Giroinfoto magazine 78

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www.giroinfoto.comEditoriale.StudiosGienneciAPRILE2022-78N. Photo cover by Isabella Cataletto N.78 - APRILE 2022 www.giroinfoto.com PARCO DELLA BESSA BIELLA Band of Giroinfoto ALTOPASCIO TOSCANA Band of Giroinfoto VILLA DELLA REGINA TORINO Band of Giroinfoto Band of Giroinfoto CHIGNOLO PO

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tutto, e grazie all'impegno di tutti i nostri collaboratori, il progetto Giroinfoto.com non si arresta, anzi, combatte con tutte le proprie forze per pubblicare articoli utili alla valorizzazione dei territori bisognosi di visibilità.

LA REDAZIONE | GIROINFOTO MAGAZINE Benvenuti

Le difficoltà degli ultimi due anni relative alla pessima gestione sociopolitica sono cresciute, intralciando il libero sfogo editoriale limitando le prerogative della rivista nello sviluppo culturale e turistico in aiuto dei Nonostanteterritori.

Director of Giroinfoto.com Giancarlo Nitti nel mondo di Giroinfoto magazine© Giroinfoto

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Novembre 2015, da un lungo e vasto background professionale del fondatore, nasce l’idea di un progetto editoriale aggregativo, dove chiunque appassionato di fotografia e viaggi può esprimersi, condividendo le proprie esperienze con un pubblico interessato all’outdoor, alla cultura e alle curiosità che svelano le infinite locations del nostro pianeta. È così che Giroinfoto magazine© diventa una finestra sul mondo da un punto di vista privilegiato, quello fotografico, con cui ammirare e lasciarsi coinvolgere dalle bellezze del mondo e dalle esperienze offerte dai nostri Reporters professionisti e amatori del photo-reportage. Una lettura attuale ed innovativa, che svela i luoghi più interessanti e curiosi, gli itinerari più originali, le recensioni più vere e i viaggi più autentici, con l’obiettivo di essere un punto di riferimento per la promozione della cultura fotografica in viaggio e la valorizzazione del territorio. Uno strumento per diffondere e divulgare linguaggi, contrasti e visioni in chiave professionale o amatoriale, in una rassegna che guarda il mondo con occhi artistici e creativi, attraversando una varietà di soggetti, luoghi e situazioni, andando oltre a quella “fotografia” a cui ormai tutti ci siamo fossilizzati. Un largo spazio di sfogo, per chi ama fotografare e viaggiare, dove è possibile pubblicare le proprie esperienze di viaggio raccontate da fotografie e informazioni utili. Una raccolta di molteplici idee, uscite fotografiche e progetti di viaggio a cui partecipare con il puro spirito di aggregazione e condivisione, alimentando ancora quella che è oggi la più grande community di fotonauti Oggi Ed ecco entrati nel sesto anno di redazione di Giroinfoto Magazine.

In questo periodo storico, dove tutto è ormai convertito al mondo digitale, risulta talvolta anacronistico volersi concentrare su un progetto cartaceo, sia per motivi di convenienza economica che di divulgazione. Da qui la decisione di mantenere il magazine con un format "tradizionale" per il mantenimento della qualità comunicativa, evolvendolo alla digitalizzazione favorendo la fruizione. In ultimo, vorrei ringraziare anche tutti i nostri lettori che crescono continuamente sostenendo il progetto Giroinfoto.

Giroifoto è Editoria Ogni mese un numero on-line con le storie più incredibili raccontate dal nostro pianeta e dai nostri reporters. Giroifoto è Attività Con Band of Giroinfoto, centinaia di reporters uniti dalla passione per la fotografia e il viaggio. www.giroinfoto.com Giroifoto è Promozione Sviluppiamo le realtà turistiche promuovendo il territorio, gli eventi e i prodotti legati ad esso. LEGGILA GRATUITAMENTE ON-LINE on-line11/2015dal

DIRETTORE RESPONSABILE ART DIRECTOR Giancarlo Nitti CAPO REDATTORE Mariangela Boni RESPONSABILI DELLE ATTIVITÀ Barbara Lamboley (Resp. generale) Adriana Oberto (Resp. gruppi) Barbara Tonin (Regione Piemonte) Monica Gotta (Regione Liguria) Manuel Monaco (Regione Lombardia) Gianmarco Marchesini (Regione Lazio) Isabella Bello (Regione Puglia) Rita Russo (Regione Sicilia) Giacomo Bertini (Regione Toscana) Bruno Pepoli (Regione Emilia Romagna) COORDINAMENTO DI REDAZIONE Maddalena Bitelli Remo RegioneGiacomoRegioneRitaRegioneLauraRegioneSilviaRegioneStefanoRegioneTurelloPiemonteZecLiguriaScaramellaLombardiaRossiniLazioRussoSiciliaBertiniToscana LAYOUT E GRAFICHE Gienneci Studios PER LA PUBBLICITÀ: Gienneci hello@giroinfoto.comStudios, DISTRIBUZIONE: Gratuita, su pubblicazione web on-line di Giroinfoto.com e link collegati. CONTATTI email: autorizzazioneindivietotemagienneci.it)diintellettualetestiTuttedaQuestahello@giroinfoto.comwww.giroinfoto.comInformazioniredazione@giroinfoto.comsuGiroinfoto.com:pubblicazioneèideataerealizzataGienneciStudiosEditoriale.lefotografie,informazioni,concetti,elegrafichesonodiproprietàdellaGienneciStudios©ochineèfornitorediretto(infosuwww.esonotutelatidallaleggeindicopyright.Dituttiicontenutièfattoriprodurliomodificarlianchesolopartesenondaespressaecomprovatadeltitolaredeidiritti. @Ig_piemonte,InstagramPARTNERS UrbexSKIRA@cookin_italia@Ig_lombardia_,@Ig_valledaosta,@Ig_veneto,@Ig_liguria_EditoreTeamOldItaly giroinfotogiroinfotogiroinfoto@giroinfotowww.giroinfoto.com@giroinfoto.commagazineTV facebook Official YoutubeIssuuPinterestInstagramsiteANNO VIII n. 78 20 Aprile 2022 LA RIVISTA DEI FOTONAUTI Progetto editoriale indipendente LA REDAZIONE | GIROINFOTO MAGAZINE Giroinfoto Magazine nr. 78 5

INDEX CONTENTS78 GIROINFOTO MAGAZINE REPORTAGE REPORTAGEREPORTAGEREPORTAGE CHIGNOLO PO MONET VILLA DELLA REGINA PARCO DELLA BESSA 10 52 38 22 CHIGNOLO PO Il complesso Monumentale Band of Giroinfoto GenovaMONET Band of Giroinfoto PARCO DELLA BESSA Biella Band of Giroinfoto VILLA DELLA REGINA Torino Band of Giroinfoto HANS GEORG BERGER La disciplina dei sensi Skira Editore 3822105278 Giroinfoto Magazine nr. 78 6

REPORTAGEREPORTAGE REPORTAGE REPORTAGEFICUZZAALTOPASCIOALBERGO DEI POVERI RANVERSO 84 134 120 102 IboscoFICUZZAdelRe Band of Giroinfoto ALBERGO DEI POVERIGenova Band of Giroinfoto RANVERSO e il carnevale Band of Giroinfoto StoriaALTOPASCIOeattualità Giancarlo Nitti 13412010284 Giroinfoto Magazine nr. 78 7

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REPORTAGE | CHIGNOLO PO

COMPLESSO MONUMENTALE A cura di Manuel Monaco

A una trentina di chilometri a est di Pavia e a pochi chilometri dal fiume Po, confine naturale con l’Emilia Romagna, svetta imponente nel panorama rurale di queste zone una torre intorno alla quale, nei secoli, si sono avvicendati personaggi di rilievo e di elevato prestigio.

Stiamo parlando del castello di Chignolo Po, un tempo noto come la Versailles della Lombardia

Una torre intorno alla quale è sorta una fortificazione che in seguito, nel tempo, è stata trasformata in una villa di delizia che tutt’oggi, nonostante sia una residenza privata, conserva la magnificenza dell’epoca.

Alessia Sangalli Manuel Monaco Michela De Lazzari Stefano Scavino Giroinfoto Magazine nr. 78 10

REPORTAGE | CHIGNOLO PO Stefano Scavino Photography Chignolo Po LA VERSAILLES DELLA LOMBARDIA Giroinfoto Magazine nr. 78 11

Stefano Scavino Photography

REPORTAGE | CHIGNOLO PO Un

La storia del complesso inizia nel 740 d.C. al tempo in cui Liutprando, re dei Longobardi, fece edificare una struttura fortificata con una grande torre per controllare i territori Dacircostanti.qui,infatti, è possibile osservare i colli di San Colombano a nord, l’Oltrepò piacentino a sud e, a ovest, Pavia, la capitale del regno Lalongobardo.struttura, nel 910 d.C., venne donata da Re Berengario ai monaci benedettini dell’Abbazia di Santa Cristina e divenne quindi un luogo sicuro per i pellegrini che percorrevano la vicina via Francigena. Sotto i monaci il castello divenne uno dei centri più importanti a livello militare, commerciale e religioso. La presenza della cinta muraria, del fossato e, in seguito, di un ricetto, garantiva agli occupanti difesa e autosufficienza anche in caso di attacco.

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Michela de Lazzari Photography po' di storia

Inoltre, la vicinanza con le grandi città emiliane e lombarde rese il complesso un nodo commerciale di notevole rilevanza tant’è che Galeazzo Maria Sforza inviò mezzi e uomini per intraprendere un’opera ingegneristica di notevole rilevanza per l’epoca: la deviazione di alcuni chilometri verso sud del Po che, ad ogni esondazione, provocava enormi danni.

I Cusani rimasero quindi i proprietari fino al 1936 quando, alla morte senza eredi del marchese Camillo Cusani Visconti Botta Adorno, il castello venne donato all’ordine di Malta che lo elesse Casa Magistra. Negli anni Ottanta del ‘900 l’ordine di Malta vendette il castello all’attuale proprietario: l’avvocato Antonio Procaccini.

REPORTAGE | CHIGNOLO PO Il

Il complesso passò di mano in mano fino a quando, nel 1486, Beatrice Federici Todeschini ne divenne proprietaria. Beatrice sposò in seconde nozze il marchese Gerolamo Cusani portando in dote il castello di Chignolo Po.

Alessia Sangalli Photography

[Un esempio di particolare pregio è il ricetto di Candelo (BI) descritto nel numero 40 di Giroinfoto.]

Da allora è in atto il restauro dell’intera struttura ed è possibile effettuare sia visite guidate che eventi e manifestazioni al suo interno. Ricetto Il ricetto è una struttura fortificata di origine medievale. Di solito è costituito da un insieme di case circondate da mura e torri il cui compito era quello di proteggere la popolazione in caso di pericolo. In Italia si trovano numerosi esempi di ricetti in Piemonte, in Lombardia, in Toscana e in Lazio.

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Manuel Monaco Photography Come è stato possibile trasformare il complesso fortificato in una villa di delizia? Per capirlo bisogna fare un salto a ritroso fino al 1700 circa, quando il cardinale Agostino Cusani Visconti divenne proprietario del feudo. Agostino era un uomo di cultura e di prestigio, ex arcivescovo di Pavia nonché amico di papa Clemente XI.

La VisitaREPORTAGE | CHIGNOLO PO Giroinfoto Magazine nr. 78 14

All’epoca le residenze nobiliari erano caratterizzate da estesi parchi con giardini e ampie sale affrescate. A Chignolo Po Agostino trovò una fortificazione circondata da fossato e mura, ben lontana da quanto era allora in voga. Decise quindi di affidare la direzione dei lavori al suo amico architetto Giovanni Ruggeri. I lavori durarono circa 30 anni (dal 1700 al 1730) e permisero di creare il parco di trenta ettari al cui interno fu edificata la “Palazzina di caccia” e i giardini, di costruire una nuova ala (l’ala est) per donare simmetria al complesso ed infine di creare il cortile d’onore. Il fossato fu bonificato e prosciugato, i ponti levatoi vennero sostituiti da pontili in muratura ed infine la facciata venne rivista in stile barocco. Negli interni le stanze del piano terra e del piano nobile vennero affrescate dagli allievi del Tiepolo. I lavori, quindi, andarono ad aggiungere o a trasformare quanto già presente, creando così un complesso di natura ibrida, la cui parte più antica ha origini medioevali. Ecco spiegato quindi come sia possibile effettuare due differenti percorsi di visita guidata: il percorso barocco, che permette ai visitatori di apprezzare maggiormente gli ambienti settecenteschi, e il percorso medievale, incentrato maggiormente sulle strutture difensive e le parti più antiche del castello.

Stefano Scavino Photography

Michela De Lazzari Photography REPORTAGE | CHIGNOLO PO Giroinfoto Magazine nr. 78 15

La nostra guida, Maria Elena, ci ha accompagnato in un tour dedicato, che ci ha permesso di apprezzare la storia e i personaggi che hanno influenzato e plasmato il complesso. Il nostro percorso inizia dalla Palazzina della caccia, situata nel parco. Scopo di questo edificio era ospitare i nobili al termine delle attività venatorie ma non solo, infatti in corrispondenza della palazzina fu creato un lago artificiale per permettere agli ospiti di dilettarsi e rilassarsi in barca. Oggi il lago non esiste più ma un grande avvallamento rimane a testimoniare la sua presenza.

Prima di proseguire all’interno ci spostiamo all’ingresso meridionale per ammirare l’imponente facciata su cui svetta la Datorre.quisono ben visibili anche i camminamenti di ronda.

Stefano Scavino Photography Manuel Monaco Photography REPORTAGE | CHIGNOLO PO Giroinfoto Magazine nr. 78 16

Percorriamo quindi il viale che dal cancello meridionale porta all’ingresso, attraversiamo uno dei pontili in muratura che sostituirono i ponti levatoi e ci addentriamo nel castello.

Manuel Monaco Photography REPORTAGE | CHIGNOLO PO Giroinfoto Magazine nr. 78 17

Alessia Sangalli Photography REPORTAGE | CHIGNOLO PO Giroinfoto Magazine nr. 78 18

Alessia Sangalli Photography

REPORTAGE | CHIGNOLO PO Giroinfoto Magazine nr. 78 19

Per ulteriori informazioni si rimanda al sito ufficiale: www.castellodichignolopo.it Mail: info@castellodichignolopo.it

Da qui possiamo ammirare a nord le due corti, la francigena (la più distante dalla torre) seguita da quella delle arti e dei mestieri sulla quale si affacciavano le botteghe degli artigiani. Esiste una terza corte, quella feudale e agricola, che quest’anno compie ben settecentosettanta anni, in cui a breve verrà ultimato l’orto dei semplici, dedicato ai monaci che da sempre sono legati al castello e che tutt’oggi, con l’attuale proprietario, hanno un legame speciale.

Dai camminamenti scendiamo attraverso una stupenda scala a chiocciola nelle cantine e veniamo poi condotti nelle cucine per poi uscire nel fossato. Ultima tappa della nostra visita sono le due corti dove, davanti all’imponente cancello che permette di entrare nella corte francigena, salutiamo la nostra guida.

Desideriamo ringraziare Alessandro e Maria Elena per la disponibilità e l’accoglienza che ci è stata riservata. Un ringraziamento particolare va anche all’avvocato Procaccini per averci permesso di visitare questo magnifico complesso.

Stefano Scavino Photography

Usciti dalla torre ci dirigiamo sui camminamenti di ronda del complesso.

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Stefano Scavino Photography REPORTAGE | CHIGNOLO PO Giroinfoto Magazine nr. 78 21

REPORTAGE | MONET A cura di Manuela Albanese e Monica Gotta Claude Monet Palazzo Ducale Genova dal 11/02/2022 al 22/05/2022 Giroinfoto Magazine nr. 78 22

Il colore, divincolandosi dagli schemi chimici, si rivela quello che è: l'elemento irreale delle cose, la metafora del loro mistero.Il colore è, per la mente, come le onde sono per il mare. Agisce su di noi come la musica. Ogni persona ha un suo colore preferito.

«Il puro e mero colore, non contaminato dal significato, e non fuso od unito ad una forma specifica, può parlare all'anima in mille modi diversi.»

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Il concetto di cromoterapia è conosciuto ai più e i benefici che ha sulla nostra mente e sul nostro corpo sono comprovati ormai da tempo. Ma vi siete mai chiesti come i colori interagiscono con il nostro corpo, con il nostro subconscio oppure con la nostra anima?

Oscar Wilde

Vasilij Kandinskij (Lo spirituale nell’arte) Vasilij Kandinskij (Lo spirituale nell’arte)

Tutti i colori si possono formare mescolando tre tinte di base dette primarie, tipiche delle stampanti a colori: magenta (rosa molto carico), giallo e ciano (un azzurro che tende al Dallaturchese).fusione

REPORTAGE | MONET

dei colori primari possono nascere i nostri colori preferiti. Senza dimenticare la rappresentazione di Kandinskij e, facendo riferimento al presente, la scala Pantone sicuramente contiene il nostro colore preferito. Il Pantone Matching System è il sistema di standardizzazione del colore che aiuta nella corrispondenza e identificazione del colore e ogni colore ha il suo numero univoco.

L'arancione è considerato la forza nascosta della vita, è il flusso segreto della vita, è energia anti stanchezza. Armonizza vitalità fisica con ottimismo mentale, stimolazione emotiva.

Rappresenta l'emozione e le esperienze sul piano vitale. Indica movimento, dinamismo, forza ossia la forza della volontà di vivere.

REPORTAGE | MONET ARANCIONEROSSO Giroinfoto Magazine nr. 78 24

Monica Gotta Photography

È il più caldo ed espansivo dei colori. È il colore dell'intelligenza, dell'intuizione mentale, dell'amore puro e dell'armonia interiore. Monica Gotta Photography REPORTAGE | MONET GIALLO Giroinfoto Magazine nr. 78 25

REPORTAGE | MONET Giroinfoto Magazine nr. 78 26

BLUVERDE

Risulta dall'interferenza tra giallo e blu. Può essere considerato mediatore tra caldo e freddo. È tranquillizzante e riconduce al contatto con la natura. Le ninfee, che nel linguaggio dei fiori significano purezza e castità, il cui nome deriva dall'acqua, indossano abiti di colore verde. Per questo è un colore femminile.

Il blu è spesso considerato un colore profondo, dove lo sguardo affonda senza incontrare ostacoli perdendosi Ènell'infinito.ilpiùimmateriale dei colori, la natura non lo presenta spesso se non ad esempio con il vuoto dell'aria o il riflesso dell'acqua. Il blu è freddo ma è anche considerato il più puro dei colori. Il blu smaterializza, è spesso associato all'infinito dove il reale si trasforma in Gliimmaginario.egiziloconsideravano il colore della verità.

è considerato il colore della trasmutazione e della sublimazione.

Per Kandinskij l'indaco esprime la misteriosa attrazione dell'uomo verso l'infinito, la sete del L'indacosoprannaturale.riflettecome uno specchio ciò che noi siamo in una determinata fase della nostra evoluzione. Chiaro da un lato, scuro dall'altro. L'indaco è il colore della coscienza, mentre il blu è il colore che riceve ed esprime questa coscienza. Intuizione affettiva è blu, indaco è coscienza raffinata.

REPORTAGE | MONET Giroinfoto Magazine nr. 78 27

È il colore dell'equilibrio tra cielo e terra, tra passione ed Nell'alchimiaintelligenza.

VIOLA INDACO Monica GottaPhotography

REPORTAGE | MONET

BIANCO

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Il colore bianco comprende tutti i colori dello spettro luminoso e come significato sta agli antipodi del colore nero. Jung considera il bianco come un momento evolutivo ed esistenziale, come “il grado più elevato che la meditazione umana possa mai raggiungere”

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Contempliamoeccelse.

le sue opere, più precisamente le sue pennellate che emergono dalle sue tele, i rilievi di colore… Come non osservare questa tensione verso l’infinito, verso il futuro, verso di noi che abbiamo l’arduo compito di capire una mente così elevata e creativa?

