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Ricerca Visiva



e capì tardi che dentro quel negozio di tabaccheria c'era più vita di quanta ce ne fosse in tutta la sua poesia; e che invece di continuare a tormentarsi con un mondo assurdo basterebbe toccare il corpo di una donna, rispondere a uno sguardo... Roberto Vecchioni

non lo so se è meglio vivere che scrivere, so che scrivo perchè forse non so vivere, per conoscere l’oscurità prima che faccia buio; Roberto Vecchioni

Le parole definiscono il mondo. Se non ci fossero le parole, non avremmo la possibilita’ di parlare di niente. Ma il mondo gira e le parole stanno ferme. Le parole si logorano, invecchiano, perdono di senso, e tutti noi continuiamo ad usarle senza accorgerci di parlare di niente. Giorgio Gaber



Se ne dicon di parole gocce come quando piove del silenzio che c'e' poi resta l'eco dentro noi Se ne dicon di parole sono schegge di rancore come artigli di avvoltoi fredde lame di rasoi Giuliano Palma

Io scriverò se vuoi perché cerco un mondo diverso con stelle al neon e un poco d'universo mi sento un eroe a tempo perso io scriverò se vuoi perché non ho incontrato mai veri mattatori e veri ombrellai ma gente capace di chiederti solo come stai io scriverò se vuoi perché ho amato tutti i sessi ma posso garantirvi che io non ho mai dato troppo peso al sessso mio ma con chiunque sappia divertirsi mi salverò che viva la vita senza troppo arrichirsi mi salverò che sappia amare che conosca Dio come le sue tasche io scriverò perché ho vissuto anche di espedienti perché a volte ho mostrato anche i denti perché non potevo vivere altrimenti io scriverò sul mondo e sulle sue brutture sulla mia immagine pubblica e sulle camere oscure sul mio passato e sulle mie paure Rino Gaetano



Indice

r

Equilibrio

10

Configurazione

24

Forma

38

Sviluppo

56

Spazio

78

Luce

98

Colore

112

Movimento

172

Tensione

178

Espressione

186



Tutto ciò che ci circonda, gli oggetti, le cose, la realtà non è nel modo in cui noi la vediamo, la percepiamo. Percepire significa, acquisire coscienza della realtà grazie all’intuito o attraverso i sensi. La parola percezione deriva dal latino perceptionem da perceptus participio passato di percepire, apprendere. Corrisponde all’organizzazione dei dati sensoriali in un’esperienza complessa, ovvero al prodotto finale di un processo di elaborazione dell’informazione sensoriale da parte dell’intero organismo. La percezione consiste nell’ assegnare un significato agli stimoli provenienti dagli organi di senso e nell’attribuire ad essi proprietà fisiche: nitidezza ad un’ immagine, grandezza ad un oggetto, chiarezza ad un suono, ecc. L’Equilibrio si raggiunge con la tensione, movimento sofferto di espressioni dai colori tetri. Nello spazio danzano, si configurano forme che mutano, si sviluppano, al fine di vedere la luce. Giulia


L’equlilibrio, ineffabile, desiderato, irraggiungibile, è un attimo, un momento, la quiete prima e dopo la tempesta. L’equilibrista più virtuoso può rimanere per ore su una corda sospesa, senza mai perdere l’equilibrio, ma questo è solo quello che vediamo, che vogliamo vedere. Un corpo in equilibrio non sottintende una mente in equilibrio. Questo è disegnato da tante piccole situazioni concatenate tra loro, visibili e al contempo impercettibili. Tutti siamo degli equilibristi, equilibristi della vita. Per sopravvivere è necessario giocare con la vita, perchè lei ha la mano pesante, e non si fa scupoli, gioca beffarda, divertita, muove i fili, decide gli intrecci, e come insetti insignificanti, dimostriamo solo la nostra mediocrità e la nostra goffaggine nella ragnatela della vita. Le parole sono mero codice. Così come è necessario giocare con la vita, un po’ per non morire, giocar con le parole aiuta. E noi sull’illusione... E so certo, tre cose Ora baro Ora per poi io preparo E’, la morte, tetro male È carbone? No: brace! Arte tetra


Equilibrio Equilibrio


ECO VANA VOCE Qual è la tua essenza? Qual melodia diffonde il tuo nome? Sospiro delle mie inquietudini. Carboni incandescenti tra fiamme scintillanti, che ancor prima d’esser vibrazione, riducono al silenzio le parole, ammirerò le albe e i tramonti della solitudine, Dinanzi alle onde di un seducente e ingannevole oceano. La luce sfugge adagio, mentre si rinnova il tuo ricordo, incessante come l’eco dell’onda, che plasma l’immensità. Mai riposerò libera e nuda, svestita dal tuo tenebroso mantello, che rapisce la mia anima in un bacio fatale.

E’ RARO PASSARE PER ASSAPORARE

“L’abbandono dei treni”, Gabriela Bordin

Palindromi

eclisse Il chiaro cielo si spegne ad imitar la notte. Un attimo troppo bello per non essere reso eternità. Un attimo puro e semplice. Un bacio, nuovo, antico, giovane e ancestrale. Luna incerta e inquieta, luna vecchia, nuova, luna piena, In un attimo sola, e... ascoltare il silenzio del cielo nella sua bellezza indiscreta e inconsueta toglie il fiato.

12

I TRENI INERTI

Assaggia la vita: questa mattina sa di nebbia e di vecchi treni persi in un’aurora livida e fumosa. Certo, tutto passa, come un treno. Ma se riesco, anche per un istante, l'istante di una vita, a salire su questo treno e ad assaporare il viaggio, la compagnia, il paesaggio, la malinconia allora tutto quello che passa non sarà passato invano.


13

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Palindromi

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Il tango è un sentimento. Un groviglio di pensieri non detti, di gesti esibiti, di sottili intenzioni è un perdersi e lasciarsi nel controllo di sè è l'intuizione precisa e inesprimibile, il rigore di una seduzione latente. Il tango è passione, malinconia, dolce, struggente oppure divertita quasi impalpabile seppur tangibile. é il colore che hai dentro, negli anfratti dell’anima, che non è scuro: ma indossa le sfumature. Le sfumature dei sentimenti.


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Calligrammi

15

Notte di po

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Dal solenne silenzio della luna che mi trita e tortura, e ancora giura, il corpo perde consistenza, si smaterializza, agonizza, realizza, si annienta, rammenta, fomenta, aumenta, lamenta,rallenta:cede,concede,avvede. La notte divora questo cuore afflitto, sconfitto. L’esistenza cattura e tortura il corpo, colora, discolora, esplora, implora, assapora, amarezza incorporea

o

Tristezza, incompletezza, inadeguatezza, assenza tenerezza. Notte di poche stelle, pensiero assorto, sconforto, l’incendio è in atto, il canto del fuoco, percorre, corre, rincorre, la quiete. Inverno interiore, dolore incolore, amore, disamore, rumore silente, assente, latente, impotente. Il corpo cede, concede, dimette i suoi soltati, pensieri intrecciati, svelati, straziati.

e

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no

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Le labbra rosse della sera scivolano dolci sui seni caldi della città invitando la notte a schiudere i cancelli del peccato(passione); la notte che imprigiona quelle labbra, quelle labbra di cui è schiava.

e ot ep pr a or gn , si fel eif rre a to a. L hiav i è sc di cu labbra , quelle lle labbra Peccato (passione): la notte che imprigiona que Le labbra rosse della sera, scivolano dolci su is e n i c a l d notte i della c che i t t à ( nott e),in v i t a ndo la n ott e, l a l e sch de iu l d cie e r lo ei ca n ce ll

La Torre Eiffel, signora prepotente, regina della notte; par rubare tutte le stelle del cielo nel suo vortice sensuale, lasciando a Parigi una notte amara, una notte che divora il respiro, una notte che in un silenzio di seta strozza i pensieri...

lla notte

...e perle, solo perle che timide scrutano il buio, scrutano quel vuoto, e d'improvviso voglia di piangere, una luce mai vista, semplice e dolce; gemme, gemme lucenti sfiorano dolci l'ombra, per catturare lo splendore della tempesta di stelle della regina della notte, che non potrà mai avere quella luce pura e semplice, che nasce dal pensiero di non poter sfiorare le tue labbra, ora forse violate dal sole.

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Calligrammi

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La regina della notte non può avere la luce di quelle gemme, troppo rara, troppo segreta, troppo preziosa, preziosa anche per te... ...ed io resto immobile, con le mie gemme strappate alla notte, senza respiro, davanti alla signora prepotente, che lascia a Parigi una notte amara.

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Tipoesia

17

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e poi c’è chi ancora sostiene che le parole non hanno un peso

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Parole :

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~ Tipoesie

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o poesia visiva, testi composti con caratteri tipografici.

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Tipoesia

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rima del ritorno alle or igin i

La vita è una parentesi nella continuità del tempo prima del ritorno alle origini.

La vita è una pa r e n t es i

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Mescolare delicatamente delle “V” e delle “O”, dalla danza di queste lettere una stella marina.

O

_ Tipoesia

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Tipoesia

21

Virg pare ole ntes i lette re

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Queste non sono semplici linee, ma il logorante contrasto tra:

Tempo Esteriore

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Morfotesti Parlanti

22


23

riore

Temp o

e Int

Temp o

e Int

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Morfotesti Parlanti


Configurarsi, significa ssumere un determinato aspetto, presentarsi in un certo modo. La realtà oggettiva viene da noi percepita, quindi noi sentiamo e vediamo una realtà soggettiva, in quanto fruisce attraverso di noi, filtro soggettivo. Quindi la realtà si configura alla nostra vista in modo completamente personale. Noi vediamo quello che vogliamo vedere, influenzati da mille fattori. Siamo figli della stessa realtà, come la sabbia e quello che disegna, è figlia dei capricci del vento.


Configurazione Configurazione


Collage di testi ità d e r e r e p i is c c u i r Genito i classe d i n g a p m o c i a d Violentato ita in g e t n a r u d e n n e 3 Abusi su 1 Puglia Sesso in cambio di agevolazioni, arrestato l’ex prefetto Al colloquio di lavoro la bellezza conta più del curriculum

e c i l p m e s ù i Tutto è p Entra co Menù a ricari n il nostr buffet o oper che. U 5€ a sufrui tore e sulle ra chiama te e i i di uno s raddoppi le conto messag Sconti del 50 g i, per fino al % 6 mesi 70% t

utto l ’anno

Collage di testi

26


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i e d o m o L’u i n g o S una vita perfetta Regist r

Collage di testi

Incontri sul web hai la video chat, instant messanger ed e-mail per contattare la persona a te cara.

azione

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Facile Comunicare

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e in tempo r a ic n u m o c e sibil mondo l internet, pos e d e t r a p i n on og istantaneo c

Il paradosso

INCOMUNICABILITA' FRA ESSERI UMANI

E' SOLO UNA QUESTIONE DI OPINIONI?

VERITA' ONESTA' INTELLETTUALE E ASSOLUTE , ESISTONO? Pirandello è colui che si rende conto del disgregrarsi dell'io, intravede già ai suoi tempi il nulla su cui poggia il sistema di valori che l'uomo si è costruito, per proteggersi dall'irruzione dell'assurda, caotica, imprevedibile realtà.

scere o n o c i d ilità Impossib ssoluta. a à t i r e v una Uomo: senso di solitudine e comincia a sentirsi nessuno.

Perdita d'identità dell'uomo moderno


Ekfrasis

Il ritratto di Dorian Gay Passi dai casini ai bordelli per avere i giovani più belli, Non disdegni di quelle donne che hanno sorprese sotto le gonne. Del corpo tutti i piaceri, gli ardori, i sapori, dell’anima i lamenti, i tormenti, i tradimenti

Anziana Casta Londra Vittoriana, si mostra puritana ben nascosta sotto la sottana di una popolana (puttana), umana, sovrumana, con collana di porcellana, suona una campana, alta società mostra miglior la sua nobiltà Capacità, incapacità, equivocità caducità, ferocità, felicità, INFELICITà.

Dorian amante di città, Sospeso tra arte e realtà, ambiguità, viltà, oscenità, per appagare una vita di vanità.

Dorian Gay, giovane fanciullo, tra bidonville e salotti, frequenta uomini corrotti, nelle trame più profonde i suoi sentimenti confonde infonde, effonde, diffonde, trasfonde tra le bionde e altre sponde. sempre ben vestito, comportamento assai ardito. L’ etica, ah quella non è importante l’estetica assai più affascinante: impressionante, garante, amante tremante. unica preoccupazione infrazione, frazione, liberazione deliberazione, vibrazione: il piacere, tentazione, unica fonte di sapere. Non hai certo pregiudizi, anche con gli uomini ti delizi, uomo di vizzi a giovani e vecchie l’occhio strizzi.

Ekfrasis

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Ekfrasis

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L’Avvocato del Cavolo L’avvocato del cavolo si è messo in società con il diavolo Colui che deve scoprir la verità non vede la realtà il poveretto è proprio un inetto Il diavolo sa come si fa, tra vizi e vanità, a nascondere l’oscenità se l’uomo ha un ambizione la raggiunge senza contraddizione il diavolo concederà la notorietà il diavolo lo ha fatto fesso, in casa l’accesso, con la moglie l’amplesso Per fama, soldi e successo, ha messo la vita nel cesso. inibizione, esibizione, nessuna proebizione, del Diavolo la benedizione: La moglie pazza schiamazza, stramazza paonazza, svolazza il senno nella tazza pazza la moglie, ha le doglie il diavolo, la fa avvizir come le foglie, Un vanto per la lussuria Libero arbitrio è una fregatura, da retta alla cintura, il mondo, un’architettura, sarà tuo dopo quest’ avventura ascolta tuo papà, che è vissuto nell’al di là. Sorella, donna s’indonna, sotto la gonna sesso, ossesso, possesso: incesto, gesto manifesto, un po’ indigesto, richiesto disonesto, funesto, calpesto, resto, rivesto, desisto, esisto, insisto, nasce l’anticristo. L’avvocato con orrore, si sveglia dal suo tepore, torna la realtà, si rinnova: vanità, oscenità, l’avvocato del cavolo cede alle mani del diavolo.


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S'i fosse fuoco, arderei 'l mondo; s'i fosse vento, lo tempestarei; s'i fosse acqua, i' l'annegherei; s'i fosse Dio, mandereil' en profondo; s'i fosse papa, allor serei giocondo, che’ tutti cristiani imbrigarei; s'i fosse 'mperator, ben lo farei; a tutti tagliarei lo capo a tondo. S'i fosse morte, andarei a mi' padre; s'i fosse vita, non starei con lui; similemente faria da mi' madre. Si fosse Cecco com'i' sono e fui, torrei le donne giovani e leggiadre: le vecchie e laide lasserei altrui.

Sconfigurazioni terapeutiche

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Sconfigurazioni terapeutiche

Oh Cecco, Vecchio toscanaccio. Sapessi la tua penna non ha nulla che invidiare ai Maledetti, ironica e ardita, addirittura Monicelli, toscanaccio anche lui ha girato un film sui “maledetti toscani”. Pensa ora l’ironia è usata in tutti settori, si per fare quattrini, “che ironia”; ah! Averlo saputo. Lo so che il tuo core è disnaturato, e che non crede a niente di ciò che vede, ed è proprio con questi pensieri che ti sei dimostrato un “modernaccio” e con la tua “s’i fossi foco” hai saputo leggere nel futuro, pensa un cantautore ha pure musicato le tue parole. Sarebbe proprio questo il secolo che fa per te, comunque se ti può consolare i versi “apocalittici” della tua poesia , anche se non per mano tua si sono avverati: in un decennio hanno arso, tempestato e annegato il mondo due Zunami e tre terremoti, Dio, ancora argomento delicato, ancora quel burlone non si è fatto vivo, e neanche i suoi messaggeri, o sedicenti Gli fanno onore, pensa gira voce che il fratello del papa sia immischiato in dei casi di pedofilia, è proprio vero il clero c’imbriga tutti. Se tu fossi imperatore taglieresti il capo a tutti eh?! Menomale che non lo eri, ora c’è un dittatore che “convinto della sua bontà”, attaccato dagli aerei ONU, si è fatto scudo con il suo popolo. T’hanno battuto è, tu hai promesso la morte ai tuoi genitori, oggi non si va mica più avanti a promesse, fanno sul serio, non fa più notizia: genitori uccisi per l’eredità, o semplicemente per un alterco. Ah! Ora, ora parliamo dell’argomento migliore, le donne: non dovresti più consolarti con vecchie e laide, tutte le giovani e leggiadre sarebbero tue, addirittura minorenni. Oh poi se minorenni non ti piacciono, un po’ di botolino e chirurgia estetica, e le sessantenni son come ventenni, pelli vellutate e lisce: teatro di marionette. Poi se i tuoi gusti variano sul mercato puoi trovare trans e travestiti, altro che laide, ah! Roba passata. Potresti addirittura farte il politico, ne hai tutte le qualità, ma credo che loro ti supererebbero. Fino ad ora ho scherzato, non sei neanche paragonabile ai nostri politici, volevo solo un po’ farti arrabbiare vecchio marpione. So che le tue parole sono critiche ardite e profonde, però smettila di fare l’anticonformista, tanto oh! Ci fregheranno sempre, i “falsi cristiani” spacceranno la fede per lucro e per sesso. Tu giochi sempre sulla contrapposizione, sulla diversità, rassegnati, tanto faglielo capire te al Vaticano che le coppie Gay sono uguali alle altre! Non lo vogliano intendere. O ammettilo che sei in crisi d’identità, non ti ritrovi nel tuo mondo eh? ma i piaceri della libagione non si disdegnano mai eh Cecco? non si dice mai di no alle belle donne, al gioco e al vino! Mi sarebbe piaciuto tanto conoscerti, e farti conoscere degli “amici miei”, hanno certi “vizietti”...

Giulia Ps. ma d’i tu’amico Dante icche tunne dici? che gli’ha scritto “La Commedia” per dire quello che te tu ha detto in tre versi? E poi lui mica scherzava, e c’avea da angelica’la Beatrice.


e

Cade r

B

dalle nuvole

i spiriti t n le l o

Neoconfigurazionismo

32


Na vig are in ret e

Non è mai stato cosÏ facile

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Neoconfigurazionismo

Attaccare bottone


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gr ses ad to o

Avere gli occ

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Neoconfigurazionismo

34


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Avere grilli per la testa

Neoconfigurazionismo


Perdere la faccia

Neoconfigurazionismo

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Neoconfigurazionismo

Essere fuori forma


La forma è come un biglietto da visita, perchè l’occhio è maledettamente attratto dal’l’estetica, dalla forma: se un oggetto/soggetto ha delle forme piacevoli, siamo ammaliati da questo. Nel teatro delle apparenze forme suadenti vincono anche sulla morale. Per quanto riguarda le parole, è vantaggioso saper parlare secondo una buona forma, discorsi compiti e parole rinfilate come le perle di una costosa collana hanno un potere “occulto”. Parole che abbracciano quello che vogliamo sentirci dire sono le chiavi per i lucchetti, altrimenti chiusi.


Forma Forma


Una Questione di Gusti Parole Salate

Parole Salate

Il ronzio di una zanzara riecheggiava zelante nella testa, era un grido stridente in contraddizione con le mie congetture. Scrutavo il mare, sgarbato ragazzo aggraziato che il tempo non avvizzisce nella sua bellezza indiscreta. Al cospetto dell’essere, afflitta dall’insoddisfazione cercavo di sconfiggere “la tenebra”, il nero radicato nel mio essere. Avrei voluto mordere l’essenza, invocare la beffa, il burlesco, ma la tristezza imperversava prepotentemente nella carne. Violai il solenne silenzio della luna che trita e tortura il terso del cielo, l’empireo rosseggiava vitreo, il mio corpo sanguinante, perdeva consistenza, si smaterializzava, si annientava, si abbandonava all’essere, squarciato in brandelli, raccolti nei frammenti di uno specchio. In ogni tessera gridava e si disperava un io diverso, implorava una delirante passione che lasciasse l’essenza ardente. La brezza notturna toccava il mio volto inerte ed attonito, raggelato nelle inquietudini dell’esistenza. Dovevo estirpare il mio inferno privato, esorcizzare il male di vivere. Cercare un equilibrio senza rifugiarmi in deliranti universi fatui. Imparare a convivere con la solitudine nella sue poliedriche accezioni, come necessità per conoscere i limiti che l’uomo possiede per definizione della specie. Leggere i versi dell’interiore è impresa ardua, scrutare le pagine, affrontare ed arginare i fiumi dei personali inverni, affrontare se stessi è un’avventura amletica che non tutti prediligono. L’uomo riflessivo deve affrontare i suoi deliri, annodare il “cerchio mentale” per raggiungere una parvenza di stabilità, percorrere i gradini di una scala infinita, dalla quale è impossibile ritrarsi. Se non ascoltato, il mormorio soffoca, strangola la mente, in questa affannata ricerca senza fine, nella nostra maledetta impotenza non possiamo altro che mantenere la nostra astratta follia, e comportarci consuetamente.

Una questione di gusti

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Una questione di gusti

Parole Dolci

Parole Dolci

Nonostante i dissensi e i dissapori, le lotte dell’inconsistente, nell’animo è indispensabile ascendere sino alle ossa delle onde malinconiche e decadenti mantenendo sempre l’idilliaca bellezza di un sorriso. Mostrare l’intenso, l’abisso, solo a chi può comprenderlo. Cercare di vivere e non abbandonarsi al suono soave del dolore, non contemplare, non soffocare alla melodia suadente di note struggenti. Vita, una rosa, un paradosso, un lusso delle persone di spirito, un bocciolo da coltivare e mantenere rovente, da mordere prima che le sue spine dolci ti feriscono. Stringerla sino al fegato, fino al fiele, ondeggiare nelle primavere dell’anima, dominare i demoni del pensiero, e perdermi in giorni suadenti, gemere ai baci di un calore nuovo, trasformare la brezza algida, in vento indorato, che porta note languide nel cuore. L’anima denuda le sue membra, lasciando la paura nei lenzuoli del passato. L’occhio rassegnato e remissivo di chi sa e non può, confessare a se stessi che siamo altro rispetto alla forza devastante e misteriosa del mare e del tempo, l’essere implicati nella materia del vivere del limite e dell’incomprensione. Tutto scorre, la realtà continua a sfuggire. Quella donna dalle forme sinuose, attraenti ed indisponenti come la seta. Il vento assale nuovamente il volto, ma questa volta trova un sapore fresco, un anima quieta che assaggia e degusta l’azzurro del cielo, il rosso della sera. Il mare persiste nel suo costante cullare soave e suadente, nelle sue onde, si frange e si ritrae, volteggia, scivola, scende, fonde confonde, lamenta in una quiete di seta. La luna discolora, indora le onde, il dolore confonde, e silenziosa nasconde. L’ansia, la paura di perdersi fa parte dell’avventura. Cavalchiamo l’onda del tempo che desetuamente non si ritrae e che non ci perdona niente. La mente ancora si perde nel suono ardente, ridondante, fondente, del pensiero, ogni tanto cede le sue redini al corpo, alla materia. Un tacito compromesso con le emozioni, fruiscono silenziose, e non sono fatali.


In forma di telegramma Caro Amico stop sono stanca dei mezzi moderni di comunicazione stop ho scelto un mezzo oramai desueto stop perchè ho voglia di parlare stop e non di comunicare stop lontana dal paradosso dell’incomunicabilità stop -------------Ho voglia di toccare il suono caldo delle tue parole lontana dall’algida giungla materiata di lettere vuote, e di freddi intrecci informatici. --------------Ti aspetto al più presto stop Giulia

Aforisma poetico Greguerias

Le stelle sono i brillanti che tempestano l’anello del cielo.

I rami d’inverno sono come ragnatele sulla luna

Aforisma poetico Greguerias

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Aforisma poetico Greguerias

I cipressi sono i capelli impazziti della collina

La rugiada sul prato e’ lacrima della brezza abbandonata dal sole.

Le rondini sono parentesi graffe

Le onde sono i riccioli del mare


I pensieri sono pezzi di vetro che feriscono l’essere I quadri sulla mia parete sono come pezzi di vetro che compongono la mia vita

Siamo tutti figli della cruna di un ago

I chicchi d’uva sono le collane delle vigne

Le foglie che cadono sono la piaggia d’autunno

I coriandoli carnacialeschi sono canditi sulla torta.

Aforisma poetico Greguerias

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Aforisma poetico Greguerias

Il tempo sfila le notti come perle di una collana

Il tempo taglia le notti con la lama dei giorni

I baci perduti sono come segreti non svelati

Siamo come polvere prostrata al cospetto dell’eterno

Il cioccolato fondente sgorga come l’asfalto nella nostra vita

Ogni angolo del mio cervello ospita teoremi d’amore

Come morte anche il mare riposa nel giaciglio del silenzio

Le gocce di rugiada sono perle lucenti sul collo dell’alba Le luci Natalizie allietano l’atmosfera come istrioni in un teatro


Queneaurie, esercizi di stile Canzone Strade, occhi stanchi, passi incessanti le voci dei passanti della città i fianchi.

Fermo un attimo, un momento lei è persa nel suo tempo nella città in fermento il suo dolore, il lamento.

rit. figlio d’uomo senza ricordi, figlia di donna senza dolore, figli,figli senza amore.

Oltre la forma, un raggio che traspare dentro una calcolata solitudine, incontra uno sguardo perso nella stessa solitudine, nella stessa abitudine la vita, un gioco, un gioco da rifare

Bevvero dall’ombra le loro lacrime mescolate, lei non sapeva più qual’era la sua lui non sapeva più qual’era la sua.

rit. figlio d’uomo senza ricordi, figlia di donna senza dolore, figli,figli senza amore.

Ed ora, ora che anche il tempo si stende cupo sul’immagine assaggiano tremanti

rit. figlio d’uomo senza ricordi, figlia di donna senza dolore, figli,figli senza amore.

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Queneauerie, Esercizi di stile

Notazioni Una mattina d’estate una ragazza cammina per le strade del centro assorta nei suoi pensieri. Era estranea ai rumori esterni che la circondano, le voci dei passanti, il rintocco del campanile, il cinguettare di una città che si risveglia, tutto è in lontananza. Riesce a sentire solo una voce forte e chiara dentro di lei che le parla di inquietudini, malinconie e solitudini. Persa ancora nei suoi tormenti incrocia un ragazzo, un ragazzo distratto che accidentalmente sbatte contro di lei. Le cade la borsa, lui imbarazzatissimo si china per raccoglierla, nello stesso momento, anche lei fa per recuperare la borsa da terra. Nell’intento di prenderla i due si trovano faccia a faccia, la recuperano assieme, si guardano intensamente per un attimo, un momento, un breve istante, mentre si ricompongono. Lui si scusa e torna a perdersi tra i suoi pensieri nelle vie del centro. Dopo anni a lei capitava di ripensare a quello sguardo, anche lui ci pensava oramai rassegnato. Ma dopo anni per le vie del centro, persi nel suo mondo, ecco le voci dei passanti, il rintocco del campanile, il cinguettare di una città che si risveglia, ecco quello sguardo.

Telegrafico Ragazza assorta cammina nel Centro stop un ragazzo le sbatte contro stop le cade la borsa stop lui la raccoglie stop i due si guardano stop a distanza di anni pensano ancora a quello sguardo stop pensano di non ritrovarlo mai più stop ma si sbagliavano stop

Lirico La mattina scende soave dal suo giaciglio, sfiora i seni dolci della città, che ancora assorta nella pigrizia, è violata dal mormorio dei passanti assenti, nascosti dietro un mondo d’intenti. Il giorno argina le lacrime di una mattina fresca, violatà dall’umanità, la mattina si dimentica di piangere, diventa donna cosmetica e severa. Tra i passanti una ragazza dal suono suadente e sensuale, cammina per le vie del Centro, braccia della città che si dimenano in un concerto naturale e umano che ricorda tradizioni ancestrali, il suono cadenzato del campanile, che controlla i suoi figli. Il cinguettare dei pettirosso che suggeriscono pensieri leggeri. Lei è diversa, si nasconde dietro uno sguardo perso in mondi lontani, dove nasconde i propri segreti, che teme. Il vento giocava con i suoi capelli, ma lei era straziata dal suono opaco di un delirio, all’improoviso un ragazzo inciampa, la sfiora, facendole cadere la borsa. Entrambi si chinarono per raccogliere la borsetta, e inaspettatamente intrecciarono ed annodarono i propri sguardi come due nastri di seta che pensano allo stessa sfumatura di grigio. Un riflesso istintivo, involontario; le loro menti danzarono per qualche secondo svelando segreti incoffessati dell’una e dell’altro, un’attrazione, nuova fatale, attraente e indisponente. Le loro menti erano avvolte in un sapore nuovo, nessuno dei due riusciva a comprendere , ma quando si rialzarono, ancora persi nel sapore dei propri sgardi, nè lui, nè lei ebbero il coraggio di svelare quel brivido caldo che li aveva baciati. Lui si scusò, la salutò timidamente, entrambi con l’amaro in bocca di quando si vorrebbe dire una cosa, ma per mancanza di coraggio si preferisce tacere e andarsene, abbandonati alla convinzione che tanto sarà sempre così, convinti di essere legati alle note comode dell’infelicità. Mai parlarono di quel brivido, ma a distanza di anni, dopo che il tempo aveva giorno dopo giorno affievolito il ricordo, speravano di poter trovare un nodo altrettanto forte, continuavano a rincorrere quel brivido negli anfratti della mente e del cuore, ma tra quelle dune deserte non sempre trovavano conforto. Speravano quindi un giorno, di ritrovare quello sguardo convinti che anche questa volta sarebbe rimasto solo il sogno, il ricordo, l’infelicità di colui che rassegnato si abbandona alla melodia della vita. Un giorno una ragazza dal suono suadente e sensuale, cammina per le vie del Centro, un giorno riflesso istintivo, involontario; le loro menti danzarono nella notte dei tempi svelando segreti incoffessati dell’una e dell’altro, un giorno loro si sbagliavano.


Controverità Una notte d’inverno una donna è attonita, immobile, seduta sul terrazzo, cercava di ascoltare i dialoghi dei passanti, i i litigi dei vicini, il fumo dei camini, il silenzio di una città che si addormenta. Tutto è vivo sulla pelle, l’attenzione per i dettagli soffoca la sua voce interiore, che tace con distanza algida. Lontana dalla sua voce interiore continua ad osservare il fruire del tempo, quando improvvisamente sente il suono del campanello. La donna, apre la porta, era un uomo, un uomo attraente, sicuro di sè, ben vestito, sapeva quello che voleva. Entrò in casa senza guardarla, la baciò intensamente con gli occhi chiusi, in preda alla passione, e quello che successe dopo solo loro lo sanno. A distanza di anni, i due probabilmente nemmeno si ricordano di quella notte nella quale si erano ricordati di essere umani, a distanza di anni, lei ancora ogni tanto si siede nel suo terrazzo e fa tacere la sua anima, a distanza di anni, lui ancora cede ai languori della carne, ma a distanza di anni ancora non hanno imparato il brivido caldo e intenso di una passione che arde nel corpo e nell’anima.

Esclamazioni Sette del mattino! sonno! sonno tremendo! quanta gente! folla impazzita! perdiana! perbacco! pergiove! Ma non dormono! tra loro quella ragazza perdio! quanto era affascinante! Stava pensando! Non guardava davanti a sè! e all’improvviso, thò! un ragazzo le sbatte contro! e le fa cadere la borsa! Lui la raccoglie! si scusa! I due si guardano intensamente! Qui finisce con un bacio! Sicuro! Mha chissà! Colti dall’indecisione i due si salutarono! Accidenti! aaah! ahimè! cercarono molto quello sguardo! anche dopo tempo! uff! pensavano di non trovarlo mai più! perdinci! Ma si sbagliavano! dopo anni si rividero! eureka! acciderba! quel brivido! quel brivido caldo! forte, forte più di prima!

Arcobaleno Una mattina dai riflessi d’ambra e d’amaranto, gli occhi azzurri fiordaliso di una ragazza erano assorti nelle cromie inquiete dei pensieri violenti, carminii si mescolavano con il nero della pece, il disdoro violentava i suoi personali arcobaleni. Le voci dei passanti erano una tavolozza d’un pittore che dipingeva suoni caldi e freddi, rossi, gialli, verdi, blu s’intrecciavano e divenivano parole, il rintocco plumbeo del campanile, tutto era in lontananza, opaco, sbiadito. Persa nei colori cupi delle sue interiori e personali solitudini. Accidentalmente un ragazzo occhi carbone, pelle orientale le sbatte contro, le cade la borsetta beige. Il ragazzo si china per raccoglierla, contemporaneamente anche lei fa per recuperare la borsa da terra, di recuperare quel beige dal grigio di un asfalto civilizzato. Nell’intento di recuperare la borsetta i due si guardano intensamente, era uno sguardo blu, profondo come un abisso, un pensiero fisso. Intrecciarono i loro sguardi come due nastri, il bianco e il nero, il tutto e il niente. Non ebbero il coraggio di svelare il rosso intenso che aveva persorso la loro carne bruna, la loro mente linda. Dopo anni, la loro pelle aveva assaporato il grigio del tempo, ma dopo anni ancora lui sperava di riallacciare lo sguardo a quel nastro bianco, lei sperava di stringere di nuovo quel nero tra i suoi occhi blu. Quel nero che era così simile a lei, che la toccava nell’intimità dalle sfumature incoffessate. Entrambi erano rassegnati alle note cineree descritte dalle pennellate del tempo, non pensavano di ritrovare il carminio livido della passione. Ma dopo anni, le voci dei passanti erano una tavolozza d’un pittore che dipingeva suoni caldi e freddi, rossi, gialli, verdi, blu s’intrecciavano e divenivano parole, il rintocco plumbeo del campanile, tutto era in lontananza, opaco, sbiadito. Ma dopo anni ecco quell’intensità, era uno sguardo blu, profondo come un abisso, un pensiero fisso. Intrecciarono i loro sguardi come due nastri, il bianco e il nero, il tutto e il niente.

Toscano

L’attra mattina o un cera una ragazza che la camminaha pe’le strade d’i centro assorta ne su’pensieri. E l’era estanea a’rumori che venian’dall’esterno, le voci de’ passanti, i’rintocco d’i campanile, i’cinguettare d’una citta che la si sveglia insomma, tutto e gl’era lontano. E la riusci’a a sentì solo una voce forte e chiara dentro di sè che la gli parlaha d’inquietudini, malinconie e solitudini. E l’era ancora persa ne’i su’tormenti quand’e la’ncrociò un ragazzo che gli sbattè contro e gli fece cadè la borsetta. Lui fece pe’ raccattalla, quande anche lei fa pe’recuperà la borsetta. Nell’intento di prendila i due e si so scambiahi uno sguardo intenso. Lui e si scusa e torna a perdisi pe’ le vie d’i centro. Dopo degl’anni a lei e gli capitaha di pensare a quello sguardo, anche lui e ci ripensaha oramai rassegnao. Ma dopo degl’anni pe’ le vie d’i centro, persi n’i su mondo, eccole, le voci de’ passanti, i’ rintocco d’i campanile, i’cinguettare d’una città che la si sveglia, ecco quello sguardo.

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Precisazioni Alle 6.47 del 23 di luglio una ragazza passeggiava in una strada larga 3 metri lunga 20. Non era attenta a quello che succedeva attorno a lei: il rintocco del campanile, 5 rintocchi per l’esattezza, il cinguettare di 7 uccellini che erano appollaiati al primo piano sulla ringhiera del terrazzo della terza casa sulla destra. Camminò per circa 42 minuti, quando si trovava al 15° metro della strada, un ragazzo le sbattè contro facendole cadere la borsetta che si capovolse raggiungendo il suolo ricoperto da un asfalto vecchio screpolato. Erano le 7.29 quando lui le fece cadere la borsetta, e alle 7.30 finalmente i loro sguardi si incrociarono. In ogni angolo dei loro cervelli, che pesano 1.4 chili e contengono circa 100 bilioni di cellule nervose (neuroni) e trilioni di “cellule di supporto, chiamate glia, si sprigionarono le endorfine. Nessuno dei due disse quello che provava, si limitarono a raccogliere la borsa, che si era sporcata nel lato destro, lungo circa 50 cm x 30 cm, i due la pulirono maldestramente, e continuarono i loro percorsi in quel 15° metro nel centro esatto della strada. Speravano di riprovare quelle sensazioni date dall’ormone sprigionato dal loro organismo, ma entrambi credevano che questo non potesse mai succedere. Ma 12 anni dopo, al 15° metro della strada alle ore 7.30 e 33 secondi finalmente i loro sguardi si incrociarono. In ogni angolo dei loro cervelli, che pesano 1.4 chili e contengono circa 100 bilioni di cellule nervose (neuroni) e trilioni di “cellule di supporto, chiamate glia, si sprigionarono le endorfine.

Ingiurioso In una fottutissima mattina d’estate una zingara cammina per le vie luride e olezze della città, disgustosi pensieri, le sue sudicie orecchie le impedivano di ascoltare il rumore gracido della città; le voci gracchianti e stridule di quei sudici barboni che affollavano i ponti, le ciminiere dei carbonizzi lordavano l’aria con i loro fumi grigi e aciduli. La sporca città si risveglia fradicia della sua corruzione, grondante del sangue degli onesti. La zingara sentiva dentro di sè una voce maligna, ossessiva come lo squittio di un topo. Presa nel turbinio dei suoi nefasti urli interori, urta un giovane, rivede quel viso, quei tratti, quella fisionomia fosca sinonimo di violenza. Mentre il ragazzo, si scusa, nella sua bocca rivede quella lingua che lambiva il suo corpo di bambina. In preda ad una follia guercia, da un maledetto impulso, tira fuori un cortello dalle sue vesti immonde e in un lampo la gola del giovane si squarcia come un tessuto marcio. Il sangue sgorga nella lurida città, tra spazzatura e fumi neri, nessuno se ne accorse. Improvvisamente la Zingara rugosa si risveglia dall’incubo, tutto dentro di lei è tranquillo. Nei suoi occhi stringe disgustosamente lo sguardo dell’uomo che aveva violato il suo corpo, la sua carne. La sua vendetta ha occhi senza pupille, uomini senza volto, nei suoi occhi un volto solo, quello del male che sgorga, straripa e strazia le sue vene tossiche.

Gustativo La mattina era una degustazione di sapori dolci e salati che ballavano per le vie: pane, schiacciate, paste, biscotti, caldi erano odore deciso. La ragazza che tutte le mattine entrava in quel bar sapeva di cannella e di zucchero a velo, i suoi occhi erano cioccolatini fondenti e le sue labbra fragole mature. Camminava per le strade, inseguiva gli odori, assorta nel retrogusto amaro di un caffè mattutino. Improvvisamente fu assalita da un aroma nuovo, sconosciuto attraente, che le ricordava qualcosa, mandorle, mandorle di sicilia, ma non ne era sicura. Un ragazzo dalla pelle bruna, spruzzata di cacao, inciampò, battè contro la ragazza facendole cadere la borsa. Pelle di cacao, occhi di menta, bocca di gelso. Cioccolatini fondenti, e menta, uno sguardo: la menta si perse nel cioccolato fuso, un contrasto aromatico idilliaco. Nessuno osò ammettere quel brivido delirante dagli aromi piccanti. Nessuno dei due ebbe il coraggiò di ammettere che quello sguardo era menta e cioccolata, cioccolata e pere, gamberetti e zucchine, era la ciliegia su un Martini, era il vero frutto della passione. I due si salutarono e muti continuarono le proprie strade. Dopo anni, ogni tanto, lei ripensava a quelle strade dai sapori stuzzicanti e appetitosi, pensava a quei sapori di una città che si sveglia, a quei sapori che non si perdevano negli anni, ma nessuno di questi era uguale all’idilliaco sguardo con il giovane. Anche lui ripensava a quell’aroma che credeva aver perduto nella notte dei tempi. Ma i due si sbagliavano, dopo anni i suoi occhi erano cioccolatini fondenti e le sue labbra fragole mature, cioccolatini fondenti, e menta, uno sguardo: la menta si perse nel cioccolato fuso, un contrasto aromatico idilliaco.


Istruzioni per l’ uso Istruzioni per l’ uso Critica Letteraria Quell’uomo sedeva tutti giorni nel solito tavolo, guardava il menù, e dopo averlo letto, ordinava sempre il solito bicchiere di Rum. Leggeva il giornale, anche se in realtà oramai quello che accadeva non gl’interessava molto. Poi lo ripiegava morbosamente, si accendeva il sigaro, per darsi un tono, e sorseggiava il suo Rum. Un giorno come un altro, la pioggia cadeva obliqua, l’uomo era assoero nel suono ridondante dei suoi pensieri, erano così vividi che ci poteva camminare dentro, stringeva il bicchiere tra le mani, sentiva la sua vita, sentiva che non aveva più niente da affrirgli. Affogava i suoi dolori nel gusto deciso del Rum. Improvvisamente una donna si sedette difronte a lui. L’uomo dagli occhi stanchi non se ne accorse, fino a quando lei le strappò il bicchiere di mano, sorseggiò quei colori caldi lasciando sul vetro il rossetto rosso carminio, che si sposava con il colore del Rum. Si alzò e se ne andò ondeggiando su dei tacchi vertiginosi dal suono deciso e severo. La donna se ne andò ancor prima che l’uomo potesse realizzare il gesto. Aveva la pelle bruna, le labbra carnose, tratti latini, caldi, morbidi. Indossava un vestito da tango. L’uomo attonito osservava il rosso delle labbra sul bicchiere. Probabilmente fu l’unico che riusci ad avere quelle labbra. Il suo corpo era immobile, ma la sua mentre era inebriata da una giostra di pensieri. Decise di ricominciare, di ricominciare tutto. Si diresse verso la mostra d’arte di Fabian Perez, un pittore argentino, un tanghero.

Critica Ermetica La pittura di questo artista è nascosta dietro l’arte, i concetti, dietro i segni, e la semantica si cela dietro i colori. L’arte si compiace in un piacere edonistico.

Critica Interrogativa Cosa mai dipinge quell’artista? Quegli scarabocchi gli sembrano arte concettuale? Come pretende di essere compreso da tutti? e di avere dei riscontri positivi? ma come può pensare che molti andranno alle sue mostre? ma non si rende conto in che modo usa il colore e i segni? Vi pare un’espressione che aggrada l’occhio? e poi, diciamocelo, questo trasmette dei contenuti? è talento questo?

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Istruzioni per l’uso

Critica Lirica L’irruenta espressione dell’artista è il risultato dei suoi deliri fradici di dolore. La sensibilità dell’autore trasuda dalle sfumature impresse nel letto di noia del mondo reale. Tratti violenti, desueti, e attraenti, si fanno guardare, si fanno respirare, cmostrano come il giorno perde i suoi pelali, e ciò che resta è solo tenebra, tenebra lucente. Con le tele l’autore cerca di salvarsi, di mostrare il disdoro della sensibilità, di metabolizzare, esorcizzare il dramma, l’autore scende nell’ade dell’anima, laddove vi è solo un “aristocrazia del sentimento e del pensiero”, ruba i colori, e li stende sulla tela per come si mostrano, incauti, violenti. Mondo “maledetto”, materiato da voci sorde, gridi silenziosi e inascoltati dal mondo troppo frenetico, veloce e complicato per intuire quei meri concetti, semplici, ancestrali e viscerali. La voce dell’incomprensione disperata si aggrappa alla notte lasciamdole i graffi sul corpo, che sfugge, e viene divorata dall’oscurità. L’artista mostra gli anfratti più nascosti del cuore, vuole imparare la vita fino alle mani dolci del fiele. Ascolta l’urlo soffocato del tormento della carne che soffre, vuole accettare i gorghi della carne, e le spine dolci, spine già ferite della melanconia.

