L’ANALISI
«In Italia i giovani fanno i signori» Il sociologo Luca Ricolfi: «No ai vittimismi, spendono troppo e studiano poco»
C
onsumismo, stagnazione economica e una popolazione in cui le persone inattive superano i lavoratori. Sono i tre elementi che avrebbero reso l’Italia l’unica vera “società signorile di massa”, dove la maggioranza dei nativi, soprattutto i giovani, vive sulle spalle dei genitori e dei patrimoni accumulati col risparmio di due generazioni. La fotografia scattata da Luca Ricolfi nel suo ultimo libro (“La società signorile di massa”, La nave di Teseo) è impietosa. Professor Ricolfi, altro che generazione sfortunata: i ragazzi di oggi sarebbero dei parassiti. «Non totalmente. Il registro vittimistico e quello parassitario sono entrambi legittimi. Oggi molti giovani non trovano lavori all’altezza, è innegabile. Ma è ugualmente vero che i loro padri non hanno avuto la possibilità di aspettare così tanto prima di mettersi in gioco». Giovani votati al tempo libero e agli aperitivi. «Nel dirlo non esprimo giudizi di valore, perché magari la colpa è di chi li ha allevati così, genitori e insegnanti innanzitutto. I giovani hanno approfittato di un clima in cui era possibile laurearsi senza studiare e vivere senza lavorare». Lei assegna parte della responsabilità al culto dell’auto-esposizione sui social network. «Oggi la competizione sociale si è spostata dalle professioni allo stile di vita. Quando le ore di lavoro di un italiano medio scendono al 15 per cento, il tempo libero diventa più importante e va riempito in ogni modo. Il problema è che esiste una minoranza che lavora anche per gli altri».
6
quattrocolonne-news.it
Luca Ricolfi insegna Analisi dei dati all’Università di Torino ed è presidente della Fondazione David Hume
di GIOVANNI LANDI
@Giolandi90
Mentre la maggioranza, lei dice, consuma molto e risparmia poco. «In Italia il numero di Neet (nullafacenti) è il più grande d’Europa. E sa perché? Perché è altissima l’eredità attesa. Con grandi risparmi, molti anziani e bassa natalità, il patrimonio delle famiglie si spalma su pochi eredi. Che spesso decidono di non lavorare per un calcolo iper-razionale». Il lavoro non c’è ed è colpa dei giovani? «In realtà io distinguo due casi: giovani che hanno studiato davvero e sono vittime innocenti di crisi e bassa produttività, diciamo un quarto del totale. E giovani che, a causa di se stessi e di un sistema che non ha la forza di imporsi e di bocciare, hanno titoli ma non competenze. La componente “signorile” è in questo gruppo». Il libro accusa la “svalutazione” delle lauree. È il primo dei problemi ed ha prodotto un enorme privilegio di classe: i ceti bassi non possono permettersi il lusso di studiare a lungo o conseguire lauree di scarso valore». Ma la società odierna si basa molto anche sullo sfruttamento delle nuove generazioni. «Verissimo. Ed è un dramma ma anche un fenomeno complesso: spesso si accettano impieghi con salari bassi per i vantaggi collaterali che comportano, come contatti, autostima, prestigio. Non è giusto, ma questo è». Quanto può durare il miracolo in cui si consuma molto e non si cresce? «Senza una reazione, direi non più di dieci anni». Cosa direbbe allora ai giovani italiani? «La mia ricerca rifiuta ogni proposito moralista o pedagogico. Ma visto che me lo chiede dico: studiate, studiate, studiate. Soprattutto per i ceti subordinati, è l’unica via per cambiare il destino». Q febbraio 2020