Ha aperto una discussione con il futuro, quel punto spazio-temporale dove siamo noi quando ammiriamo le sue opere

Secondo una meravigliosa leggenda, è dall'esplosione di una minuscola onice nera che ha preso vita tutto il Secreato.èvero che il nero è l’assenza di luce, è anche vero che nell’oscurità è possibile trovare l'origine di tutto. Il nero ha un significato positivo. Trascende tutti i colori. Un colore che non deve essere temuto, ma piuttosto esplorato. NERO

Questa disanima sui colori è fatta per riflettere su ciò che ci ha trasmesso il maestro dell’Impressionismo. Monet non ha soltanto esplorato i colori, la luce, i riflessi e l’interazione di questi tre elementi.

Pertanto la temperatura di colore si riferisce alla tonalità della luce emessa da una sorgente luminosa. Questo valore viene espresso in gradi Kelvin (K) con una scala da 1000 a 12000. Più alto il numero di Kelvin, più bianca o bluastra apparirà la luce. La temperatura colore è strettamente correlata alla luce che illumina la scena e influisce su di essa.  Ci sono delle fonti di luce che tendono a illuminare con colori caldi, ovvero con una temperatura colore bassa come la luce del sole in alcuni momenti della giornata (tramonto e alba).

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Manuela Albanese Photography REPORTAGE | MONET

Che cosa è la temperatura della luce? Pensando a un parallelismo tra pittura e fotografia, riflettiamo sulla “luce”. In fotografia la luce si misura in gradi Kelvin.

La temperatura colore, espressa in gradi Kelvin, si misura al contrario rispetto a quanto l’intuito potrebbe farci pensare. A temperature Kelvin più alte, la temperatura colore è più fredda, mentre a temperature Kelvin più basse, la temperatura colore è più calda.  Come rapportiamo tutto ciò all’arte del dipingere di Monet? Per rendere più bianca e intensa la luce del mattino l’artista aggiungeva del bianco a tutti i colori in luce, mentre per rappresentare il tramonto e la sua luce scaldava tutti i colori e l’atmosfera con l’arancione. Incredibile o logico? Pittura e fotografia, colori e luce, è l’unione di due concetti, l’unione tra passato e presente, il nesso tra due tipi di arte. Monet fu un artista illuminato … dalla luce e dai colori?

Monica Gotta PhotographyManuela Albanese Photography

Da una delle installazioni posizionate nella mostra ci soffermiamo sull’Occhio di Monet. Bisogna cogliere l’interazione dei colori e della luce nelle sue opere. Monet ha catturato nei suoi dipinti queste sinergie vivendo immerso nella natura. In teoria i colori degli oggetti sono modificati dai colori riflessi dagli oggetti vicini e dal colore della luce che li illumina. Per questo Monet non li riproduce fedelmente ma li interpreta in relazione alla luce e al contesto. Quale occhio a parte quello di Monet può cogliere e percepire queste sottili differenze, questi colori effimeri dei riflessi oppure le ombre che mutano al variare della luce del sole?

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Photography Manuela Albanese Photography REPORTAGE | MONET Giroinfoto Magazine nr. 78 31

Manuela

La mostra, curata da Marianne Mathieu, storica dell’arte e direttrice scientifica del Musée Marmottan Monet, è divisa in sette sezioni e si sviluppa intorno alla ricerca artistica dell’autore e intorno al tema della luce. Si inizia con i primi lavori, anche di piccole dimensioni, tipici della pittura en plein air, passando per i paesaggi rurali e urbani, arrivando infine alle opere di grandi dimensioni di un autore maturo che esplora nuovi approcci e nuove interpretazioni della natura che lo circonda. “Il mio giardino è… “: così si apre la mostra dedicata a Claude Monet. Monet è stato uno dei maggiori esponenti del movimento impressionista che vede la luce nell’anno 1874, anno in cui alcuni artisti come Manet, Renoir e Degas si affacciano al panorama artistico con la loro prima mostra allestita presso lo studio fotografico di Nadar a Parigi. Il movimento prende il nome da un’opera di Monet del 1872, “Impression: soleil levant” Questo dipinto rappresenta l’atmosfera dell’alba a Le Havre. Sullo sfondo s’intravedono le sagome bluastre delle gru, mentre in primo piano ci sono due piccole imbarcazioni in controluce.  Albanese

La definizione di impressionismo è legata anche alla tecnica utilizzata per dipingere, ovvero effettuare veloci pennellate di colore che danno vita a paesaggi impressi sulla tela attraverso l’osservazione diretta o en plein air.   Il maestro Monet in quegli anni dichiarava… “Altri pittori dipingono un ponte, una casa, una barca…io voglio dipingere l’aria che circonda il ponte, la casa, la barca, la bellezza della luce in cui esistono”

La mostra si sviluppa seguendo un ordine cronologico e, attraverso le cinquanta opere esposte, il visitatore percorre la vita dell’autore sino ad arrivare alle sue celebri Ninfee (dipinte tra il 1916 ed il 1919) e le sue Rose (dipinte tra il 1925 ed il 1926). Monet era talmente legato ad alcune sue opere che non riuscì mai a metterle in vendita e le custodì nella sua abitazione di LeGiverny.opere esposte percorrono la sua crescita artistica e la sua grande creatività, provengono dal Musée Marmottan Monet di Parigi, dove è conservato il nucleo più grande al mondo delle opere dell’artista, donate al museo parigino dal figlio del maestro, Michel, nel 1966. Albanese Gotta

Manuela

Photography Monica

Un progetto piuttosto ambizioso quello di dipingere l’aria che, tuttavia, ha trovato la sua realizzazione nelle opere del grande maestro dell’Impressionismo.

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Manuela Albanese Photography REPORTAGE | MONET

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Già dopo i primi passi il visitatore è proiettato nel mondo di Monet attraverso una sala multimediale che avvolge e coinvolge gli ospiti della mostra lasciando presagire la grandezza delle opere che a breve si potranno ammirare: i visitatori si ritrovano a camminare in un giardino onirico dove si alternano le ninfee, i salici, gli iris, le rose e il ponte giapponese rappresentato in varie versioni. La luce e i colori sono i veri protagonisti di questa prima sala.

Manuela Albanese Photography

La mostra è stata allestita nelle sale del Munizioniere di Palazzo Ducale, l’intimità delle sale e la suggestività dell’allestimento rendono magico il percorso, ad ogni passo, in ogni pennellata, in ogni cambio colore, si percepisce l’amore dell’autore per la sua arte.

proprio i giardini di Giverny la sua fonte di ispirazione, ivi dimorò dal 1883 e proprio Giverny può essere considerato il luogo della maturità e della consapevolezza del maestro. Sono di questi anni le opere con i colori più vivaci, come le ninfee e gli iris. L’incantevole casa colorata, divisa su due livelli, rispecchia l’amore dell’artista per i colori: vi si trova una suggestiva sala da pranzo gialla, una cucina decorata con maioliche blu cobalto, due camere da letto modeste e qui allestì il suo primo vero atelier, il quale venne realizzato nella stanza più L’abitazioneluminosa. venne poi ampliata nelle parti esterne. Sempre alla ricerca di ogni possibile sfumatura di colore nella luce, Monet fece realizzare un secondo e poi un terzo Ilatelier.terzo fu studiato con un complesso sistema di verande che garantivano il passaggio della luce solare anche nei giorni più bui. Proprio in questo grande e luminoso atelier l’artista dipingerà e terminerà il ciclo delle ninfee.

Le tele di Monet sembrano catturare la luce e fonderla con i paesaggi naturali ivi rappresentati, le pennellate sembrano essere ancora fresche, appena date. Si percepiscono le atmosfere, quasi anche i profumi e i suoni essendo opere realizzate en plein air. Pur avendo vissuto molto tempo a Parigi e avendo viaggiato sia in Francia che all’estero, Monet ha sempre rappresentato i giardini incontrati sul suo cammino, ha sempre prediletto la campagna e, avendo vissuto per mezzo secolo lungo la Senna, qui accrebbe la sua passione per aiuole, giardini e Sarannofiori.

REPORTAGE | MONET Monica Gotta Photography Giroinfoto Magazine nr. 78 34

Le stesse ninfee, furono a lungo incomprese poiché sono tese verso un nuovo stile, moderno, quasi astratto. Infatti le ninfee sono fiori d’acqua che riflettono la propria immagine in modi diversi, a seconda della luce; è questo punto di vista che incuriosisce Lal’artista.prospettiva qui è completamente annullata, le ninfee occupano lo spazio, non c’è più la distinzione tra primo e secondo Lepiano.pennellate sembrano essere sempre più rapide, per poter cogliere l’istante. La serie delle Ninfee, cominciata nel 1897, poi interrotta e ripresa a partire dal 1914, è quella più sperimentale della fase avanzata della carriera di Monet, con alcuni elementi che quasi sembrano allinearsi al nascente astrattismo; con queste opere dell’età matura l’artista sembra accompagnare lo spettatore in un mondo quasi fantastico, dove l’unico elemento sono le ninfee e il paesaggio appare riflesso nell’acqua, non più in secondo piano, ecco perché possiamo definirlo quasi irreale.

REPORTAGE | MONET Manuela Albanese Photography Giroinfoto Magazine nr. 78 35

REPORTAGE | MONET Giroinfoto Magazine nr. 78 36

Monet non è che

Le sue pennellate delicate, ma ricche e corpose sono la sua firma, la luce passa dall’essere fioca all’essere accecante.

chebuonocchio,unma,Dio,occhio!

Paul Cézanne

La natura è protagonista indiscussa, è il punto focale del grande maestro, è il nucleo dell’occhio di Claude Monet.

Una domanda su cui si può riflettere… Può un'occasionediventarel'arte "rivelazione"?di (Riflessioni di Kandinskij sul rapporto tra spiritualità ed arte) Mostra organizzata da Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura e Arthemisia In collaborazione con Musée Marmottan Monet di Parigi A cura di MarianneREPORTAGEMathieu | MONET Giroinfoto Magazine nr. 78 37

REPORTAGE | BESSA Giroinfoto Magazine nr. 78 38

Tra Ivrea e Biella, compreso tra i comuni di Cerrione, Borriana, Mongrando e Zubiena, si trova un parco davvero inusuale. Si tratta della Riserva Naturale Speciale la Bessa, che ha la particolarità di essere stata una miniera aurifera a cielo aperto.

SPECIALENATURALERISERVA

Barbara Tonin e Monica Pastore

Barbara AMonicaMarcoFabrizioDomenicoToninIanaroRossiCullariPastorecuradi

Barbara

Photography Riserva SpecialeNaturalelaBessa Ivrea Biella REPORTAGE | BESSA Giroinfoto Magazine nr. 78 39

Per spiegarlo si deve tornare indietro nel tempo di 800.000 anni, quando un diffuso abbassamento delle temperature nell’arco alpino contribuì a estendere verso valle i ghiacciai.

La lenta discesa del grande ghiacciaio Balteo, proveniente dalla Valle d’Aosta e dall’alto Canavese, trasportò diversi tipi di materiali da erosione, quali rocce, massi, ghiaie e sabbie e tra questi anche le pagliuzze d’oro. Quando nell’era successiva i ghiacci si sciolsero e si ritirarono, rimasero degli enormi accumuli sedimentari, dando orgine alla Morena della Serra, di cui La Bessa fa parte. Il fianco biellese della Serra, fu eroso e smantellato anche dall’azione dei torrenti Viona e Olobbia, che rimodellarono e posarono il materiale morenico sotto forma di deposito alluvionale e fluviale. Da qui deriva l’aspetto ad altopiano della Morena, la forma arrotondata dei ciottoli della Bessa e l’alta concentrazione di pagliuzze d’oro. Tonin

Immergendosi nel parco, la vegetazione lascia spazio via via ad ampi cumuli e distese di sassi rotondeggianti di varie dimensioni. Se non fosse per il verde che nei secoli si è ripreso il suo territorio, si potrebbe immaginare di essere su un altro pianeta, popolato più di 2000 anni fa da 5000 operai che estraevano oro dal terreno. Ma quali sono le origini della Bessa?

REPORTAGE | BESSA Giroinfoto Magazine nr. 78 40

Un evento alluvionale di grande energia e superiore ai precedenti modifica bruscamente il fondo dell’alveo asportando la pepita formatasi in precedenti eventi di piena. Dopo tutto questo processo la pepita è “disponibile” per il Cercatore d’Oro che se fortunato la trova entro la sua Batea!

La corrente del corso d’acqua forma dei mulinelli maggiormente attivi durante gli eventi di piena ove particolari condizioni morfologiche del fondo dell’alveo li favoriscono (presenza di grossi massi, affioramenti rocciosi trasversali al corso d’acqua, ecc.)

Durante successivi eventi di piena la forza centrifuga allontana i sedimenti più leggeri e favorisce un arricchimento di nuove lamine d’oro sul fondo del cono di erosione. Successivi e continui eventi di piena seguiti da successivi e continui ricarichi di sedimenti portano alla formazione della “pepita” e al suo aumento di volume.

Per effetto della forza centrifuga si forma una depressione a forma di cono rovesciato sul fondo del corso d’acqua.

La forza centrifuga allontana i sedimenti più leggeri dalla depressione conica (analogamente a ciò che avviene entro una batea) concentrando sul fondo le lamine d’oro e forza attrattiva per la polarizzazione superficiale delle pagliuzze d’oro ad elevato peso specifico che per effetto della forze di Van Der Walls (forze elettrostatiche attrattive o repulsive intermolecolari) iniziano ad aggregarsi. Al termine dell’evento di piena entro la buca conica si depositano i normali sedimenti che per il loro peso (tensione litostatica) favoriscono ulteriormente l’aggregazione e la compattazione delle lamine aurifere.

Fabrizio

Le prime opere di coltivazione della miniera (aurifodinae) nella Bessa avvennero per opera degli Antichi Romani tra la fine del secondo e il primo secolo a.C.; per questo lavoro vennero impegnati migliaia di uomini che modificarono il terreno trasformando La Bessa in una delle più grandi miniere d’oro a cielo aperto del mondo, come testimoniato da Plinio il Vecchio e Strabone.

I materiali sabbioso-ghiaioso sottostante venivano poi incanalati in fossati sfruttando la forza dell’acqua, fino a farli accumulare in zone semi-pianeggianti ai piedi Durantedell’altopiano.quest’ultima fase venivano selezionate, tramite dilavamento e concentramento per gravità e la sabbia più fine poi veniva setacciata per separare l’oro presente sotto forma di pagliuzze e piccole pepite. Probabilmente questa tecnica fu utilizzata, già prima dei Romani, dai Victimuli o Ittimuli, un popolo celtoligure. Il processo di estrazione, chiamato tecnica della scaletta, è tuttora utilizzato dai cercatori d’oro. Rossi Photography Domenico Ianaro Photography

REPORTAGE | BESSA Giroinfoto Magazine nr. 78 41

Per poter estrarre il metallo, era necessario lo smantellamento e lo scavo del deposito alluvionale, attuabile tramite lo spostamento dei massi e dei ciottoli a lato del sito di estrazione. I massi spostati durante gli scavi venivano ammucchiati creando “colline” che arrivavano fino a 10 m di altezza e con ampiezze da poche decine a centinaia di metri.

Marco Cullari Photography REPORTAGE | BESSA Giroinfoto Magazine nr. 78 42

Considerando tutto il secolo di attività, si è stimata l’estrazione di alcune decine di tonnellate d’oro. Quando il giacimento si esaurì e i romani si spostarono nei paesi transalpini alla ricerca di nuove miniere, ebbe termine anche il “periodo aureo” della Bessa. Una volta abbandonata, l’aspetto che assunse il paesaggio consisteva principalmente in due ambienti antropici: i cumuli di ciottoli posti sull’originale altopiano alluvionale e i conoidi antropici, ovvero le zone semi-pianeggianti a forma di cono o ventaglio, poste più in basso rispetto ai cumuli e costituite da sabbia e Successivamenteghiaia. all’abbandono della miniera, non solo la vegetazione ricolonizzò la zona, ma proseguì anche uno sfruttamento agricolo, forestale e pascolivo e i ciottoli e i ghiaioni vennero utilizzati come materiali da costruzione o per fini

Monicaindustriali.PastorePhotography

Fino agli anni ’50, la Bessa si presentava come un manto di ciottoli bianchi.

Il colore era dato dalla presenza di quarzite negli stessi. Il minerale quarzoso aveva e ha tuttora diversi impieghi, tra i quali la produzione del vetro. Ora la Bessa non ha più questo aspetto, in quanto tra gli anni ’50 e ’60 aziende locali asportarono la quasi totalità dei ciottoli Partendobianchi. quindi dall’aspetto antropico della riserva, Quaglino ipotizza che i Romani avessero non solo cercato l'oro nei sedimenti sabbiosi presenti nel complesso fluvioglaciale della Bessa, ma anche sfruttato questa seconda materia, particolarmente apprezzata.

Dell’industria vetraria dei Romani, infatti, si legge anche negli scritti di Strabone e si può affermare con certezza che questi non si fossero fatti scappare la possibilità di sfruttare tale giacimento a cielo aperto, vista la notevole quantità e l’estrema purezza del minerale. Così lo descrive Quaglino: “Lo sfruttamento, dopo la facile raccolta dei ciottoli quarzitici presenti in superficie, comportava logicamente il rimaneggiamento dei ciottoli per raccogliere quelli dispersi in profondità entro l’enorme massa sedimentaria. Si evidenzia che lo sfruttamento della quarzite non necessitava di acqua e l’unico problema, facilmente risolvibile, era quello di spostare i ciottoli non quarzosi e la sabbia aurifera che logicamente veniva lavata asportandone l’oro. Il mio convincimento è che gli antichi minatori, mentre lavavano la sabbia aurifera asportavano i ciottoli di quarzite andando a raccoglierla anche in profondità entro il territorio della Bessa; poiché il lavaggio della sabbia aurifera comportava l’utilizzo di acqua questo doppio sfruttamento minerario veniva iniziato e proseguito ove erano presenti quelle abbondanti emergenze idriche alla base del terrazzo alluvionale.

Per un maggiore approfondimento, il libro dell’Autore è scaricabile gratuitamente dal sito https://www.bessaaurifodine.com/ Domenico Ianaro Photography

Poiché la presenza dei ciottoli di quarzite era casuale, e quindi il loro sfruttamento non era programmabile, la doppia coltivazione (sabbia aurifera –quarzite) procedeva avendo come “Linea Guida” la semplice presenza dell’acqua che serviva per il lavaggio della sabbia aurifera.

Un studio approfondito sulla Bessa è stato eseguito anche dal geologo Giuseppe Quaglino, che citiamo in quanto nel suo libro "Bessa: non solo oro" illustra non solo quanto descritto in precedenza, ma anche un’ulteriore ipotesi sullo sfruttamento del giacimento. La nuova ipotesi dell’Autore si basa sul concetto che “qualsiasi giacimento primario o secondario non fornisce quasi mai un unico minerale, altri minerali sono sempre presenti ed in quantità tali da non essere trascurati a meno che non siano notevolmente dispersi nel giacimento; per esempio in molti giacimenti auriferi primari si estraggono anche argento e platino”.

La raccolta dei ciottoli di quarzite, dunque, avveniva contemporaneamente alla raccolta dell’oro.

REPORTAGE | BESSA Giroinfoto Magazine nr. 78 43

Questo metodo di coltivazione, apparentemente “Casuale”, spiegherebbe perché i ciottoli non sono stati scaricati a valle del terrazzo alluvionale verso l’Elvo ma collocati lateralmente ai percorsi delle falde freatiche alcune delle quali tuttora visibili; lo scarico dei ciottoli alla base del terrazzo alluvionale e quindi lungo la sponda destra dell’Elvo avrebbe ostacolato la ricerca dell’oro lungo la sponda stessa sede principale, a mio parere, di una delle aurifodine dell’Agro Vercellese oltre a quelle dell’Olobbia e del Cervo forse in concorrenza con quella lungo le sponde della Dora. […] sfruttare solamente la sabbia aurifera tralasciando il quarzo ritengo fosse semplicemente assurdo ed antieconomico”.

