel mondo7.

Saltata per motivi di “opportunità politica”8 la Gmg continentale asiatica del 2020, che doveva tenersi in India, questa probabilmente convergerà a Seul, con la speranza di aprire uno spiraglio di dialogo a settentrione, attraverso una delle linee di faglia della terza guerra mondiale a pezzi, come la chiamava Francesco.

In uno degli ultimi viaggi apostolici, il più lungo, papa Francesco ha visitato dal 2 al 13 settembre dello scorso anno i fedeli di Indonesia, Timor Est e Singapore, con anche una tappa in Oceania9. L’Indonesia, il più grande paese musulmano al mondo, dove su 275,7 milioni di persone solo il 3% è cattolico, realizza plasticamente, col sotterraneo “tunnel dell’amicizia”, il dialogo interreligioso e convivenza pacifica. Dal 2021 il tunnel collega la moschea Istiqlal, la più grande del Sud-Est asiatico, capace di accogliere in preghiera 120mila persone, alla cattedrale cattolica di Giacarta. Timor Est, visitato da Giovanni Paolo II nel 1989 quando ancora sotto occupazione indonesiana, ha ottenuto l’indipendenza anche su pressione diplomatica della Santa Sede ed è oggi “il paese più cattolico al mondo” con il 98% del suo milione e mezzo di abitanti fedele alla Chiesa di Roma. Con il 65% della popolazione sotto i 30 anni, è ricco di giovani vocazioni. Per riconciliarsi con gli indonesiani, nei programmi scolastici è stata recepita la “Dichiarazione sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”, siglata nel 2019 tra il papa e il Grande Imam di al – Azhar, Ahmad al – Tayyib, autorità nel mondo sunnita. L’esempio timorese è stato premiato con la nomina dell’arcivescovo metropolita di Dili, Virgílio do Carmo da Silva, a cardinale nel 2022, che ha così potuto esprimere la voce della sua giovane Chiesa nel conclave appena conclusosi. La città-Stato di Singapore è invece metonimia del quarantacinquesimo viaggio apostolico: 5,9 milioni di persone tra cinesi (74%), malesi (13,5%) e indiani (9%), di cui il 33% è buddista e solo il 3,5% cattolico.

7/ D. FRISON, «Open Doors: cresce ancora la persecuzione anticristiana, Corea del Nord sempre in testa», Asia News, 15/1/25 8/ «La gioia di Seoul per Gmg, segno di “pace e fratellanza” (guardando anche al Nord)», Asia News, 7/8/23

9/ N. DA SILVA GONÇALVES, «Unità e speranza. Il 45° viaggio apostolico di Papa Francesco», Quaderno 4183, La Civiltà Cattolica, 5/10/2024, pp. 25 – 40

Chiara Azzarini

I ROMANI DELL’ASIA

SRI

Cattolici (%) (2022)

- 50

CINA
RUSSIA FILIPPINE
VIETNAM
LAOS
GIAPPONE
COREA DEL NORD
TAIWAN
BRUNEI
COREA
DEL SUD
OCEANO PACIFICO
Fonti: Pew Research Center, CIA

Si va alla ricerca dei punti percentuali in luoghi dove meno c’è omogeneità etnico culturale per trovare ispirazione e puntellare con propri interlocutori un mondo finora sottovalutato.

Una sartoriale opera tattica, posta in essere senza fretta alcuna e con la pazienza di chi ha visto l’acqua di due millenni scorrere sotto i ponti della storia. Più che mai il vescovo di Roma deve farsi pontifex maximus, calcolato costruttore e manutentore di ponti, essenziali alla sopravvivenza dell’istituzione. Questa figura sacerdotale, nella religione civile romana, era la massima autorità per la crucialità rappresentata dal Tevere.

Al contempo tattico e stratega, possibile solo a chi conosce il continuum, senza ieri, né domani, ma solo l’hic et nunc, perdurante, atemporale.

«Aiutateci anche voi, poi gli uni gli altri a costruire ponti, con il dialogo […] una Chiesa missionaria, una Chiesa che costruisce i ponti»10

dottrina sociale introdotta nel 1891 con l’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, prima apertura alle cose di quaggiù.

