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DISCORSO DEL VICESINDACO DI SCHIO – PROF. GORGIO PIZZOLATO IN OCCASIONE DELLA CERIMONIA AL SACRARIO MILITARE DEL PASUBIO 2013 Buongiorno a tutti: il Pasubio oggi risplende e ci sorride! La cerimonia solenne che celebriamo oggi qui è un evento rituale che si rinnova di anno in anno e – ci piace pensare – che anche i nostri caduti attendano questo appuntamento. Ci fa sentire ancor più in comunione con loro, figli di altri tempi, ma attori della stessa storia. Ricordiamo qui, ogni anno, chi soffrì per la Grande guerra e chi morì in combattimento, ormai molto tempo fa, tra le rocce di queste montagne: che, da allora, ci sono più care, come cara è la memoria di quei bravi, tantissimi, soldati della I° Armata. Onoriamo perciò, con affetto, e un fremito di commozione, il ricordo di loro, di quei nostri nonni e bisnonni, che su queste balze, sui monti tra Veneto e Trentino, or è quasi un secolo, diedero il loro contributo – consapevole e volontario, o meno – alla causa dell' Italia Unita. Il gonfalone della nostra Provincia, che abbiamo visto sfilare, porta nelle sue partizioni le immagini dei sacrari militari eretti dopo la grande Guerra sui nostri monti, e simboleggia bene il rapporto saldo e inestricabile che esiste tra le istituzioni del nostro stato, delle nostre città e la memoria viva dei caduti nel primo conflitto mondiale. La mia città, Schio, ha appena accolto con gioia il Raduno Triveneto di quei grandi "combattenti per la pace" che siamo noi alpini - in prima linea su questi monti insanguinati - e condivide lo spirito costruttivo che essi oggi sommamente incarnano in tutte le situazioni in cui operano: dalle azioni di Protezione civile, alle "missioni di pace" e di solidarietà all'estero. Il Sacrario Militare davanti al quale siamo ora riuniti è la tomba di quasi 5200 caduti, la più parte italiani, ma accoglie anche molti uomini che caddero sul Pasubio da nemici dell'Italia, nel simmetrico tentativo di difendere il territorio della loro Patria, un'altra Patria, anch'essa una Patria. Il tempo passa, la percezione delle cose cambia: oggi l'Austria e l'Ungheria e altri stati dell'ex impero asburgico, così come d'altra parte la Germania sono, nazioni nostre sorelle nella più grande Europa; ed il ricordo del Centenario della prima immane tragedia mondiale, che si avvicina, vede oggi i popoli europei solidali nel pur difficile tentativo di governarsi in modo sempre più efficace ed omogeneo, inseguendo l'idea di una grande nazione Europea che, purtroppo, rinnovati interessi particolari ostacolano. Un secolo dopo sorge spontanea una domanda a cui non è lecito sottrarci: la lezione di quei morti, che a migliaia caddero qui nel 15-18, molti da eroi, è stata dunque messa a frutto? L'abbiamo ascoltata?


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