Antologia Premio Nazionale di Arte letteraria Metropoli di Torino - XVII Edizione - Anno 2020

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al margine estremo del suo cammino terreno uno dei miei amici più veri. Avevo prestato soccorso a un reietto, a un escluso, qualcuno che era parte di me, del mio intimo sentimento di esistere. Allora sperai che anche per me, quando fosse giunto l'istante del mio ultimo viaggio, qualcuno spezzasse ramoscelli verdi da una siepe per deporli tra le mie mani segnando la speranza di un sonno sereno, profondo. I miei due compagni si avviarono lungo il sentiero verso la città. Io li seguivo. Arrivati alla Gran Porta, mi fermai. I miei due amici s'inoltrarono dentro le mura in mezzo alla folla che gremiva le strade. Era assurdo per me lasciarli andar via, era assurdo non condividere con Nicodemo e Giuseppe le vicissitudini, le ansie, le difficoltà, le amarezze della vita, perché io avevo scoperto in loro una virtù rara e preziosa. Attraverso Nicodemo e Giuseppe avevo compreso il senso di alcune parole di cui mi era sfuggito sempre il significato: “Di' una sola parola, una sola, ma che sia quella vera!”. Per i miei due amici qualsiasi cosa accadesse, era scontato che sarebbero rimasti fedeli alle proprie parole, alle proprie scelte. Gli altri, anche tutti gli altri, potevano dire e fare qualsiasi cosa, ma Nicodemo e Giuseppe avrebbero detto e fatto solo quanto era iscritto nella loro anima, solo questo avrebbe guidato il loro cammino. E in questa loro singolarità c'erano tutta la loro grandezza e solitudine. "Che virtù strana, rara e preziosa è la loro! - pensai. - solo nei miei due compagni esiste ancora una speranza per questa città!". Mi avviai. Avevo parecchia strada da fare quel giorno. Avrei camminato per ore. E mentre camminavo pensavo: “Che strano cammino ho dovuto fare oggi per comprendere che l'unico reale cammino è verso sé stessi!”. Camminavo e avevo fame. Ma non avrei mangiato nulla fino a sera. Stavo tornando al mio angolo della terra senza nulla di particolare da fare in quel luogo. Vivevo in una casa isolato, da solo. Ma non è la solitudine a dare senso alla vita. Ero qualcuno che avanzava con un'unica meta. Continuavo a dirigermi verso la mia strada. Mi seguiva solo la mia compagna invisibile, che un giorno mi avrebbe raggiunto: posando una mano sulla mia spalla, mi avrebbe invitato a fermarmi. Io, Gamaliele, speravo che quel giorno anche per me qualcuno spezzasse dei ramoscelli verdi da una siepe per deporli sulle mie dita a segnare la speranza d'un sonno sereno, profondo. Io, Gamaliele, continuavo a camminare a piedi nudi sulla terra e mi ripetevo: «Che strano cammino ho dovuto fare oggi per comprendere che qualsiasi cammino è solo verso l'immenso». Gocce di sudore mi bagnavano il volto. Davanti agli occhi si schiudevano rovi. Insetti in un sommesso frastuono mi accompagnavano. Il cielo era attraversato da strisce di foschia che fendevano l'aria. Sulla strada, a piedi nudi, col brivido dei graffi delle piccole spine e della brezza pungente si consumava uno dei giorni più puri della mia stagione qui in terra.

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