La Chiesa in uscita non scopre l’Asia oggi. La lettera apostolica del 2001, Novo Millennio Ineunte, fu il preconio del papa viaggiatore Wojtyla per il terzo millennio di Roma.

Nuovo dinamismo impresso alla traiettoria vaticana, corroborato dalle successive esortazioni programmatiche dedicate ai cinque continenti. Ecclesia in Asia indica chi sia il nuovo depositario.

Francesco, il papa missionario gesuita, ha indicato la possibilità di una missione rinverdita. Ed ecco un altro papa missionario, ma agostiniano.

Con la maggior riflessione che quest’ordine comporta, è tempo di inculturare il Vangelo, tratteggiare un volto in cui le collettività asiatiche possano riconoscersi. Sincretizzarlo al punto giusto da non snaturarlo, nondimeno renderlo espressione delle aggregazioni umane use ad altri parametri di riduzione della complessità. Sviluppare un’i-

Il viaggio in India è certamente tra quelli mancati da Francesco

La Chiesa, negli ultimi decenni, ha cercato di (ri)appropriarsi dell’affermazione cardine della riforma protestante, Ecclesia semper reformanda Non esiste rottura.

La chiave interpretativa è data dal Concilio Vaticano II, che nella seconda metà degli anni Sessanta, ha scavato, prudentemente, lo spartiacque seguito dai papi fino ad oggi.

E Leone XIV risale lungo il continuum, recuperando l’attenzione alla

10/ «Il primo discorso di Leone XIV: Pace per il mondo, disarmata e umile», Avvenire, 8/5/25

dentità poliedrica.

Uno dei viaggi mancati, per ora, è in India, che Francesco aveva in cuore di fare molto probabilmente nell’anno giubilare in corso11. Presso la cattedrale di Goa, Stato costiero del sud–ovest indiano, ogni dieci anni, vengono esposte le reliquie di San Francesco Saverio.

Il missionario gesuita, nella prima metà del Cinquecento, evangelizzò in modo importante – se ne raccolgono tutt’oggi i frutti – diverse regioni dell’A-

11/ «Pope Francis India connection: canonisations, cardinals, and a visit that wasn’t», The Times of India, 23/4/25.

III. I nodi della Chiesa

Roma si è legata le mani da sola e Pechino pare voglia sfilarsi da una relazione ufficiosa

sia meridionale.

Le spoglie di Gõcho Saib, come localmente noto, sono oggetto di un culto che muove migliaia di fedeli e non, e sono state visitate anche da una rilevante delegazione vaticana12 a dicembre di cui facevano parte monsignor Edgar Peña Parra, sostituto per gli affari generali della segreteria di Stato vaticana, e il cardinale filippino Luis Antonio Gokim Tagle, fino al 21 aprile pro-prefetto della sezione per la prima evangelizzazione e le nuove Chiese particolari del dicastero per l’Evangelizzazione.

Presente uno dei cardinali indiani più giovani del conclave, George Jacob Koovakad, ordinato nel 2024 e, fino alla morte del papa, prefetto del dicastero per il Dialogo interreligioso. Attraverso l’apparato dei dicasteri, al netto dello spoil system, la cattedra di Pietro detta la propria grammatica.

«Il futuro della chiesa passa attraverso l’India», ha detto apertamente monsignor Parra, ma il paese è cartina di tornasole delle sfide e opportunità in cui la Chiesa può imbattersi in Asia.

Il corteggiamento tra le due potenze è affettuoso, l’India riconosce alla Chiesa il ruolo sociale svolto nell’ambito educativo e il primo ministro Narendra Modi aveva anche informalmente invitato Francesco in India. Eppure la crescente assertività indiana si manifesta attraverso il nazionalismo indù, al potere con il partito Bharatiya Janata, di cui Modi è capo politico. Espressione di una delle quattro nazioni esistenti in India, intollerante non solo con i fratelli musulmani. Almeno undici Stati dell’India hanno promulgato le cosid-

12/ «India, Asia key to future of world and church: Vatican official», The Economic Times, 27/11/244 e A. GAGLIARDUCCI, «Esposte le reliquie di San Francesco Saverio, il più grande missionario dell’Asia», Aci Stampa, 12/12/24.

dette leggi anti – conversione, tra cui il Madhya Pradesh, con 72 milioni di abitanti, che pensa di introdurre la pena di morte per i casi di presumibile “conversione forzata”13.