Critica Finta Le parole fuggono dal dipinto, si riversano sulla tela, traducono un filo sottile di pensieri e si stupiscono nell’immagine muta. I significati sono colore fresco, vivo e gocciolante che urla. Tinte silenti, fotogrammi di una storia, di un luogo, che si ferma nell’eco ridondante dell’eterno. Non una parola, non un suono, l’incanto di un attimo. L’uso di particolari forme, segni e colori sono il risultato di un percorso di vita personalissimo. La sua pittura non è indifferente, o la si ama o la si odia, racchiude in sè dei significati retorici, che esigono un’analisi interiore, è dunque impossibile, nonostante il gusto personale dello spettatore, il valore inestimabile di queste opere.

Critica Eruditissima

Il concetto epistemologico a scopo meramente edonistico che l’artista vuole divulgare e che il fruitore percepisce dalle strutture olistiche tende a raffigurare, profonde, il perpetuo alterco tra l’astratto e il visibile, con estrema preclarità tecnica. Convita congèrie che costringono il fruitore a coartare nell’oligarchia del pensiero. La tecnica effosoria dell’autore non è consuetudine invalsa. Mostra esiziale verità dalle tinte equoree e adamantine.


Linguaggio Linguaggio “ f o r m a l e ” “Formale” Elementi di scrittura piccante

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Linguaggio “formale”

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Linguaggio “formale� Cet amour

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Cet amour Beau comme le jour

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Cet amour si vrai

Cet amour e si beau u o Si heureux u Et si derisoire aue aux ueioi ioyEi eiuioi ioiyiEi qsas afgl ouxa eioiuxi dfeah euoioe comme un enfant uaieioe auxoxi aucoup dans le s c ritt u r a merave ni f lleusea io bouchea milieudon idesbouiti ailleurss lorsoncoi Cet amour iliorsquea Si violent ailleurspie dansonlori Si fragile suitedesda Si tendre querenariea faconapresfa Si desespere souciautanten Cet amour toutsimplemen Beau comme le jour desnuagesaufild etvontpourriraul Et mauvais comme le dontilneresteriene temps cenestplusl'orage commeilpleuvaitavav Quand le temps est antilpleutsanscesses mauvais disparuestilmortoubieni maismamoureusementauloinvoni Cet amour si vrai cesituniepluiiededeuilteirribleiet Cet amour si beau deschiensquidiisparaiissentoisqui Si heureux fonetiquesettuascouruverslui ruisselanteiravieipanoiuietneimenvi Si joyeux jediiisituiaiiritturtouiitveiuixici c Et si derisoire s eitioiiriiaippieilliepai a i memeje- i d f dismeme Tremblant de peur sijeiicet- t tiepluihi comme un enfant featheagrhjlo noubliebarbara dans le noir rappelletoipas heureauseionesh Jacques prevert jedistuaconnaispa jedistuaco jedistuaco

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Eruzione di parole Vesuvio Eruzione di parole VESUVIO

Linguaggio “formale”

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Linguaggio “formale�

Alfabeto scritto a mano

Peli sulla lingua

Alfabeto Muto

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Sviluppo è sinonimo di cambiamento, e cambiamento è figlio del divenire. Può essere inteso a livello percettibile, fisico, o impercettibile, mentale. L’uomo, tutti gli esseri viventi sono soggetti a dei cambiamenti impalpabili. Nel silenzio della segretezza, nell’ombra di ciò che non si vede tutto cambia, cammina in un percorso ad ostacoli, ora in salita, ora scoceso; un viaggio, metafora dell’esistenza.


Sviluppo Sviluppo


sogno Sogno Definizione Sogno Sogno

1.Serie d’immagini che al di fuori del controllo della coscienza e della volontà si presentano durante il sonno in una successione generalmente non regolata da leggi della logica. 2.Presagio d’eventi futuri 3.Evento straordinario nel quale ti trovi di foronte ad una cosa straordinaria o inaspettata, una cosa irreale, impossibile 4.Immaginazione vana di cose desiderate e irrealizzabili detto anche dolce illusione

Definizione Scientifica

Il sogno è un fenomeno legato al sonno e in particolare alla fase REM del sonno, caratterizzato dalla percezione di immagini e suoni apparentemente reali. Lo studio e l’analisi dei sogni inducono a riconoscere un tipo di funzionamento mentale avente leggi e meccanismi diversi dai processi di pensiero che sono oggetto di studio della psicologia tradizionale. Freud nel ‘900, spiegò questa modalità di funzionamento dell’apparato psichico descrivendo la psicologia dei processi onirici e suddivise il funzionamento dell’apparato psichico in due forme che chiamò processo primario e processo secondario.

Definizione Etimologica Per l’etimologia di «Sogno» tratta dal «Dizionario etimologico della lingua italiana», di Ottorino Pianigiani, e «An Etymological Dictionary of the Gaelic Language», di Alexander MacBain (Stirling, Mackay, 1911). Sogno, dal latino somnium, da Somnus, sonno, per *sop-nus, *suop-nus, *svop-nus, che diventa *sofno-, *sovno, *souno-, e che deriva dalla radice indoeuropea Svap-, Suap-, sap- (svop, svep) (dormire), da cui derivano anche il sanscrito Svap-na, o svapnas (sonno) il greco. ypnos (sonno) per *sypnos, l’irlandese suan, il gaelico suain (sonno). In Gaelico, «visione», «sogno», è «aisling», che potrebbe derivare da es-ling-ia, cioè «balzo fuori di sé», «estasi», dalla radice «leng» di «leum», «balzo», oppure dalla radice «sil» o «sell» di «seall», «sguardo». La radice «leg», «leng», significa «scatto», «balzo». Potrebbe essere anche «vleng», «vleg», da cui il sanscrito «valg», «balzo», da cui il latino «valgus», «dalle gambe storte», e l’inglese «walk». La radice «sell» significa «occhio», da cui «syllu», «scrutare», «vedere». Il latino «somnium» significa «sogno», «visione», ma anche «fantasia» e «fantasticheria», e «somnus» significa «sonno», «il dormire», e anche, poeticamente «morte».

Definizione Filosofica

L’azione dell’immaginazione nel sonno. Questa è la definizione del S. che fu data già da Platone e da Aristotele ed è anche quella della psicologia moderna: nella quale, naturalmente, dà luogo ad una serie di problemi che esulano completamente dal campo della filosofia. Freud e gli psicoanalisti hanno dato un’interpretazione funzionalistica del S.: hanno cercato di determinare la funzione che il sogno esercita nella vita dell’uomo. Secondo Freud il sogno “è un mezzo per sopprimere le eccitazioni (psichiche) che vengono a turbare il sonno, soppressione che si effettua con l’aiuto di soddisfazioni allucinatorie”. I desideri che nel S. trovano una realizzazione simbolica sono, il più delle volte, desideri proibiti, inibiti dalla censura e che perciò subiscono attraverso il S. una elaborazione radicale che è compito dello psicologo interpretare. Questa teoria di Freud è stata a lungo discussa e non pare che si adatti a spiegare tutte le specie di sogno o tutti gli aspetti del sogno: essa è la sola tuttavia che si è proposta il problema della funzionalità del sogno, cioè del compito cui esso adempie nell’economia della vita psichica. I filosofi si sono talvolta soffermati sul sogno per mostrare l’incertezza della discriminazione tra il sogno e la veglia, avvelendosene come un elemento di dubbio teoretico. Cartesio utilizzava lo stesso tema come elemento di dubbio: “Ciò che accade nel sogno non sembra così chiaro e così distinto, come ciò che accade nella veglia, ma pensandoci sopra mi ricordo di essere stato spesso ingannato, quando dormivo, da semplici illusioni. E fermandomi su questo pensiero, vedo chiaramente che non ci sono indici concludenti, nè contrassegni abbastanza certi di poter distinguere nettamente la veglia dal sogno, al punto che ne sono stupito e il mio stupore è tale che è quasi capace di persuadermi che sto dormendo”. Secondo Leibniz la vita della monade, cioè della sostanza spirituale, è un sogno ben regolato, è un altra manifestazione dello stesso tema. Schopenhauer è forse l’ultimo a presentare questo tema nella sua forma classica: la vita e i sogni sono le pagine dello stesso libro.

Etimologia

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emozion Etimologia

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Emozioni, Poesie

Non respingere i sogni perché sono sogni. Tutti i sogni possono essere realtà, se il sogno non finisce. La realtà è un sogno. Se sogniamo che la pietra è pietra, questo è la pietra. Ciò che scorre nei fiumi non è acqua, è un sognare, l'acqua, cristallina. La realtà traveste il sogno, e dice: "Io sono il sole, i cieli, l'amore". Ma mai si dilegua, mai passa, se fingiamo di credere che è più che un sogno. E viviamo sognandola. Sognare è il mezzo che l'anima ha perché non le fugga mai ciò che fuggirebbe se smettessimo di sognare che è realtà ciò che non esiste. Muore solo un amore che ha smesso di essere sognato fatto materia e che si cerca sulla terra.

Quanto più chiudo gli occhi, allora meglio vedono, perché per tutto il giorno guardano cose indegne di nota; ma quando dormo, essi nei sogni vedono te, e, oscuramente luminosi, sono luminosamente diretti nell'oscuro.

Pedro Salinas

William Shakespeare, Sonetto 43

Allora tu, la cui ombra le ombre illumina, quale spettacolo felice formerebbe la forma della tua ombra al chiaro giorno con la tua assai più chiara luce, quando ad occhi senza vista la tua ombra così splende! Quanto, dico, benedetti sarebbero i miei occhi, guardando a te nel giorno vivente, quando nella morta notte la tua bella ombra imperfetta, attraverso il greve sonno, su ciechi occhi posa! Tutti i giorni sono notti a vedersi, finché non vedo te, e le notti giorni luminosi, quando i sogni si mostrano a me.

Non sono niente. Non sarò mai niente. Non posso voler essere niente. A parte questo, ho dentro me tutti i sogni del mondo. Finestre della mia stanza, della stanza di uno dei milioni al mondo che nessuno sa chi è (e se sapessero chi è, cosa saprebbero?), vi affacciate sul mistero di una via costantemente attraversata da gente, su una via inaccessibile a tutti i pensieri, reale, impossibilmente reale, certa, sconosciutamente certa, con il mistero delle cose sotto le pietre e gli esseri, con la morte che porta umidità nelle pareti e capelli bianchi negli uomini, con il Destino che guida la carretta di tutto sulla via del nulla. Oggi sono sconfitto, come se conoscessi la verità. Oggi sono lucido, come se stessi per morire, e non avessi altra fratellanza con le cose che un commiato, e questa casa e questo lato della via diventassero la fila di vagoni di un treno, e una partenza fischiata da dentro la mia testa, e una scossa dei miei nervi e uno scricchiolio di ossa nell'avvio. Oggi sono perplesso come chi ha pensato, trovato e dimenticato. Oggi sono diviso tra la lealtà che devo alla Tabaccheria dall'altra parte della strada, come cosa reale dal di fuori, e alla sensazione che tutto è sogno, come cosa reale dal di dentro. Fernando Pessoa, La Tabaccheria


Sogni, sogni, e sogni ancora urlano note desolate, ad un uomo, ad un passante, Tessono melodiche trame di segreta follia, Ma piccole morti aspettano il nostro passo pesante E degl’astratti e argentei sogni solo polvere, polvere e magia. Giulia “Noi siamo della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni” Animo violato dal visibile Stilla visionaria Labbra di speranza il sogno, fuoco al pane

Shakespeare

Giulia

Sogno e realtà E da un aereo, Amante di città, Osservo cielo e terra, E da un aereo, Amante di città, Osservo il cielo Bellezza e vanità. Sospeso tra Cielo, e città Sogno e realtà, Le Luci ascoltano i corpi degli aerei Sfiorare incauti i loro seni che frementi luccicano come dolci amanti, I loro tradimenti, Lontano dai passanti. Le strade, pura luce, Luce che pulsa verso il cuore, Segreti, misteri e amore, Nasconde le spine del dolore E da un aereo, Amante di città, Osservo cielo e terra, E da un aereo,

Etimologia

Amante di città, Osservo il cielo Bellezza e vanità. Sospeso tra Cielo, e città Sogno e realtà, Cielo puro, Labbra d’eternità La purezza ha mani di donna Il segreto, la semplicità Unico peccato bellezza e vanità, Terra, i pensieri sui colori dell'arcobaleno, Respirano deliri e rumori, Città stangolano sogni, Camminiamo su lenzuola di noia e realtà Nelle città non c’è spazio per l’ingenuità. Tra reale e ideale, Una linea sottile; Sogni di miele, Fiamme in lontananza Sogni d’amore,

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Del dolore la danza Il corpo incastonato nel giorno e nella notte, Come diamante, freddo e bello La realtà ha mani calde e fredde, Come tenebra lucente, Come amante che tradisce e si concede, Il giorno perde suoi petali, Attrae e indispone Cielo è velluto, Senza sole, amaro, e buio Senza colore, Senza sogno, Lasciando all’uomo l’eco dei colori, Il vuoto, Dolce malinconia. All’aereo, e all’uomo, Non resta che mordere quei seni caldi, Non resta che l’eco di un dolore, Una vita non scelta, non voluta, ma Unica via di fuga,


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Pitagorofobie

Pitagorofobie Tam, tam, tam, glu, glu:

pesce martello

Crack, crack, crack:

pesce sega

tin, ton, tin, tac, glu, toc, ton, tin, tac, glu, tin, ton, ton:

duello di pesci spada

Ines:

donna con seno prosperoso

Italia:

nazione con mare ai lati

Ione:

parte di noi

Acetone:

pseudo vino venduto nel retrobottega di un’enoteca

Pitagorafobia:

paura di una sirena di trovarsi improvvisamente a New York

L’aquila:

un rapace che torna da dove era venuto

Coordinata:

rivela la tana dell’orco

Milano:

impossibile non amare

Oromisso:

gioielleria del poeta

Trittico La parola “dipinto” non è appesa al muro, ma stampata sulla pagina. La parola “chiodo” non è conficcata nella parete, ma è stampata sulla pagina. La parola “crepa” non è nel muro antico, ma è inchiostro sulla pagina. Le parole “dipinto”, “chiodo”, “crepa” ci fanno sentire la natura interna del linguaggio.


A quale sviluppo “giochiamo”? Proposito Cosa vuoi che amiamo nella notte dei tempi? L’amore Cosa vuoi che amiamo nella notte dei tempi? L’amore nella notte dei tempi Cosa vuoi che amiamo nella notte dei tempi? La notte dei tempi dell’amore

Sfuggente

Il linguaggio

Essere realtà e non sentirla addosso

Cos’è il linguaggio? E’ il linguaggio il? E’ il linguaggio linguaggio? E’ il linguaggio cosa? E’ il linguaggio è?

Essere realtà e non volerla sentire Non esser realtà e sentirsi

Riflesso Riflesso

Lo specchio riflette la realtà la realtà è riflessa dallo specchio

A Quale Sviluppo Giochiamo?

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Story Board Surrealisti

Story Board Surrealisti Pensato, Progettato e creato da Karim Rashid nel 2003 “Ego è”. Vaso da fiori per arredare la casa. Il vaso è il risultato dato dall’unione della forma di due volti umani. Disponibile in una gamma di diversi colori, inoltre questo può diventare una vera e propria opera d’arte, in quanto è esiste anche in una rara versione materiata di vetro a specchio, nel quale noi possiamo vedere la nostra immagine riflessa. Inoltre assume i colori che prende, e riflette dall’ambiente. Il vaso, come già specificato, ha le sembianze di volti umani, e nella sua rara versione a specchio, guardandolo vediamo riflesso il nostro volto nei volti, cos’avra voluto dirci l’autore?!

Living Chair di Valdimir Tseler

Sexy, ma pudica. Il designer è stato ispirato dalla forma umana (femminile, ovviamente) - gambe lunghe delicatamente incrociate per un’estetica calibratamente provocatoria. Le gambe incrociate compongono un sgabello a tre gambe. La forma perfetta e sensuale ricorda la curva della schiena di una donna, catturata all’interno dello schienale. I materiali usati sono plastici. Riferendosi ad un pubblico femminile, la seduta è prodotta in rosso e rosa elettrico, il risultato verte verso un prodotto moderno e femminile.


Ladislava Repková Il tema è il suo lavoro illuminazione intima. Ha disegnato una collezione di tre lampade, che lei non ha percepito solo come un mezzo per creare un intimo stato d'animo, ma per rappresentare l'intimità stessa. Tutti i sentimenti di intimità sono strettamente legate ad una persona. Il suo o la sua sfera fisica e mentale. Per questo motivo si è concentrata sul corpo umano e le sue espressioni, gesti e segni d’intimità. I colori sono tenui, toni soavi di legno e tela. Il mezzo principale di espressione in questa colle-

Story Board Surrealisti

zione di lampade è figura umana (in legno chiaro per evocare la pelle umana), che sta vivendo un momento di intimità. Paralumi prevedono mistero, la privacy e materializzare il confine della zona intima. Ciascuna delle luci è legato ad un altro significato della parola intimità. Lampada "Relazione" mostra stretta relazione e la riservatezza di due persone. Il "corpo" lampada è concentrato su l'intimità come uno spazio personale di un uomo - un individuo nel senso del proprio corpo e l'anima allo stesso tempo. La "privacy" lampada rappresenta l'anonimato e la necessità di una persona di avere il suo spazio o le sue personali.

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Racconti di segni

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Racconti di segni

Nel pomeriggio di Ferragosto sono partita per le vacanze, giunta in albergo, sono salita subito nella mia stanza. La residenza era meravigliosa, comprendeva tutti i comfort. L’altra sera ero nel mio mentre stavo guardando la sera, e decisi di

, erano circa le otto di

, dopo aver

commensali, a fine

e conversato con dei

, accompagnai il mio

nel...............

dell’albergo. Camminavo tranquilla, assorta nei miei pensieri, quando sobbalzai perchè dalla

giunsero urla strazian

ti. All’improvviso l’arbergo immerso nel silenzio delle calde notti estive, si svegliò, io rimasi paralizzata. Il primo ad arrivare fu l’inse gnante di

che entrò nelle

, lo seguii. L’immagine difronte

ai nostri occhi fu agghiacciante: una giovane stata colpita e uccisa con l’

. Vi erano milioni di

gue che scorrevano assieme all’acqua della dell’albergo fece intervenire

esamine, era di san

. Il direttore

.

Le indagini furono subito assegnate ad un commissario del luogo, un giovane affascinante e deciso. In primo luogo intimò agli ospiti e al personale di servizio di non lasciare l’albergo, poi dopo i rilevamenti della scientifica fece trasportare il cadavere all’obitorio con l’ . Fu la notte più lunga della mia vita, il commissario m’interrogò personalmente assieme all’istruttore di

. Quell’uo

mo mi affascinava, i suoi modi demodè, da vero dandy mi suscita vano un brivido caldo, come il

in una mattina d’inverno.

Il mio istinto mi diceva che non gli ero indifferente. Sentivo su di me i suoi occhi indagatori. Le indagini si protrassero fino al mattino. Nella camera della vittima non fu trovato niente di rilevante, l’unico indizio una

scritta con un carattere liberty, accartocciata e

. Il testo invitava la in albergo. Il alcune

a passare una settimana di

legale non aveva trovato niente di rilevante, solo di

sul corpo della vittima. Il commissario alloggiava

nell’albergo per le indagini, passavamo molto tempo insieme. Il nostro punto di conversazione era all’inizio professionale, perchè entrambi laureati in criminologia. Azzardavamo delle deduzioni, vendetta, delitto passionale. Passionale, passione, intenti nella nostre conversazioni ci trovammo improvvisamente abbracciati. Finimmo a

insieme. Furono eseguiti gli esami del

e al personale.

a tutti gli ospiti


di servizio. Furono fatte delle indagini sulla vita passata della vittima, era orfana, fu invitata la sua migliore amica per avere notizie più precise sulla donna. (l’esistenza di quest’amica fu scoperta dai messaggi nel celluare). Le indagini brancolavano nel buio. L’unico indizio era la

. Nessun sospettato tranne qualche villeggiante

che mostrava un comportamento morboso nei confronti dell’indagine. Personalmente avevo già dei sospetti su un cliente dell’albergo: un bel

bruno, taciturno, ombroso e riservato che nonostante

i tumulti, aveva mantenuto la sua solitudine, non parlava con nessuno, se non per chiacchere di cortesia, ma mai, mai lo avevo visto parlare con una

. Era insospettabile come gli altri, quello che lo

includeva nella cerchia dei sospetti era il suo strano comportamen to ambiguo quando a

avevamo annunciato a tutti gli ospiti

l’arrivo della migliore amica della ragazza. Il suo occhio sinistro ave va cominciato a sbattere morbosamente, niente di che, ma il bruno glaciale aveva dato segno d’insicurezza. Il fumo della sua si perdeva nell’ambiente, e una Aspettavamo con impazienza il risultato del

tetra risuonava lenta. e l’arrivo di quella

che noi chiamavamo “supertestimone”. Forse l’amica della vittima avrebbe riconosciuto qualcuno legato alla ragazza, forse l’assassino. Tra le indagini e l’effusioni notammo che il

ombro

so, non parlava con nessuno, neanche per circostanza, notammo che non era presente all’arrivo della testimone. Fu interrogata a lungo, quando le mostrammo la foto del ragazzo bruno trasalì e sbiancò. Ci raccontò che il nostro sospettato aveva avuto una relazione burrascosa con la vittima. Si erano lasciati a causa del suo comportamento soffocante e per una morbosa gelosia. Aveva perseguitato per lungo tempo la vittima inviandole con un carattere liberty. Proprio come quella trovata in camera della vittima.

I simboli hanno origini ancestrali, precedono l’uomo e il linguaggio codificato. In questo breve racconto sono stati utilizzati dei simboli che non hanno origini antiche. L’uso comune di questi simboli convezionali è la conseguenza di un mondo globalizzato, la necessità di comprendersi in modo veloce e diretto in tutto il mondo. Chissà se un giorno sostituiranno il linguaggio.

Racconti di segni

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Modi di dire Contadino cervello fino La fretta vuole l’agio Verba Volant

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Per modo di dire

Se faccio i cappelli gli uomini nascono senza testa Rendere pan per fuocaccia

Carta canta villan dorme

La vendetta è un piatto che va mangiato freddo

Chi dorme non piglia i pesci

Sto con il prete e zappo l’orto

Finchè la barca va lasciala andare

Cosa centra il culo con le quarant’ore

Come la volpe all’uva

avere gli occhi più grossi della pancia

Il silenzio è d’oro

Avere la bottega aperta

La mattina ha l’oro in bocca

Avere i culo sudicio

Una parola è troppa e due sono poche

Chi va con lo zoppo impara a zoppicare

Acqua in bocca

A buon intenditor poche parole

Perle ai porci

L’acquacheta rompe i ponti

Fino a che hai i denti in bocca non sai quello che ti tocca

Morto un papa se ne fa un altro

Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino Il lupo perde il pelo ma non il vizio La sera leoni, la mattina coglioni Il sole bacia i belli Sono serva degli schiavi Rosso di sera bel tempo si spera Le bugie hanno le gambe corte

Anche un viaggio di mille leghe comincia con un passo.

Un sorriso è come uno spazzolino. Devi usarlo spesso per mantenere i denti puliti. Sii generoso con la tua energia. Sii generoso con i tuoi sorrisi La mattina ha l’oro in bocca Cencio dice male di straccio Meglio fare schifo che compassione

Cane che abbaia non morde Se tocchi il can che giace prendi quello che non ti piace Sputare sentenze Ho fortuna quanto un cane in chiesa

Domandare non costa che un istante di imbarazzo, non domandare è essere imbarazzati per tutta la vita. Il paiolo da di tinto alla padella


Dare perle ai porci

Verba Volant

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vo la

erba vo l an t

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er

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ba

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Per modo di dire

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Avere l’orecchio lungo

Avere una palla al piede

Per modo di dire


Aforismi di Jean Cocteau

Jean Maurice Eugène Clément Cocteau (MaisonsLaffitte, 5 luglio 1889 – Milly-la-Forêt, 11 ottobre 1963) è stato un poeta, romanziere e drammaturgo francese. Fu anche designer, regista, sceneggiatore e attore. La sua versatilità, la sua originalità e la sua enorme capacità espressiva gli portarono il plauso internazionale.

A forza di andare al fondo delle cose, ci si resta Certo che la fortuna esiste. Se no come potremmo spiegare il successo degli altri? Ciò che il pubblico critica in voi, coltivatelo. Quello, siete voi. Ci sono verità che si possono dire solo dopo aver ottenuto il diritto di rivelarle. Come artista, un uomo non può avere casa in Europa tranne che a Parigi. Cos'è la storia dopo tutto? La storia sono fatti che finiscono col diventare leggenda; le leggende sono bugie che finiscono col diventare storia. Dopo la morte dello scrittore, leggere il suo diario è come ricevere una lunga lettera. È spiacevole invecchiare, perché si rimane giovani nell'animo. Gli specchi dovrebbero riflettere un momentino prima di riflettere le immagini. I critici giudicano le opere e non sanno essere giudicati da esse. Il genio è la punta estrema del senso pratico.

Aforismi

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Aforismi

Il limite estremo della saggezza è ciò che la gente chiama pazzia. Il poeta è un mentitore che spesso dice la verità. L’arte è la scienza resa chiara. La massa può amare un poeta solo per malinteso. La poesia è indispensabile... ma vorrei sapere perché. La tragedia peggiore per un poeta è essere ammirato attraverso una scorretta interpretazione. La verità è troppo nuda, per questo non eccita gli uomini. La vita è una caduta verticale. (da “Oppio”) Se deve scegliere chi deve essere crocifisso, la folla salverà sempre i Barabba. Se non ci fossero le calze, le gambe delle donne sarebbero soltanto mezzi di locomozione. Se un eremita vive in uno stato d’estasi, la sua mancanza d’agi diventa il benessere supremo: deve abbandonarla. (da “Oppio”) Tutti a Parigi vorrebbero essere attori e nessuno spettatore. Un artista originale è incapace di copiare. Così deve solo copiare per essere originale. Un artista non può parlare della sua arte più di quanto una pianta possa discutere di orticoltura. Un film è una fontana di pensiero pietrificata. Il gallo e l’arlecchino [modifica] Bisogna essere un uomo vivo e un artista postumo. Il bello ha l’aria facile, ed è proprio la cosa che il pubblico disprezza. Quando un’opera sembra in anticipo sul suo tempo, è vero invece che il tempo è in ritardo rispetto all’opera. Un poeta ha sempre troppe parole nel suo vocabolario, un pittore troppi colori sulla sua tavolozza, un musicista troppe note sulla sua tastiera.


Sviluppando quesiti

la grattugia gratta lo spazzolino spazzola il condizionatore condiziona l’aspiratore aspira la calcolatrice calcola il registratore registra Sono feroci gli utensili? Il coltello ti accoltella La forchetta t’inforchetta il tritacarne ti tritola il forno ti inforna la frusta ti frusta L’abbattitore ti abbatte Il congelatore ti congela l’affettatrice ti affetta il mazzuolo ti mazzia il chiodo t’inchioda le pinzette pinzano

Utensili innoqui Il ventilatore sventola il giradischi gira la friggitrice frigge la schiumarola schiumeggia la griglia fa le grigliate Altri utensili fanno casino

Utensili che si muovono poco I tappi tappano I cavatappi stappano

Sviluppando quesiti

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La batteria da cucina suona la lavatrice sibila il telefono trilla il trapano ronza le posate tintinnato l’orologio ticchetta Cosa fanno di mestiere? Il cacciavite caccia il pappagallo vola il bollitore fa le bolle la chiave inglese insegna le tronchesi troncano la caffettiera sbuffa la padella spadella la pentola a pressione pressa


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Sviluppando quesiti

Sono feroci i pesci? Il pesce spada t’infilza il pesce sega ti sega il pesce martello ti martella il pesce cane ti morde il pesce gatto ti graffia la mazzancolla ti mazzia il pesce siluro silura la razza spara un razzo pesce vipera morde il pesce coltello accoltella il pesce balestra tira le frecce torpedine scoppia I pesci che fanno geometria Il rombo la spigola ha l’angolo il pesce palla fa le circonferenze Cosa fanno i pesci di mestiere La trota trotterella il dentice fa il dentista la rana pescatrice pesca la murena mura

il latterino distribuisce il latte il calamaro scrive la cicala canta la guglia cuce il polpo palpeggia il cefalo fa gli elettroencefalogrammi il cavalluccio galoppa il salmerino alpino scala l’alborella albeggia il barbo fa il barbiere il pesce vela veleggia il pesce persico reale sta sul trono Pesci innoqui Il dentice ride il pesce palla palleggia il pesce azzurro dipinge l’occhiata ti guarda lo scampo è nella via la spigola è nel campo il lucio fa luce il nasello è dal chilurgo plastico il pesce pagliaccio diverte il salmone è morto le stelle marine cadono il pesce topo squittisce

il riccio ti arriccia i capelli il pesce vela veleggia la vaccarella pascola Pesci che fanno casino La sirena canta Il pesce trombetta suona il pesce chitarra strimpella il pesce violino s’accorda il pesce tamburo fa la percussioni La balena balla Il Lucio canta I pesci che si muovono poco Pesce serra pesce piatto pesce ragno pesce trepiede pesce dumbo I pesci che illuminano Pesce lanterna pesce luna pesce persico sole stella marina


Sviluppi Scenici Sviluppi Scenici

Il profumo della pittura

Il profumo della poesia Mia soave, di cosa odori? Di che frutto? Di che stella? Di che foglia? cerco di riconoscere la stirpe del tuo aroma: è soave, ma non è fiore, non è coltellata di penetrante garofano Ode al suo Aroma, Pablo Neruda

Sviluppi Scenici

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Sviluppi Scenici

Indossare la poesia

La sento la mia vita, me la imparo, fino al fegato adesso, fino al fiele; oh nera un tempo enorme senza chiaro, fedele della notte piÚ infedele. Sta’ zitto, cuore. Taci, anima nera. Ora so quel che c’era da sapere. Principio di purpurea primavera? Patrizia Valduga


Cucinare con arte

Viaggiare con arte

Sviluppi Scenici

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Indossare l’arte

Sviluppi Scenici


r r

Lo Spazio è quel luogo in cui noi siamo immersi, è ciò che ci circonda, è ciò che non vediamo, ma che respiriamo, vi siamo immersi, costretti, lo percepiamo. Quante volte abbiamo sospirato romanticamente magari, mentre contemplavamo un paesaggio costiero, ed il nostro pensiero andava alla quasi struggente vastità dello spazio naturale e (reale) che si apriva e si perdeva all’ infinito davanti ai nostri occhi, facendoci sentire al tempo stesso delle creature indifese e minuscole davanti a cotanta bellezza e vastità? Oppure quante volte ci siamo trovati dentro un ascensore, dove quasi neanche possiamo muoverci liberamente, ed iniziamo magari ad affannarci alla ricerca di un po’ d’aria?


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Spazio Spazio


Leggerezza

Novella Nona - Sesta giornata Giovanni Boccaccio

Guido Cavalcanti dice con un motto onestamente villania a certi cavalier fiorentini li quali soprappresso l'aveano. Sentendo la reina che Emilia della sua novella s'era diliberata e che ad altri non restava a dir che a lei, se non a colui che per privilegio aveva il dir da sezzo, così a dir cominciò. Quantunque, leggiadre donne, oggi mi sieno da voi state tolte da due in su delle novelle delle quali io m'avea pensato di doverne una dire, nondimeno me n'è pure una rimasa da raccontare, nella conclusione della quale si contiene un sì fatto motto, che forse non ci se n'è alcuno di tanto sentimento contato. Dovete adunque sapere che né tempi passati furono nella nostra città assai belle e laudevoli usanze, delle quali oggi niuna ve n'è rimasa, mercé dell'avarizia che in quella con le ricchezze è cresciuta, la quale tutte l'ha discacciate. Tra le quali n'era una cotale, che in diversi luoghi per Firenze si ragunavano insieme i gentili uomini delle contrade e facevano lor brigate di certo numero, guardando di mettervi tali che comportar potessono acconciamente le spese, e oggi l'uno, doman l'altro, e così per ordine tutti mettevan tavola, ciascuno il suo dì, a tutta la brigata; e in quella spesse volte onoravano e gentili uomini forestieri, quando ve ne capitavano, e ancora de' cittadini; e similmente si vestivano insieme almeno una volta l'anno, e insieme i dì più notabili cavalcavano per la città, e talora armeggiavano, e massimamente per le feste principali o quando alcuna lieta novella di vittoria o d'altro fosse venuta nella città. Tra le quali brigate n'era una di messer Betto Brunelleschi, nella quale messer Betto è compagni s'eran molto ingegnati di tirare Guido di messer Cavalcante de' Cavalcanti, e non senza cagione; per ciò che, oltre a quello che egli fu un de' migliori loici che avesse il mondo e ottimo filosofo naturale (delle quali cose poco la brigata curava, sì fu egli leggiadrissimo e costumato e parlante uomo molto, e ogni cosa che far volle e a gentile uom pertenente, seppe meglio che altro uom fare; e con questo era ricchissimo, e a chiedere a lingua sapeva onorare cui nell'animo gli capeva che il valesse. Ma a messer Betto non era mai potuto venir fatto d'averlo, e credeva egli co' suoi compagni che ciò avvenisse per ciò che Guido alcuna volta speculando molto astratto dagli

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uomini diveniva. E per ciò che egli alquanto tenea della oppinione degli epicuri, si diceva tra la gente volgare che queste sue speculazioni eran solo in cercare se trovar si potesse che Iddio non fosse. Ora avvenne un giorno che, essendo Guido partito d'Orto San Michele e venutosene per lo corso degli Adimari infino a San Giovanni, il quale spesse volte era suo cammino, essendo quelle arche grandi di marmo, che oggi sono in Santa Reparata, e molte altre dintorno a San Giovanni, ed egli essendo tra le colonne del porfido che vi sono e quelle arche e la porta di San Giovanni, che serrata era, messer Betto con sua brigata a caval venendo su per la piazza di Santa Reparata, veggendo Guido là tra quelle sepolture, dissero: - Andiamo a dargli briga; - e spronati i cavalli a guisa d'uno assalto sollazzevole gli furono, quasi prima che egli se ne avvedesse, sopra, e cominciarongli a dire: - Guido tu rifiuti d'esser di nostra brigata; ma ecco, quando tu arai trovato che Iddio non sia, che avrai fatto? A' quali Guido, da lor veggendosi chiuso, prestamente disse: - Signori, voi mi potete dire a casa vostra ciò che vi piace; - e posta la mano sopra una di quelle arche, che grandi erano, sì come colui che leggerissimo era, prese un salto e fussi gittato dall'altra parte, e sviluppatosi da loro se n'andò. Costoro rimaser tutti guatando l'un l'altro, e cominciarono a dire che egli era uno smemorato e che quello che egli aveva risposto non veniva a dir nulla, con ciò fosse cosa che quivi dove erano non avevano essi a far più che tutti gli altri cittadini, né Guido meno che alcun di loro. Alli quali messer Betto rivolto disse: - Gli smemorati siete voi, se voi non l'avete inteso. Egli ci ha detta onestamente in poche parole la maggior villania del mondo; per ciò che, se voi riguardate bene, queste arche sono le case de' morti, per ciò che in esse si pongono e dimorano i morti; le quali egli dice che sono nostra casa, a dimostrarci che noi e gli altri uomini idioti e non litterati siamo, a comparazion di lui e degli altri uomini scienziati, peggio che uomini morti, e per ciò, qui essendo, noi siamo a casa nostra. Allora ciascuno intese quello che Guido aveva voluto dire e vergognossi né mai più gli diedero briga, e tennero per innanzi messer Betto sottile e intendente cavaliere.

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Cyrano de Bergerac - Atto I scena 4 Edmond Hostand

Ma.. CIRANO Sbrigati! - O rispondi! perché mi guardi il naso? IL SECCATORE (sbigottito) Io... CIRANO (andandogli addosso) Perché ti confondi? IL SECCATORE (retrocedendo) Vostra grazia s'inganna!... CIRANO Dimmi: è molle e cascante siccome la proboscide, forse, di un elefante? IL SECCATORE (come sopra) Io non... CIRANO È adunco a guisa di un becco di civetta? IL SECCATORE Io... CIRANO Che forse alla punta c'è qualche pustoletta? IL SECCATORE Ma... CIRANO Qualche mosca forse vi passeggia o vi dorme! Che v'è di strano? IL SECCATORE Oh! ... CIRANO Forse ch'è un fenomeno abnorme? IL SECCATORE Ma di non porvi gli occhi m'ero fatto un dovere! CIRANO E perché non guardarlo, se è lecito sapere? IL SECCATORE Io... CIRANO Vi disgusta adunque? IL SECCATORE Signore... CIRANOVi fa pena il suo color? IL SECCATORE Signore! CIRANO Vi par di forma oscena? IL SECCATORE Ma niente affatto!... CIRANO E allora, perché fate quel muso? IL SECCATORE (balbutendo) Ma io lo trovo invece piccolo, impercettibile! CIRANO Come! di un tal ridicolo accusarmi?, possibile?

Piccolo il naso mio? IL SECCATORE Cielo! CIRANO Enorme il mio naso? Vilissimo camuso, siate ben persuaso che di quest'appendice mi glorio e mi delizio; avvenga che un gran naso sia il vero e proprio indizio di un uomo buono, affabile, cortese, liberale, di coraggio e di spirito, qual io mi sono e quale non vi sarà mai lecito di credervi, marrano! Perché la ingloriosa faccia che la mia mano si degna di cercare sul vostro collo è priva... (lo schiaffeggia) IL SECCATORE Ahi! ahimè! CIRANO Di fierezza, di slancio, d'inventiva, di lirismo, di genio, di grandezza morale, di naso, insomma, come quella... (lo rivolge per le spalle, aggiungendo il gesto alla parola) che il mio stivale viene a cercarvi sotto la terga! IL SECCATORE (fuggendo) Aiuto! CIRANO Avviso, a chi trovi faceto il centro del mio viso! E se il burlone è nobile, a punirlo provvede, davanti, e un po' più alto, la spada e non il piede! DE GUICHE (che è sceso dalla scena insieme con i marchesi) Adesso ci ha seccati! IL VISCONTE DI VALVERT (alzando le spalle) Che fanfarone! DE GUICHE E alcuno non è buono a rispondergli per le rime?... IL VISCONTE Nessuno? Vado a lanciargli io stesso, vedrete, un di quei tratti! (si avanza verso Cirano che lo osserva, e piantandosi innanzi a lui fatuamente) Voi... voi... avete un naso... eh... molto grande!... CIRANO (grave) Infatti! IL VISCONTE (ridendo) Ah! CIRANO (imperturbabile) Questo è tutto?... IL VISCONTE Ma... CIRANO


È assai ben poca cosa! Se ne potevan dire... ma ce n'erano a josa, variando di tono. - Si potea, putacaso, dirmi, in tono aggressivo: « Se avessi un cotal naso, immediatamente me lo farei tagliare!» Amichevole: «Quando bevete, dée pescare nel bicchiere: fornitevi di un qualche vaso adatto!» Descrittivo: «È una rocca! ... È un picco! ...Un capoaffatto... Ma che! l'è una penisola, in parola d'onore!» Curioso: «A che serve quest'affare, o signore? forse da scrivania, o da portagioielli?» Vezzoso: «Amate dunque a tal punto gli uccelli che vi preoccupate con amore paterno di offrire alle lor piccole zampe un sì degno perno?» Truculento: «Ehi, messere, quando nello starnuto il vapor del tabacco v'esce da un tale imbuto, non gridano i vicini al fuoco nella cappa?» Cortese: «State attento, che di cotesta chiappa il peso non vi mandi per terra, a capo chino!» Tenero: «Provvedetelo di un piccolo ombrellino, perché il suo bel colore non se ne vada al sole!» Pedante: «L'animale che Aristofane vuole si chiami ippocampelofantocamaleonte tante ossa e tanta carne ebbe sotto la fronte!» Arrogante: «Ohi, compare, è in moda quel puntello? Si può infatti benissimo sospendervi il cappello!» Enfatico: «Alcun vento, o naso magistrale, non può tutto infreddarti, eccetto il Maestrale!» Drammatico: «È il Mar Rosso, quando ha l'emorragia!» Ammirativo: «Oh, insegna di gran profumeria!» Lirico: «È una conca? Siete un genio del mare?» Semplice: «Il monumento si potrà visitare?» Rispettoso: « Soffrite vi si ossequii, messere:

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questo si che vuol dire qualcosa al sole avere!» Rustico: «Ohé, corbezzole! Dàgli, dàgli al nasino! E un cavolo gigante o un popon piccolino?» Militare: - «Puntate contro cavalleria!» Pratico: «Lo vorreste mettere in lotteria? Sarebbe il primo lotto!» O in fin parodiando Piramo, tra i singhiozzi: «Eccolo, l'esecrando naso che la bellezza del suo gentil signore distrusse! Or ne arrossisce, guardate, il traditore!» Ecco, ecco, a un di presso, ciò che detto mi avreste se qualche po' di spirito e di lettere aveste. Ma di spirito, voi, miserrimo furfante, mai non ne aveste un'oncia, e di lettere tante quante occorrono a far la parola: cretino! Aveste avuto, altronde, l'ingegno così fino da potermi al cospetto dell'inclita brigata servirmi tutti i punti di questa cicalata, non ne avreste nemmeno la metà proferito del quarto d'una sillaba, ché, come avete udito, ho vena da servirmeli senz'alcuna riserva, ma non permetto affatto che un altro me li serva. DE GUICHE (volendo condurre via il visconte) Lasciate star, Visconte! IL VISCONTE (soffocato) Ve' che modi arroganti! Uno zotico ch'esce perfino senza guanti, senza alamari, senza nastri, senza galloni! CIRANO Perché ce le ho di dentro le mie distinzioni! Io non mi attillo, no, come uno sfarfallino, ma sono assai più netto, se son meno carino: Ché io non uscirei, vedi, per negligenza, con la minima macchia sul cor, con la coscienza ancora sonnacchiosa, con un onor gualcito, e con un qualche scrupolo non troppo ben pulito! Ma io vo' senza nulla che in me non splenda, senza ombra, e mi son pennacchio franchezza e indipendenza. Non un torso ben fatto, non un prestante petto, ma l'anima io raddrizzo come in un corsaletto. E, onusto di bei fatti che per nastri io m'allaccio, aguzzando il mio spirito come dei baffi, io faccio attraverso i concilii dei falsi e dei birboni sonar le verità siccome degli sproni!... IL VISCONTE Ma signor...