Alla Bessa esistono parecchi ritrovamenti archeologici, tra cui le incisioni a coppella di origine protostorica rilevate su 55 massi erratici. Sui cumuli si possono ancora vedere tracce di passaggi per carri o grosse slitte, muri di possibili capanni, piccole abitazioni, ripari temporanei o depositi di materiali (alcuni scavati nei cumuli). All’interno di alcuni di essi, sono state ritrovate monete, cocci di ceramica, lucerne e altri materiali conservati presso il Museo Civico di Biella. Sono ancora necessarie, tuttavia, molte ricerche per comprendere le fasi dello sfruttamento aurifero e gli insediamenti precedenti e successivi. Nei secoli, infatti, si persero le tracce di queste miniere fino a quando nel 1985 la regione Piemonte la istituì a riserva naturale, per preservare La Bessa da una non controllata attività di cava per sabbia e ghiaia; da qui le prime ricerche storiche, archeologiche e geologiche. Il parco si estende per quasi 8 chilometri quadrati, con quote comprese tra 270 e 430 m, il visitatore può passeggiare tra un cumulo e l’altro (“ciapei”) e nei valloni (“bunde”). Grazie alla discesa del ghiacciaio Balteo, la varietà dei ciottoli nei cumuli è notevole ed è di sicuro interesse per gli appassionati della petrografia delle Alpi Pennine, in particolare i già citati massi erratici e rocce granitiche, gneiss, micascisti, eclogiti e dioriti.

Barbara Tonin Photography

Monica Pastore Photography REPORTAGE | BESSA Giroinfoto Magazine nr. 78 44

Proprio per la particolarità dell’ambiente, La Bessa vanta una flora e una fauna tipiche, spesso esclusive, che hanno trovato nella Bessa l’habitat ideale. L’accumularsi alla base delle pietraie di materiale fino e organico ha dato origine ad una progressiva colonizzazione vegetale. Compaiono per primi i licheni e i muschi, poi le felci, le eriche e altri arbusti. Tra le specie arboree predominano le querce, ma si trovano anche ciliegi, betulle, frassini, robinie, castagni e noccioli. A primavera, la fioritura dei ciliegi accompagna il profumo dei pruneti, mentre il biancospino, il ciclamino e la rosa canina danno un suggestivo tocco di colore. Tipico è il fiammeggiante giglio di S. Giovanni, mentre rara è la Pulsatilla montana e la Stellaria bulbosa. Anche la vita animale, sebbene meno evidente, trova qui un habitat ideale: bruchi e farfalle tra gli insetti, roditori, volpi, lepri, camosci e talvolta cervi, ma anche rettili quali la vipera, il biacco e il colubro di Esculapio; tra gli uccelli, oltre all’avifauna abituale dei boschi biellesi, è da segnalare una rilevante presenza di allocchi e barbagianni. Il parco è visitabile in tutto il periodo dell'anno, ma la stagione in cui lo si può apprezzare di più è la primavera, per le fioriture Nellamulticolore.stagione estiva è consigliabile scegliere le ore più fresche del mattino o della sera, per evitare il caldo eccessivo e gli insetti: inoltre, nel periodo da Ottobre ad Aprile il riposo vegetativo delle piante consente una maggiore visibilità dell'ambiente L'abbigliamentocircostante.adattocorrisponde a quello di una escursione in montagna a bassa quota: pedule o scarponcini leggeri, felpa o giacca e pantaloni robusti di cotone per proteggersi nell'attraversamento di fasce di vegetazione: importante, nel periodo estivo, dotarsi di adeguata scorta di acqua.

Barbara Tonin Photography

REPORTAGE | BESSA Giroinfoto Magazine nr. 78 45

Poco più avanti si esce dal bosco salendo su un pronunciato dosso rettilineo in ambiente aperto e panoramico, dopo di che, ridiscendendo attraverso zone di bosco e radure, si ritorna in pochi minuti al parcheggio.

Dopo una serie di modesti incrementi di quota si raggiunge una deviazione, segnalata, che conduce ad un punto panoramico da cui si gode un’ampia vista sui cumuli di ciottoli sull’imponente cordone morenico della Serra, sulle Alpi Biellesi e sulla vetta del Monte Rosa.

Località di partenza: Parcheggio al bivio per Magnano della SP 411, da Cerrione a Mongrando Tempo di percorrenza: ore 1.15

MOLINO DEL GHE VERMOGNO CERRIONE REPORTAGE | BESSA Giroinfoto Magazine nr. 78 46

Sentiero della Fontana del Buchin percorso introduttivo ai vari ambienti della Bessa

Rientrando sul percorso principale, in breve si giunge all'incrocio con la strada della "Mezza Bessa": questa strada, che per lungo tratto segue il culmine della linea di separazione tra i versanti Olobbia ed Elvo, si ritiene sia uno dei pochi resti (trasformato e colmato) del canale che, proveniente dal torrente Viona, alimentava le numerose diramazioni degli impianti di lavaggio della aurifodina. Il percorso prosegue a sinistra sullo stradino orlato da cespugli di erica, fino alla fontana del "roc di pé" dove si svolta ancora a sinistra avviandosi lungo la via del rientro, lasciando a destra i resti di un insediamento con profondi affossamenti e resti di muri.

Dal parcheggio si attraversa l'area pic-nic e si raggiunge l'ampia radura dove si trova la "Fontana del Buchin", moderno adattamento a forma di vasca rettangolare che raccoglie l'acqua della sorgente che sgorga dal terreno a poca distanza. Il sentiero sale in breve sul Terrazzo superiore, in questa zona molto meno evidente che sul versante Elvo. Immediatamente a sinistra si trova il sito ove giaceva la stele scoperta nel 1997, risalente presumibilmente alla II Età del Ferro (IV-II sec. a.C.) ed ora conservata presso la sede dell'Ente di Gestione della Riserva, in Cerrione. Si prosegue su terreno misto di ciottoli e macchie di alberi, in cui frequenti affioramenti di terreno morenico testimoniano della scarsa ed irregolare consistenza dei cumuli che tendono ad assottigliarsi progredendo verso il termine meridionale dell'altopiano.

Alla Bessa sono presenti diversi percorsi e passeggiate, percorribili a piedi, in bicicletta e a cavallo. Gli itinerari segnalati sono semplici e fruibili da tutti, mentre sono sconsigliati quelli fuori sentiero. I percorsi autoguidati sono 5:

Il sentiero contorna a sinistra il piccolo "villaggio" e prosegue costeggiando un canale che più avanti, al limite del Terrazzo, sbocca nei "conoidi antropici" che si aprono a ventaglio sulla pianura sottostante e sono costituiti dal materiale risultante dal lavaggio delle sabbie aurifere durante la coltivazione della Aminiera.questo punto il percorso volge al rientro e, riprendendo a salire, prosegue lungo il sentiero a fondo erboso in un bosco di querce e carpini che in autunno si colorano di giallo intenso. Dopo numerose curve si incontra la carrareccia percorsa all'inizio dell'itinerario e quindi si svolta a destra fino a tornare alla strada asfaltata e al Centro Visita. DEL GHE VERMOGNO CERRIONE Sentiero della Ciapei Parfundàpercorso di approfondimento sugli aspetti geologici, storici e archeologici

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Località di partenza: Centro Visita di Vermogno (Zubiena) Tempo di percorrenza: ore 1.30

MOLINO

Questo itinerario si snoda lungo le "strade di servizio" delle antiche aurifodinae, in un paesaggio vario di cumuli e macchie alberate, tra resti di insediamenti e canali di lavaggio traboccanti in "conoidi antropici", in una delle aree dove maggiormente evidenti sono i resti dello sfruttamento minerario da parte dei Romani. Dal Centro Visita di Vermogno il per- corso ritorna per un centinaio di metri lungo la strada asfaltata fino all'imbocco della carrareccia sulla sinistra, che si inoltra nel bosco. In breve il percorso esce allo scoperto e compaiono i primi cumuli di ciottoli, con ampia vista sulle montagne.

Procedendo in leggera discesa, si raggiunge la base di un alto cumulo posto sulla sinistra, dalla cui sommità si fruisce di un magnifico paesaggio: Biella e l'alta pianura, le Alpi Biellesi e le prime propaggini delle colline moreniche della Serra. Questa zona è chiamata "Ciapei Parfundà" cioè "pietre sprofondate", poiché gli abitanti del luogo raccontano dell'esistenza di una galleria che si inoltrava nei ciottoli. L'insediamento omonimo, posto ad Est del cumulo, è costituito da numerosi edifici affondati nella pietraia: uno di questi, di notevoli dimensioni (circa 25 per 5 metri) e collegato da corridoi ad altre strutture di minore superficie, fu scavato nel 1995 ed ha restituito ceramica in frammenti (soprattutto anfore) ascrivibile alla fine del II, prima metà del I secolo a.C.

VERMOGNO CERRIONE

Sentiero della Riva del Ger percorso di approfondimento sugli aspetti naturalistici, agricoli e forestali

Località di partenza: Centro Visita di Vermogno (Zubiena) Tempo di percorrenza: ore 1,30

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Il percorso giunge al bordo della scarpata che separa il Terrazzo, sul quale era situato il giacimento aurifero, dai "conoidi antropici" costituiti dai detriti prodotti dal suo Attraversosfruttamento.un bosco di querce e castagni il percorso volge al rientro seguendo il crinale, fino a ridiscendere nel canale proveniente dalla "vasca di accumulo" situata nei pressi dell'inizio del sentiero. Il tracciato risale ora il corso del canale e poi, proseguendo tra dossi alternati a tratti di strada su ciottoli, si ricongiunge al percorso dell'andata e raggiunge in breve il prato dell'area attrezzata, dove termina il sentiero.

Dal parcheggio del Centro Visita il percorso attraversa il grande prato dell'area attrezzata e si inoltra ben presto tra i cumuli di ciottoli, fiancheggiato da muri a secco; dopo circa 50 metri una biforcazione sulla destra devia dal percorso principale e conduce ad un vasto bacino pianeggiante che si ritiene essere stato una grande "vasca di accumulo" dell'acqua utilizzata per la coltivazione della miniera romana. Ritornando sull'itinerario principale e osservando con attenzione ai lati del percorso, si possono scorgere le tracce di un "villaggio" legato allo sfruttamento della miniera, costituite da grandi "fondi di capanna" ricavati nei ciottoli e divisi in più vani da muri ora crollati. Proseguendo lungo il sentiero si incontrano i resti ben conservati di un canale di lavaggio e ancora numerose "capanne" e piccoli "focolari" in buono stato di conservazione. La forma circolare delle capanne è dovuta al crollo di parte dei muri che hanno modificato la pianta originale, quadrata o rettangolare.

MOLINO DEL GHE

VERMOGNO

Località di partenza: Parcheggio lungo la SP 419 prima del ponte sul Torrente Viona Tempo di percorrenza: ore 1,15 Questo itinerario si snoda nella parte più settentrionale della Bessa dove la valle del Viona, il torrente che ha generato il giacimento aurifero, sbocca nella pianura. Paesaggio molto movimentato con alte creste moreniche ricoperte da boschi, massi erratici e un magnifico punto panoramico: il Truch Briengo. L'interesse archeologico è focalizzato nell'insediamento del cosiddetto "Castelliere". Dall'estremità del parcheggio il sentiero sale direttamente nel bosco percorrendo una traccia ciottolosa a fondo sconnesso, che prosegue fino ad incontrare, sulla destra, l'imponente struttura alla quale, per il suo aspetto fortificato, è stato attribuito il nome di "Castelliere”. Si tratta di uno dei monumenti archeologici più complessi e misteriosi del Piemonte, in quanto gli studi e le ricerche finora svolti non hanno ancora chiarito tutti gli interrogativi che questa straordinaria e complessa struttura pone: la presenza di un sistema complesso di canaletti, nicchie e pozzetti, ricavati nelle murature, nonché l'esistenza, sulla sommità del manufatto, di un grande invaso a conca irregolare per la raccolta dell'acqua, sembrano dimostrare che lo scorrimento di rivoli lungo le pendenze della struttura e lo sfociare degli stessi nelle nicchie e nei pozzetti rappresentano l'elemento caratterizzante per l'interpretazione del significato e della funzione del "Castelliere", quale elemento strettamente collegato alla ritualità e al culto delle acque di scorrimento. Lasciato il "Castelliere" il sentiero prosegue costeggiando alcune zone pianeggianti protette da murature a secco ed in breve giunge ad una grande area prativa dalla quale emerge solitario un grande masso erratico.

Sentiero

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REPORTAGE | BESSA

MONGRANDO

percorso

Oltre il prato si innalzano ripidi i resti della morena BornascoVermogno, scolpiti dagli agenti atmosferici e dal peregrinare del corso del Viona. Seguendo un'agevole carrareccia, il percorso raggiunge in breve l'altura del "Truch Briengo" (un risalto più accentuato della morena) a 440 m. di altitudine, sulla cui cima la vista si estende dalle Alpi Biellesi, alla pianura e alla vicina morena della Serra. Il sentiero prosegue scendendo lungo lo sterrato che contorna il "Truch" fino alla sottostante frazione Briengo (Comune di Mongrando), agglomerato di case al margine di prati e ripidi pendii franosi, per poi rientrare al parcheggio lungo una carrareccia con fondo ciottoloso. della Truch Briengointroduttivo ai vari ambienti della Bessa

Dal parcheggio del Centro Visita il percorso segue la carrareccia in direzione Nord Ovest fino al confine della Riserva, dove rientra verso destra e si inoltra nel bosco, proseguendo con andamento sinuoso a volte affiancato da muretti a secco. Lungo il sentiero si incontrano ad un certo punto una deviazione che conduce a un vasto bacino invaso da vegetazione palustre ed alimentato da sorgenti sotterranee, unico nel Terrazzo superiore della Bessa, e successivamente altre due deviazioni che raggiungono due massi incisi posti al di fuori del percorso principale, il quale si snoda su un terreno molto movimentato.

I cartelli posizionati in prossimità dei singoli massi illustrano le caratteristiche delle incisioni, talvolta molto diverse da un masso all'altro.

Verso il fondo il percorso viene a sbucare sulla pista ciclabile "dei Massi Erratici" che deve essere seguita in discesa, direzione Nord, fino alla ulteriore breve deviazione che conduce all'imponente e minaccioso "Roch Malegn": ripercorrendo a ritroso e per intero la pista ciclabile, si raggiunge nuovamente il punto di partenza. delle Incisioni rupestri

Sentiero

Località di partenza: Centro Visita di Vermogno (Zubiena) Tempo di percorrenza: ore 2 Si tratta di un percorso lungo il quale si trovano numerosi massi erratici con la maggiore concentrazione di incisioni rupestri protostoriche, rappresentante la più ampia gamma di tipologie di tutta la Bessa.

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REPORTAGE | BESSA

Una ulteriore possibilità per gli escursionisti è data dalla GTB -Grande Traversata del Biellese, le cui tappe n°14, 15 e 16 percorrono i tracciati di alcuni dei percorsi sopra indicati oltre che l'intero tracciato della strada della "Mezza Bessa", piacevole e sinuoso percorso che, con modeste ondulazioni, parte da Cerrione e raggiunge la Pista ciclabile dei "Cumuli di Ciottoli", e dal quale si diparte un sentiero di collegamento che conduce all'area della ex Cava Barbera, dove sono stati realizzati due punti di osservazione faunistica nonché una struttura di protezione di un canale di lavaggio riportato alla luce nel corso delle opere di recupero ambientale della cava Lastessa.Bessa presenta inoltre una fitta rete di sentieri e stradine sterrate, non segnalati e non soggetti a costante manutenzione, che talvolta si perdono nella vegetazione: addentrarsi in questi percorsi non comporta rischi particolari, tuttavia l'uniformità del paesaggio può determinare la perdita dell'orientamento; in tale eventualità, date anche le modeste distanze in gioco, è senz'altro utiledisporre di un buon fischietto da utilizzare per localizzare la propria posizione. In linea di massima la percorribilità dei sentieri è buona, ed i dislivelli da superare sono generalmente moderati: tuttavia, i frequenti tratti con fondo di ciottoli richiedono particolare attenzione a causa della naturale scivolosità, specie nelle stagioni autunnali e invernali, dopo una pioggia o nelle prime ore del mattino.

Domenico Ianaro Photography Tra le ciclovie, si consigliano la pista ciclabile del “Vecchie cave”, dei “Massi erratici” e quella dei “Cumuli di ciottoli”.

L’Ente di Gestione Aree Protette Baragge – Bessa – Brich offre diverse possibilità di visite guidate: esperti accompagnatori vi potranno condurre alla scoperta del misterioso e affascinante mondo della Bessa. Per i bambini sono predisposte particolari proposte basate sul gioco o l’avventura.

Del “manto bianco” della Bessa oggi rimane poco e alla prima occhiata la distesa di ciottoli si rivela grigiastra e monotona, ma se ci avviciniamo di più possiamo scorgere, sotto l’ossidazione superficiale e l’attecchimento di muschi e licheni, gli originali colori dei ciottoli.

Altre iniziative prevedono passeggiate notturne, itinerari in bicicletta, conferenze o giornate di studio, escursioni con esperti su diversi aspetti della Riserva. Da segnalare in autunno la consueta festa dell’Associazione “Vermogno Vive”, in cui una decina di artisti e artigiani espongono le loro opere tra le vie della caratteristica frazione.

Tali cromie corrispondono a diversi minerali o a inclusioni entro i ciottoli di quarzite e, con un po’ di pazienza, possiamo scoprire questo mondo variopinto che fino a qualche decennio fa attirava decide di visitatori e rappresentava il vanto del Siterritorio.ringraziano per l’ospitalità i guardiaparco dell’Ente di Gestione delle Aree Protette del Ticino e del Lago Maggiore, in particolare il Responsabile Territoriale Bessa Burcina Gianni Innocenti, che ci ha guidati alla scoperta della Riserva Naturale Speciale La Bessa.

Potrete sperimentare, inoltre, “stivali ai piedi e piatto in mano”, la ricerca dell’oro sul torrente Elvo e sono disponibili specifiche proposte per scolaresche e famiglie. L’Ente, in aggiunta, offre alle scuole, ai centri estivi e ai gruppi di ragazzi numerosi e collaudati progetti didattici di educazione ambientale, con interventi in classe e nella Riserva.

REPORTAGE | VILLA DELLA REGINA Adriana Oberto Floriana Podda Lorena SamueleRemoMaurizioDuranteAnfossiTurelloSilvaAcuradi Adriana Oberto Giroinfoto Magazine nr. 78 52

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La vigna del Cardinale Maurizio

REPORTAGE | VILLA DELLA REGINA Adriana Oberto

Photography

Villa della Regina (conosciuta in passato anche come Villa del Cardinale o Vigna della Regina) è una villa del Seicento sulle pendici della collina di Torino, in posizione dominante rispetto al centro. In quanto residenza della casa reale dei Savoia, è iscritta dal 1997 nella lista Patrimonio Mondiale dell’UNESCO insieme alle altre Residenze Sabaude.

Le prime vigne vengono costruite già nel XV secolo, ma è nel 1700 che questa moda prende piede e cambia l’aspetto del paesaggio collinare, che fino allora era rimasto incolto e coperto di boschi. Turello Photography

Remo

Adriana Oberto Photography Le “Vigne” sulla collina torinese Per “Vigna” si intende, in questo caso, una vasta proprietà, coltivata non solo a vigneti, ma anche orti e boschi, con edifici padronali e rustici, in cui le famiglie nobili e di ricchi mercanti torinesi si trasferivano nella bella stagione per la “villeggiatura”, periodo che poteva andare dalla Pasqua alla festa di Ognissanti.

REPORTAGE | VILLA DELLA REGINA Giroinfoto Magazine nr. 78 54

La villa venne fatta costruire dal Cardinale Maurizio di Savoia, figlio cadetto del Principe di Piemonte Carlo Emanuele I e fratello di Vittorio Amedeo I. Nel 1615 il cardinale fece progettare all’architetto Ascanio Vitozzi il rifacimento di una “vigna” preesistente che aveva acquistato dalla famiglia Forni. Al tempo l’abitazione era molto semplice, costituita da un salone centrale e quattro stanze ai lati, ubicata in una conca naturale, e molto più piccola di quella attuale ricavata attraverso terrazzamenti e sbancamenti, ma pur sempre in una posizione privilegiata sulla collina di Torino e rivolta verso di Quelloessa.che Carlo Emanuele I e il Cardinal Maurizio avevano in mente erano le ville presenti all’epoca attorno a Roma, quali Villa Aldobrandini a Frascati e villa D’Este. Il Cardinal Maurizio era un grande collezionista, faceva parte di accademie di letterati a Roma (e qui ne ricreerà una) e aveva perciò ben chiaro il tipo di residenza che desiderava: al di là del fiume, ma in stretto contatto con la città, doveva essere luogo di diletto, destinata a soggiorni piacevoli. In contrapposizione alle finalità del Palazzo Reale, che era un luogo di comando e di potere: uno al centro della città, l’altra D’altrondeattorno.