Ma la vita dei cristiani del paese è già abbastanza difficile tra atti di violenza e imprigionamento per chi viene colto a fare proselitismo in maniera troppo convincente, come nell’Uttar Pradesh, lo Stato più popoloso dell’India, con 231 milioni di abitanti. I cattolici rappresentano solo il 2% della popolazione indiana (circa 28 milioni di persone), ma lo spauracchio di un cattolicesimo nemico interno a potenze emergenti continua a riproporsi, con buona pace della libertà di coscienza e di religione cara al Mahatma Gandhi.

L’humus asiatico permane comunque creativo e trasformativo. Nella faretra argomentativa del dialogo interreligioso c’è una figura del pantheon cristiano che già viene tradotta in modo trascendentale: quella della Vergine Maria14. Per le sue caratteristiche agiografiche ha una versatilità panreligiosa per cui è venerata anche da musulmani, buddisti e induisti.

A Singapore non è raro vedere musulmani e indù recarsi al santuario mariano per porgere suppliche, un’abitudine appresa nelle scuole cattoliche.

Come in India ci si reca a Nostra Signora di Velakanni, in Corea del Sud una parte dei buddisti la riconosce come emanazione della bodhisattva Guanyin, che come tutti i bodhisattva, pur avendo raggiunto l’illuminazione, scelgono di rimanere vicini agli

13/ J. MCKEOWN, «Indian state could introduce the death penalty for religious conversions», Catholic News Agency, 10/3/25.

14/ M. CHAMBON, «In Asia, the Virgin Mary trascends religious boundaries», National Catholic Reporter, 8/5/23.

esseri umani per far loro da guida. In Asia centrale e orientale, l’incontro tra buddismo e cristianesimo spesso è avvenuto tramite devozione mariana. Nell’iconografia principale vietnamita, a partire dagli anni Novanta, la sua raffigurazione è etnicizzata.

La Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia raccoglie la testimonianza e l’esperienza cattolica dalle piccole realtà degli “Stan” dell’Asia centrale, alle decine di milioni di fedeli dell’Asia meridionale e del Sud-Est, fino all’Estremo Oriente.

Sebbene si sia parlato di un’Asia sovrarappresentata nel collegio cardinalizio, le teologie asiatiche non sono state considerate come le altre.

Eppure dagli anni Settanta sta germinando una teologia pan–asiatica, la “teologia dell’armonia”15. Uno sforzo per sublimare i possibili contrasti interni ed esterni, partendo dal documento del Concilio Vaticano II, Nostra aetate, sul rapporto con le religioni non cristiane. «Un cattolicesimo con caratteristiche asiatiche» è la costruzione collettiva di uno stile teleologico conscio di dover considerare le sensibilità locali, fatte di culture e filosofie.

La metafora dell’armonia asiatica è un ulteriore modo di parlare della trinità classica, in cui una pluralità di manifestazioni si fonde in un unico movimento.

Chi rimane refrattaria a tale armonia, pur proponendone spesso una propria ateissima versione nella propaganda di Stato, è la Cina. Benché Francesco sia stato ossessionato dal rapporto con la Repubblica Popolare Cinese e l’accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi, per una piena comunione con la

15/ B. VERMANDER, «Speaking of Harmony in many tongues: the crafting of a Pan – Asian Theology», Revue des sciences religieuses, n. 91/2 2017, pp. 269 – 286.

Chiesa di Roma, rinnovato fino al 2028, non si può parlare di successo. Dal 1° maggio sono entrate in vigore nuove restrizioni all’attività missionaria straniera in Cina16: L’amministrazione nazionale per gli Affari Religiosi preclude ai cittadini non cinesi residenti, di qualsiasi professione, la predicazione senza autorizzazione e le attività di proselitismo. L’associazione patriottica cattolica cinese, l’unica approvata e controllata dallo Stato, già a marzo aveva dovuto integrare nelle omelie i principi del partito comunista cinese, che opera una capillare sinizzazione delle religioni.