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Rapidità

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All’Automobile da corsa F. T. Marinetti

Veemente dio d’una razza d’acciaio, Automobile ebbra di spazio, che scalpiti e fremi d’angoscia rodendo il morso con striduli denti Formidabile mostro giapponese, dagli occhi di fucina, nutrito di fiamma e d’olî minerali, avido d’orizzonti, di prede siderali Io scateno il tuo cuore che tonfa diabolicamente, scateno i tuoi giganteschi pneumatici, per la danza che tu sai danzare via per le bianche strade di tutto il mondo! Allento finalmente le tue metalliche redini, e tu con voluttà ti slanci nell’Infinito liberatore! All’abbaiare della tua grande voce ecco il sol che tramonta inseguirti veloce accelerando il suo sanguinolento palpito, all’orizzonte Guarda, come galoppa, in fondo ai boschi, laggiù! Che importa, mio dèmone bello? Io sono in tua balìa! Prendimi! Prendimi! Sulla terra assordata, benché tutta vibri d’echi loquaci; sotto il cielo accecato, benché folto di stelle, io vado esasperando la mia febbre ed il mio desiderio, scudisciandoli a gran colpi di spada. E a quando a quando alzo il capo per sentirmi sul collo in soffice stretta le braccia folli del vento, vellutate e freschissime Sono tue quelle braccia ammalianti e lontane che mi attirano, e il vento non è che il tuo alito d’abisso, o Infinito senza fondo che con gioia m’assorbi! Ah! ah! vedo a un tratto mulini neri, dinoccolati, che sembran correr su l’ali di tela vertebrata come su gambe prolisse Ora le montagne già stanno per gettare sulla mia fuga mantelli di sonnolenta frescura, là, a quel sinistro svolto Montagne! Mammut in mostruosa mandra, che pesanti trottate, inarcando

le vostre immense groppe, eccovi superate, eccovi avvolte dalla grigia matassa delle nebbie! E odo il vago echeggiante rumore che sulle strade stampano i favolosi stivali da sette leghe dei vostri piedi colossali O montagne dai freschi mantelli turchini! O bei fiumi che respirate beatamente al chiaro di luna! O tenebrose pianure! Io vi sorpasso a galoppo! Su questo mio mostro impazzito! Stelle! mie stelle! l’udite il precipitar dei suoi passi? Udite voi la sua voce, cui la collera spacca la sua voce scoppiante, che abbaia, che abbaia e il tuonar de’ suoi ferrei polmoni crrrrollanti a prrrrecipizio interrrrrminabilmente? Accetto la sfida, o mie stelle! Più presto! Ancora più presto!

E senza posa, né riposo! Molla i freni! Non puoi? Schiàntali, dunque, che il polso del motore centuplichi i suoi slanci! Urrà! Non più contatti con questa terra immonda! Io me ne stacco alfine, ed agilmente volo sull’inebbriante fiume degli astri che si gonfia in piena nel gran letto celeste!


La Canzone del Mendicante d’Amore F. T. Marinetti

Ti avevo vista una sera, tempo fa, non so dove, e da allora ansioso aspettavo La Notte, gonfia di stelle e di profumi azzurrini, su di me illanguidiva la sua nudità abbagliante e convulsa d’amore! Perdutamente, la Notte apriva le sue costellazioni come vene palpitanti di porpora e d’oro, e tutta la illuminante voluttà del suo sangue colava pel vasto cielo Io stavo, ebbro, in attesa, sotto le tue finestre accese, che fiammeggiavano, sole, nello spazio Immobile, aspettavo il prodigio supremo del tuo amore e l’ineffabile elemosina del tuo sguardo! Poiché sono il mendicante affamato d’Ideale che va lungo le spiagge implorando baci e amore, per nutrirne il suo sogno! Con cupidigia astiosa bramavo i gioielli del cielo per abbellirne la tua nudità di regina e verso di te protendevo i miei sguardi folli, insanguinati nell’ombra come braccia scarnite di moribondo! Tutto parvemi ingigantito dall’ampiezza del sogno! Campane rantolavano nel cielo come bocche mostruose: le bocche, forse, del Destino! Campane invisibili e selvagge sembravano aprirsi su me, nel silenzio, come abissi capovolti! Un gran muro s’ergea davanti a me, implacabile e altero come la disperazione! Aspettavo solo, e migliaia di stelle, di stelle pazze sembravano sprizzare dalle tue finestre, come un vol di faville da una fornace d’oro! L’ombra tua dolce apparve nel cavo dei vetri, simile a un’anima terrorizzata che s’agiti entro pupille agonizzanti, e tu per me divenisti una preda delirante lassù, su la cima estrema delle torri fastose del mio Sogno! L’Amore mio denti lucenti e occhi adunchi brandì con un gran gesto le sue rosse spade e barbaramente salì verso il tuo tragico splendore. Poiché sono il mendicante insaziato che cammina verso il tepore dei seni, verso il languor delle labbra, l’implacabil mendicante che va lungo le spiagge, rubando amore e baci per nutrirne il suo Sogno!

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S’aprì la notte cupa appié del muro, e tu apparisti, soavemente sbocciata vicino a me, bianca e pura in mezzo alle tenebre, vacillando quasi ai consigli della brezza notturna! E tutto fu abolito intorno a me, e il mio sogno infranse il mondo con un sol colpo d’ala! Certo pensai nei favolosi giardini ove s’esilia l’anima mia chimerici peschi foggiarono la tua carne flessuosa, con la neve odorante dei loro fiori che le sonore dita del vento plasmavano! Io venni a te, tremante e religioso, come in un tempio avanzandomi incerto come in un’umida grotta! A te venni, inciampando a ogni mio timido passo, trattenendo il respiro per non destare il dolor nel passare! Si schiuse il tuo sorriso nella serena acqua del tuo viso, come al cadere placido d’un fiore S’aprì a ventaglio il tuo sorriso fluttuando nel cielo, e fece impallidire il viso impetuoso degli Astri, nel silenzio! Io ti parlavo volubilmente di strane cose, bagnata l’anima di una sgorgante angoscia, e mi pareva di sentirmi avvolto dalla corrente d’un fiume voluttuoso. Avidamente, spiavi tu sul mio labbro l’Anima mia, come un miele dorato! Sentii che il volto mi s’infocava come un castello incendiato, che il nemico saccheggia. Ti parlavo, e i miei pensieri stravolti si riflettevan lontani e vaporosi nella tranquilla acqua del tuo viso!— Tu volesti rispondermi, ma non sapesti che dire. Mi domandasti le mie angosce, i miei timori, poiché mi vedevi tremar sulla soglia come trema un colpevole Ed io simile ero ai vagabondi feriti che vanno rantolando di porta in porta, in cerca di rifugio, tra i pugni alzati delle folle implacabili! Mi parlasti di cose indifferenti! Domandasti della mia vita passata, della mia patria lontana— Volesti sapere il mio nome e tutto ciò che si suol domandare ai viaggiatori stanchi, beventi alle fontane, la sera, quando tutto si fa nero Poiché sono il mendicante affamato d’Ideale che vien non si sa d’onde,

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e va lungo le spiagge implorando amore e baci, per nutrirne il suo Sogno! Ti seguii fino in fondo alla tua casa; fummo soli, lontani dalle folle umane, sulla soglia dell’Infinito, e sentii la soavità dei crepuscoli sul mare, quando si ripara in un golfo violetto umido di silenzio! Fummo soli, e il mio Sogno al suo Sogno canto: Oh! abbassa languidamente le palpebre sull’errante follia del tuo sguardo. Abbassa le tue palpebre mistiche e lente come ali d’angelo che si chiudano Abbassa le tue palpebre rosee, perché l’agile fiamma dei tuoi occhi vi scivoli come sospiro di luna tra persiane socchiuse. Abbassa le tue palpebre e poi alzale ancora, e potrò smarrirmi alfine nei tuoi occhi, nei tuoi occhi, per sempre, come su laghi assopiti, la sera, tra fogliami placidi e neri! «Sii dolce, poiché il mio cuore trema fra le tue dita— Sii dolce! L’Ombra è attenta a spiare le nostre ebbrezze, e il Silenzio si china e ci accarezza come una madre intenerita Sii dolce! Per la prima volta adoro l’anima mia perdutamente e l‘ammiro perché t’ama così, come una povera pazza! Adoro le mie labbra, poiché le mie labbra ti desiderano La mia anima è tua, la mia anima è sì lontana ed azzurra da sembrarmi straniera! Davanti a te si umilia, la mia anima, qual pecora morente, e s’addormenta, abbrividendo sotto i tuoi fragili piedi come un prato che tutto s’inargenta sotto i passi furtivi della luna «Vieni!— le mie labbra folli attireranno il tuo volto pensoso e i tuoi grandi occhi dolenti verso le spiagge abbagliate del Sogno verso divini arcipelaghi di nuvole! Le mie labbra saranno instancabili come i bardotti che lentamente traggono, nella rosea frescura dei mattini, le grandi barche dalle vele solenni verso lo scintillìo perlato del mar lontano. Ed io non sarò più che il tuo soffio E il mio sangue

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travolgerà nel suo corso il profumo delle tue labbra, come un fiume a primavera, inebbriato di fiori! Allora la tua bocca rosea s’aprì, fragile conchiglia rombante, per mormorare sinuosamente il delirio dello spazio e il canto febbrile dei mari! Al ritmo della tua voce, il mio cuore si preparò lentamente a salpare verso porti esaltati di sole e verso sfolgoranti isole d’oro Tu mi dicevi ingenuamente che mai nessuno avea così cantato alle porte del tuo cuore che mai nessuno aveva pianto il suo sogno e il suo dolore profumandoti il seno di lagrime! Poiché sono il mendicante che piange e si lamenta, il mendicante affamato d’Ideale che vien non si sa d’onde, e va lungo le spiagge implorando amore e baci per nutrirne il suo Sogno! I tuoi gesti assopenti e vellutati ebbero il carezzevole languore che hanno i remi sopra l’acque brune, a sera L’ora liquida e gemebonda s’increspò abbrividendo. Le nostre voci caddero Ma la Lussuria, ahimè, ci spiava frugando insidiosa nell’ombra la Lussuria ansimante lungo i muri strisciava! Dalla finestra aperta, a quando a quando il vento della notte si rovesciava su di noi, avvolgendo la sua groppa oscena nella porpora delle tende Noi vedemmo la lampada d’oro svenire come una bimba malata tra vaporosi lini, e dolcemente morire! Vedemmo i casti bagliori della lampada inginocchiarsi, venendo meno, lungo i muri, come gli angeli preganti e i nostri sogni s’inchinarono, malinconici e rassegnati, nel silenzio Allora il mio folle desiderio t’apparve sguainato come una spada, e, brancolando sul tuo corpo puro, con un gesto selvaggio violentemente cercai il tepore assorbente della tua bocca. Fuori di noi, in una nera ebrietà, sinistramente ci prendemmo le labbra, come se commettessimo un delitto!


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Le labbra mie s’accanirono sulle tue, pesantemente, e le nostre bocche ne furono insanguinate come due lance! Con un gesto sublime, tu m’offristi, in delirio, la tua nudità soave come una fiasca di pellegrino, ed io abbeverai la mia sete immensa sul tuo corpo ignudo, fino al delirio, cercandovi l’immenso Oblio Tremante e come pazza di vertigine si chinò la mia Anima sulla tua bellezza radiosa, perdutamente, come sopra un abisso vertiginoso di profumi e di calde luci! I tuoi occhi s’illanguidirono dolcissimamente sotto le rosee palpebre lampante velate di vaporosa seta e, chinato fra i tuoi svolazzanti capelli, io presi alfine la tua Anima, tutta la tua Anima, religiosamente, protese le labbra, come si prende l’ostia consacrata. Quando ripresi il cammino verso la profondità delle livide notti il cuore mio, fattosi nero, ebbe sete, e avidamente io bevvi la nera acqua delle fontane Indi fuggii, precipitando i miei passi, verso l’Ignoto Poiché sono il mendicante che va lungo le spiagge implorando amore e baci, per nutrirne il suo Sogno, con in cuore il terrore di affondare per sempre i suoi piedi sanguinanti nella freschezza carnale delle sabbie, in riva ai mari, in una qualche Sera di stanchezza mortale e di Vuoto infinito!


Esattezza

Robert Musil, L'uomo senza qualità (1930) Torino: Einaudi, 1957, Vol. 1, Parte seconda ("Le stesse cose ritornano"), cap. 85 ("Le fatiche del generale Stumm per mettere un po' d'ordine nei cervelli borghesi"), pp. 359-363] Solo allora Ulrich s'accorse che Stumm von Bordwebr s'era portato dietro una borsa d'ufficio, e l'aveva appoggiata ai piedi della scrivania; era uno di quei grandi zaini di vitello, che si possono portare sulle spalle mediante solide corregge, e servono a trasportare documenti da un ufficio all'altro nei vasti edifici ministeriali, o anche fuori. Evidentemente il generale era venuto con un attendente che aspettava sotto e che Ulrich non aveva veduto, perché solo con fatica si tirò sulle ginocchia la pesante borsa e fece scattare la piccola serratura d'acciaio che aveva tutta l'aria di un ordigno di guerra. - Non son rimasto in ozio, da quando assisto alle vostre riunioni, - sorrise, mentre la sua giubba celeste si tendeva, nella posizione curva, intorno ai bottoni dorati, - ma sai, ci son cose di cui non vengo a capo -. Tirò fuori dalla borsa un gran fascio di fogli sciolti, coperti di strani segni. - Tua cugina, - egli spiegò, - ho avuto con lei un colloquio esauriente, ella vorrebbe, giustamente, che dai suoi sforzi per elevare al nostro Eccelso Sovrano un monumento spirituale emergesse un'idea che fosse, come dire, la più alta, che occupasse il primo posto fra tutte le idee del giorno d'oggi; io però ho osservato, pur ammirando le personalità da lei invitate, che la cosa presenta infernali difficoltà. Se uno dice una cosa, l'altro afferma il contrario - l'hai notato anche tu? - ma c'è di peggio, secondo me; lo spirito borghese mi sembra proprio ciò che noi diciamo di certi cavalli: un cattivo mangiatore. Ti ricordi? Son bestie che non vogliono saperne di ingrassare, nemmeno con doppia razione di foraggio! Oppure diciamo, - si corresse a una lieve protesta del padrone di casa, - sì, diciamo pure che ingrassano, ma le ossa non crescono e la pelle rimane opaca; gli viene soltanto un pancione pieno d'erba. Ecco, vedi, la cosa mi interessa e vorrei approfondire la questione, come mai non si possa regolare la faccenda! Stumm, sorridendo, porse al suo ex tenente il primo dei fogli. - Si dica pure tutto ciò che si vuole, - dichiarò, - ma di ordine noi militari ce ne intendiamo. Ecco, qui ho consegnato le idee principali esposte dai partecipanti alle riunioni di tua cugina. Vedi, se gli parli a quattr'occhi ciascuno ritiene essenziale una cosa diversa -. Urich esaminò il foglio con stupefazione. Era diviso in quadrati mediante linee orizzontali e verticali, come un foglio d'anagrafe o un registro militare, e nei quadrati c'erano parole che contrastavano parecchio con quella suddivisione, infatti egli lesse in bei caratteri burocratici i nomi: Gesù Cristo; Budda Gotama, e anche Siddarta; Lao-Tse; Lutero Martino; Goethe Volfango; Ganghofer Ludovico; Chamberlain, e molti altri, che evidentemente continuavano su un altro foglio; poi nella seconda casella le parole cristianesimo, imperialismo, secolo delle comunicazioni, eccetera, e ac-

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canto v'erano altre colonne di parole in altre caselle. - Potrei anche chiamarlo il foglio catastale della cultura moderna, - illustrò il generale, - perché poi l'abbiamo ampliato, e ora contiene il nome delle idee, e dei loro agitatori, dell'ultimo venticinquennio. Non immaginavo che costasse tanta fatica! Poiché Ulrich voleva sapere come era stato compilato l'elenco, gli spiegò volentieri il procedimento da lui ideato. - Mi ci son voluti un capitano, due tenenti e cinque sottufficiali per fare così presto. Se avessimo potuto usare un sistema del tutto moderno, avremmo mandato a ogni reggimento la domanda: "Chi considerate il più grande uomo dei nostri tempi?" come fanno oggi i giornali e simili, sai, insieme con l'ordine di comunicare il risultato della votazione con le percentuali; ma nel mondo militare, la cosa non andava, perché naturalmente nessun corpo dell'esercito può rispondere altro che: Sua Maestà. Allora avevo pensato di far chiedere quali sono i libri più letti e con le più alte tirature, ma s'è visto subito che, oltre alla Bibbia, sono i libriccini di capodanno con le tariffe postali e le vecchie barzellette, distribuite a tutti, dai portalettere che vanno a far gli auguri e a riscuoter la mancia; e questo ci ha fatto di nuovo riflettere com'è difficile lo spirito borghese, perché in generale son ritenuti migliori quei libri che si adattano a ogni lettore, o almeno, mi hanno detto, bisogna che un autore in Germania abbia molti che la pensano come lui per esser considerato un grande ingegno. Dunque, anche questa via non era possibile; e come abbiamo finito per fare non te lo posso dire sul momento, è stata un'idea del caporale Hirsch insieme col tenente Melichar, ma ci siamo riusciti. Il generale Stumm posò il foglio e con un viso che annunziava una grave delusione ne prese un altro. Fatto l'inventario delle scorte di idee esistenti nell'Europa Centrale, aveva non solo stabilito con rincrescimento che eran costituite da contraddizioni, ma anche scoperto con stupore che quelle contraddizioni incominciavano a confondersi l'una nell'altra. - Che tutte le celebrità in casa di tua cugina mi rispondessero cose opposte quando la pregavo di ammaestrarmi, passi, c'ero già abituato; ma che dopo aver parlato lungamente con loro mi sembri che dicano tuttavia le stesse cose, ecco, non riesco proprio a intenderlo, e forse la colpa sarà del mio comprendonio d'ordinanza, che non ci arriva! - Ciò che sgomentava in tal modo il cervello del generale Stumm non era una bagattella, e in fondo non la si sarebbe dovuta attribuire soltanto al Ministero della Guerra, benché si potesse dimostrare che con la guerra intratteneva ottimi rapporti. Sono state donate a questo nostro secolo grandi idee in quantità, e per uno speciale favore della sorte ogni idea ha pure la sua contro-idea, di modo che individualismo e collettivismo, nazionalismo e inter-

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nazionalismo, socialismo e capitalismo, imperialismo e pacifismo, razionalismo e superstizione vi si trovano tutti ugualmente bene come a casa loro; e per giunta ci sono anche i resti non ancora consumati di innumerevoli altre contraddizioni di uguale o minore valore attuale. La cosa sembra così naturale come il fatto che vi siano il giorno e la notte, il caldo e il freddo, l'amore e l'odio, e che nel corpo umano ogni muscolo flessore abbia il suo contrario in un muscolo estensore, né il generale Stumm, come chiunque altro, si sarebbe mai sognato di vederci nulla di straordinario, se l'amore per Diotima stimolando la sua ambizione non l'avesse precipitato in quell'avventura. L'amore infatti non s'accontenta che l'unità della natura riposi sui contrasti, ma, incline com'è alla soavità, alla delicatezza, vorrebbe un'unità senza opposizioni, e così il generale s'era sforzato in tutti i modi di ottenere tale unità. - Ho fatto fare - raccontò a Ulrich, mostrandogli il foglio relativo, - un elenco dei condottieri delle idee, vale a dire che contiene tutti i nomi di coloro che negli ultimi tempi hanno guidato alla vittoria notevoli contingenti di idee; quest'altro qui è un ordine di battaglia; questo un piano dello schieramento strategico; questo un tentativo di identificare i depositi e gli arsenali donde si effettua il rifornimento delle idee. Ma se tu osservi uno dei gruppi di idee impegnati in combattimento, vedi subito - e ho voluto che risultasse ben chiaro dal disegno, - che esso attinge i suoi rinforzi di truppe e di materiale ideologico non soltanto dal proprio deposito ma anche da quello dell'avversario; vedi che cambia continuamente di fronte e senza nessun motivo, combatte tutt'a un tratto col fronte rovesciato, contro le proprie posizioni; ma vedi altresì che le idee disertano tutti i momenti, di qua e di là, sicché le trovi ora in questa ora nell'opposta linea di battaglia. Insomma, non si può stabilire né un regolare piano di dislocamento, né una linea di confine, né niente, e il tutto è, parlando con rispetto, - eppure d'altra parte non lo posso credere! - quello che da noi ogni superiore chiamerebbe un branco di porci impazziti! - Stumm cacciò in mano a Ulrich una dozzina di fogli in una volta. Eran coperti di direttive di marcia, linee ferroviarie, reti stradali, calcoli di portata, contrassegni di corpi, dislocamenti di truppe, circoli, quadrati, zone tratteggiate; il tutto come in un regolamentare rapporto di stato maggiore, intersecato da linee rosse verdi azzurre e gialle e disseminato di bandierine dei più vari tipi e significati, quelle che un anno più tardi sarebbero diventate così popolari. - Ma non serve a niente! - sospirò Stumm. - Ho cambiato modo e provato ad affrontare il problema dal punto di vista della geografia militare invece che da quello della strategia, sperando di ottenere almeno un campo d'operazioni ben articolato, ma non c'è verso! Ecco qui le descrizioni orografiche e idrografiche! - Ulrich vide segnate sulla carta vette di montagna da cui partivano di-

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ramazioni che più in là si riammassavano, sorgenti, reti fluviali e laghi. Negli occhi vivaci del generale scintillava qualcosa come irritazione o esasperazione. - Ho tentato in cento modi, - egli disse, - di riportare il tutto a un'unità; ma sai com'è? Come viaggiare in seconda classe in Galizia e prendersi i pidocchi! E' la più schifosa sensazione d'impotenza che si possa immaginare. Quando sei stato un pezzo in mezzo alle idee, ti prude tutto quanto il corpo e non hai pace se non ti gratti a sangue! Il più giovane non poté trattenersi dal ridere di quell'energica descrizione. Ma il generale pregò: - No, non ridere! Io ho pensato che tu sei divenuto un borghese eminente; nella tua posizione devi capire la questione, e devi capire anche me. Son venuto a chiederti aiuto. Ho troppa reverenza per tutto ciò che rappresenta lo spirito, e perciò non posso credere di aver ragione! - Tu prendi troppo sul serio il pensiero, signor colonnello, lo consolò Ulrich. Involontariamente aveva detto "colonnello", e se ne scusò. - Mi hai così piacevolmente ricondotto al passato, signor generale, quando mi comandavi certe sere a filosofare in un cantuccio del circolo. Ma, ti ripeto, non bisogna prendere tanto sul serio lo spirito come tu stai facendo! Non bisogna, - gemette Stumm. - Ma io non posso più vivere senza una regola superiore nella mia testa! Non lo capisci? Io rabbrividisco se penso quanto tempo son vissuto senza di essa, sui campi di manovre e nelle caserme, fra barzellette militari e storie di donne!


Visibilità

I Promessi Sposi Alessandro Manzoni

Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. La costiera, formata dal deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due monti contigui, l’uno detto di san [p. 10 ]Martino, l’altro, con voce lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega: talchè non è chi, al primo vederlo, purchè sia di fronte, come per esempio di su le mura di Milano che guardano a settentrione, non lo discerna tosto, a un tal contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome più oscuro e di forma più comune. Per un buon pezzo, la costa sale con un pendìo lento e continuo; poi si rompe in poggi e in valloncelli, in erte e in ispianate, secondo l’ossatura de’ due monti, e il lavoro dell’acque. Il lembo estremo, tagliato dalle foci de’ torrenti, è quasi tutto ghiaia e ciottoloni; il resto, campi e vigne, sparse di terre, di ville, di casali; in qualche parte boschi, che si prolungano su

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per la montagna. Lecco, la principale di quelle terre, e che dà nome al territorio, giace poco discosto dal ponte, alla riva del lago, anzi viene in parte a trovarsi nel lago stesso, quando questo ingrossa: un gran borgo al giorno d’oggi, e che s’incammina a diventar città. Ai tempi in cui accaddero i fatti che prendiamo a raccontare, quel borgo, già considerabile, era anche un castello, e aveva perciò l’onore d’alloggiare un comandante, e il vantaggio di possedere una stabile guarnigione di soldati spagnoli, che insegnavan la modestia alle fanciulle e alle donne del paese, accarezzavan di tempo in tempo le spalle a qualche marito, a qualche padre; e, sul finir dell’estate, non mancavan mai di spandersi nelle vigne, per diradar l’uve, e alleggerire a’ contadini le fatiche della vendemmia. Dall’una all’altra di quelle terre, dall’alture alla riva, da un poggio all’altro, correvano, e corrono tuttavia, strade e stradette, più o men ripide, o piane; ogni tanto affondate, sepolte tra due muri, donde, alzando lo sguardo, non iscoprite che un pezzo di cielo e qualche vetta di monte; ogni tanto elevate su terrapieni aperti: e da qui la vista spazia per prospetti più o meno estesi, ma ricchi sempre e sempre qualcosa nuovi, secondo che i diversi punti piglian più o meno della vasta scena circostante, e secondo che questa o quella parte campeggia o si scorcia, spunta o sparisce a vicenda. Dove un pezzo, dove un altro, dove una lunga distesa di quel vasto e variato specchio dell’acqua; di qua lago, chiuso all’estremità o piuttosto smarrito in un gruppo, in un andirivieni di montagne, e di mano in mano più allargato tra altri monti che si spiegano, a uno a uno, allo sguardo, e che l’acqua riflette capovolti, co’ paesetti posti sulle rive; di là braccio di fiume, poi lago, poi fiume ancora, che va a perdersi in lucido serpeggiamento pur tra’ [p. 11 ]monti che l’accompagnano, degradando via via, e perdendosi quasi anch’essi nell’orizzonte. Il luogo stesso da dove contemplate que’ vari spettacoli, vi fa spettacolo da ogni parte: il monte di cui passeggiate le falde, vi svolge, al di sopra, d’intorno, le sue cime e le balze, distinte, rilevate, mutabili quasi a ogni passo, aprendosi e contornandosi in gioghi ciò che v’era sembrato prima un sol giogo, e comparendo in vetta ciò che poco innanzi vi si rappresentava sulla costa: e l’ameno, il domestico di quelle falde tempera gradevolmente il selvaggio, e orna vie più il magnifico dell’altre vedute.

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Molteplicità

Il giardino dei sentieri che si bifocano (Finzioni) - Jorge Luis Borges “Il giardino dei sentieri che si biforcano” affronta alcuni dei temi tipici dell’opera di Borges: il labirinto, il tempo, i libri. La ramificazione dei vari tempi, dove una delle opere prevede la ramificazione di diverse possibili linee temporali, in questo caso però di molteplici possibili passati convergenti in un unico futuro. Tratto da:Borges, Tutte le opere, A. Mondadori Ed., Milano 1984, Vol. I°, pp. 623-641. Traduzione di Franco Lucentini. Debbo la scoperta di Uqbar alla congiunzione di uno specchio e di un'enciclopedia. Lo specchio inquietava il fondo d'un corridoio in una villa di via Gaona, a Ramos Mejìa; l'enciclopedia s'intitola ingannevolmente The Anglo-American Cyclopaedia (New York 1917), ed è una ristampa non meno letterale che noiosa dell'Encyclopaedia Britannica del 1902. Il fatto accadde un cinque anni fa. Bioy Casares, che quella sera aveva cenato da noi, stava parlando d'un suo progetto di romanzo in prima persona, in cui il narratore, omettendo o deformando alcuni fatti, sarebbe incorso in varie contraddizioni, che avrebbero permesso ad alcuni lettori - a pochissimi lettori - di indovinare una realtà atroce o banale. Dal fondo remoto del corridoio lo specchio ci spiava. Scoprimmo (a notte alta questa scoperta è inevitabile) che gli specchi hanno qualcosa di mostruoso. Bioy Casares ricordò allora che uno degli eresiarchi di Uqbar aveva giudicato che gli specchi e la copula sono abominevoli, poiché moltiplicano il numero degli uomini. Interrogato sull'origine di questo detto memorabile, rispose che The Anglo-American Cyclopaedia lo registrava nell'articolo su Uqbar. Nella villa (che avevamo presa in affitto ammobiliata) c'era un esemplare di quest'opera. Nelle ultime pagine del volume XLVI trovammo un articolo su Upsala; nelle prime del XLVII, uno su UraI-Altaic Languages; ma nemmeno una parola su Uqbar. Bioy, tra deluso e stupito, interrogò i tomi dell'indice; provò invano tutte le lezioni possibili: Ukbar, Ucbar, Ooqbar, Qokbar, Oukbahr... Prima di andarsene, mi disse che si trattava di una reJorge Luis Borges 624 gione dell'Irak, o dell'Asia Minore. Confesso che assentii con un certo imbarazzo. Congetturai che quel paese non documentato, quell'eresiarca anonimo, fossero una finzione improvvisata dalla modestia di Bioy per giustificare una frase. L'esame, affatto sterile, d'uno degli atlanti di Justus Perthes, mi confermò in questo dubbio. Il giorno dopo, Bioy mi chiamò da Buenos Aires. Mi disse che aveva sott'occhio l'articolo su Uqbar, nel volume

XLVI dell'Encyclopaedia. Il nome dell'eresiarca non c'era, ma c'era bene notizia della sua dottrina, e in parole quasi identiche a quelle citate da lui, sebbene - forse - letterariamente inferiori. Lui aveva citato, a memoria: "Copulation and mirrors are abominable ". Il testo dell'Encyclopaedia diceva: "Per uno di questi gnostici l'universo visibile è illusione, o - più precisamente - sofisma; gli specchi e la paternità sono abominevoli (mirrors and fatherhood are abominable) perché lo moltiplicano e lo divulgano". Gli dissi, senza mancare alla verità, che mi sarebbe piaciuto di vedere codesto articolo. Pochi giorni dopo me lo portò. Il che mi sorprese, perché gli scrupolosi indici cartografici della Erdkunde di Ritter ignorano completamente l'esistenza di Uqbar. Il volume portato da Bioy era effettivamente il XLVI dell'Anglo-American Cyclopaedia. L'indicazione alfabetica sul frontespizio e sulla costola era la stessa che nel nostro esemplare (Tor-Ups), ma il volume, invece che di 917 pagine, era di 921. Queste quattro pagine supplementari contenevano l'articolo su Uqbar: non previsto (come il lettore avrà notato) dall'indicazione alfabetica. Accertammo poi che tra i due volumi non c'era, a parte questa, altra differenza; entrambi (come credo di aver indicato) erano ristampe della decima Encyclopaedia Britannica. Bioy aveva comprato il suo esemplare in una qualsiasi vendita all'asta. Leggemmo l'articolo con una certa attenzione. Il Finzioni - 625 solo passo sorprendente era quello citato da Bioy; il resto pareva molto verosimile, molto conforme all'intonazione generale dell'opera e (com'è naturale) un po' noioso. Rileggendolo, scoprimmo sotto la sua rigorosa scrittura una fondamentale indeterminatezza. Dei quattordici nomi della sezione geografica ne riconoscemmo solo tre (Khorassan, Armenia, Erzerum), interpolati nel testo in modo ambiguo; dei nomi storici, uno solo: quello dell'impostore Esmerdi il Mago, che però era citato solo per confronto. L'articolo sembrava precisare le frontiere di Uqbar, ma i suoi nebulosi luoghi di riferimento erano fiumi, crateri e montagne di quello stesso paese. Leggemmo, per esempio, che il confine meridionale è formato dai bassopiani di Tsai Chaldun e dal delta dell'Axa, e che nelle isole di questo delta abbondano i cavalli selvatici. Questo, al principio della pagina 918. Dalla sezione storica (pagina 920) apprendemmo che, in seguito alle persecuzioni religiose del XIII secolo, gli ortodossi cercarono rifugio in quelle isole,


(a quanto giudico da fotografie che ci mostrò) una meridiana e alcuni roveri. Mio padre aveva stretto con lui (ma il verbo è eccessivo) una di quelle amicizie inglesi che cominciano con l'escludere la confidenza e prestissimo omettono la conversazione; solevano scambiarsi libri e periodici; solevano affrontarsi, taciturnamente, agli scacchi... Lo ricordo nell'atrio dell'albergo, con un libro di matematica in mano. guardando a volte i colori irrecuperabili del cielo. Una sera, Finzioni - 627 dove s'innalzano ancora i loro obelischi e dove non è raro, scavando, di ritrovare i loro specchi di pietra. La sezione "Lingua e Letteratura", assai breve, conteneva un solo luogo notabile, in cui si diceva che la letteratura di Uqbar era di carattere fantastico, e che le sue epopee come le sue leggende non si riferivano mai alla realtà, ma alle due regioni immaginarie di Mlejnas e di Tlön... La bibliografia comprendeva quattro volumi che finora non c'è riuscito di trovare, sebbene il terzo - Silas Haslam, History of the Land Called Uqbar, 1874 - figuri nei cataloghi di libreria di Bernard Quaritch.* Il primo, Lesbare und lesenswerthe Bemerkungen über das Land Ukkbar in Klein - Asien, avrebbe la data del 1641 e sarebbe opera di Johannes Valentinus Andreä. La cosa è significativa: un paio d'anni dopo ritrovai inaspettatamente questo nome in * Has1am è anche autore di una General History of Labyrinths. Jorge Luis Borges - 626 certe pagine di De Quincey (Writings, volume XIII), e seppi che era quello di un teologo tedesco il quale, al principio del secolo XVII, descrisse la comunità immaginaria della Rosacroce; comunità che altri, poi, fondò realmente sull'esempio di ciò che colui aveva immaginato. Quella stessa sera fummo alla Biblioteca Nazionale; ma invano disturbammo atlanti, cataloghi, annuari di società geografiche, memorie di viaggiatori e di storici. Nessuno era mai stato a Uqbar. Neppure l'indice generale dell'enciclopedia di Bioy registrava questo nome. Il giorno dopo, Carlos Mastronardi (cui avevo riferito il caso) adocchiò in una libreria le costole in nero e oro della Anglo-American Cyclopaedia. Entrò e consultò il volume XLVI. Naturalmente, non trovò la minima traccia di Uqbar. II All 'Hotel de Adrogué, tra i caprifogli effusivi e il fondo illusorio degli specchi, sussiste ancora un qualche ricordo limitato e decrescente di Herbert Ashe, ingegnere dei Ferrocarriles del Sur. In vita, come tanti inglesi, aveva patito d'irrealtà; morto, non è nemmeno più il fantasma che era stato. Alto, disincantato, la sua stanca barba rettangolare era stata rossa. Pare che fosse vedovo, senza figli. Ogni anno o due andava in Inghilterra: per visitare

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stavamo parlando del sistema di numerazione duodecimale (in cui il dodici si scrive dieci); Ashe mi disse che stava traducendo non so che tavole duodecimali in tavole sessagesimali (in cui sessanta si scrive dieci). Aggiunse che questo lavoro gli era stato affidato da un norvegese a Rio Grande do Sul. Otto anni che lo conoscevamo, e non ci aveva mai detto di essere stato laggiù... Parlammo di vita pastorale, di capangas, dell'etimologia brasiliana della parola gaucho (che alcuni vecchi dell'est pronunciano ancora gaúcho), e non fu più questione - Dio mi perdoni - di funzioni duodecimali. Nel settembre 1937 (noi non eravamo in albergo), Herbert Ashe morì della rottura di un aneurisma. Giorni prima aveva ricevuto dal Brasile un pacchetto sigillato e raccomandato. Era un libro in ottavo grande. Ashe l'aveva lasciato al bar, dove - mesi dopo - lo ritrovai. Mi misi a sfogliarlo e provai una vertigine stupita e leggera, che non descriverò, perché questa non è la storia delle mie emozioni ma la storia di Uqbar, di Tlön e dell'Orbis Tertius. In una notte dell'Islam che chiamano la Notte delle Notti, si spalancano le porte del cielo e l'acqua si fa più dolce nelle brocche; se queste porte, allora, si fossero aperte, non avrei provato quello che provai. Il libro era scritto in inglese ed era di 1001 pagine. Sulla gialla sua costola di cuoio lessi queste parole, che il frontespizio ripeteva: A First Encyclopaedia of Tlön. Vol. XI. Hlaer to Jangr. Non v'era data né luogo di pubblicazione. La prima pagina, e la velina d'una delle tavole, portavano un timbro ovale, turchino, con questa iscrizione: Orbis Tertius. Due anni prima, nelle pagine d'una enciclopedia plagiaria, avevo scoperto la sommaria descrizione d'un falso paese; ora il caso mi recava qualcosa di più prezioso e più arduo. Avevo tra mano, ora, un frammento vasto e metodico della Storia totale d'un pianeta sconosciuto, con le sue architetture e le sue guerre, col terrore delle sue mitologie e il rumore delle sue lingue, con i suoi imperatori e i Jorge Luis Borges - 628 suoi mari, con i suoi minerali e i suoi uccelli e i suoi pesci, con la sua algebra e il suo fuoco, con le sue controversie teologiche e metafisiche. E tutto ciò articolato, coerente, senza visibile intenzione dottrinale o parodica. L'"undicesimo volume" di cui parlo contiene riferimenti a volumi precedenti e successivi. Néstor Ibarra in un articolo già classico della "N. R. F.", nega l'esistenza di questi volumi; Ezequiel Martínez Estrada e Drieu La Rochelle hanno confutato, forse vittoriosamente, questo dubbio. Ma il fatto è che, finora, le ricerche più diligenti sono

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93 rimaste senza risultato. Invano abbiamo scompigliato le biblioteche delle due Americhe e d'Europa. Alfonso Reyes, stanco di queste fatiche subalterne e poliziesche, propone che noi si intraprenda in comune l'opera di ricostruire i molti e massicci volumi che mancano: ex ungue leonem. Calcola un po' sul serio, un po' per scherzo, che una generazione di tlönisti potrebbe bastare. Questo calcolo arrischiato ci riporta al problema fondamentale: chi furono gli inventori di Tlön? Il plurale è inevitabile, perché l'ipotesi d'un solo inventore - d'un infinito Leibniz operante nelle tenebre e nella modestia è stata scartata all'unanimità. Si pensa che questo brave new world sia opera d'una società segreta di astronomi, di biologi, di ingegneri, di metafisici, di poeti, di chimici, di moralisti, di pittori, di geometri... sotto la direzione di un oscuro uomo di genio. Abbondano, infatti, gli individui che dominano queste diverse discipline, ma non quelli capaci di invenzione, e ancor meno quelli capaci di subordinare l'invenzione a un piano rigoroso e sistematico com'è il piano di Tlön. Questo piano è così vasto che il contributo di ciascuno scrittore dev'essere stato infinitesimale. Al principio si credette che Tlön fosse un puro caos, una irresponsabile licenza dell'immaginazione; si sa ora che è un cosmo, e le intime leggi che lo reggono sono state formulate, anche se in modo provvisorio. Mi basti ricordare che nelle contradFinzioni - 629 dizioni apparenti dell'"undicesimo volume" s'è scorta la prova fondamentale che gli altri volumi esistono: tanto è lucido e giusto l'ordine in esso seguito. Le riviste popolari hanno divulgato, con perdonabile eccesso, la zoologia e la topografia di Tlön; io penso che le sue tigri trasparenti e le sue torri di sangue non meritino, forse, la continua attenzione di tutti gli uomini. Ma mi arrischio a spendere qualche minuto sulla sua concezione dell'universo. Hume, una volta per tutte, osservò che gli argomenti di Berkeley non ammettono la minima replica e non infondono la minima convinzione. Questo giudizio è verissimo sulla terra, falsissimo su Tlön. Le nazioni di questo pianeta sono - congenitamente - idealiste; il loro linguaggio e le derivazioni del loro linguaggio - religione, letteratura, metafisica - presuppongono l'idealismo. Il mondo, per coloro, non è un concorso di oggetti nello spazio; è una serie eterogenea di atti indipendenti; è successivo, temporale, non spaziale. Nella congetturale Ursprache di Tlön, da cui procedono gli idiomi e i dialetti "attuali", non esistono sostantivi; esistono verbi impersonali, qualificati da suffissi (o prefissi) monosillabici con valore avverbiale. Per esempio: non c'è una parola che corrisponda alla nostra parola luna, ma c'è un verbo che sarebbe da noi luneggiare o allunare. Sorse la luna sul fiume si dice hlör u fang axaxaxas mlö, cioè, nell'ordine: verso su (upward) dietro semprefluire luneggiò. (Xul Solar traduce brevemente: hop, dietro perscorrere allunò, Upward, bebjnd the onstreaming, it mooned). L'anzidetto si riferisce agli idiomi dell'emisfero australe. In quelli dell'emisfero boreale (sulla cui Ursprache l'undicesimo volume dà pochissime indicazioni) la cellula pri-

Lezioni Americane mordiale non è il verbo, ma l'aggettivo monosillabico. Il sostantivo si forma per accumulazione di aggettivi. Non si dice luna: si dice aereo-chiaro sopra scuro-rotondo, o aranciato-tenue-dell'altoceleste, o Jorge Luis Borges - 630 qualsiasi altro aggregato. In questo caso particolare, la massa degli aggettivi corrisponde a un oggetto reale; ma si tratta, appunto, di un caso particolare. Nella letteratura di questo emisfero (come nell'universo sussistente di Meinong) abbondano gli oggetti ideali, convocati e disciolti in un istante secondo le necessità poetiche. Determina questi oggetti, a volte, la mera simultaneità: alcuni si compongono di due termini, uno di carattere visivo e uno di carattere uditivo: il colore del giorno nascente e il grido remoto d'un uccello; altri di più termini: il sole e l'acqua contro il petto del nuotatore, il vago rosa tremulo che si vede con gli occhi chiusi, la sensazione di chi si lascia portare da un fiume e, nello stesso tempo, dal sogno. Questi oggetti di secondo grado possono combinarsi con altri; il processo. grazie a certe abbreviazioni, è praticamente infinito. Vi sono poemi famosi composti d'una sola enorme parola. Questa parola corrisponde a un solo oggetto, l'oggetto poetico creato dall'autore. Dal fatto che nessuno crede alla realtà dei sostantivi nasce, paradossalmente, che il numero di questi ultimi è interminabile. Gli idiomi dell'emisfero boreale di Tlön possiedono tutti i numeri delle lingue indo-europee, e molti altri. Non è esagerato affermare che la cultura classica di Tlön comprende una sola disciplina: la psicologia. Le altre, le sono subordinate. Ho già detto che gli abitanti di questo pianeta concepiscono l'universo come una serie di processi mentali, che non si svolgono nello spazio, ma successivamente, nel tempo. Spinoza attribuisce alla sua inesauribile divinità i modi del pensiero e dell'estensione; su Tlön, nessuno comprenderebbe la giustapposizione del secondo (che caratterizza solo alcuni stati) e del primo, che è un sinonimo perfetto del cosmo. In altre parole: non concepiscono che lo spaziale perduri nel tempo. La percezione di una fumata all'orizzonte, e poi della campagna incendiata, e poi della Finzioni - 631 sigaretta mal spenta che provocò l'incendio, è considerata un esempio di associazione di idee. Questo monismo o idealismo totale invalida la scienza. Spiegare (o giudicare) un fatto, è unirlo a un altro fatto; ma quest'unione, su Tlön, corrisponde a uno stato po-


steriore del soggetto, e non s'applica allo stato anteriore, dunque non lo illumina. Ogni stato mentale è irreducibile: il solo fatto di nominarlo - id est, di classificarlo - comporta una falsificazione. Da ciò, sembrerebbe potersi dedurre che su Tlön non si dànno scienze, ne ragionamenti di sorta. La verità, paradossale, è che le scienze colà esistono, e in numero quasi sterminato. Delle filosofie, nell'emisfero boreale, accade ciò che nell'emisfero australe accade dei sostantivi: il fatto che ogni filosofia non possa essere, in partenza, che un gioco dialettico, una Philosophie des Als Ob, ha contribuito a moltiplicarle. Abbondano i sistemi incredibili, ma di architettura gradevole o di carattere sensazionale. I metafisici di Tlön non cercano la verità, e neppure la verosimiglianza, ma la sorpresa. Giudicano la metafisica un ramo della letteratura fantastica. Sanno che un sistema non è altro che la subordinazione di tutti gli aspetti dell'universo a uno qualsiasi degli aspetti stessi. Ma persino l'espressione "tutti gli aspetti" è confutabile, poiché si fonda su un'impossibile addizione dell'istante presente ai passati; e questo stesso plurale, "i passati", è illecito, perché suppone un'altra operazione impossibile... Una delle scuole di Tlön nega perfino il tempo: argomenta che il presente è indefinito, che il futuro non ha realtà che come speranza presente.* Un'altra scuola afferma che il tempo è già tutto trascorso, e che la nostra vita è appena il ricordo o riflesso crepuscolare, e senza dubbio falsato * Russell ( The Analysis of Mind,1921, p. 159) suppone che il pianeta sia stato creato da pochi minuti, provvisto d'una umanità che "ricorda" un passato illusorio. Jorge Luis Borges - 632 e mutilato, di un processo irrecuperabile. Un'altra, che la storia dell'universo - e in esso le nostre vite, i più tenui particolari delle nostre vite - è la scrittura che produce un dio subalterno per intendersi con un demonio. Un'altra, che l'universo è paragonabile a quelle crittografie in cui non tutti i segni hanno un valore, e che solo è vero ciò che accade ogni trecento notti. Un'altra ancora, che mentre dormiamo qui, stiamo svegli dall'altra parte, e che dunque ogni uomo è due uomini. Tra le dottrine di Tlön, nessuna ha sollevato tanto scandalo come il materialismo. Alcuni pensatori ne hanno dato una formulazione, ma in termini più fervidi che chiari, come chi sa di proporre un paradosso. Per facilitare l'intendimento di una tesi così inconcepibile, un eresiar-

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ca del secolo XI* escogitò il sofisma delle nove monete di rame, la cui scandalosa rinomanza equivale, su Tlön, a quella delle aporie eleatiche. Di questo "ragionamento specioso" si hanno molte versioni, che differiscono quanto al numero delle monete o a quello dei ritrovamenti; ecco la più comune: Il martedì, X, tornando a casa per un sentiero deserto, perde nove monete di rame. Il giovedì, Y trova sul sentiero quattro monete, un poco arrugginite per la pioggia del mercoledì. Il venerdì, Z scopre tre monete sullo stesso sentiero e lo stesso venerdì, di mattina, X ne ritrova due sulla soglia di casa sua. Da questa storia l'eresiarca pretendeva dedurre la realtà - cioè la continuità - delle nove monete recuperate. E' assurdo (affermava) immaginare che quattro delle monete non siano esistite dal martedì al giovedì, tre dal martedì al venerdì pomeriggio, e due dal martedì al venerdì mattina. E' logico pensare che esse siano esistite - anche se * Secolo, in dipendenza del sistema duodecimale, significa qui un periodo dl 144 anni. Finzioni - 633 in un certo modo segreto, di comprensione vietata agli uomini - in tutti i momenti di questi tre periodi. Il linguaggio di Tlön si prestava male alla formulazione di questo paradosso; i più non lo compresero. I difensori del senso comune si limitarono, al principio, a negare la veracità della storia. Ripeterono che si trattava di un inganno verbale, fondato sull'impiego temerario di due voci neologiche, non consacrate dall'uso ed estranee ad ogni pensare severo: i verbi trovare e perdere, che comportavano, qui, una petizione di principio, poiché supponevano l'identità delle prime nove monete e delle seconde. Rammentarono che ogni sostantivo (uomo, moneta, giovedì, mercoledì, pioggia) non ha che un valore metaforico. Denunciarono la perfida circostanza di quell'"un poco arrugginite per la pioggia del mercoledì", che presuppone ciò che si tratta di dimostrare: la persistenza delle quattro monete tra il martedì e il giovedì. Osservarono che altro è uguaglianza, altro identità; e prospettarono, in guisa di reductio ad absurdum, il caso ipotetico di nove uomini che in nove notti successive provano un vivo dolore. Non sarebbe assurdo - chiesero - pretendere che questo dolore sia lo stesso?* Aggiunsero che l'eresiarca era stato mosso unicamente dal proposito blasfemo di attribuire la divina categoria dell'essere ad alcune semplici monete; e rilevarono che colui a volte negava la pluralità, altre no. Se l'uguaglianza comporta identità - argomentarono - bisognerebbe anche ammettere che le nove monete sono una moneta sola. Incredibilmente, questi argomenti non riuscirono a * Oggi, una delle chiese di Tlön sostiene platonicamente che certe cose come un determinato dolore, una determinata sfumatura verdastra del giallo, una determinata temperatura, un determinato suono, costituiscono l'unica realtà. Tutti gli uomini, nel vertiginoso istante del coito, sono lo stesso uomo. Tutti gli uomini che ripetono un verso di Shakespeare sono William Shakespeare.