REPORTAGE | VILLA DELLA REGINA Giroinfoto Magazine nr. 78 55

Samuele Silva Photography

sono molte le residenze reali attorno a Torino e queste avevano scopi molteplici, quali ad esempio la caccia e Lal’agricoltura.Villadella Regina (al tempo definita “vigna”) era una residenza suburbana con una parte boschiva, ma anche una dedicata all'agricoltura e al vino; c’erano perciò boschi, orti e un grandissimo vigneto, che era molto più ampio di quello che è stato ripristinato di recente, ridando così a Torino il suo vigneto urbano. Podda Photography

Floriana

Nel 1994 passò al Demanio, che la diede in consegna alla Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte. Fu oggetto così di una lunga opera di restauro, che porterà all’apertura al pubblico nel 2006. È rinata anche la vigna, che produce dal 2008 un’ottima Freisa. La villa è stata inoltre set cinematografico, a partire da un cortometraggio del 1909 (all’epoca del cinema muto torinese) e fino al 2014, quando vi venne girata la miniserie televisiva La Bella e la Bestia, passando anche da un’apparizione nel film The Italian Job (l’originale – la banda si riunisce nel salone aulico per organizzare il “colpo”).

Il Cardinal Maurizio rinunciò alla porpora cardinalizia e sposò la nipote Ludovica (o Luisa Cristina di Savoia), che all’epoca – il 1642 – aveva 13 anni. La coppia si trasferì in villa, che per un certo periodo prese il nome, appunto, di “villa Ludovica”. È in questo periodo che venne costruito il padiglione dei Solinghi per ospitare l’omonima Accademia – un salotto di accademici, scienziati ed intellettuali del tempo.

REPORTAGE | VILLA DELLA REGINA Giroinfoto Magazine nr. 78 56

Il cardinale morì nella villa nel 1657 e questa passò alla moglie, che riammodernò sia gli interni, sia il giardino, affidando la progettazione ad Amedeo di Castellamonte; vi morì, senza aver dato eredi al cardinale, nel 1692.

Floriana Podda Photography

La villa venne ereditata da Anna Maria d’Orléans, moglie di Vittorio Amedeo II, re di Sicilia e poi di Sardegna e Duca di Savoia; questa ne affidò la riprogettazione a Filippo Juvarra. È a questo punto che la villa assunse l’aspetto che vediamo oggi, divenne luogo di delizie e svago e ospitò la corte durante tutto il mese di settembre (dopo il giorno 8, che rappresentava giorno di festa e commemorazione della liberazione di Torino dall’assedio del 1706). Con Anna Maria d’Orléans Villa Ludovica divenne a tutti gli effetti Villa della Regina e incominciò ad essere conosciuta con questo nome. Quando l’imperatore Bonaparte occupò il ducato di Savoia, la villa divenne parte del patrimonio imperiale, il che ne permise la conservazione e il suo utilizzo una volta ritornati i Savoia. Dopo l’unità d’Italia e a seguito del trasferimento della corte, la villa fu donata da Vittorio Emanuele II nel 1865 all’Istituto nazionale delle Figlie dei Militari e cessò così di essere proprietà privata di casa Savoia. Le sue stanze furono adibite ad alloggio e aule studio e molti arredi furono trasferiti al Palazzo del Quirinale. La villa mantenne la sua funzione di collegio fino alla Seconda guerra mondiale, quando i danni causati dai bombardamenti (nel corso dei quali fu anche distrutto il Palazzo del Chiablese – un edificio del XVIII secolo attiguo alla villa e che ospitava la cappella) ne decretarono la chiusura. Per anni, e fino al 1994, la villa rimase in stato di abbandono e oggetto di degrado, sia internamente sia esternamente.

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Adriana Oberto Photography Ci accompagna nella visita la dott.ssa Chiara Teolato, direttrice della villa.

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Consegue in seguito un master in management delle amministrazioni pubbliche alla SDA Bocconi di Milano. Dal 2013 si occupa di Residenze Sabaude, prima come responsabile delle attività per i siti UNESCO, poi come direttrice, per un breve periodo, del Castello di Agliè, di Palazzo Carignano dal 2018 al 2021, e ora di Villa della Regina. Come dice lei stessa, ha scelto di occuparsi della Villa “perché è un luogo magico, in cui arte e natura vivono in perfetta simbiosi guardando la città di Torino”.

Dopo essersi laureata e specializzata in Storia dell’arte presso l’Università degli Studi di Roma "La Sapienza", ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia e conservazione dell’oggetto d’arte ed architettura all’Università Roma Tre, dove è anche stata assegnista di ricerca e si è occupata di studi sulla storia del collezionismo italiano ed europeo, con ricerche condotte principalmente in Inghilterra, in Svezia e Germania.

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Per apprezzare appieno l’ubicazione e la disposizione delle diverse parti della villa bisogna considerarne la sua importanza strategica. La villa – come le ville romane a cui il cardinale si ispirava –è fatta per essere vista dalla città, ma anche per guardarla; si tratta di sfoggiare e nello stesso tempo ribadire il proprio Lapotere.Villa guarda verso il centro di Torino ed è collegata ad essa dal Questoviale.è stato riaperto di recente nella sua totalità per volere della direttrice e grazie ad un esempio virtuoso di collaborazione, che ha visto impegnati non solo i giardinieri, ma anche l’associazione Amici di Villa della Regina, che ha procurato le piante e gli attrezzi necessari ai giardinieri, e la circoscrizione, che ha fatto intervenire il Comune di Torino per lavori sul viale stesso. Esso è infatti parte importante per comprendere questa funzione della villa. Si tratta del viale aulico, contornato oggi da platani, in origine da olmi; percorrendolo in salita è possibile cogliere a poco a poco la struttura della villa e il disegno del giardino che la Sicirconda.arrivacosì al Grand Rondeau (chiamato anche, in maniera italianizzata, “Gran Rondò”). Si tratta di un bacino circolare di 20 metri di diametro, la fontana del Nettuno, circondato da una scala a tenaglia, che lo avvolge all’esterno e porta al livello superiore. Al centro della fontana il dio Nettuno è seduto su uno scoglio e lancia acqua verso un putto sul dorso di un delfino. Il bacino è attorniato da dodici divinità per lo più acefale; tale situazione si deve al periodo di abbandono della villa, durante il quale la stessa ha subito furti e danneggiamenti. Dietro alla fontana – al di sotto della terrazza al livello superiore, troviamo tre nicchie con sculture; queste sono realizzate in sassi e murso: si tratta di una particolare decorazione usata per i giardini e le grotte con l’acqua, creata con concrezioni di pietra che donano una diversa luminosità alle pareti. Qui il murso è bicromo.

Photography Adriana Oberto Photography

Lorena Durante

Salendo la rampa a tenaglia si arriva ad una terrazza e alla Corte d’Onore. Da qui si accede alla villa. Anche qui c’è una scala, simile alla precedente ma più piccola, con al centro una vasca con una ninfa. Si tratta della Fontana della Sirena, di forma ellittica. É una peschiera ed era perciò popolata al tempo da carpe e trote che fornivano le cucine della villa, situate proprio dietro di essa, nella parte inferiore. Il sistema di alimentazione delle fontane è ancora quello seicentesco e serviva non solo a portare l’acqua, ma anche a creare veri e propri giochi d’acqua.

Lorena Durante Photography REPORTAGE | VILLA DELLA REGINA Giroinfoto Magazine nr. 78 60

Samuele Silva Photography Da questa seconda scala a tenaglia si accedeva direttamente al Salone d’Onore. La facciata della villa, che guarda su Torino, è del Settecento, ed è costituita da un corpo centrale avanzato con ampio ordine di finestre e una balaustra in cima, sopra la quale si trovano quattro statue di marmo bianco.

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A lato del corpo centrale ci sono due maniche laterali che terminano con un torrione. A destra e a sinistra si trovano i due parterre. Sono due giardini – uno a nord e uno a sud –realizzati secondo l’arte topiaria con i bossi, che venivano tagliati a formare strutture geometriche. Il parterre nord è stato recuperato, per quel che riguarda il disegno del giardino, ma non quello sud, anche se il suo recupero è in progetto. Quello nord, esposto pertanto a sud, dava l’accesso all’orangerie, dove si ricoveravano i limoni e gli agrumi durante il periodo invernale.

É qui che verrà realizzato il palazzo del Chiablese, utilizzato dai duchi durante il loro soggiorno alla villa, donato anch’esso all’Istituto delle figlie dei Militari, bombardato durante la Seconda guerra mondiale e mai più ricostruito. Il parterre sud è molto interessante perché, oltre alla parte di giardino, vi erano due sentieri che portavano ad una zona sopraelevata, che ospitava un giardino segreto, rettangolare, con carpini che ne schermavano la presenza, ma dal cui interno si poteva vedere la città, e in seguito alla ghiacciaia e da lì alla parte superiore dei giardini; si tratta, infatti, della parte esposta a nord, molto in ombra a causa della conformazione del territorio e quindi più fredda e adatta ad ospitare la ghiacciaia e al mantenimento della frescura.

La parte nord della tenuta – esposta perciò a sud – era invece quella che ben si prestava ad ospitare gli orti e la vigna.

Al di là della villa si estende un altro giardino, che è invisibile dall’entrata, che contiene il teatro delle acque e l’asse del ABelvedere.questopunto si entra nella villa, non dalla scala a tenaglia, ma da una porta laterale attraverso la quale si accede alla biglietteria, alcuni locali interni e alle scale. Da qui si arriva al piano nobile e si passa al salone d’Onore e alle due ali laterali che ospitano gli appartamenti.

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Samuele Silva Photography Durante Photography Il Salone d’Onore che vediamo oggi non è quello originario seicentesco, ma la versione trasformata e ampliata dall’architetto Filippo Juvarra. Questi pensa e crea il magnifico salone d’Onore in questo modo, perché esso rappresenta l’anello di congiunzione tra il giardino che guarda la città e quello verso la collina; si tratta pertanto di un punto di snodo, non solo tra i due giardini, ma anche tra gli appartamenti del Re a nord e della Regina a sud. Il salone – a doppia altezza – è caratterizzato da architettura reale e architettura sapientemente dipinta, in una serie di trompe-l’oeil che esaltano e allargano gli spazi. É estremamente luminoso grazie alle due serie di finestroni, intervallati da una fila di finestre circolari, che si sviluppano su entrambe le facciate. Gli affreschi, che ricoprono la quasi totalità della superficie dei muri, sono del pittore modenese Giuseppe Dallamano e risalgono alla prima metà del XVIII Ilsecolo.soffitto, che ospitava nella sua parte centrale il “carro di Aurora” di Giuseppe Valeriani, subì gravi danni a causa del bombardamento del 1942 ed è perciò non originale, ma ridecorato negli anni Cinquanta del secolo scorso con semplici nuvole; sono invece sopravvissuti i due dipinti sulle pareti nord e sud, opera di Corrado Giaquinto, che ritraggono “Apollo e Dafne” e “Venere che scopre il corpo di Adone morto”.

Lorena

Adriana Oberto Photography

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Samuele Silva Photography La balconata al piano superiore non è unica, ma formata anch’essa da parti reali e parti dipinte – reali nei lati est e ovest, dipinte in quelli nord e sud. La prospettiva creata dagli affreschi, che riprendono non solo la ringhiera, ma le colonne, le porte e tutti gli altri elementi architettonici, contribuisce alla magnificenza del luogo.

Durante il periodo in cui la villa è stata un collegio, l’Istituto Nazionale per le Figlie dei Militari utilizzava il salone come sala di rappresentanza e i loggiati sovrastanti come laboratori di cucito e disegno per le allieve (la maggior parte del collegio era ubicato nel Palazzo del Chiablese, andato distrutto).

In uno spazio adiacente il salone si trovava la cappella, poi abbandonata per una più grande che era stata costruita all’interno del palazzo del Chiablese. Il pavimento a piastrelle bianche e nere è dell’inizio del ‘700; le decorazioni del salone sono del 1733; Juvarra si trasferirà a Madrid nel 1735 lasciando ad altri il compimento della villa.

I soffitti dei vestiboli rappresentano le quattro stagioni e sono opera di Giovanni Battista Crosato; il carattere agreste, più “leggero” e giocoso, delle immagini rappresentate indica chiaramente che qui ci troviamo in un luogo di piacere e non in un palazzo del potere.

Adriana Oberto Photography REPORTAGE | VILLA DELLA REGINA Giroinfoto Magazine nr. 78 65

Le ali laterali: Fatta accezione per la parte occupata dalla scala interna, e che si trova nel lato sud della villa, la disposizione delle camere è simmetrica; gli appartamenti a nord sono quelli del Re – verso sud troviamo quelli della Regina. Gli appartamenti del Re sono composti da camere private nella parte a ponente (il fronte della villa) e camere di intrattenimento dalla parte opposta (a levante – verso il giardino interno). Dal 1868 le camere furono usate come aule scolastiche dal Collegio delle Figlie dei Militari.

Lorena Durante Photography REPORTAGE | VILLA DELLA REGINA Samuele Silva Photography Giroinfoto Magazine nr. 78 66

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La prima stanza che incontriamo a nord e verso levante è quella detta del Trucco Tale denominazione deriva dal fatto che un tempo vi si trovava un tavolo da biliardo usato per un gioco di allora che era simile alle “boccette”, il “trucco” appunto. Al centro del soffitto c’è il dipinto di Francesco Beaumont “il trionfo di Davide”.

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La scelta di tale soggetto non è a caso, ma fu fatta per celebrare le gesta di Vittorio Amedeo III che, dopo aver liberato Torino dall’assedio del 1706, assunse il titolo di Re con la firma del trattato di Utrecht. Qui il re è paragonato al patriarca Davide, che era diventato re d’Israele dopo aver sconfitto Golia, comandante dei AlleFilistei.pareti

troviamo un grande quadro rappresentante il castello di Saint-Cloud (vicino a Parigi) dove era nata e cresciuta Anna Maria d’Orléans. Sulla parete di fronte i ritratti di Maurizio di Savoia, Anna Maria d’Orléans e di Vittorio Amedeo III. Ai due lati, e contrapposti, ci sono due quadri, datati 1878 e di Paolo Emilio Morgari, rappresentanti Maria Adelaide d’Asburgo Lorena e suo marito il Re Vittorio Emanuele II. Quest’ultima immagine è molto importante in questo luogo, perché vi si ritrae il Re con in mano l’atto di cessione della villa all’Istituto Nazionale delle Figlie dei Militari. Segue un’anticamera, che veniva usata nel Settecento per giochi e che è ricca di ritratti familiari e nature morte di pittori Diversafiamminghi.per foggia è la targa commemorativa in bronzo, risalente al periodo del collegio, su cui è inciso il bollettino militare con cui Armando Diaz annunciò la fine della Prima guerra mondiale nel 1918. Inoltre, due soprafinestre di Giovanni Battista Crosato raffigurano giochi di putti e burle. Adriana Oberto Photography

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Samuele Silva Photography Il locale successivo, verso levante, è un bellissimo gabinetto “alla China”. Era rivestito da preziose tappezzerie in taffetà à la branche, descritte da un inventario del 1755. Pietro Massa aveva inoltre realizzato tra il 1732 e il ‘35 una preziosa boiserie con pannelli che simulavano carte cinesi. Questi vennero smontati, immagazzinati per un tempo nel castello di Moncalieri e poi trasferiti al palazzo del Quirinale a Roma. Il rivestimento in carta delle pareti viene oggi riproposto da pannelli ignifughi. L’ultima sala verso la collina era la Biblioteca. Si trattava di un piccolo locale molto sontuoso, adibito appunto a biblioteca, risalente agli anni 1735-40 e creato da Pietro Piffetti “ebanista del re e re degli ebanisti” con legno di pioppo con alta zoccolatura e scansie per i libri. Il corpo era rivestito da pannelli in palissandro, ulivo, bosso e tasso e gli intarsi erano in avorio. La libreria fu smontata tra il 1867 e il 1868 e trasferita nel 1876 al Quirinale per ornare dal 1879 la stanza contigua alla camera da letto della regina Margherita di Savoia ed è ancora Unalì. consolle, sei sgabelli e una sputacchiera sono a Palazzo reale. Restano il pavimento, opera dello stesso Piffetti, e il soffitto di Giovanni Francesco Fariano, dove è rappresentata Minerva che scaccia i giganti, immagine metaforica del trionfo della cultura sulla violenza e l’istinto bruto. Al tempo del collegio questo era lo studio della direttrice. Ci volgiamo adesso agli appartamenti verso ponente. Dall’anticamera verso levante si passa alla camera da letto del Re É probabilmente la stanza più sontuosa. Sul soffitto, una tela da plafond del Beaumont rappresenta Apollo col suo carro che solca il cielo introdotto da Aurora. Anche qui c’è un chiaro scopo celebrativo, in cui il sovrano viene accostato ad Apollo (il disco solare).

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Nell’Ancien Régime, infatti, il re era spesso considerato, come il sole, il centro dello stato, attorno al quali ruotano tutti i poteri (i pianeti). Ai lati sono rappresentate le stagioni e agli angoli quattro scudi dorati contengono la personificazione delle quattro virtù: la Fortezza, la Giustizia, la Prudenza e la Temperanza. Le immagini delle soprafinestre e soprapporte sono di Corrado Giaquinto ed in parte (quelle sopra le porte) copie fotografiche degli originali che si trovano al Quirinale. Il letto a baldacchino si trovava dove oggi è appeso il ritratto della regina Margherita di Savoia.

Adriana Oberto PhotographyLorena Durante Photography A destra della camera da letto, e opposto al gabinetto di levante, si trova il Gabinetto di Ponente verso mezzanotte, anch’esso “alla China” e ricco di decorazioni di gusto “chinese”.

Remo Turello Photography

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Si tratta di otto pannelli di legno a fondo giallo, opera di Pietro Massa, con montanti bianco avorio e ramages blu, e tre specchiere, il tutto incorniciato in oro. I dipinti sono in rilievo e rappresentano soggetti tipici della produzione artistica cinese, rappresentanti paesaggi con alberi e animali esotici, personaggi orientali con abiti colorati, come colorati sono gli uccelli che ornano la parte inferiore dei Glipannelli.stucchi sulla volta, come quelli della camera da letto del re, sono luganesi. Accanto al gabinetto, il guardaroba del re contiene mobili in legno di noce. Gli affreschi del soffitto sono purtroppo andati perduti a causa dell’umidità. Si trattava di affreschi a “grottesche”.

Glimitologiche.stucchidella

Tornando verso il salone centrale c’è ancora l’anticamera di ponente Questa stanza conteneva circa ottanta dipinti, raffiguranti diversi soggetti tra cui ritratti, nature morte, paesaggi e scene

Samuele Silva Photography Maurizio Anfossi Photography REPORTAGE | VILLA DELLA REGINA Giroinfoto Magazine nr. 78 71

Le sovrapporte sono del Giaquinto. A questo punto abbiamo completato metà del giro e ci troviamo di nuovo nel salone centrale. Proseguendo, e per la regola di simmetricità dell’edificio, troviamo gli appartamenti della Regina; sono locali rivolti verso sud che si affacciano sia verso Torino a ovest, sia verso i giardini ad est. Adibiti ad aule scolastiche o ambienti di servizio al tempo del collegio, sono quelle che hanno subito i maggiori danni durante le Seconda guerra mondiale.

volta, come per il resto delle sale, sono di Pietro Somasso e meritano un’attenta osservazione. Al centro del soffitto vi era una tela raffigurante Diana ed Endimione, danneggiata durante i bombardamenti del 1943 e tuttora dispersa.