Il fenomeno della Chiesa clandestina (地下教会 dìxià jiàohuì), unica dimensione sommersa possibile per i non allineati, non trae alcun beneficio dall’esistenza di un accordo, tutt’altro. Questo paradossalmente permetterebbe a Pechino di agire indisturbato, dietro la facciata dialogante, per colpire chirurgicamente, trovando motivi per incarcerare preti e vescovi.

Il tutto senza suscitare eccessivo clamore. Perché Roma si è legata le mani da sola e Pechino pare voglia sfilarsi da una relazione ufficiosa17, priva di supporto diplomatico formale, per concentrarsi su quella con Washington in netto peggioramento.

Allora Leone XIV potrebbe essere il trait d’union a cui solo i cardinali hanno pensato. Conosce la materia di cui sono fatti i vescovi e ha saputo distaccarsi nella vita dalle proprie “compromettenti” origini statunitensi, tanto da convincere il collegio cardinalizio improntato da Francesco. Per interessi contrari, può attirare tanto la Cina quanto gli Stati Uniti.

16/ C. MARES, «China’s new religious restrictions severly limit foreign missionary activity», Catholic News Agency, 3/4/25.

17/ C. DE GUZMAN, «What to know about the Vatican’s relationship with China – and what the next Pope means for it», Time, 25/4/25.

III. I nodi della Chiesa

Sul Medio Oriente Leone sarà un Francesco II

Gabriele Massano analista geopolitico (da Gerusalemme)

—Il nuovo pontefice confermerà le cordiali relazioni con Turchia e Iran. Per salvare i cristiani della regione. Specie a Gaza

Gerusalemme è al contempo centro e periferia del mondo cattolico. Situata in un crocevia tra Oriente e Occidente, là dove la brezza del Mediterraneo sfuma nell’arsura del deserto arabo, la città è teatro millenario di incontri e conflitti. Popoli e imperi hanno cercato per secoli di imporvi il proprio dominio, mentre quotidianamente le tre religioni abramitiche vi convivono in un equilibrio precario, sospese in una tensione per il possesso dei luoghi santi e il primato sull’interpretazione del divino.

Gerusalemme è inoltre bussola e volano degli equilibri geopolitici del Medio Oriente.

La sua Cupola della Roccia è un marchio evocativo, in grado di racchiudere miti e passioni collettive, infiammando lo spirito dei popoli e trapassando i confini della regione. Gerusalemme è nei campi profughi palestinesi e nei sogni di chi non sa se supererà la notte a Gaza. È nei murales di piazza della Palestina a Teheran e nei discorsi dei turchi che si radunano attorno a un tè caldo dopo la preghiera nel quartiere Fatih di Istanbul. Più che una città, Gerusalemme è un simbolo. Un simbolo per cui vale la pena morire.

La sua forza evocativa non si ferma ai confini del Medio Oriente, ma si irradia attraverso le acque del Mediterraneo fino a raggiungere e scaldare il cuore di chi siede sul soglio di Pietro. Come un corpo vivente, il patrimonio della città custodisce la memoria sacra degli ultimi atti della vita di Cristo:

dall’agonia nel Getsemani alla crocifissione sul Golgota, fino all’ascensione al paradiso dal monte degli Ulivi. Microcosmo delle conflittualità che caratterizzano il Medio Oriente, Gerusalemme si configura come il laboratorio delle principali sfide della Santa Sede nella regione che è culla storico-culturale del suo messaggio di fede.

La piazza antistante alla Porta di Damasco è un crogiolo di suoni e profumi che pervadono il visitatore. Le grida dei tassisti che offrono corse alla volta di Betlemme si mischiano con l’aroma dei falafel fritti dai baracchini adiacenti, mentre la luce solare riflessa sui mattoni bianchi delle mura della Città Vecchia induce ad abbassare lo sguardo per recare sollievo alla vista, quasi fosse un gesto di omaggio alla sua magnificenza. Varcata la soglia della Porta di Damasco, si accede a una delle arterie che conducono all’antico bazaar, da cui si dipana una serie di vicoli che, tra i rintocchi delle campane e il richiamo dei muezzin, collega il quartiere musulmano a quello cristiano. Sui gradini consunti della Via Dolorosa, un gruppo di pellegrini sudamericani mette in scena una rievocazione del calvario di Cristo, portando sulle spalle pesanti croci di legno. Da una strada perpendicolare, intanto, un gruppo di ebrei ultraortodossi si dirige verso il Muro del Pianto, sotto lo sguardo vigile dei bottegai arabi.

