Avvoltoi di mario giordano

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Gli Avvoltoi dei trasporti Si sono buttati sopra al treno (e anche all’autobus)

■■■ Si sono buttati sopra al treno. Proprio così. Non sotto, come forse sarebbe stato meglio. Non dentro, come sono costretti a fare milioni di pendolari ogni giorno in condizioni a volte disumane. No: proprio sopra. Si sono buttati sopra ai treni, sopra agli autobus, sopra ai tram. Si sono buttati sopra le carcasse del trasporto pubblico e se le sono divorate da veri Avvoltoi. È successo un po’ dappertutto, su e giù per l’Italia. Si è discusso tanto di Atac negli ultimi mesi (ne parleremo anche qui, cercando di capire, carte in mano, perché si è arrivati a quella situazione). Ci si è indignati per l’incidente alle porte di Milano. Ma il problema, purtroppo, non è solo a Roma o in Lombardia: dall’Umbria alla Puglia, passando per Torino, Napoli, Bari, ovunque spuntano vagoni d’oro, bus fantasma, treni comprati a caro prezzo e fermi da anni, soldi buttati, soldi intascati, tangenti, operazioni illegali, strane compravendite, manager arricchiti, denari distribuiti a pioggia e utilizzati per tutto, tranne che per migliorare il servizio. Risultato? Le tariffe continuano ad aumentare, i costi pure (lo sapete che come contribuenti paghiamo 6000 euro al minuto per il trasporto pubblico?). Ma questi quattrini non servono per far funzionare come si deve treni, tram e autobus.

E allora, vi chiederete, dove finiscono? Ecco, se leggerete questo capitolo lo scoprirete. Magari sono serviti a pagare auto di lusso e film porno a qualche Avvoltoio…

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Lo scandalo degli autobus di seconda mano (200 all’anno) Ma lo sapete che li compriamo usati? Voi che alla mattina salite sull’autobus, voi che timbrate il biglietto (ma sì, c’è ancora qualcuno che lo fa), voi che correte il rischio di finire in una scarpata (succede), voi che leggete una breve sul giornale «vecchio bus prende fuoco» e quasi non ci fate caso (succede sempre più spesso), voi che magari siete chiamati a scendere e a spingere quel pullman che non vuol saperne di andare avanti (succede anche questo), ebbene: voi lo sapete che li compriamo usati? Sicuro: usati. I mezzi pubblici in Italia sono di seconda mano. Spesso, molto spesso, quasi sempre. Per lo meno abitualmente. Noi compriamo gli scarti delle altre nazioni. Proprio così: quando Germania, Francia, Olanda, Svizzera, Polonia buttano via i loro mezzi pubblici perché sono troppo vecchi e insicuri per girare sulle strade, noi li compriamo e li mettiamo in circolazione con orgoglio. La loro spazzatura è il nostro investimento, i loro scarti sono il nostro futuro. Allegria.

Ma che futuro può avere un Paese che investe su autobus usati? Che futuro può avere un Paese che ricicla come novità gli scarti d’Europa? Che si fa bello con le rimasticature non solo della Germania ma persino, sia detto con rispetto, della Polonia? Un’unica volta questa pratica è venuta fuori con un certo clamore: nel novembre 2016 quando l’Eav, Ente Autonomo Volturno, società pubblica della Campania, per ammodernare (si fa per dire) la sua flotta aveva comprato 23 pullman usati dalla Polonia. Spesa: 1 milione e 200.000 euro più Iva. I sindacati allora denunciarono il fatto e aprirono la polemica. L’azienda si risentì: «Ma come? Se sono in ottima condizione». In ottima condizione? Può darsi. «Ma con 7 anni di vita alle spalle e in media 600.000 chilometri sul groppone», insorsero i giornali. Fu il solito polverone. E come tutti i polveroni, dopo pochi giorni si dissolse.

Qualcuno di voi magari lo ricorderà. Qualcuno, magari, lo avrà liquidato in fretta, pensando: ecco, siamo alle solite, le cattive abitudini napoletane, la mala gestione del

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Sud, Pulcinella e mandolino in salsa tramviaria. E invece no: quello che non sapete, quello che nessuno sa, perché viene appositamente tenuto nascosto, è che la pratica di acquistare bus usati in giro per l’Europa non è una specialità della Campania. Macché: è diffusa su tutto il territorio nazionale. Potremmo dire che è la prassi. Qualche esempio?

Lo abbiamo scoperto, tra mille reticenze e tentativi di occultare. A gennaio 2017 la torinese Gtt acquista e mette in circolazione 44 autobus usati provenienti dalla Polonia; nel 2016 sempre a Torino la ditta Canova (controllata anch’essa dalla Gtt) compra 4 autobus usati dalla Germania (prezzo complessivo 471.000 euro) e uno dal­l’Iveco France Société Anonyme (52.000 euro); a Catania nel maggio 2016 la società pubblica di trasporti compra 4 autobus usati dalla Svizzera; e sempre dalla Svizzera sono arrivati a Genova, nel settembre 2016, 15 autobus usati con 12 anni di vita alle spalle. «Sono più nuovi rispetto a quelli italiani» si è difeso nella circostanza l’assessore competente. Più nuovi?

Con 12 anni alle spalle? Sarà. Intanto, chissà perché, appena arrivato, uno degli autobus usati si è subito guastato. Che fosse troppo nuovo?

Fra l’altro, in questo giro vorticoso, c’è chi non s’accontenta della seconda mano. E passa direttamente alla terza.