Floriana Podda Photography

Contiene un unico mobile sopravvissuto tra quelli documentati storicamente: un piccolo doppio corpo in legno in “lacca povera” e decorato ad imitazione delle preziose lacche orientali. Tutto il resto è andato perso, così come è andato distrutto il rivestimento delle pareti in Dataffetà.vedere sono invece la zoccolatura con scene orientaleggianti, le porte con medaglione centrale e i monogrammi di Polissena D’Assia-RheinfelsRothemburg nelle cornici di legno ornate con foglie d’oro agli angoli tra porte e sovrapporte, entro le quali sono inseriti degli specchi. Il soffitto presenta lacerti di pitture a fresco con decorazioni di grottesche, ornati vegetali, animale e figure maschili.

e le decorazioni della camera da letto della regina furono ampiamente distrutti nel bombardamento del 1943. Sappiamo che la stanza aveva una volta dipinta da Corrado Giaquinto nel 1733 con la rappresentazione dell’Olimpo; la tappezzeria era blu con motivi floreali. Gli arredamenti – quelli originali erano su progetto dello Juvarra – sono copie degli anni ‘50 del secolo scorso e si distinguono per la mancanza delle dorature. Ai tempi del Collegio questa era l’aula di musica e per questo troviamo un pianoforte verticale della fine Ladell’Ottocento.prossima sala, più piccola, è il gabinetto verso mezzogiorno e ponente “alla china” Si distingue dagli altri per il suo arredamento fisso.

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La prima stanza è l’anticamera di ponente Le decorazioni furono realizzate in più fasi, a partire dalla fine del Seicento con i lavori voluti da Maria Borbone d’Orléans. Dei primi anni del Settecento è la tela centrale del soffitto “Il Tempo e la Fama” di Daniel Seiter. Si tratta di un tema allegorico molto caro ai sovrani europei. La zoccolatura, il camino e le specchiere fanno parte del progetto di Juvarra, mentre sono di epoca napoleonica (primi decenni del XIX secolo) le pitture alle pareti, eseguite da Carlo Pagani a tempera su intonaco a Anchesecco.questa stanza era ricca di dipinti alle pareti, ora Glimancanti.arredamenti

Dall’anticamera si accede al gabinetto verso levante detto “delle Ventaglyne”, per la collezione di oltre trenta pagine di ventagli dipinti montati sulla boiserie. Se ne vedono le impronte sui riquadri delle pareti ed erano alternati a 26 effigi di personaggi delle stirpi legate ai LaSavoia.voltaè stata rifatta in gesso e ridipinta ad olio nel 1952 e riproduce le decorazioni originali. Manca il tondo centrale con “Amore che suona la cetra”.

le camere verso levante. Sono l’Anticamera, che fu più volte danneggiata dai bombardamenti; ciò che vediamo è frutto del restauro degli anni ‘50 del secolo scorso. In origine sul soffitto c’era una tela del Seicento raffigurante il Re Salomone che riceve la Regina di Saba; questa fu trasferita nella seconda metà del XIX secolo al Quirinale a Roma. Le pareti erano affrescate in stile pompeiano con colori vivaci e foglia d’oro. Ora ci sono dipinti del Novecento, a copia degli originali. Rimane una sovrapporta in carta dipinta con fiori e uccelli – opera attribuita a Francesco Rebaudengo –che risale alla fase tardo settecentesca della Villa; ve ne erano altre, sparite a causa di un furto nel 1979. Le poltrone, le sedie e il divano sono in stile impero e appartengono all’arredo della villa realizzato nel 1812 da Francesco Bolgi. La camera conteneva 43 ritratti di membri delle varie famiglie che hanno abitato la Villa.

REPORTAGE | VILLA DELLA REGINA Samuele Silva Photography Lorena Durante Photography Giroinfoto Magazine nr. 78 73

Il Guardaroba conteneva, tra l’altro, una “cadrega di servigio” e un montavivande per portare le pietanze direttamente al piano superiore dalle cucine. Il soffitto era decorato con variopinti arabeschi e a questi si univano “botti” in maiolica con decori blu e bianchi che fungevano da coronamento ai mobili. Rimangono le tracce dell'impianto idraulico che aveva trasformato la stanza nella toilette della direttrice al tempo del Rimangonocollegio.così

Attiguo a questo gabinetto ve ne è un altro, quello di mezzogiorno e levante “alla china”, che è uno degli appartamenti più affascinanti. Il progetto è unitario per boiserie e volta e comprende pannelli a fondo rosso inseriti in una struttura di legni con decori a fondo nero e tecniche orientali. Ci sono tre grandi specchiere con agli angoli, e, sopra delle mensole, quattro figure femminili chiné con teste e mani separabili dal corpo e abiti pieghettati; sono state scolpite nel legno, ma riproducono fedelmente la porcellana cinese. Disegnato dallo Juvarra e da Baroni di Tavigliano, fu realizzato dall’atelier di Pietro Massa. Con l’avvento del collegio, questo era lo studio delle Direttrice (1890) e divenne poi salotto da ricevimento.

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Lorena Durante Photography Il giardino Il giardino su cui si esce verso levante è quello privato, non visibile dalla città. Esiste una sorta di osmosi tra di esso e quello di fronte, data dalla presenza delle stesse vetrate su entrambi i fronti della villa. Qui venne realizzato un anfiteatro attraverso lavori di sbancamento, rimozione e contenimento della collina di Torino; tutta la scenografia è stata realizzata nello spazio di soli trenta metri. La prima parte che vediamo è il Cortile d’Onore o Esedra, dove nicchie contenenti le statue sono alternate con altre che hanno un piedistallo su cui poggiavano vasi con piante. Al centro vi è una fontana polilobata con un piccolo gioco d’acqua.

Adriana Oberto Photography

Samuele Silva Photography Maurizio Anfossi PhotographyLorena Durante Photography REPORTAGE | VILLA DELLA REGINA Giroinfoto Magazine nr. 78 75

Da qui parte l’asse del Belvedere Si tratta di un grande anfiteatro in cui si passa dall’esedra, per mezzo di uno scalone, alla grotta del Re Selvaggio, con i mursi e decorazioni di conchiglie. Questa prima parte è il giardino dei fiori. Due strade laterali portano al piano superiore e a una vasca più grande. La prospettiva – che ci fa immaginarie una distanza superiore ai soli trenta metri, è data dall’esedra, dagli obelischi ai lati della scala in corrispondenza degli ovali della fontana superiore con la cascatella della Naiade, e di questa che è in corrispondenza con la fontana del mascherone E poi un altro scalone a tenaglia conduce al belvedere superiore, opera dell’architetto Juvarra. Questo, rimodernato sotto Maria d’Orléans, porta il suo Tuttostemma.èin asse. Si tratta quindi di un vero e proprio Teatro delle Acque, alimentato dalla fontana del mascherone, che convoglia le acque della collina, cinto dal belvedere superiore e sormontato dal bosco al di là.

Samuele Silva Photography

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Remo Turello PhotographyFloriana Podda Photography Ai lati ci sono due belvederi. Quello nord affacciava direttamente sulla vigna ed è esposto a Piùsud.interessante, però, è il Padiglione dei Solinghi sul belvedere a sud. Qui si svolgevano le conversazioni letterarie, culturali, di musica, politica e letteratura dell’Accademia dei Solinghi, fondata da Maurizio di Savoia. Era perciò quello destinato all’ozio nell’accezione del tempo. L’edificio è alto e ripartito su due livelli; in quello inferiore una grande nicchia contiene l’effigie di Bacco. Al livello superiore vi è un edificio a due piani con fronte a fasce cromatiche bicolori. All’interno vi sono i resti di un impianto idraulico che suggerisce la presenza, anche lì, di un gioco di acque. Di questo rimane un’elaborata conchiglia bivalve in stucco nella nicchia centrale della sala.

Percorrendo la strada che porta al padiglione, sulla destra è possibile vedere quello che era il giardino segreto.

Ringraziamo per questa visita Il Ministero della Cultura e la Direzione regionale dei Musei Piemonte, nella persona della direttrice della Villa dott.ssa Chiara Teolato, che ci ha gentilmente e piacevolmente condotto alla scoperta dei suoi tesori. Giroinfoto

REPORTAGE | VILLA DELLA REGINA

Lorena

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Non ci resta a questo punto che visitare da soli il giardino per godere dello stesso, piacevole in ogni stagione dell’anno, nonché della meravigliosa vista sulla città di Torino. Durante Photography

Sulla sinistra una porta indica la presenza della ghiacciaia – posta in questo luogo, come si diceva, perché si tratta della zona esposta a nord e quindi più fredda.

BOOK | HANS GEORG BERGER Giroinfoto Magazine nr. 78 78

Una fotografia di attimi, restituiti senza modificare il gioco delle luci e delle ombre, in cui ogni taglio, ogni oggetto e ogni sfumatura possiede una sua ragione d’essere.

Quasi cinquant'anni di carriera del grande fotografo tedesco.

La fotografia di Hans Georg Berger (Treviri, 1951) è essenziale, realistica e purissima.

Magazine nr. 78 79

Una fotografia che non prevarica i contesti ma li assorbe e li trasforma in raffinati giochi di linee e di volumi.

Skira presenta Hans Georg Berger La disciplina dei sens, Fotografie 1972–2020 BOOK | HANS GEORG BERGER

Un viaggio che tocca le radici della spiritualità ritraendo con straordinaria compostezza gli universi interiori dell’uomo.

La sua accuratezza non deriva dall’artificio ma da un’incessante riflessione sulla naturalezza come sostanza dell’armonia.

Una fotografia che, nata nell’àmbito del dialogo intimo con sé stesso e con l’amato, ha saputo nel corso di mezzo secolo estendersi a una dimensione cosmopolita e universale, compiendo un viaggio straordinario, e probabilmente unico, all’interno della grande contemporanea.arte Ritratto di Hans Georg Berger ©Daniela Zedda Giroinfoto

BOOK | HANS GEORG BERGER Giroinfoto Magazine nr. 78 80

L’intera opera di Berger muove dalla scelta consapevole della fotografia come rimedio esistenziale, come strumento, rivelatosi nel tempo solidissimo, per dare corpo alla propria identità e al proprio universo di sensi e di sogni: una strategia capace di attenuare, attraverso l’arte, la sofferenza generata dalla distanza della propria condizione umana dalla realtà sociale e dal sistema dei valori condivisi.

Hans Georg Berger L'abbrivio, Isola d'Elba,1978 © 2021 Hans Georg Berger

Nell’arco di cinquant’anni, tale prospettiva ha consentito a Berger di mettere in gioco la ricchezza del proprio mondo interiore in un’esplorazione che si è progressivamente allargata dall’intimo della sua relazione con Hervé Guibert, alla dimensione sociale degli abitanti di Rio nell’Elba, sino ad approdare, dopo un lungo viaggio attraverso l’Asia ricco di significati metaforici, alla rappresentazione del buddhismo therava ̄da e dell’islam sciita.

Hans Georg Berger Agostiniani, Isola d'Elba, ©19902021

BOOK | HANS GEORG BERGER Giroinfoto Magazine nr. 78 81

Hans Georg Berger Hans Georg Berger Madre acqua, Laos, 2000 ©2021 Hans Georg Berger

Berger BOOK | HANS GEORG BERGER Giroinfoto Magazine nr. 78 82

Un viaggio e un approdo contraddistinti dall’esercizio di una ferrea disciplina intellettuale che, applicata innanzitutto alla propria vita, si è trasformata in un linguaggio capace di cogliere liricamente i tratti essenziali della realtà, non dimenticando mai la centralità etica, e non soltanto estetica, dell’oggetto fotografato. Francesco Paolo Campione insegna Antropologia culturale all’Univer- sità degli Studi dell’Insubria ed è direttore del Museo delle Culture di Lugano. Hans Georg Berger I colossi di Memnone, Luxor, Egitto, 1984 © 2021 Hans Georg Berger Hans Georg ©IsolaConsapevolezza,Bergerd'Elba,19842021HansGeorg

Hans Georg Berger Carlo, Isola d'Elba, 1995 © 2021 Hans Georg Berger 22,5 × 26,6 cm, 400 pagine 215 colori e b/n, cartonato ISBN 978-88-572-4663-5 Lugano, Museo delle Culture 13 maggio 2021 – 16 gennaio 2022 IN NOVEMBRELIBRERIA2021 Hans Georg Berger La disciplina dei sens, Fotografie 1972–2020 BOOK | HANS GEORG BERGER Giroinfoto Magazine nr. 78 83

REPORTAGE | FICUZZA Rita Russo Photography A cura di Rita Russo Giroinfoto Magazine nr. 78 84

CampofeliceMezzojusodiFitalia Lago di Scanzano Giroinfoto nr.

Magazine

REPORTAGE | FICUZZA Questo mese la nostra band vi porterà a circa 40 km dal capoluogo siciliano dove si trova una delle più grandi oasi verdi della Sicilia occidentale costituita dal Bosco della Ficuzza, che fa parte di una Riserva Naturale Orientata, estesa complessivamente 7398 ettari (di cui circa 5334 di riserva vera e propria e 2064 di pre-riserva), che comprende anche il massiccio carbonatico di Rocca Busambra, il Bosco del Cappelliere (contiguo a quello della Ficuzza) e il Gorgo del Drago.

Corleone Ficuzza Godrano delGorgoDrago Bosco del Cappelliere Bosco di Ficuzza Rocca Busambra Cefalà Diana Marineo Villafrati Chiarastella

Si tratta di un'area naturale protetta, gestita attualmente dal Dipartimento dello Sviluppo Rurale e Territoriale della Regione Siciliana, situata tra i comuni di Corleone, Godrano, Marineo, Mezzojuso e Monreale, tutti ricadenti in provincia di Palermo.

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L’importanza di questa vasta area sta nel fatto che, essendo in essa presenti l’80% delle specie faunistiche, tra uccelli e fauna selvatica, di tutta la Sicilia, insieme a oltre mille specie vegetali, essa rappresenta un patrimonio d’inestimabile valore per la ricchezza di fauna e di flora. Questo grande polmone verde, per le sue bellezze naturalistiche e storiche e per la sua vastità, è una meta fortemente ambita da tutti gli amanti del trekking, provenienti non solo dal vicino capoluogo ma da tutte le parti della regione che, grazie anche alla presenza di guide esperte, può essere fruita attraverso innumerevoli percorsi dal differente grado di difficoltà. Essa è anche la meta estiva preferita dai palermitani per sfuggire al caldo afoso della città. Sebbene in tutta l’area di riserva siano state ritrovate numerose testimonianze della presenza dell’uomo sin dalla preistoria, il piccolo nucleo abitativo di Ficuzza, frazione del Comune di Corleone, che conta 146 abitanti ed è sito al centro dell’omonimo bosco demaniale, deve la sua notorietà a Ferdinando I di Borbone, re delle due Sicilie che, all’inizio dell’Ottocento, dopo avere acquistato dal clero l’area boschiva dei feudi di Ficuzza, Lupo e Cappelliere, la scelse come luogo per farne una sua riserva di caccia, realizzandovi anche una palazzina reale che divenne la residenza estiva, la Casina Reale di Caccia, attorno alla quale sorse il piccolo borgo.

REPORTAGE | FICUZZA Palermo Ficuzza Corleone Giroinfoto Magazine nr. 78 86

Fino all’arrivo dei Borbone, infatti, l’area boschiva era stata risparmiata dall’essere disboscata totalmente perché, essendo impervia e rocciosa, mal si prestava alla pratica dell’agricoltura e fu per questo sfruttata esclusivamente come riserva di legna da ardere. Con l’Unità d’Italia, nel 1860, gran parte dell’area, già disboscata e dissodata, fu ceduta ai privati dal Demanio del Regno d’Italia che, nel frattempo, ne divenne proprietario.

Successivamente, nel 1871, quel che restò dell’ex riserva reale fu affidato all’Amministrazione Forestale che dichiarò questo territorio inalienabile. Nel 1901, il “Bosco nazionale inalienabile di Ficuzza”, divenuto meta preferita per la villeggiatura della nobiltà palermitana, fu dichiarato stazione climatica montana con una legge del Regno d’Italia e fu sempre maggiore la richiesta di concessione di terreni demaniali per la costruzione di nuove Conresidenze.unatto

del 1912, la proprietà della “Foresta Ficuzza” e della “Foresta Godrano” passò all’Azienda di Stato per le Foreste Demaniali. Durante la Prima Guerra Mondiale e ancor di più durante la Seconda, la necessità di utilizzare il legname per esigenze belliche prevaricò sulla protezione dell’area stessa che, per questo motivo, fu abbandonata al degrado. Nel 1948, l’area divenne di proprietà dell'Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana che rifiutò di concedere ulteriori concessioni, arrestando così lo sviluppo edilizio del borgo e provvedendo anche al suo rimboschimento, fin quando nel 2000, con un Decreto dell’Assessorato Territorio e Ambiente della Regione Siciliana, venne istituita l’attuale R.N.O. “Bosco della Ficuzza, Rocca Busambra, Bosco del Cappelliere e Gorgo del Drago” e con lo stesso decreto venne affidata la gestione della riserva all’Azienda Demaniale delle Foreste, oggi Dipartimento Regionale dello Sviluppo Rurale e Territoriale.

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La prima particolarità che s’incontra quando si raggiunge Ficuzza, percorrendo la Strada Statale n.118, è l’ Obelisco chiamato “La Guglia” che si erge davanti al bivio che porta al Questaborgo. struttura fu realizzata dai Borbone ed è costituita da un prisma verticale a sezione quadrangolare, sormontato da un tronco di piramide. Superata l’antica stazione ferroviaria, oggi divenuta rinomata struttura ricettiva, si raggiunge il centro del borgo nel quale, specie quando si arriva per la prima volta, è quasi impossibile non provare una forte emozione di fronte allo spettacolo che si offre davanti agli occhi, ossia l’ampia e austera struttura rettangolare della reggia borbonica, la Casina Reale di Caccia che, oltre a spiccare sull’ampio prato antistante l’intera facciata principale, è circondata dal verde del bosco e incoronata dall’alta vetta della Rocca Busambra, visibile alle sue spalle che, con i suoi 1613 m sul livello del mare, domina l’intera area di riserva e ne delimita a sud il territorio. Si tratta di un vero e proprio palazzo reale che fu costruito, a partire dal 1799, per volere del re Ferdinando I di Borbone che, in seguito alle insurrezioni e all’avanzata napoleonica, si trasferì a Palermo in fuga da Napoli, insieme alla famiglia. La realizzazione di questa grande struttura nacque da due esigenze, ossia quella di trovare una dimora che potesse contenere tutta l’intera famiglia e quella di trovare un luogo nel quale egli potesse esercitare la sua principale passione, ossia la caccia e la pesca. Così acquistando l’area di Ficuzza, il re fece realizzare il palazzo e destinò il bosco a tenuta di caccia, apportando migliorie e attrezzando entrambi di ogni comodità per renderli adatti alla sua persona; mentre, nel frattempo, faceva realizzare a Palermo la Casina alla Cinese, comunemente chiamata Palazzina Cinese e destinava il Parco della Favorita anch’esso a tenuta di caccia.

I lavori per la realizzazione del palazzo, il cui progetto fu redatto dal regio architetto Carlo Chenchi e modificato dall’architetto Giuseppe Venanzio Marvuglia (lo stesso che progettò la Palazzina Cinese a Palermo), iniziarono nel 1802 e terminarono nel 1807 e assorbirono notevoli risorse economiche in manodopera e materiali. Qui, il re vi visse dal 1810 fino al 1813.

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Manuela Albanese Photography L’edificio si affaccia su un vasto piano circondato da abbeveratoi, magazzini e case che ospitavano chi lavorava all’interno e a servizio del palazzo. La sua bellezza sta proprio nella semplicità delle sue linee. Esso presenta una pianta rettangolare e un prospetto dallo stile neoclassico, tipico dell’architettura siciliana di quel periodo. Quest’ultimo, attraversato da due ordini di finestre bordate, termina nella parte sommitale con un cornicione sporgente, poggiato su mensole decorate, sormontate al centro dallo stemma coronato dei Borbone, abbellito da un festone e dal gruppo scultoreo del dio Pan, protettore dei boschi e di Diana, dea della caccia. Alle rispettive estremità della facciata vi sono due grandi orologi, realizzati dall’artista Giuseppe Lorito. Al di sotto di quello destro si trova l’accesso esterno alla Cappella del Palazzo (ancora oggi in uso), sebbene il re poteva assistere alle funzioni religiose da un balcone interno, al quale accedeva dai suoi Mentreappartamenti.dallato opposto si trovava l’ingresso per la servitù.