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95 Jorge Luis Borges- 634 una confutazione definitiva. A cento anni dall'enunciazione del problema, un pensatore non meno brillante dell'eresiarca, ma di tradizione ortodossa, formulò un'ipotesi molto audace. Secondo questa felice congettura, v'è un solo soggetto: questo soggetto indivisibile è ciascuno degli esseri dell'universo, i quali sono organi e maschere della divinità. X è Y ed è Z. Z scopre tre monete perché ricorda che X le ha perdute; X ne trova due sulla soglia perché ricorda che le altre sono state recuperate... L'undicesimo tomo lascia capire che la vittoria completa di questo panteismo idealista si dovette a tre ragioni fondamentali: primo, il ripudio del solipsismo; secondo, la possibilità di conservare la base psicologica delle scienze; terzo, la possibilItà dl conservare il culto degli dèi. Schopenhauer (l'appassionato e lucido Schopenhauer) formula una dottrina molto simile nel primo volume dei Parerga und Paralipomena. La geometria di Tlön comprende due discipline abbastanza distinte: la visuale e la tattile. La seconda corrisponde alla nostra, ed è subordinata alla prima. La base della geometria visiva è la superficie, non il punto. Questa geometria ignora le parallele e dichiara che l'uomo che si sposta modifica le forme che lo circondano. Base di quell'aritmetica è la nozione di numero indefinito. Accentuano l'importanza dei concetti di maggiore e minore, che i nostri matematici simboleggiano con > e <. Affermano che l'operazione del contare modifica le quantità e le trasforma da indefinite in definite. Il fatto che vari individui, i quali calcolino una stessa quantità, giungano a risultati eguali, è per gli psicologi un esempio di associazione di idee o di buon esercizio della memoria. Sappiamo già, infatti, che in Tlön il soggetto della conoscenza è unico ed eterno. L'idea del soggetto unico informa anche, completamente, gli abiti letterari. E' raro che i libri siano firmati. La nozione dl plagio non esiste: s'è stabilito che tutte le opere sono opere d'un solo autore, atemporale Finzioni - 635 e anonimo. La critica suole inventare autori: sceglie due opere dissimili - il Tao Te King e Le Mille e una notte, diciamo, - le attribuisce a uno stesso scrittore, e passa subito a determinare, con diligenza, la psicologia di questo interessante homme de lettres... Non meno indifferenziati sono i libri. Quelli di narrativa hanno tutti lo stesso argomento, con tutte le permutazioni immaginabili. Quelli di carattere filosofico contengono invariabilmente la tesi e l'antitesi, il rigoroso pro e contra di ciascuna dottrina. Un libro che non includa il suo antilibro è considerato incompleto. Secoli e secoli di idealismo non hanno mancato di influire sulla realtà. Non è infrequente, nelle regioni più antiche di Tlön, la duplicazione degli oggetti perduti. Due persone cercano una matita; la prima la trova, e non dice nulla; la seconda trova una seconda matita, non meno reale, ma meno attagliata alla sua aspettativa. Questi oggetti secondari si chiamano hrönir, e sono, sebbene di forma sgraziata, un poco più lunghi. Fino a non molto tempo fa, i hrönir furono creature casuali della dimenti-

Lezioni Americane canza e della distrazione. Alla loro produzione metodica - sembra impossibile, ma così afferma l'"undicesimo volume" - non s'è giunti che da cento anni. I primi tentativi furono sterili. Il modus operandi merita d'essere ricordato. Il direttore di una delle carceri dello stato comunicò ai detenuti che nell'antico letto d'un fiume v'erano certi sepolcri, e promise la libertà a chi facesse un ritrovamento importante. Durante i mesi che precedettero gli scavi, furono mostrate ai detenuti fotografie di ciò che dovevano ritrovare. Questo primo tentativo mostrò che la speranza e l'avidità possono costituire una inibizione; in una settimana di lavoro con la pala e con il piccone, non si riuscì ad esumare altro hrönir che una ruota arrugginita, di data anteriore all'esperimento. La cosa fu mantenuta segreta e fu poi ripetuta in quattro istituti di educazione. In tre, l'insuccesso fu quasi completo; nel quarto Jorge Luis Borges - 636 il cui direttore morì casualmente durante i primi scavi) gli scolari esumarono - o produssero - una maschera d'oro, una spada arcaica, due o tre anfore dl coccio, e il torso verdastro e mutilato d'un re, recante sul petto un'iscrizione che non s'è ancora potuta decifrare. Si scoprì in tal modo come la presenza o testimoni a conoscenza del carattere sperimentale della ricerca, costituisca una controindicazione... Le investigazioni in massa producono oggetti contraddittori; oggi si preferiscono i lavori individuali e quasi improvvisati. La produzione metodica dei hrönir (dice l'undicesimo volume) ha reso servizi prodigiosi agli archeologi. Essa ha permesso di interrogare e perfino dl modificare il passato, divenuto non meno plastico e docile dell'avvenire. Fatto curioso: i hrönir di secondo e di terzo grado - i hrönir derivati da un altro hrönir: quelli derivati dal hrön di un hrön - esagerano le aberrazioni del hrön iniziale; quelli di quinto, ne sono quasi privi; quelli di nono, si confondono con quelli di secondo; quelli di undicesimo, hanno una purezza di linee non posseduta neppure dall'originale. Il processo è periodico: Il hrön di dodicesimo grado comincia già di nuovo a decadere. Più strano e più puro di ogni hrön è talvolta l'ur: la cosa prodotta per suggestione, l'oggetto evocato dalla speranza. La gran maschera d'oro cui ho accennato ne è un illustre esempio. Le cose, su Tlön, si duplicano; ma tendono anche a cancellarsi e a perdere i dettagli quando la gente le dimentichi. E' classico l'esempio di un'antica soglia, che perdurò finché un mendicante venne a visitarla, e che alla


morte di colui fu perduta di vista. Talvolta pochi uccelli, un cavallo, salvarono le rovine di un anfiteatro. 1940, Salto Oriental Poscritto del 1947. - Ho riprodotto l'articolo precedente come apparve nell'Antologia de la literatura fanFinzioni - 637 tastica, 1940, senz'altra esclusione che di alcune metafore d'una specie di riassunto burlesco che oggi risulterebbe fuori di luogo. Sono accadute tante cose da allora... Mi limiterò a farne cenno. Nel marzo 1941, in un libro di Hinton che aveva appartenuto a Herbert Ashe, si trovò una lettera manoscritta di Gunnar Erfjord. La busta recava il timbro postale di Ouro Preto; la lettera chiariva interamente il mistero di Tlön. Il suo testo conferma le ipotesi di Martinez Estrada. La splendida storia cominciò una notte di Lucerna o di Londra, al principio del secolo XVII. Una società segreta e benevola (che contò tra i suoi affiliati Dalgarno, e poi George Berkeley) sorse per inventare un paese. Nel vago programma iniziale figuravano gli "studi ermetici", la filantropia e la cabala. A questo primo periodo risale il curioso libro di Andreä. In capo ad alcuni anni di conciliaboli e di sintesi premature, si comprese che una generazione non bastava per articolare un paese. Si decise che ciascuno dei maestri che formavano la società si sarebbe scelto un discepolo per la continuazione dell'opera. Questo ordinamento ereditario venne osservato.

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Poi, dopo uno iato di due secoli, la confraternita risorge in America. Nel 1824, a Memphis (Tennessee) uno degli affiliati parla con l'ascetico milionario Ezra Buckley. Quest'ultimo lo sta a sentire con un certo sprezzo, e si ride della modestia del progetto. Dice che in America è assurdo inventare un paese, e propone l'invenzione di un pianeta. A questa idea gigantesca ne aggiunge un'altra, figlia del suo nichilismo: quella di mantenere il silenzio sull'enorme impresa. Circolavano allora i venti volumi della prima Encyclopaedia Britannica; Buckley suggerisce un'enciclopedia metodica del pianeta illusorio. Lascerà al pianeta i suoi filoni auriferi, i suoi fiu* Buckley era libero pensatore, fatalista e difensore dello schiavismo. Jorge Luis Borges - 638 mi navigabili, le sue praterie solcate dal toro e dal bisonte, i suoi negri, i suoi postriboli e i suoi dollari, ma a una condizione: "L'opera non patteggerà con l'impostore Gesù Cristo". Buckley nega Dio, ma vuole dimostrare al Dio inesistente che gli uomini mortali sono capaci di concepire un mondo. Buckley muore avvelenato a Baton Rouge, nel 1825. Nel 1914 la società rimette ai suoi collaboratori, che sono trecento, l'ultimo volume della prima Encyclopaedia di Tlön. La pubblicazione resta segreta: i suoi quaranta volumi (l'opera più vasta che mai si sia compiuta dagli uomini) dovranno servire di base a una altr'opera più minuziosa, redatta non più in inglese, ma in una delle lingue dl Tlön. Que-

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97 sta revisione di un mondo illusorio si chiama provvisoriamente Orbis Tertius, e uno dei suoi modesti demiurghi fu Herbert Ashe, non so se come agente di Gunnar Erfjord o come affiliato. Il fatto che egli ricevette l'"undicesimo volume" sembra favorire la seconda ipotesi. Ma gli altri volumi? A cominciare dal 1942, i fatti si moltiplicarono. Ricordo con singolare nettezza uno dei primi, e mi pare che sentii qualcosa del suo carattere premonitore. Accadde in un appartamento della via Laprida, dinanzi a un chiaro e alto balcone aperto sul tramonto. La principessa de Faucigny Lucinge aveva ricevuto da Poitiers il suo vasellame d'argento. Dal vasto fondo di un cassone costellato di etichette internazionali, venivano tratti alla luce oggetti fini e immobili: argenteria di Utrecht e di Parigi con una dura fauna araldica, un samovar. Tra il vasellame - con un percettibile e tenue tremore di uccello addormentato - palpitava misteriosamente una bussola. La principessa non la riconobbe. L'ago turchino anelava al nord magnetico; la cassa di metallo era concava; le lettere del quadrante erano d'uno degli alfabeti di Tlön. Fu questa la prima intrusione del mondo fantastico nel mondo reale. Della seconda, per un caso che m'inquieta, fui ancora testimone io stesso. Accadde alcuni mesi Finzioni - 639 dopo, nel bazar di un brasiliano, alla Cuchilla Negra. Amorim e io tornavamo da Sant'Anna. Una piena del fiume Tacuarembó ci obbligò a provare (e a sopportare) quella rudimentale ospitalità. Il brasiliano ci sistemò due brande cigolanti in uno stanzone ingombro di botti e di cuoiami. Ci coricammo, ma ci tennero svegli fino all'alba le escandescenze d'un vicino invisibile, che pareva ubriaco e alternava bestemmie inestricabili con frammenti di milongas: o meglio, con frammenti d'una sola milonga. Com'è naturale, attribuimmo quell'insistente baccano all'amicizia del padrone per la propria acquavite... Ma all'alba, trovammo l'uomo morto nel corridoio. L'asprezza della sua voce ci aveva ingannato: era appena un ragazzo. Nel delirio, gli erano cadute dalla cintura alcune monete e un cono di metallo lucente, del diametro di un dado. Un bambino, che volle raccogliere questo cono, non ci riuscì. Un uomo lo sollevò, ma con gran fatica. Io lo tenni in mano per alcuni minuti e ricordo il suo peso intollerabile, che perdurò anche dopo che l'ebbi lasciato. Ricordo anche il cerchio preciso che mi scolpì sul palmo. Il fenomeno d'un oggetto così piccolo e nello stesso tempo così pesante, lasciava un'impressione spiacevole, di sgomento e di paura. Un contadino propose di gettarlo nel fiume tumultuoso. Amorim lo acquistò per pochi pesos. Nessuno sapeva nulla del morto, tranne che "veniva dalla frontiera". Questi coni piccoli e pesantissimi (fatti d'un metallo che non è di questo mondo), sono l'immagine della divinità in certe religioni di Tlön. Do qui termine alla parte personale della mia narrazione. Il resto è già nella memoria (o nella speranza, o nel timore) di tutti i miei lettori. Mi basterà di rammentare i fatti seguenti, con parole brevi che s'arricchiranno e amplieranno nel concavo ricordo comune. Nel 1944, un reporter del quotidiano "The American" (di Nashville, Tennessee) scovò in una biblioteca di Memphis i quaranta volumi della prima Encyclopaedia

Jorge Luis Borges - 640 di Tlön. Ma si discute tuttora sulla natura della scoperta: se sia stata casuale, o se l'abbiano consentita i direttori dell'ancora nebuloso Orbis Tertius. L'ipotesi più verosimile è la seconda. Nell'esemplare di Memphis, alcuni passi incredibili dell'"undicesimo volume" (quelli, per esempio, sulla moltiplicazione dei hrönir) sono stati eliminati o attenuati; è ragionevole pensare che queste correzioni corrispondano all'intenzione di presentare un mondo non troppo incompatibile con il mondo reale. La disseminazione di oggetti di Tlön nei diversi paesi farebbe parte dello stesso piano...* Il fatto è che il "ritrovamento" ha avuto nella stampa internazionale un'eco infinita. Manuali, antologie, riassunti, versioni letterali, ristampe autorizzate e non autorizzate di questo Opus Majus del Genere Umano hanno inondato e continuano a inondare la terra. Quasi immediatamente la realtà ha ceduto in più punti. Quel ch'è certo, è che anelava di cedere. Dieci anni fa, bastava una qualunque simmetria con apparenza di ordine - il materialismo dialettico, l'antisemitismo, il nazismo - per mandare in estasi la gente. Come, allora, non sottomettersi a Tlön, alla vasta e minuziosa evidenza di un pianeta ordinato? Inutile rispondere che anche la realtà è ordinata. Sarà magari ordinata, ma secondo leggi divine - traduco: inumane - che non finiamo mai di scoprire. Tlön sarà un labirinto, ma è un labirinto ordito dagli uomini, destinato a esser decifrato dagli uomini. Il contatto con Tlön, l'assuefazione ad esso, hanno disintegrato questo mondo. Incantata dal suo rigore, l'umanità dimentica che si tratta d'un rigore di scacchisti, non di angeli. E' già penetrato nelle scuole l'"idioma primitivo" (congetturale) di Tlön; e l'insegnamento della sua storia armoniosa (e piena di episodi *Resta da risolvere, naturalmente, il problema della materia di alcuni di questi oggetti. Finzioni - 641 commoventi) ha già obliterato quella che presiedette alla mia infanzia: già, nelle memorie, un passato fittizio occupa il luogo dell'altro, di cui nulla sapevamo con certezza... neppure se fosse falso. Sono state riformate la numismatica, la farmacologia e l'archeologia. Suppongo che la biologia e la matematica attendano anch'esse il proprio avatar... Una sparsa dinastia di solitari ha cambiato la faccia del mondo. I lavori continuano. Se le nostre previsioni non errano, tra un centinaio d'anni qualcuno scoprirà i cento volumi della seconda Encyclopaedia di Tlön. Allora spariranno dal pianeta l'inglese e il francese e il semplice spagnolo. Il mondo sarà Tlön. Io non me ne curo, io continuo a rivedere, nelle quiete giornate dell'Hotel de Adrogué, un'indecisa traduzione quevediana (che non penso di dare alle stampe) dell'Urn Burial di Browne.


La luce, acceca, o permette di vedere, la luce permette di carpire le sfumature, o le nasconde. Attraverso questa noi percepiamo, avvertiamo lo spazio circostante. Il concetto di luce introduce il suo contrario; dove esiste la luce v’è anche l’ombra. L’oscuro, la tenebra, nella quale a sua volta può nascondersi la luce stessa. La luce della notte, delle stelle, della città in lontananza nella leggerezza di una notte estiva enfia di lucciole, ci suscita emozioni, emozioni calde, mentre la lucentezza pura e limpida di un ghiacciaio ci offre una luce algida. Con il tempo, anche la luce si muove lenta, invisibile, e ci offre spettacoli che sfuggono all’uomo, l’alba, il crepuscolo, la notte, il sole, la luna che vanitosa si specchia nel mare, è emozione che fruisce, scorre. La luce di un’intuizione, la luce di un amore, o semplicemente la luce di una lampadina che ci riporta alla realtà dalla mano crudele.


Luce Luce


Bagliori Inaspettati Non avevo molti amici in classe, mi piaceva perdermi tra i versi di una poesia, la moda e l’apparire non mi interessavano. Le poche persone M i con cui parlavo erano quelle che possiamo definire come “le classiero persa nelle che secchione”: trecce, occhiali e larghi maglioni, non che mi trovie Parigineb con un’avassi benissimo, ma almeno loro erano persone vere e intelligenmica, quando decidemmo di chiedere un’ ti. Una sera io e un’altra ragazza decidemmo di andare ad una informazione per arrivare al Trocaderò. L’efesta in spiaggia, ero ancora incredula dinnanzi alla sua propolegante parigino mi diede delle indicazioni sta. Fissammo sotto casa mia alle 9 , speravo non arrivasse con “Tout droit et tournez à gauche aux feu rouil solito motorino. Alle 9 in punto mi squilla il telefono, una voce ge”. La mia amica, che non parlava molto suadente mi dice di scendere. Esco dal cancello e davanti ai bene francese mi chiese cosa sono i “fuomiei occhi una Spider rosso fuego. Dalla macchina esce una chi rossi”. Sorridendo le spiegai che “Jessica Rabbit”: vestito rosso, niente maglione rosa, capelli sono i semafori. lunghi rossi sciolti, niente trecce spettinate, niente occhiali, profumo forte deciso, ma fruttato. Gli occhi increduli avevano davanti a se una ragazza bellissima. Ci salutammo montammo in macchina, ancora incredula ogni tanto la fissavo, e andammo alla festa sulla spiaggia. Conoscemmo molti ragazzi, ballammo fino a non sentire più le gambe, poi quel ritmo, salsa, “La vida es U n a un carnaval”, la mia amica andò in pista. Ballava come notte, dopo lavomai avevo visto fare prima, non credevo ai miei occhi. ro, sorseggiavo un bicchieVolteggiava sulla spiaggia come la fiamma su un falò, re di prosecco ghiacciato. Ero al bancone ballava come una cubana impazzita, sul malecon. La del solito bar, ci conoscevamo tutti. Stavo scherzanluce della luna rifletteva su i suoi capelli rossi, che le do con il barista, quando nel locale entra un insolito illuminavano il viso. Che spendida sorpresa!!! Avevo ragazzo, dal fascino misterioso. Portava i capelli luntrovato un amica con cui passare le serate, i momenti ghi, la barba incolta. Anche lui si appoggiò al bancone liberi, sopratutto una ragazza intelligente, colta, come chiese con tono calmo e deciso del rum. Lo scrutai plice dei miei momenti ludici e intellettuali: rara come a lungo, aveva un orecchino nell’orecchio sinistro. Ebuna perla nera. Da quel momento non guardai più i bra d’allegria, una parola dopo l’altra, senza volerlo suoi occhiali e le trecce spettinate, vidi soltanto una lo chiamai Jack, Jack Sparrow. Lui, lo straluce carminea, quella che emanava sotto la luna. niero, lo sconociuto, era il mio pirata.

Come dice una canzone cubana: “El cuerpo es sólo un estuche y los ojos la ventana, De nuestra alma aprisionada Mira la esencia, no las apariencias Que todo entra por los ojos dicen lo superficiales, Lo que hay adentro es lo que vale

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Effetti di luce

Inedito

Nonne

L’ego è un vetro rotto che si specchia, e in ogni frammento c’è un io diverso che grida, che si dispera, che invoca la purezza adamantina.

Chi muore non abbandona, ma precede

Gelso Nel viola di una tenebra lucente labbra livide.

Nonne Le ombre muoiono nella notte ansimando silenti

Sotto-titolo Il raggio del sole si perde nell’abisso dove sono nascosti i tuoi seni di sale.


Far luce Il Deprofundis, O. Wilde Il dolore è una ferita che sanguina quando una mano la tocca, tranne quella dell'amore, ed anche premuta da una carezza buona essa fa sangue, quantunque non la strazi più la sofferenza. Dovunque c'è il dolore qui santa è la terra. Un giorno si capirà ciò che questo significa. Nulla si saprà prima di questo e delle indoli come la sua, sì, possono comprendere.

Il dolore è una ferita che non sanguina quando una un soffio la tocca, quando la mano dell’amore non sfiora i cuori fedeli, anche se preme con una carezza buona essa fa sangue, a sfiorire la ferita saranno gli strazi della sofferenza che singhiozzano nella faretra dell’amore mentre anche il giorno muore. Maledetta è la terra, dovunque c’è il dolore, mai capiremo cosa questo significa. Comprendiamo tutto ciò che è materiale, ma mai scopriremo l’indole della sua natura.

Il mestiere di vivere, Cesare Pavese L’arte di sviluppare i motivetti per risolverci a compiere le grandi azioni che ci sono necessarie. L’arte di non farci mai avvilire dalle reazioni altrui, ricordando che il valore di un sentimento è giudizio nostro poiché saremo noi a sentircelo, non chi interviene. L’arte di mentire a noi stessi sapendo di mentire. L’arte di guardare in faccia la gente, compresi noi stessi, come fossero personaggi di una nostra novella. L’arte di ricordare sempre che, non contando noi nulla e non contando nulla nessuno degli altri, noi contiamo più di ciascuno, semplicemente perché siamo noi. L’arte di considerare la donna come la pagnotta: problema d’astuzia. L’arte di toccare fulmineamente il fondo del dolore, per risalire con un colpo di tallone. L’arte di sostituire noi a ciascuno, e sapere quindi che ciascuno si interessa soltanto di sé. L’arte di attribuire qualunque nostro gesto a un altro, per chiarirci all’istante se è sensato. L’arte di fare a meno dell’arte. L’arte di essere solo.

Far luce

L’arte di sviluppare espedienti per risolverci a compiere le grandi azioni che ci rimangono difficili: azioni titaniche. L’arte di farci avvilire dalle reazioni altrui, ha posto un infrangibile vetro tra il nostro io e gli altri, in tal modo, quando piove, è il vetro ad accogliere le lacrime, e non l’ego, non il sentimento. Questo sembrerà leggero, perchè noi lo soffochiamo. Il sentimento tace, l’arte di mentire a noi stessi sapendo di mentire. L’arte di non guardare in faccia la gente, ma soprattutto a noi stessi, come se indossassimo una maschera, dove la vita diviene non-vita. L’arte di non dimenticare che noi contiamo, non più e non meno degli altri, e non dobbiamo mai abbandonare l’umiltà. L’arte di considerare una donna come una Dea: problema del maledetto bisogno di trovare riscontro nel mondo esterno. L’arte di auto nascondere la verità per non vedere il dolore, per paura di non riuscire a risalire dall’ade dei sensi. L’arte di riuscire ad essere se stessi e in questa giungla feroce mantenere la compassione nel senso autentico del termine. L’arte di assumersi le proprie responsabilità in tutte le sue sfaccettature. L’arte di respirare, e compiacersi nell’arte. L’arte di accettare che l’uomo, l’io, l’essere da solo non trova appagamento.

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La vita in fiore, Anatole France Amo la verità. Credo che l’umanità ne abbia bisogno. Ma ha un bisogno ancora più grande della menzogna che la lusinga, la consola, le dà speranze senza limite. Senza la menzogna, morirebbe di disperazione e di noia.

Amo la mensogna. Credo che l’umanità ne abbia bisogno. Ma ha un bisogno ancora più grande della verità che li rassicuri, li consoli, e gli mostri cosa hanno davanti, senza sorprese. Senza la verità morirebbero di disperazione e di noia.

Fisiologia del gusto, Anthelme Brillat-Savarin La scoperta di un piatto nuovo è più preziosa per il genere umano che la scoperta di una nuova stella.

La scoperta di una nuova stella è più preziosa per il genere umano, che la scoperta di un nuovo piatto.

Viaggio al termine della notte, L.F. Céline Siamo per natura così superficiali, che soltanto le distrazioni ci possono impedire davvero di morire.

Siamo per natura così profondi, che le distrazioni ci possono impedire davvero di vivere.

The Double Hat, Lily Brown Quante persone che considerano estremamente importante “esprimere” la loro “personalità” hanno una personalità che potrebbe benissimo rimanere inespressa senza danno né per loro né per il mondo.

Quante persone che non considerano importante “esprimere” la loro “personalità” hanno una personalità che dovrebbe esprimersi senza danno né per loro né per il mondo.

Il ritratto di Dorian Gray, Oscar Wilde L'umanità si prende troppo sul serio. È il peccato originale del mondo. Se l'uomo delle caverne fosse stato capace di ridere, la storia sarebbe stata diversa.

L’umanità non si prende mai sul serio. È il peccato originale del mondo. Se l’uomo delle caverne fosse stato capace di piangere, la storia sarebbe stata diversa.


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Dardi di Luce Aldo Palazzeschi

Cobò Chicchicchirichi!… Chicchicchirichi!… <<Ecco il dì>>. Cantano i galli di Cobò. Il vecchio Cobò è sul suo letto che muore fra poche ore. Povero Cobò! Povero Cobò! Ciangottano i pappagalli. Addio Cobò! Addio Cobò! E le galline: cocococococococodè: <<oggi è per te>> cocococococococodè: <<Cobò tocca a te>>. Le tortore piene di malinconia si sono radunate in un cantuccio: glu… glu… glu… <<non ti vedremo più>>. I cani si aggirano mesti con la coda ciondoloni, mugolando: bau… bau… baubaubò: <<addio papà Cobò>>. E i gatti miagolando: gnai… gnai… gnai… fufù <<Mai… mai… mai più >>. E le cornacchie: gre gre gre gre <<anche a te, anche a te >>. Fissando il capezzale la civetta veglia e aspetta.


Dardi di Luce Il Guscio Gh gh gh gh gh gh Chiuso nel mio guscio, Tic Tac Tic Tac e cerco un varco, un’uscita da me stesso… crac crac crac,

Dardi di luce

crepa, sccc sccc sccc sccc scivolo, sussulto. scivolo. sccc sccc. Brr Brr Brr rabbrividisco, ZZZZ ZZZZ ZZZZ ZZZZ ZZZZ ZZZZ saldatore nessuno deve entrare.

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Dardi di Luce Rumore

ZAM

tuono

Un tuono

tuono dolore tra le pietre fredde

tuono

corrose

tuono tuono

tuono

tuono tuono

tuono tuono tuono

tuono

tuono

folgore nell’ardesia del cuore

tuono

tuono

rumore

tuono tuono tuono tuono

tuono

tuono tuono tuono

tuono

tuono

rumore

rumore

rumore

rumore

rumore

rumore

Straniero cammina sulle macerie vitree.

inst

abil

ità

ins

tab

in

st

ilità

ab

ilit

à


Ironica Luce Sic Sic, Sic Sic, Sic Sic, Sic Sic, Sic Sic, Sic Sic,

cosi il lamento di un poeta latino

Eco, Eco, Eco, la parola che ritorna Sposato, Verbo Coniugato

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Ironica Luce

o Sim ul ta

li a ri

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i l a i r

malattia del poeta

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Ironica Luce Il coltello e la ferita, battito cardiaco della vita

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Ironica Luce


La tavolozza cromatica interna dipende non solo dal nostro modo di percepire i colori esterni, ma anche dalle emozioni e dal nostro modo di interpretare la realtà. Le esperienze, più del bagaglio culturale influenzano le pennellate del nostro cammino. Il latino color, coloris, da cui si forma l’italiano colore, si sviluppa dalla radice del verbo celare, nascondere. Nascondere il colore oggettivo per mano delle emozioni, il mondo assume così le tonalità che noi stessi gli attribuiamo. Anche se il mondo è pieno di colori, spesso ci affidiamo al pennello che attinge i colori dalla nostra anima. Se i pigmenti interiori hanno toni scuri, celano il colore che ci circonda, coprono, nascondono, ironia della sorte, nascondere sta all’etimo del colore.


Colore Colore


Il Colore dei Diari al maschile

L’isola dell’anima, Gli Antichi Culti Maori e i diari di Viaggio a Noa Noa illustrati dall’autore, Paul Gauguin LatinoAmericana, due diari per un viaggio in motocicletta Ernesto Che Guevara e Alberto Granado Diario di un Genio, Salvator D’alì

Poeti vari

La letteratura Rosa Le Parole Che Non Ti Ho Detto, Nicholas Sparks Giallo Commissario Maigret, Simenon Noir XY, Sandro Veronesi

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Il Colore dei Diari al femminile Lettere Appassionate (Ad Alejandro Gòmez Arias) Frida Kahlo La mia Africa - Karen Blixen L’altra verità, Diario Di Una Diversa, Alda Merini

Poetesse varie

La letteratura Rosa Orgoglio e pregiudizio di jane Austen Giallo Miss Marple e i tredici problemi - Agatha Christie Noir Dopo la prima morte - Patrizia Pesaresi


L’isola dell’anima, Gli Antichi Culti Maori e i diari di Viaggio a Noa Noa illustrati dall’autore, Paul Gauguin P.G. parte da Parigi per Tahiti nel 1890 per raggiungere nel 1891 Noa Noa. Ritornò a Parigi nell’1893, in questi anni scrisse un diario, dove vi sono raccolti tele, schizzi e disegni. L’amore per quelle isole lo portò alla morte nel 1903 nell’Isola di Hiva-Oa

Dove l’uomo prodigava i suoi doni come la terra,...

La notte dell’otto giugno dopo 63 giorni di traversate (per me 63 giorni di attesa febbrile, di fantasticherie impazienti verso la terra desiderata), scorgemmo sul mare strani fuochi si muovevano a zig zag. Contro un fosco si tagliva un cono nero denta-

che cielo to. Doppiavamo l’isola di Morea per arrivare in vista di Tahiti. Alcune ore dopo spuntava l’alba. Lentamente ci avvicinavamo ai frangenti, con la prua rivolta verso la punta Venus, entravamo nel passaggio di Papetee e senza danni gettavamo l’ancora nella rada. La prima visione della piccola isola non ha nessun incanto, nulla che si possa paragonare, per esempio, alla meravigliosa baia di Rio de Janeiro. Tutt’occhi, guardavo tuttavia senza farmi distrarre da confronti. E’ la cima di una montagna sommersa dal diluvio; soltanto la vetta più alta sovrastava le acque: una famiglia vi ha trovato rifugio, sicura-

mente vi ha messo radici, e anche i coralli vi si sono arrampicati, circondando l’isola nuova, dilatandola. Questa ha continuato ad ampliarsi, ma della sua origine ha ancora caratteristiche di solitudine e di riduzione che il mare, con la sua immensità, sottolinea. Alle dieci del mattino mi presentai dal governatore (il negro Lacascade) che mi fece l’accoglienza riservata alle persone di riguardo. Dovevo tale onore alla missione affidatami (non so bene perchè) dal governo francese. “Missione Artistica”, è vero, ma la definizione, per il negro, non era che sinonimo ufficiale di spionaggio, e i miei sforzi per dissuaderlo furono vani. Tutti i suoi collaboratori condivisero il suo errore, e quando dissi che la mia missione non prevedeva stipendio, nessuno volle credermi. La vita a Papetee mi venne a noia assai presto, Era l’europa, l’Europa da cui avevo creduto di essermi liberato, con l’aggravante dello snobbismo coloniale, della scimmiettatura puerile e grottesca, sino alla caricatura. Non era questo che venivo a cercare da lontano lontano.

Quanto il mio cuore ha concesso agli occhi di vedere...

Non sono più a Papetee, ma nel distretto di Mataiea. Da una parte il mare e dall’altra la montagna: la montagna spalancata, crepaccio spaventoso turato da un groviglio di manghi giganteschi addossati alla parete rocciosa. La mia capagna in legno di burao era tra la montagna e il mare, e di fianco ad essa c’era un’altra piccola “Fare Amu” (casa per mangiare). E’ mattina. Sul mare, contro la spiaggia, vede una piroga, e nella piroga una donna; sulla riva un uomo praticamente nudo; accanto all’uomo un albero di cocco malato, sembra un immenso pappagallo che lasci ricadere la coda d’orata e tenga tra le unghie un groso grappolo di noci di cocco. L’uomo alza quelle mani, in un gesto agile e armonioso, un’accetta pesante che in alto lascia un’impronta azzurra sul cielo argenteo, in basso un’incisione sull’albero morto dove rivive, nella scintilla di un istante, il calore tesaurizzato giorno dopo giorno per secoli. Sul terreno color porpora, lunghe foglie serpentine di un giallo metallico mi sembrano i caratteri di qualche remota lingua orientale, e credevo di leggervi questa parola originaria dell’Oceania: Atua, Dio, Il Taata o Takata che dall’India si diffonde ovunque, si ritrova in tutte le religioni... Agli occhi di Tathagata le più splendide magnificenze dei re e

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dei loro ministri non sono che sputo e polvere; Ai suoi occhi la purità e l’impurità sono come la danza delle sei naga; Ai suoi occhi la ricerca della via del Buddha è simile a fiori.

Nella piroga la donna metteva in ordine le reti. La linea azzurra del mare era spesso rotta dalla cresta verde dei marosi che ricadevano sui frangenti corallini. Quella sera andai a fumare una sigaretta sulla sabbia in riva al mare; il sole sceso rapidamente all’orizzonte, era già per meta nascosto dall’isola di Morea, sulla mia destra. In controluce, nere sull’incendio del cielo, risaltavano nitide le forti montagne, le cui creste tracciavano il profilo di antichi castelli merlati.

Taglia il piede tutta la foresta

I vicini sono diventati quasi amici, per me. Mi vesto e mangio come loro; quando non lavoro prendo parte alla loro vita indolente e gioiosa, con bruschi intervalli di austerità. Alla sera sorro fitti cespugli sovrastati dalla chioma agitata delle palme da cocco ci si riunisce in gruppi: uomini, donne, bambini. Alcuni sono di Tahiti, altri delle Tenga, delle Arorai, delle Marchesi. Le tonalità opache dei loro corpi fanno una bella armonia con il velluto del fogliame, e il loro petto di bronzo emette melodie vibranti che si fanno tenui nell’urto col tronco rigoso delle palme. La prima a cantare incomincia: come un uccello superbo sale di colpo al culmine della gamma. Il suo grido possente si abbassa e torna a salire, planando come l’uccello, mentre gli altri volano attorno alla stella come satelliti fedeli. Poi con un grido barbarico tutti gli uomini terminano in accordo sulla tonica. Sono i canti di Tahiti, gli Imenè. Oppure ci riunisce per cantare e conversare, in una sorta di capanna comune. L’inizio è una preghiera; da prima la recita un vecchio, cocienziosamente, e tutti i presenti la riprendono a ritornello. Poi si canta. Altre volte si raccontano storie per ridere. Più di rado si discute di questioni serie, si fanno sagge proposte.

Nave Nave Fenua

Da qualche tempo ero di umore tetro. Il mio lavoro ne risentiva. E’ vero che mi mancavano molti documenti; ma era soprattutto la gioa di vivere che mi mancava. Da parecchi mesi, oramai, avevo rimandato Titi a Papetee, da parecchi mesi non sentivo più il cicaleggio della Vahine che senza tregua mi faceva, sulle stesse cose, le stesse domande a cui rispondevo invariabilmente con le stesse frottole. E

il silenzio non mi faceva bene. Decisi di partire, intraprendere un viaggio attraverso l’isola senza stabilirne la meta con precisione... Finalmente partii. Laciando la strada che costeggia il mare, segue un angusto sentiero attraverso il folto verde che si estende per un vasto tratto sulla montagna e arrivo in una valletta dove gli abitanti vivono secondo le antiche usanze maori. Sono felici e sereni. Sognano, amano, cantano, fanno la siesta, amano, pregano ed io vedo distintamente, anche se non ci sono le statue delle divinità femminili, le statue di Ina e le feste in onore della Dea lunare. L’idolo è un blocco solo, largo dieci piedi ds una spalla all’altra e alto 40. Sul capo a guisa di cuffia, la Dea porta una pietra enorme, di colore rossastro. Intorno a lei danzano secondo i riti di un tempo-Matamua-e il vivo varia la sua nota, chiara e allegra o malinconica e cupra, con il susseguirsi delle ore continuo il cammino.

Antico culto Maori

La sera, coricati, avevamo grandi conversari, lunghi e spesso molto seri. Io cerco nella sua anima di bambina le tracce del passato lontano socialmente, stramorto e tutte le mie domande non restano senza risposta. Forse gli uomini, sedotti e asserviti dalla nostra civiltà e dalla nostra conquista, hanno dimenticato. Gli Dei di un tempo si sono rifugiati nella memoria delle donne e Tehura mi offre uno spettacolo emozionante e singolare quando vedo gli Dei del suo popolo ridestarsi in lei a poco a poco e agitarsi sotto i veli dove i missionari protestanti hanno creduto di seppellirli...


Tehura va in chiesa regolarmente e con le labbra e le mani pratica la religione ufficiale. Ma sa a memoria i nomi di tutti gli Dei del Phanton Maori. Conosce la loro storia, come hanno creato il mondo, come desiderano essere onorati, quanto ai rigidi precetti della morale cristiana, l’ignora e non se ne cura e non pensa affatto a pentirsi perchè vive con un tane al di fuori del matrimonio. Non è molto chiaro come metta daccordo nella sua fede Taaora e Gesù, ma penso che li veneri entrambi... S’interessa molto alle stelle, mi domanda come si chiama in francese la stella del mattino, quella della sera. Fatica a credere che la terra gira attorno al sole. A sua volta mi nomina le stelle della sua lingua e mentre mi parla i distinguo a l l a luce degli astri, che sono divinità, le vaghe forme sacre dei signori maori, della terra e dei cieli. E’ probabile che gli abitanti di Tahiti abbiano posseduto sin dalla più lontana antichità cgnizioni astronomiche piuttosto estese... A modo loro calcolavano la distanza dalla terra e dalla luna, il seme dell’albero Ora fu portato dalla luna sulla terra da un piccione bianco. Gli erano occorse due lunazioni per raggiungere il satellite, e quando, dopo altre due lunazioni, ricadde sulla terra, aveva perso le piume. Tra tutti gli ucelli che i maor conoscono il picione è ritenuto il più veloce nel volo.