Gabriele Massano

Per le religioni del Libro, Gerusalemme è un avamposto imprescindibile: non una sola pietra può essere ceduta o abbandonata. In ottica ebraica, la città è emblema di riscatto dopo secoli di persecuzione, capa-

annichilenti del fondamentalismo1. In questo senso, il simbolismo dei viaggi apostolici di Francesco in Terrasanta e in Mesopotamia, culle delle civiltà e delle tradizioni religiose monoteiste legate alla figura di Abramo, ha se -

Gerusalemme è al contempo centro e periferia del mondo cattolico

ce di innescare le pulsioni messianiche e identitarie che oggi scuotono le fondamenta della società israeliana. Per i cristiani è il simbolo storico e culturale della vita terrena di Gesù Cristo, oltre che il principale luogo sacro che ne unisce le fratture dottrinali.

Secondo la tradizione islamica, AlQuds è dove il profeta ha intrapreso il suo viaggio celeste, ascendendo dalla roccia attorno a cui è stata eretta la Spianata delle Moschee.

Epicentro delle tensioni e delle controversie del Medio Oriente, Gerusalemme è il banco di prova in cui Leone XIV è chiamato a misurare la propria capacità di navigare tra crisi internazionali e fragilità interne alla Chiesa. Il confronto quotidiano con i paradossi della città offre una prospettiva privilegiata per decifrare l’eredità di Francesco e delineare il cammino del pontificato appena cominciato.

In primis, Gerusalemme insegna che la Chiesa non può concepire sé stessa come una realtà isolata e prigioniera della propria autoreferenzialità. In un contesto di coabitazione complessa e conflittuale tra cristiani, musulmani ed ebrei, la promozione del dialogo e della sensibilità interreligiosa appare come l’unica strada evangelica capace di neutralizzare l’emergere delle forze disgregatrici e

gnato la cifra geopolitica di un papato impegnato con tenacia a neutralizzare le derive apocalittiche dilaganti nelle teologie della regione2.

Radicata nella fiducia che la misericordia e il perdono fossero manifestazione della volontà divina, la visione di Francesco interpretava la conciliazione delle tre tradizioni spirituali come l’antidoto all’avanzata dei fanatismi e della conseguente disaffezione nei confronti dell’elemento metafisico, per cui l’unico vero scontro di civiltà si configurava nella tensione tra mondo secolare e mondo religioso3.

Temendo che la ricerca dell’assoluto in Medio Oriente degenerasse in una proliferazione di fondamentalismi atti a legittimare forme di violenza, Francesco aveva intuito che la tutela del prestigio divino passava attraverso l’isolamento dell’integralismo, promuovendo un’alleanza delle fedi contro l’individualismo nichilista tipico dell’Occidente4 Di qui l’appello incessante per una soluzione pacifica al conflitto che

1/ A. SPADARO, L’atlante di Francesco: Vaticano e politica internazionale, Marsilio, Venezia, 2023, pp. 225-254.

2/ A. SPADARO, «Sfida all’apocalisse», La Civiltà Cattolica, Quaderno 4069, I, 2020, pp. 11-26.

3/ L. ZANATTA, Bergoglio: Una biografia politica, Laterza, Bari, 2025, pp. 235-242.

4/ S.S. PAPA FRANCESCO, G.I. AHMAD ALTAYYEB, «Documento sulla Fratellanza Umana per la pace mondiale e la convivenza comune», La Santa Sede, 4/2/19.

III. I nodi della Chiesa

affligge la Terrasanta, motivato sia dall’impegno papale in favore degli ultimi nel dramma dei civili a Gaza, altresì dal rifiuto radicale della logica condivisa da entrambi gli attori belligeranti, rei di trasformare la guerra in uno strumento di giustizia e la religione in un mezzo per il perseguimento di fini politici.

Sabbia negli occhi per chi vede nel trascendente un vettore di prestigio morale.

La riconciliazione religiosa auspicata da Francesco, fondata sulla consapevolezza dei traumi reciproci e sull’accettazione della natura conflittuale del dialogo, si sviluppava in un orizzonte di ampio respiro e prescindeva dalla necessità di rispondere a interessi contingenti5.