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Rita Russo Photography L’edificio, che si sviluppa su due piani, ospitava al piano terra le abitazioni di quest’ultima e delle guardie, insieme alle dispense e alle cucine. Queste erano collegate da una scala interna alla cantina che era stata ricavata negli ambienti sotterranei, utilizzati per il riparo della carrozza del re e delle attrezzature, comunicanti all’esterno attraverso un cunicolo. Attualmente il sotterraneo ospita un erbario, all’interno del quale si trovano raccolte gran parte delle essenze riscontrabili nella riserva.

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Al piano nobile del palazzo, al quale si accede attraverso uno scalone di marmo rosso locale (estratto dal versante meridionale di Rocca Busambra), si trovano gli appartamenti reali e gli alloggi per i nobili che il re ospitava in occasione di feste e battute di caccia che lui stesso Purtroppo,organizzava.degli antichi splendori di una volta rimane oggi solo la camera da letto del re, nella quale sono rimaste ben visibili quattro colonne in marmo con capitelli in stile neoclassico e decorazioni e affreschi soprattutto sulla volta, nei quali sono raffigurate scene di caccia con un particolare gusto per l’esotico, di gran voga a Palermo in quel Pochiperiodo.sonogli oggetti d’arredamento presenti all’interno del palazzo in quanto il mobilio originario fu distrutto durante i moti del 1820-1821. Infatti, subito dopo il rientro del re a Napoli iniziò il periodo di decadenza dell’edificio che, durante la Seconda Guerra Mondiale, divenne anche sede del comando tedesco, così come documentato dalle scritte ancora visibili nei Ilsotterranei.palazzo, dopo i necessari lavori di ristrutturazione e restauro, è stato riaperto al pubblico nell'aprile 2009 e il 3 agosto 2013 la Regione Siciliana ha voluto utilizzare la struttura per istituire il "Museo multimediale del bosco di Ficuzza" dove vengono messe in risalto sia l'enorme biodiversità del parco, sia la storia di Ferdinando di Borbone durante la sua permanenza a Ficuzza. Infatti, esso è articolato in due sezioni, Ambientale e Architettonica, che con diversi livelli di approfondimento raccontano il palazzo e il parco nel loro contesto storico e Numerosinaturalistico.pannelli informativi, insieme ad un impianto di filodiffusione e video proiezione, permettono al visitatore di conoscere non solo tutti gli aspetti naturalistici del bosco ma anche quelli storici con un ampio sguardo alla dinastia borbonica ed alla loro presenza in Italia e in Europa. Sullo stesso piano è visitabile anche un’ampia esposizione di volatili presenti nell’area di riserva.

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A fianco del palazzo reale, affacciato sulla piazza del piccolo borgo, si trova il Centro regionale per il recupero della fauna selvatica “Ficuzza”, creato dalla Forestale nel 1996 e gestito oggi dalla LIPU, che oltre a svolgere servizio di assistenza alla fauna selvatica in difficoltà, ospita una sala didattica nella quale possono essere visionati filmati e proiezioni di diapositive sulla riserva. Si tratta di un vero e proprio ospedale che cura, riabilita e riammette in natura i suoi “ospiti”, specie i volatili, dotato di una sala operatoria, di un’area destinata alla convalescenza e riabilitazione e di una nursery nella quale vengono ospitati i nidiacei giunti al centro. Lasciata la piazza del borgo, ci si può addentrare tra le bellezze naturalistiche del bosco alla ricerca dei numerosi punti d’interesse presenti in esso, tra i quali spiccano i gorghi, la Peschiera del re e il Pulpito del re, tutti raggiungibili attraverso percorsi diversi l’uno dall’altro. Quando si attraversa il verde polmone e ci si immerge nel pieno della natura, tutto ciò che ci circonda ci può stupire: i colori e i profumi della vegetazione, i colori delle rocce che s’incontrano lungo il cammino, il crepitio delle ghiande calpestate lungo i sentieri, i riflessi sulle acque degli stagni, il tipico volteggio di un rapace e l’eco dei richiami di alcune specie di uccelli, il suono del vento tra le fronde degli alberi, la presenza di una gran quantità di muschi e licheni che ammantano la superficie degli alberi e delle rocce, creando un’atmosfera da fiaba invasa dai folletti e tanto altro. Un’esperienza sensoriale da vivere di persona! In particolare, nel bosco della Ficuzza e nel contiguo Bosco del Cappelliere, che costituiscono un’estesa area ricoperta da foresta mediterranea sempre verde, si trovano numerosi e variegati ambienti naturali. Infatti, dalle aree boschive vere e proprie in cui sono presenti diverse specie di quercia, come i lecci, le sughere, le roverelle e i cerri, oltre ad altre specie arboree come i frassini, gli aceri campestri e i castagni, si passa alle aree rupestri, a quelle umide e fluviali, oltre ai pascoli e alle praterie .

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La riserva è ricca di corsi d’acqua a carattere torrentizio, che scorrono lungo incisioni più o meno profonde e formano, talora, laghetti naturali, chiamati gorghi. In particolare, il gorgo è uno stagno, a carattere stagionale, con invaso pieno durante la stagione invernale e primaverile e secco durante quella estiva. Esso è uno degli ambienti naturali che può formarsi in aree argillose, come lo è gran parte della porzione settentrionale del Bosco della Ficuzza. Gli stagni temporanei sono di notevole importanza per la fauna e la flora dulci-acquicola, soprattutto invertebrata, che ha sviluppato strategie di sopravvivenza al periodo secco. La presenza d'acqua durante la primavera e l'inizio dell'estate consente la riproduzione di anfibi e insetti. I gorghi naturali più conosciuti nell’area di riserva sono due: il Gorgo Tondo, noto anche come Gorgo del Drago e il Gorgo Lungo. Rita Russo Photography Rita Russo Photography

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Il primo, distante da Gorgo Lungo qualche centinaio di metri, che un tempo era ampio anche se sempre poco profondo e quasi permanente, all'inizio dell'800 fu trasformato in Peschiera del re, un laghetto per l'allevamento di pesci d’acqua dolce come anguille e trote, dove Ferdinando I, re delle due Sicilie amava andare a pescare. Oggi questo gorgo presenta uno scarso contenuto d’acqua, anche durante il periodo invernale, che risulta insufficiente per la maggior parte della flora e della fauna di acqua dolce. Il Gorgo Lungo, invece, si mantiene ancora umido per diversi mesi dell’anno e ospita un’abbondante fauna. Il paesaggio è suggestivo: il gorgo è incassato in una conca boscosa e vi si accede attraversando una piccola valle particolarmente umida, ricca di muschi e licheni. Spesso è ricoperto da uno strato verde di lenticchie d'acqua e ospita la tartaruga palustre.

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Ai piedi della Rocca Busambra si trova, inoltre, una delle poche stazioni siciliane di Atropa belladonna, una pianta a fiore della famiglia delle Solanaceae, il cui nome deriva dai suoi effetti letali e dall’impiego cosmetico. Infatti, l’ingestione delle sue bacche causa la morte. Mentre, il suo epiteto di belladonna fa riferimento ad una pratica che risale al Rinascimento, quando le dame, per dare risalto e lucentezza agli occhi, usavano un collirio a base di questa pianta che, per effetto dell’atropina in essa contenuta, produceva la dilatazione della pupilla. Tra i grandi mammiferi presenti nell’area di riserva, oggi si ritrovano solo il daino ed il cinghiale, che sono stati reintrodotti dall’ente gestore all’interno di poche aree controllate e si nutrono delle ghiande prodotte dai lecci.

Altre specie presenti sono la volpe, la lepre italica, il coniglio selvatico, il gatto selvatico, la martora, la donnola, l'istrice e il riccio. Molto ricca è l’avifauna che, tra gli altri, comprende numerose specie di rapaci, come l’aquila reale, il falco pellegrino, il capovaccaio che si avvista solo nei periodi di migrazione, il nibbio bruno e il nibbio reale. Mentre è scomparso il grande gufo reale.

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La vegetazione arbustiva della riserva, che popola il sottobosco, è molto varia ed è rappresentata, tra le tante essenze, oltre che da un gran numero di orchidee selvatiche anche dal biancospino, dal pungitopo, dal caprifoglio, dall’asparago spinoso, dall'erica arborea, dalla ginestra spinosa e dalla rosa di San Giovanni.

Quest’ultimo è costituito da un sedile posto in cima ad una scala scavata nella roccia dove, si dice, che il re sedesse comodamente per cacciare, mentre i suoi servi spingevano la selvaggina verso di lui.

Così per proteggere la selvaggina, il re istituì un corpo di guardiacaccia e fece dotare il bosco di una serie di muraglie, denominate muracche, che avevano lo scopo di dividere in settori la tenuta (la zona di caccia vera e propria da quella di ripopolamento) e di altre costruzioni, ancora oggi visibili, come quella della peschiera e del Pulpito del re, che si trova a 927 m di quota.

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La riserva di caccia, passatempo preferito del sovrano Borbone, copriva migliaia di ettari.

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Tra le altre specie animali ritroviamo i rettili come la vipera, la lucertola verde, il biacco, il ramarro e le testuggini; tra gli anfibi è presente il rospo comune e tra i numerosi insetti va segnalata la presenza del raro coleottero Carabus famini.

Recenti studi geo-archeologici hanno, però, dimostrato che si tratta di un luogo di culto d’età protostorica, d’origine probabilmente sicana. Prossimo al trono del re si trova, infatti, un monolite dalla vaga forma di aquila (visto lateralmente) che fa parte di questo santuario rupestre e sul quale sono visibili segni alfabetici lasciati da queste civiltà protostoriche, purtroppo oggi vandalizzate.

Da questo luogo, seguendo un breve sentiero, si raggiunge un eccezionale punto panoramico, posto su uno spuntone di roccia, dal quale si domina tutta la vallata e si scorgono oltre ai paesi limitrofi all’area di riserva, anche gran parte del versante settentrionale di Rocca Busambra, che come un gigante controlla dall’alto quest’ultima.

Per la sua conformazione geomorfologica, l’ambiente che caratterizza la rocca è di tipo rupestre e presenta, dunque, forti escursioni termiche fra giorno e notte e venti battenti che disseccano i suoli.

Rita

Rocca Busambra, infatti, soprannominata “dolomiti della Sicilia”, è la cima più alta dei Monti Sicani, nonché il rilievo più alto della Sicilia occidentale ed è una dorsale calcareo dolomitica, molto frastagliata, che si sviluppa per circa 15 km da ovest ad est, interessata da fenomeni carsici.

Essa, sul versante settentrionale, ossia quello che si affaccia sul bosco, è caratterizzata da pareti verticali a tratti strapiombanti; mentre sul lato opposto, il pendio digrada più dolcemente e dalla sua cima si gode di un panorama mozzafiato su gran parte dell’isola.

Essa offre pace e rifugio anche ad animali esclusivi come il falco pellegrino o l’aquila reale, che nidifica qui e da qui si spinge a cacciare nelle aree aperte. Nel periodo invernale potrebbe capitare di essere testimoni di una parata nuziale di questo splendido animale. Russo

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Il piccolo borgo di Ficuzza emerge anche per la produzione di un particolare vino brut, realizzato da una nota casa vinicola siciliana e per l’arte casearia, quest’ultima ereditata dai Borbone.

I vigneti di Ficuzza, infatti, per la loro posizione, il microclima, l’acqua abbondante e l’ossigeno originato dal bosco, danno origine ad un prodotto di alta qualità. Mentre, tra i formaggi primeggia il caciocavallo, prodotto ancora oggi secondo i metodi in uso al tempo dei Borbone e il latte che arriva dai numerosi bovini che pascolano sui monti circostanti. Non resta, dunque, che provare… per credere! Rita Russo Photography

REPORTAGE | ALBERGO DEI POVERI A cura di Monica Gotta Adriana Oberto Dario Truffelli Luca MonicaManuelaGiuseppeGianfrancoBarberisCavassaTarantinoAlbaneseGotta Giroinfoto Magazine nr. 78 102

REPORTAGE | ALBERGO DEI POVERI

L’Albergo dei Poveri, uno dei palazzi più grandi di Genova se non il più grande, nasce a metà del Seicento con un intento di pubblica assistenza destinato all’accoglienza dei cittadini più disagiati della città. Questa struttura è sede museale e ospita tre grandi collezioni: i quadri, una pinacoteca consistente, un archivio storico estremamente completo e una collezione di circa 700 paramenti Ilsacri.cuore del complesso dell'Albergo dei Poveri è il grande salone dedicato ai benefattori e, sul fondo, la chiesa. In Italia esistono solo altri tre alberghi dei poveri.

GENOVA Luca Barberis Photography Adriana Oberto Photography Giroinfoto Magazine nr. 78 103

Le suore, che ancora oggi si trovano all'ospedale di San Martino, si chiamano Suore Brignoline così denominate proprio in suo nome. Emanuele Brignole donò una grande dimora affinché divenisse la casa madre dell’ordine.

Dario Truffelli Photography REPORTAGE | ALBERGO DEI POVERI Giroinfoto Magazine nr. 78 104

Il motivo del suo coinvolgimento era duplice. Non si stava solo pensando a come costruirlo, strutturarlo e organizzarlo ma anche a dove reperire il capitale necessario alla costruzione stessa. Il primo incarico consistette nello scegliere il luogo dove costruire il complesso. Scelse la valle del Carbonara che rispondeva a una serie di requisiti importanti.

Per dovere di cronaca la suddetta casa fu distrutta per costruire la Stazione Brignole che ancora porta il suo nome. Nel 1656, la Repubblica di Genova, decise di costruire un edificio dedicato agli indigenti.

L’Albergo dei Poveri è la più importante istituzione caritativa della storia di Genova; nasce nel 1656 con lo scopo di accogliere le fasce più povere della popolazione genovese che, a quel tempo, a metà Seicento prima della grande peste, contava circa 70.000 abitanti di cui 15.000, si stimava, vivessero in condizioni di assoluta povertà. La Repubblica di Genova costruì questo grande complesso per gli indigenti, grande in previsione anche di un aumento del numero dei poveri, trend comune all’Europa del tempo, con lo scopo ultimo di accorpare in questo complesso gli istituti minori presenti in città che già accoglievano orfani, anziani e Laindigenti.coesistenza di situazioni di vita molto diverse tra loro rappresentava effettivamente un grande problema. Fondatore dell’albergo fu Emanuele Brignole e a lui è dedicata una statua nel grande salone dei benefattori. All’interno di una delle stanze dell’albergo si può vedere l'originale da cui è stata prodotta la statua. Sono le uniche due rappresentazioni note di questo personaggio che fu uno degli uomini più ricchi della Genova del Brignoletempo.fu un uomo molto schivo e non volle né in vita, né dopo la sua morte icone della sua persona. Quest’idea nasceva dal fatto che non voleva essere ricordato personalmente, desiderava che si ricordasse solamente il suo lavoro e il suo impegno a favore di persone meno fortunate di altri. Effettivamente la sua opera più importante fu lui stesso. Importante finanziere, nacque in una delle famiglie più influenti del patriziato genovese. Ad un certo punto della sua vita decise di destinare tutti i suoi proventi finanziari in beneficenza. Prima di arrivare alla fondazione dell'Albergo dei Poveri si dedicò a istituzioni già esistenti di cui ne diventò benefattore, ricordiamo la Casa di Nostra Signora del Rifugio fondata da Santa Virginia Centurione Bracelli.

Si sottolinea l’importanza della presenza di un corso d’acqua e, in più, erano terreni disponibili, acquistabili e non eccessivamente lontani dalla città abitata, quella all’interno delle mura del Cinquecento che passavano da Piazza della Nunziata.

Per far ciò incaricò Emanuele Brignole di occuparsi del progetto, avendo maturato esperienze nel campo dell’assistenza e avendo ingenti disponibilità finanziarie.

Tecnicamente la valle era ed è attraversata dal Rio Carbonara che fu interrato all'inizio della costruzione dell'Albergo dei Poveri ed ancora oggi scorre sotto l'asse principale dell’edificio per poi proseguire lungo il corso di Via Brignole De Ferrari fino ad arrivare al mare.

L’intento della Repubblica di Genova era ben chiaro: che fosse noto al mondo che la Repubblica aveva collocato i suoi poveri in una reggia al pari di quelle dei più importanti personaggi dell’epoca. Erano gli anni in cui si stavano costruendo i palazzi dei UnoRolli.deiproblemi

Al centro del quadrilatero si inserisce l’organismo a croce destinato al culto. Questo è un modello tipico delle strutture ospedaliere, così fu per l'Ospedale Maggiore di Milano del Quattrocento progettato da Antonio Averlino detto Il Filarete o per l'Escorial in Spagna, noto alla Repubblica di Genova per le relazioni economiche con questo paese. Questi luoghi servirono da esempio per il progetto che Emanuele Brignole intendeva realizzare al suo interno. Qui sarebbero stati raccolti migliaia di poveri, dai bambini orfani di un istituto che venne aggregato, agli anziani di un altro istituto chiamato I Vecchi di Carignano, fino ai mendicanti presi dalla strada senza tralasciare le donne che, abbandonate, si sarebbero prostituite. Tutto ciò confluì all'interno dell’Albergo dei Poveri e ne rese grandi i numeri.  Emanuele Brignole, memore di esperienze precedenti che aveva maturato ad esempio nella visita al Lazzaretto della Foce, luogo che prima dell'Albergo dei Poveri veniva utilizzato per dare ricovero ai poveri nei momenti in cui non c'erano in corso pestilenze, decise di adottare un metodo diverso. Negli altri luoghi gli indigenti stavano in ozio e non erano divisi, situazioni che spesso generano e degeneravano in disordini e risse. Al contrario, nelle case fondate dalla Bracelli, le ragazze ivi accolte lavoravano e lui decise pertanto di applicare questo stesso criterio.  Si effettuò una prima divisione in base al sesso, le donne nell’ala est e gli uomini nell’ala ovest. Questa ripartizione portò alla configurazione di uno stile di vita quasi conventuale. Si effettuò un’ulteriore divisione in 18 reparti in base alle fasce d’età. Si veniva accolti a partire dai 3 anni e il limite superiore di età per risiedere all’interno era 21 anni, inizialmente applicato solo alle donne, poi esteso a tutti e, infine, c’era il reparto dedicato agli anziani.

costruttivi fu quello di inserire questo grande quadrilatero nella parte alta e stretta della valle. All’interno dell’albergo si vede una riproduzione del progetto Sioriginale.rinunciò in corso d’opera alla costruzione di una parte; oggi vediamo la facciata interamente realizzata, il lato est sede dell’università, la parte nord priva della porzione finale e la parte mai costruita dove si trova una roccia che ha impedito la chiusura del complesso. La costruzione durò dal 1656 al 1740 e, quando si riprese in mano il progetto nell’Ottocento, si constatò nuovamente l’impossibilità di effettuare questo lavoro. Venne, quindi, costruito un corridoio di collegamento che partendo dalla metà della facciata congiunge le due parti.

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Pertanto, la novità dell'Albergo dei Poveri fu che, per tutta la durata della loro permanenza, gli ospiti non potevano uscire a loro piacere come accadeva nei conventi. Ciò lo rese il primo edificio in Italia costruito in questo modo e tecnicamente fu chiamato reclusorio. Fu anche definito "basilica di pietà" e "reggia dei poveri" (Cit. Annamaria de Marini “Emanuele Brignole e l’Albergo dei Poveri di Genova”). Brignole e chi con lui pensò a quest’organizzazione riteneva che fosse la condizione necessaria per poter compiere questo percorso con lo scopo ultimo di essere reinseriti nella società, avendo appreso un mestiere, una volta usciti dall’Albergo dei Un’opzionePoveri. poteva essere anche il decidere di fermarsi nella struttura prestando la propria manodopera, scelta fatta dai Nell’Ottocentopiù.

Al piano terra c'erano ambienti predisposti per il lavoro e i bambini ricevevano anche un'istruzione.

L’innovazione consisteva quindi nel fatto che all'interno della struttura le persone non oziassero, ma erano impiegati in attività lavorative di tipo artigianale, soprattutto tessitura.

La struttura cominciava a decadere ed era troppo grande per essere riscaldata, inoltre non si prestava più all’assistenza Datodiurna.che l'Università necessitava di spazi per l'insegnamento si fece un accordo: la struttura restava in mano alla sua proprietà in quanto vincolata per sempre da Emanuele Brignole all’uso assistenziale senza possibilità di alienazione, mentre l’Università entrava con il diritto di superficie e poteva disporre degli spazi come se fossero propri, con indicazione di restauro a sue spese. Ad oggi l'Università ha già realizzato delle opere nella parte di Levante e nella facciata e sono in essere progetti per continuare i lavori di riammodernamento.