Il pesce ha parlato

Da quindici giorni le mosche, prima rare, s’infittivano e diventavano insopportabili. Tutti i maori si rallegravano; stavano per arrivare i branchi dei tonni. Le mosche annunciavano la stagione della grande pesca, l’unica in cui si lavori a Tahiti. Tutti controllavano la tenuta delle lenze, la resistenza degl’ami. Donne, bambini, tutti erano occupati

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a strascinar reti, o meglio lunghi sbarramenti di foglie di cocco, lungo la riva, sui coralli che coprono il fondo marino tra la terra e i frangenti. in questo modo riescono a catturare dei piccoli pesci di cui i tonni sono ghiotti. Quando i preparativi furono terminati, E questo non richiese non meno di tre settimane, vennero spinte in mare due grandi piroghe accoppiate, guarnite sul davanti di una lunghissima pertica, che può essere sollevata di colpo per mezzo di due corde fissate alla parte posteriore (la pertica è munita di un amo e di un’esca: in questo modo quando il pesce ha abboccato, viene subito sollevato fuor’acqua e tirato nell’imbarcazione). Superammo i frangenti e ci spingemmo a largo. Ho ancora in mente una tartaruga che ci lasciava passare, con la testa fuor d’acqua. Tutti i pescatori erano allegri e remavano vigorosamente. Arrivammo in un punto dove il ,are è profondissimo: lo chiamavano la Fossa dei tonni. In effetti è li, dicono, difronte alle grotte di Mara, che questi pesci vanno a dormire, a profondità irraggiungibili dagli squali... Siccome domandavo perchè non si facesse scendere una lenza da fondo molto lunga, nella fossa dei tonni, mi risposero che era impossibile, luogo sacro! Laggiù risiede il Do del Mare. Subodoravo una leggenda e non feci fatica a farmela raccontare. Rana Hatou (una sorta di Nettuno Tahitiano) dormiva sul fondo marino, in quel punto. Un pescatore commise l’imprudenza di andarci a pescare, e poichè l’amo s’impigliò nei capelli del Dio, questi si svegliò. Infuriato salì in superficie per scoprire chi aveva avuto l’audacia di turbare così il suo riposo, e quando vide che il colpevole era un uomo decise immediatamente, che per espiare l’oltraggio tutta la razza umana sarebbe perita. Tuttavia per una misteriosa indulgenza, dal castigo fu escluso proprio l’unico colpevole. Il Dio gli ordinò di andare con tutta la sua famiglia sul Toa Marama (che, secondo alcuni, è un isola o una montagna, e secondo altri una piroga, un’arca). Quando il pescatore e la famiglia furono in salvo nel luogo a loro destinato, le acque del mare comincia-

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rono a salire. A poco a poco coprirono fin le montagne più alte e fecero perire tutti gli esseri viventi, ad eccezione di quelli rifugiatisi su (o dentro) il toa Marama, e che il più tardi ripopolarono le isole.

Ditegli che mi avete vista piangere

Richiesto da obblighi familiari imperiosi, dovetti ritornare in Francia. Addio terra ospitale, terra deliziosa, patria di libertà e di bellezza! Parto più vecchio di due anni, ma ringiovanito di venti, più “barbaro” che all’arrivo, e tuttavia più ammaestrato. Si, i selvaggi hanno insegnato molte cose al vecchio civilizzato. Molte cose, quell’ignoranti, circa la scienza del vivere e l’arte di essere felici. Mentre lasciavo la banchina al momento d’imbarcarmi, guardai Tehura per l’ultima volta. Aveva

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pianto per parecchie notti. Adesso era sfinita, sempre trist ma calma, si era seduta sulla pietra e le gambe penzoloni sfioravano l’acqua con i piedi solidi e larghi. Il fiore che prima aveva sull’orecchio le era caduto in grembo appassito. Distanti ogni poco, altre come lei guardavano stancamente, in silenzio senza pensieri, il fumo denso della nave che portava via gli amanti di un giorno. Dalla passerella col binocolo ci sembrò dileggere ancora alungo, sulle loro labbra, il vecchio discorso Maori: “Voi, brezze leggere del Sud e dell’Est che vi unite per scherzae e per accarezzarvi al di sopra del mio capo, affrettatevi, correte insieme all’altra isola: ci troverete colui che mi ha abbandonata, seduta all ombra del suo albero preferito. Ditegli che mi avete vista piangere.


LatinoAmericana, due diari per un viaggio in motocicletta Ernesto Che Guevara e Alberto Granado La vita di Ernesto C.Guevara (1928-1967) e la sua esperienza politico-rivoluzionaria, sono note a tutti, meno nota forse, è la sua giovinezza di cui, qui, presentiamo un fondamentale capitolo. Alberto Granado dottore in biologia e grand’amico di Ernesto. I due iniziarono il loro viaggio attraverso l’America nel 1951.

Antefatti

Era un mattino di ottobre. Ero andato a Cordova approfittando delle vacanze del 17. Sotto il pergolato della casa di alberto granado bevevamo Mate zuccherato, commentavamo tutte le traversie della “porca vita”, e intanto ci dedicavamo alla manutenzione della poderosa II. Lui si lamentava di aver dovuto abbandonare il lebbrosario di S. Francisco de Canar, e del lavoro malpagato all’ospedale spagnolo. Anch’io ero stato costretto a laciare l’ospedale spagnolo, ma a differenza di lui, ne ero contento: certo, avevo delle inquietudini, dovute al mio spirito sognatore, ero stufo della facoltà di medicina, di ospeali di esami. Sui sentieri dell’immagnazione arrivammo a remoti paesi, navigammo per mari tropicali e visitammo tutta l’Asia. e all’improbvviso materializzata dai nostri sogni, sorse la domanda: e se ce ne andassimo in Nord America? “E Come?” “Con la Poderosa, che diamine!” Così venne deciso il viaggio che in ogni momento si sarebbe attenuto alla linea generale su cui era progettato; l’improvvisazione...

La scoperta del’Oceano

La luna piena si staglia sul mare e ricopre di riflessi argentati le onde. Seduti su una duna guardiamo

l’incessante movimento con animi diversi; per me il mare è sempre stato un confidente, un amico che assimila tutto quel che gli viene raccontato senza mai rivelare il segreto confidato e che da i migliori consigli: un rumore il cui significato ciascino interpreta come crede. Per Alberto è uno spettacolo nuovo che gli procura uno strano turbamento, e gli effetti si percepiscono nello sguardo attento con cui segue il formarsi di ogni onda che va a morire sulla spiaggia, Alla soglia dei trent’anni Alberto scopre l’oceano atlantico e prova in questo momento la trascendenza della scoperta che spalanca infinite vie verso qualsiasi punto del mondo. La fresca brezza marina colma i sensi, tutto si trasforma al suo contatto, lo stesso come Back guarda, con il suo stano musetto allungato, la striscia argentea che si torge e si distende difronte a lui varie volte al minuto. Come Back è un simbolo e un sopravvissuto; simbolo dei legami che esigono il mio ritorno; sopravvissuto alla sua particolare sfortuna: due cadute dalla moto che lo avevano fatto volar via chiuso nella sua borsa, il calcio di un cavallo che lo aveva spiaccicato e un’ostinata diarrea...

Parentesi d’amore

Ricordo un giorno in cui l’amico mare decise di venire in mia difesa e strapparmi dal limbo in cui vagavo. La spiaggia era deserta e un vento freddo soffiava verso la terra ferma, la mia testa era appoggiata al grembo che mi tratteneva in quei luoghi. Tutto l’universo fluttuava ritmicamente seguendo gl’impulsi della mia voce interiore; ero cullato da tutto ciò che mi circondava. All’improvviso un soffio più forte mi portò nitida la voce del mare: sollevai ls testa di scatto, non era nulla, solo un falso allarme; appoggiai di nuovo i miei sogni nel grembo carezzevole, quando tornai a sentire l’avvertimento del mare. La sua smisurata aritmia martellava il mio castello e minacciava la sua imponente serenità. Sentimmo freddo e ce ne andammo verso l’interno, fuggendo da quella presenza turbatrice che si rifiutava di lasciarmi. Su un breve tratto di spiaggia il mare rotolava indifferente alla sua legge eterna e da li nasceva la nota che mi turbava, l’avvertimento indignato. Ma un uomo innamorato (Alberto usa un aggettivo più colorito e meno letterario), non è in condizioni di aspettare richiami di questa natura; nell’enorme ventre dell’ Buick continuava ad edificarsi il mio universo su fondamenti borghesi...

Fino a rompere l’ultimo vinvolo

La nostra prossima tappa era Necochea dove un

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vecchio compagno di Alberto esercitava la sua professione, tappa che raggiungemmo facilmente in una mattina. Alla vigilia della partenza mi prese un’influenza con la febbre alta che ci costrinse a lasciare Bahia Blanca con un giorno di ritardo. Finì che partimmo alle tre del pomeriggio sotto un sole di piombo, che dibentò ancora più spietato quando arivammo nella zona di Medanos, dove la moto, con il suo peso maldistribuito sfuggiva al controllo e scivolava sistematicamente a terra...

Per l’influenza, il letto

La moto ansimava annoiata sul lungo cammino senza incidenti e noi ansimavamo per la stanchezza, l’impresa di guidare su una strada coperta di toppe cessò ben presto di rappresentare un divertente passatempo per trasformarsi in un lavoro pesante e l’intera giornata in cui ci eravamo alternati al manubrio ci lasciò alla notte con molta più voglia di dormire che di fare uno sforzo per raggiungere Chole-Choel, villaggio più o meno importante dove forse ci sarebbe stata la possibilità di alloggiare gratuitamente...

San Martin de los Andes

La strada serpeggia tra le montagne basse che segnano appena l’inizio della grande cordigliera, e scende abbastanza ripida fino a sbucare nel paese triste e bruttino, ma circondato da magnifici monti coperti da una fitta vegetazione. Ai bordi di quella stretta lingua di 500 metri per 35 chilometri di lunghezza che è il lago Lacar con i suoi azzurrini intensi e i verdi giallognoli delle falde che vanno a morire nelle sue acque, si estende il paese, vincitore di tutte le difficoltà di clima e di mezzi di trasporto, dal giorno in cui venne “scoperto” come luogo turistico e ne risultò così garantita la sussistenza... ...Più tardi avremo sentito il desiderio di fermarci in altri luoghi stupendi, ma solo la foresta amazzonica sarebbe riuscita a bussare tanto e così forte alle porte del nostro io sedentario...

Escursione in un circolo

Junin de los andes, meno fortunato il fratello lacustre, vegeta in un totale abbandono da parte della civiltà, e neppure il tentativo di vitalizzazione, il paese rappresentato dai cantieri, dove i nostri amici lavorano, riesce a scrollare la monotonia della sua vita in moto...

Lettera di Ernesto alla madre in viaggio verso Bariloche

Cara vecchia, so che non avete mie notizie, ma la cosa è reciproca, neanch’io ne ho di voi e non sono tranquillo...Abbraccia tutti e raccontami se il vecchio è al Sud o no. Un affettuoso abbraccio da tuo figlio che ti ama.

Sulla strada dei sette laghi

Decidemmo di andare a Bariloche prendendo la via chiamata dei sette laghi, perchè tanti se ne costeggiavano prima di arrivare alla città... Riprendemmo il viaggio costeggiando laghi di grandezze diverse, circondati da boschi millenari; il profumo della natura ci accarezzava le narici; ma succede un fatto curioso: arriviamo a stomacarci di lago, di bosco e caetta solitaria con giardino curato...Arivammo al tramonto del giorno dopo a San Carlo de Bariloche e trovamm o alloggio nella gendarmeria nazional e , aspettando che la modesta Victoria salpasse verso lafrontiera cilena.

E già sento fluttuare le mie profonde narici libere e nude...e

Stavamo nella cucina del carcere al riparo dalla tempesta che fuori scaricava tutta la sua furia... Un sole tiepido illuminava un nuovo giorno: quello della partenza, del commiato dal suolo argentino. Caricare la moto sulla modesta Vittoria non fu compito facile. Ma con pazienza se ne venne a capo...Li c’imbattemmo in un altro lago alimentato dalle acque del Rio Tronador, che nasce dall’impo-


nente vulcano omonimo. Tale lago, l’Esmeralda, offre, in un contrasto con quelli argentini, acque temperate che rendono gradevole fare il bagno, adatte per altro alle nostre personali esigenze.

Oggetti Curiosi

La chiatta che trasportava la moto faceva acqua da tutti i pori,...finalmente giungemmo al porto di Valdivia, di domenica (Cile)...

Gli esperti

L’ospitalità cilena, non mi stanco mai di ripeterlo, è una delle cose che rende più gradevole una puntata nella terra dei nostri vicini... Alberto, imperturbabile sfidava il sole d e l mattino, a guastarli il suo sonno di pietra...si trovano a Temuco e intendono visitare Rapanui. Alle cinque, dopo un loculliano spuntino, offerto dal padrone di casa, ci congedammo da Temuco diretti al nord.

Le difficoltà aumentano

La partenza da Temuco avvenne in tutta normalità, fino all’uscita del paese, dove ci accorgemmo che la gomma posteriore era bucata e fummo costretti a fermarci per ripararla... Ma di li a poco il padrone di una piccola fattoria vicina ci invitò a casa sua e in cucina ci preparò del mate. La abbiamo conosciuto il Charango, uno strumento musicale fatto con tre o quattro fili di ferro lunghi circa due metri tesi su due barattoli vuoti e il tutto fissato ad un’asse di legno. Verso mezzogiorno passò un camioncino il cui l’autista a forza di preghiere acconsentì di accompagnarci sino al prossimo paese, Lautaro...

La Poderosa II termina la sua corsa

Montammo in moto di buon’ora tenendola su di giri e fuggimmo da quelle zone che non erano più così ospitali per noi, dopo aver accettato l’ultimo invito a tavola dalla famiglia che viveva accanto all’officina... Alla prima salita dura - delle tante che abbandonano su quella strada - La Poderosa è rimasta definitivamente inchiodata. Da li ci portarono in camion a Los Angeles dove la lasciammo nella caserma dei pompieri...

Pompieri, Volontari, Uomini di fatica e altre storie

In Cile non ci sono corpi di pompieri che non siano volontari, ma non per questo ne risente il servizio, dato che dirigerne una compagnia è un onore conteso, tra i migliori uomini del paese o dei quartieri dove prestano servizio... Prendemmo immediatamente posto, con la serietà richiesta dal caso, sull’autopompa “Chile-Espana” che uscì sparata senza allarme nessuno con il lacerante urlo della sirena, troppo abituale per essere una novità. Una casa di legno e argilla palpitava ad ogni getto d’acqua che cadeva sul suo scheletro in fiamme, mentre il fumo acre del legno bruciato sfidava lo stoico lavoro dei pompieri, che tra una risata e l’altra proteggevano le case vicine con getti d’acqua e altri interventi. Da l’unica parte in cui le fiamme non avevano ancora attecchito arrivava il gemito di un gatto, che terrorizzato dal fuoco, si limitava a miagolare senza azzardarsi ad uscire dal piccolo varco lasciato ancora libero dal fuoco...

Il Sorriso de La Gioconda

Questa è una parte nuova dell’avventura; eravamo abituati a richiamare l’attenzione degli sfaccendati con il nostro vestiario originale e la prosaica versione della Poderosa II... Sulla porte de La Gioconda aspettavamo pazientemente il compatriota che non dava segni di vita, quando il padrone ci invitò ad entrare perchè non restassimo al sole, e subito ci offrì uno dei magnifici pranzi a base di pesce fritto e zuppa...

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123 Impegnati ora ad evitare il deserto del nord del Cile viaggiando per mare, ci rivolgemmo a tutte le compagnie di navigazione chiedendo un passaggio di straforo per i porti del nord... In quel momento Alberto prese una decisione eroica che mi comunicò subito: salire sulla nave da clandestini e nasconderci sulla stiva...

Clandestini

Passammo la dogana senza alcuna difficoltà, diretti coraggiosamente verso il nostro destino. Il piccolo cargo da noi scelto, Il Sant Antonio, era al centro della febbrile attività del porto ma, date le sue ridotte dimensioni, non aveva bisogno di attraccare perchè i montacarichi erano sufficenti a raggiungerlo, e c’era uno spazio di alcuni metri tra questo e il molo... Già a mezzogiorno, salpati da poco, la nostra allegria era notevolmente diminuita, perchè la latrina intasata, a quanto sembrava da un bel po’ di tempo mandava un odore insopportabile e il caldo era soffocante... ...Il capitano rimase piuttosto sorpreso a vederci di nuovo in quelle circostanze, ma per fare la scena davanti agli altri ufficiali, strizzandoci l’occhio in maniera inequivocabile, ci apostrofò con voce tonante... Chiamò il nostromo e lo incaricò di darci un lavoro e qualcosa da mangiare...Il mio incarico consisteva nel ripulire la famosa latrina. La notte, dopo sfiancanti partite a canasta, guardavamo il mare immenso, percorso da riflessi bianco verdastri, uno accanto all’altro, appoggiati al parapetto, ma ognuno lontano dall’altro, volando sul proprio aereo verso le stratosferiche regioni del sogno... Era la fine della nostra avventura come clandestini, o per lo meno, la fine di questa avventura, dato che la nave sarebbe rientrata a Valparaiso.

Questa volta fallimento completo

Lo vedo ancora, come se fossev qui, il capitano ubriaco, al pari di tutti i suoi ufficiali di bordo, e il baffuto padrone dell’imbarcazione vicina, con il suo portamento rigido per il vino cattivo. E le risa-

te sguaiate dei presenti mentre raccontavano la nostra odissea: sono dei dritti, dammi retta; e poi scommettere che adesso stanno nella tua nave, li scoprirai quando sarete in alto mare. Stavamo chiaccherando su quanto erano stati bravi i mozzi, sul fatto che, grazie alla complicità di uno di loro, eravamo potuti salire a bordo e nasconderci in un posto così sicuro, quando echeggiò una voce infuriata, e un paio di baffi, che ci sembravano enormi emersero in quel momento da chissà quale ignoto anfratto, gettandoci nel panico totale. La lunga processione di bucce di melone perfettamente spolpate galleggiava in fila indiana sul mare calmo... il capitano ha un caratteraccio, ragazzi “non dovevate mangiare così tanti meloni”... raccolti i nostri stracci ce ne siamo partiti per Chuquicamata, il famoso centro minerario del rame... Alle otto del mattino abbiamo trovato un camion che ci avrebbe portato fino al villaggio di Chuquicamata. Una volta arrivati i padroni biondi ed efficenti amministratori dal tono infastidito ci hanno detto nel loro mezzo spagnolo: “questa non è una città turistica, vi darà una guida che vi mostri le istallazioni in mezzo’ora e poi mi farete il favore di non disturbarci oltre, perchè abbiamo molto lavoro...”

Chuquicamata

Chuquicamata sembra lo scenario di un dramma moderno. Non si può dire che manchi di bellezza, ma la sua è una bellezza senza grazia, imponente e glaciale. Quando ci si avvicina alla zona mineraria, sembra che l’intero panorama si concentri nella pianura per dare una sensazione di asfissia. Arriva un momento in cui, dopo aver percorso 200 chilometri, la lieve sfumatura verde con la quale il paesino di Calama interrompe una grigia monotonia, provoca un’esplosione di gioia, per la sua condizione di vera e propria oasi nel deserto. E che deserto! Viene classi-


ficato dall’osservatorio climatologico di Moctezuma, vicino a “Chuqui”, come il più secco del mondo. Neppure un arbusto può crescere in questa terra salnitrosa, e i monti esposti agli attacchi del vento e dell’acqua mostrano i fianchi grigi prematuramente invecchiati per la lotta con gli elementi, solcati da rughe che li fanno apparire più antichi della reale età geologica. Laggiù quanti di quei monti che fanno da scorta al fratello più celebre, celeranno nelle pesanti viscere altre ricchezze simili alle sue, aspettando che le gelide braccia delle pale meccaniche prendano a divorare i loro ventri, con l’abituale corollario di vite umane; le vite dei poveri eroi dimenticati di questa battaglia in cui muoiono miseramente t r a le mille trappole che la natura tende in difesa dei propri tesori, senz’altro ideale che non sia ottenere il pane quotidiano...

Chilometraggio Arido

Senza borraccia il problema di addentrarsi ai piedi di quel deserto diventava una cosa molto seria... Il nostro passo era decisamente atletico, finchè gli sguardi degli abitanti potevano seguirci, ma dopo, l’immensa solitudine delle Ande brulle, il sole che cadeva a piombo sulle nostre teste, il peso mal distribuito degli zaini che avevamo legato nel peggiore dei modi ci riportarono alla realtà... Una serie di camion ci trasportò per tutta la regione

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fino ad arrivare a Iquique, tiepidamente avvolti in un manto di erba medica che costituiva il manto dell’ultimo camion. A Iquique non c’era una sola nave, nè argentina nè altro, e la permanenza nel porto si rilevò inutile, così decidemmo di saltare sul primo camion che partisse alla volta di Arica...

Annotazione al margine

Le stelle punteggiavano di luci il cielo di quel villaggio di montagna e il silenzio e il freddo rendevano immateriale l’oscurità. Era - non so bene come spiegarlo - come se ogni sostanza solida si volatilizzasse nello spazio etereo che ci circondava, privandoci dell’individualità e fondendoci intirizziti a quel buio immenso, non vi era una sola nube, carpendo una porzione di cielo stellato desse una qualche prospettiva allo spazio. A pochi metri appena, la funerea luce di un lampione stemperava le tenebre circostanti. Il volto dell’uomo si perdeva nell’ombra, emergevano soltanto lo scintillio dei suoi occhi e il candore dei quattro denti anteriori, tutt’ora non saprei dire se fu l’ambiente o la personalità di quell’individuo che mi preparò a ricevere la rivelazione, ma so che gli stessi argomenti li avevo sentiti molte altre volte espressi da differenti persone e mai mi avevano impressionato... Vidi i suoi denti e la smorfia picaresca con cui anticipava la storia, sentii la stretta delle sue mani e, come un mormorio oramai lontano, il formale saluto di commiato, la notte, svanita al contatto delle sue parole, tornava ad avvolgermi, confondendomi in

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125 lei; però, malgrado le sue parole, adesso sapevo... che nel momento in cui il grande spirito che governa ogni cosa darà un taglio netto dividendo l’umanità intera in due sole parti antagoniste, io starò con il popolo, e lo so, perchè lo vedo impresso nella notte, che io, eclettico, sezionatore di dottrine e psicoanalista di dogmi, urlando come un ossesso, assalterò barricate o trincee, tingerò di sangue la mia arma, e come impazzito sgozzerò ogni nemico, mi si parerà davanti...

Il personaggio che ha scritto questi appunti è morto

quando è tornato a posare i piedi sulla terra argentina, e colui li ri ordina e li ripulisce, io non sono più io; perlomeno non si tratta dello stesso io interiore. Quel vagare senza meta per la nostra “Maiuscola America” mi ha cambiato più di quanto credessi. Ernesto Che Guevara Ernesto Arriva a Miami e torna a Buenos Aires dopo diverse vicissitudini, raggiungerà la sua famiglia nel 1952.


Diario di un Genio, Salvator D’alì Pittore, scultore, scrittore, cineasta e designer spagnolo. Dalí era un abile disegnatore tecnico, ma è celebre soprattutto per le immagini suggestive e bizzarre delle sue opere surrealiste. “Dedico questo libro al mio Genio, Gala Gradiva, Elena di Troia, Santa Elena e Gala Galatea Placida.

Prologo

a l

Beninteso, qui non dirò tutto. Ci saranno delle pagine bianche in questo diario che copre gli anni dal ‘52 ‘63 della mia vita risegreta.

Mag-

gio Port Lligat, il I

Per scrivere queste pagine, utilizzo per la prima volta delle scarpe di vernice che non ho mai potuto portare a lungo perchè sono orribilmente strette. Le calzo in genere un attimo prima di cominciare una conferenza. La costrizione dolorosa che esse esercitano sui miei piedi esaltano al massimo le mie capacità oratorie. Questo dolore sottile e schiacciante mi fa cantare come un usignolo, o come uno di quei cantanti napoletani che portano, anch’essi scarpe troppo strette. La sollecitazione fisico, viscerale, la

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tortura invadente che provocano le mie scarpe di bernice mi obbligano a fare sgorgare delle parole verità condensate, sublimi, universalizzate dalla suprema inquisizione del dolore subito dai piedi. Calzo dunque le mie scarpe e comincio a scrivere masochisticamente e senza precipitazione tutta la verità sulla mia esclusione dal gruppo surrealista.

Giugno Port Lligat, il 29

Grazie a Dio, in questo periodo della mia vita dormo, dipingo ancor meglio e con più soddisfazione del solito. Devo dunque preoccuparmi di evitare le screpolature che si formano agli angoli delle labbra, conseguenza fisica, inevitabile della saliva accumulata dal piacere che mi procurano questi due divini abbandoni: dormire e dipingere. Si dormendo e dipingendo, io sbavo di piacere. Certo con un gesto rapido o pigro del dorso della mano potrei asciugarmi al momento di uno dei miei paradisiaci risvegli o al momento delle non meno paradisiache interruzioni del lavoro, ma sono così totalmente consacrato alle mie delizie vitali e intellettuali, che evito di farlo. Ecco un problema morale da risolvere. Bisogna lasciare che le screpolature di soddisfazione si aggravino o bisogna sforzarsi di aciugare per tempo la saliva? Aspettando la soluzione ho inventato un nuovo metodo soporifero, metodo che un giorno dovrà figurare nell’antologia delle mie invenzioni... Proprio nei periodi in cui il mio sonno raggiunge il massimo di regolarità e il parossismo generale, decido di prendere, con una certa civetteria, una pillola soporifera...Alle cinque dunque mi hanno svegliato. Il capomastro Prignau era arrivato. gli avevo chiesto di venire ad aiutarmi a tracciare i segni geometrici del mio quadro. Ci siamo chisi nell’Atelier fino alle otto, menre io stavo seduto ad impartire ordini: “Ancora un nuovo ottaedro, ma più inclinato, adesso un altro concentrico, ecc, ecc”... Si è sbagliato tre volte nei suoi calcoli, e ogni volta, dopo un lungo esame ho emesso tre stridenti ch icchirichi, che l’hanno, credo, un po’ inquietato... Quando Prignau mi ha lasciato, sono rimasto nella penombra, fantasticando. Poi ho scritto a carboncino sul bordo della tela queste parole che riporto nel diario. Trascrivendole, le trovo ancora migliori: “gli errori hanno quasi sempre un carattere sacro. Non provare mai a correggerli. Al contrario: razzionalizzali, comprendili integramente. Dopodichè ti sarà possibile sublimarli. Le preoccupazioni geometriche tendono all’utopia e sono sfavorevoli all’erezione, d’altronde ai geometri si rizza poco”.

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Luglio Port Lligat, il I°

D’altra parte, doveva accadermi proprio oggi uno dei più angoscianti eventi della mia vita, giacchè sono diventato pesce! Vale la pena di raccontarlo. Dopo essermi imposto, per circa un quarto d’ora, come il mattino precedente di far brillare sul mio quadro qualche scaglia folgorante del mio pesce volante, ho dovuto interrompere il lavoro a causa di uno sciame di grosse mosche (alcune erano color bronzo d’orato) che l’odore fetido del cadavere aveva attirato. Queste mosche svolazzavano dal pesce putrefatto fino al mio viso e alle mie mani, obbligandomi a raddoppiare attenzione e abilità, perchè oltre alla difficoltà stessa del lavoro dovevo restare insensibile al loro vellicchio, continuando imperturbabile a curare il mio tratto, delineando senza batter ciglio la scaglia sulla quale una mosca, presa da frenesia, si era appunto incollata, mascherandomela, mentre altre tre mosche si raggruppavano sul modello. Dovevo approffittare dei più piccoli cambiamenti di posizione delle mosche..., e tutto questo senza parlare di un’altra mosca che amava posarsi con insistenza sulla mia screpolatura. Potevo scacciarla muovendo a brevi intervalli gli angoli delle labbra, provocando un rictus violento, ma abbastanza melodioso per non creare interferenze con i colpi di pennello applicati trattenendo il respiro... tuttavia non è stato questo prodigioso martirio a decidere di finirla, perchè al contrario, il problema sovrumano di dipingere così divorato dalle mosche mi affascinava e mi portava a realizzare dei prodigi di abilità che non avrei raggiunto senza le mosche, no! quello che mi ha deciso è stato l’odore del pesce così fetido che stava per farmi divorare la colazione. Ho fatto dunque portar via il modello e ho cominciato a dipingere il mio Cristo, ma subito tutte le mosche, fino ad allora divise tra il pesce e me si sono radunate esclusivamente sulla mia pelle. Ero completamente nudo, con il corpo spruzzato dal liquido di una bottiglia di fissativo che s’era rovesciata. Suppongo che fosse questo liquido ad attirarle, perchè da parte mia sono piuttosto pulito. Coperto di mosche ho continuato a dipingere sempre meglio, difendendo la screpolatura con la lingua e il fiato. Era molto secca e l’intervento della lingua non sarebbe stato sufficente a staccarne una sottile lamella. Ora questa aveva esattamente l’aspetto di una scaglia di pesce. Ripetendo l’operazione all’infinito mi sarei potuto togliere grandi quantità di scaglie di pesce. La mia srepolatura era un vero e proprio deposito di scaglie simili all’amica. Non appena se ne toglieva una, ne nasceva una nuova all’angolo delle labbra. Ho sputato la prima scaglia sul ginocchio. Inaudita fortuna ho avuto l’impressione ultrasensibile che mi solleticasse, che si attaccasse alla mia carne. Di colpo ho smesso

di dipingere e ho chiuso gli occhi, ho dovuto far ricorso a tutta la mia forza di volontà per restare immobile, tanto il mio viso era ricoperto di mosche attivissime... ho compreso improvvisamente he mi stavo identificando con il pesce putrefatto di cui mi sembrava di assumere la rigidità. “Oh mio dio, sto diventando un pesce” ho esclamato, una prova della verosimiglianza di simile idea s’impose repentinamente... Volevo assaporare a fondo quel prodigio ed ho continuato a tenere gli occhi chiusi per circa un quarto d’ora. Apro gli occhi e mi vedo mutato in pesce. Grondavo sudore e il tepore del sole al tramonto m’inondava il corpo. Infine ho aperto le palpebre... oh ero ricoperto di scaglie sfolgoranti, ma subito ne indovinai l’origine: non erano che gli spruzzi disseccati del mio fissativo in cristalli... oh Salvador la tua metamorfosi in pesce simbolo del Cristianesimo non è stata altro, grazie al supplizio delle mosche che una maniera tipicamente daliliana e squilibrata di identificarti con il tuo Cristo mentre lo dipingevi.

Novembre Port Lligat, il I°

E’ il giorno per pensare ai morti e a me. E’ il giorno per pensare alla morte di Federico Garcia Lorca, fucilato a Granada, al suicidio di Renè Crevel a Parigi e di Jean Michel Frank a New York. Alla morte del surrealismo. Alla morte di mio padre.

I° Giugno 1953

Il mio prossimo film sarà esattamente il contrario di un film sperimentale di avanguardia, e soprattutto del cinema oggi definito oggi “d’autore”, che significa soltanto una servile subordinazione a tutti i loghi comuni della triste arte moderna. Racconterò la vera storia di una donna paranoica innamorata di una carriola che riveste successivamente tutti


gli attributi della persona amata, il cui cadavere è stato a suo tempo trasportato su di essa. Finalmente, la carriola si reincarnerà e diventerà carne. Per questo il mio film s’intitolerà la carriola di carne... nonostante il suo realismo categorico, l’opera comprenderà delle scene realmente prodigiose, e io non posso impedirmi di anticiparne qualcosa ai miei lettori... Cinque cigni bianchi esploderanno uno dopo l’altro, in una serie d’immagini minuziosamente lente, sviluppantisi secondo la più rigorosa euritmia arcangelica. I cigni saranno imbottiti di autentiche melagrane preventivamente riempite d’eplosivo, in modo che si possa osservare con tutta la precisione desiderabile, lo scoppio delle viscere degli uccelli e la proiezione a ventaglio dei grani delle melagrane. Nel mio film si potrà inoltre vedere una scena che rappresenta la fontana di Trevi a Roma. Le finestre delle case sulla piazza si apriranno e sei rinoceronti cadranno nell’acqua uno appresso all’altro. Per ogni tonfo di rinoceronte, si aprirà un ombrello nero, affiorando dal fondo della fontana. In un altro momento si vedrà Place della Concorde all’alba, lentamente attraversata in tutti i sensi da duemila curati in bicicletta, che porteranno l’effige sbiadita di Georgij Malenkov...

che. Ma tutte le fioriture hanno una specie di forza espansiva, quasi una forza atomica, un germogliare simile nella sua tensione a quella fronte caparbia e meningitica che amo così appassionatamente nella merletteria. Sono venuto alla Sorbona in una Rolss, carica di ortaggi, ma non è ancora la stagione dei cavolfiori giganti. Bisogna aspettare il prossimo marzo. Allora illuminerò e fotograferò sotto un angolo particolare il più grande cavolfiore che riuscirò a trovare. Una volta sviluppata la fotografia, tutti vi vedranno - gli ho dato la mia parola d’onore di spagnolo - una Merlettaia secondo la pura tecnica di Vermeer.

Dicembre 1955

6 novembre 1957

Dopo lo studio morfologico del girasole, ho ripreso,mi sono accorto che i suoi punti, le sue curve le sue ombre avevano un ‘aria taciturna corrispondente con la massima precisione alla malinconia profonda di Leonardo da Vinci i persona. Mi sono posta la questione, quando il mio squardo è caduto per caso sulla fotografia di un cavolfiore... Rivelazione: il problema morfologico del cavolfiore è identico a quello del girasole, nel senso che anche questo è composto di vere spirali logaritmi-

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7 settembre 1956

Oggi è domenica. Mi sveglio molto tardi. Quando guardo dalla finestra, vedo scendere da una barca uno dei neri che fanno camping qui attorno. Gronda sangue e porta tra le braccia uno dei nostri cigni ferito e morente. Un turista l’ha colpito credendo di aver scoperto un uccello raro. Lo spettacolo mi procura una tristezza stranamente sgradevole... In quel momento si sente un rumore che ci fa sobbalzare tutti. Stanno rovesciando con grande fracasso un camion di antracite destinata al riscaldamento. Quel camion è l’agente catalizzatore del mito. Ai nostri giorni, se si sta attenti, si possono scoprire le azioni di giove nella presenza in attesa dei camion, che sono degli oggetti abbastanza grandi perchè non si possa fare a meno di vederli.

Joseph Foret ha da poco portato il primo esemplare del Chisciotte da me illustrato con una tecnica che, dopo essere stata da me inaugurata fa furore nel mondo intero, nonostante sia propriamente inimitabile. Una volta di più Salvator D’Alì ha riportato una vittoria imperiale, non è la prima volta, già a vent’anni avevo fatto la scommessa di ottenere il Gran Premio della pittura dell’Accademia Reale di Madrid con un quadro che avrei dipinto senza toccare mai la tela con un pennello. Nturalmente ho vinto quel premio. Il quadro rappresentava una fanciulla nuda e vergine. Tenendomi a più di un metro di distanza dal cavalletto, avevo proiettato i colori che avevano schizzato la tela. Cosa inaudita, non si dovette lamentare una sola macchia, ogni schizzo era immacolato. Esattamente un anno fa, questa volta a Parigi avevo accettato la medesima scommessa. J.F. era arrivato con un carico di pesantissime pietre litografiche, voleva assolutamente che io illustrassi il Don Chisciotte lavorando su quelle pietre... Se non potevo tirare una palla d’archibugio su della carta senza lacerarla, in compenso potevo tirare su una pietra senza romperla, telegrafai a Parigi e un mio amico, il pittore Georges Mathieu mi

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129 regalò un preziosissimo archibugio del XV secolo dal calcio incrostato d’avorio. E il 6 novembre 1956, a bordo di un barcone sulla Senna ho tirato la prima palla di piombo del mondo inzuppata di inchiostro litografico. La pallottola schiacciata apriva l’era del “bouletisme”.

Settembre 1958

Il mio motto è stato “che si parli di D’alì anche se se ne parlava bene”. Sono riuscito per vent’anni a far pubblicare dai giornali le notizie più incomprensibili della nostra epoca, trasmesse per telescivente: Roma - Nei giardini illuminati con torce della principessa Pallavicini, D’Alì rinasce, sorgendo all’improvviso da un uovo cubico ricoperto da iscrizioni magiche di Raiamondo Lullo, e pronuncia un discorso esplosivo in latino.

I° settembre 1960

Vent’anni dopo avere scritto l’epilogo della mia “Vita Segreta”, i miei capelli continuano ad essere neri, i miei piedi non hanno ancora conosciuto la stigmata degradante di un solo callo e l’obesità incipiente del mio ventre si è corretta, ritrovando, dopo l’operazione d’appendice, una linea vicina a quella dell’adolescenza.

5 novembre 1962

Mi rovescio del caffè sulla camicia. La prima reazione di quelli che non sono dei geni come me, cioè gli altri, è di asciugarsi. Per me è tutto il contrario. Sin dall’infansia avevo l’abitudine di spiare l’istante in cui le cameriere e i miei genitori non potessero soprendermi per versarmi lestamente e furtivamente, tra la camicia e la pelle, il residuo viscoso del caffè latte. Oltre alla voluttà ineffabile che mi procurava quel liquido con il suo lento gocciolare fino all’ombelico, il suo progressivo seccarsi e poi rincollarsi del tessuto alla pelle mi offrivano le possibilità di periodiche persistenti contrazioni... Questo piacere segreto della mia precoce intelli-

genza arrivò al suo parossismo quando, divenuto adolescente i peli vennero ad aggiungere una nuova complicazione all’incollamento del centro del petto... In effetti quei pochi peli appiccicosi di zucchero incollati alla camicia, adesso lo so, Mantenevano il contatto elettronico grazie al quale l’elemento viscoso sempre mutevole diveniva morbido elemento di una genuina macchia cibernetica mista che questa mattina, sei novembre ho appena inventato versadomi addosso abbondantemente, per grazia di Dio il caffèlatte troppo zuccherato in modo delirante...

3 settembre 1963

Alla stazione di Perpignan, nel momento in cui Gala fa registrare i quadri che ci seguono in treno, mi vengono sempre le idee più geniali. Già qualche chilometro prima a Boulou, il mio cervello comincia ad essere in fregola, ma all’arrivo alla stazione di Perpignan è l’occasione per una vera e propria eiaculazione mentale, che raggiunge allora la sua più grande sublime altezza speculativa... il mio cervello torna normale, benchè sempre geniale come il mio lettore vorrà ben ricordarsi. Ebbene, questo 19 settembre, ha avuto alla stazione di Perpignan una specie di estasi cosmogonica più forte delle precedenti. Ho avuto una visione esatta della struttura dell’universo. L’universo, una delle cose più limitate che esistono...


What A Wonderful World Vedo alberi verdi e rose rosse le vedo sbocciare per me e per te e penso tra me: che mondo meraviglioso! Vedo cieli blu e nuvole bianche il chiaro e benedetto giorno e la sacra notte scura e penso tra me: che mondo meraviglioso! Vedo i colori dell'arcobaleno, così belli nel cielo si riflettono anche sui visi delle persone. Vedo amici tenersi per mano, e dirsi: "come stai"? Ma in realtà loro dicono: "ti amo"! Sento bambini piangere, li vedo crescere loro impareranno molto più di quello che so io e penso tra me, che mondo meraviglioso! Sì penso tra me, che mondo meraviglioso! Oh sì!... Louis Armstrong

I girasoli, Eugenio Montale Portami il girasole ch’io lo trapianti nel mio terreno bruciato dal salino, e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti del cielo l’ansietà del suo volto giallino. Tendono alla chiarità le cose oscure, si esauriscono i corpi in un fluire di tinte: queste in musiche. Svanire é dunque la ventura delle venture. Portami tu la pianta che conduce dove sorgono bionde trasparenze e vapora la vita quale essenza; portami il girasole impazzito di luce.

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Non t’amo, Pablo Neruda Non t'amo come se fossi rosa di sale Non t'amo come se fossi rosa di sale, topazio o freccia di garofani che propagano il fuoco: t'amo come si amano certe cose oscure, segretamente, entro l'ombra e l'anima. T'amo come la pianta che non fiorisce e reca dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori; grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo il concentrato aroma che ascese dalla terra. T'amo senza sapere come, né quando né da dove, t'amo direttamente senza problemi né orgoglio: così ti amo perché non so amare altrimenti che così, in questo modo in cui non sono e non sei, così vicino che la tua mano sul mio petto è mia, così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.

Corpo di Donna, Pablo Neruda Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche, assomigli al mondo nel tuo gesto di abbandono. Il mio corpo di rude contadino ti scava e fa scaturire il figlio dal fondo della terra. Fui solo come un tunnel. Da me fuggivano gli uccelli e in me irrompeva la notte con la sua potente invasione. Per sopravvivere a me stesso ti forgiai come un'arma, come freccia al mio arco, come pietra per la mia fionda. Ma viene l'ora della vendetta, e ti amo. Corpo di pelle, di muschio, di latte avido e fermo. Ah le coppe del seno! Ah gli occhi d'assenza! Ah le rose del pube! Ah la tua voce lenta e triste! Corpo della mia donna, resterò nella tua grazia. Mia sete, mia ansia senza limite, mio cammino incerto! Rivoli oscuri dove la sete eterna rimane, e la fatica rimane, e il dolore infinito.


Eleanor, Herman Hesse Le sere d' autunno mi ricordano te I boschi giacciono bui, il giorno si scolora ai bordi dei colli in rosse aureole. In un casolare vicino piange un bimbo. Il vento se ne va a passi tardi attraverso i tronchi a raccogliere le ultime foglie. Poi sale, abituata ormai da lungo ai torbidi sguardi, l' estranea solitaria falce di luna con la sua mezza luce da terre sconosciute. Se ne va fredda, indifferente, per il suo sentiero. La sua luce avvolge il bosco, il canneto, lo stagno e il sentiero con pallido alone melanconico. Anche d' inverno in notti senza luce quando alle finestre vorticano danze di fiocchi e il vento tempestoso, ho spesso l' impressione di guardarti. Il piano intona con forza ingannevole e la tua profonda e cupa voce di contralto mi parla al cuore. Tu la piu' crudele delle belle donne. La mia mano afferra alle volte la lampada e la sua luce tenue posa sulla larga parete. Dalla antica cornice la tua immagine oscura guarda mi conosce bene e mi sorride, stranamente. Ma io ti bacio mani e capelli e sussurro il tuo nome.

Vincent. Roberto Vecchioni Guarderò le stelle com'erano la notte ad Arles, appese sopra il tuo boulevard; io sono dentro agli occhi tuoi, Víncent. Sognerò i tuoi fiori, narcisi sparpagliati al vento, il giallo immenso e lo scontento negli occhi che non ridono, negli occhi tuoi, Vincent. Dolce amico mio, fragile compagno mio, al lume spento della tua pazzia te ne sei andato via, piegando il collo come il gambo di un fiore: scommetto un girasole.

