
Storie Brute è un collettivo che nasce dall’incontro di tre bruti (più pre cisamente due bruti e una bruta) in una buia taverna alle porte di Mila no. Questi bruti, troppo gracili per essere guerrieri e troppo stonati per diventare skaldi, decisero di unire le forze con lo scopo di mercanteggiare i prodotti del loro ingegno: pittogram mi ideografici che raccontano di gesta dimenticate e saghe sconosciute, la cui memoria viene evocata mischiando insieme ferro, polvere e ossa. Tipo quello che ha fatto History Channel con Vikings ma con molto meno bud get e su carta.
I brutali fondatori
Marika
Michelazzi
Gran sacerdotessa di storia antica, scrittrice e illustratrice. Si dice che al termine dei suoi capelli siano nascosti i segreti dell’universo.


Nas Kirchmayr
Intrepido arimanno e mastro cerimoniere di storia medievale. Disegnatore e colorista, è stato benedetto dal dio ridente con il dono della pazienza infinita.





Gianluca
Girelli
Sciamano eremita e custode delle pergame ne. Se vi avvicinate alla sua montagna al chiaro di luna, potreste sentire l’eco di risate malvagie, segno che ha completa to una sceneggiatura.
LA TESTA DEL PRINCIPE NERO È UN FUMETTO STORIOGRAFICO. PERSONAGGI, LUOGHI ED ENTITÀ RAPPRESENTATE NEL RACCONTO SONO FRUTTO DELL’INTERPRETAZIONE ARTISTICA DEGLI AUTORI. STAMPATO SU PRESSUP - GIUGNO 2021IL CAVALIERE SUSSURRANTE




In memoria di mio padre, che mi ha trasmesso l’amore per i fumetti prima ancora che imparassi a camminare. -Nas

























L’invasione a cui avete assistito in questo volume, e che fa da sfondo all’intera sto ria, è una parte della cavalcata del Princi pe Nero del 1355. Per seguire le vicende del cavaliere sussurrante non è essenziale conoscere a menadito gli eventi del perio do ma con questo approfondimento vorrei almeno colmare le lacune dei più curiosi. Per sintetizzare, Francia e Inghilterra erano in conflitto da tempo. I francesi avevano provato a prendere il controllo dell’isola più volte senza successo. Prima finanziando gli scozzesi ribelli, alleanza che crollò quasi sul nascere grazie allo snobismo francese, e poi costruendo una grande piattaforma da guerra galleggiante, che sarebbe dovuta divenire la testa di ponte sulla costa britan nica, distrutta in modo esilarante da una semplice mareggiata prima che potesse prendere il largo. Queste manovre costaro no ingenti somme ai francesi che decisero per un periodo di rinunciare all’impresa. Dopotutto gli inglesi venivano considerati dei poveracci dal resto delle monarchie europee, perché preoccuparsi? A distruggere questa sicurezza arrivò il re di Inghilterra Edoardo III, che aveva forti interessi commerciali in Britannia, Guienna e nelle Fiandre. Essendo in netto svantaggio numerico, programmò un’invasione a più riprese, anche se dichiaratamente, come si legge nelle sue lettere al papa, si trattava solo di affari. Edoardo III sfruttò l’insoffe renza dei conti francesi verso la corona per stringere alleanze fino a dichiarare guerra aperta, ottenendo prima la supremazia na vale della manica e rivendicando poi avam posti e città in territorio francese, le basi perfette da cui proseguire l’invasione. A rallentare il piano di Edoardo fu la celebre pandemia di peste nera del 1348, che ster