Il secondo motivo, altrettanto importante, era legato alla visibilità dell’edificio che, con un lato lungo ben 174 metri, poteva essere visto e immediatamente percepito da coloro che arrivavano a Genova via mare.

si entrava solo su richiesta spontanea ed era ancora così elevato il numero di richieste che, spesso, si era rifiutati. Tutto questo rimase immutato fino all'inizio del Novecento, quando l’albergo si trasformò in ospedale per lungodegenti, condizione che perdurò fino ai primi anni del nostro secolo. Dagli anni ‘90 si inserisce all'interno della struttura l'Università di Genova, scelta dettata da esigenze tecniche.

Luca Barberis Photography

La scelta dello stucco, a differenza di altre statue realizzate in marmo, era dovuta al fatto che riteneva giusto non spendere troppo nel rappresentare il benefattore, al fine di risparmiare i capitali da destinare ai poveri.

La statua che lo raffigura che oggi è opera di un suo discendente, fatta nell’Ottocento, forse “violando” le sue ultime volontà. Ma evidentemente questi ritenne opportuno che anche Emanuele fosse rappresentato e ricordato per la sua immensa opera caritatevole.

Giuseppe Tarantino Photography

REPORTAGE | ALBERGO DEI POVERI Giroinfoto Magazine nr. 78 106

Monica Gotta Photography

Dal punto di vista più artistico nel grande salone dei benefattori si può vedere una straordinaria collezione di statue in stucco a partire da quelle più antiche nelle nicchie e altre in fondo agli scaloni che sono state commissionate da Emanuele Brignole per i primi benefattori. Queste statue testimoniano quattro secoli di scultura.

Anche un altro cugino di Emanuele è qui rappresentato da una Sistatua.tratta di Giacomo Filippo Durazzo che porta un messaggio importante come tutte le altre statue. Queste statue imponenti dovevano colpire l'immaginazione di chi entrava e stimolare all'emulazione, ossia a fare una donazione all’Albergo dei Poveri.

Anton Giulio Brignole Sale, primo a portare il cognome Brignole Sale da cui poi discenderà anche la Duchessa di Galliera, fu un senatore, un diplomatico, politico e anche poeta (Van Dyck lo rappresenta a cavallo in un ritratto attualmente esposto a Palazzo Rosso).

Grazie ai nuovi donatori è stato inaugurato da poco il restauro di una Un’altrastatua.statua rappresenta un Brignole Sale, cugino primo di Emanuele Brignole, figlio del Doge Giò Francesco.

Morta la moglie Paolina Adorno, decise di entrare nella Compagnia del Gesù e proseguì la sua opera anche come benefattore nell’Albergo dei Poveri. In questo momento la Famiglia Brignole era all’apice della sua potenza economico-politica.

Giuseppe Tarantino Photography Giuseppe Tarantino Photography REPORTAGE | ALBERGO DEI POVERI Adriana Oberto Photography Giroinfoto Magazine nr. 78 107

Manuela Albanese Barberis

Le statue conducono alla chiesa, unica parte dell’albergo accessibile anche al pubblico esterno. Così entrando potevano vedere i grandi benefattori del passato e sentirsi coinvolti. Alcune statue settecentesche evidenziano il tema del denaro e il benefattore che sovrasta il beneficiato.

Photography Dario Truffelli Photography REPORTAGE | ALBERGO DEI POVERI Giroinfoto Magazine nr. 78 108

Photography Luca

Ognuna delle otto statue in gesso porta in sé un significato profondo e sono state realizzate da Giovanni Battista NelBarberini.Novecento si prosegue poi, come si vede nel corridoio, con targhe ed elenchi di nomi per ringraziare i benefattori con nome e cognome, anno e importo e si arriva fino al 1974.

Monica Gotta Photography REPORTAGE | ALBERGO DEI POVERI Giroinfoto Magazine nr. 78 109

Luca Barberis Photography REPORTAGE | ALBERGO DEI POVERI Giroinfoto Magazine nr. 78 110

Manuela Albanese Photography Giuseppe Tarantino Photography LA CHIESA Il primo tratto della chiesa, che non è consacrato, è considerato ancora spazio profano e si chiama Questoantichiesa.spazio è dedicato ad alcune pale d’altare che fanno parte della collezione pittorica dell’Istituto e sono state restaurate dalla Soprintendenza. Alla fine del Settecento, causa le leggi napoleoniche, i conventi e gli ordini religiosi furono soppressi e i loro beni confiscati. Queste opere erano state portate all’albergo nei secoli passati per le loro grandi dimensioni e la disponibilità di spazi e qui sono rimaste dove ancor oggi le possiamo ammirare. Nella chiesa si possono ammirare opere commissionate appositamente per essere collocate in questo luogo sacro.  Una in particolare, commissionata proprio da Emanuele Brignole, è l’Ascensione di Domenico Piola. Egli commissionò anche l’Immacolata Concezione di Pierre Puget che oggi è ancora collocata sull’altare della chiesa dell’Albergo, chiesa che è dedicata proprio all’Immacolata. La chiesa vera e propria è sopraelevata di cinque gradini rispetto all’antichiesa e ha due altari su ogni lato.

REPORTAGE | ALBERGO DEI POVERI Giroinfoto Magazine nr. 78 111

Photography REPORTAGE | ALBERGO DEI POVERI Giroinfoto Magazine nr. 78 112

Manuela

Photography Adriana

Si ritira dal palazzo di famiglia, che pensava essere troppo sfarzoso, si ritira in una casa più modesta, veste in maniera dimessa e cerca progressivamente di avvicinarsi ai suoi assistiti che aiutava in prima persona. Albanese Oberto

La cupola è posizionata all'incrocio dei bracci della chiesa. L'altare fu realizzato circa 100 anni dopo dallo Schiaffino, artista barocco genovese. La chiesa aveva l’importante scopo di essere simbolicamente posta al centro di tutto. Gli ospiti lavoravano e pregavano dando centralità alla parte di preghiera durante la loro giornata. Questo metodo consentiva di continuare a tenere separati i ricoverati anche durante i momenti di culto. Quindi la funzione veniva celebrata per tutti al centro e questa parte poteva essere frequentata anche dal pubblico esterno. Nella parte est c'era l'oratorio femminile che oggi è l'aula magna dell'Università e dall’altro lato c’era l'oratorio maschile. I poveri potevano assistere alle funzioni anche dalla parte alta, ossia dal corridoio di collegamento con la parte nord. Nella parte retrostante si trovava l’infermeria riservata ai malati in modo che anche loro potessero assistere alle funzioni.  A sinistra dell’altare attualmente si trova un’area sottoposta a Quirecupero.sitrova anche la tomba di Emanuele Brignole che, per sua espressa volontà, non porta il suo nome. Non volendo essere ricordato, scrive nelle sue ultime volontà di voler essere sepolto sotto una lastra senza nome, vestito con la stessa divisa che i poveri portavano in albergo e in corrispondenza alla parte di chiesa dedicata agli uomini, “per stare sempre sotto i piedi dei poveri che grandemente ho amato in vita”. In questo ultimo messaggio, bellissimo, che lascia e che denota grande umiltà, si riassume tutta la sua dedizione ai poveri.

Manuela Albanese Photography REPORTAGE | ALBERGO DEI POVERI Giroinfoto Magazine nr. 78 113

Uno dei quattro cortili è la metà di dimensione di quello di Levante, poiché questa è la parte incompleta con il corridoio di collegamento che passa attraverso l'oratorio da dove poi si intravede l’ala nord.

Gli ambienti lungo il corridoio oggi sono allestiti come museo e inizialmente erano gli uffici del Brignole, restaurati nel 2020 circa. Ad eccezione di due dipinti tutti quelli esposti fanno parte di una serie di 18 dipinti che aveva commissionato Emanuele Brignole al fine di esporli negli ambienti dove stavano i poveri e negli oratori in particolare. Tutte queste opere sono state create con l'intento di dare anche i poveri un esempio di virtù da emulare, così come le statue dovevano dare esempio ai benefattori per indurli a donare all’albergo. Tutti i dipinti, datati 1676, riportano una frase che sostanzialmente vuole indurre i poveri ad aumentare la propria devozione. Ce ne sono altri quattro nell'ultima stanza che visiteremo e ne manca uno che è collocato nella casa madre delle Brignoline.  Uno dei dipinti è molto particolare. Si pensa sia opera di un artista del Seicento genovese, forse Giovanni Battista Baiardo. E’ una rappresentazione della Sacra Famiglia piuttosto insolita che riporta alla mente la pittura fiamminga dove spesso si trova il bambino che tiene in mano i simboli della passione e quindi già presagisce il suo destino.

REPORTAGE | ALBERGO DEI POVERI Giroinfoto Magazine nr. 78 114

Nel corridoio degli uomini si vedono i nomi dei benefattori degli ultimi due secoli.

Luca Barberis Photography Giuseppe Tarantino Photography

Fu portata in albergo dal cardinale Spinola che veniva da Roma ed è attribuibile ad un allievo di Michelangelo probabilmente di scuola romana del Cinquecento.

LE SALE Inizia, infine, la scoperta delle sale attualmente adibite a Inmuseo.unadi queste troviamo una pietà che è stata per molto tempo attribuita a Michelangelo.

Adriana Oberto Photography REPORTAGE | ALBERGO DEI POVERI Giroinfoto Magazine nr. 78 115

Luca Barberis Photography

REPORTAGE | ALBERGO DEI POVERI Giroinfoto Magazine nr. 78 116

Luca Barberis Photography

In un’altra sala sono esposti alcuni dei paramenti sacri della collezione dell’Albergo dei Poveri. In tutto sono circa 700 pezzi di cui si sta realizzando il Ancherestauro.in questo caso esiste un progetto per cercare benefattori, che si chiama “adotta un paramento”. Alcuni di questi paramenti sono straordinari, si parte dal Seicento dove abbiamo un bellissimo paliotto in ciniglia di seta colorata e filo dorato e poi una serie di vesti che venivano utilizzate nell’albergo durante le celebrazioni religiose, giunte alla struttura attraverso i lasciti delle Quindifamiglie.le famiglie non donavano solamente denaro ma anche proprietà immobiliari, mobili, dipinti, vesti e paramenti sacri. Altra curiosità dell’albergo sono le madonne vestite ex-voto che si rifanno alla tradizione spagnola, quella delle madonne vestite, che prese piede anche a Genova attraverso i rapporti che la città intratteneva con la Spagna. La madonnina in cartapesta qui esposta è la struttura della madonna che veniva poi vestita con una serie di abiti che aveva a disposizione, arricchiti da bellissimi ricami, che venivano utilizzati a seconda delle occasioni del calendario Altriliturgico.due pezzi straordinari sono la dalmatica e la pianeta del primo quarto del Settecento, sotto i quali si intravedono pizzi pregiati. Tra le opere più interessanti è esposto un dipinto di Giovanni Battista Paggi, la Madonna del Rosario; mentre per altri dipinti, al momento, si hanno solo ipotesi attributive.

I due medici, che lo avevano in cura, quello di Genova e quello di Piacenza, entrarono in contrasto, scrissero diverse note per far valere la propria teoria su come curare questo paziente che chiamavano Il Signor Ipocondriaco. In realtà egli venne anche nominato nei testi con uno pseudonimo che lui stesso scelse di darsi e che risultò essere l'anagramma del suo nome. In seguito dopo la sua morte venne trovata una lettera dove effettivamente lo si nominava e che spiegava come causa dell’insorgere della sua malattia propria la denuncia subita.

Tornando al desiderio di Brignole di farsi dimenticare, questa storia associa la sua figura a qualcosa di molto particolare, qualcosa che lo analizza quasi da dentro.  Monica Gotta Photography Dario Truffelli Photography Adriana ObertoPhotography

REPORTAGE | ALBERGO DEI POVERI Giroinfoto Magazine nr. 78 117

sala contenente altri 4 dipinti, era ed è adibita a sala delle riunioni dove erano custoditi i documenti dell’archivio che presto torneranno qui, archivio che riguarda la storia dell’ente.

In questa sala c’è l'unico ritratto esistente di Emanuele Brignole che è di particolare interesse in quanto questo è stato realizzato solo un paio d'anni dopo la morte del Brignole, a differenza della statua realizzata circa 200 anni dopo la sua morte. Probabilmente questo dipinto è una riproduzione di Emanuele più simile alla realtà che non la statua. Emanuele era anche molto malato. La malattia fu probabilmente generata dalle critiche che aveva ricevuto sul suo operato. All'epoca c'era possibilità di mettere in un’urna a Palazzo Ducale, urna che si vede ancora oggi, i cosiddetti “biglietti di calice”, ossia delle rimostranze o denunce anonime che chiunque poteva esporre. Questi biglietti erano così chiamati per via della forma dei recipienti che venivano utilizzati per contenerli. Anche Emanuele fu colpito da questa forma di denuncia ingiusta che affermava che il Brignole spendeva troppo denaro in opere ritenute superflue quali quelle legate all’abbellimento dell’albergo pur trattandosi di soldi Epropri.proprio in seguito al suo impegno nella fabbrica dell'Albergo, divenne bersaglio di aspre critiche e invidie che gli causarono una sorta di patologia da stress che lo costrinse a lasciare Genova per farsi curare a Piacenza. A questo punto raccontiamo la storia incredibile che la Dott.ssa de Marini insieme a uno storico della medicina ha riportato alla luce 5 anni fa, una curiosità sulla vita del Brignole sconosciuta fino a poco tempo fa. Una storia che era rimasta sepolta negli archivi e che racconta l’evolversi della malattia di Emanuele Brignole.

In un’altra stanza sono esposti i mobili più belli della collezione dell’albergo. Sono mobili da sacrestia del Seicento, esempi di ebanisteria genovese con figure di mori molto espressive che custodiscono all’interno i volumi del fondo antico, catalogati di recente. Questa è anche l’unica sala affrescata di tutto il Un’ulteriorecomplesso.

Un argomento che tocca anche la nostra attualità, tocca i giorni nostri, basti pensare agli accadimenti di questi ultimi mesi che vedono il nostro mondo ancora straziato da conflitti che rendono l’umanità povera.

REPORTAGE | ALBERGO DEI POVERI Adriana Oberto Photography Giroinfoto Magazine nr. 78 118

Manuela Albanese Photography

Luca Barberis Photography

In questa visita, a parte conoscere la storia dell’Albergo dei Poveri, abbiamo imparato a conoscere una figura chiave della Genova del Seicento.

Uno dei più illustri genovesi dell’epoca, Emanuele Brignole appunto, ha lasciato dietro di sé un’opera monumentale e anche un insegnamento prezioso: aiutare gli altri, i poveri, coloro che hanno bisogno di essere sostenuti.

RINGRAZIAMO Architetto Marco Sinesi Commissario Straordinario di AsP Emanuele Brignole Dott.ssa Annamaria de Marini Sovraintendente Albergo dei Poveri e autrice del libro “Emanuele Brignole e l’Albergo dei Poveri di Genova” Dott.ssa Maria Angela Mollica Comunicazione AsP Emanuele Brignole REPORTAGE | ALBERGO DEI POVERI Giroinfoto Magazine nr. 78 119

REPORTAGE | RANVERSO Adriana Oberto Floriana Podda Maria Grazia Castiglione Mariangela Boni Massimo Tabasso Maurizio Anfossi Remo Turello A cura di Remo Turello e Maurizio Anfossi La Precettoria di Massimo Tabasso Photography Giroinfoto Magazine nr. 78 120

Castiglione Photography Torino Ranverso Giroinfoto Magazine nr. 78 121

Collocata sulla via francigena là dove la Val di Susa termina il suo declinare verso la pianura padana, l’antica Precettoria, sorta intorno all’anno mille, volge le spalle alla città di Torino per porgere la sua facciata verso le montagne, vis-à-vis con la Sacra di San Michele.

REPORTAGE | RANVERSO Maria

In una cornice naturale ancora assai ben conservata, il Complesso Abbaziale di Sant’Antonio di Ranverso è un’ampia struttura appartenente all’Ordine Mauriziano che ha nella chiesa sontuosamente affrescata il suo gioiello. Tutto il complesso monastico appare ancora oggi ben riconoscibile nella sua composizione originaria, comprendente, oltre alla chiesa, il monastero con annesso chiostro ben conservato sul lato della chiesa, l’ospedale, del quale si è preservata integra solo la notevole facciata con ghimberga e pinnacoli e, un ricco ed articolato sistema di Percascine.secoliha rivestito un ruolo fondamentale per i monaci Antoniani, non solo come punto di ristoro per i pellegrini che percorrevano la via francigena, ma soprattutto per i malati bisognosi di cure. Grazia

REPORTAGE | PLANETARIO TORINO

Nel presbiterio pregevoli affreschi raffigurano alcune scene della vita di Sant’Antonio abate sempre attorniato da animali domestici, belve feroci ed alcuni animali Troviamofantastici.

poi il Cristo pantocratore al centro della “mandorla” in atteggiamento benedicente, una madonna con il bambino assisa in trono, una deposizione con i simboli della passione tra le due piccole aperture che portano alla sacrestia dove Jaquerio e la sua bottega hanno affrescano interamente le superfici in modo davvero sontuoso. La salita al calvario è un imponente affresco che occupa una intera parete: Gesù sale al Calvario attorniato da uno stuolo immenso di persone. Nelle vele della volta a crociera sono raffigurati gli evangelisti con i loro simboli.   Boni PhotographyAdriana

Mariangela

Oberto Photography RANVERSO Giroinfoto Magazine nr. 78 122

Nel XIII e XIV secolo l'Abbazia subì diversi ampliamenti e rifacimenti e sul finire del 1400 si arricchì delle pregevoli decorazioni in terracotta sagomate con disegni di fiori e frutta, sugli archi di ingresso e sulla facciata dell'Ospedale.

La, l’interno della chiesa conserva magnifici affreschi del '400 realizzati da Giacomo Jaquerio, tra i maggiori esponenti della pittura piemontese tardo gotica. Nella navata di destra è raffigurato un importante ciclo pittorico sulla vita di San Biagio.

per committenza della Comunità di Moncalieri come voto durante un’epidemia di peste, è rappresentata la Natività con ai lati le figure dei santi: San Sebastiano e Sant’Antonio, San Bernardino da Siena e San Rocco. Sulla parte bassa sono rappresentate scene della vita e dei miracoli di Sant’Antonio Abate. Gli Antoniani cessarono la loro attività presso l'Abbazia nel 1776; con Bolla Pontificia di Papa Pio VI l’Ordine Ospedaliero dei Padri Antoniani venne soppresso e i beni di Ranverso, con le sue dipendenze agrarie, passarono all'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro e ancora oggi sono proprietà della Fondazione Ordine Mauriziano.

Floriana Podda PhotographyMaurizio Anfossi Photography Mariangela Boni Photography Il coro della chiesa è sovrastato dallo splendido polittico di Defendente Ferrari, esponente di spicco della pittura piemontese del XVI Eseguitosecolo.nel1531

REPORTAGE | RANVERSO Giroinfoto Magazine nr. 78 123

Adriana Oberto Photography REPORTAGE | RANVERSO Giroinfoto Magazine nr. 78 124

Giroinfoto Magazine nr. 78 125

REPORTAGE | RANVERSO

Andrea Barsotti Photography Adriana Oberto Photography Maurizio Anfossi Photography

Il carnevale e le credenze antiche inglobate dal Cristianesimo visti attraverso la Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso

REPORTAGE | PLANETARIO TORINO Il cristianesimo dei primi secoli conobbe molte difficoltà nella sua espansione e numerosi credenti vennero martirizzati proprio a causa della loro fede. Gradualmente, però, la religione cristiana riuscì a vincere le ostilità, iniziando a convivere con quelle presenti, fino a diventare, in seguito, religione ufficiale dell’Impero Romano. Molti furono i fattori che contribuirono a questa diffusione e, tralasciando l'importanza della dottrina proposta, sicuramente grande peso lo ebbero l'assimilazione e la rivisitazione di tradizioni e festività presenti già nei culti Esempiprecedenti.tipici sono il Natale e la Pasqua che si rifanno a festività pagane già presenti nelle antiche civiltà. Il 25 dicembre è il primo giorno dopo il solstizio d'inverno in cui la durata del giorno ricomincia ad aumentare Persensibilmente.questomotivo la giornata è sempre stata associata a riti di nascita o rinascita, a festività legate alla luce e al rinnovamento della speranza. Dalla nascita del dio-sole egizio Horus a quella del dio Mitra, questo legame giunse fino ai romani e da qui ai primi Anchecristiani.il giorno di Pasqua, la prima domenica dopo il primo plenilunio di primavera, corrispondeva ad una data importante già prima dell'avvento del cristianesimo. Essendo legata al ritorno della primavera e al rifiorire della natura era il giorno perfetto per celebrare anche la risurrezione di Cristo.