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Sparpagliato grano, pulviscolo spezzato a luce e bocche aperte senza voce nei vecchi dallo sguardo che non c'è poi le nostre sedie le nostre sedie così vuote così "persone", così abbandonate e il tuo tabacco sparso qua e là. Dolce amico, fragile compagno mio che hai tentato sotto le tue dita di fermarla, la vita: come una donna amata alla follia la vita andava via: e più la rincorrevi e più la dipingevi a colpi rossi gialli come dire "Aspetta!",

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fino a che i colori non bastaron più... e avrei voluto dirti, Vincent, questo mondo non meritava un uomo bello come te! Guarderò le stelle, la tua, la mia metà del mondo che sono le due scelte in fondo: o andare via o rimanere via. Dolce amico mio, fragile compagno mio, io, in questo mare, non mi perdo mai; ma in ogni mare sai "tous le bateaux vont à l'hazard pour rien". Addio, da Paul Gauguin.


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Vladimir Majakovskij Alle insegne (1913)

Leggete libri di ferro! Sotto il flauto d'una lettera indorata si arrampicheranno marene affumicate e navoni dai riccioli d'oro. E se con allegra cagnara turbineranno le stelle <<Maggi>>, anche l'ufficio di pompe funebri moverà i propri sarcofaghi. Quando poi, tetra e lamentevole, spegnerà i segnali dei lampioni, innamoratevi sotto il cielo delle bettole dei papaveri sui bricchi di maiolica.

La nostra marcia

Battete sulle piazze il calpestio delle rivolte! In alto, catena di teste superbe! Con la piena del secondo diluvio laveremo le città dei mondi. Il toro dei giorni è screziato. Lento è il carro degli anni. La corsa il nostro dio. Il cuore il nostro tamburo. Che c'è di più divino del nostro oro? Ci pungerà la vespa d'un proiettile? Nostra arma sono le nostre canzoni. Nostro oro sono le voci squillanti. Prato, distenditi verde, tappezza il fondo dei giorni. Arcobaleno, dà un arco ai veloci corsieri degli anni. Vedete, il cielo ha noia delle stelle! Da soli intessiamo i nostri canti. E tu, Orsa maggiore, pretendi che vivi ci assumano in cielo! Canta! Bevi le gioie! Primavera ricolma le vene. Cuore, rulla come tamburo! Il nostro petto è rame di timballi.

Il partito

Il Partito è un uragano denso di voci flebili e sottili e alle sue raffiche crollano i fortilizi del nemico. La sciagura è sull' uomo solitario, la sciagura è nell' uomo quando è solo. L' uomo solo non è un invincibile guerriero. Di lui ha ragione il più forte anche da solo,

hanno ragione i deboli se si mettono in due. Ma quando dentro il Partito si uniscono i deboli di tutta la terra arrenditi, nemico, muori e giaci. Il Partito è una mano che ha milioni di dita strette in un unico pugno. L' uomo ch' è solo è una facile preda, anche se vale non alzerà una semplice trave, ne tanto meno una casa a cinque piani. Ma il Partito è milioni di spalle, spalle vicine le une alle altre e queste portano al cielo le costruzioni del socialismo. lì Partito è la spina dorsale della classe operaia. Il Partito è l' immortalità del nostro lavoro. Il Partito è l' unica cosa che non tradisce

Dietro una donna (1913)

Spostato su col gomito un lievito di nebbia, Colava biacca da una fiasca nera E a briglia sciolta nel cielo Canuto e greve caracollava fra le nuvole. Nel fuso rame di case stagnate A stento si contengono i tremiti delle vie, Stuzzicati da un rosso mantello di lussuria, I fumi diramavano le corna dentro il cielo. Cosce -vulcani sotto il ghiaccio delle vesti, Messi di seni mature già per il raccolto. Dai marciapiedi con ammicchi malandrini Frecce spuntate insorsero gelose. Stormo che a un colpo di tacco si levi a volo nel cielo Preghiere di altezze presero al laccio Iddio: Con sorrisi da topi lo spennarono E beffarde lo trassero per la fessura d'una soglia. L'Oriente in un vicolo le scorse, Più in alto risospinse la smorfia del cielo E il sole dalla nera borsa strappato fuori Pestò con cattiveria le costole del tetto.

Ma voi potreste? (1913)

A un tratto impiastricciai la mappa dei giorni prosaici, dopo aver schizzato tinta da un bicchiere,


e mostrai su un piatto di gelatina gli zigomi sghembi dell'oceano. Sulla squama d'un pesce di latta lessi gli appelli di nuove labbra. Ma voi potreste eseguire un notturno su un flauto di grondaie?

E uscì, a isolarsi nella notte, vedova la luna.

La nostra marcia

Qualche parola su me stesso (1913)

Amo guardare come muoiono i bambini. L'avete mai vista la brumosa onda della risacca del riso dietro la proboscide della tristezza? Io, invece, nella biblioteca delle strade ho sfogliato così spesso il volume delle tombe. La mezzanotte palpava con fradicie dita me e il chiuso steccato, e con la calvizie delle cupola imperlata dall'acquazzone galoppava la cattedrale impazzita. E vedo: Cristo fuggiva dall'icona, e la fanghiglia baciava in lacrime il lembo della tunica sbattuto dal vento. Io grido contro il muro, conficco il pugnale delle parole frenetiche nella polpa del cielo inturgidito: << Sole! Padre mio! Abbi tu almeno pietà, non tormentarmi! E' il sangue mio da te versato che scorre sul lungo cammino. E' la mia anima in quei brandelli della lacerata nuvola sull'arrugginita croce del campanile nel cielo riarso! Tempo! Almeno tu, sciancato pittorucolo di icone, dipingi la mia immagine nel sacrario del secolo deforme! Sono solitario come l'ultimo occhio di un uomo in cammino verso la terra dei ciechi>>.

Pena

In una vaga disperazione il vento si dibatteva disumanamente. Gocce di sangue annerendosi si gemmavano sulle labbra d' ardesia.

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Battete in piazza il calpestio delle rivolte! In alto, catena di teste superbe! Con la piena d' un nuovo diluvio laveremo le città dei mondi. Il toro dei giorni è pezzato. Il carro degli anni è lento. Il nostro dio è la corsa. Il cuore è il nostro tamburo. Che c' è di più celeste del nostro oro? Ci pungerà la vespa d' un proiettile? Nostre armi sono le nostre canzoni. Nostro oro le voci squillanti. Prato, distenditi verde, copri il fondo dei giorni. Arcobaleno, da' un arco ai cavalli veloci degli anni. Vedete, il cielo s' annoia delle stelle! Senza di lui intrecciamo i nostri canti. Ehi, Orsa Maggiore, esigi che ci assumano in cielo da vivi! Bevi le gioie! Canta! Nelle vene la primavera è diffusa. Cuore, batti la battaglia! Il nostro petto è rame di timballi.

Ancora Pietroburgo

Negli orecchi i frantumi di un accaldato ballo E dal Nord - più canuta della neve - una nebbia Dal volto di cannibale assetato di sangue Masticava gli insipidi passanti. Le ore incombevano come un volgare insulto, Incombono le cinque e sono poi Le sei - ci sta a guardare dal cielo una canaglia Maestosamente come un Lev Tolstoi.

Eppure

La via sprofondò come il naso d' un sifilitico. Il fiume era lascivia sbavata in salive. Gettando la biancheria sino all' ultima fogliuzza, i giardini si sdraiarono oscenamente in giugno. Io uscii sulla piazza a mo' di parrucca rossiccia mi posi sulla testa un quartiere bruciato. Gli uomini hanno paura perchè dalla mia bocca penzola sgambettando un grido non masticato. Ma, senza biasimarmi nè insultarmi, spargeranno di fiori la mia strada, come davanti a un profeta. Tutti costoro dai nasi sprofondati lo sanno: io sono il vostro poeta.


135 Come una taverna mi spaura il vostro tremendo giudizio! Solo, attraverso gli edifici in fiamme, le prostitute mi porteranno sulle braccia come una reliquia mostrandomi a Dio per loro discolpa. E Dio romperà in pianto sopra il mio libriccino! Non parole, ma spasmi appallottolati; e correrà per il cielo coi miei versi sotto l' ascella per leggerli, ansando, ai suoi conoscenti.

Nebbia

Spostato su col gomito un lievito di nebbia, Colava biacca da una fiasca nera E a briglia sciolta nel cielo Canuto e greve caracollava fra le nuvole. Nel fuso rame di case stagnate

Il Colore Dei Diari A stento si contengono i trèmiti delle vie, Stuzzicati da un rosso mantello di lussuria, I fumi diramavano le corna dentro il cielo. Cosce-vulcani sotto il ghiaccio delle vesti Messi di seni mature già per il raccolto. Dai marciapiedi con ammicchi malandrini Frecce spuntate insorsero gelose. Stormo che a un colpo di tacco si levi a volo nel cielo Preghiere di altezze presero al laccio Iddio: Con sorrisi da topi lo spennarono E beffarde lo trassero per la fessura d' una soglia. L' Oriente in un vicolo le scorse, Più in alto risospinse la smorfia del cielo E il sole dalla nera borsa strappato fuori Pestò con cattiveria le costole del tetto.


Lettere Appassionate (Ad Alejandro Gòmez Arias) Frida Kahlo Frida Kahlo, il cui nome completo era Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderón (Coyoacán, 6 luglio 1907 – Coyoacán, 13 luglio 1954), è stata una pittrice messicana.

Lunedì 18 agosto 1924 Le otto di sera

Alex, quando hai telefonato, questo pomeriggio, non mi è stato possibile trovarmi in latteria alle tre e mezzo precise; mi hanno chiamata, ma quando sono giunta avevano già riagganciato il telefono, e non ho potuto richiamarti. Mi perdoni, Alex? Non è stata c o l p a mia, lo capisci? Non puoi immaginare che pasticcio sia scoppiato oggi pomeriggio: dopo essere stata dal dentista sono andata a comprare un po’ di gelatine alla cameli - dove le abbiamo comprate insieme l’ultima volta, ricordi? - e mentre le stavo comprando Rouaix è entrato e mi ha spinta, facendomi rompere il vetro del bancone, e così siamo finiti nei guai. Dobbiamo infatti pagare due e cinquanta ciascuno, ma poichè partirà il primo del mese per gli Stati Uniti, lui dice che devo anticipare io i soldi e che poi mi

salderà il debito... Spero di vederti domani, trascorri una buonanotte e pensa che i grandi amici devono amarsi proprio molto, molto, molto, molto... con la “M” di musica o di molto.

Martedì, 13 ottobre 1925,

Alex, vita mia, sai meglio di chiunque altro quanto mi senta triste in questo maledetto ospedale. Forse te lo immagini, o forse i ragazzi ti hanno già riferito. Tutti mi dicono di non perdere la speranza, ma non sanno cosa significhi per me essere costretta a letto da mesi. Ecco come devo stare: in un letto, dopo essere stata una vera vagabonda per tutta la vita... Ho chiesto di te e mi hanno detto che quello che è successo è stato molto doloroso, ma non grave, non sai quanto ho pianto, Alex per te e per i miei dolori, perchè durante le prime medicazioni le mani mi diventavano molli e sudavano per il dolore della ferita... Ti hanno spiegato che cosa ho, vero ci vorrà del tempo, molto tempo, prima che mi guarisca la frattura che ho al bacino e si aggiusti il gomito e si cicatrizzino le altre ferite che ho al piede... Senti Alex mio, se non puoi ancora venire, scrivimi, non sai quanto la tua lettera mi abbia aiutata a sentirmi meglio; l’ho letta due volte al giorno da quano l’ho ricevuta e mi sembra sempre la prima volta.

Settembre 1826

Perchè studi così tanto? Quale segreto vai cercando? la vita te lo rivelerà presto. Io so già tutto, senza leggere o scrivere. Poco tempo fa, forse solo qualche giorno fa, ero una ragazza che camminava in un mondo di colori, di forme chiare e tangibili. Tutto era misterioso e qualcosa si nascondeva; Immaginare la sua natura era per me un gioco. Se tu sapessi com’è terribile raggiungere tutta la conoscenza al’improvviso - come se un lampo illuminasse la terra! Ora vivo in un pianeta di dolore trasparente come il ghiaccio, è come se avessi imparato tutto in una volta, in pochi secondi. Le mie amiche, le mie compagne, si sono fatte donne lentamente, io sono diventata vecchia in pochi istanti e ora tutto è insipido e piatto, so che dietro non c’è niente, se ci fosse qualcosa lo vedrei.

15 ottobre 1927

Mio Alex, la penultima lettera! Sai già tutto quello che potrei dirti.

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Siamo stati felici ogni inverno, ma mai come in questo. La vita è davanti a noi, mi è impossibile spiegarti che cosa questo rappresenti. E’ probabile che starò ancora male, ma non so dirlo. A Coyoacàn le notti mi sorprendono come nel 1923 e il mare, un simbolo nel mio ritratto, sintetizza la mia vita. Non mi hai dimenticata? Sarebbe quasi ingiusto non credi? La tua Frida

12 ottobre 1934

Alex, è andata via la luce così non ho potuto continuare a dipingere le moninches- Ho continuato a pensare alla decorazione sul muro separata da another wall of saggezza. Ho la testa piena di aracnidi e di una miriade di minuscole bestioline. Penso che dovremmo costruire anche il muro in modo microscopico, perchè altrimenti sarebbe difficile eseguire la decorazione ingannevole. Inoltre pensi che tutta la saggezza silenziosa potrà starci in uno spazio così limitato?... That is the big problema, e sta a te risolverlo dal punto di vista architettonico, dato che, come tu dici, non posso organizzare nulla in questa big realité senza andare dritta allo scontro, oppure devo appendere i vestiti nell’aria, o porre ciò che è distante in una pericolosa e fatale vicinanza. Tu sistemerai tutto con riga e compasso. Lo sai che non ho mai visto una giungla? Come posso dipingere uno sfondo di giungla con delle bestie che esultano? Farò comunque quello che posso e se non sarai soddisfatto potrai procedere ad una robusta ed efficace distruzione di quanto è già stato costruito e distrutto... Non sono stata in grado di organizzare la parata di tarantole di altri esseri, perchè penso che tutto resterà attaccato al primo strato degl’infiniti strati che dovrà essere questo muro... Domani ti chiamerò e vorrei che tu mi scrivessi, un giorno, anche solo due parole; non so perchè te lo chiedo però so che ho bisogno che tu mi scriva, lo farai?

Parigi, 17 marzo 1939

a Ella e Boitito, i miei veri amici, Graziosa Ella e Boitito, miei veri amici, vi scrivo dopo due mesi - so già che farete il solito commento - questa chicua è una stronza! Ma questa volta, credetemi non è stata la stronzaggine, quanto la sorte carogna. Ecco le esaustive giustificazioni:

1. Al mio arrivo mi sono incazzata perchè la mostra non era pronta, i quadri mi aspettavano calmini e tranquilli alla dogana, perchè Breton non era nemmeno andati a prenderli, voi non avete la minima idea di che razza di vecchio scarafaggio sia, e come lui quasi tutti quelli del gruppo dei surrealisti. In breve sono un branco di perfetti figli di ... mamma loro. Vi racconterò nei particolari tutta la storia della mostra quando c i rivedremo perchè è una storia lunga e triste. In sintesi ci è voluto un mese e mezzo per stabilire con certezza il luogo, la data ecc ecc della maledetta mostra. Alla fine Marcel Duchamp è riuscito ad organizzare con Breton la mostra...c’era una grande quantità di gente il giorno dell’opening, grandi complimenti alla chicua, tra cui un forte abbraccio da Jean Mirò e grandi elogi alla mia pittura da Kandinskij, complimenti da Picasso, Tanguy, Paalen e altri “merdoni” del surrealismo. Insomma, posso dire che è stato un successo, e tenendo conto della qualità della mielosità dei complimenti credo che tutta la faccenda sia andata


piuttosto bene... La vostra chicua, che non vi dimentica mai... Frida

Aprile 1939

Ad un’amica francese

Da quando mi hai scritto, in un giorno così limpido e lontano, volevo spiegarti che non posso allontanarmi dai giorni, nè tornare indietro nel tempo fino ad un’altra epoca. Non ti ho dimenticata - le notti sono lunghe e difficili. L’acqua. La nave, il molo e la partenza che ti rendeva così piccola ai miei occhi imprigionati in quella finestra rotonda che guardavi per conservarmi nel tuo cuore. Tutto ciò è intatto. Poi vennero i giorni nuovi di te. Oggi vorrei che il mio sole ti toccasse. La tua bambina è la mia bambina, i burattini sistemati con ordine nella grande stanza di vetro, appartengono ad entrambe. Lo huipil con i nastri violetti e rossicci è tuo. Mie le vecchie piazze della tua Parigi.

1939

cessi io verrebbe fuori un disatro. Ho iniziato a dipingere a dodici anni mentre ero convalescente da un incidente automobilistico che mi costrinse a rimanere a letto per circa un anno. Ho sempre lavorato sotto l’impulso spontaneo dei miei sentimenti. Non ho frequentato nessuna scuola, non sono mai stat influenzata da nessuno, dal mio lavoro non mi sono aspettata altro che soddisfazione, che mi dava il fatto stesso di dipingere ed esprimere quello che non avrei potuto esprimere in altro modo. Ho dipinto ritratti, composizioni di figure e anche quadri in cui il paesaggio e la natura morta avevano la parte più importante. Sono riuscita a trovare una modalità espressiva personale, senza che nessun pregiudizio mi forzasse a farlo. Per 10 anni il mio lavoro è consistito nell’eliminare tutto quello che non nasceva dalle motivazioni interne che mi spingevano a dipingere. Dato che i miei soggetti sono sempre stati le mie sensazioni, i miei stati d’animo e le azioni profonde che mano a mano la vita suscitava in me, ho spesso oggettivato tutto questo in autoritratti che erano quanto di più sincero e reale potessi fare per esprimere le mie sensazioni... Grazie mille, se hai bisogno di altri dettagli basta farmelo sapere. Molti saluti ed un abbraccio Frida

A Carlos Chàvez

31 agosto 1947

Carlitos, ecco i dati. Ti supplico traducili tu, perchè se lo fa-

Splendido Arcasha,

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Ad arcady Boytler

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ho voluto fare un disegno con la tua bella effige e mi è venuto piuttosto orrendo, però è pieno di buone intenzioni, se servono a qualcosa è di tutto il mio affetto. Se ti stupisce l’occhio - simbolico che ti ho posto sulla fronte, rappresenta solo il mio desiderio di

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esprimere figurativamente quel che credo tu abbia dentro e raramente esterni: una prodigiosa immaginazione, intelligenza e una profonda visione della vita. Non è così? Il tuo cerbiatto ti augura di essere molto felice oggi, il giorno del tuo compleanno, e per tutta la vita.


La Mia Africa, Karen Blixen

Il 17 aprile 1885 nasce in Danimarca Karen Blixen (Karen Christence Dinesen) una delle scrittrici più note del Novecento. Visse la prima parte della sua vita nella pace della campagna nenegli agi e i pettegolezzi della vicina Copenhagen. In quest’opera autobiografica l’autrice danese Karen Blixen raccontò la sua esperienza di vita in Africa, dal 1914 al 1931, anno in cui dovette lasciare il Kenia per motivi economici.

La fattoria sulla collina

I n Africa avevo una fattoria ai piedi degli altipiani del Ngong. A un centocinquanta chilometri più a nord su quegli altipiani passava l’equatore; eravamo a milleottocento metri sul livello del mare. Di giorno si sentiva di essere in alto, vicino al sole, ma i mattini, come la sera, erano limpidi e calmi, e di notte faceva freddo. La posizione geografica e l’altezza contribuivano a creare un paesaggio unico al mondo. Nulla che fosse grasso e lussureggiante: era un’Africa distillata lungo tutti i suoi milleottocento metri di altitudine, quasi l’essenza forte e raffinata di un continente. I colori, asciutti e arsi, parevano colori di terracotta. Gli alberi avevano un fogliame delicato e leggero,

di una struttura diversa da quelli d’Europa: non si curvava in archi e cupole, ma si tendeva in strati orizzontali, il che dava agli alberi, alti e solitari, l’aspetto un po’ delle palme, o un piglio eroico e romantico di navi tutte attrezzate e pronte a partire, ma con le vele non ancora spiegate: e al margine dei boschi un’apparenza strana, come se l’intero bosco vibrasse leggermente. Nelle grandi pianure crescevano, sparsi, i vecchi spineti nudi e torti, l’erba aveva l’odore pungente del timo e del mirto delle paludi: in certi punti il profumo era così forte da far dolere le narici. Tutti i fiori che sbocciavano sui prati o fra i rampicanti e le liane della foresta, erano piccolini come quelli dei bassopiani; soltanto all’inizio delle grandi piogge spuntavano gigli monumentali, dal profumo pesante. Il respiro del panorama era immenso. Ogni cosa dava un senso di grandezza, di libertà, di nobiltà suprema. Il tratto più caratteristico del paesaggio, e della vita lassù, era l’aria. Ricordando un periodo passato sugli altipiani d’Africa, si ha la sensazione sconcertante di essere vissuti nell’aria. Il cielo era di solito celeste pallido o violetto, solcato da nubi maestose, senza peso, in continuo mutamento, erte come torri; ma aveva in sè un tale vigore d’azzurro da colorare anche i boschi, e le colline accanto, di una tinta fresca e profonda. Nel pieno del giorno l’aria, in alto, era viva come una fiamma: scintillava, ondeggiava e splendeva come acqua che scorre, specchiando e raddoppiando tutti gli oggetti, creando grandi miraggi. Lassù si respirava bene, si sorbiva coraggio di vita e leggerezza di cuore. Ci si svegliava, la mattina, sugli altipiani, e si pensava: “Eccomi qui, è questo il mio posto”.

Un bambino indigeno

La prima volta incontrai Kamante, un bambino kikuyu figlio di uno dei miei squatters, mentre passavo a cavallo per la pianura. Stavo pascolando le ca-pre. Era la creatura più degna di pietà che avessi mai visto. Aveva la testa grossa e il corpo spaventosamente piccolo e magro, i gomiti e le ginocchia puntuti come i nodi di un ramo, le gambe, tutte, dalla coscia al tallone, co-perte di pieghe profonde. Qui, in mezzo alla pianura, sembrava incredibil-mente piccolo: pareva impossibile che tanta sofferenza fosse concentrata in un punto solo. Quando mi fermai e gli rivolsi la parola non mi rispose:pareva quasi non mi vedesse. Nel viso piatto, angoloso, infinitamente pazien-

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te, gli occhi erano senza luce, annebbiati, come di un morto. Sembrava non potes-se avere più di qualche settimana di vita: si aveva la sensazione di vedere da un momento all’altro gli avvoltoi volteggiare in alto, sopra la sua testa, nell’aria chiara e fiammeggiante. Gli dissi di venire a casa mia, la mattina dopo. Volevo tentare di curarlo. Quasi ogni mattina, dalle nove alle dieci, facevo la medichessa per la gente della fattoria. Come tutti i grandi ciarlatani avevo una clientela vastissima, in genere da due a dodici visite al giorno

Una gazzella

Lulù era una giovane antilope della tribù delle antilopi dei boschi, le più belle, forse, fra le antilope africane. Poco più grande dei daini, vivono nei boschi e nelle macchie; timide, ritrose, a differenza delle antilopi della pianura si fanno vedere di rado. Ma le colline del Ngong e tutta la zona circostante erano il loro paradiso; se si andava a caccia o ci si accampava lassù, di mattina presto o al tramonto, le si vedeva sbucare dai cespugli, uscire nella radura. La loro pelliccia, in quella luce, splendeva come il rame, il maschio si distingueva per le corna dalle curve delicate. Fu così che Lulù divenne un membro della mia famiglia...

Una cavalcata nella riserva

...Poco prima delle pioggie, i masai danno fuoco all’erba secca; traversate le pianure brune e deserte, diventa sgradevole: la cenere nera si solleva sotto gli zoccoli dei cavalli penetrando da per tutto, perfino negli occhi, le steppe bruciate, taglienti come il vetro, feriscono le zampe dei cani. Ma quando cominciano le pioggie l’erba è fresca e verde nella pianure; sembra di camminare sulle molle e il cavallo fa un po’ il matto per il piacere. Gazzelle di tutte le razze vengono a pascolare sui prati, come giocattoli su una tavola da biliardo... A volte il primo mese delle pioggie, c’è una così ricca fioritura di garofani bianchi e profumati che le pianure, di lontano sembrano pezzate di neve...

Wanyangerri

I giovani masai vivono di latte e di sangue: è questa dieta, forse, a rendere la loro pelle così meravigliosamente morbida e setosa. Il viso dagli zigomi alti e le mascelle forti, è liscio, senza una ruga o un segno, tutto pieno; gli occhi senza trasparenza, occhi che non vedono, sono incastonati come

due pietre nere in un mosaico; in tutto il loro aspetto hanno qualcosa del mosaico, i giovani morani. Gonfiano i muscoli del collo in modo stranamente sinistro, come un cobra incollerito, un leopardo o un toro in combattimento; una dimostrazione di virilità che equivale ad una dichiarazione di guerra al mondo intero, eccettuate le donne. Il grande contrasto o l’armonia, che fra i visi lisci e pieni, colli potenti, le larghe spalle rotonde e la sorprendente snellezza della vita e delle anche, le cosce magre, il ginocchio sottile, la gambe lunghe, diritte, nervose, dà loro la fisionomia di creature addestrate da una dura disciplina alla rapacità, alla bramosia, alla cupidigia estrema. I masai camminano rigidi, mettendo uno davanti all’altro i piedi magri; ma i movimenti del braccio, del polso e della mano sono morbidi. Quando un giovane masai tira con l’arco, nel momento in cui lascia la corda, par di sentire i nervi del suo lungo polso cantare insieme alla freccia nell’aria.

Un capo Kikuyu

...Giungendo a Mombasa per la prima volta, attraverso i vecchi, grigi-chiari alberi di baobab - non sembrano una vegetazione terrestre, ma fossili paurosi, giganteschi ossi di seppia - si scorgono rovine color cenere di case, di minareti, di pozzi. Rovine che si trovano lungo tutta la costa, a Takaunga, a Kalifi, a Lamo: sono i resti delle città degli antichi arabi, trafficanti d’avorio e di schiavi... Perchè da quel paese aspro e selvatico, da quelle pianure arse e brucianti, da quelle distese inesplorate e senz’acqua, da quella regione folta di spineti serpeggianti lungo i fiumi


e di piccoli fiori selvaggi dal profumo pungente, sulla terra nera, veniva la loro ricchezza...

Le grandi danze

Gli indigeni non hanno nè il senso nè il gusto del contrato; il cordone ombelicale della natura, per loro, non è mai stato reciso. Facevano le loro Ngomas solo con la luna piena, quando la luna dava il meglio di sè, anch’essi davano il meglio, quando la loro terra nuotava nela luce delicata e potente del cielo, aggiungevano alla grande immaginazione il loro piccolo barbaglio rosso vivo.

Il vecchio Knusden

Alla fattoria, di tanto in tanto, capit a va qualche europeo, come un relitto t r a scimato dalla corrente in una baia tranquilla che rimane li a girare su se stesso finchè non riprende il largo, oppure disfacendosi, va a fondo. Il vecchio Knusden, ill danese, arrivò alla fattoria malato e mezzo cieco, e ci rimase tutto il tempo che gli ci volle a morire, come un animale sperduto. Camminava tutto curvo sulla sua miseria; restava muto per giorni e giorni, per quel gran peso che gli toglieva la forza di parlare o, se provava a dir qualcosa, la sua voce pareva l’ululato di un lupo o di una iena. Quando riprendeva fiato e le sue sofferenze gli concedevano una breve tregua, il fuoco morente mandava ancora lampi... Ma un particolare, nel bosco servì a mitigare i bollori di Knusden. Gli alberi, in Africa hanno un fogliame delicato, digitiforme; così, quando si taglia la macchia fitta e si svuota per così dire, la foresta dal didentro, la luce diventa come la luce nei boschi di faggio, al mio paese, quando le foglie cominciano a spuntare.

Visite da amici

...Una volta, in Danimarca, una vecchia signora mi

regalò 12 bei bulbi di peonia; fu un guaio portarli alla fattoria, perchè era proibito importare certi fiori. Appena piantati misero subito bei germoglio rossoscuri ricurvi; poi comparvero le foglioline delicate e i boccioli rotondi. Il primo fiore sbocciato si chiamava Duchesse de Nemours; una sola grande peonia bianca, nobile e rigogliosa, piena di profumo dolce e fresco. Quando la colsi per metterla in un vaso del mio salotto, tutti i bianchi che entravano nella stanza si fermarono ad ammirarla. Che sorpresa , una peonia! Ma gli altri germogli appassirono e caddero: Non ebbi più fiori da quelle piante.

Il nobile pioniere

Piccolo, snello, capelli rossi, mani e piedi sottili, sempre eretto nel portamento, Berkeley aveva il gesto aggraziato del perfetto spadaccino, un modo d’artagnanesco di voltar la testa. Camminava senza far rumore, come i gatti. E come i gatti pareva avesse il dono di rendere tutto comodo e accogliente, di diffondere attorno a sè piacere e calore... Quand’era conteto pareva sempre sul punto di far le fusa, come un gattone; e quando stava male la sua malattia non era solo triste e tormentosa ma qualcosa di enorme, come la malattia di un gatto...

Ali

Un pomeriggio stavo prendendo il tè davanti a casa con alcuni amici, quando vedemmo giungere da Nairobi l’aereo di Dennis... “I bufali stanno pascolando sulle colline” - Disse: “Vieni a vedere” “Non posso”, risposi “Sono venuti degli amici a prendere il tè” “Andiamo e torniamo in un quarto d’ora” insistette... Volavamo nel sole, ma il versante della collina era immerso in una bruna ombra trasparente in cui ben presto ci tuffammo anche noi. Improvvisamente, dall’alto li scorsi. Erano ventisette bufali; stavano pascolando su uno di quei verdi crinali che corrono lungo i fianchi della collina per ricongiungersi sulla vetta come le pieghe di un vestito... Calammo rapidamente, volteggiando in lungo e in largo sul crinale, fino ad appena 50 metri di altezza... Ve ne era uno vecchissimo grande e nero, e gli altri più giovani e giovanissimi. Tutt’intorno, cespugli proteggevano l’amplio pascolo erboso; se qualcuno si fosse avvicinato da terra ne avrebbero inteso il rumore o fiutato l’odore, ma non si aspettavano un attacco d’aria.

Le lucciole

Al principio di giugno, finite le piogge, sugl’alti-

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piani comincia a far fresco, la notte, e nei boschi, compaiono le prime lucciole. Una sera, improvvisamente, ne scorsi prima una, poi altre due o tre, stelle avventurose e solitarie che fluttuano nell’area chiara, come se navigassero sulla cresta d’un’onda o facessero la riverenza. Le loro minuscole luci s’accendevano e si spegnevano secondo il ritmo del volo. A prenderne una sul palmo della mano sprigiona un bagliore strano, un messaggio misterioso, un piccolo alone verde pallido. La sera dopo, nei boschi se ne trovano a centinaia.

Tempi duri

La mia fattoria si trovava un po’ troppo in alto, per la coltivazione del caffè. Nelle zone più basse, i mesi freddi, si formava sempre la brina; i germogli delle piante di caffè e le giovani bacche appena spuntate, la mattina, diventavano tutte nere e appassivano. dalle pianure soffiava un gran vento, e anche negli anni migliori non un solo acro produceva la stessa quantità dei caffè che i coloni raccoglievano in un chilometro quadrato nelle zone più basse... Non pioveva nemmeno abbastanza, nella regione del Ngong. Per tre volte avemmo una vera siccità e fu la tragedia.

Farah e io vendiamo tutto

Orama ero sola alla fattoria. Non mi apparteneva più, ma i nuovi propietari mi avevano offerto di re-

starvi finchè volevo...Dovevo vendere i mobili... Avevamo messo porcellane e cristalli in bella vista sul tavolo della stanza da pranzo; ma quando si vendette il tavolo dovemmo disporli pezzo per pezzo sul pavimento. L’orologio a cucù, sul muro, continuava a segnare le ore con arroganza; ma poi fu ceduto anche lui, e volò via...

Addio

Sulla strada di Nairobi vedemmo molte cavallette, nell’erba; qualcun a svolazzò perfino dentro la macchina. Stavano tornando ad assalire i campi? Alla stazione trovai molti amici venuti a salutarmi...ci salutammo con affetto; avevamo passato dei bei momenti insieme... Alla Stazione di Sam Buru, mentre mettevano l’acqua nella locomotiva, scesi dal treno per fare due passi con Farak sulla piattaforma. A sud-Ovest, scorgemmo le colline di Ngong. L’onda nobile della montagna si ergeva sulla terra piatta, tutt’intorno azzurro il cielo. Ma a quella distanza le quattro vette parevano insignificanti, appena distinguibili, diverse da come si vedevano dalla fattoria. Il contorno della montagna veniva lentamente ammorbidito e livellato dalla mano della lontananza.


L’ Altra verità, Diario di una diversa Alda Merini Quando venni ricoverata per la prima volta in manicomio ero poco più di una bambina, avevo sì due figlie e qualche esperienza alle spalle, ma il mio animo era rimasto semplice pulito, sempre in attesa che qualche cosa di bello si configurasse al mio orizzonte; del resto ero poeta e trascorrevo il mio tempo tra le cure delle mie figliole e il dare ripetizione a qualche alunno, e molti ne avevo che venivano a scuola e rallegravano la mia casa con la loro presenza e le loro grida gioiose. Insomma ero una sposa e una madre felice, anche se talvolta davo segni di stanchezza e mi si intorpidiva la mente. Provai a parlare di queste cose a mio marito, ma lui non fece cenno di comprenderle e così il mio esaurimento si aggravò, e morendo mia madre, alla quale io tenevo sommamente, le cose andarono di male in peggio tanto che un giorno, esasperata dall’immenso lavoro e dalla continua povertà e poi, chissà, in preda ai fumi del male, diedi in escandescenze e mio marito non trovò di meglio che chiamare un’ambulanza, non prevedendo certo che mi avrebbero portata in manicomio. Ma allora le leggi erano precise e stava di fatto che ancora nel 1965 la donna era soggetta all’uomo e che l’uomo pote-

va prendere delle decisioni per ciò che riguardava il suo avvenire. Fui quindi internata a mia insaputa, e nemmeno io sapevo dell’esistenza degli ospedali psichiatrici perché non li avevo mai veduti, ma quando mi ci trovai nel mezzo credo che impazzii sul momento stesso in quanto mi resi conto di essere entrata in un labirinto dal quale avrei fatto molta fatica ad uscire. Improvvisamente, come nelle favole, tutti i parenti scomparvero. La sera vennero abbassate le sbarre di protezione e si produsse un caos infernale. Dai miei visceri partì un urlo lancinante, una invocazione spasmodica diretta ai miei figli e mi misi a urlare e a calcare con tutta la forza che avevo dentro, con il risultato che fui legata e martellata di iniezioni calmanti. Ma, non era forse la mia una ribellione umana? Non chiedevo io di entrare nel mondo che mi apparteneva? Perché quella ribellione fu scambiata per un atto di insubordinazione? Un po’ per l’effetto delle medicine e un pò per il grave shock che avevo subito, rimasi in stato di coma per tre giorni e avvertivo solo qualche voce, ma la paura era scomparsa e mi sentivo rassegnata alla morte. Dopo qualche giorno mio marito venne a prendermi, ma io non volli seguirlo. Avevo imparato a riconoscere in lui un nemico e poi ero così debole e confusa che a casa non avrei potuto far nulla. E quella dissero che era stata una mia seconda scelta, scelta che pagai con dieci anni di coercitiva punizione. Nel centro del giardino c’era anche un’altra appendice dell’ospedale: il ricovero delle cavie, dove si facevano continue ricerche sul cervello umano. Io mi sono addentrata in quel posto poche volte, quanto basta per provarne un orrore incredibile. Bestie lobotomizzate, castrate e, dappertutto, un senso di innaturale forza malvagia, ridotta al massimo della sua violenza. Certe bestie, sotto i veleni delle medicine, avevano perso del tutto la loro identità. E dei gatti parevano tigri feroci, dei topolini erano presi da sindromi strane che li facevano girare su se stessi senza posa alcuna né alcun senso di conservazione. L’uomo che dirigeva questo brutto traffico era un po’ eguale alle sue bestie, pareva un lobotomizzato; unto e untuoso, cercava di arraffare qualche malata per portarla di sotto per “montarla”, come diceva lui.

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A me faceva talmente ribrezzo che una volta giunsi a sputargli in faccia. La cosa non me la perdonò più, e ogni volta che passavo di lì mi guardava con aria sempre più torva. La cosa che maggiormente mi spaventava erano i miei rapporti con i figli. Nella mia mente malata i figli dovevano necessariamente far parte del mio corpo, del mio io, e non potevo prevederne un altro che fosse al di fuori del mio centro focale. Finché i miei figli li portavo in grembo, tutto poteva rientrare nella normalità; ma una volta che li mettevo al mondo mi riallacciavo inequivocabilmente al mito di Cronos che divorava la propria progenie. Ho chiesto al mio medico il perché di questa mia particolare mostruosità. Ma il mio medico non ha mai saputo darmi una esauriente indicazione. Tutt’al più poteva identificare i miei figli col pene, il che era tipicamente freudiano, come qualcosa di fallico, come una appendice che mi ricordava il vecchio trauma. E fin qui la cosa potevo anche accettarla. Ma non potevo certo accettare di essere io l’autrice di una infamia qualsiasi, o di una altrui infelicità. La morale era che i figli li dovevo affidare ad altri, perché mi facevano insorgere paurose allucinazioni e la cosa mi sgomentava. E ancor oggi non l’ho risolta per cui, non sentendomi amata dai miei figlioli, mi sento virtualmente sola. Potrà anche essere vero che in passato un uomo mi abbia violentata, ma mi ricordo benissimo che quand’ero bambina pregavo ogni sera il buon Dio che mi facesse dono di un bimbo. Perché? Anche queste cose sono contemplate nelle teorie freudiane. Ma si dà il fatto che la bambina voglia un bimbo, secondo Freud, perché si sente castrata. ALDO Nel recinto degli uomini Aldo era il più lungo e allampanato, con due occhi immensi e stravolti. Era visibilmente pazzo ma con un che di infantile e aggraziato che non poteva non commuovermi. Insieme ad altri ammalati stava dietro un recinto di reti e gridava tutto il giorno a squarciagola, quasi che ce l’avesse con il cielo che l’avevano messo lì dentro. Un giorno ottenni che lo si lasciasse andare per qualche ora. Di fatto era un uomo che non faceva male a nessuno. Si limitava a gridare e a imprecare. Pieno di Serenase com’era, malgrado fosse molto giovane, Aldo non aveva alcun senso della sua mascolinità, e con le grosse mani non faceva che tagliare e strappare l’erba e portarsela alla bocca come un cavallo forsennato che avesse fame. A me chiedeva solo sigarette e mi diceva, guardandomi

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dritto negli occhi: “Sei dolcissima”. Poi mi carezzava teneramente la pelle. E mi guardava se mai sorgesse in me qualche visibile emozione. “ Ma tu sei donna?” mi chiese una volta. “ Certamente”, risposi io. “ Non mi sembra; guarda, io sì che sono un uomo!”. E tirò fuori il suo pene diritto come una alabarda che subito mi impaurì. “ Non devi fare questo, Aldo. Ricordati che ti tolgono il permesso”. Aldo si guardò in giro e assentì con la sua grossa testa. “E’ vero”. Comunque, continuava a guardarsi in basso, verso i calzoni. “ Ma io ‘sono’ un uomo”, continuava a ripetere. “ Certo” gli dicevo io, “che sei un uomo. Solo che adesso devi pensare a curarti”. “ E i miei figli?”, proseguiva lui. “ I tuoi figli sono in mani buone, e anche tu; perché io ti voglio bene”. Allora mi abbracciava e rideva forte e mi faceva rotolare per terra e mi impasticciava di baci che non avevano nulla di adulto. Erano baci di un bambino teneramente commosso e felice di qualche caramella. Quando lo riaccompagnai in reparto Aldo era visibilmente fiero di starmi a fianco. “Vede” diceva al suo caposala, “questa è la mia donna”. E mi faceva un largo inchino che pareva una genuflessione. Io annuivo ridendo: in fondo piaceva anche a me di avere un amico così sincero, e poi, forse, in fondo Aldo non era più tanto malato. Ma un giorno che mi portò delle rose bianche, mi disse tra le lacrime; “Sai, Alda, mi trasferisco- no. Dicono che sono inguaribile”. “ Non è possibile” dissi io, “tu devi stare bene per i tuoi figli!”. Ma dovetti arrendermi alla realtà. E quella volta piansi con profondo dolore per la sorte di Aldo, per la sorte di tutti coloro che non potevano sconfiggere quel terribile male. Pierre fu il mio grande amore in manicomio. Un amore fatto solo di sentimento, ma non per questo fu meno grande. Ma morì, morì sopra un carrozzone il giorno che lo portarono in un cronicario. ROSE E di quelle rose magnifiche noi non potevamo cogliere nemmeno il profumo, non potevamo guardarle.


