Nova itinera numero 3 2012

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Diritto ed economia

78 Quest’ultimo principio prevede che la procedura ricomprenda tutti i beni del debitore ovunque dislocati, mentre il primo principio implica che il valore dei beni del debitore sia massimizzato nell’interesse di tutti i creditori4. Tuttavia le discipline nazionali in materia di insolvenza transfrontaliera hanno assunto una impostazione tale da impedire la realizzazione proprio di questi principi che le stesse leggi individuano come obiettivi da raggiungere. Le leggi nazionali hanno adottato infatti un modello territorialistico sui generis. Sulla base di questo modello le procedure nazionali hanno una efficacia tendenzialmente universale, ossia sono potenzialmente in grado di ricomprendere tutti i beni del debitore ovunque dislocati e sono volte a soddisfare tutti i creditori a prescindere dal loro domicilio o dalla loro cittadinanza; le procedure estere invece non sono in grado di produrre alcun effetto nel territorio dello Stato e anche nel caso in cui vengano riconosciute nell’ordinamento, comunque non sono in grado di generare gli effetti tipici di una procedura concorsuale come, per esempio, il divieto di azioni esecutive individuali sui beni presenti nel territorio. In questo modo le vocazioni universalistiche delle singole procedure di insolvenza nazionali vengono a scontrarsi in campo internazionale. Di conseguenza, per esempio, lo spossessamento e il divieto di azioni esecutive individuali sui beni che si trovino all’estero e la revocatoria di atti di disposizione che abbiano ad oggetto sempre beni situati all’estero difficilmente potranno produrre i propri effetti nell’ordinamento straniero, o perché si applichi la legge del luogo dove si trovano i beni del debitore (lex rei sitae), vale a dire la legge straniera, o perché sia prevista l’apertura di una procedura di insolvenza estera in base ad un titolo di giurisdizione

evidentemente esorbitante. Quindi l’assenza di un coordinamento tra le discipline nazionali di diritto internazionale privato in materia di insolvenza determina il venir meno dei caratteri di universalità e collettività della procedura, i quali sono strumentali per la realizzazione dei principi della par condicio creditorum e maximization of asset value for all creditors5. La disciplina italiana non fa eccezione a questo modello appena delineato. Peraltro ha ancora senso analizzare la disciplina italiana anche a seguito dell’entrata in vigore del regolamento n.1346/2000 che stabilisce delle norme uniformi di diritto internazionale privato in materia di insolvenza. Questo regolamento infatti ha un operatività esclusivamente intracomunitaria, ossia si applica solo quando il COMI del debitore si trovi nel territorio dell’Unione, quando invece il centro degli interessi principali è localizzato al di fuori dell’Unione Europea si applicano le discipline nazionali6.

2. La giurisdizione italiana in materia di insolvenza In Italia non esiste una disciplina vera e propria di diritto internazionale privato in materia di insolvenza, ad oggi infatti il 3° comma dell’art. 9 è l’unica norma che regola espressamente la giurisdizione in questo ambito. Il primo comma dell’art. 9 della l. fall. infatti disciplina la competenza territoriale e non la competenza internazionale del giudice italiano: «Il fallimento è dichiarato dal tribunale del luogo dove l’imprenditore ha la sede principale dell’impresa.». In questo senso si è sempre posto il problema di stabilire se fossero applicabili a questa materia le norme generali di diritto internazionale privato. Per quanto riguarda


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