REPORTAGE | RANVERSO Giroinfoto Magazine nr. 78 126

Molti luoghi di culto furono costruiti su siti preesistenti e questo non fa eccezione. Prima della fine del XII secolo, periodo in cui la Precettoria venne affidata ad un gruppo di canonici regolari di Sant'Antonio, esisteva già in questo luogo una piccola cappella dedicata a San MaBiagio.la presenza di un grande masso quasi all'ingresso della chiesa ci porta indietro nel tempo fino al periodo neolitico. Si tratta di un masso erratico: una grande roccia inglobata nei ghiacci che coprivano tutta la valle di Susa durante le ultime glaciazioni e che poi è stata "lasciata" sulla pianura quando i ghiacci si sono ritirati, sciogliendosi per il riscaldamento della temperatura terrestre. Oggi questo masso può suscitare curiosità o un po' di stupore, ma è facile spiegare la sua collocazione così particolare, ma chissà cosa poteva rappresentare qualche migliaio di anni fa. Immaginate di far parte di un gruppo di persone del neolitico che giunge per la prima volta in questa valle e scorge questo masso in mezzo al verde, senza nulla che possa giustificare la sua L'unicapresenza.spiegazione possibile era probabilmente che si trattasse di un segno lasciato da qualche creatura superiore, e che quindi si trattasse di un luogo mistico di grande spiritualità. Questa ipotesi interpretativa è avvalorata dal fatto che su molti massi erratici sono state rinvenute piccole incisioni e coppelle, a volte non chiarissime da identificare. Si tratta, in conclusione, di importanti punti di riferimento, a cui sono stati associati nei secoli luoghi di passaggio, di incontro e anche di culto. Mariangela Boni Photography Massimo Tabasso Photography

Accanto a questi giorni e a queste ricorrenze così importanti ci sono però anche molti altri piccoli segni che sono stati recuperati e che magari sono meno noti. Possiamo riconoscerne alcuni esplorando ed osservando con attenzione la Precettoria di Sant'Antonio di Ranverso. Come primo elemento possiamo considerare la posizione in cui l’antico complesso si trova.

Remo Turello Photography REPORTAGE | RANVERSO Giroinfoto Magazine nr. 78 127

Una nota a parte la meritano le ghiande presenti tra le Anch'essedecorazioni.inneggiano alla natura, ma come cibo principale dei maiali ricordano proprio questi animali, grande ricchezza dell'ordine Antoniano.

Sempre sulla facciata si possono osservare altre decorazioni di tipo naturalistico, come rose e viti, che rimandano da un lato a simboli cristologici, come l'uva e il vino, e dall'altro allo stretto e fondamentale rapporto con la natura esistente anche prima del diffondersi del cristianesimo.

Volgendo ora lo sguardo alla facciata della chiesa, possiamo trovare altri simboli carichi di significati, come ad esempio la decorazione di alcune fiammelle. Il fuoco rappresenta il cosiddetto "fuoco sacro" o "fuoco di Sant'Antonio", malattia chiamata in realtà ergotismo e legata all'ingestione prolungata di derivati della segale cornuta.

Si tratta di una malattia che era molto frequente nel medioevo e poteva causare sintomi che andavano da leggeri arrossamenti della pelle, a piaghe, a forti stati di allucinazione e poteva causare anche la morte. Gli Antoniani erano soliti curare questa malattia e la fiamma usata come decorazione indicava in quel luogo un ospedale dove essere curati. Il fuoco è però legato anche direttamente a Sant'Antonio Siabate.narrava, infatti, che proprio Sant'Antonio si fosse recato all'inferno per prendere il fuoco e portarlo agli uomini per scaldarsi, chiara e diretta ripresa del mito classico di Prometeo che ruba il fuoco agli dèi per portarlo agli uomini.

Essi possedevano, infatti, numerosi allevamenti di suini da cui ricavavano, oltre agli altri prodotti, il lardo, uno degli ingredienti principali del balsamo che usavano per curare le piaghe del fuoco sacro.

Maurizio Anfossi Photography Massimo Tabasso Photography Mariangela Boni Photography REPORTAGE | RANVERSO Giroinfoto Magazine nr. 78 128

All'interno della chiesa troviamo un altro dei modi fondamentali in cui il cristianesimo ha assorbito le credenze e i riti precedenti: i Santi. Le figure dei santi rappresentano quasi degli eroi a cui i credenti si affidano in cerca di punti di riferimento, ma anche di Soprattuttoaiuto. nei primi, come abbiamo visto per Sant'Antonio, vengono incorporati caratteri mitici o mitologici. Nella navata di destra della chiesa troviamo la cappella di San Biagio, realizzata da Jaquerio, con gli affreschi sulla vita del santo. Biagio è da sempre associato alla protezione della gola e nell’affresco il Santo è raffigurato mentre toglie una lisca dalla gola di un ragazzo. La ricorrenza di San Biagio si festeggia il 3 febbraio e in molti luoghi la chiesa lo celebra con la "benedizione della gola”. Si tratta di un rito in cui si richiede al santo la protezione della gola dalle malattie, ma che rimanda a momenti di purificazione più antichi. Nella tradizione ebraica, infatti, quaranta giorni dopo il parto una puerpera poteva effettuare i suoi primi riti di purificazione e, calcolando quaranta giorni dal Natale, giungiamo proprio ai primi di febbraio. Anche in questo caso, dunque, si tratta della ripresa di usanze più antiche, confluite in quel periodo di purificazione e penitenza che, partendo dal mese di febbraio, conduce, attraverso la quaresima, fino ai festeggiamenti per la Pasqua. Il mese di febbraio rimane, quindi, strettamente legato alla purificazione, ma anche ad un altro antico rito: quello del carnevale.

Adriana Oberto Photography REPORTAGE | RANVERSO Giroinfoto Magazine nr. 78 129

esempio Sant'Antonio Abate, patrono della Precettoria, prima del XII secolo, era rappresentato generalmente in due modi diversi: o con le tentazioni che aveva subito quando viveva come eremita o bastonato dai demoni. Solo a seguito della nascita dell'ordine degli Antoniani e dell'importanza che per questi assunse il maiale, non solo per il balsamo con cui si curava il fuoco sacro, ma soprattutto come fonte di ricchezza, iniziò ad essere rappresentato proprio con un porcellino al suo fianco.

Si tratta anche in questo caso di una celebrazione tipicamente pagana, che esistevano già nella cultura greca (con i riti dionisiaci) e più tardi in quella romana, con i Saturnalia.

In entrambe le culture questi riti erano incentrati su una trasformazione nella società del tempo: i ricchi diventavano poveri per un giorno e viceversa. In particolare, i Saturnalia cadevano in dicembre, nel mese di maggiore oscurità dell'anno.

I santi sono stati un grande veicolo di diffusione della religione cristiana grazie al loro insegnamento, e anche rifacendosi a riti e credenze più antichi. Infatti, le loro rappresentazioni sono mutate nel tempo e, partendo da quelle originali, hanno subito influenze Riprendendocontinue.come

Si trattava di un periodo di massima trasgressione, una valvola di sfogo con festeggiamenti intrisi di riso e satira. Anche per questa ragione le celebrazioni di Saturnalia e le feste dionisiache sono state inglobate nel carnevale, come svago e distrazione prima dell’inizio del periodo quaresimale.

REPORTAGE | RANVERSO

Maria Grazia CastiglionePhotography

Giroinfoto Magazine nr. 78 130

Andrea Barsotti PhotographyMaria Grazia Castiglione Photography Massimo Tabasso Photography

REPORTAGE | RANVERSOREPORTAGE | PLANETARIO TORINO

Alla Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso per il carnevale 2022 si è voluto unire la tradizione sacra a quella profana, l’arte e la cura attraverso un percorso iniziato il 23 gennaio, nella domenica della festa dedicata a Sant’Antonio Abate.

Nel giorno in cui per tradizione avviene la benedizione degli animali, è stato presentato questo progetto di carnevale, proseguito poi con alcuni incontri che hanno accompagnato il percorso di creazione e che si è concluso il 27 febbraio con una visita guidata, alla scoperta dei temi del Carnevale nel Medioevo alla Precettoria (di cui abbiamo ampiamente descritto in precedenza) e una camminata in maschera, lungo il tratto acciottolato della via Francigena che dalla chiesa della Precettoria va verso la valle di Susa. Le maschere, ispirate agli animali e alla natura, sono state realizzate nel corso del laboratorio online di creazione contemporanea e arteterapia, a cura di Serena Fumero ed Elena Maria Olivero, organizzato dai servizi didattici di Ranverso in collaborazione con “È, arte, formazione e cura” Ogni partecipante ha scelto l’animale che più lo rappresentava costruendo dapprima la propria maschera e poi lavorando sulla parte corporea, esprimendo durante la camminata, balli e figure ispirate all’animale scelto. Serena Fumero che si occupa della valorizzazione e didattica della Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso ci ha raccontato le linee guida che hanno accompagnato il progetto, dove una maschera nasconde per rivelare: realizzando la propria si possono esprimere parti profonde di noi Artificio,stessi.stranezza, rovesciamento delle consuetudini: una maschera può mostrare l’anima più autentica di ciascuno proprio grazie alla sua eccezionalità e alla sua capacità di comunicare simbolicamente in modo immediato ed accessibile.

Il carnevale degli animali Giroinfoto Magazine nr. 78 131

REPORTAGE | RANVERSO Giroinfoto Magazine nr. 78 132

Elena Maria Olivero ci ha spiegato cosa sono le arteterapie, pratiche che utilizzano l'arte e i suoi linguaggi, quindi le arti visive: la musica, il teatro e la danza come mezzi per sostenere le persone in percorsi di espressione e trasformazione e che lo fanno attraverso un processo che permette di accompagnare a nuove modalità possibili, stare in contatto con se e di relazionarsi.

Massimo Tabasso Photography Adriana Oberto Photography

Queste pratiche sono utilizzate in ambito educativo, in ambito sociale, in ambito sanitario riabilitativo, come mezzo di introspezione ed evoluzione in virtù del fatto che i linguaggi artistici permettono di esprimere un livello non verbale sensibile e profondo per le verità che sono più difficili da raccontare a Siparole.tratta di pratiche accessibili a tutti, senza che sia richiesta una particolare competenza e questo perché si tratta sostanzialmente di una ricerca di espressione che va oltre il riferimento di modelli formali ed estetici. La finalità dell'arte terapia è quella di attivare le risorse creative degli individui, dei gruppi e delle comunità per sviluppare benessere personale e sociale promuovendo la salute così come definita dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, cioè uno stato di completo benessere fisico-psichico e sociale e non semplice assenza di malattia.

Remo Turello Photography REPORTAGE | RANVERSO Giroinfoto Magazine nr. 78 133

A cura di Giacomo Bertini Situato all’estremo margine orientale della provincia di Lucca sui confini di altre tre province (Pisa, Pistoia e Firenze), il Comune di Altopascio ricopre un’estensione territoriale pari a 28,70 kmq e comprende le frazioni di Spianate, Marginone e Badia Pozzeveri. REPORTAGE | ALTOPASCIO Giroinfoto Magazine nr. 78 134

REPORTAGE | ALTOPASCIO Giacomo Bertini Photography Giroinfoto Magazine nr. 78 135

Il toponimo risulta così composto dalla preposizione Al- e dall’elemento Topascio, ad indicare la posizione di quello che fu l’ospizio dei Cavalieri del Tau di cui si ha notizia in documenti che risalgono alla fine dell’XI secolo presso il detto corso d’acqua.

Lo Spedale di Altopascio, del quale si hanno le prime notizie certe in un documento datato 1084, si ritiene fondato probabilmente per opera di dodici cittadini lucchesi. All’epoca la zona era ricoperta da fitte selve e da malsane paludi che nascondevano pericoli di ogni genere per i pellegrini, pericoli che andavano dal rischio di perdersi e non ritrovare più il giusto percorso o di incappare in brutti incontri con banditi attirati dai valori trasportati dai viandanti.

Questo luogo ebbe notevole importanza fin dall’anno Mille, in quanto punto di sosta, di assistenza e di cura, hospitale, per i pellegrini che percorrevano la via Francigena.

REPORTAGE | ALTOPASCIO Giroinfoto Magazine nr. 78 136

Giacomo Bertini Photography Il nome Altopascio è di probabile origine longobarda e deriva dalle parole «Teu» (popolo) e «passio» (ruscello), che, unite, significherebbero «rio pubblico».

REPORTAGE | ALTOPASCIO Giroinfoto Magazine nr. 78 137

Ben presto i servizi dello Spedale divennero di grande rilevanza tanto che per adempiere le funzioni cui era preposto, venne istituito l’Ordine monastico cavalleresco dei Cavalieri del Tau, che assunse ben presto grande prestigio e accumulò consistenti ricchezze diffondendosi rapidamente in tutta Europa. I Cavalieri del Tau che presero il nome dalla Croce «taumata», simile alla lettera Tau dell’alfabeto greco (Τ), oltre ad occuparsi dell’assistenza e della difesa, anche armata, dei pellegrini, provvedevano alla cura delle strade, dei ponti e dei navigli.

Lo Spedale, che diede origini al borgo, sorgeva sulle rive del lago di Bientina o di Sesto, ora bonificato, ma a testimonianza dell’importanza del lago esistono ancora molti riferimenti come i nomi di alcuni luoghi che lo ricordano: si veda, ad esempio, la piazza del Porto e un affresco nella chiesa di San Jacopo Maggiore, che ritrae San Jacopo, patrono dei pellegrini, al suo arrivo ad Altopascio sulla prua di una imbarcazione con il simbolo del Tau.

Giacomo Bertini Photography

Dopo il 1459, anno in cui per disposizione di Papa Pio II venne sciolto l’Ordine dei cavalieri del Tau, lo Spedale di Altopascio subì un progressivo declino vedendo diminuire la sua importanza fino a che il granduca di Toscana Pietro Leopoldo di Lorena, nel 1773, lo soppresse definitivamente in favore dell'ospedale di Pescia. Questo provocò anche uno spopolamento della campagna e un aumento dei poveri, che, a catena, provocò un aumento dei crimini ai danni dei pellegrini, con la conseguente perdita di importanza della ricettività del luogo. Grazie al ruolo strategico che Altopascio ebbe durante le lotte di potere tra i Medici, Granduchi di Toscana, e la Repubblica di Lucca, nei secoli XVI e XVII, la cittadina assunse una conformazione di fortezza che rimase tale fino al termine dei contrasti di confine tra il Granducato e la piccola Repubblica di Lucca, per divenire un luogo di fattorie. Oggi Altopascio conserva molto bene il piccolo centro storico che lo caratterizza, grazie ai lavori di conservazione delle strutture antiche e delle aree pubbliche; è possibile visitare due grandi piazze; la più grande è piazza Bettino Ricasoli, che speso ospita concerti o fiere. La più piccola è piazza Giuseppe Garibaldi, che un tempo costituiva il cortile grande della Casa di fattoria, creato nel 1472 allargando uno spazio preesistente.

Esiste ancora una piazza a poche decine di metri, forse la più importante ed emblematica di Altopascio: la piazza degli Ospitalieri, che corrisponde a un cortile di fattoria realizzato nel XVI secolo da Ugolino Grifoni allargando l’antica area claustrale con l’abbattimento dei lati superstiti del chiostro. Al centro di questa area si conserva un interessante pozzo con un pregevole Pozzale ottagonale in monoblocco di pietra, sul cui bordo interno si notano i solchi delle catene con cui si calavano i secchi e le brocche per attingere l’acqua. Il pozzale è stato trasferito in questo luogo negli anni Trenta dalla vicina corticella della che probabilmente ospitava la foresteria medievale.

Giacomo Bertini Photography REPORTAGE | ALTOPASCIO Giroinfoto Magazine nr. 78 138

Altopascio non è solo un luogo di passaggio o di ristoro, ma è una cittadina ricca di storia e teatro di importanti eventi storici, come la grande battaglia del 1325 in cui i Fiorentini, proprio in mezzo a quelle terre paludose, furono sanguinosamente sconfitti da Castruccio Castracani, signore di Lucca, dopo un lungo periodo di assedio del borgo.

Sulla sinistra della facciata dell’edificio sono ancora visibili i resti dell’abside dell’antica chiesa.

Giacomo BertiniPhotography REPORTAGE | ALTOPASCIO Giroinfoto Magazine nr. 78 139

Dell’antico chiostro rimane ben poco, ma si è conservata la parte più significativa. Di fronte alla porta del Giardino è situato il lato di levante, così trasformato nel 1557 in stile tuscanico con colonne e pilastri in pietra serena e sormontato da una loggetta. Alle spalle, con il suo alto campanile che proietta la sua ombra nelle due piazze, si trova la già citata chiesa dei Santi Jacopo, Cristoforo ed Eligio, comunemente nota come chiesa di San Jacopo Maggiore. Si tratta di una chiesa, originariamente in stile romanico che, nel corso degli anni ha subito numerosi interventi di restauro che l’hanno profondamente trasformata conservando però la facciata e la zona absidale.

Al suo interno, come abbiamo già accennato, è visibile un bellissimo affresco che raffigura il patrono dei pellegrini, San Jacopo, sulla prua di una barca con il simbolo del Tau, dipinto da Dilvo Lotti nel 1954.

Giacomo Bertini Photography REPORTAGE | ALTOPASCIO Giroinfoto Magazine nr. 78 140

REPORTAGE | ALTOPASCIO Giroinfoto Magazine nr. 78 141

Proprio di fronte alla chiesa si trova un’importante via di collegamento che attraversa il cuore di questo comune: via SuCavour.questa strada le attività commerciali, botteghe, farmacie e alimentari aprono le loro vetrine e bar e pasticcerie offrono i loro servizi ai molti cittadini che vi abitano. Questa via collega la zona della stazione ferroviaria, fino a raggiungere l’altra estremità del paese sita in piazza Umberto I, da dove partono essenziali diramazioni stradali che raggiungono le province limitrofe. Entrando in quest’ultima piazza si rimane subito attratti da una piccola chiesa circondata da strade trafficate.

La Chiesa di San Rocco venne edificata nel 1645 dalla Compagnia di San Rocco per aver ricevuto la grazia fermando l’avanzare della peste. Le celebrazioni in onore del Santo che dà il nome alla chiesa, si svolgono il 16 agosto ed è quella l’occasione propizia per ammirare i bellissimi dipinti che sono custoditi al suo interno. Giacomo Bertini Photography

Giancarlo Nitti Photography

Nella storia anche questa abbazia vede le sue sorti legate alla già menzionata battaglia di Altopascio, in quanto l’area circostante iniziò la propria decadenza a causa del suo spopolamento e fu preda di scorrerie di briganti, fino al definitivo abbandono da parte dei monaci nel 1408.

A pochi minuti dal centro storico si trova la riserva naturale del lago di Sibolla, un’oasi di 60 ettari di querce e farnie, con prati, campi coltivati e un grande specchio d'acqua a fornire un punto di sosta a tanti uccelli che percorrono le rotte Anticamentemigratorie.era molto più esteso, ma le numerose bonifiche di cui è stato oggetto ne hanno ridotto le dimensioni, ma non hanno decretato la scomparsa, in quanto l’acqua del lago è originata da sorgenti sotterranee, difficili da Nellaregimare.frazione di Badia Pozzeveri si trova la Badia di San Pietro, un tempo chiesa parrocchiale, oggi area archeologica sede di lezioni ed esercitazioni pratiche del Master universitario in bioarcheologia, paleopatologia ed antropologia forense delle università di Bologna, Pisa e Milano.

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Autore: Stefano Pellegrini Vestrahorn, Stokkens, Islanda Giroinfoto Magazine nr. 78 148

Alba a Vestrahorn

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