Il laboratorio di Gerusalemme è ancora una volta epitome delle tensioni regionali.

Nella convivenza claustrofobica della Città Vecchia, ogni gesto, anche se finalizzato a un bene comune, è inevitabilmente chiamato a confrontarsi con sensibilità confliggenti e con le cicatrici impresse nelle memorie collettive delle sue comunità.

Inevitabilmente l’approccio di Francesco, orientato verso una riconciliazione prioritaria con l’Islam, ha riacceso antichi risentimenti nella comunità ebraica che, percependosi stretta tra due minacce esistenziali, ha mostrato il suo volto più oltranzista.

Se la convergenza delle celebrazioni pasquali giudaiche e cristiane avrebbe potuto rappresentare l’occasione per riaffermare la vocazione universale di Gerusalemme, il 2025 ha restituito invece l’immagine di una città chiusa e blindata, con un accesso esiguo alla parte vecchia e il

5/ FRANCESCO, Fratelli tutti: Lettere enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2020, pp. 172-202.

diniego sistematico dei permessi di spostamento per i fedeli della Cisgiordania6.

In un’atmosfera ricolma di simbolismo, Francesco è stato richiamato al cospetto del Signore il giorno successivo. Metafora di un papato rivolto alla semina anziché alla raccolta.

Per comprendere pienamente il significato dell’eredità geopolitica di Bergoglio in Medio Oriente e le possibili direttrici dell’apostolato di Prevost, è necessario analizzare gli interessi che da secoli orientano l’azione della Santa Sede nella regione. Al centro della strategia vaticana nel Levante si colloca da sempre l’obiettivo prioritario di garantire la protezione e il rafforzamento della presenza delle comunità cristiane, in particolare cattoliche, nei luoghi in cui il cristianesimo ha avuto origine.

La memoria storica della vita di Cristo, associata alla condizione minoritaria e di subalternità dei fedeli di Roma nella regione, conferiscono a tale interesse un valore simbolico che trascende la mera dimensione quantitativa. In gioco c’è la salvaguardia della continuità spirituale e identitaria tra il cristianesimo delle origini e quello contemporaneo. Parallelamente al mantenimento di una presenza attiva in loco, la Santa Sede ha da sempre perseguito il tentativo di preservare l’integrità e la libertà di accesso per i pellegrini ai luoghi santi del Medio Oriente.

Visti dal Vaticano, i due obiettivi sono strettamente connessi e interdipendenti: senza una partecipazione viva delle comunità cristiane nella regione, i siti religiosi rischierebbero

6/ H. ELLIS-PETERSEN, Q. KIERSZENBAUM, «‘They are trying to make it unbearable’: Jerusalem Christians face Easter under Israeli crackdown», The Guardian, 18/4/25.

Gabriele Massano

di ridursi a semplici reliquie storiche. E senza la testimonianza del radicamento culturale in Terrasanta, la Chiesa perderebbe una componente fondamentale del suo patrimonio spirituale, vedendo sensibilmente ridotta la propria capacità d’intervento nella culla delle tre grandi religioni monoteiste7.

Una prospettiva esiziale per un soggetto plurimillenario che ambisce a farsi garante del dialogo interconfessionale nel Medio Oriente.

Nel corso dei secoli, l’approccio tattico del Vaticano si è modificato con il mutamento della sua caratura geopolitica, passando da potenza in grado di intervenire militarmente nella regione ad attore capace di proiettarvi la propria influenza attraverso un riconosciuto prestigio.

Durante il Medioevo, la Chiesa più volte agì in funzione di questi interessi attraverso le crociate, spedizioni militari bandite dal papato per liberare la Terrasanta dal dominio musulmano8

Per difendere le comunità cristiane del Medio Oriente e proteggere i pellegrini, i vescovi di Roma istituirono diverse confraternite di cavalieri e ordini di monaci-guerrieri, come i templari.