minò un terzo della popolazione europea, reclamando chissà quante altre anime nel resto del mondo. Questa devastante piaga, dal sapore praticamente biblico, costrinse i due regni ad una pausa per gestire gli effetti del morbo. Finita la peste, i cui focolai in realtà vagarono per l’Europa nell’arco di alcuni anni, finì anche la tregua e puntual mente ripresero i conflitti rimasti in sospe so tra le due monarchie. Edoardo III non poteva tuttavia affrontare il nemico di petto, il diffondersi di mura e fortezze in Francia durante tutto il duecento riduceva la conquista delle città ad assedi lunghi e complessi, insostenibili per le esi gue forze inglesi. Per questo, visto che già il territorio conteso era fiaccato dall’epidemia e dal brigantaggio, il sovrano inglese optò per continuare il logoramento tramite una serie di saccheggi sistematici delle regioni meno difese e più produttive. Questa condotta fu altamente disonorevole, ma permise a Edoardo III e figlio, il nostro Principe Nero, di strappare anno dopo anno grosse porzioni di terreno ai rivali, fino al trattato di Brétigny del 1360. Ho scelto specificatamente la cavalcata del 1355 come ambientazione al posto di eventi più celebri della stessa decade perché in questo scellerato raid la vera vittima fu la popolazione, e in particolare la povera gente. Salvo qualche sparuta schermaglia, nessun nobile si oppose al saccheggio. Chi poteva prese riparo nelle mura delle grandi città, mentre le campagne vennero lasciate alla mercè degli invasori. Il principe aveva appreso bene le tattiche del padre: la distruzione fu metodica; venne dato alle fiamme e devastato tutto ciò che l’esercito non era in grado di trasportare via, prima di far ritorno in Inghilterra per l’inverno.

La bruta geografia

Visualizzare il contesto geografico, le regioni e le divisioni territoriali è stata da sempre una sfida per gli sto rici. Tali mappature vengono rico struite partendo da documentazione scritta, dato che le cartine disegnate nel passato sono spesso molto im precise e raramente in scala. La più attendibile della Francia trecentesca è quella del trattato di Brétigny del 1360, dove vennero ufficializzate cessioni territoriali in favore del re gno di Inghilterra. Quella che vedete qui a fianco è una mia ricostruzione approssimativa del territorio nel 1355 fatta incrociando tale mappa con una del 1330. La raffigurazione sottostante invece è una mia inter pretazione favolistica della porzione di Linguadoca che attraverseremo nel corso del fumetto.



Il Principe Nero La lingua delle oche
Sebbene postumo, Principe Nero è il titolo più celebre di Edoardo da Woodstock, prin cipe del galles e primogenito di Edoardo III d’Inghilterra. Considerato da molti cronisti come il più grande condottiero della sua epoca, fu un valoroso e astuto comandante, che guidò al successo molte battaglie duran te la prima fase della guerra dei cent’anni. Ventiquattrenne, di corporatura robusta e folti baffi, l’erede di re Edoardo era un principe duro e altezzoso, che doveva gua dagnarsi la fama immortale di “fiore della cavalleria”. Fu uno dei fondatori dell’ordine della Giarrettiera, e quindi per assunto un modello di magnanimità, ma ai suoi ordini le armate Inglesi derubarono e massacra rono molti civili disarmati. Se Edoardo e i suoi alleati percepissero la discrepanza tra l’ideale cavalleresco e le loro azioni, è uno dei misteri che mi ha stimolato durante la stesura del suo personaggio in questa storia. Un altro grande mistero intorno alla sua figura è sull’origine dell’epiteto di Principe Nero, fonte di dibattito tra gli storici ancora oggi: alcuni sostengono fosse a causa dell’ar matura nera donatagli dal Re alla sua prima battaglia, mentre altri che si trattasse invece per la fama “nera” guadagnata in Francia per le crudeltà commesse durante le sue cavalcate. Nonostante abbiamo optato per la prima spiegazione, c’è la possibilità che la famosa armatura non fosse mai stata nera: i suoi resti vennero infatti riesumati nel XVI secolo, tempo dell’origine del nomignolo, e la corazza con cui venne sepolto avrebbe potuto scurirsi per effetto dell’ossidazione del metallo. Tolta la questione puramente estetica, la figura di Edoardo da Woodstock è molto affascinante e controversa e non vedo l’ora possiate incontrarlo dal vivo nel corso del fumetto!
Mentre mi documentavo per scrivere la trama generale del fumetto, utilizzai diversi testi di riferimento per ricostruire in modo plausibile la regione occitana e in particolar modo la Linguadoca. Facendolo, scoprii un particolare affascinante ma che al contempo mi riempì di terrore. In principio pensavo di risolvere le incomprensioni linguisti che tra i vari personaggi grazie al fatto che nel 1300 il francese arcaico era la lingua maggiormente diffusa nelle corti d’Europa (infatti Duncan si rivolge proprio in france se al sussurrante), ma nella regione occita na, di cui la Linguadoca fa parte, la lingua era tutta un’altra storia. La gente parlava un idioma conosciuto come lingua d’oc, o più comunemente occitano, molto diversa dal francese arcaico, che veniva chiamato invece lingua d’oil. Chiaramente, rispetto allo stupido titolo di questo paragrafo le oche non centrano assolutamente nulla : d’oc e d’oil derivano infatti dalle locuzioni latine hoc e hoc ille, e fu proprio Dante Alighieri a classificare questi e altri ceppi linguistici sulla base delle loro particelle affermative (òc in occitano significa sì, mentre oil era l’antenato del moderno oui francese). Nono stante fosse ipoteticamente una figata da inserire nella storia, ho deciso a malincuore che era una sfida troppo grande per le mie capacità, oltre che avrei fatto fatica a ren dere visivamente la cosa in modo efficace senza ricorrere a tecniche grafiche, che non amo molto. Ho preferito quindi glissare su questo particolare come “licenza poetica” o persino Duncan e il sussurrante avreb bero avuto problemi a comprendersi senza utilizzare il latino (ammesso che entrambi lo conoscessero a sufficienza da comunicare decentemente).