Come la città di Messina, che non compra gli autobus usati dalla Polonia, ma li compra (sempre usati) da Torino che a sua volta li compra (sempre usati) dalla Polonia. Siamo allo scarto dello scarto: così, per la proprietà transitiva dell’autobus usato, i torinesi viaggiano felici sui mezzi che i polacchi hanno rottamato perché troppo vecchi, e i messinesi viaggiano felici sui mezzi che i torinesi hanno rottamato per acquistare mezzi già rottamati dai polacchi. Un trionfo. Speriamo solo che qualcuno non si faccia venire l’idea di continuare la catena, comprando gli autobus dismessi da Messina di quarta mano: lo scarto dello scarto dello scarto.

Altrimenti, avanti di questo passo, tra un po’ entreranno in servizio direttamente le bighe. Sempre per la felicità dei viaggiatori di Torino e Messina, naturalmente, se nel frattempo sono sopravvissuti agli incidenti. Dubbio che sorge

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spontaneo leggendo i giornali: un giorno a Torino un autobus della linea 18 va a fuoco in via Bologna, un altro giorno a Messina un autobus della linea 74 finisce in una scarpata per guasto tecnico…

C’è da meravigliarsi? Nel gennaio 2017 suscita molta impressione il pullman con un’ottantina di studenti a bordo che s’incendia a Noventa Vicentina. Il mezzo aveva 10 anni di servizio alle spalle. Troppi? Il «Giornale di Vicenza», nell’occasione, va a intervistare il direttore generale di Svt, l’azienda di trasporti locale, Umberto Rovini, che si stupisce dello stupore: ovvio che i mezzi sono vecchi, dice, ovvio che i mezzi si comprano usati. E perché? Perché «gli autobus usati costano un terzo rispetto ai nuovi». Come a dire: trattasi di pratica consolidata. Risultato? L’età media degli autobus in circolazione in molti Paesi europei è di 7 anni, in Francia 7,9 anni, nel Regno Unito 7,7, in Germania 6,9. Da noi: 12,2 anni. Ma ce ne sono anche di ultraventenni. Nel 2015, per esempio, a Messina risultavano circolanti 7 autobus del 1991. Cioè con 24 anni di onorato servizio nello spinterogeno. Poi uno si stupisce se finiscono nella scarpata.

Eppure tutti fanno così, ve l’abbiamo detto. Continuano a fare così. «Cerchiamo autobus usati d’occasione» fa sapere il 20 luglio 2017 l’Azienda Siciliana Trasporti, con apposito bando. Li vuole con «motore funzionante» e «carrozzeria priva di ammaccature». Se poi il cambio si rompe al primo semaforo o il volante s’incastra alla prima curva, pazienza.

Che ci volete fare? Non c’erano abbastanza soldi a disposizione per mezzi nuovi. Siamo anche in grado di rivelarvi, per la prima volta, al di là dei singoli casi che vi abbiamo illustrato, quanti sono gli autobus usati venduti ogni anno in Italia alle aziende di trasporto pubblico. Tenetevi forte perché stavolta si rischia di andare fuori strada: il numero è tosto. Sono 200. Ebbene sì: ogni anno sulle nostre strade immettiamo 200 mezzi pubblici di seconda mano, usati e strausati, quelli che negli altri Paesi vengono buttati via come ferrivecchi. Lo sapete come siamo arrivati a questo numero? Ora vi confidiamo un altro segreto che pochissimi sanno. La vendita di autobus usati è talmente diffusa, che

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esiste un mercato apposito. E un’azienda specializzata in questo tipo di attività. Proprio così: un’azienda specializzata in vendita di autobus usati. Non ci credete? Andate sul sito della Basco Bus di Olgiate Comasco. Troverete le migliori offerte: vuoi un Man Nl 313 Cng con 12 anni di anzianità e 600.000 km? Un Setra S 431 con 11 anni e 1.250.000 km? Un Man A21 con 17 anni e 1.194.000 km? Avanti, prego accomodatevi: finché c’è olio motore c’è speranza.

La Basco Bus è gestita dalla famiglia Battaglia che sull’autobus usato sta realizzando un discreto business. Sette milioni di fatturato, una ventina di dipendenti, qualche difficoltà negli anni passati per un fornitore fallito («Abbiamo visto i sorci verdi» confessano), il solito tormento delle amministrazioni pubbliche che ritardano i pagamenti, ma la domanda, ah quella non manca mai. «Ci battiamo.» E quanto vendete? «Trecento autobus usati all’anno.» E quanti alle amministrazioni pubbliche? «Il 70-80 per cento.» Per cui all’incirca 200 l’anno? «Sì.» E quanto sono vecchi? «Anche di 15 anni.» Cioè, ci sono amministrazioni pubbliche che comprano autobus vecchi di 15 anni per rinnovare il loro parco mezzi? «Sì, ma non mi faccia fare brutta figura.» No, certo: nessuna brutta figura: la Basco Bus è un’impresa, fa il suo mestiere, cioè fa soldi. Ma, arrivato a questo punto, un italiano che paga le tasse (e tante) e il biglietto (in aumento) non può fare a meno di chiedersi: perché in Polonia hanno gli autobus nuovi e noi quelli vecchi? Perché in Germania si viaggia su mezzi sicuri, che dopo 7 anni di vita vengono scartati, e da noi invece quando li compriamo nuovi hanno già 15 anni e magari un milione di chilometri alle spalle? Non esiste qualche regola europea al riguardo per impedire questo scempio? O le regole europee valgono solo quando devono tagliarci le pensioni?

Il servizio fa schifo, ma ci costa 6000 euro al minuto Dicono: è un problema di soldi. Gli altri ne investono di più. Sarà. Eppure noi non ne investiamo pochi. Nel luglio 2017 è uscito un rapporto di Mediobanca sulle cosiddette

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