Ma il giorno che ci apersero i cancelli, che potemmo toccarle con le mani, quelle rose stupende, che potemmo finalmente inebriarci del loro destino di fiori, oh, fu quello il tempo in cui tutte le nostre inquietudini segrete disparvero, perchè finalmente eravamo vicini a Dio, e la nostra sofferenza era arrivata fino al fiore, ed era diventata fiore essa stessa. Dio, mi parve di essere un’ape; un’ape gonfia ed estremamente forte. E per ore inginocchiata a terra stetti a bere di quella sostanza vitale, senza per altro fiatare, senza dire a nessuno che avevo incontrato un nuovo tipo di morte. Divine, lussureggianti rose. Non avrei mai potuto scrivere in quel momento nulla che riguardasse fiori. Perchè io stessa ero diventata un fiore, io stessa avevo un gambo e una linfa. M a , mentre accarezzavo le rose, sentii una mano vicino alla mia. Era la mano di Pierre e sentii le sue labbra sulle mie labbra e la comunione fu così dolce e perfetta che conobbi in qual momento la vera natura di Dio. Pensammo subito, io e Pierre, di fare dono a qualcuno di quelle rose. Ma sapevamo che non potevsmo coglierle. Allora le rubammo, ne facemmo un fascio che portammo di nascosto dietro l’apside della chiesa. E li stemmo a curarle un’intera giornata intrecciandoci sopra le dita. A chi avremmo dato quelle rose perfette? Chi ci aveva fatto del bene al punto di meritarsele? Nessuno. E allora, le avremo donate a noi stessi, ne avremo fatto un giaciglio d’amore. Così io e Pierre, adagiati sulle rose e sulle spine godemmo del primo amplesso del nostro amore, e fu un amplesso che durò millenni, il tempo della nostra esecrazione. E da quell’amplesso senza peccato nacque una bimba. All’ottavo mese, il dottor G., che al principio aveva cercato di farmi abortire, mi mandò a chiamare e mi disse: “E’ ora che tu vada in maternità”. Io ritenevo che fosse presto: avevo bisogno di cure e lì non me ne avrebbero date. In più, sapevo bene che cosa aspettava negli altri ospedali per i dimessi dal Paolo Pini. Comunque, stetti al suo parere e andai al Niguarda. Mi si guardò subito con sospetto. Poi la suora, che aveva un piglio non propriamente umano o cristiano, mi disse: “Oggi passeremo per farti partorire”. “ No!” dissi io, “non è ancora giunto il momento”. E difatti avevo ragione. Non volevo in alcun modo uccidere la mia creatura. Ma la suora insisteva e mi guardava con un ghigno sadico. Io, che ero già sofferente nel fisico, non trovai altra scelta che fuggire di lì, per salvare il mio bimbo. Raccolsi la mia

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povera roba. Ma mi presero subito e mi mandarono al neurodeliri, cella ancora più rigorosa dell’ospedale psichiatrico, dove c’erano pochi metri quadrati per muoversi e nessun dialogo, nemmeno col dottore. Al neurodeliri rimasi ancora un mese, finché veramente non era giunto il termine del parto. E in tutto quel mese non facevo che piangere perché non c’erano donne in quel reparto, ma solo giovinette e qualche infermiere che non capiva nulla di ginecologia. Finalmente, un giorno, persi le acque e andai angosciata a dirlo ad un infermiere. “ Vieni”, mi disse. “E’ il momento. Ti porto di sotto”. Per precauzione fui fatta partorire in un locale singolo, lontana dagli occhi della gente perbene, e fu, quello, un parto pilotato sommamente laborioso e doloroso, tanto più che la piccola era completamente soffocata dal cordone ombelicale. Ma finalmente venne alla luce e io volevo prenderla tra le braccia e baciarmela e poterle dimostrare la mia gratitudine di essere ancora viva dopo tante peripezie ma me la levarono subito di torno e a me mi riportarono alla neuro. Lasciandomi là, sporca, con tutto il bisogno delle cure del caso, e per parecchi giorni della bambina non seppi più nulla, finché un giorno, col seno colmo di latte e una vera tempesta nella mente, non mi alzai come una tigre dal letto ed entrai di botto dal primario e così l’apostrofai: “O tu mi dai mia figlia o io ti ammazzo”. Fu quella, credo, la prima volta che impazzii davvero. Ma il buon uomo capì immediatamente, e dopo avermi dato un tranquillante ordinò che la piccola mi fosse portata. “ Sono forse una bestia io, che non posso dare il latte alla mia bambina?”, continuavo a urlare. “ Ma no!”, mi disse il medico. “Non è questo. E’ che tu hai sempre preso pastiglie e il tuo latte può non essere idoneo per la piccola. Può farle male”. Comunque, il latte dovettero levarmelo e quella fu la più dolorosa operazione morale che avessi mai subito dall’entrata in quel terribile luogo. Dopo tre giorni mi dimisero col mio roseo fardello che sorrideva, quieto, ignaro di tutte le brutture della vita. Ma qualcosa di ancora più grave mi aspettava a casa. Col tempo mio marito aveva perso ogni affetto per me e quando gli feci vedere la bimba non la guardò neppure. Io ero così stremata, che avevo tanto bisogno di lui: dovevo accudirla, la bimba piangeva in continuazione. Un giorno mi disse: “Senti. Tu non stai bene. E, d’altra parte, mi sei venuta a noia. La bimba non so veramente di chi sia. Quindi, portala al brefotrofio”. Mi sentii schiaffeggiata nell’anima. Ma stavo anche tanto male. La lunga odissea pas-

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147 sata al manicomio e poi al neurodeliri mi aveva completamente prostrata. Presi quella dolce bambina che era così gracile, che altro non mangiava che acqua e zucchero, e la portai in Viale Piceno. Poi, dopo averla raccomandata al medico, e non avendo più motivo di vivere, tornai a ripresentarmi al manicomio dove avevo deciso di trascorrere il resto dei miei giorni e, semmai, di morire. Avrei dato la mia vita per tenermi mia figlia, ma altri me l’aveva impedito. Ma il destino volle che io guarissi. Ma intanto lei è stata adottata e non la vedo ormai da molti anni. Avevamo un medico di guardia che pareva uscito dalle fila delle S.S.; di fatto, quest’uomo dalla grossa testa che pareva un melone, e che era di origine germanica, aveva una crudeltà senza limiti, e un senso del sadismo veramente infantile e patologico. Gironzolava tutto il giorno con la sua bicicletta mandando sguardi furtivi al di là di ogni siepe, per vedere se qualche malato era “passibile di punizione”. Era un essere esecrando che a un certo punto si innamorò dell’infermiera del nostro reparto, della più bella, della più bionda. E questa era talmente timida e spaventata da quell’omaccione che, quando lo vedeva, cercava di scappare. Ma lui aveva un fare così untuoso, proprio come il Mangiafoco di Pinocchio, che a lei non rimaneva che stare ad ascoltare, con gli occhi bassi, fissi sul carrello dei medicinali, e ascoltava delle profferte d’amore che saranno state anche oscene, o che forse volevano essere dolci, ma, dette da delle labbra così sottili e sarcastiche, non potevano che nascondere la vigliaccheria. E quest’uomo ogni giorno veniva nel nostro reparto per lei, e tutti ne eravamo sconvolti finché, grazie a Dio!, un giorno si capovolse sulla sua bicicletta e morì sul colpo. Quando si dice la giustizia di Dio… Quest’uomo crudelissimo, quando uno di noi stava male, cominciava a propinargli medicinali, in misura, in quantità degne di un cavallo. Apparteneva ovviamente alla vecchia psichiatria dove i malati venivano legati con aggeggi di ferro ai polsi e alle caviglie. Ne ho proprio vista ieri una raccolta davvero edificante. Questi arnesi vennero poi sostituiti dalle fascette di canapa, egualmente mortificanti e costrittive. Ma anche i medicinali avevano lo stesso effetto di offendere e di abbrutire il malato. E a questa tremenda e silenziosa consegna, quest’uomo era estremamente fedele. Credo che contro la pazzia niente e nulla possa valere. Oggi sto male. Ho lontanissima la percezione degli altri come se mi giungessero da un’altra dimensione, in questo stato nulla potrebbe entrare nel mio cerchio magico. Niente e nessuno. Eppure

Il Colore Dei Diari è proprio adesso che ho bisogno d’aiuto, è come se fossi diventata angelo e volassi verso cieli azurri. Ma questi cieli soffocano il corpo, l’uccidono. E allora, a chi dobbiamo dare ragione, all’anima o al corpo? O corpo che duoli, che sei sostanzialmente solo pur circondandoti di molte amicizie! Sei forse tu che mi porti a vaneggiare? O forse la forza segreta dei miei impulsi spirituali? oh, si. Contro la pazzia nemmeno Dio può nulla. Qual’è la morale di questo piccolo libro? Molte, moltissime potrebbero essere le morali. Ma forse una sola è valida. L’uomo è socialmente cattivo, un cattivo soggetto e quando trova una tortora, qualcuno che parla troppo piano, qualcuno che piange gli butta addosso le proprie colpe, e, così nscono i pazzi. Perchè la pazzia, amici miei non esiste. Esiste soltanto nei riflessi onirici del sonno in quel terrore che abbiamo tutti, inveterato, di perdere la nostra ragione.

LETTERE A PIERRE

PRIMA LETTERA Amore mio, vorrei che tu venissi a vedermi stasera qui, nel mio lettino tutto bianco. E sto pendando a te. Sto pensando alle rose rosse che mi hai dato ieri. ho qui davanti una rivista ma non la leggo. Il pensiero di te mi appaga molto di più. Hai mai pensato che ci si possa amare come le colombe ? Io sì. Oh, se ti avessi qui vicino, contro il mio grembo! oh, l’ amore è fatto anche di questo, e perciò ti bacio e ribacio sui tuoi bei capelli neri. O pierre, basterebbe poco a morire. Vivere qui dentro è terribile, e io, morta, volerei da te per sempre. E tu mi terresti come un uccellino piccolo piccolo, e saresti il mio buon carceriere. Mi ami tu ? Non mi hai ancora manun biglietto, ma io ogni sera ti scrivo lunghissime lettere, Pierre, e su quelle lettere piango. L’ infermiera quando vede le mie lacrime pensa che io sia depressa. E invece no; piango di gioia e piango d’ amore perchè io e te siamo due essere felici nella nostra nudità: siamo come Adamo ed Eva.

dato

E’ possibile, Pierre, scrivere di queste lettere in manicomio? ma quanta pace c’è qui dentro. E poi, nessuno che ti guardi e ti ascolti. OH, sì, Pierre, proprio qui dentro, credimi, è venuto il momento di amarci.


QUARTA LETTERA Ieri ti ho portato Giulietta e Romeo. Li abbiamo letti lungo il praticello del manicomio. Oh, come erano dolci quelle parole d’ amore. Ma tu, perchè seguitavi ad accarezzarmi? Ero io la tua Giulietta e tu il mio Romeo. Ma noi non vogliamo morire, vero Pierre ? Non vogliamo morire qui dentro, amore mio. Ricordatelo. SETTIMA LETTERA Ho varcato oggii confini del manicomio. Sino fuggita per venirti a vedere. Ho fatto forza su me stessa, ma finalmente ho varcato i cancelli. Dopo non mi vorranno più, ma tu, povero piccolo passerotto, non meriti forse tutto questo? Ho preso il trenito che porta a Cusano. Poi, non so. So che li c’è un cronicario. Devi trovarti li per forza. Ore 11.00. Sono entrata nel nuovo manicomio.

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Facce orribili mi hanno squadrata da capo a piedi. Forse per il modo in cui mi vesto mi hanno riconosciuta come una di loro, ma con una lieve differenza: che sono bella e tranquilla. Sono bella perchè porto dentro il tuo amore, tranquilla perchè nulla mi può dividere da te. E, finalmente sono scesa al bar. Sporcizia da per tutto, carte, cicche e orribili risate. Ma io Pierre ti cerco. Sono certa che ti troverò. Ore 12.00. Ti ho trovato, eri in un angolo del giardino, solo e disperato. Quando mi hai visto ti sei messo a piagere, e abbiamo pianto insieme. E’ venuto il guardiano e mi ha chiesto chi ero. “Una parente”, ho risposto. Ma lui mi ha guardato con sospetto: non si vedono forse i segni della mia sofferenza? Oh Pierre tra poco andrò via, dovrò andare via, perchè io ho il mio rifugio. Ma ho capito tutto in un attimo. Un bagliore di fiamma mi ha illuminato le idee: si! E’ ora che anche noi prendiamo la nostra parte di martirio per salvare gli altri. Addio

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La Conoscenza Else Lasker - Schuler Incessante una pioggia fresca cade sulla terra assetata e sulla mia pelle. Voglio posarmi in cuore al cuore vivo dei mondi, prima che l’uomo si desti e la bestia. Cresco come la foglia nella grazia dell’acqua prima della nascita dell’alba io sono una foresta, e il sole indugia sui miei sentieri, perchè sul mutamento esterno ho messo radice... Elementare, senza riflessione, germogliando da dio così cresce anche l’erba più misera dei campi; Solo la “conoscenza” è in podestà dell’uomo. Ma coltivarla fino all’ultima chiarezza si può, se sgela il ghiaccio acuto di ogni arroganza.

La Passeggiata Anna Achmatova

Elizabeth Bishop Insonnia

La piuma urtò il tetto del calesse. Io lo guardai negli occhi. Il cuore si struggeva, non sapendo nemmeno la causa della pena.

La Luna nello specchio del comò guarda milioni di miglia lontano (e forse con orgoglio, a se stessa, ma non sorride, non sorride mai) via lontano lontano oltre il sonno, o forse è una che dorme di giorno. Se l'Universo volesse abbandonarla, lei gli direbbe di andare all'inferno, e troverebbe una distesa d'acqua o uno specchio, sul quale indugiare. Tu dunque metti gli affanni in un sacco di ragnatele e gettalo nel pozzo nel mondo alla rovescia dove la sinistra è sempre la destra, dove le ombre in realtà sono corpi, dove restiamo tutta la notte svegli, dove il cielo ha tanto poco spessore quanto è profondo il mare e tu mi ami d'amore.

Sera senza vento, avvinta di tristezza sotto l’arco del cielo nuvoloso, il Bois de Boulogne pareva tracciato a china in un album antico. Aroma di benzina e di lillà, una guardiga quiete... Di nuovo egli toccò le mie ginocchia con la mano che quasi non tremava.

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Il Giorno si fa fresco verso sera Edith Sodergran I. Il giorno si fa freddo verso sera... Bevi il calore dalla mia mano, la mia mano ha lo stesso sangue della primavera. Prendimi la mano, prendimi il braccio bianco, prendi il desiderio delle mie spalle strette... Sarebbe strano sentire, una notte sola, una notte come questa, il tuo capo pesante contro il mio petto. II. Hai gettato la rosa rossa del tuo amore nel mio grembo biancoio stringo nelle mani calde la rosa rossa del tuo amore che appassisce presto... O sovrano dallo sguardo freddo, ricevo la corona che mi porgi e reclina il mio capo sul cuore... III. Ho visto il mio signore per la prima volta, oggi, tremando, l’ho subito riconosciuto. Ora sento già la sua mano pesante sul mio braccio leggero... Dov’è la mia sonora risata di vergine, la mia libertà, di donna a testa alta? Ora sento già la sua stretta salda intorno al mio corpo fremente, ora odo il duro suono della realtà di contro ai miei fragili, fragili sogni. IV. Cercavi un fiore e hai trovato un frutto. Cercavi una sorgente e hai trovato un mare. Cercavi una donna e hai trovato un’animatu sei deluso.


Una Bottiglia Egizia di vetro soffiato Marianne Moore Qui abbiamo sete e pazienza, fin dal principio, e arte, come in un’onda che si arresti eretta per mostrarci la sua essenziale perpendicolarità; non fragile ma intensa - lo spettro dei colori, quell’animale spettacoloso e guizzante, il pesce, le cui squame deviano con loro nitidore la spada del sole.

Mandorli Fernanda Romagnoli All’ultima stazione venne uccisa la notte in un agguato. Sbocciò dal buio un fiato, come un’anima fluendo a galla. Muoveva con bracciate lentissime, si sfogliava senza posa di lunghissime bende. Erano bande di nebbie - nascondevano la rosa oltre le cime, il pugnale! Con sottile correità - laggiù - fu assassinata dietro i monti, la notte! Poi la luce traboccò, venne a riva. Su quel mare mandorli in lunghe file di drizzavano incolpevoli, immemori - agitavano nell’aria le briglie di schiuma, le criniere del vento d’aprile.

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La Neve Era Sospesa Tra la notte e le strade Cristina Campo La neve era sospesa tra la notte e le strade Come il destino tra la mano e il fiore. In un suono soave Di campane diletto sei venuto… Come una verga è fiorita la vecchiezza di queste scale. O tenera tempesta Notturna, volto umano! (ora tutta la vita è nel mio sguardo, stella su te, sul mondo che il tuo passo richiude).

Lascia che l’affilato mondo come un coltello Elisa Barrett Browning Lascia che l’affilato mondo, come un coltello a scatto si richiuda senza ferire, nella mano chiusa, mite e calda ora, dell’amore; e non soda rumore di lotta dopo il click della lama che si chiude. Vita a vita - a te m’affido, senza paura, caro, sentendomi sicura e per incanto difesa dal mondo che pugnala, ma non può far danno. In gran candore i gigli delle nostre vite ancora assicurano fiori dalle loro radici, accessibili solo alla ricca stillante rugiada - crescendo dritti, fuori dell’umana portata, sull’altura. Dio soltanto che ci fece ricchi può renderci poveri.


La Sabbia e L’Angelo Margherita Guidacci I Non occorrevano i templi in rovina sul limitare di deserti, Con le colonne mozze e le gradinate che in nessun luogo conducono; Né i relitti insabbiati, le ossa biancheggianti lungo il mare; E nemmeno la violenza del fuoco contro i nostri campi e le case. Bastava che l’ombra sorgesse all’angolo più quieto della stanza O vegliasse dietro la nostra porta socchiusaLa fine pioggia ai vetri, un pezzo di latta che gemesse nel vento: Noi sapevamo già di appartenere alla morte. II Se vuoi lasciare la tua impronta, o uomo, scalfisci piuttosto la sabbia, Perché la più alta torre diverrà sabbia alla fine. Scrivi il tuo nome sul lido deserto, e prega il mare che presto lo copra di lamento: Perché tu stesso sei sabbia, sei la morte che dopo te rimane. III Ogni volta che dicemmo addio; Ogni volta che verso la fanciullezza ci volgemmo, alle nostre spalle caduta (Tremando l’anima al suo lungo lamento); Ogni volta che dall’amato ci staccammo nel freddo chiarore dell’alba; Ogni volta che vedemmo sui morti occhi l’enigma richiudersi; O anche quando semplicemente ascoltavamo il vento nelle strade deserte, E guardavamo l’autunno trascorrere sulla collina, Stava l’Angelo al nostro fianco e ci consumava. IV Ora il nostro amore si spanderà nella vigna e nel grano, Il nostro veleno nei cactus e negli spini crudeli. Si curveranno i vivi alle sorgenti, diranno: “Chi spinse verso di noi l’acqua da occulte vene del mondo?” E molto prima che il freddo li colga e la notte sul loro cuore s’adagi, Anche in un meriggio d’api e di succhi ardenti, Conosceranno l’angoscia, perché potenti noi siamo e vicini, E non vi è fuga dal cerchio in cui già li stringiamo Con ogni stelo da noi sorto e ogni frutto Che colmo e grave alla nostra terra s’inchina. V Furono ultime a staccarsi le voci. Non le voci tremende Della guerra e degli uragani, E nemmeno voci umane ed amate, Ma mormorii d’erbe e d’acque, risa di vento, frusciare Di fronde tra cui scoiattoli invisibili giocavano, Ronzio felice d’insetti attraverso molte estati Fino a quell’insetto che più insistente ronzava Nella stanza dove noi non volevamo morire.

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E tutto si confuse in una nota, in un fermo E sommesso tumulto, come quello del sangue Quando era vivo il nostro sangue. Ma sapevamo ormai Che a tutto ciò era impossibile rispondere. E quando l’Angelo ci chiese. “Volete ancora ricordare?” Noi stessi l ‘implorammo: “Lascia che venga il silenzio!” VI Non il ramo spezzato, non l’erba scomposta lungo il sentiero Ci dicevano il suo passaggio, m il tocco di solitudine Che ogni cosa in sé custodiva ed a noi rendeva, liberando Dopo il messaggio consueto l’altra, l’ignota parola. Come trasalivamo ascoltandola, come s’orientava sicuro Il nostro cuore sull’invisibile traccia! Così noi sempre ti seguimmo, Dominatore ed Amato, Né ci sorprende la bianca luce in cui svelato al nostro fianco cammini (Ora che l’ombra carnale è tramontata sul meridiano della morte) Perché da lungo tempo te solo conoscevamo, a te solo Obbedivamo, tua destinata preda, Trascinando sulle vie della terra la tua celeste catena straniera.

Nella Penombra Ingeborg Bachmann Ancora mettiamo entrambi le mani nel fuoco: tu per il vino del lungo fermento notturno, io per la mattinale acqua sorgiva, che non conosce i torchi. il mantice attende il maestro, in cui confidiamo. Non appena l’ansia lo scalda, il soffiatore giunge. Va via prima di giorno, arriva prima del tuo richiamo: è antico, come la penombra sopra le nostre ciglia rade. Di nuovo egli fonde il piombo nella caldaia di lagrime: per una coppa a te - occorre solennizzare il tempo perduto a me per il coccio pieno di fumo - che sarà versato nel fuoco. Mi scontro così con te, facendo tintinnare le ombre. Scoperto è chi esita, adesso, chi ha scordato la formula magica. Tu non puoi e non vuoi conoscerla, bevi sfiorando l’orlo, dove è fresco: come un tempo, tu bevi e resti sobrio, le ciglia ti crescono ancora, tu ancora ti lasci guardare! Io con amore all’attimo protesa sono già, invece: il coccio mi cade nel fuoco, piombo mi ridiventa qual’era. E dietro al proiettile sto, monocola, risoluta, defilata, e incontro al mattino lo invio.


coi ginocchi piagati e le menti aguzzate dal mistero. Le più belle poesie si scrivono davanti a un altare vuoto, accerchiati da argenti della divina follia. Così, pazzo criminale qual sei tu detti versi all’umanità, i versi della riscossa e le bibliche profezie e sei fratello a Giona. Ma nella Terra Promessa dove germinano i pomi d’oro e l’albero della conoscenza Dio non è mai disceso né ti ha mai maledetto. Ma tu sì, maledici ora per ora il tuo canto perché sei sceso nel limbo, dove aspiri l’assenzio di una sopravvivenza negata.

La mia poesia è alacre come il fuoco trascorre tra le mie dita come un rosario Non prego perché sono un poeta della sventura che tace, a volte, le doglie di un parto dentro le ore, sono il poeta che grida e che gioca con le sue grida, sono il poeta che canta e non trova parole, sono la paglia arida sopra cui batte il suono, sono la ninnanànna che fa piangere i figli, sono la vanagloria che si lascia cadere, il manto di metallo di una lunga preghiera del passato cordoglio che non vede la luce. A l d a Merini, da "La volpe e il sipario"

Alda Merini, da "La Terra Santa" 1983

La verità è sempre quella, la cattiveria degli uomini che ti abbassa e ti costruisce un santuario di odio dietro la porta socchiusa. Ma l'amore della povera gente brilla più di una qualsiasi filosofia. Un povero ti dà tutto e non ti rinfaccia mai la tua vigliaccheria.

Io sono certa che nulla più soffocherà la mia rima, il silenzio l’ho tenuto chiuso per anni nella gola come una trappola da sacrificio, è quindi venuto il momento di cantare una esequie al passato. Alda Merini, da "La Terra Santa"

Alda Merini, da "Terra d'amore"

Corpo, ludibrio grigio con le tue scarlatte voglie, fino a quando mi imprigionerai? anima circonflessa, circonfusa e incapace, anima circoncisa, che fai distesa nel corpo?

Pensiero,io non ho più parole. Ma cosa sei tu in sostanza? qualcosa che lacrima a volte, e a volte dà luce. Pensiero,dove hai le radici? Nella mia anima folle o nel mio grembo distrutto? Sei così ardito vorace, consumi ogni distanza; dimmi che io mi ritorca come ha già fatto Orfeo guardando la sua Euridice, e così possa perderti nell'antro della follia.

Alda Merini, da "La Terra Santa" Io sono folle, folle, folle d'amore per te . io gemo di tenerezza perchè sono folle, folle, folle perchè ti ho perduto . Stamane il mattino era cosi caldo che a me dettava quasi confusione ma io era malata di tormento ero malata di tua perdizione.

Alda Merini, da "La terra santa"

Alda Merini, da "Folle, folle, folle di Amore per te"

Le più belle poesie si scrivono sopra le pietre

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157 A tutti i giovani raccomando: aprite i libri con religione, non guardateli superficialmente, perché in essi è racchiuso il coraggio dei nostri padri. E richiudeteli con dignità quando dovete occuparvi di altre cose. Ma soprattutto amate i poeti. Essi hanno vangato per voi la terra per tanti anni, non per costruivi tombe, o simulacri, ma altari. Pensate che potete camminare su di noi come su dei grandi tappeti e volare oltre questa triste realtà quotidiana. Alda Merini, da "La vita facile" Le mie impronte digitali prese in manicomio hanno perseguitato le mie mani come un rantolo che salisse la vena della vita, quelle impronte digitali dannate sono state registrate nel cielo e vibrano insieme ahimè alle stelle dell'Orsa maggiore. Alda Merini Spazio spazio, io voglio, tanto spazio per dolcissima muovermi ferita: voglio spazio per cantare crescere errare e saltare il fosso della divina sapienza. Spazio datemi spazio ch’io lanci un urlo inumano, quell’urlo di silenzio negli anni che ho toccato con mano. Alda Merini, da "Vuoto d'amore" ... Bacio che sopporti il peso della mia anima breve in te il mondo del mio discorso diventa suono e paura. Alda Merini Non avessi sperato in te

e nel fatto che non sei un poeta di solo amore tu che continui a dirmi che verrai domani e non capisci che per me il domani e' gia' passato. Alda Merini, da "Folle, folle, folle di Amore per te" Ti aspetto e ogni giorno mi spengo poco per volta e ho dimenticato il tuo volto. Mi chiedono se la mia disperazione sia pari alla tua assenza no, è qualcosa di più: è un gesto di morte fissa che non ti so regalare. Alda Merini, da "Clinica dell'abbandono" Solo un mano d'angelo intatta di sè, del suo amore per sè, potrebbe offrirmi la concavità del suo palmo perché vi riversi il mio pianto. La mano dell'uomo vivente è troppo impigliata nei fili dell'oggi e dell'ieri, è troppo ricolma di vita e di plasma di vita! Non potrà mai la mano dell'uomo mondarsi per il tranquillo pianto del proprio fratello! E dunque, soltanto una mano di angelo bianco dalle lontane radici nutrite d'eterno e d'immenso potrebbe filtrare serena le confessioni dell'uomo senza vibrarne sul fondo in un cenno di viva ripulsa. Alda Merini Bambino Bambino, se trovi l'aquilone della tua fantasia legalo con l'intelligenza del cuore. Vedrai sorgere giardini incantati e tua madre diventerà una pianta che ti coprirà con le sue foglie. Fa delle tue mani due bianche colombe che portino la pace ovunque e l'ordine delle cose. Ma prima di imparare a scrivere guardati nell'acqua del sentimento. Alda Merini


... Il Poeta raccoglie i dolori e sorrisi e mette assieme tutti i suoi giorni in una mano tesa per donare, in una mano che assolve perché vede il cuore di Dio. Ma la città è triste perché nessuno pensa che i fiori del Poeta sbocciano per vivere molto a lungo per le vie anguste della grazia. Alda Merini, da "Alla tua salute, amore mio"

Amore, v o l a da me con l'aeroplano di carta della mia fantasia, con l'ingegno del tuo sentimento. Vedrai fiorire terre piene di magia e io sarò la chioma d'albero più alta per darti frescura e riparo. Fa' delle due braccia due ali d'angelo e porta anche a me un po' di pace e il giocattolo del sogno. Ma prima di dirmi qualcosa guarda il genio in fiore del mio cuore. Alda Merini, da "Alla tua salute, amore mio" Accarezzami, amore, ma come il sole che tocca la dolce fronte della luna. Non venirmi a molestare anche tu

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con quelle sciocche ricerche sulle tracce del divino. Dio arriverà all'alba se io sarò tra le tue braccia. Alda Merini, da "Alla tua salute, amore mio"

Sono folle di te, amore che vieni a rintracciare nei miei trascorsi questi giocattoli rotti delle mie parole. Ti faccio dono di tutto se vuoi, tanto io sono solo una fanciulla piena di poesia e coperta di lacrime salate, io voglio solo addormentarmi sulla ripa del cielo stellato e diventare un dolce vento di canti d'amore per te. Alda Merini, da "Alla tua salute, amore mio" Del tutto ignari della nostra esistenza voi navigate nei cieli aperti dei nostri limiti, e delle nostre squallide ferite voi fate un balsamo per le labbra di Dio. Non vi è da parte nostra conoscenza degli angeli, né gli angeli conosceranno mai il nostro martirio, ma c'è una linea di infelicità come di un uragano che separa noi dalla vostra siepe. Voi entrate nell'uragano dell'universo come coloro che si gettano nell'inferno e trovano il tremolo sospiro di chi sta per morire e di chi sta per nascere. Alda Merini, da "La carne degli angeli"

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Poeticheggiando Amava ogni notte, ogni notte che la luna baciava le stelle, ogni notte che la luna custodiva le ombre sulla sua pelle, Amava, con la sabbia sulle labbra e il sussurrare del mare, amava per non soffocare. Amava per il sogno di un amore vero, ogni notte, tra la sabbia, e il sussurrare del mare, amava il suo straniero, cullata da un amore bugiardo per il conforto di un solo sguardo. Per cucire la ferita, Sul filo dell’ombra amava, torturata dalle spine tra i petali di una rosa appassita. La luce persuade ogni inganno Nel ritrarsi dell’onda, Ogni amore. ----------------------------------Illuminati dalle candele Calda luce carezzava le loro ombre Che ballavano misteriose A ritmo lento e inquieto. Nel sorriso di una donna la sua libertà, solo per quell’ora, per quell’eternità. La sua libertà in quei petali di un’orchidea bianca; lentamente, con estrema dolcezza sfiorava la pelle della giovane donna, che fremeva a quel tocco, un brivido caldo, un complice sorriso d’intesa, nessun bacio, nessun peccato a sfiorire quel sogno, solo l’intrecciarsi dei loro occhi, solo il rumore lieve dei loro respiri e il bianco di quei petali rinnovava il loro sogno. Lo stesso sogno riflesso Nello specchio delle loro passioni. Come un’estranea, Nudo, il mio riflesso, vestito di soli ricordi

in quell’antica specchiera. Nella hall di un hotel in stile barocco, dove la sontuosità di quell’arte, soffocava anche il respiro, in sottofondo, immagini distratte. Quei falsi sorrisi, avanzavano sui lunghi tappeti rossi. Correvano in lontananza Incastonate in danze d’ori, coralli e madreperle, vestite di taciturna memoria. --------------------------------------------Come un’estranea, ferma la mia immagine, fuggivo da quegl’occhi, fuggivo da quei riflessi, i sogni per mano, inseguivo i deliri del vento, inseguivo le labbra dell’irrealtà, desideravo i suoi baci, gentili come i boccioli di maggio. Cercavo volti sinceri, Cercavo occhi più scuri, cercavo ciò che è di ieri. ....................................... Tranquillo giocavi, con la tua maglia color di foglia e di speranza, correndo sereno sulla tua ingenuie il tuo lieto sorriso di chi non ha età. coglievamo i pinoli sotto l’ombra dei pini, quella mattina era estate, sedevamo sotto gl’antichi tronchi, prendendoci per mano. Non avevamo rancori, il blu del cielo tra le nostre dita non provavamo dolori, sulla nostra pelle nessuna ferita. Nel oblio della semplicità, i nostri giorni migliori. Stamattina, la nostra ingenuità persa nel vuoto,

tà,


scomparsa per sempre nascosta in una ceca oscurità, dissolta con quella nebbia d’inverni abbandonati.

Oltre il loro manto sconfinate distese. Semplicemente bella e pura, quanto pericolosa la neve lieve sorrideva amaramente oziosa, nel sole scintillava superba, nell’ombra riposava acerba.

Stamattina, tra i libri siamo grandi E con un sorriso stanco, guardi i miei occhi, con il rimmel sbavato; nei tuoi una vecchia signora, nel verde la tristezza della coscienza.

Si baloccava il Ghiaccio divertito, ingannevole e sleale il suo terso mantello. fiero il suo gridar, quand’ esso ferito, suonante invano, amaramente tradito.

Ma ancor oggi, con lo stesso sorriso d’intesa, mi prendi per mano e mi guardi felice senz’alcuna pretesa.

Il freddo taciturno alla quiete era fedele, s’agitava nel silenzio di bianchi deserti, s’insidiava trascurando di chiedere l’assenso. Pace e calma tessevano il freddo Coraggiosamente vestito d’ansia e solitudine.

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La neve e il freddo deciso, di giorno come di notte, nel sole come nell’ombra, ansimanti, inseguivano tenerezza e amore, invano. ------------------------------------------------------------

Il vento sui petali Di quelle orchidee bianche, il suo respiro violento sulla tua pelle scura. di una gitana il sogno di una gitana il Bacio ubriaca di stanchezza avvolta di nostalgia. Nel suo letto scarruffato, pensieri come il brulicare di una città. ...........................................................

La notte, quella oscura signora indolente e viziosa lo attirò con le sue danze, quei piedi nudi così semplici e sensuali; ne era attratto, l’assoluta armonia di quei movimenti eterei e leggiadri … Adagio quell’ingenua bellezza lo rapì. Inghiottito dall’oscurità, egli ora una sagoma lontana e distante, in quel buio instancabile, nel suo accidioso dissolversi, il vuoto del tempo diceva addio alla mia malinconia. Fissavo assorta quell’ombra ora quasi assente, poi, distrattamente, nient’altro osservavo che il buio, atroce quel vuoto nel vento del nulla … Persa nel livido tramonto ferito. Ferito dall’idea del tuo sorriso, sfregiato dalle tue mani sicure gittate dalla brezza svogliata … Ferito dal ricordo di te. -----------------------------------------------------------Appena mi sveglio, la notte esausta se ne va, scivola lentamente nel chiarore.

Grida di silenzio s’arrampicavano alla notte, tessuta dall’oscurità. La luna, nascosta in grotte di sabbia Soffocava i suoi sogni in gemme lucenti. In giacigli di spiaggia, dei pensieri la polvere, solo polvere, misera polvere di rabbia. Pensieri, pensieri tremanti, vivi e silenziosi, nel suo forte gridare; un grido doloroso come chi abbraccia il mare, come chi abbraccia l’ombra. Pensieri vinti, violati, rassegnati, derubati, pensieri ostinati, con radici fedeli alla terra, mentre il brigante sorrideva, sorrideva divertito, sorrideva dopo ogni respiro del piccolo uomo. ----------------------------------------------------Imbiancavano le alture scoscese Quei fiocchi dalle vesti angeliche,

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La notte si riposa fiacca,

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161 indebolita per il peso dell’ombra. La notte, sensuale, seducente e indecifrabile, insieme alla propria celata oscurità, indaga accorta ovunque; nei vicoli più segreti, nelle strade più animate. La notte va osservandoti eclissata, ma tu non te ne curi, tu riposi senza pene. Tu appari il mio delirio interminabile, ma tu non te ne curi, tu riposi senza pene. Io sono ad un passo da te, così come lo è la notte, che ti osserva celata Ma tu non te ne curi, tu riposi senza pene. -----------------------------------------------------------Le lacrime sulla strada, occhi di rimpianti divorati dai rimorsi. Il sangue sulle labbra, lividi i polsi, troppo strette le catene, nel buio del mondo. Nuda, nuda sotto il cadere della pioggia, rincorrevo la vita urlando, con occhi rassegnati al cielo, con occhi rassegnati alla notte. Sulle spalle, Nessun mantello, niente a riscaldare i miei dolori, solo dell’anima inconsistente, il peso. Quell’acqua bagnava le mie mani, con se ogni segno, ma l’anima ostinata restava li, immobile tra quell’acqua, e il freddo, che colse solo la mia pelle. -----------------------------------------------------------La brezza secca e taciturna, come squarci sul mio corpo, le labbra violacee, angosciate dal freddo. In quella quiete, segreta ed ingannevole, la gioielleria violata, nuda, abbandonata ed infelice come mai prima. Sfregiare il corpo

Il Colore Dei Diari Morire ai sensi, squarci e trame d’essenza, dalla vita alla morte, dal sonno alla veglia, dalla morte alla vita. Rassegnata alla sorte, nessuno mi sveglia, l’esistenza tradita. Di sabbia la tempesta; Vortice e deserto. Oasi bruciata, nell’antro di quella testa, l’incanto della rosa terso, l’anima incantata. Dalla morte alla vita La luce più forte Segui la mente E alcuna ferita A sfidare la sorte -----------------------------------------------------La nostalgia respirava Respirava sulle lacrime Che bagnavano il letto di un fiume stanco. Le lacrime scivolavano adagio Vittime del tempo, come la sua vita. La sua vita in quel letto di fiume, la sua vita un letto sfatto, in un lenzuolo di cenere, dimenticato dalle labbra del fuoco. Petali appassiti, petali di un nuovo sole le cadevano sul viso, spengendo ogni suo nuovo sorriso. Non le restava che qualche sorso di giovinezza, in un vecchio calice, non molto prezioso, ogni giorno sorseggiava l’amaro della sua tristezza. ----------------------------------------------------Vigile, m’insegui dal tuo occhio sul mondo. Quali nostalgie affollano i tuoi pensieri? Straniero, sei nessuno? Un oscuro mistero, un’ombra di paesi lontani un soave delirio, che ammalia la mia ombra, un tempo fedele. Qual è la tua essenza? Qual melodia diffonde il tuo nome? Sospiro delle mie inquietudini. Se non fosse per i tuoi occhi, carboni incandescenti tra fiamme scintillanti, che ancor prima d’esser vibrazione,


riducono al silenzio le parole, ti svelerei alture inaccessibili allo sguardo. Rincorrerò Eolo, per tuo bramare, cullata dai suoi soffi, scorgerò paesaggi di follia, ammirerò le albe e i tramonti della solitudine, dinanzi alle onde di un seducente e ingannevole oceano. La luce sfugge adagio, mentre si rinnova il tuo ricordo, incessante come l’eco dell’onda, che plasma l’immensità. --------------------------------------------------Mai riposerò libera e nuda, svestita dal tuo tenebroso mantello, che rapisce la mia anima in un bacio fatale. Scivolano prepotenti Le redini del mondo Che stringevo tra le mani Senza toccarlo, in seno alla luna sfioravo il tuo sorriso, seta sulla mia pelle, mentre, silenziosamente, fili di stelle s’intrecciavano nell’ombra, tessevano dolcemente le tue parole, sui miei pensieri, come funi le tue braccia, e i tuoi occhi, nell’infinito dell’oceano, come reti abbandonate da pescherecci solitari, in cui perdersi. Fili aggrovigliati e confusi I miei pensieri. ---------------------------------------------------Negl’occhi un sorriso, Sul sorriso una lacrima, E del sole d’acqua, il riflesso. Senza rughe, il cielo, osservava quieto il cinguettare della primavera. Oltre quei monti, Respiravo malinconia. Intimoriti gli occhi rimembravano. Intimoriti dalla luce del nuovo sole. Dipinsi sulla tela Un oceano di nostalgia, spiegata la vela dei ricordi. Tra le stelle, nel respirare dei pensieri scolpiti i sogni. I sogni di chi non ha tempo Per giocare con la vita.

Un semplice momento Poi i ricordi, come immagini sbadate, dai colori stanchi. Il tempo; il ritrarsi dell’onda che scalfiva gli scogli, che scalfiva il mio nome. D’acqua la polvere Che bagnava le mie labbra, non lontano, S’affacciava sul mare, quel ristorante, costretto nella sua giacca grigia. Tra i tavoli un signore, la sua chitarra, le sue parole, e le note sulla fiamma della candela ad olio, che ballava sul vetro a dispetto del mare; il pianto. In lontananza il lento urlare delle barche, che guardavano le stesse onde sui virili scogli, le stesse onde che inseguivano, invano quelle casette, che, in seno alle colline, si sostenevano l’un l’altra. Il mio paesino … Vaiano è come Giuda, Vaiano è una puttana, rabbrividiscono e tremano le fronde disarmate, ammantate soltanto di neve, nivea e taciturna. Le luci Natalizie allietano l’atmosfera, come istrioni in un teatro. Superbe e orgogliose s’accendono nel buio, capricciose, come pargoli desiderano esser guardate. Pennellate di cenere colorano il cielo, vuoto e solo, solo, con le sue trame solitarie. Quei fusti dal mondo dimenticati, per piangere non avevan’istante. Soffocati dalle voci paesane, dall’inesorabili dicerie, osservano quiete, e con le loro fronde sorridono, un sorriso amaro compare sulle loro labbra, che di certo non mancan d’esperienza. Le strade catramate, anch’esse soffocano silenziosamente, anch’esse non proferiscono parola. I silenzi e i sorrisi, Vaiano è un paese tranquillo,

Una debole melodia

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163 quei sorrisi di interpretazione necessitano, e soprattutto quei silenzi, quei silenzi incancellabili, s’imprimono nel mio cuore, come la nera china sulla carta antica. Le parole non dette, si scrivono da sole, quelle stesse parole che i rami vedono, quelle stesse parole che i rami tacciono, quelle parole che solo chi vuole vede. Quelle stesse parole che pochi Coraggiosamente affermano aver udito.

densa questa notte che non si fa respirare, inghiottita dall’oscurità, -------------------------------------------------come fosse un bacio la mia vita sulle tue dolci labbra di rugiada, perle cristalline, cristalline come pioggia mattutina scendevano sul mio viso -------------------------------------------------l’aria non si lascia respirare, divertita sfugge al mio dolore, sfugge al mio amore -------------------------------------------------Con falsa freddezza Accarezzi la tua vita. Di notte, i tuoi occhi più scuri del mare, più neri di ogni ferita, Soffocano i tuoi sogni in gemme lucenti. Di seta i tuoi capelli Coi quali il vento giocherà divertito, con indifferenza di chi è stato tradito, la stessa indifferenza che bacia i tuoi occhi, accarezza il tuo dolore e abbraccia i tuoi sogni. Un falso sorriso tortura il tuo volto, un sorriso avvolto di silenzio, un silenzio di pensieri. l oceano divertito giocherà coi tuoi capelli, e la terra sogghignerà al tuo dolore.....sogghignerà.... -------------------------------------------------signore di stelle sfidavano la regina della notte. Sfilavano fiere, coi loro sorrisi forse troppo veri, forse troppo sinceri, stringevano forte al cuore la vita.

Il Colore Dei Diari Perle di rabbia scendevano sul suo viso, pensieri di rancore scolpivano il suo sorriso Vestiva un elegante sorriso, saziava le sue incoscienze con dei semi d’uva, mordendoli come perle nere. (vuol dire che la vita le era ostile, poiché uva=vita e gioventu) pioggia di perle divoravo la notte -------------------------------------------------Dentro una notte come un altra Il primo bacio Venduto ai falsi sorrisi, venduto all’ingenuità. Su di se le violenze, le violenze di chi controvoglia sfiora le labbra dell’infelicità. -------------------------------------------------bevemmo dall ombra le nostre lacrime mescolate....e io non sapevo piu qual era la tua...e tu quale la mia figlio d’uomo senza ricordi, figlio di donna senza dolore, figlio, senza amore. Negl’oceani di rabbia Dei sentimenti il sapore, affogavi lacrime di sabbia. L’oceano fa l’amore con la luna, così come i tuoi occhi con i miei. Di seta il silenzio della qieta notte, dove le stelle silenziose ne osservano i respiri. Figlio divora la notte in una pioggia di perle, nel silenzio di un oceano silenzioso e inquieto. Un soffio di neve sorride nei fiori Il tempo si stende cupo nell’immagine. ------------------------------------------Il pianto spoglia ogni dolore, le lune ridenti in quei giardini verdi, in quelle sabbie di specchio, destino randagio e inconfessato dolce e soave, rossa, come la passione, come il dolore, la sera scivola nell’argentea e velenosa spina di una rosa triste, una rosa non concessa.


Il denso mistero Soffoca la notte, regalando la speranza ad un mondo inconfessato.

il tempo scandito da spine di odio ---------------rumore del nulla nelle lunghe pioggie di silenzio, sul faro guardingo, occhio sul mare. --------------------------------------------------

Fatale quell’ultimo respiro, che uccide il frenetico danzare di quelle stelle ridenti.