La balestra
Indubbiamente l’arma da tiro più iconica del medioevo, la balestra si diffuse a mac chia d’olio in Europa dopo l’undicesimo secolo. Le sue origini, tuttavia, sono molto più antiche. Sia Grecia che Cina, infatti, rivendicano la paternità di questa inven zione. A favore della Grecia c’è l’invenzione della balista, il cui utilizzo era documen tato già dal quarto secolo avanti Cristo, sebbene quest’ultima funzionasse grazie alla torsione di una fune e non grazie alla sua tensione. A favore della Cina invece ci sono reperti di meccanismi di sgancio compatibili con quelli della balestra davvero antichi, ma l’uso in battaglia di tale arma è documen tato solo dal terzo secolo avanti Cristo, un secolo dopo rispetto ai greci. A prescindere di chi fosse la paternità (o la maternità) dell’invenzione, la balestra venne modi ficata e migliorata più volte dall’ingegno umano, che quando si tratta di ammazzare il prossimo non conosce confini. Inizial mente i primi modelli erano più grandi e rozzi: per caricare il dardo era necessario sdraiarsi e tirare con tutto il corpo facen do leva sull’arco, solitamente di corno. La corda veniva bloccata da una boccola mobile detta noce, che sganciava la corda in tensione dopo essere stata azionata da una leva o da un grilletto. Quello che rese così vantaggiosa quest’ar ma fu certamente la sua semplicità di uti lizzo. Non so se avete mai provato a tirare con l’arco: è difficile anche solo tenderlo senza allenamento, figuriamoci fare centro su un bersaglio in movimento. Invece per utilizzare la balestra basta un pomeriggio di lezione; l’unica discriminante è la mira del tiratore. Oltre ad essere semplice era ovviamente un’arma potente e superava l’arco in gittata e in potere di penetrazione, elemento da non sottovalutare, date le mi gliorie alle armature che ci furono proprio


negli stessi secoli. La velocità di ricarica era effettivamente il problema più evidente e infatti le più grandi innovazioni si ebbero proprio in quel campo. Sebbene il martinetto (una sorta di cric chetto) fosse il sistema meno stancante per il balestriere, era un meccanismo comples so da produrre in massa, per cui si diffuse maggiormente quello più semplice: il croc co, un crudo gancio metallico con la quale tendere la corda oltre la noce.
A questi si aggiunse, agli inizi del trecento, la staffa sulla punta, che permetteva quindi di tenere ferma l’arma con il piede men tre con il crocco si portava in tensione la corda come mostrato da Grifone in questo capitolo. Grazie alle migliorie, le unità di balestrieri diventarono una seria minac cia sul campo di battaglia, utilizzando una tattica che venne riproposta anche in seguito all’avvento del moschetto: Una fila di tiratori scoccava, mentre la fila dietro preparava una nuova salva, spesso protetta da un muro di scudi o un’unità di lancieri. Nel giro di duecento anni dal suo primo arrivo in Europa, fu l’arma da tiro mag giormente diffusa e venne messa in pensio ne solo con l’avvento delle armi da fuoco nel tardo cinquecento. Il modello che utilizza Grifone nella storia, è una Balestra a Staffa molto maneggevole detta Mane sca, arma ufficiale dei balestrieri genovesi dall’inizio del 1300.
Una balestra a staffa con martinetto
