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Accade oggi

10 coordinamento delle indagini e quindi la cooperazione quando le indagini si sviluppano tra più Paesi Membri, ma soprattutto essa ha ormai una base politica comune che, in questa materia, consente di emanare Direttive cogenti per tutti i Paesi dell’area. Lo stesso non avviene fuori dall’Unione Europea, e salvi gli ottimi rapporti con Stati Uniti, Canada, America Latina e qualche Paese dell’area balcanica, con tutti gli altri Stati, che sono origine o transito di ogni genere di traffici illeciti, non si può parlare di vera cooperazione giudiziaria. Questi Paesi, in realtà, non hanno dato seguito alla Convenzione di Palermo che, pertanto, ad oltre dieci anni dalla firma, non si può dire che sia stata attuata. Le difficoltà da noi incontrate riguardano: • Mancanza in alcuni Paesi di norme interne che consentano la collaborazione; • Risposte nulle o insufficienti; • Tempi di attesa delle risposte troppo lunghi. La conseguenza di questo stato di cose è che le indagini su molte attività della criminalità organizzata – si tratti di traffico di stupefacenti o di migranti, di tratta di esseri umani o di reati di contraffazione di marchi – possono essere sviluppate solo all’interno del territorio nazionale o dell’U.E., senza potere invece accertare la responsabilità di gruppi che gestiscono questi traffici dall’Africa (es. Nigeria), dall’Estremo Oriente (es. Cina, Pakistan, Afganistan) o dal Magreb. Meno che mai è possibile tracciare il flusso di denaro che tutte le organizzazioni criminali (italiane e straniere) guadagnano in Italia e trasferiscono all’estero per nuovi investimenti. Un fenomeno particolarmente grave ma che non riceve adeguata considerazione nelle indagini che debbono essere svolte nei Paesi di origine, è quello relativo al traffico di migranti e alla tratta di esseri umani (smuggling

e traffiking secondo la denominazione della Convenzione di Palermo). Si tratta di due fenomeni che, come il traffico di droga, necessariamente si sviluppano in più Paesi e richiedono una struttura che organizzi i viaggi, la permanenza, il controllo delle vittime. In indagini in questa materia, si costata la grande differenza, il gap sociale, economico, culturale tra i diversi Paesi interessati, poiché i Paesi dai quali le vittime sono costrette a partire e dove risiedono i trafficanti sono ancora molto restii a fornire adeguata assistenza giudiziaria. Tutto questo è aggravato dalla considerazione che i due fenomeni qui considerati (smuggling e traffiking) sono gestiti e organizzati unicamente da gruppi criminali stranieri che operano nei vari Paesi interessati al traffico e non dalle mafie italiane, anche se l’Italia è uno dei Paesi di destinazione e transito di persone provenienti da più parti. Sotto questo aspetto va osservato che molti Paesi non hanno ancora maturato a sufficienza il convincimento che la lotta alla criminalità organizzata, in tutte le sue forme e in tutte le sue attività, non è più un problema interno agli Stati e quindi da affidare solo ai propri organi investigativi. È, invece, un problema che può minare la stessa sicurezza degli Stati e quindi è di rilevante valore politico, riguarda l’intera collettività civile e deve essere affrontato con norme cogenti internazionalmente concertate e applicate. In questo spirito, la DNA continua a promuovere incontri, a portare all’estero la propria esperienza e le buone prassi in Italia applicate, con la consapevolezza che la criminalità organizzata si combatte con la repressione ma soprattutto con la cultura e con il superamento di ancestrali credenze che spesso determinano i comportamenti di trafficanti e vittime.


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