La tua pelle sapor di luna, con neve di stelle

Trapassa il pensiero, si trascende; fumo di rabbia, odio di dolore, fame d’amore, fugge il rancore.

voglio il tuo cuore dagl'occhi di neve, dove frane di silenzio si sciolgono lievi sul bocciolo del mio amore,

Rincorri l’utopia, e per certezza solo il retrogusto d’un arida tristezza. --------------------------------------------------

ma il tempo maldestro sfila il tuo profumo, che bacia ancora la mia pelle, mentre l'ultime lacrime di sole, soffocano nel grigio del ricordo(cielo)

Passate le diciassette primavere Le mani calde di un nuovo inverno portano il tempo sui miei occhi e La spina dolce dell’odio Ferisce il chiarore della luna Già soffocata da un buio di rancore. Al passare del vento, caute fremano quelle foglie ostili che sfuggono divertite alle parole dette. In una notte di poche stelle, nel giaciglio dell’argenteo desiderio, il ricordo si posa dolce sulle labbra. -------------------------------------------------il lento respirare dell'oscurit‡ soffocava la notte prigioniera di ogni vanit‡. ----------------------------

come morte, anche il mare riposa nel giaciglio del silenzio, le sue onde feriscono le mie labbra di rimpianti, sulla spuma del dolore. ...dolci dolci, le mani di un vento stanco, carezzavano, le mie labbra di sale, e i miei seni di sole. -------------------------------------------------Rosse mani leggere, Mani di donna, mani sincere.

Nel vento di seta, della sua bocca d'inverno l'amore, dei suoi occhi di donna il dolore. -----------------------------------ho venduto il mio cuore per pochi denari, come un operaa che prima Ë svalutata e fa il giro del mondo, cm un dipinto che nn si sa dv Ë e Ë nelle mani di qualche ricco signore. ------------------------------------il triste autunno dagl'occhi di morte portava il ramo secco del dolore,(spina dolce) divorando i boccioli di primavera, e l'ultima speranza d'amore. stanche nel letto di morte respiravano le sere d'estate e il sole vendeva i suoi raggi alla sorte. ..........................

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in un silenzio inconfessato soffocano nel verde e dimenticano il peccato Gocce di pianto, spogliano quelle mani feconde così pure, nel sonno, perse tra le dannate onde. ogni foglia, una fede, che cade sulla terra che si sporca nel fango. Rosse lacrime,

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165 cadono senza passione, rosse lacrime, nel vuoto, perdono ogni illusione.

forse troppo veri, forse troppo sinceri, stringevano forte al cuore la vita.

Quelle lacrime, ciò che resta di un vecchio amore. --------------------------------------------------

Perle di rabbia scendevano sul suo viso, pensieri di rancore scolpivano il suo sorriso

nel giaciglio dell'argenteo desiderio, il ricordo le si posÚ dolce sulle labbra, in una notte di poche stelle

Vestiva un elegante sorriso, saziava le sue incoscienze con dei semi d’uva, mordendoli come perle nere. (vuol dire che la vita le era ostile, poiché uva=vita e gioventu)

attraverso il rumore della sera. Oltrepasso la ragione annodando radici e apparenze. Immagino una notte fiorente di sillabe e arabeschi.(sillabe a fior di bocca) -----------------------------------------------stelle innamorate contemplavano la notte, con labbra di luce e sogni di fumo, offuscavano i dolci pesieri di giorni ormai stanchi, (fianchi) di conchiglia quella notte che portava il sapore dei tuoi baci -------------------------------------------------Strangolare d amore Come morte il mare riposava nel giaciglio del silenzio. Squarci di chiarore divoravano la notte sulle labbra salate dello stesso mare, che il vento accarezzava con soave dolcezza. Un vento stanco, un uomo vecchio, senza parole lacrime di sole Quella notte d’estate non baciò mai le mie labbra signore di stelle sfidavano la regina della notte. Sfilavano fiere, coi loro sorrisi

pioggia di perle divoravo la notte Dentro una notte come un altra Il primo bacio Venduto ai falsi sorrisi, venduto all’ingenuità. Su di se le violenze, le violenze di chi controvoglia sfiora le labbra dell’infelicità. bevemmo dall ombra le nostre lacrime mescolate....e io non sapevo piu qual era la tua...e tu quale la mia figlio d’uomo senza ricordi, figlio di donna senza dolore, figlio, senza amore. Negl’oceani di rabbia Dei sentimenti il sapore, affogavi lacrime di sabbia. L’oceano fa l’amore con la luna, così come i tuoi occhi con i miei. Di seta il silenzio della qieta notte, dove le stelle silenziose ne osservano i respiri. Figlio divora la notte in una pioggia di perle, nel silenzio di un oceano silenzioso e inquieto. Un soffio di neve sorride nei fiori Mercurio baciava il mio amore e placava il mio dolore, mentre venere osservava addolorata, i miei occhi svogliati.


I Colori della Letteratura Romanzo Rosa Viene detto romanzo rosa il genere di romanzo che narra vicende amorose e passionali, a lieto fine, venate di romanticismo e dedicate soprattutto ad un pubblico femminile. È considerato un genere letterario appartenente alla letteratura di consumo.

Orgoglio e Pregiudizio Jane Austen

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È una verità universalmente riconosciuta, che uno scapolo in possesso di un'ampia fortuna debba avere bisogno di una moglie. Per quanto poco si possa sapere circa i sentimenti o i punti di vista di uomo del genere al suo primo apparire nel vicinato, questa verità è così saldamente fissata nelle menti delle famiglie del circondario, da considerarlo di legittima proprietà di una o l'altra delle loro figlie. "Mio caro Mr. Bennet", gli disse un giorno la sua signora, "hai saputo che finalmente Netherfield Park è stato affittato?" Mr. Bennet rispose di no. "Ma è così", replicò lei, "poiché Mrs. Long è appena stata qui, e mi ha raccontato tutto sull'argomento."Mr. Bennet non rispose. "Non vuoi sapere chi l'ha affittato?", esclamò la moglie con impazienza. "Tu vuoi dirmelo, e io non ho nulla in contrario ad ascoltare. "Era quanto bastava. "Allora, mio caro, devi sapere che Mrs. Long dice che Netherfield è stato affittato da un giovanotto con un'ampia fortuna del nord dell'Inghilterra; che è arrivato lunedì in un tiro a quattro per vedere il posto, e che ne è rimasto così deliziato che si è immediatamente accordato con Mr. Morris; che ne prenderà possesso prima di San Michele, e che qualcuno della servitù ci andrà verso la fine della settimana. "Come si chiama?" "Bingley." "È sposato o scapolo?" "Oh! Scapolo, mio caro, puoi starne certo! Uno scapolo con un'ampia fortuna; quattro o cinquemila l'anno. Che bella cosa per le nostre ragazze!" "E perché mai? che c'entrano loro?" "Mio caro Mr. Bennet", replicò la moglie, "come puoi essere così irritante! Lo sai bene che sto pensando di farlo sposare con una di loro.” “Era questo il suo progetto quando ha deciso di stabilirsi qui?” “Progetto! sciocchezze, come puoi parlare in questo modo! Ma è molto probabile che possa innamorarsi di una di loro, e quindi devi fargli visita non appena arriva.” “Non vedo nessun motivo per farlo. Potete andare tu e le

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ragazze, oppure puoi mandarle da sole, il che forse sarà ancora meglio; visto che tu sei bella quanto loro, Mr. Bingley potrebbe considerarti la migliore del gruppo.” “Mio caro, tu mi lusinghi. Certo, ho avuto la mia parte di bellezza, ma ora non pretendo di essere nulla di straordinario. Quando una donna ha cinque figlie cresciute, non deve più pensare alla propria bellezza.” “In casi del genere una donna spesso non ha più molta bellezza a cui pensare.” “Ma, mio caro, devi davvero andare a trovare Mr. Bingley, una volta arrivato.” “È più di quanto possa impegnarmi a fare, te l’assicuro.” “Ma pensa alle tue figlie. Pensa solo a che sistemazione sare be per una di loro. Sir William e Lady Lucas sono decisi ad andare solo per questo motivo, perché lo sai che generalmente non fanno visita ai nuovi arrivati. Devi andarci per forza, perché se non lo fai per noi sarebbe impossibile fargli visita.” “Sicuramente ti fai troppi scrupoli. Credo proprio che Mr. Bingley sarà felicissimo di conoscervi, e io manderà qualche rigo tramite te per assicurargli il mio cordiale consenso al suo matrimonio con qualunque delle ragazze preferisca, anche se dovrò mettere una parola buona per la mia piccola Lizzy.” “Fammi il piacere di non fare una cosa del genere. Lizzy non ha nulla di meglio delle altre, e sono certa che non sia bella nemmeno la metà di Jane, né che abbia nemmeno la metà del carattere gioviale di Lydia. Ma tu dai sempre la preferenza a lei.” “Nessuna di loro ha niente di cui andare fiera”, rispose lui; “sono tutte sciocche e ignoranti come la altre ragazze; ma Lizzy ha un po’ più di acume rispetto alle sorelle.” “Mr. Bennet, come puoi offendere così le tue stesse figlie? Ti diverti a tormentarmi. Non hai nessuna compassione per i miei poveri nervi.” “Ti sbagli, mia cara. Ho un grande rispetto per i tuoi nervi. Sono miei vecchi amici.

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Le Parole che non ti ho detto Nicholas Sparks

La bottiglia venne lanciata in acqua in una calda serata estiva, poche ore prima che incominciasse a piovere. Naturalmente si sarebbe rotta se fosse stata gettata in terra, ma, sigillata con cura e affidata al mare, si trasformò in un natante dei più sicuri, in grado di attraversare uragani e burrasche tropicali, e di galleggiare sulle correnti più pericolose. Era l'involucro ideale per il messaggio che custodiva al suo interno, un messaggio spedito per esaudire una promessa. Come tutte le bottiglie lasciate al capriccio degli oceani, aveva una rotta imprevedibile. Venti e correnti giocano una parte importante negli spostamenti di qualsiasi bottiglia, burrasche e residui galleggianti possono cambiarne la direzione. Di tanto in tanto una rete da pesca le trascina per miglia

nella direzione opposta a quella in cui navigano. Il risultato è che due bottiglie lanciate contemporaneamente nell'oceano possono finire su due continenti agli antipodi. Non c'è modo di prevedere dove si arenerà una bottiglia, e questo fa parte del suo mistero. E un mistero che affascina gli uomini da sempre, e c'è chi ha tentato di saperne di più. Nel 1929 un gruppo di scienziati tedeschi decise di seguire il viaggio di una bottiglia. Fu lanciata nell'Oceano Indiano meridionale, con un messaggio che chiedeva a chi l'avesse trovata di segnalare il luogo del ritrovamento e di rimetterla in mare. Sette anni dopo, nel 1935, la bottiglia aveva fatto il giro del mondo, percorrendo circa 16.000 míglia, la distanza più lunga mai registrata ufficialmente.

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I Colori della Letteratura Romanzo Giallo Il giallo è un genere di narrativa popolare di successo nato verso la metà del XIX secolo e sviluppatosi nel Novecento. Dalla letteratura il giallo si è esteso agli altri mass media, prima alla radio e al cinema, poi ai fumetti e alla televisione.

Miss Marple e i tredici problemi Christie Agatha

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«Misteri non risolti.» Raymond West fece uscire dalle labbra una nuvola di fumo e ripeté quelle parole con una sorta di compiacimento ponderato e consapevole. «Misteri non risolti.» Si guardò attorno con espressione soddisfatta. La stanza era antiquata, con larghi travi neri che attraversavano il soffitto, ed era arredata con bei vecchi mobili che le si confacevano. Era questa la ragione dell’occhiata di approvazione di Raymond West. Faceva lo scrittore di professione e gli piaceva che l’atmosfera fosse perfetta. La casa di zia Jane gli era sempre apparsa come l’ambiente adatto alla sua personalità. Guardò in direzione del caminetto dove lei sedeva eretta nella grande e vecchia poltrona. Miss Marple portava un abito di broccato nero molto attillato alla vita. Lungo il corpetto scendeva una cascata di pizzo di Mechlin. Sulle mani aveva mezzi guanti di pizzo nero e una cuffietta di pizzo nero era posata sulla massa raccolta di capelli candidi come neve. Stava lavorando a maglia... qualcosa di bianco, di soffice e di lanuginoso. Gli sbiaditi occhi azzurri, benevoli e gentili, osservavano con sereno compiacimento il nipote e gli ospiti di quest’ultimo. Si posarono prima sullo stesso Raymond, con la sua maniera- ta disinvoltura, quindi su Joyce Lemprière l’artista dalla nera testina di ca- pelli corti e dagli strani occhi color nocciola, poi su quel raffinato uomo di mondo che era Sir Henry Clithering. Nella stanza c’erano altre due perso- ne, il dottor Pender, l’anziano pastore della parrocchia e il signor Petherick, l’avvocato, un ometto rinsecchito che guardava al di sopra degli occhiali e non attraverso le lenti. Miss Marple concesse un breve attimo di attenzione a

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tutte quelle persone, quindi riprese a lavorare a maglia con un dolce sor- riso sulle labbra. Il signor Petherick diede il secco colpetto di tosse col quale di solito ini- ziava le sue osservazioni. «Che cosa avete detto, Raymond? Misteri non risolti? Ah... e cioè?» «Niente» disse Joyce Lemprière. «È solo che a Raymond piace il suono delle parole e gli piace ascoltarsi mentre le dice.» Raymond West le lanciò un’occhiata di rimprovero, al che lei rovesciò all’indietro il capo e rise. «È un impostore, vero, Miss Marple?» domandò. «Sono certa che lo sa- pete.» Miss Marple fece un sorriso dolce ma non le rispose. «La vita di per sé è un mistero non risolto» disse con serietà il religioso. Raymond si eresse sulla poltrona e gettò via la sigaretta con un gesto impulsivo. «Non era questo che intendevo. Non sto parlando di filosofia. Stavo pensando semplicemente a nudi fatti prosaici, cose che sono accadute e che nessuno ha saputo spiegare.» «So esattamente a che cosa ti riferisci, caro» replicò Miss Marple. «Per esempio, la signora Carruthers ieri mattina ha avuto una stranissima espe- rienza. Ha comperato da Elliot’s due etti di gamberetti sgusciati. È entrata in altri due negozi e quando è arrivata a casa si è resa conto di non averli con sé. È tornata nei due negozi in cui era entrata ma i gamberetti erano assolutamente spariti. Ora questo a me sembra molto singolare.» «Una storia molto ingolare davvero» commentò con serietà sin Henry Clithering. «Vi sono, ovviamente, ogni sorta di spiegazioni possibili» continuò Miss Marple, mentre le guance si accendevano un po’ per l’eccitazione. «Per e- sempio, qualcun altro...»

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Maigret e l’ispettore sfortunato, George Simenon

Maigret sta facendo compagnia a Lucas, di turno presso i centralini del Police Secours, quando giunge una strana chiamata : ‘Poliziotti, andate a ...’. Immediatamente dopo l’insulto si ode uno sparo. Nei pressi della stazione del Police Secours dalla quale è stata fatta la chiamata, viene poi ritrovato il cadavere di un uomo.

L’indagine ricade nella giurisdizione dell’ispettore Lognon, soprannominato dai colleghi ‘muro del pianto’ per la sua sfortuna con la moglie e perchè non è mai in buona salute. Fra il raffreddore e il mal di denti, Lognon ha appurato l’identità del morto grazie ai documenti che aveva addosso. Si tratta di Michel Golfinger, ‘mediatore di diamanti’ di professione. La sua morte è stata istantanea, in seguito ad un colpo d’arma da fuoco sparato a bruciapelo nell’orecchio destro. Tutto lascia supporre che si tratti di suicidio.

Ciò che più incuriosisce Maigret è che un episodio del tutto analogo era accaduto a Parigi sei mesi prima: Stein il polacco aveva chiamato il Police Secours, lanciato ingiurie e poi commesso il suicidio. Ma nessun giornale aveva parlato di quell’episodio. Ed è assolutamente improbabile che si tratti di una coincidenza. Questa volta Maigret non è convinto dall’ipotesi del suicidio, e sebbene il caso non lo riguardi direttamente, comincia ad indagare... A casa di Golfinger, Maigret e Lognon trovano sua moglie e la sorella di lei. Apprendono che l’uomo aveva un appuntamento in un caffè lì vicino, e scoprono che la sua rivoltella non è nel comodino dove è sempre riposta. Alla notizia della sua morte, sembra disperarsi più la sorella che la moglie stessa...

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I Colori della Letteratura Romanzo Noir

XY, Sandro Veronesi

Il noir o romanzo nero (noir fiction in inglese, roman noir o polar in francese) è, in letteratura, un sottogenere del giallo, apparso negli Stati Uniti nella prima metà del 1800 per opera di scrittori come Edgar Allan Poe.

“ L’ h o detto ai carabinieri, l’ho detto al Procuratore, l’ho detto a tutti quelli che mi hanno chiesto “cosa avete visto?”: l’albero, abbiamo visto, l’albero ghiacciato. È stata la prima cosa che abbiamo visto, appena arrivati al bosco - e anche dopo, quando abbiamo visto il resto, è rimasto l’unica cosa intera che abbiamo visto. Lalbero. Era al suo posto, all’imboccatura del bosco, cristallizzato come sempre nel suo cappotto di ghiaccio, la cui trasparenza era offuscata dalla neve fresca - ma era rosso. Era rosso, sì, come se Beppe Formento, nell’atto di ghiacciarlo, avesse messo dello sciroppo di amarena nel cannone. In quel bianco fatale era l’unica cosa che mantenesse una forma, e sembrava

- non esagero - acceso, pulsante di quell’intima luce aurorale che ancora oggi mi ritrovo a sognare. Sogno quella trasparenza rossa, sì, ancora oggi, e la sogno senza più l’albero, ormai, senza nemmeno più la forma dell’ albero: sogno quel colore e nient’altro. Un tramonto imprigionato in un cielo di gelatina, un sipario di quarzo rosso che cala sul mio sonno, un’immensa caramella Charms che si mangia il mondo, ho continuato a sognare quella trasparenza rossa e continuo a farlo, perché è ciò che abbiamo visto, quando siamo arrivati al bosco. Cosa bero

avete visto? Abbiamo ghiacciato intriso di

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visto l’alsangue. “

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Dopo la prima Morte, Patrizia Pesaresi

Stava correndo. La sensazione era questa, almeno, anche se (era un sogno, dopotutto) ogni tanto gli sembrava di scivolare, quasi orizzontale, a mezzo metro da terra. E allora stava volando, forse. Si domandava dove fosse finita la sua moto, ma non era a cavalcioni della sua moto. La Brough non era là, di questo era certo. Poi – forse – un suono all’esterno della casa, come un pigolio, o qualcosa di più deciso, che sembra un gemito, lo spinge fuori dal sogno (sa che sta sognando), e poi, di nuovo, qualcosa all’interno del sogno stesso lo tira a se, dall’altra parte. E adesso è sdraiato sul tappeto cinese del cottage dell’antropologa, quella strana donna sicura e triste che in certi momenti sembra un personaggio uscito da Cat People, non del tutto umana, comunque, e lui è lì guarda il soffitto rosso e nero. Quand’era in piedi gli sembrava solo un intrico d’assi, ma da questa posizione inusitata e imbarazzante (dopotutto è un ospite, no? Queste cose non si dovrebbero fare) s’accorge che è come se

fosse sospeso sopra una grande ragnatela, le travi rosse sono i fili, e dietro ci sono solo tenebre. Qualcuno molto vicino al suo orecchio sussurra qualcosa, una voce carezzevole, bassa, una voce maschile, che lui sa provenire dalla mensola del caminetto, alle sue spalle, oltre le coppe e le ciotole piene di offerte votive, semi, fiori, e terra rossa, un argine, forse, per placare ciò che si annida dall’altra parte. Alla sensazione di molle abbandono del primo istante, gradevole in fondo, come un dito che percorre leggero il contorno del suo orecchio, il dito di un bambino forse, si sostituisce la percezione di un errore, ecco, quel dito non può essere lì, e la voce non può essere così vicina, come se la bocca che bisbiglia fosse proprio all’altezza del pavimento, incollata alla sua tempia destra. Quel controsenso così banale – così onirico, in fondo, e lui “sa” che sta sognan- do – lo riempie di incontrollabile terrore, e s a l t a su con un grido, il cuore in gola e il pigiama inzuppato di sudore gelido.

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Il movimento non è solo azione visibile. Tutto scorre, “panta rei”, tutto è movimento, niente è fermo, tutto ci sfugge, la realtà è maledettamente ineffabile. Il lento respirare, lo sbattere di un occhio, il mare che avanza e si ritrae, chissà quante persone compongono il brulicare di una città mentre io sono nel silenzio della mia stanza, ferma, immobile, con la mente intenta a viaggiare. Niente si mantiene costante nel tempo neanche un’emozione, parole apparentemente immobili, ferme sulla carta suscitano smisurate emozioni, procurano piaceri o dispiaceri, invocano ricordi.


Movimento Movimento


Sinonimi Dinamismo, ritmo, confusione, gesti correnti.

Rinnovare: fenomeni che si ripetono nel tempo, senza distinsione e senza ordine, espressioni dello stato d’animo che scorrono fluidi.

Modi di dire Andando a tutto gas la bombola scoppiò Andavo a quattro ruote motrici, mi sembrava di essere jeep

In un batter d’occhio, si accorse di avere le ali

Veloce come un fulmine scoppiò il temporale Veloce come la luce si accese un’idea

Aveva l’argento vivo addosso, si accorse di essere anello

Veloce come una lepre finì direttamente in pentola Correva a rotta di collo, e si staccò la testa

Sinonimi, Modi Di Dire

Bruciava d’impazienza, quando s’incendiò

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Onomatopee

Onomatopee

Bam, crashh, crashh, brooommm, brooommm, saettante un sussulto punf, punf, panf, panf respiro affannoso il cuore spirò stttttt ssttttt nel silenzio

Termini evocativi di movimento Impeto vorticoso si mosse nella tempestosa onda del tempo

Passeggiavo rapidamente all’improvviso rumore, ritmo incalzante iniziarono frenetiche danze

Un palpito caldo e febbrile s’infiamma, accellera: l’incendio è in atto.


Onda

Andamento Sinonimi: andatura, movimento, binario, corso, decorso, dinamica, flusso, piega, procedimento, routine, svolgimento, tenore, timbro, tran tran, portamento, andazzo, contegno, direzione, evoluzione, processo, sviluppo, tendenza, stile, tono, moto || Vedi anche: abitudine, cammino, consuetudine, maniera, metodo, strada, via, corrente, inclinazione, indirizzo, orientamento, quotidianità, regime, iter, comportamento, modo, intonazione, sapore, taglio, monotonia, noia, quotidianeità, atteggiamento, passo, tratto, costume, registro, comando, governo, lato, senso, verso, progresso, giudizio, meccanismo, aumento, conseguenza, seguito, esercizio, colore, ingegno, istinto, umore, angolo, carattere, genere, gusto, tocco, clima, metro, suono Azioni Camminare, procedere, svolgere, tendere

Sinonimi: andazzo, fiotto, flutto, marea, moto, arricciatura, increspatura, alternanza, frequenza, ondulazione, voga, slancio, flusso, ondata, massa, impeto, vortice, cavallone, frangente, maroso, ondosità, piena, oscillazione, vibrazione, raggio || Vedi anche: abitudine, maniera, metodo, moda, piega, sistema, tendenza, usanza, uso, fiumana, fiume, attualità, auge, cresta dell'onda, ala, passione, spinta, circolazione, corrente, via, epidemia, folla, foresta, mandria, mole, piazza, pila, quantità, schiera, truppa, valanga, forza, furia, potenza, rabbia, rovina, ventata, violenza, giostra, spirale, situazione, ondata, cavallone, fiotto, frangente, frotta, profusione, epidemia, onda, maroso, procella, fiumana, fiume, marea, marosi pl, esercito, folla, moltitudine, schiera, torma, turba, diluvio, montagna, monte, mucchio, pioggia, sacco, fracco ondate, dondolio, flusso, fluttuazione, dondolamento, oscillazione, agitazione, beccheggio, oscillamento, rollio, Azione ondeggiare, ballonzolare, barcollare, beccheggiare, fluttuare, pencolare, penzolare, oscillare, traballare, tremare, tremolare, sventolare || Vedi anche: saltellare, sobbalzare, sussultare, vacillare, dondolare, esser mosso da, mareggiare, altalenare, saltare, scuotersi, vibrare, ondeggiare Persone traballante, tremante, tremulo, ballerino, barcollante, oscillante, tremolante, vacillante, dondolante, instabile, pencolante, sussultante, ineguale, intermittente v.intr.

Fluire Sinonimi: affluire, andare, correre, defluire, colare, percorrere, passare, scorrere, uscire, venir fuori, ricadere, circolare, sfogare, consumarsi, fuggire, trascorrere, volare, scendere, andare avanti, procedere, incorniciare, sciogliersi, spandersi, fiottare, scaturire, zampillare, colare, passare, scorrere, sgorgare, trascorrere, gocciare, sgocciolare, stillare, consumarsi, decorrere, esaurirsi, intercorrere, sondarsi, defluire, andare, erompere, prorompere, rovesciarsi, scaturire, schizzare, zampillare, avanzare

Termini Evocativi Di Movimento 176


Impeto Ardore, energia, foga, forza, furia, furore, impetuositĂ , calore, fervore, aggressione, assalto, intensitĂ , slancio, sprint, trasporto, violenza, vortice, zelo, impulso, accesso, entusiasmo, sfogo, fuoco, moto, esplosione, irruenza, veemenza, pulsione, sbotto, scatto, concitazione, enfasi, vigore, accaloramento, frenesia, potenza, virulenza, accanimento, passione, ripresa, tumulto, turbinio, amore, caldo, incendio, animo, braccio, nervo, polso, urlo, appetito, bisogno, istinto, motore, scoppio, sentimento, stimolo, attacco, urto, ingresso, insulto, passaggio, sole, tepore, cuore, delirio, raggio, cammino, corso, movimento, colpo, sparo, senso, strappo, ardente, dirotto, torrenziale, travolgente, turbinoso, turbolento, veemente, vertiginoso, vorticoso, furioso, aspro, caldo, nero, atomico, cieco, automatico, meccanico, troppo, leggero, Azioni Irrompere, travolgere, abbattere, investire, rovesciare Persone Dirompente, eccitabile, focoso, forte, frenetico, furibondo, accalorato, appassionato, aggressivo, violento, inarrestabile, irruente, precipitoso, prorompente, sferzante, sparato, tempestoso, metodico, ordinato, frigido, disfatto, enervato, esausto, fiaccato, fiacco, inerte, molle, moscio, sfinito, spossato, stremato, svigorito, ammosciato, spompato, debole, disinteressato, istintivo, rabbioso, irrompente, incontenibile, tumultuoso, concitato, infervorato, esuberante, impulsivo, irriflessivo, sanguigno, impetuoso, veemente, vigoroso, impetuoso, indiavolato convulso, febbrile, forsennato, frenetico, scalmanato, trascinante, travolgente, vertiginoso, vorticoso, passionale, esplosivo, energico, intenso, forsennato, incontrastabile, irrefrenabile, trascinante, virulento, convulso, febbrile, insopprimibile, irresistibile, ossessivo, fortissimo, incontrollabile, ingovernabile, ruggente, potente, deciso, fulmineo, rapidissimo, velocissimo, burrascoso, fortunoso, temporalesco, agitato, caotico, acceso, caloroso, violentissimo, irruento, acuto, atroce, barbaro, brusco, cattivo, feroce, pericoloso, prepotente, naturale, secco, selvaggio, vivo, inconsapevole, incosciente

177 Termini

Evocativi Di Movimento

Caos Sinonimi: animazione, babele, babilonia, baillamme, bolgia, cagnara, baraonda, confusione, casotto, disordine, disorganizzazione, garbuglio, guazzabuglio, manicomio, pandemonio, parapiglia, pasticcio, scompiglio, soqquadro, trambusto, turbinio, casino, rivoluzione, subbuglio, macello, giostra, mercato || Vedi anche: movimento, traffico, quarantotto, bailamme, inferno, baccano, chiasso, frastuono, rumore, caciara, farragine, groviglio, intrigo, marasma, miscuglio, viluppo, sarabanda, bordello, agitazione, tumulto, gazzarra, putiferio, pastrocchio, pastrugno, sconvolgimento, diavolio, fermento, finimondo, rimescolio, scombussolamento, tramenio, tramestio, turbine, ammasso, disastro, guaio, lavoro, oceano, pollaio, imbarazzo, sbaglio, misto, giro, progresso, terremoto, strazio Azioni Disordinare, disorganizzare, sconvolgere, sovvertire, turbare Persone Caotico, disordinato, disorganizzato


La tensione dolorante fra la morte e l’infinito è la sostanza della poesia, plasma la mente dolente e desiderante dell’essere umano, la cui corteccia cerebrale (scherzo di natura, logica evolutiva, improbabile provvidenza, caso, o cos’altro?) si è sviluppata un po’ troppo rispetto a quanto bastava ai bisogni elementari della sopravvivenza e della propagazione della specie, e si è dunque condannata a "pensare" ed a "volere", ossia prefigurare, il reale diverso da come esso è. La tensione poetica è scaturita da una sorta di sospensione, di strana attesa, dove tutto potrebbe avvenire o dove tutto potrebbe essere già avvenuto. Questa nasce dalle cose apparentemente immobili e immote, dalle distanze, questo accade perchè le cose si fonono in una comunione spirituale profonda con il mondo e il poeta. Così questa tensione, questo porsi difronte alla natura e alle cose come fossero viste per la prima o per l’ultima volta ,fanno del poeta un sensibile e delicato narratore, la cui grandezza viene disvelata a sua insaputa.


Tensione Tensione


Acrostici

M E L A N C O N I A

elodica co ontana ndava oiosa ercando ra essuno ncontrava ancora

Acrostici

180

T E N S I O N E

entai

D R U D O

entro icordi n ominante mo

on ubito deai lografie uove ccellenti


Acrostici

181

T E N S I O N E

ensione ‘ ata ull’ dillio ssessivo ell’ ternità

T U R B A

utto rlava abbia asta more

A N S I O S O

ncora otai ilenziose roniche cchiate ulle ssa


Sinonimi Persone Azioni

Inquietudine Inquietudine Inquietudine Inquietudine Inquietudine Inquietudine Inquietudine

Ansia Insofferente Turba Irrequiete Smanie Nervose

Modi di dire

Era una testa calda, quel giorno aveva la luna torta., Si era alzato con il piede sbagliato, probabilmente si era alzato con il piede sinistro aveva i nervi a fior di pelle rispondeva per le rime a tutti i suoi colleghi. ah, ma questa volta aveva trovato pane per i suoi denti, gli resero, pan per focaccia!!

Sinonimi, Modi Di Dire

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Vana preoccupazione guida atti avventati verso il caos interiore, Distratto dalle brame S’irritava irruentemente


Termini evocativi di tensione 183

Termini evocativi di tensione

Termini Evocativi Di Tensione

spina amara nna conda i n passio ferite

febbre inquieta provoca istinti ossessivi

ira tempestosa oppressa vendica violentemente

livida tta vende a provoc e istintiv i ion seduz


Fermento Sinonimi: ebollizione, enzima, lievito, rinnovamento, risveglio, fervore, lavorio, maretta, trambusto, tumulto, ventata, vita, elettricità || Vedi anche: agitazione, animazione, eccitazione, esaltazione, vivacità, subbuglio, traffico, tensione, caos, confusione, diavolio, disordine, finimondo, gazzarra, parapiglia, putiferio, scompiglio, manifestazione, scoppio

Timore

Azione lievitare, ristagnare, bollire || Vedi anche: aumentare, crescere, gonfiarsi, muoversi, ribollire

Inquietudine

Persone elettrico, agitato, animato, esaltato, vivace, confuso, scoppiato, vitale, eccitto, teso, disordinato

Sinonimi: ansia, apprensione, ansietà, nervosismo, magone, malessere, nube, pena, smania, tremore, trepidazione, agitazione, angoscia, dubbio, malcontento || Vedi anche: preoccupazione, abbattimento, depressione, dispiacere, malinconia, mestizia, nostalgia, rimpianto, tristezza, disagio, insoddisfazione, scontentezza, cruccio, perplessità, turbamento, affanno, afflizione, angustia, croce, dolore, patema, sofferenza, struggimento, tormento, impazienza, batticuore, palpitazione, paura, timore, tremarella, irrequietezza

Livore accanimento, acredine, animosità, astio, bile, gelosia, acrimonia, odio, invidia, tensione, rancore || Vedi anche: malanimo, malevolenza, ostilità, antipatia, avversione, collera, fiele, rabbia, stizza, inimicizia,

Azioni arrabbiarsi, dannare || Vedi anche: adombrarsi, aversene a male, impennarsi, impermalirsi, inalberarsi, indispettirsi, irritarsi, piccarsi, risentirsi, spazientirsi, stizzirsi, prender cappello, prendersela, scocciarsi, seccarsi, seccare || Vedi anche: adombrarsi, inalberarsi, infastidirsi, irritarsi, piccarsi, prendersela, scocciarsi, spazientirsi, rompersi, scazzarsi, scoglionarsi

Persone astioso, cattivo, fegatoso, geloso, bilioso, rancoroso, vendicativo, acido, ostile || Vedi anche: invidioso, malevolo, acrimonioso, rabbioso Sinonimi: bilioso || Vedi anche: acido, acre, collerico, fegatoso, rabbioso, stizzoso

Persone ansioso, oppressivo, angosciato, scontento, tormentato, impaziente, pauroso, nervoso, smanioso, trepidante, dubbioso, triste, angustiato, scontento, afflitto, insoddisfatto, turbato.

Termini Evocativi Di Tensione

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Termini Evocativi Di Tensione

Timore

Ossessione

Sinonimi: dubbio, fifa, fobia, impaccio, incertezza, ombra, orrore, pudore, sgomento, sospetto, tema, terrore, paura, esitazione, deferenza, ossequio, tremarella, tremore, vergogna, agitazione, ansia, preoccupazione, allarme, riverenza, indecisione, perplessitĂ , titubanza, soggezione, turbamento, rispetto, riguardo, trepidazione, batticuore, smarrimento || Vedi anche: palpitazione, panico, spavento, sbirola, spaghetto, spigola, strizza, trancia, angoscia, fissazione, incubo, ossessione, goffaggine, timidezza, preoccupazoine, ritegno, ritrosia, idea, impressione, intuizione, presentimento, sentore, tarlo, pulce nell'orecchio, apprensione, tremito, cagarella, cagotto, spago, inquietudine, disagio, imbarazzo, complesso, pensiero, colpo, carico, chiodo, dolore, fastidio, peso, tormento, complimento, omaggio, saluto, forse, ritardo, nodo, perchĂŠ, scandalo, tatto

Sinonimi: assillo, fobia, follia, incubo, mania, fissazione, pensiero, preoccupazione, tormento, angoscia, baco, chiodo, idea fissa, prepotenza, pallino, invasamento demoniaco, possessione, coazione, paranoia, psicosi, idea coatta, idea ossessiva, tarlo, tormentone || Vedi anche: rovello, ansia, paura, terrore, timore, frenesia, morbositĂ , smania, abitudine, malattia, croce, cura, grana, nuvola, pena, spina, tensione, disperazione, ferita, passione, sofferenza, tortura, morte, oppressione, stretta, caviglia, fantasma, stoffa, tendenza, pazzia

Persone Sinonimi: dubbioso, pauroso, sommesso, spaurito, timido, ansioso, apprensivo, intimidito, intimorito, diffidente, sospettoso, esitante, trepidante, umile || Vedi anche: incerto, indeciso, trepido, piccolo, sgomentato, sgomento, spaventato, terrorizzato, tremante, in soggezione, tremebondo, mansueto, ossequioso, passivo, remissivo, servile, sottomesso remissivo || Vedi anche: pauroso, pavido Contrari: prode || V. anche animoso, ardimentoso, audace, coraggioso, gagliardo, impavido, indomito, intrepido Azioni preoccuparsi, allarmarsi, smarirsi, turbarsi, angosciarsi, impressionarsi, intuire, tremare, palpitare, ossequiare, vergognarsi.

Azioni assillare, martellare, opprimere || Vedi anche: insistere, tempestare Sinonimi: forsennato || Vedi anche: agitato, delirante, esagitato, febbrile, folle, frenetico, furioso, indemoniato, indiavolato, scalmanato, smanioso agg. frenetico, maniacale, prepotente, pressante, fanatico, morboso || Vedi anche: convulso, febbrile, forsennato, furibondo, furioso, impetuoso, inarrestabile, insopprimibile, irrefrenabile, irresistibile, trascinante, vorticoso, ossessionante, persecutorio, forte, impellente, incalzante, incontenibile, insistente, intenso, travolgente, urgente, violento, importante, inderogabile agg.folle, invasato, indemoniato, agitato, esagitato, posseduto, spiritato || Vedi anche: assatanato Contrari: calmo, composto ossesso (2) sost.pazzo || Vedi anche: agitato, furioso, invasato, sciamanato


L’espressione, in tutte le sue sfumature, ci accompagna sin dall’alba dell’umanità. Espressione intesa come arte, terapia. Mente e scena. Pensieri in azione. Movimenti individuali e gesti collettivi. Un viaggio nella percezione. L’espressione è ciò che, ci aiuta a relazionarci con il mondo esterno/gli altri, di cui noi purtroppo o per fortuna, abbiamo estremamente bisogno. L’espressione è sfogo di un mondo interiore, una catarsi sensoriale. Non è importante la forma con cui esterniamo i nostri deliri, l’importante è esteriorizzare per sopravvivere ai silenti urli dell’anima, per trovare un riscontro. L’esprimersi è diretto ed immediato, una lacrima, un sorriso... Un panorama della psicotecnica, ovvero della psicologia come teatro, per diventare ciò che si è attraverso l’azione.


Espressione Espressione


Acronimo

nome formato unendo le lettere o sillabe iniziali di altre parole

SIP SocietĂ Italiana Poste e Telecomunicazioni BNL Banca Nazionale Lavoro MPS Monte Paschi Siena INPS - Istituto Nazionale Previdenza Sociale RAI - Radio Audizioni Italiana ACI - Automobil Club Italiano IVA - Imposta Valore Aggiunto FIAT - Fabbrica Italiana Automobili Torino TAC - Tomografia Assiale Computerizzata

INPS - Istituzione naturale protetta strozzini CNL - Consorzio Nati Lontano RAI - Ragazzi Apatici Inconcludenti SIP - Signore Italiane Pensionate ACI - Associazione Aceto Italiano IVA - Italiane Vedove Azzardose FIAT - Fidanzati Interdetti Amati troppo FFSS - Federazione Fidanzate Senza Scopo TAC - Teste Attaccate Collo TAC - Terribili Associazioni Canine CONI - Confederazione onirica nata ieri

Acronimo

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Fatrasie

Fatrasie

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Sedevo su una fontana con sopra una persiana una lucertola correva, e sputava perle di fuoco mentre pensavo alla vita la lucertola ed un uomo ebbro ridevano rumorosi. Una risata mediocre, vuota, acre.

la collina bacia il gigante il ventilatore galleggia nel mare le viole crescono la televisione parla troppo, malati patologici, l’amore è un letto di fiume, un giro di routines, e tutti, divorati a meno dalla consapevolezza aspettiamo Godot.

Prodotto sociale Mangiava il dolore in pillole con le sue espressioni plastificate. Il vuoto è in vendita Torneremo a scorrere malati patologici, vita inodore, senza volto. scheletri parlanti, facciamo finta di respirare.


Metaforemutanti Campari Red Passion Argenteo Ice Passion

Tim vivere senza confini Tam vivere con il tamburo

Camminate anche voi in una valle verde Riposate anche voi in letti bianchi “Con Nelsen piatti li vuol lavare lui” Con Artur non li lava più Dove c’è Barilla c’è casa Dove c’è scintilla c’è barbecue Un diamante è per sempre Uno zircone è per una settimana

Levi’s i pantaloni che vivono Elvis le chitarre che suonano

Metafore Mutanti

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Metafore Mutanti

Chicco dove c’è un bambino Uva dove c’ è la vigna

Conto arancio zero spese Conto banana sei alla frutta

Se c’è la goccia è GIM Se c’è il verso c’è la poesia “Peperlizia il contorno che ti vizia” Melanzana il contorno che ti sana “Omega l’orologio economico di tutti” 1935 “Omega la vitamina di ognuno” Voglio la caramella che mi piace tanto che fa du du du du dufour Voglio il cioccolatino che si mangia ogni mattino che fa ciò co ciò ciò ciocolat

Le stelle sono tante milioni di milioni, negroni vuol dire qualità Le idee sono tante, milioni di milioni, attento ai neuroni: il cervello guarirà.


Acronimo

nome formato unendo le lettere o sillabe iniziali di altre parole

è solo una presa di coscienza di non essere soli. Mero concetto che dipende . In ogni caso è importante per evitare . Guardare dentro se stessi e trovare per giocare e non arrendersi. Il dolore L’amore

della necessitĂ del bisogno

oggettivo soggettivo

dal modo in cui vediamo la vita dalle situazioni particolari

dare alle cose il giusto peso prendere la vita con leggerezza

situazioni spiacevoli di stare male

per scoprire mondi inesplorati per capire i propri limiti

castelli di ferro la forza

Fatrasie

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Fatrasie

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Non più giallo non più rosso non più nero non più blu non più matite non più pennelli non più fogli non più gessi non più pittori non più scultori non più colori

Pare esistono davvero il caos, il casino, il disordine, la confusione, la baraonda, il garbuglio, il pasticcio, poi d’improvviso passa la mamma e in un batter di ciglio il mondo è ordinato.

Il dadà Dada non significa nulla, si dice sia solo un suono. Quello prodotto dai bambini appena iniziano a parlare e vogliono chiederti qualcosa: da dada da da dada Dadà è la moglie di dodò. Quando ero piccolo giocavo spesso con il mio cavallo a dondolo. Nel suo lento oscillare esclamava un ritmo incalzante: da-da, da-da, da-da, da-da, da-da, da-da, Dududu dadada, dududu dadada il verso di una canzone, il nascere di un’emozione. Da Da Da Cosa puo SI e Cosa non ti Quello che fai e quello del Che non SI Cosa puo SI SI E SI Cosa non si puo Questo indirizzo e cio Che Sapere e necessario: Più moderato e piaciuto anche se non ha Io ti amo, tu non mi ami io non ti amo, ti amo non mi ama io non lo fai, mi ama non amore io non lo fai, non mi ami da da da da da da da da da da da da da da da io non ti amo, non ti da da da, io non ti amo, tu non mi ami da da da io non ti amo, tu non mi ami da da da io non ti amo, ti amo non amarmi da da da da da da da da

da da da da (Sottovoce) Io non ti amo, tu non mi ami, aha, io non ti amo, tu non mi ami, aha io ti amo, tu non mi ami aha io ti amo, non mi Piace Così perche scappato, aha Capire Che Sguardo non poteva, aha Wonder AVEVA colomba Oggi, Tutto era Detto aha DOPO stato Fatto e Giusto per te a correre! Io non ti amo, tu non mi ami, aha io ti amo, tu non mi ami, ah io non ti amo, tu non mi ami, aha io ti amo, tu non mi ami da da da da da da da da da da da da da da da io non ti amo, tu non mi ami da da da io non ti amo, tu non mi ami da da da io non ti amo, tu non mi ami da da da io non ti amo, tu mi ami non mi ama da da da da da da da da da

Il Dada è dissacrante, antiborghese, dadà è l’ironia, il parasosso (dadadosso), trasformazione, è irriverente



Le parole definiscono il mondo. Se non ci fossero le parole, non avremmo la possibilita’ di parlare di niente. Ma il mondo gira e le parole stanno ferme. Le parole si logorano, invecchiano, perdono di senso, e tutti noi continuiamo ad usarle senza accorgerci di parlare di niente. Giorgio Gaber




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