All’epoca delle crociate laggiù si produsse anche un cambio di visione. Nonostante le molteplici resistenze, nel 1219 Francesco d’Assisi prese la decisione di imbarcarsi con i crociati alla volta del Medio Oriente, deciso a presentare la propria fede ai saraceni e impugnare l’arma del dialogo. Supportato da alcuni frati minori che avevano dato vita a una prima

presenza francescana nel Levante, il santo d’Assisi si presentò con fare pacifico alla tenda del sultano Malik al-Kāmil. Affascinato dal coraggio del frate, il nipote di Saladino accettò di ascoltare il suo messaggio di fede in Cristo e decise di non farlo giustiziare, concedendogli invece il permesso di rafforzare la presenza dell’ordine francescano in Terrasanta, dove tutt’oggi è presente in virtù del suo ruolo secolare di custodia.

Benché l’incontro con il sultano non abbia condotto alla sua conversione né abbia modificato l’esito della quinta crociata, tale esperienza indusse San Francesco a formulare un primo cambio di paradigma del metodo di evangelizzazione della Chiesa, teorizzando l’abbandono di una prospettiva confutativa dell’eresia per abbraciare una visione più empatica9.

Tale impostazione apostolica ha marcato in modo significativo il papato di Bergoglio, che non solo ha scelto di portare il nome del santo d’Assisi, ma ha anche più volte rievocato il suo spirito nei tentativi di dialogo religioso.

In seguito al fallimento reiterato delle crociate e a una presa d’atto dell’impossibilità di riconquistare Gerusalemme manu militari, il Vaticano orientò la sua azione verso un approccio più indiretto.

E la presenza sul territorio dell’ordine francescano assunse una funzione cruciale, insignendo i frati dell’autorità di rappresentare la Chiesa in Terrasanta.

7/ S. FERRARI, «The Middle East Policy of the Holy See», The International Spectator: Italian Journal of International Affairs, 39:2, 2004, pp. 79-88.

8/ C. TYERMAN, God’s War: A New History of the Crusades, Penguin Books, Londra, 2007.

Con l’avvento del dominio ottomano sulla regione, la Santa Sede ricorse al sostegno delle potenze europee, in particolare della Francia, facendo leva sul loro peso politico per tutelare gli intessi dei cattolici presso i sultani di Costantinopoli.

9/ V. SCHIAVO, «Quando il Cristianesimo incontra l’Islam: San Francesco e il Sultano», OasisCenter, 20/3/19.

III. I nodi della Chiesa

Questa manovra tattica si tradusse nelle cosiddette “capitolazioni”, accordi di natura giuridico-commerciale poi estesi anche alla salvaguardia dei privilegi e delle garanzie di specifiche comunità religiose residenti nelle province della Sublime Porta10. Finché la dissoluzione dell’impero ottomano e l’ingerenza di potenze europee dedite a fomentare le pulsioni nazionaliste delle comunità locali causarono il progressivo distaccarsi del Vaticano dall’azione delle cancellerie europee11

Intuendone la carica destabilizzante, la Chiesa optò per un approccio diplomatico autonomo, evitando la pretesa di un’egemonia cristiana sulla

terreligioso, trovò piena espressione nella dichiarazione Nostra aetate del Concilio Vaticano II.

In risposta alle mutate condizioni geopolitiche, la Chiesa inaugurò una nuova stagione perseguendo due finalità coincidenti: da un lato, promuovere un’alleanza delle fedi per contrastare l’avanzata della secolarizzazione; dall’altro, proporsi come autorità morale super partes capace di intervenire in conflitti che mettono a rischio la protezione delle comunità cattoliche, come bussola etica di un’umanità alla deriva.

Epperò, pur sostenendo il diritto all’autodeterminazione di entrambi

Leone potrebbe diventare facilitatore di un accordo tra Stati Uniti e Iran

Terrasanta e instaurando un dialogo diretto con interlocutori interessati a risolvere la questione dei luoghi sacri in una cornice sovranazionale.

La svolta definitiva avvenne dopo la nascita dello Stato di Israele, che la Chiesa avvertì come un evento dirimente, non soltanto a causa di un radicato pregiudizio nei confronti del popolo ebraico, ma anche per timore che la minoranza cattolica nell’area rimanesse soffocata tra due progetti nazionali etnicamente e religiosamente connotati. Tale riflessione, unita al turbamento della coscienza ecclesiale provocato dalla Shoah e alla concomitante consapevolezza che la salvaguardia della comunità cattolica in Medio Oriente non potesse più prescindere da un dialogo in-

10/ G. SALE, «I cattolici nell’Impero ottomano e la loro presenza in Medio Oriente», La Civiltà Cattolica, Quaderno 4136, IV, 2022, pp. 112-122.

11/ G.A. DEL ZANNA, The Pope and the Sultan: Vatican Diplomacy and the Ottoman Empire (19th20th Century), in Osmanli’da Siyaset ve Diplomasi, Mahya Yayıncılık, Istanbul, 2016, pp. 213-224.

i popoli e rifiutando ogni pretesa di controllo esclusivo sulla Terrasanta, sulla questione israelo-palestinese il Vaticano non fu mai percepito dai protagonisti locali come un attore imparziale, se non altro perché la comunità cattolica locale ha forte connotazione araba12.

L’analisi della traiettoria geopolitica del Vaticano nel contesto mediorientale è materia complessa, in quanto inadatta a essere incasellata nei modelli interpretativi applicabili ad altri attori internazionali. Tentare di trasporvi meccanicamente schemi di matrice geopolitica finisce per trascurare la dimensione spirituale che permea l’azione della Chiesa.

Allo stesso modo, un’enfasi eccessiva sull’elemento del trascendente

12/ G.E. IRANI, The Papacy and the Middle East: The Role of the Holy See in the Arab-Israeli Conflict, 1962-1984, University of Notre Dame Press, 1986, pp. 9-56.

induce a sottovalutare il fatto che la Santa Sede costituisce una vera e propria potenza geopolitica, sostenuta da una comunità globale di 1,4 miliardi di fedeli e da strumenti di influenza non convenzionali, capaci di modellare le dinamiche internazionali.

Tuttavia, alla luce degli elementi di continuità di cui sopra, è possibile disegnare una panoramica della traiettoria impressa da Bergoglio alla barca di Pietro nelle acque del Medio

facilitatore del potenziale accordo sul nucleare tra Stati Uniti e Iran, conducendo le parti verso l’intesa e candidando Roma come sede per un’eventuale firma.

Per evitare che la Siria si trasformi nuovamente in un incubatore del fondamentalismo jihadista e in epicentro delle emigrazioni che sconvolgono l’area, è altrettanto possibile che Leone, seguendo le orme di Francesco, voglia stabilire un’intesa con la Turchia, av-

Il Vaticano non si arrenderà a un Medio Oriente senza cattolici

Oriente, nonché delineare probabili orizzonti di coerenza con il pontificato di Leone XIV.

Muovendo dal presupposto che soltanto una piena inclusione dell’Iran nell’equazione regionale avrebbe garantito la stabilità delle comunità cattoliche mediorientali, negli anni Francesco ha cercato di innescare un processo di integrazione della Repubblica Islamica negli equilibri regionali.

Ed è plausibile che papa Robert Prevost intenda proseguire lungo questo solco, tanto per la lezione del 7 ottobre 2023 relativa ai pericoli insiti nella marginalizzazione dell’Iran, quanto per la naturale affinità dottrinale e organizzativa tra clero sciita e Chiesa cattolica, che ne favorisce un’interlocuzione privilegiata13.

Non è da escludere che il neoeletto pontefice possa assumere il ruolo di

13/ G. MASSANO, «Vaticano e Iran si cercano», L’ultimo Giubileo, Domino, n. 12/2024.

valendosi dell’influenza di Ankara sul contesto damasceno per salvaguardare la nutrita comunità di cattolici in loco. Infine, è probabile mantenga un atteggiamento di aperta critica e frizione con Israele.

Se da un lato il progetto di espansione territoriale e di omogeneizzazione etno-religiosa intrapreso dallo Stato ebraico si pone in antitesi con la visione ecumenica promossa dalla Chiesa, la posizione di denuncia e solidarietà con il popolo palestinese espressa da Bergoglio ha fatto breccia nel cuore del Medio Oriente, aumentando il prestigio simbolico e morale della Santa Sede.

È dunque verosimile che Leone XIV si mantenga su questo tracciato. Nonostante il mutamento degli equilibri regionali, una certezza rimane: il Vaticano non si arrenderà mai a un Medio Oriente senza cattolici.

III. I nodi della Chiesa

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Numero 5, maggio 2025

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